Al nome di Dio, amen. Padre karissimo. Io sono stato a questi di passati a Verona circha dì xx per consiglo de' medici per guarir meglo, e per detta chaxone non v' ò scritto. Ora sono qui venuto, e truovo in caxa vostra lettera de' dì xxiiij° di settembre, a la quale rispondo, a la quale rispondo. E, prima ch' io vi dicha altro, io non feci giae molto miglor pensiero che a mutar un poco d'aria per due principal caxoni: prima, perch' io sono in tutto guarito e spelagato, che tutto verno n'avrei avuto assai se ciò non fosse stato; seconda, perchè a me par aver ritrovato una stanza che, apresso alla nostra di costì, non vidi mai la più bella e più dilettevole, d' avervi tutti quegli piaceri ch' al mondo si possono desiderare, e fornita di buone coxe al temporal ch' è corso, ma quando passa buona stagione deba essere una delicata stanza. E' somigla il nostro contado, per modo che a me pare aver compiuto i mie' confini, e più d'essi non avrò maninconia. Intanto ch' io, benchè compiuti gl' avessi rispetto allo inviamento ch' io ò qui, pur mi starei qui fermo . Ben vorei de l' anno una volta poter venir a Firenze a posar uno mese, e poi tornarmi qui al giogho. Ora questo sarà quando a Dio piacerà: ma non aspetterò quel tempo con tanto dixiderio com' io solevo. Staròmi pianamente, e quando m' increscierà, me n' andrò a Verona, e partendomi di qui l'una mattina, sarò l'altro dì a mezodì a Verona; e quivi mi starò, e daròmi a creder sia la patria mia, Firenze: e tra con questo inganar me medesimo e la similitudine che pur v' è in qualche coxa, mi parà non aver confini, e coxì passerò mia vita fino piacerà a Dio. Voi mi dite ch' io v' avisi de la condizione della terra, e di Simone di Bartolozo, e d'uno Giovanni Pacini. Della terra e di Simone vi dirò mio parere, Questo Giovanni Pacini non chognoscho, nè la vostra lettera ebi inanzi a la mia partita, chè tanto n'avrei cercho che, sendo vivo, l'avrei trovato; ma la lettera vostra venne da poi ch' io mi parti', e io ordinai a Moratto mio fratello che non mi mandasse lettera nessuna se non fuse di molto bixogno, e solo per non avere l' animo impaciato se non a guarire. Com' io vi dico di sopra, a Verona è uno bellissimo essere, e à uno bellissimo contado, e fruttifero altramente ch' el nostro, salvo che non è tanto bene abitato, nè con tanti palagi, ma sonvene alchuni molto begli, i più fatti per nostri fiorentini. Raxonate quella terra è più che meza di fiorentini anticàtivi, cioè o nati di fiorentino per padre o per madre. Sonvi di molte famigle antiche, i quali di Firenze sanno quanto odono, e nessuna volontà ànno di rivederla. In quella terra sono gentiluomini e molti huomini ricchi che tutti tengono vita di gentilhuomini e vivono di rendite ferme. Sono degni e honorevoli huomini. Sonvi mercatanti buoni huomini e raxonati. E queste due generazioni sono da voler per amici e d' averne ogni bene, vivendo con loro ben chiaro a l' atto del danaio. Gl' altri artigiani e povera gente sono dannosi a impeciar con loro, che sono villani e gente da voler sempre il notaio a cintola, e chi più li ruba e più li strazia, meglio n' à. La terra à ogni buona coxa: aria la miglor del mondo, come che alcuni dicano ch' ell' è troppo sottile. Tutte coxe da mangiar e da vita de l'uomo sono perfette. La terra piena di bellissime fontane, ch' è una nobiltà a vederle. E, a farne una somma, a me molto contenta quella stanza, e àvi di buone e belle e maravigloxe coxe da vedere. Quel Simone impazò quest' anno, e ancor non so come la coxa si vada. El va fuori, e 'l suo raxonar è molto saldo, e sa molto ben dire; è piuttosto un busone che altro, e 'l magior favellatore non vidi mai. Studia in dir sonetti e in Dante. Vivesi con la sua famola al meglo può, e sento à alcuna rendita di posesioni. Di mercantia non fa, nè credo faciesse mai. È una creatura di que' Mafei, e lor non feron nulla, già son tre anni che sono rimaxi disfatti. Col detto Simone parlai due volte di vostri fatti, e volli vi scrivesse, e non lo fa, come che diciesse di farlo. E a dirvi el vero, secondo sento, Simone è stato molto del mondo e non netto di vizii; e, tutto racolto, abiendo io a star a Verona, farei di lui come della triacha, che, in alcun tempo de l'anno, de' 15 dì o del mese una volta, ne torei una presa con la punta del coltellino per tôrla ben a punto. Or tutto rimanga apresso di voi, chè parlo come con padre, e ingiegnomi di piacer a ciascuno e servir ciascuno, e ogni dì mi dispongo a meno caricho d' anima, chè così m' aiuti Dio com' io vorei far bene a ciascuno, e desidero la conversazione di pochi per vivere più pacifichamente, chè vera cognosco quella verità che dicie: ov'è moltitudine quivi confusione. Però m' ingiegno di non usar con molti, e spezialmente quand' io ò messo fine a' fatti di Rialto e della mercatantia, alor o mi riduco a caxa o in miglior luogo, secondo che Dio mi presta conoscimento. Or io priego lui che può, che, se 'l meglo dell' anima esser debba, che mi concieda che con voi mi ritruovi prestamente: chè a quello di voi sento, vegio vi farò buona compagnia, e forse non l'avrete più fedele. E non vi meraviglate, che, come ch' io sia giovane, sempre mi piaque la compagnia de l'anticho, da cui veramente si può imparar ogni bene, o per scienzia o per praticha, o per buona dispositione di vivere. E, quanto a me, par essere di 60 anni, tanto mi par esser vissuto in pecchati senza aver mai speso un' ora come ci comanda Dio. Lui ci governi come li piace. Sarà giunto Biagio costì, e da lui a boca avrete avuto novelle di me. Attendo sentir come si sarà contentato. La dispositione sua è buona, e di lui arete fedelissimo servigio; e quanto io ne farei buona oppinione, non credo m' inganasse: chè, come non sia el più experto del mondo, a noi n' è bixogno se non fede e amore, chè la speranza non ci manca. Io ve lo racomando quanto so e posso. Nè più vi dicho, parendomi aver fallato a dovervi tediar in tanto legiere. L' amor vi porto e reverenzia, agiunto al desiderio di vedervi, mi fa trasandar in dire: chè, parendomi con voi parlar, non so porci fine. Restami ancor a dirvi de' fatti di Pisa, ma non ò tempo. Ralegromene con voi come della più alta vittoria e più notabile che mai avesse el nostro Comune. Dio ne sia magnificato e laudato, e voi guardi e contenti. A dì xvj d' ottobre 1406. Vostro Michele Benini, in Vinegia. Franciescho di Marcho da Prato in Firenze propio.