Padre carissimo. Se non fosse il diletto ch'io ho di scrivervi, siate certo ch'io non potrei spesso pormivi com'io pongo. A questi dì n'arete aute da me più: sì che di cose vecchie poco v'ho a dire; se non ch'io v'ho troppa compassione e troppo dolore, veggiendo quanto a me spesso di vostra mano scrivete; pensando in quante parti avete a fare il simile, e quante vi sono le noie del sedere per lo difetto ch'avete (che ve n'ho scritto rimedio), e quante sono le noie della famiglia, de' fanti, e de' fiorentini e de' lontani, che non lasciano mai posare nè il corpo nè l'anima vostra; se none come ruota che si volga per le strabocchevoli acque. Penso, se con tutte queste battaglie arete in mimoria Dio, e i suoi statuti non trapassarete, che non fia faccenda non vi sia scritta a merito. Nè più nè meno come è accetto al signore uno suo scudiere armato a campo, che si difenda bene da ogni nimichevole rintoppo, più che colui che sta per lui a campo, e non è chi 'l richeggia di nulla. E il nostro grande Iddio giusto, e più che giusto, dice che le giustizie di qui sono appo le sue, come uno panno bianco pieno di mestrua di femmina. Or pensate se d'ogni fatica vi renderà merito, se le durerete con ricordarvi di lui, e per suo amore in pazienza portarete ogni cosa. In questa ora n'ebbi una vostra de' dì XXII, che dicea de' fatti di Barzalone, e de' fiorini cento d'Antonio di Paolo Mei; e però mi sono messo a far questa. Io ve l'ho detto per altra: di Niccolò non fate più conto, che e' non ci è, e ha delle cagioni da così fare; e vecchiezza e fortuna. Mai nè egli nè Domenico, che mi veggono spesso, non mi dissono nulla di vostri fatti, nè di vostre lettere, nè de' fiorini cento, nè d'altro. Or ditemi che debbo io fare. Antonio mi disse stamane, che Domenico disse di dargliele oggi a lui e a' compagni. E rendetevi fidato, che mai non si spese meglio danaio per bene del povero di Dio; sarebbe lungo dirvi questa pietade. A' fatti di Bartolommeo Cambioni v'ho risposto per due lettere, ch'io voglio non ve ne diate pensiero. Lasciate fare a noi, tanto torniate: troppo avete a fare. Pure ieri, essendo festa, vi fe' la copia del testamento, per consolarvi. Manda'la ad Ardingo di Gucciozzo, mio caro amico; e per mio amore, quando il vedete, siate il terzo compagnone. Arete in mie lettere quanto ho fatto di Barzalone, e come andai a lui; e quello ha fatto di vostri fatti, e come fa reda il vostro Ceppo, quando fia fatto. Io il fo morto: ma insino stamane vive con fatica. Mai non morì persona, fuor di Guido, che più mi dolesse. Ma volgo gli occhi a Dio; e penso la vita sua; e non mi duole la morte, perchè sono certo va a miglior vita. E più oltre voglio non pensiate. Pazzo è chi a questo non s'accorda, che bene gli voglia. Pareami ch'a' vostri io non m'avessi a proferere; sappiendo eglino ch'io sono atto e leggieri per loro: e a me non diceano nulla. Ma farollo; e un poco mi dorrò con loro di quello non hanno fatto. A Meo da Carmignano fate durare fatica e in casa e fuori; egli è adatto e presto, e hollo allevato in casa vent'anni. Mai non fu migliore nè più fedele garzone: fategli portare delle lettere, ec., e ogn'altra cosa l'arragazzate; egli è di natura che non se ne cura. Se con quello de' Gozzadini o Niccolò da Uzzano potete far nulla, sanza isconciarvi, io ve lo ricordo. Ma così fosse e' bisogno ricordare vostri fatti altrui, come è gli altrui a voi! La comare si raccomanda a voi e alla donna. SER LAPO. XXV ogosto, a nona. La morìa ci è quasi ristata. E nondimeno Lionardo dall'Antella è in sul trabocco. Iddio l'aiuti.