Arete auto lettere come siete tratto di borsa, e esservi posta in questi dì la prestanza. Ora per la vostra assenza, l'amico la sosterrà al dirieto più che e' potrà. Credo che infine, o e' vorranno vedere i libri vostri; o almeno, di vostra mano o di vostro garzone, quello albitrate avere in su' traffichi vostri. Così fanno a tutti, per grandi che siano. Aremmovi mandato fante propio; ma attendiamo la lettera farete, o già avete fatta, all'Uficio; e poi in singularità. E a que' due fratelli amici de' cinquecento non vi dissi scriveste, che non mi paiono averci l'animo a servire, per faccende c'hanno. Ora qui non cade questo: che e' sono sì buoni e sì amati giovani, che non farebbono altro che tutto bene. Ora, aute dette lettere, qualche cosa fia; o eglino vi risponderanno, o e' si metterà tempo in mezzo: tanto che Dio aiuti, e gli amici; ma non indugiate più, se fatto no l'avete. O! quanto mi dite il vero de' fatti dell'anima mia, e di fianco, e d'ogni malsanìa; e ad altri parrebbono motti: ma io non so fianco nè inferno s'agguagli al vostro, veggiendo tanti capitoli e cose scrivete in una a Stoldo, che la stimo una favola, alle molte persone con cui tenete conto. Ben v'avete mal condotto. Iddio vi metta nell'animo la verità. Abbiate che quell'acqua de' ceci rossi, tornando a mezzo, sanza riempiere la pignatta, è sopra ogni medicina all'enteriuola dentro: se mai ci troviamo insieme, mostrarovvi con mano a toccadito, che tutte infermità vengono da non sapere ordinare la bocca, secondo il bisogno del corpo; non peccando nè in poco nè troppo: ma il troppo è il fatto, che quando si mette più che non tiene, trabocca e fende, ec.. E simile, ordinarsi nel matrimonio. Se di Tanfuro mi crucciai con voi, abbiate pazienzia; chè 'l cruccio mio fu come della donna casta, che è richesta di disonestade. Io non so chi si tenesse, a dire ch'io abbia fatto co' Sei l'onor vostro, e sodamente per l'utile vostro; e che voi tegnate in tanta paura altrui, che altre non ardisca a fare il vostro bene. Ora i Signori hanno scritto a Prato. E' vostri amici hanno tolte mallevarie sanza farcene assaper nulla, se non dopo 'l fatto. E non sono venuti a dircelo, nè hanno posto iscambio in prigione, nè posto termine al ritornare in prigione. Una volta verrà tempo che non farete così. E n'è addivenuto quello mi pensai. Ma ben me ne turbai; ch'io non possa fare il bene vostro; e che Stoldo dica: Fa' tu, io non ne vo' far nulla. E questo è per troppo tenere in paura, ec.. Or penso tutto sia per lo meglio. E voi anche conoscete tanto, che penso tutto facciate per meno male. Quel cancellato è uno motto bello: e andrebbevi a gusto molto; ma serbolo a bocca, ch'è meglio che scrivello. De' vini ho inteso: il tolto è ottimo e gentile: io ne tolsi uno fiasco grande, e bevvilo in più dì, più tosto che niuno de' miei vermigli: e costò poco, e avanzonne. - SER LAPO vostro. XVIII di maggio. L'accordo con G. ser Dati mi piace, perchè ho intesa la quistione da Stoldo; e quando si sarà assai piatito, è la cosa di maniera, che simili Consolati fanno per accordo, o no la spacciano mai. E ancor quel garzone è leggieri, e non sta bene vada mal dicendo della vostra o di Stoldo sustanzia. Costoro vogliono vedere in tutto in tutto i libri di ogni mercatante. Penso non si fa per voi; e non gli avete da potere mostrare. La nicissità del Comune fa far loro questa disonestà. L'amico dice darà qualche riparo. A tempo udirete tutto. Scrivetegli per lettere duplicate com'io v'ho avvisato, sì che n'abbia una o due. - SER LAPO vostro.