Al nome di Dio, amen. Anno della sua incarnazione Millequattrocentodieci, indizione terza, a dì ultimo di luglio. Fatto nella terra di Prato, nella casa dell'abitagione di Francesco di sotto scritto; presenti . Sia a tutti manifesto sì come el discreto e onorevole uomo Francesco di Marco Datini da Prato predetto, cittadino e mercatante fiorentino, sano, per la grazia di Dio, della mente, sentimento e intelletto, avegnadiochè infermo del corpo: considerato che la morte per modi innumerabili gli uomini uccide; per la qual cosa necessario è, in mentro che la ragione reggie la mente, alla salute della sua anima provvedere e i suoi fatti ordinare; e però per lo presente suo nuncupativo testamento, il quale si dice sanza scritti, la sua ultima ordinando volontà, quello fecie, compuose e ordinò in questo modo, cioè: In prima, l'anima sua a Dio e a tutta la celestial Corte raccomandando, la sepultura del suo corpo elesse, quando avvenisse che morisse, nella chiesa di San Francesco di Prato, in quello luoco, con quegli apparecchi e con quegli adornamenti del sepolcro e sepultura e esequie di tutto il mortoro, e spese d'essi e altre cose circustanti, condecenti e usate in simili cose farsi; anco più tosto quelle e sì come una volta e più si diliberrà per mona Margherita sua donna, Luca del Sera mercatante cittadino fiorentino compagno del detto Francesco, Barzalone di Spidalieri da Prato e Lionardo di ser Tommaso da Prato; tutto commettendo nelle loro discrezioni, pregando loro che più tosto a bene dell'anima sua attendano, che a quelle cose che in tutto appartenessono a vanità. Ancora lasciò, che a tutti e ciascheduni i quali dovessino alcuna cosa iustamente e veramente ricevere, interamente e ragionevolemente si satisfaccia: e però, sè e sue rede e beni obligò; vogliendo e disiderando che i debitori suoi, o quegli dare doverranno a lui o alle sue rede, nel tempo e secondo la forma della ragione e onestà, esser costretti a pagare quello che dare debbono. Ancora lasciò all'altare della preziosa Cintola di Nostra Donna regina del cielo, nella terra di Prato, nella pieve di detto luogo, dodici lampane d'ariento; le quali sieno dinanzi al detto altare e la detta venerabile Cintola ivi perpetuo dedicate, a reverenzia della detta Nostra Donna: le quali sieno di spesa di fiorini trecento: le quali se per alcuno tempo se ne levassino, vendessonsi o permutassonsi, o in alcuno modo avvenisse che si alienassino, guastassino o struggiessonsi, incontanente volle divenissino alle rede e Ceppo suo di sotto scritto. La quale spesa volle si facesse sollecitamente, e con fede, per l'erede suo, o veramente per gl'infrascritti esecutori Consoli di Calimala, o pe' Rettori per tempo fossino del detto Ceppo. Ancora lasciò a' Frati, Capitolo e Convento de' Romiti di Santa Maria degli Agnoli di Firenze, sì veramente che se ne comperino terre vignate atte a detti Frati e Convento, fiorini cinquecento: comandando esse terre, che si compreranno, non si potere in perpetuo vendere, alienare o a lungo tempo concedere; vogliendo che i frutti d'esse venghino in perpetuo e ne' presenti Frati e ne' loro successori. E se contro al detto lascio in alcuno modo si facesse, le dette terre e lascio volle divenire al Ceppo de' poveri, sua reda infrascritto; e che la detta pecunia in altro non si possa convertire, se non nelle dette vigne se ne debbono comperare, eziandio con autorità del suo Priore. Ancora, per accrescere le limosine e divozioni de' cittadini e contadini e degli altri che hanno piatà inverso i fanciulli e fanciulle che si dicono i gittatelli; e acciò che essi fanciullini bene sieno nutricati, mutati e governati; e gli effetti de' danti le limosine sieno liberi, e non temano che le limosine si trabaldino e mandinsi fuor della città: volle e ordinò, che per principiare uno luogo nuovo, ove e sì come vorrà lo infrascritto Spidalingo nella detta città di Firenze, del quale sia priore rettore spidalingo governatore e sostentatore lo Spidalingo dello Spidale di Santa Maria Nuova di Firenze, il quale sarà per li tempi, e il quale così lasciò fosse; il quale i fanciulli notrichi e notrire faccia, i quali ivi saranno rilasciati o gittati, con buona diligenzia e cautela; si dieno al detto Spidalingo di Santa Maria Nuova, della sustanzia del detto testatore, e da poi che esso Spidalingo arà principiato a edificare, e non altrementi, fiorini mille d'oro, che si spendano nello detto nuovo luogo, e non altrementi. Dello quale nuovo luogo, che così si debba fare, lo infrascritto Ceppo suo ereda e i Rettori d'esso volle essere et esser nominati patrone, sollecitatore e autore, in quello modo che dire o far si potrà. Ancora lasciò, per l'amor di Dio, a mona Domenica vedova, donna fu di Meo vocato il Saccente, sua servigiale e povera persona, a vita di lei e in mentro ch'ella viverà, una casa del detto testatore, nella quale abita, e come abita Iacopo da Pisa barbieri, a presso alle Due vie e la casa di ser Naldo notaio, posta in Prato in porta Fuia. Item, staiora sette di terra la quale esso testatore comperò da Chese di Filippo da Prato, posta in su la strada pratese, luogo detto alla Romita. E gravò l'erede suo e i Rettori e provveditori suoi sì adoperare fare e curare che, eziandio oltra le predette cose, niente delle cose sanza le quali comodamente non si vive, manchi alla detta mona Domenica, secondo la condizione del suo stato, in mentro ch'ella viverà. E questo come agli uficiali del Ceppo infrascritto parrà e piacerà. Ancora lasciò, per l'amor di Dio, a Andrea di Simone di porta Santa Trinita da Prato, povero giovane il quale, come disse, quasi infino da puerizia ha nutricato, ogni anno, in quanto e in mentre che viveranno a lui i figliuoli del primo grado o alcuno di loro, e, esso Andrea morto, a essi suoi figliuoli così chiamati, uno moggio di grano e uno cognio di vino. Ancora lasciò, per l'amor di Dio, a frate Francesco di Iacopo Pucci, di sopra per testimone scritto, suo confessoro, una cappa a lui confaccientesi, come ordineranno i detti mona Margherita, Luca, Barzalone e Lionardo, di sopra nominati nel primo capitolo e lascio. Ancora lasciò, ogni anno in perpetuo, a' Frati, Capitolo e Convento di San Francesco da Prato, pe' vestimenti de' Frati e loro notricamento e altre cose a loro necessarie, e alla detta chiesa, per l'anima del detto Francesco, come s'ordinerà e parrà a' suoi futuri uficiali dello infrascritto Ceppo, i quali a maggior necessità di loro provvedranno d'anno in anno, fiorini venticinque; facciendo eglino ogni anno spezialmente condecente mimoria a Dio per la sua anima, come i detti uficiali del Ceppo ordineranno. Ancora lasciò, per l'amor di Dio, a ciascheduna delle figliuole di Chiarito di Matteo da Prato, povero e non ingegnoso uomo, suo parente, divenuto, come disse, in male stato per l'estimo e altro, quando si mariterà e per maritarsi, fiorini cento d'oro. E gravò l'erede suo infrascritto e i suoi Rettori e provveditori sì adoperare, fare e curare, che niente delle cose sanza le quali comodamente non si vive, manchi d'anno in anno al detto Chiarito in mentro che viverà, e similmente a le dette sue figliuole in mentro che saranno non maritate, o innanzi che si maritino, se sanza il detto padre rimanessino non ancora maritate, e vita onesta mantenessino. E questo come agli uficiali del Ceppo parrà e piacerà. Ancora lasciò a Tommaso di ser Giovanni da Vico, contado di Firenze, suo fattore in Vignone, a godimento e a sua vita, fiorini cinquecento; i quali dopo la sua morte volle ritornare all'erede suo infrascritto; esso Tommaso facciendo debito et idoneo sodamento di rendergli. Ancora volle e ordinò el detto testatore, che per lo suo erede infrascritto e i suoi uficiali, tre lampane in perpetuo si tengano accese nella detta chiesa di San Francesco; cioè, una a ciascheduno delli suoi due altari, e la terza dinanzi alla figura del Crucifisso che è nel mezzo di detta chiesa. Ancora lasciò, per l'amor di Dio, a mona Lucia per adrieto suo' serva, maritata a Nanni di Martino Pagni dal Palco, lire dugento; le quali volle ritornare al Ceppo suo reda infrascritto dopo la morte della detta donna e del detto suo marito e de' loro figliuoli: vogliendo che 'l detto suo marito e i figliuoli, se sopravvivessino a lei, godano il detto lascio; sì che dopo la morte di lui e de' figliuoli ritorni come di sopra. E liberando il detto suo marito di tutto quello a che al detto testatore in alcuno modo fosse tenuto. Ancora volle che se alcuno de' soprascritti o infrascritti legatarii si ramaricasse d'alcuna ragione o saldo fatto o non fatto col detto Francesco, o vero richiamo o lite facesse d'alcuna cosa allo suo erede infrascritto, tale ramaricantesi o querela facciente perda il lascio suo; e quello tale così lamentantesi privò d'ogni favore che gli provenisse del presente testamento. Ancora lasciò a' detti Frati e Convento di San Francesco, oltra i due altari ivi per lui fatti e a loro già donati, per l'amor di Dio, fiorini dieci; comandando ai suoi eredi infrascritti che debbano i detti due altari, sì come al presente sono forniti, così in perpetuo quegli mantenere e conservare, alle spese del detto infrascritto Ceppo: commettendo al detto Ceppo e a' suoi Rettori la facitura e l'opera del coro e delle volte del chiostro ivi, quando potranno e a loro parrà, e in quello modo, forma e ordine, come esso Francesco già fare avea deliberato; ripognendo ne' detti Rettori solamente el tempo e la potenzia e comodità del detto Ceppo. Ancora lasciò a Tieri di Benci da Settignano, il quale sta a Vignone, fiorini cinquecento; e che di quello a che il detto Tieri è tenuto al detto Francesco, fra loro la ragione come si debbe si rivegga e faccisi, e a esecuzione si mandi, di per sè e separatamente dal detto lascio. I quali fiorini cinquecento volle avesse a vita, e sodando come di sopra è detto nel lascio di Tommaso da Vico, il quale ancora dimora in Vignone. Ancora, per l'amor di Dio, liberò ogni e qualunque sua schiava, dovunque e in qualunque parte del mondo fosse, e essa e esse nella pristina libertà ripuose. Ancora, avendo avvertenzia a' servigi per lo passato e al presente fatti e che si fanno per certi medici i' nelle sue e della sua famiglia infermità, e che non è convenevole abbino a chiedere quello a loro si debbe; volle che a pieno a loro si satisfaccia, sì come diranno i detti mona Margherita, Luca, Barzalone e Lionardo, di sopra nominati nel primo lascio; a' quali i detti medici sono ben noti, o almeno a' detti primi due, mona Margherita e Luca. Ancora lasciò a ogni chiesa di Prato e che sia nella terra di Prato, a ciò che messe si dicano per lui, lire cinque; delle quali si comperi uno torchio per ogni chiesa detta, per l'anima del detto Francesco; escettuati gl'infrascritti quattro Conventi, a' quali più lascia. Ancora lasciò a frate Ventura, calzolaio, dell'Ordine de' frati degli Umiliati converso d'Ogniesanti, il quale dimora ivi alla porta, per messe di san Gregorio che per esso testatore si dicano, fiorini dieci d'oro, per l'amor di Dio. Ancora lasciò a' Frati e Convento di Santa Anna presso a Prato, in quanto per alcuno tempo reedifichino e rifacciano la cappella maggiore della detta chiesa, ora inetta, come è suto detto per molti, e non altrementi, fiorini cinquanta d'oro. Volle nientedimeno che alle spese delle suo' rede si faccia la volta o vero loggia, già per lui diliberata farsi, tra la chiesa e la porta del chiostro, acciò che si cuopra l'altare ivi atto, e come esso Francesco testatore più volte detto avea. E questo come parrà a' detti uficiali del Ceppo, o vero a' detti mona Margherita, Luca, Barzalone e Lionardo, nel primo lascio di sopra scritto nominati. Ancora, per l'amor di Dio, a' quattro conventi della terra di Prato, cioè di San Domenico, Sant'Agostino, del Carmino e de' Servi di Santa Maria, a ciascheduno di loro, lire venti; le quali si convertino in quelle cagioni e cose delle quali parrà a' detti uficiali del Ceppo, o a' detti mona Margherita, Luca, Barzalone e Lionardo, di sopra nominati. Ancora, nel detto modo e per le dette cagioni e nella detta forma, lasciò a' monisteri di Santa Chiara, di San Niccolò e di San Matteo da Prato, lire cinquanta per ciascuno convento. Ancora lasciò al detto monistero di San Matteo da Prato, per fare una tavola per l'altare, come s'ordinerà pe' detti quattro, mona Margherita, Luca, Barzalone e Lionardo, quello che i detti quattro dilibereranno esser necessario pello detto altare. Ancora lasciò al munistero di San Niccolò da Prato, e volle che si dipingano certi pancali, e certe dipinture si facciano in quello modo forma e luogo e dispese, ne' quali e sì come già il detto Francesco avea ordinato si facesse, e come diranno i detti mona Margherita, Luca, Barzalone e Lionardo, meglio informati d'ogni sua intenzione e ogni suo fatto e atto, che alcuno altro che si potesse trovare; e delle coscienzie de' quali egli si confida. Ancora volle e dichiarò, sè esser contento che Luca del Sera suo compagno, se avesse il donde, e a lui paresse, paghi a' legatarii di questo testamento del detto Francesco, poveri, e di piccola importanzia e di piccole somme: in niente però vogliendo si diroghi alla compagnia che ha col detto Luca, della quale di sotto si farà menzione. E che in questo non si faccia contro alla volontà del detto Luca,la quale riputa per l'avvenire buona, come ne' passati tempi sempre ha trovata buona e fedele. Ancora lasciò alla chiesa di Santa Maria de Alpuon d'Avignone, e all'oratorio di Santa Maria delle Grazie sopra 'l Ponte Rubaconte di Firenze, fiorini dieci per ciascuno. Ancora finì e liberò Betto trombetta da Prato, per l'amore di Dio, poverissima persona, da tutto ciò a che tenuto gli fosse. Ancora volle per gli uficiali suoi dello infrascritto Ceppo in tal modo ordinarsi, che una pietanza e uficio rinovale nella chiesa di San Domenico da Prato, con condecente spesa, si faccia per l'anima del detto Francesco: e che il detto Convento di San Domenico sia a essi uficiali e Ceppo in perpetuo raccomandato nelle sue necessità, come parrà agli uficiali del detto Ceppo che per lo tempo saranno: i quali pregò considerassono le necessità secondo i tempi; e proveggano come penseranno che esso Francesco fatto arebbe. Ancora volle, che sopra uno caso d'una somma di fiorini mille cinquecento, del quale Luca infrascritto e altri sono informati, s'abbia consiglio, per l'anima del detto Francesco, pe' detti mona Margherita, Luca e Barzalone e Lionardo, di sopra nominati, co' maestri in Teologia o dottori di Decretali, come essi quattro vorranno: pregando me notaio disotto scritto, e comandando che, per l'amore di Dio e per l'anima sua, riceva questo peso con loro. E disse, volle e dichiarì, che secondo il detto consiglio si faccia e a esecuzione si metta per essi mona Margherita e gli altri predetti, della sustanzia del detto testatore; sì che l'anima del detto Francesco non sia per lo detto caso in alcuno modo obligata: comandando all'ereda e esecutori suoi predetti, che paghino o pagar faccino o a esecuzione mandino quello che nelle predette cose e detti quattro suoi amici in questo lascio nominati diranno. Ancora finì e liberò Giovanni di Bartolomeo di Giunta da Prato, e Lionardo di ser Tommaso da Prato, e il detto ser Tommaso, d'ogni e tutto quello a che a esso testatore in alcuno modo fossino tenuti, o dicessesi loro esser tenuti. Ancora volle, per l'amor di Dio, che a niuno maestro di pietre o legname o fornacciaio, o a niuno manovale, renaiuolo, vetturale o fabro, s'adomandi alcuna cosa di quello che scritti sono, o apparisce pe' suoi libri, loro dare dovere al detto Francesco, e loro da' suoi debiti liberò: escetti Iacopo da San Donnino e Antonio di Vitale da Prato, co' quali volle il saldo e conto farsi, e secondo quello o secondo i libri del detto Francesco esser gravati a pagare quello debbono, e eziandio liberi, se per lo computo si dovesse la liberazione di loro; la qual cosa non crede. Ancora lasciò a ciascheduna delle figliuole di Luca del Sera da Firenze, suo compagno benemerito, in aiutorio delle loro dote quando si mariteranno, fiorini cinquecento d'oro. Ancora lasciò a detti mona Margherita, Luca e Barzalone, di sopra nel primo capitolo nominati, per dare e acciò che le dieno a una certa donna ora maritata, la quale a detti mona Margherita, Luca e Barzalone ha posto in secreto, tante possessioni e beni immobili a vita e durante la vita della detta donna, in qualunque stato si trovasse, maritata o vedova; le quali sieno di valuta e stima di fiorini mille d'oro; de' frutti de' quali niente volle pervenire al suo marito, più che si procederà dalla mano e volontà della detta donna. Dopo la morte della quale e detti beni ritornino al detto Ceppo. E comandò agli ufficiali che per l'avvenire in qualunque tempo saranno dello infrascritto suo Ceppo e Casa de' poveri, che inverso la detta donna e per suo rispetto faccino certo pagamento o vero paghino certe quantità di pecunie per lei, et o vero per lo suo marito, continua, la quale e sì come in secreto ha posto alla detta mona Margherita, Luca e Barzalone e al maestro Lorenzo medico da Prato; infino a tanto e in mentro che la detta donna viverà e in qualunque stato viverà. E che la detta donna, alle spese delle rede del detto Francesco, sia difesa da qualunque a lei nuocere volesse o molestasse. E se la detta donna avesse figliuola o figliuole legittime e naturali, le quali venissono a atto di matrimonio contrarre, volle alla prima, per lei maritare, allora darsi della sustanzia del detto Francesco, quando si mariterà, fiorini cinquecento; e vegniendo l'altre suo' figliuole a contrarre matrimonio, come di sopra, dopo la prima, all'altre lasciò quando si mariteranno, per aiutorio del loro maritarsi, quello che e come si dilibererà per gli uficiali dello infrascritto Ceppo de' poveri, i quali saranno pe' tempi, e i quali lo stato del Ceppo e il numero delle figliuole e l'altre cose da considerare considereranno: e così loro pregò facessino. Ancora lasciò a mona Margherita, sua donna diletta, lei stando vedova e onesta, e in mentro che così starà, ogni anno tutto il tempo della vita d'essa, per gli alimenti di lei e della sua fante e famiglia, fiorini cento d'oro, che a lei si debbano dare dal detto infrascritto Ceppo e Casa de' poveri, o vero esecutori. E che per gli suoi esecutori e i detti di sopra e di sotto nominati uficiali del Ceppo si provvegga in tal modo, che liberamente e sanza intervallo o alcuna querimonia il presente legato annuale el suo effetto abbia. Et eziandio volle, essa sua donna avere dalla sua eredità le cose infrascritte a sua elezione; quali e quelle che vorrà et eleggerà, delle cose e beni del detto testatore; e le quali a lei liberamente lasciò: cioè, due letti forniti, uno per sè e un altro per la fante; ancora le masserizie a lei di bisogno. E oltra le predette cose, tutti i panni lani e lini a uso del dosso della detta donna e del detto Francesco, acciò che possa far le limosine per l'anima di ciascuno di loro. Ancora una casa per abitare, a lei confacciente, in mentro che viverà, vedova e onesta. Ancora l'usufrutto d'una presa di terra del detto testatore, di più pezzi, posta presso alla porta di Santa Trinita di Prato, ove si dice alla Romita; la qual presa si chiama La chiusura di Francesco: in mentro che così viverà. Liberando lei da ogni gravezza di sodare per lo detto usofrutto nelle terre predette: e di lei si confida, che bene le terrà e restituirà, come delle rede sue infrascritte. E dopo la morte di lei, la detta terra e chiusura ritornar volle alle sue rede infrascritte. Volle ancora, che i detti suoi eredi debbano per la detta donna, lei così stando vedova, pagare ogni prestanza o estimo e simili gravezze che a lei s'imponessino, e le quali da lei si volessino riscuotere per la Comune di Firenze o vero pe' reggimenti della città o contado o comunità o popoli dove avvenisse che fosse collettata in alcuno modo per rispetto de' presenti lasci o altra qualunque cagione. E che eziandio alle spese dell'erede del detto Francesco, la detta donna sia difesa da ogniuno che contro le facesse. E se la detta donna si rimaritasse, allora privò lei di tutti i detti lasci di sopra scritti; e in luogo d'essi, a lei lasciò solamente fiorini cinquecento, che a lei liberamente si dieno de' beni della sua redità; affermando dalla detta sua donna non avere avuto dota. Ancora, perchè la detta donna potrebbe non incongruamente eleggiere, in caso della detta viduità, l'abitagione e casa per abitare per sè nella città di Firenze; acciò che n'abbia una altra in contado, eziandio volle e lasciò, oltra le predette cose, alla detta mona Margherita, e a una altra donna la quale a lei e a' soprascritti Luca e Barzalone ha posto in segreto, oltra quella che alla sopradetta mona Margherita ha lasciato, una casa per abitare per loro in Prato, in mentro che viveranno, colle masserizie in verità necessarie nella detta casa a esse donne, durante la loro vita. Ancora lasciò a Francesco di Domenico Naldini da Firenze, il quale lungo tempo è stato co lui, el salario suo ancora non fatto o fermo, a vita e durante la vita del detto Francesco di Domenico, fiorini trecento d'oro; lui facciendo debito sodamento di rendergli: la quale somma di pecunia, lui Francesco di Domenico morto, ritornare volle all'erede suo infrascritto. E volle che mona Margherita, Luca, Barzalone e Lionardo di sopra nominati, perchè esso Francesco di Domenico è debitore del detto Francesco testatore, per danari per lui avuti, come pe' libri del detto testatore apparisce, facciano e fermino il salario del detto Francesco di Domenico, il quale si sconti per errata della pecunia in che è debitore, come la ragione e conto che se ne farà detterà; e del resto, per ogni parte si faccia quello che è di ragione. Ancora lasciò a Guido di Sandro di Piero da Firenze, il quale quasi da puerizia ha allevato, a godimento trafficare e usufruttare in mentro che esso Guido viverà, fiorini cinquecento d'oro; lui facciendo debito sodamento di rendergli: la qual somma dopo la sua morte ritornare volle all'erede suo infrascritto. Ma il salario suo e la forma del salario, disse esso testatore altravolta avere fatto e fatto fare e ordinare. Ancora lasciò alla nuova Sagrestia di Santa Liperata, e all'Opera delle mura della città di Firenze, tramendue, fiorini uno d'oro. Ancora lasciò e fece come di sotto si contiene: imperò che considerò el detto Francesco testatore, che dalla sua infermità della renella e arsione dell'orina molto era oppressato in fare il presente testamento, e dal dolore di molte febri era impedito; per la qual cosa impossibile era, come disse, che non dimenticasse molte cose appartenenti allo stato della sua anima, ed alquanti amici ben meriti di giusta rimunerazione; delle quali cose l'oblivione non potrebbe bene essere sanza infamia della memoria del detto Francesco e sanza ingratitudine: e però volle il detto testatore, che mona Margherita sopradetta, Luca del Sera, Barzalone di Spidalieri e il maestro Lorenzo medico da Prato cittadino fiorentino (il quale si voleva dire innanzi), possino, sieno tenuti e debbano, sopra la sua anima e le loro coscienze, ove vedranno esso Francesco, massimamente in omettendo, avere errato, secondo il loro giudicio, dare e pagare e pagar fare, per gli esecutori e o vero Ceppo erede suo e d'esso Ceppo uficiali e per sè medesimi, della pecunia del detto Francesco, quella quantità di pecunia che a loro parrà, e come a loro parrà, e a cui e come fie di lor piacere, in fino in nella somma di fiorini mille d'oro. Et infino a ora, infino nella detta somma di fiorini mille d'oro o meno, lasciò e volle si desse a quelle tali persone o luoghi che per loro si nomineranno, sì come esso propriamente avesse lasciato a' detti tali; gravando loro che cautamente faccino, acciò che niente si faccia contro all'animo di Francesco, come giudicheranno, nè contro alle loro coscienzie, male dispensando. Ancora volle esso testatore, che solamente la compagnia della mercatanzia la quale esso testatore ha con Francesco di ser Benozzo e Luca del Sera di Firenze duri e durare debba dopo la morte del detto Francesco cinque anni prossimi che verranno: in questo gravando gli eredi infrascritti. Per la qual diliberagione spera el detto Francesco, che la sua sustanzia venga nello infrascritto Ceppo suo reda più atta e più piena pe' poveri suoi, i quali ha eletti, come di sotto si noterà. E spera che in questo mezzo e compagni suoi predetti, e massimamente il detto Luca, non in furore ma in tempo comodo e opportuno e a poco a poco, si potranno ritrarre, e con buono provvedimento e cautela finire la detta compagnia, con accrescimento de' poveri di Giesù Cristo; pregando loro che per questo rispetto sieno bene quieti e contenti. E vogliendo che Lionardo di ser Tommaso da Prato, di sopra nominato, con cinquecento fiorini della sustanzia del detto Francesco, i quali a lui cinque anni lasciò a godimento trafficare e usufruttare nella detta compagnia, entri in compagno e per compagno i' nella detta compagnia de' detti cinque anni, e colla persona sua, come dichiarerà el detto Luca d'essa persona. E finiti i detti cinque anni, la detta somma di fiorini cinquecento volle ritornasse alle sue rede infrascritte. La quale compagnia di cinque anni di sopra espressa, così ordinò per esecuzione plenaria del detto suo testamento. El quale Luca del Sera e Francesco di ser Benozzo, esecutori suoi in questa parte e capitolo solamente fecie et esser volle; vogliendo che la detta compagnia di cinque anni si chiami nomini e scrivasi, La esecuzione e fedecomissaria di Francesco di Marco e Compagni. Ancora lasciò a Agnolo di Iacopo e Niccolò di Giovanni, suoi fattori in certe parti del mondo, a godimento, fiorini trecento d'oro per ciascheduno in mentro che viveranno; e morti loro, o alcuno di loro, essa pecunia, che era a godimento di tale morto, all'erede del detto testatore debba pervenire: facciendo eglino dovuto e idoneo sodamento di restituirgli. Ancora esso Francesco testatore volle e ordinò, per l'amor di Dio, e acciò che a' suoi poveri dia quello che da Dio in dono e di grazia ha avuto: Che la sua maggior casa e della sua abitagione nella terra di Prato, col giardino e casa dirimpetto, o vero loggie, stanze e ornamenti suoi, s'intenda essere e sia uno certo Ceppo, Granario e Casa privata, e non sacra, in niuno modo sottoposta alla Chiesa o ecclesiastici uffici o prelati ecclesiastici o a altra persona ecclesiastica, e che in niuno modo a ciò si possa ridurre; ma sempre sia de' poveri, e a perpetuo uso de' poveri di Giesù Cristo, e loro alimento et emolumento perpetuo. E così essa lasciò, destinò e obligò in ogni miglior modo, via e ragione, pe' quali più e meglio potè; co' modi, ordini, patti e condizioni nel presente testamento detti e che si diranno di sotto. La qual Casa, a differenzia dell'altre Case de' poveri della detta terra di Prato, si chiami, e volle chiamarsi, La casa del Cieppo de' poveri di Francesco di Marco. Per la qual Casa, Granario o vero Ceppo de' poveri, volle e comandò si comperino poderi, terre e possessioni stabili, per gli esecutori Consoli infrascritti, o vero eziandio pe' Governatori della detta Casa che di sotto s'ordineranno, di qualunque pecunia che della redità del detto Francesco si ritrarrà e riscoterà di qualunque luogo. E per insino a ora il detto Francesco testatore le dette terre e possessioni che si comperanno, e ogni suo' terre, case e beni immobili, dovunque sieno, e presenti e futuri, diede, consignò, lasciò, unì e adattò, per l'amor di Dio, alla detta Casa o vero Ceppo de' poveri, reda suo infrascritto: de' quali beni immobili divietò la vendita, alienazione e allogagione a lungo tempo; sì che in perpetuo de' frutti d'esse si paschino e nutrichino i poveri di Giesù Cristo. E se alcuna possessione, contro alla detta proibizione, s'alienasse o concedesse, quella e quelle cotali, che così s'alienassono o allogassino, lasciò alla Compagnia di San Michele in Orto di Firenze. Delle quali possessioni e terre e beni i frutti, rendite e proventi si dieno e volle darsi e espendersi e distribuirsi ne' poveri di Giesù Cristo, così piuvichi come segreti e vergognosi; come si fa, o meglio, de' frutti delle possessioni che sono dell'altro Ceppo e Casa de' poveri, che è in Prato. E questo per quattro terrazzani, de' migliori e più onesti della detta terra di Prato, ogni anno; i quali s'eleggano o vero si scruttinino propriamente nel Consiglio generale della detta terra e Comune di Prato, come di sotto si dirà: commettendo per insino a ora l'elezione annuale e perpetua predetta, e de' ministri eziandio opportuni, nel detto Comune di Prato, e la remozione e privazione d'essi. La quale elezione volle e pregò che si faciesse con pieno mandato e autorità, e sì come al detto Comune piacerà; salve sempre le cose si contengono nel presente testamento e sua ultima volontà: e spezialmente, per difendere la detta Casa o vero Ceppo da qualunque, alle spese della detta Casa, e per riscuotere e racquistare i beni, ragione e pecunia, crediti e lasci e eredità, e così la infrascritta come l'altri a lui appartenenti; e di finire le cose riscosse: e per adomandare, piatire e difendere e altre cose fare, che per lo detto Comune saranno ordinate. E per cagione che del detto Comune e terra di Prato e de' suoi uomini grande ha confidenzia, la detta Casa e Ceppo, colle soprascritte e infrascritte sue ragioni et eredità, al detto uso de' poveri e loro alimento ordinata, e la manutenzione e defensione, gubernazione e reggimento d'essa raccomandò al detto Comune, alle spese della detta Casa; e a esso Comune la rettoria, regimine, governazione e administragione principale plenariamente e in tutto, e eziandio la esazione di tutti i debiti e ragioni del detto Francesco, presa o non presa la sua eredità, e si come esso Francesco nella sua vita arebbe avuto, se avesse voluto, così diede, commise e conferì in perpetuo, e in qualunque futuri tempi; acciò che, per l'amore che porta al detto Comune di Prato e agli uomini di detta terra, le cose dovute e che si doverranno al detto Ceppo si possano riscuotere e avere; e delle cose riscosse far si possa quello che di sopra e di sotto ordinato è e ordinerassi: e da qualunque potente o magnate, il quale volesse la detta Casa e beni in qualunque modo e con qualunque titolo o modo sotto velame o mantello secolare o ecclesiastico occupare, si possa difendere, e col beneficio cioè aiuto del detto Comune difendersi. Pregando e ammonendo il detto Comune di Prato, che in tal modo gli piaccia provvedere, che de' pagamenti o vero promesse fatte per lo detto testatore, per lo detto Comune di Prato esso suo reda infrascritto ne sia conservato sanza danno, e le date e ricevute scritte e promesse quantità di qua e di là, come si conviene, nel debito tempo si cancellino. El quale Comune di Prato, e qualunque sarà sustituito da esso Comune, a cautela eziandio fecie suo procuratore in perpetuo duraturo dopo la morte d'esso constituente a riscuotere ogni suo credito e ragione e a ogni cosa fare che esso testatore puote e arebbe potuto, con pieno, libero e general mandato, per esecuzione del presente testamento, e con piena libera e generale amministragione; e massimamente di permutare in altre e altri, se a loro sarà consigliato esser bene, e se al detto Comune parrà, per comperare possessioni e in tutto e in parte, i suoi crediti del Monte del Comune di Firenze presenti e futuri, e essi crediti ricevere e finire, e del permutare agli scrivani licenzia dare; e simigliantemente di riscuotere tutti gli accattoni e prestanzoni e ogni altra cosa a lui dovuta che si doverrà dare dal detto Comune e da qualunque altra persona, comune, università, compagnia o luogo; e similmente di finire e liberare. Ancora volle e dichiarò il detto testatore, che nella detta annuale elezione che si farà de' detti quattro buoni uomini i quali abbino a essere sopra la detta Casa, e essa reggiere, dirizzare e accrescere con consiglio e favoreggiare e i frutti e beni della detta eredità distribuire, come è detto di sopra, sopra le loro coscienzie, quanto meglio conosceranno, volle esso testatore nel detto generale Consiglio del Comune di Prato o iscrutinio esser presenti e intervenire, a dare le fave e voci ogni volta, o almeno esser premoniti o avvisati o citati in persona o alla casa in verità per lo dì e ora delle elezioni, gl'infrascritti, cioè: Chiarito di Matteo Chiariti, Lionardo di ser Tommaso di Giunta, Barzalone di Spidalieri, ser Amelio di messer Lapo, messer Piero Rinaldeschi, Giovanni di Bartolomeo, Stefano di ser Piero, messer Torello di messer Niccolao, messer Bonaccorso di messer Niccolao, Martino di Niccolao Martini, Bartolomeo di Matteo Convenevoli, e Biagio di Bartolo, tutti da Prato; e essi mancanti, i discendenti di loro e di ciascheduno di loro per linea e stirpe masculina; no però più che uno per casa, d'età legittima, e il quale sia maggior di tempo. E quali sopradetti e i loro discendenti nel detto modo elesse e nominò in protettori e di continuo vegghiatori attenti e difensori e amatori della detta Casa e Ceppo, e della detta sua ultima volontà; sì veramente che, di fuori del detto Consiglio generale, contro a detti quattro che d'anno in anno si eleggieranno, o contro alla loro volontà, niente far possino: ma loro in somma esser volle e pregò fossino adiutori e all'aiuto e difensione, per l'amor di Dio e dell'amicizia del detto Francesco e dell'anime loro, della detta Casa e Ceppo, contro a tutti quegli che volessono inimicare la detta buona opera, o alcuna cosa diminuire o guastare; e a consigliare spesso sopra 'l buono stato e perpetuità della detta Casa, per amore de' poveri di Giesù Cristo, quando fossino dal Comune di Prato o da' detti quattro presidenti in alcuno modo richiesti. I quali nientedimeno quattro presidenti sopradetti, in fine dello loro ufficio, abbino a rendere ragione delle cose fatte per loro, come parrà al detto Comune di Prato. Ancora, a cautela e per più presta espedizione de' detti poveri e Casa e Ceppo, oltra l'altra loro balìa della quale di sopra si fa menzione; fece e ordinò i detti quattro futuri in qualunque tempo presidenti al detto Ceppo o vero Casa de' poveri dopo la morte d'esso testatore, eziandio in perpetuo duraturi, suoi procuratori a rivedere e calculare e saldare con ciascheduni le ragioni e conti, e a pigliare, ricevere e riscuotere dal Comune di Firenze e i suoi camarlinghi le paglie, doni e interesse de' crediti del detto Francesco scritti sopra qualunque Monte del Comune di Firenze, e che si scriverranno in lui o negli eredi suoi, e così presenti come futuri; eziandio quelle che si dicono Le sostenute, e quelle che si dicono degli Accattoni, e esse pecunie d'accattoni e o vero prestanzoni e ogni altro interesse di qualunque pecunia; et esse confessare, ed indi farne fine valida e piena; e altri procuratore e procuratori e ciascheduno in tutto e come vorranno per loro alle predette cose fare e sustituire e rivocare, durando il presente mandato: e le dette paghe principalmente convertire in pagar le prestanze del Comune di Firenze appertenenti e che toccassino al detto Francesco infino a tanto che durerà la prestanza che vegghia; e o vero infino a tanto che si rinnoveranno o rinnoverà, e rimoverassi il nome del detto Francesco da non esser più apprestanziato: acciò che alcuno altri, contro al debito o contro alla volontà sua o contro alla compagnia di sopra ordinata durare, per le dette prestanze non sia molestato. Pregando essi tali quattro presidenti, che sieno benivoli a' poveri amici del detto Francesco, ben noti a' detti mona Margherita, Luca, Barzalone e Lionardo: vogliendo che essi quattro presidenti e i sustituendi, non però dirogando a quelle cose che di sopra son dette nel presente testamento di loro o d'altri, eziandio possano adomandare in iudicio e piatire, riscuotere i crediti e finire, e confessare, e gravare personalmente i debitori e far rilasciare, e de' beni loro sequestrare, e in tenuta de' loro beni farsi mettere, e l'altre cose intorno alle predette di bisogno fare. E volle il detto testatore e dichiarò, doversi credere alla carta della procura per riscuotere le paghe del Monte, e l'altre cose de' detti quattro pratesi presidenti al detto Ceppo, sanza alcuna elezione o balìa a loro conceduta per lo Comune di Prato, o solennità che s'abbia a osservare, veduto solamente il presente testamento, o vero la instituzione della reda sola di sotto scritta, e essa carta di procura che si farà pe' detti quattro pratesi presidenti, o vero affermanti sè presidere al detto Ceppo, colla lettera della testimonanza dagli Otto Difensori e dal Gonfalonieri della giustizia di Prato del notaio che ne sarà rogato, se a Prato sarà fatta la detta carta del mandato per notaio pratese; ma se in Firenze per notaio fiorentino rogata sarà la detta carta, la detta lettera testimoniale non sia di bisognio. Ancora, a perpetua divozione intorno la detta Casa e Ceppo o vero Granaio di poveri, e acciò che sia di continuo chi tenga l'uscio aperto in nel tempo, e riceva l'ambasciate de' vegnienti e de' partentisi pe' fatti del detto Ceppo e Casa, e noti e oda le cose utili alla detta Casa, e il quale abbia a sollecitare i detti quattro presidenti che si raunino, e provvedere che non ruini la casa di tanta spesa, e' tetti e l'altre cose si riparino, e netta e monda ogni cosa si tenga; volle e ordinò, in quanto questo piaccia al detto Comune di Prato, che per lo detto Comune di Prato si truovi uno certo guardiano, uomo con donna o sanza, di buona condizione e fama, a guardia solamente della detta casa; al quale o a' quali si doni la detta abitagione per l'amor di Dio in alcuna parte della casa, et eziandio alcuno agiutorio per lo vivere, per lo tempo ne' modi e forme come per lo detto Comune sarà diliberato. Ancora volle, che i detti mona Margherita, Luca, Barzalone e Lionardo, e i sopravviventi di loro, sieno di tutte le predette cose sollicitatori e operatori, che i debitori paghino, e che i beni si comperino delle pecunie che si riscoteranno della detta eredità per lo detto Ceppo e Casa; e che si riscuotano le dette paghe, dono, interesse e pecunie e crediti; e tutto il suo testamento sopra e infra scritto e la sua ultima volontà abbia esecuzione: imperò che della sua intenzione, quasi in tutte cose, come esso Francesco sono pienissimamente informati. Pregando el detto Comune di Prato, che nelle cose da fare per lui, le quali avessono in sè peso e importanzia, di conferirne co loro e co' sopravviventi di loro: vogliendo che in difetto di quelle cose che non si facessino, e detti quattro di sopra nominati possino fare ramarichii e querele, ove fosse di bisognio, e far fare e costrignere e eziandio, se di bisogno sarà a loro giudicio, per sè medesimi mettere a esecuzione, e a esecuzione far mettere il presente testamento e sua ultima volontà, insino a che saranno tutte le cose, quanto in loro sarà, a esecuzione messe. E questo in quanto essa esecuzione mancasse, e non si facessono le cose per lui ordinate con quella sollecitudine, modo e forma nella quale e sì come è ordinato. E in detto caso possino eglino e i sopravviventi di loro riscuotere e finire le paghe del Monte, de' crediti del detto Francesco e de' prestanzoni e degli accattoni, e le pecunie e capitali loro, e finire eziandio quelle che si dicessono Le sostenute, o per altro vocabolo; e tutte cose fare le quali esso testatore i' nelle predette cose, se vivesse, far potrebbe; e dei riscossi danari pagarne le prestanze del detto Francesco infino che dureranno, o far mettere a entrata del detto Ceppo per esecuzione del detto suo testamento. I quali quattro e i sopravviventi di loro nel detto caso eziandio suo' procuratori fecie, gli altri non rivocando, duraturi dopo la morte d'esso constituente, alle dette paghe del Monte riscuotere e finire e all'altre cose, le quali fare conceduto è di sopra al detto Comune di Prato, o vero a' detti quattro da esser eletti per lo detto Comune. E che eziandio, quanto a esse paghe e doni riscuotere e finire e confessare, nel detto caso possino altro procuratore per loro fare e sostituire come vorranno, e i sustituiti rivocare e altri creare. E in tutti gli altri suoi beni mobili e immobili, ragioni e azioni, presenti e futuri, per l'amor di Dio, suo reda universale e universali instituì, fecie et esser volle la detta Casa di Dio, privata, e Ceppo diputato, e il quale come di sopra diputò in perpetuo, eziandio oltra cento anni, e in futuro uso e necessità de' poveri di Giesù Cristo, e i detti poveri, come di sopra ordinato è nel capitolo che comincia: Ancora esso Francesco testatore, ec.; e il detto Comune di Prato, governatore e rettore, per la detta Casa e Ceppo e poveri ricevente. Vogliendo, e di sua intenzione così esser disse, la detta Casa e Ceppo e i suoi beni predetti essere al tutto privata e non sacra, e in niuno modo essere o di ragione potersi dire ecclesiastica, ma diputata secolarmente, per l'amor di Dio, a perpetuo uso sopradetto; nè alla Chiesa o ecclesiastici o iudici o persone subietta essere in alcuno modo. Vogliendo questo suo testamento, in forma di libro, stare in piuvico legato con catena nella Casa e Ceppo predetto, acciò che a tutti nota sia la volontà del detto Francesco; e d'indi agevolemente non si possa levare. Nel quale eziandio volle si scrivano d'anno in anno e nomi de' quattro che s'eleggeranno, de' quali di sopra si fa menzione, e altre cose come al detto Comune piacerà e meglio e più atto parrà, a memoria delle cose future. E suoi e di questo suo testamento e ultima volontà esecutori e fideicommissarii generali e maggiori fece e volle essere, per tempo di tre anni e non più, gli onorevoli cittadini e fideli riputati i' nelle a loro commesse cose, Consoli dell'Arte di Calimala della città di Firenze, che per lo tempo saranno, e le due parti di loro, gli altri eziandio assenti, e non richiesti o contradicenti, non accettanti, morti o rimossi: salvo sempre le cose che spezialmente agli altri suoi amici di sopra fossono commesse. Pregando el detto uficio de' Consoli, che per l'amor di Dio non si sdegnino questa pia commessione di poveri accettare; ne, mancando e' loro favore, questo principio di quest'opera perisse: e confortandogli di piccola fatica, se con Luca del Sera, Barzalone di Spidalieri e gli altri due di sopra nominati nel primo lascio e altrove, o con alcuno di loro, conferiranno delle cose da fare; imperò che delle sustanzie sue e della sua intenzione quasi in ogni cose sono pienamente informati. A' quali Consoli esecutori e fideicommissarii predetti, e alle due parti di loro, come è detto di sopra, esso testatore, per esecuzione di questo testamento e lasci e suo' ultima volontà, e delle cose s'hanno a fare per la sua eredità racquistare, per l'amor di Dio e per accrescere e ridurre al detto Ceppo reda suo, diede e concedette licenzia e libera facultà, mandato, balìa e potenzia de' beni, sustanzia, cose, ragioni e crediti suoi pigliare e aprendere; salvi sempre nelle predette e infrascritte cose i beni di sopra divietati alienarsi, e la compagnia la quale di sopra dichiarì durare dopo la morte; e essi beni, no requisiti gli eredi, alienare, vendere, cedere, e i prezzi constituire, e della evizione d'essi promettere, e il detto ereda e eredità e beni ereditarii del detto Francesco obligare, da' fattori e gestori de' fatti e da' compagni e altri suoi debitori le ragioni adomandare, conti fare e crediti riscuotere, et e detti costrignere, finire e liberare, in pagamento de' beni pigliare, e loro personalmente e in beni gravare; ragionieri eleggere; procuratori, mandatarii e sustituti in luogo di loro porre, il loro mandato fermo rimanente. E per le predette cose fare e ciascheduna d'esse, e per cagione d'esse e qualunque delle dette, e per altra qualunque cagione, in Firenze, in Genova, in Barzalona, in Pisa, in Vinegia e in qualunque parte del mondo, con qualunque, adomandare, piatire e difendere, e i piati già cominciati seguire, eziandio dopo la morte d'esso constituente e qualunque ora; e lo spaccio e fine de' piati e liti dinanzi a qualunque signore e presidente, rettore e uficiale, in qualunque luogo e contra qualunque, adomandare; e tutte cose fare che a adomandare e piatire s'appartengono; e tutte dette cose fare, presa o non presa la redità del detto Francesco, e gli eredi nonne richiesti: e generalmente, tutte e ciaschedune cose fare e a esecuzione mandare, per le predette cose e a cagione d'esse, e per lo detto Francesco e la sua eredità; e eziandio per essa eredità e compagnia, in ogni modo, via e ragione, per le quali meglio far si potrà; e le quali cose esso testatore, nella vita sua, in alcuno modo arebbe potuto fare: concedendo a loro nelle predette e circa alle predette cose pieno, libero e general mandato, con piena libera e generale amministragione. E finalmente, come altra volta disse averne avuto consiglio, el detto testatore pregò e cauti fecie e detti Consoli, e 'l detto Comune di Prato, e i detti quattro che s'eleggieranno presidenti al detto Ceppo, e suoi tutti altri esecutori predetti, e avvisògli che sieno cauti in non rizzare nella detta sua Casa o Ceppo di sopra ordinato, altare, e di non farvi oratorio o forma d'alcuno luogo ecclesiastico, o alcuna altra cosa fare per la quale dir si potesse la detta Casa e Ceppo luogo ecclesiastico; e di poi pe' malivoli, sotto titolo di beneficio, vi s'entri o occuparsi avegnia: la qual cosa è al tutto contro alla mente del detto testatore; vogliendo che, per questo laccio schifare, si facci ogni isforzo e spesa de' beni della sua eredità, se alcuna cosa di molestia, la quale a Dio piaccia rimuovere, per alcuno tempo apparisse. E questa sua ultima volontà, ec.. Cassando, ec..