+ Al nome di Dio, amen. Dì XXVI settenbre 1388. Io v'ò scritto ne' dì passati alquante letaruzze (e) fatto risposta a II vostre aute in questi pochi dì, (e) di poi non ò da voi lettera, sì che non mi stendo in tropo dirvi. La chopia del testamento di Nofri vi mando com questa, (e) chome per esso vedrete, esso mi richonoscie nella forma vedete d'una parte agnielline 988 di macello d'Arli, le quali sicondo per iscritture viddi quando chostì fui f. XXIIII.o eran vendute il C. Vero è che chome per lo testamento vedrete di questa somma di 988 ne vennero per l'adietro mandata [sic] sulla nave Santa Maria balle IIII.o, che furo agnine 400 o circha. Queste vennero nelle mani di Matteo d'Antonio e compagni di Pisa, (e) queste die fare buone Matteo (e) compagni o mostrare chome di mandato di Nofri n'abino altro fatto, però che fu quando Nofri morì. Apresso è obrighato Matteo e compagni a fare buona ogni altra chosa avesse auta Antonio Sanguigni però, chome per lo testamento apare, Nofrio veta a Matteo che non dia la sua parte della grana ad Antonio, la quale è con Matteo a chomune, prima che ogni suo leghato che a Antonio Sanguigni dipenda sia per Antonio adenpito. Sì che o Matteo die tenere la grana o adenpire e leghati, per che questa parte d'Antonio vuole che stia in sequestro, chome per lo testamento vedrete. Or sì che voi vedete in quanto Matteo e conpagni son per vighore del testamento tenuti. (E) a buona fé voi sapete quello mi fe' quando chostì fui, ché mai più chari macharoni che i suoi non mangiai. Son de' baci di Giuda. Per Dio, Francescho, mostrateli le ragioni mie (e) richordateli le sue gran proferte. Esso n'à più di f. 400 (e) tièglisi (e) fa gran male. Per Dio non è mia intenta che chosì resti. Non voglia per questo abia chostì altra volta a venire, ché troppo mi fu amara l'altra, salvo la paura. Fa gran bene a farmi dovere, (e) dove nol facci, a Dio me ne doglio, (e) penso che lui ci mettarà rimedio o uno altro. D'altra parte mi richonoscie Nofri quintale I di stame, che son li. 120 di Firenze o più, il quale era in mani d'Antonio Sanghuigni (e) vendessi f. XXV il C in Firenze. (E) richordomi che, essendo Antonio Sanghuigni qui, mi disse: "Andrea, lo stame vostro - cioè di Bartalo Monachini (e) mio - è venduto sicondo ch'io ò da Firenze, (e) male, ché per f. XXV l'ànno dato - ché più di XXX valia il C", sì che esso sapia bene ch'era mio. D'altra parte richonoscie a me IIII balle di lana, questa ò auta per le mani di Francescho di Buonachorso e compagni di Pisa. E più richonoscie a Bartalo Monachini II sacchi di lana lavata, la quale era in Gienova nelle mani di Francescho di Buonachorso, ed è 1/1 di Bartalo (e) 1/1 mia. Bartalo à scritto loro che mia volontà ne facino gran tempo à, e quando Stoldo fu a Gienova, disse gli avia fatti aconciare a conto di qui, (e) poi abiàn trovato che nno, (e) già eran aconci qui. Sì che vedete chome va ogni mia chosa. Sì che per detto di Stoldo gli abia già auti qui (e) spesi (e) poi m'à convenuto ritornarli indietro. Son l. 33 (e) s. [***] di gienovini, se ben mi richordo. Per che vi pregho, se fare si può, che abiamo questi, (e) per amore di me siate loro tenuti di guardarneli di danno, però aleghano che senza parola della reda non gli darenno. Guardate che ragione è questa, ché, se mai non vi fosse chi pigliasse la redita, mai non gli arei, sicondo loro. Rispondete. Or, Francescho, a pregharvi chome padre e a mani giunte i' vi vo preghare che, vedendo la tribulazione in che io vivo (e) vivarò fino un fino o buono o chattivo ne senta (e) che più non ci abia a pensare, vogliate per me fatichare in gittarmene o per un modo o per altro. (E) questa sarà I.a delle magiori grazie fare mi poteste, e per quella la terrò, facendomi vostro per sempre. Or io ve ne dicho tanto (e) ò detto che forse ve ne do tedio, (e) però di questa parte fo senza più dire. Voi arete le chopie (e) avete la prochura (e) alzì Istoldo ve ne 'nformarà a punto, però che a lui n'ò moltisime volte scritto a pieno, e penso apresso voi seguirà questo fatto per amore di me. Esso vi darà la chopia. Io adopero in ogni vostro fatto quanto posso. Farò mio podere sarete paghato da mesere Stefano di Miramonte di franchi 30 o morrò nella pena. Per la prima ne saprete novelle. La scritta mia ebbi (e) ancho non è tempo da meritare il servigio. Dio mi dia tanta vita ch'io fare lo possa! Egli è ora a Siena mio fratello Ghino. A lui ò scritto facci per voi chome per padre, (e) pertanto, se niente v'ataglia che per lui si possa, chome di me ne fate, bene che da più di me il trovarete. Cristo vi guardi! Andrea vostro in Vignione salute. [indirizzo:] Francescho di Marcho in Firenze (e c.). A. [mano non identificata; data di ricevimento:] Da Vignone, dì [***] d'ottobre '388.