Al nome de Dio. 1406, a dì XIII de febraio, secondo il nostro corso de Genova. Non ò a che respondere, perchè da voi de due letere non ò auto riposta. No so come se sia, niente de meno a voi fazo asapere come il nostro signore meser lo governatore è junto a Saona, e de qui da Genova a Saona il dito jorno se partireno octo notabili citadini, li quali andorono a Saona per honerarlo. Pensamo che starae doi o trei jorni a Saona per raxonare con lo papa, il quale è in Saona, e subito verae a Genova, dico lo governatore. Dixese esser qui in queste parte la nave Pinela: vene de Alesandria. De lo fato de la moria, ène ito, no questa setimana passata ma l'autra, XVI, de' quali fuorono IIII de queli mali, e de l'autra XIIII, fuorovi III de queli mali; de questa che ogi finisse, credo firono o trei o quatro de questi mali. Speramo cesserà e averà fine, e Idio lo voiha. Voiho intendiate come sono stato tratato da Tendi de Giusto da Tobiana, il quale fino a qui ò tenuto per mio fratelo, come eravamo da padre e da madre, e aora per difeto de lui semo in contrario; e diroe, sote brevitae, lo dicto Tendi volea che la figiola mia fusse per mie lassiata a lui a stare con esso in Tobiana, e de qui insisse a marito e qui retornasse: et io ne serei stato monto contento, in quanto Andrea genero mio se ne fosse contemptato e la fanchula. E per questo forno inseme, e deliberato foe che la fanjula stesse in Prato dov'ela era in cassa de Francesco de Buono, il quale Francesco, Tendi e io seamo figioli de doe sorochie carnale; eciamdio la fanjula foe contenta de qui romanere. Le caxoni perchè, tropo serebono lunghe, e tra le autre Andrea dixea: io sto qui a Prato e voiho fornire la fanchula; anderò io ogni fiata da Prato a Tobiana? certo non è raxone. E ancora la fanchula più se deletava stare a Prato tra le buone e savie done ca esser in Tobiana inter le bestiale; e non è da meravegiare, perzò che non era usata de stare in vila tra cossifate gente. E cento autre caxoni ve sono, per che concludemo essere il meiho. E per questo lo dicto Tendi sì se n'è monto desdegnato, e àme scripto che à scomiatato la figiola mia e mie et tuti mei figioli da la cassa sua, e monte autre dissoneste parole, de le quali monto pogo me ne curo. E ne la fine dixe che XI staiola de tera, che comperai e dicono le carte a mie, e le quale ànno goduto Justo nostro padre et nostra madre e elo agni 30 in 35, dixe che sono tute sue perchè elo l'à tenute longo tempo e àne pagato li estimi. Or vedete come per ben fare me ne incontra male, chè, se io avese queste tere alogate ad autri, sereboro adobiate e atregiate. Or sopra questo provederemo. Questo che io ve dico e arecordo sì lo foe, chè no voiho che elo da voi per mie sie servito de tanto che vaiha uno picholo. A suo luogo e tempo meriterolo chome fie degno. Mandovi con questa vostra letera più letere: pregovi siano date ad Andrea propio o sia a Francesco de Buono. No abiamo al presente più dire. Sono qui a vostro piaxere e comandamento. Vieni a Fiorence per podestae meser Remondino da Fiesco legum dotor, ed è gentilomo. Per PIERO de' BENINTENDI, amico e servitore vostro, in Genova facta; e monto mi ò strecto. Poi che ebi scripto intrò la dicta nave ne lo porto de Genova. e forsa da 70 pondi de specie.