Al nome di Dio. A dì ..... di magio 1394. Dell'andata da Grignano no' ti disi chi vi vene, in però chomisi al fratello di ser Lapo lo ti dicese, credendo ch'egli chonosciese. Venevi la Lapa e mona Franciescha di Franciescho, e la Chaterina di Barnabò, e la Chaterina di meser Piero, e tutti qua noi di chasa; e chon Filipo lasciai Matterello, e serai l'uscio da meza ischala. Nella bote grande di chasa mona Tina òne fatto mettere la chanella. Quello dello Podestà no' m'à tenuto quello mi promise quando tolse l'atro, che torebe anche questo; dice non è vero ch'egli ci promise mai di tôrllo; dice ne torà alchuno barile: i' òne detto tolgha quella gli piace, non ò voluta avere novele cho' lui perch'è il meglo; l'atra bote ène beuta. Dello gengovo mandai a Niccholaio Martini. E a quella di ser Lapo mandai una spalla di charne secha; e mandai pe' lla fanculla e ànomela mandata: faròne quello ch'io debo; e più c'ène la fanculla dello Podestà, che ce l'à mandata e staisi cho' la Tina e cho' lei quand'ella vuole. Iersera la teni a cena e abergho, no' ti maravigliare se quegli che ti sai menano righoglio d'esere de' Chaviglati, dise, la fancula del Podestà, ch'èra degli Strozi e quella di ser Lapo dise: "Io sono de' Chavigliati, se ttu se' degli Strozi" e lla Tina dise: "Io no' sono di nulla". Dell'orzo per la mula ne chonperò Meo due istaia a Filettere, e noi n'abiamo chonperato qui due staia da Paolo Marchovaldi e restonegli 4 staia che abiamo detto che ce le serbi; e chosta, lo staia, s. 13, sì ch'àno aute le bestie bene ciò ch'àno auto di bisogno. A Schiatta òne favelato e preghalo ce n'arechase una chatasta il più tosto che può; per ichora no' ce l'à arechate, quando l'arecherà ne teremo que' modi dine. Barzalona avea chonperata le legne minute e avea fatti i pati chol charatore che sabato deba esere chostà; dice Barzalona che deba avere di vettura s. 50 e per ghabella s. 5 d. 3. I danari dello Spedale si sono auti e ser Chimenti v'aviserà di tutto. I danari di Michele di Falchucio no' sono anchora auti; dice ser Chimenti che gli atende i' dì i' dì. I danari di Boscho sono auti. Delle 100 lire ve n'aviserà ser Chimenti: no' pare siano anchora paghati. iSchiatta m'àne domandato 4 fiorini e vuogli il dì dello merchato: avisami se vuogli ch'io gle dia. De' sermenti mi pare si stiano ora insino che tu ci sia, ma no' di meno io ne ragonerò chon chi mi parà. Òne domandato Bernabò s'egli àne auta l'utriacha: dice di no. A Paolo d'Ubertino dicho ongni dì che levi il chonto; dice che leverà subito. E' torchi sono auti e sono ne l'aste e facegli il maestro Matteo. Disi a Nicholò di Piero no' dese danari a Gudalotto, e' dice gl'avea auti. I' òne favelato a Nanni da Santa Chiara: pensa venire chostà sabato chon due bestie vote; se chosì sarà, manderòti l'olio e charicherò le bestie di quelle chose mi parà sia di bisognio. La farina tornò VII istaia ½: del pane faròne fare e vedrò che ghoverno ci aràne fatto. De' piponi noi ce ne mangiàno per più maserizia; e' no' sono da mandarne chostà: insino no' sarano migliori no' te ne manderò. Io ti mando una paio di chalceti, perché non aveva, de' fatti, più: farone e manderotene, e più ti mando le scharpettine e gli ochiali e le 2 chovertine: cioè la vermiglia e l'azura. Dice mona Simona che voi diate quello suo panno pe' lo meglio si può, che voi ne faciate chome fose vostro. Avavamo fatto isaguinare il morello inazi che Chastagnino venise, perché parve a Filipo di fare chosìe; dice, la mula non à bisogno perché le s'ène, ughuano, trato due volte; è paruto a Chastagnino di fagli ferare chostà. Le melarance e le cirege ebi e mandane la parte loro a quelle di ser Lapo. Il fieno abiamo fatto richonfichare a Bernabò, sì che stane bene; mandati la chatena della mula e 'l cholare dello morello. E' panni e tutte le chose di quella fanculla di ser Lapo, ebi. La charne per anchora istàne meglio suso che giù; quando mi paràne di tramutala, sì la tramuterò. Del venire chostà aspeto te, e di quello ti chontenterai, quello faremo. Barzalona se n'è ito in villa cho' lla famiglia; aspeto che ci vengho un dì e dirògli quanto mi dine di quello fiorino àne auto Piero. Filipo si stàne pure chosìe, men che l'à lasciato la febre; pare, al maestro, che sia male disposto dentro, bene che l'abia lasciata la febre; dice no' vede mai più soza acqua che la sua ed ène egli gallo chome gruogho: a bocha ti dirò mio parere. La lettera d'Aghostino Giovanelli feci dare; fecegli dire, se volese fare risposta la ci mandase, e più feci dare la lettera andava a Nicholaio Brachati e a Chanbio di Fero. Per chagione che Nicholò di Piero si pensò venire più tardi e perché ttu avesi le bestie più tosto, in però ch'ànno bisogno di feri, perché ttu avesi l'agio, egli se n'achatterà uno che llo rimenerà poscia in qua. iSchiatta m'à promeso d'arecharmi domani una chatasta di lengne: farole rizare a lato a quelle, quando verai le vedrai. Ser Lapo mandò Parenzino suo, che l'avavamo qui, per mandallo chostà. Salutami Bindo e la Nanna e di' ch'io arei auta grande voglia di vedegli inazi fosono andati. Salutami Nicholò e la Franciescha. Altro no' dicho. Idio ti ghuardi. per la Margherita, in Prato. Franciescho di Marcho da Prato, in Firenze. 1394 Da Prato, a dì 29 di magio 1394. Risposto.