Al nome di Dio. A dì 16 di marzo 1396. Ogi te ne iscrisi una per lo fatore di Bencivenni quanto per alora potemo, sì che pocho ci restò dire. Io feci fare de' pane, ed era molto bello quando egli andò al forno: non n'è venuto bello chome noi voremo, ma no' di meno, perché no' sia chosì bello, io te ne mando venticinque; ma fue cholpa di quello doloroso ci venne da Firenze, e' gl'è dirittamente gharzone da' fatti tua. E' pane ène in una zana ed àvi una tovaglia istracata chon eso, e nella zana àe uno alberello d'uve ed àvi uno paio di panni lini e una chufia e uno moccichino, no' so se tue n'ài chostà, e due panieri che l'uno è di Stoldo e l'atro nostro: in ongni una àe 40 melarance e una tovagliolina di sopra; se fosono meno, òlle anoverate io: no' sarebono la prima volta ch'io erro. Nanni nostro e Domenicho del Montale ànno misurato quello mogio de' grano ed eravi Nicholò e Benedetto presente, e chosì ànno anche eglino enpiuti e' barili de l'oglio. E' grano ànno tolto della logia, chome tue iscrivesti. L'olio anche Nicholò dice che sae di quello àe a tôrre, bene che da l'uno a l'atro ne foe pocha stima. Le lengne, mi dice Domenicho, che n'àe aute otto some e l'atre àe fatto metere ne l'orto, e dodici fastella ne debe anchora arechare. Della farina abiamo riauta quatro sacha; poi che di qui ti partisti no' lla òe tocha: no' so quella ch'è là, né quella si deba rendere, io gli diedi que' sacho vecato; altro più no' gli ò dato, per anchora no ce là rechata, daregli anche l'atro e domandrolo quanto n'àe de' nostro. Sopr'a' fatto de' ghuardare be' l'uscio òne inteso. Nanni dorme di là. E quelo da Montepulcano e d'Orlindana, che vene da Firenze, avea mancho delle nidiate che m'à arechate a chasa, che dice Domenicho che dice ch'è parechi mesi che no' dormì più i' letto, è sì bene achonpangniato che no' gli bisongnia avere paura da dormire solo, che gli brulano i brighanti adoso, be' ch'io me ne sono inventurata. Io farò sì della chasa e de l'atre chose che, cholla grazia di Dio, credo sarai chontento. Arèti voluto mandare o prugniuoli o ranochi, se nne avesi trovati, ma per anchora non ce n'à, ma penso che Belozo e Stoldo ti facia tanti vezi, che mi pare che tue no' sapi tornare a chasa; ma credo che Belozo gli sapi tropo me' fare che Stoldo. Quando tue vai a choteste perdonaze e a choteste prediche, priegha Idio per me, che poi che tue ti partisti no' sono uscita di chasa, che sono più trista che quando tue ti partisti quinci e àmi molto dato noia questo difetto della scesa del chapo. Ghuido ène asai bene migliorato. Se tue ti diliberi di stare più chostà, e tue voglia che noi ti facamo del pane, iscrivilo e noi il faremo; ma sarebe pure buono tornase uno pocho qui e desi ordine se c'à a fare nulla, e poi potresti ritornare. Perché è tardi farò sanza più dire. Rachomanda e salutami a chi ti pare. Idio ti ghuardi senpre. per la tua Margherita, in Prato. Franciescho di Marcho, in Firenze, propio. 1396 Da Prato, a dì 17 di marzo.