Al nome di Dio, amen. A dì 8 d'aprile 1399. Istamane, a buona otta, ebi una tua lettera pel garzone dalla Tavola, la quale era breve e avea picchola risposta; e per Allegrino ti rispuosi quanto fossi di bisogno: se tu no' ll'ài avuta, fa' d'averla. E per quella mi dicesti che Agnolo avea un pocho di febre, che non n'era da dubitare, la quale ebi grandissimo piacere; e ora di nuovo, alle ventidua ore, ricevetti una tua lettera, e chon esso una lettera ch'andava a ser Lapo e un'altra mandàla a la Tavola che la mandassimo dov'elle doveano andare, e di nuovo mi di' che Agnolo è forte ripeggiorato, di che ò avuta istasera la mala sera, chonsiderando ch'a 'n me non n'è paruto ma' parente, ma òllo senpre riputato senpre chome mio fignolo; ed igni m'à senpre avuto reverenzia chome a madre e poscia penso el dolore e lla maninchonia che tu n'arai, e grandissima conpassione porto al padre e alla madre: prego Idio che nne chontenti l'animo loro a chi bene vuole loro; parmi che 'l mignore medicho che ci sia sie a rachomandarsene a Domenedio, da chu' vengono tutti e' beni e tutte le grazie: Idio la facca loro per la sua santa misericordia. Inanzi chi chonpiessi di legere la lettera mandai per maestro Giovanni e' subito fu a me e dissigni quanto mi scrivevi, significhandolo che tu riputavi questo tuo parente chome ttuo fignolo per malagevole, perché à molti infermi e lasciavognele male volentieri, richondadogni la fidanza e lla speranza che noi abiamo i' llui; rispuose bene che gn'era presto a fare ogni tuo piacere, considerando quante tu amavi questo giovane, ma che non n'avea ronzino: rispuosegni che noi faremo ch'egn'arebe ronzino e chonpagnia e ciò che gn'arebe di bisogno, perché facesse che fusse presto. Di subito mandai a chasa e' Piaciti che mi prestassono e' lloro ronzino: no' l'ò ed egni era ito in villa; poccia mandai a chasa Vieri Guadagni e sapere se me ne potessino prestare uno, dicendo loro la chagione: Bernando era ito in villa, aveva menato tutte le bestie. Manda' per Meo di Chanbione e ò fatto cerchare a ttutti gn'amici e simile a Domenicho di Chanbio e da niuno non ne abiamo potuto trovare niuno e non n'è paruto a Meo di tôrne uno a vettura, perché non se gni pare che fose orevole al maestro, pensando la nicistà che era; ricorremo a Guido, significhandogni il chaso e 'l bisogno che nn'era, e dicendogni che mi parea villania di richedello, chonsiderando che tu à' chostà el suo palafrene; egni rispuose chome ttu sai, chome tti sai ch'è di sua usanza, dolendosi forte del chaso: se tti paresse di rimandar domane la sua chavalchatura, seguene quante di pare. Del fatto di venire io chostà, a me pare propio quello che nne pare a tte: io aspesterò la tornata del maestro Giovanni e in questo mezo metterò le chose, sì che tu sarai chontento, e per lui m'aviserai quello ti pare ch'io abia a fare: i' sarò senpre presta: vogna Idio, perché questo non bisogni. Ricordati che chostà à' della aquarosa: mandane loro, ricordati s'egni v'avessi niuna aqua istillata che gni fusse di bisogno. Farò sanza più dire. Idio ti guardi. per la tua Margerita, in Firenze, propio. Francescho di Marcho, in Pratto. 1399 Da Firenze, a dì VIIII aprile.