Penso, Niccolò, che letta questa, la manderete al vostro fratello e amico, a cui la soprascrivo come a voi. So ch'è villania; ma perché siete amici e come fratelli, non curo così; perchè sapete più tosto piuvichiamo carte o altre scritture, che non facciamo lettere. L'ultima ebbi da voi, Niccolò, con quella del buono Antonio di Paolo Mei, ricevetti; e Dio ringraziai e ringrazio che v'aiutò esser a parte, e nell'animo vi mise tanto bene. L'ultima da Francesco ricevetti col servigio fece a messer Torello, e a quella rispuosi: sì che poco a lui o a voi resta a dire. Da poi sono stato occupato in tre de' miei maggiori, malati a morte a un tratto: due hanno preso ottimo luogo, per lo santo chiamo Iddio fe di loro, de' quali certo tenete sono più contento che se altro ne fosse avvenuto; uscito or che son fuori del pelago e dolori di quelle infermità, e sono alla riva della verità, lodato Dio. E a voi e me conceda sì fare questo trapassamento, che a qualche tempo siamo salvi, o di colpo o di rimbalzo, come fia di suo piacere. Qua è scemata pur la morìa: e d'avventura dentro alla terra tornata a metade; ma lasciando i poveri e i miseri, tocca più ne' grossi: e di questa metade, la metà è Oltrarno: la gente v'è grande, e par vi cominciasse più tardi; almeno là da Samfriano, dove la città è bene popolata. De' nomi de' morti e cavalieri e scudieri e de' due savi de' Biliotti, e di molti altri, siate contenti io non ve ne dica; chè d'altrui l'arete. E io non vi so entrare entro, chè troppo arei a dire. Qui non s'apre a pena a pena bottega: i rettori non stanno a banco: il palagio maggiore sanza puntelli; nullo si vede in sala: morti non ci si piangono, contenti quasi solo alla croce. E catuno si dispone di sè, meglio non arei mai creduto. A Dio v'accomando. LAPO MAZZEI vostro servidore. VI d'agosto.