Insino a qui mi pare avere aute vostre lettere tutte; salvo quel cantare voi dite mandavate per ser Nigi, che ancora non è a porto. Questa vi fo ora, perchè le lunghe notti mi danno spazio, e la compassione ch'io vi porto da cuore mi fa sollecito a consolarvi. Se a Dio fosse piacere che e' vi desse delle grazie che tutto dì gli chiedete; cioè, che pe' miei conforti e degli altri amici che v'amano, non per mercatanzia, ma per Iddio e in verità sola, voi pigliaste vita di pace e vita d'amore in piacimento di Dio, del quale per uno segno mi posso avvedere che non m'ha abbandonato, che ispesso mi vicita; che non ieri l'altro da capo rivolle un altro de' miei fanciulli minori. Ma noi terremo con Dio, se vi piacerà, questi modi; che tanto picchiaremo i suoi santissimi orecchi, che almeno come a impronti e importuni e spiacevoli, e' ci porgerà uno pane. E così nella Scrittura con le sue labbra gridoe alla turba che facesse, se per altra miglior virtù non potea a Dio piacere. Credo sia la cagione vera per che non ci ode, perchè abbiamo accambiata e venduta l'anima; e datala, chi per avere stato, chi per cercare del danno del prossimo con tògli il suo o la moglie o altra cosa, chi co' danari e colla voglia d'arricchire, chi colla vita bestiale dell'empiere sempre il ventre. Il perchè partendosi Iddio da noi, perchè ci vede allato il suo nimico, non ode nè attende cosa che detta gli sia: ma levando la cagione, si leva il nimico, e Iddio è colui: e allora s'avvede l'amico della pace e del bene in che si truova; e piagne e duolsi del pericoloso fiume in ch'egli stava, pieno di tempesta e di periglio. Così mi pare ch'ora avvegna a voi, che cominciate, come infermo ch'attende a guarire, a piacervi il vino, quando tanto v'aggrada il detto del buono Bolognese, quando disse: In questa vita non ha gaudio nè onore, se non chi fa bene. O! questo piaccia a Dio abbia auto il morto nostro in su i cui beni piatiamo, che tanto s'andò avviluppando per avere credito co' rettori, e per sostenersi co' grandi mondani. Certo egli ha sognato tutto c'ha fatto, se ne l'opere sue non arà auto riguardo a Dio. Di queste cose occorre dirvi una parola di santo Girolamo, maravigliosa e vera, che dice: Chi piatisce, benchè abbi ragione, è superbo. Ella pare maravigliosa la cosa a chi no la intende: ma chi la conosce, la cosa, nulla è maraviglia al savio. Or pensate quello e' direbbe di chi piatisse, e avesse torto! E non ve lo scrivo perchè a' fatti vostri manchi una ora d'opera e di tempo; ch'io vorrei che l'alpi che tramezzano noi, avessono uno fesso per lo quale vedeste, se avete amico fedele di quelle piccole cose che e' può fare, e fa, per Iddio grazia, sanza dar noia ad avvocati o a persona: che malgrado n'avesse, se i dieci anni fermi che stette con ser Paolo Ricoldi no gli avessono qualche cosa insegnato! ma quando la seppe tanto, che 'l maestro si parti sei mesi, e lasciògli diciotto piati a guidare; e l'amico vide il pericolo che si correa; tornato il maestro, si partì da lui, per mai più non piatire; e andò a usare con ser Coluccio: e elesse più tosto vita povera e lieta, che grande e ricca, il cui pane fosse sempre pieno di vermini. Torno al proposito: i vostri compagni quaranta cotanti creditori di ser Schiatta, che pensavano che voi andaste alla rata, uditomi, sono molto isbigottiti, che voi andiate loro innanzi: mostrando io loro, che chi ha 'l pegno come voi, ch'avete in pegno i beni del morto per la carta io feci, va innanzi a chi non volle da ser Schiatta pegno; e mostro come ser Schiatta non è fallito. E come che di voi e di vostre ragioni e' parlino molto bene, e' si contentarebbono sapere da voi a punto quello v'ha a dare; però ch'e libri di qui nol mostrano bene, se ser Schiatta avesse a voi datone nulla a Prato, di quella vecchia ragione. E però fatene loro qualche brieve e soda risposta a Prato; e soprascrivetela così, se vi pare: «Savi uomini creditori in Prato di ser Schiatta, fratelli carissimi.» E nella quale lettera, per onore di voi, dite qualche buona parola; come de' lor danni v'incresce, che sapete le 'mpotenze da Prato; e che, come che di ragione andiate innanzi agli altri, ogni volta sarete contento far loro ogni onesta abilità e cortesia che far si possa, non mancando io molto mie ragione. Questo vi dico, per che alla vostra età e onestà si richiede: e anche forse innanzi a mercatanti e signori, se costoro avessono chi gli facesse rei, vi farebbono assai noia a concorrere con loro. E per questo racquistarete buona fama nella terra vostra, e darete di voi buono essemplo. E voi stesso avete detto, che v'ha di quegli che, avendogli voi serviti, bollono. Ciò ch'io dico, so che pigliate per bene. Boninsegna non ci è: ecci questo altro, che vedete, non utile com'egli, v'è appresso; ma di cuore ama l'anima vostra e il vostro buono stato. E la morte ne farà la pruova. Oggi ci darà il Podestà la tenuta per fiorini 600: lasciate dire chi dice di 300. E' mallevadori stanno fermi. Rispondendo alle vostre lettere: prima, dico che mi pare abbiate preso bene di non scrivere agli Otto della guardia. Le parole volano; e penso abbino altri pensieri pe' fatti di Lucca; e peggio pe' fatti da Poppi: chè ci ha d'attendere a maggior cose; e le vostre frasche, cioè di quello valente, sono passate come vento: e niuna infamia falsa dura. Non ne curate, e non ne diciamo più. Quel medesimo pare a Nofri, ch'è migliorato: e dissigli quanto seppi bene della vostra volontà, e delle vostre lettere ora aute da sezzo. Se costà cresce morìa, me ne 'ncresce per molte cagioni. Qua si sta bene; almeno per la gente non così giovane: che niuno ce ne perisce. Alcuni fanciulli, come fanno i miei, o giovanetti, sì: ma pochissimi, e pur da dieci dì in qua n'è più morti. Così penso farà costà una folata. E però, secondo quello io ne albitri, per ora non mi movarei. Poi qua a marzo, se allora saremo in questa terra de' morti, cioè mondo tristo, con l'aiuto di Dio pigliarete buono partito. De' fatti d'Antonio da Camerino non so che mi dica: ma o voi che onestamente gli parliate, con mostrar di farlo per amore di Dio e d'uno povero e fedele artefice, o uno de' fattori o giovani di Nanni Gozzedini che gliene parlasse, caro arei sapere risposta. A Lionardo dirò della cortesia vostra, cioè della profferta. Non è uomo d'appiccarsi in luogo che e' non pensasse averne onore. E l'arte sua, quand'ella non fa, non è viva, anzi morta. E però potrebbe ora lavorare, e poi aversi addosso il lavorio; e rispondere non potrebbe: e per vergogna, mai innanzi non v'apparirebbe. Ma se guerra ci fosse, chè ce n'ha sospetto pe' fatti nati di nuovo a Poppi, allora di costà potreste torgli una balla o due di ferro a termine sei mesi; chè qui non n'ha tanto che se ne facesse una pianella; e tutte le botteghe di corazzai non la saprebbono fare, salvo Meo o Lionardo. E per questa via potremmo provare se Lionardo volesse tornare a esser cittadino: e anche ne dubito. Egli ha debito con uno suo compagnone, che è morto, fiorini ottanta; che nel vero ne comperò terra della maggior parte, che gli stava bene. Sì che non è da fallo più avviluppare ne' pensieri, che si sia. Ma se scriveste a Vignone o altrove, che le sue cose avessono spaccio (che me ne fo beffe), allora cel ritiraremmo. E se una volta vedrete delle sue cose, o di Meo, vi parranno fatte con molto ingegno. E co' detti fiorini ottanta credo pagò a Bartolommeo Cambioni quello di che Bartolommeo l'avea servito con vostro volere. E de' detti fiorini ottanta credo risponderà all'erede del morto, come in terra per ora: si che di tutto Dio vi ringrazi; ed egli vi ringrazierà. De' fatti delle procure guardatevi, per Dio, almeno di mettere quella parte a compromettere ogni vostro bene in cui il procuratore vuole, e con cui e' vuole. Penso che le procure avete fatte siano a tempo; e però lasceretele passare, per non fare a' procuratori vergogna. Ma se far la voleste, bisogna far rogare costà una piccola carta, nella quale rivochiate ogni procuratore vostro ch'avesse mandato a compromettere; e in quella medesima carta fare uno procuratore a notificare a' procuratori come a quell'atto sono rievocati, ecc.. De' fatti di quello ribello accusato da Scipione Affricano, n'è detto assai. Se voleste scrivere agli Otto (che non mi pare), vuoi dire la soprascritta: «Magnifici uomini signori Otto della guardia del Comune di Firenze, signori e padri carissimi.» Ènne messe Rinaldo, Iacopo Ciacchi, Zanobi da Pino, Niccoloso Cambi, Matteo dello Scelto, Cionaccio Baroncelli, e altri buoni cittadini. Poi ebbi in sino a qui, fui a Palagio con le scritture e colle carte, e feci. Il Collaterale ha pronunziato, che in tutt'i beni e masserizie e ragioni di ser Schiatta siate messo in tenuta: e oggi s'è rapportato per lo messo la notificagione del lodo; che a sei persone l'ebbe a fare a Prato, insino al Podestà. Scrive ser Conte, che tale vi fu de' vostri, che fuggì il ranno caldo: ma ch'egli non si partì mai dal messo, e fe bene. Or io potrei fare sanza dirvi queste cose, chè non è vostro uficio. Dicovi bene, che s'io non fosse per grazia di Dio, cioè che Stoldo avesse auto andare a un altro procuratore per la faccenda c'hanno, e per altre ragioni, Stoldo sarebbe impazzato innanzi avesse accozzate sì tosto tante cose. Ma a voi ho date le notti, a' poveri il dì. E penso questo fatto non arà a durare. Stoldo va a Prato il dì dopo ' Morti, per le tenute. E ora si potrebbe trarre del cuore a quel prestatore quelle cose, chè ci è la ragione. Ma lasciate farlo agli altri che pèrdono; voi non perderete, eziandio perdendosi quelle cose. Solo vi dico, tanto io penso queste cose dureranno poco; chè avendo a durare, la mente mi strigne a fare rena, cioè appiccalle a un altro: però che a me farei vergogna, e a' poveri danno a lasciargli troppo. E nondimeno ogni dì una volta, o due, darei di becco ne' fatti. Ritorno pure ove 'l dente duole. Francia, a volere dare principio al vostro buono animo ch'avete, e di questo domandate tutti i savi, è bisogno pognate termine e fine all'animo vostro; che e' non voglia andar più là, e star contento per buona e per grande alla ricchezza ch'avete, e non cercarne più: solo fare qualche cosellina per sostenere l'acquistata; e l'acquistata usare bene: e ogni cosa vi verrà fatta. Morir possa io, e none d'onesta morte, se già fa più tempo non l'ho fatto io. E ora, come lieto e giocondo, il fo più che mai; e nulla m'avviene, ch'io non sia contento: e paionmi gli altri gente pazza; anzi, vi dico che e' sono. Ieri morì ser Paolo Riccoldi, si può dire e in tre dì: ora tutti suoi figliuoli ch'erano in Firenze e fuori. Ed è stato in sulle forche, con rabbie e diavolarìe, con accuse con avvisi con voglie con maleventure, degli anni più di quaranta; che spesso mangiava e parea trasensato, e non si ricordava di tirare il braccio verso la bocca; tanti impacci avea per la testa. Or come cancellò la vita bestiale, la quale è non aver mimoria di Dio quarant'anni, in spazio di due dì stette infermo, ch'avea che fare di rispondere alla febbre e a' medici? Per certo, ben disse quel Santo a Guido e a sua compagnia (e io era di quella): Abbiate continoa mimoria di Dio, e temetelo; chè al capezzale vi trovarete gabbati. Qual buffone o giocolatore ingannò mai per travaglio uno lavoratore, come fa il mondo noi, se vogliamo esser ciechi? E onde cominciaremo poi a scusarci? Or non dico più: perdonatemi, chè tutto dico per bene e a buono fine, e a mia consolazione e a mio isfogamento. Io non ho con cui farlo più. La morte di Guido m'ha tolto ogni terrena consolazione; nè ho compagno, nè ho amico, nè a canto uso nè a brigata. Io dico non punto: tutta la festa mi sto in casa, o voe alla chiesa con uno bonissimo vecchiarello mio vicino. E fuggendo i goditori, godo questo mondo. Iddio v'aiuti; e voi anche vi sappiate vincere di non gridare, di non turbarvi; che biato a voi! ch'i' ho letto, che nelle furie del gridare si fa, il dimonio dà ogni suo aiuto; e al mansueto non si appressa. Io n'ho grande difetto; e per questo un poco alcuna volta pur mi tempero. Salulate la comare: ch'io non saprei ristare: e queste sono oggi le consolazioni mie. - LAPO vostro. XXX ottobre.