Francesco carissimo. Tanto v'ho detto ne' dì passati, che poco ci resta; e ancor Barzalone arete abbracciato, e saputo tutte le cose di qua. Sono stato con Domenico, uomo dassai; e siamo rimasi che mai non vi sarà posta prestanza, che prima sarà meco a fermare ciò che d'ordine dar si potrà, che a voi sia fatta cortesia: e sperola per lo 'ngegno suo. Resta che di vostra mano facciate queste lettere come vedrete per la copia. Voi siete intendente, e sapretele bene fare. Èmmi pur paruto il meglio, che di vostra mano vengano. A voi fia onore scrivere in detta maniera; e parrà che siate da Firenze, e intendente: e varravvi assai, al mio credere e anche d'altrui: e le lettere mi mandate. Egli è tempo. Compare, non vogliate voi esser quegli che voglia racconciare il mondo! ma lasciate andare il mondo come Dio l'ordinoe, cioè che la ruota volgesse sempre. E attendete a governare voi, e le cose che Dio v'ha prestate. La cosa va pur così: andate colla voga. Io vi dico ch'a Vignone, a Prato, a Bologna, è il vermine suo; forse che Vinegia n'ha due. E quando il provaste, il confessareste. Solo colui ci avanza tempo, che vive bene: come disse quel de' Fuscherani. Cristo vi guardi. - SER LAPO. XVIIII d'aprile. Copia di lettere che si vogliono mandare a certi cittadini diputati sopra rifare le prestanze della città di Firenze, a dì primo di maggio 1401. A NICCOLÒ DA UZZANO. «Onorevole come padre. Io vi dirò brieve, contra l'usata mia natura, perchè di questa materia parlo mal volentieri, e vergognomi darvene briga; perchè posto m'avea nell'animo, lasciare andare le cose più ch'io non soglio: e non mi sentia noia più il tornare a Firenze, che l'andare più oltre ch'io non sono: non veggio io tal dirizzamento a scemar le spese nella terra nostra. «Ora pur sollicitato, e rivolto dagli amici miei, ch'io fo male; me ne voglio rivolgere, e seguire più loro, che quello andava per l'animo a me. Voi siete, secondo m'è scritto, de' maestri sopra la Prestanza. Ricordovi ch'io v'amo, e portovi reverenza; e pregovi dove vi trovate, mi sia fatta ragione, non altrementi ch'ai minori cittadini di Firenze. E da voi mi terrò onorato e servito. Tuttavia, se far non si può, non ve ne vorrò di peggio: e pensarò sarà per lo mio meglio. E quando arò perduto tutte le possessioni mie che ho costà nel contado di Prato, fuor delle case; non penso avere auto danno oltra MMV.C fiorini. Niccolò, questa è di mia mano: serbatela per farmene vergogna, se trovarete io v'esca della verità. Cristo vi dia grazia fare il suo piacere, e il bene e l'onore della vostra città. - Per lo vostro servidore FRANCESCO DI MARCO, in Bologna, d'aprile». Una a Domenico Giugni, in detta forma: salvo che, innanzi a quella parola che dice «Cristo vi dia grazia fare, ec.,» e voi dite: «Io penso pure che noi ci aremo in qualche modo a trovare insieme. E istimo per quanto l'amico vostro e mio mi scriva, che aremo fraternevoli consolazioni, se aremo a vivere: perchè voi voglio ricevere per un altro Guido, che mi fu tolto, e penso averlo ritrovato: che m'è assai consolazione». E poi seguite: «Cristo vi dia grazia, ec.». Una ' Aghinolfo, come a Niccolò: salvo che, innanzi a quella parola che dice «Cristo vi dia grazia, ec.,» e voi dite così: «Non posso però pensare che a' savi uomini che ha cotesto reggimento, che vogliano però fare altro che ragione a' miei pari; che sono lor servidore, non che di voi, ma del minore che v'è». E poi seguite: «Cristo vi dia grazia, ec.». Una a Nofri d'Andrea, a littera come a Niccolò. E una in detto modo, ad Andrea di messer Ugo. Salvo che, nella fine della lettera d'Andrea dite così: «Andrea, perdonatemi s'io vi do noia, che non è sanza cagione, e follo con pochi de' vostri compagni; però che gli altri non ho per le mani». E fatene una a Francesco Federighi, come a Niccolò; salvo che nella fine diciate così: «Ciò che v'ho detto è perchè se mai mi dovrete servire, operate con Vanni Rucellai vostro compagno, che è de' maestri della Prestanza, se mi volete a Firenze». E colassù di sopra, non dite che e' sia di que' della Prestanza. E a catuno dica la soprascritta: «tale di tale, onorevole come padre, in Firenze». E come detto v'ho, Francesco Federighi non è di quegli della Prestanza; ma è de' compagnoni di Vanni Rucellai.