Al nome di Dio. A dì XVIII di gennaio 1404. Magnifico e egregio Cavaliere, con ogni debite reverenze mi raccomando alla vostra Signoria. Ballerino vostro servidore, e a me fratello e amico, mi disse per vostra parte una certa ambasciata, alla quale io non mi sento sofficente di potere nè sapere ringraziarvene con quello onore e con quella reverenza che merita la vostra Magnificenza. Ricorrerò a Dio e alla sua santissima Madre, che per me vi ringrazino e rendano buono merito delle profferte e cortesie che per vostra benignità m'avete mandate profferendo; le quali io mi rendo certo come di morire, che le non sono per mie' meriti, ma per grazia di Dio, e per vostra cortesia: e potrebbene essere cagione la vostra cara sirocchia monna Giovanna, alla quale io e tutta mia famiglia siàno tenuti e ubrigati più che a donna che sia al mondo per la sua benignità e cortesia ch'ella ci fa ogni dì: che in verità di Dio, io me ne vergogno e sommene doluto e con lei e con de' suoi; e poco mi vale: imperò che dove Nostro Signore mise la sua grazia, non è niuno che ne la possa levare. Priego Iddio, che per me le ne renda buon merito, e per la sua santa misericordia a me presti grazia che a voi ed a lei ed a' vostri io possa meritare in parte le cortesie che voi usate in verso di me. Io vi priego, carissimo mio padre, che voi tegniate a certo come di morire, che se le mie cose non fossono basse e di così poco valore com'elle sono, egli è gran tempo ch'io ve l'are' profferte, e riputatomi in singolarissima grazia d'essere stato vostro servidore: ma perchè non me lo pare meritare, e per alcuna altra cagione onesta, no l'ho fatto; la quale vi dirò di bocca, o manderò a dire per Ballerino: il quale v'arei mandato volentieri in questi dì, se non fosse il tempo che fa di freddo; e per lui v'arei fatto dire di bocca più cose, per non darvi rincrescimento di troppo leggere: ed io mi rendo certo come di morire, che in voi regna tanta umiltà e tanta benignità che voi accetteresti le mie scuse. Se foste qua presente, non mi potrei tenere ch'io non venisse a dolermi con la vostra Grandezza d'oltraggi e ingiurie mi fa ogni dì uno oltrarnese, nome Bartolo di Iacopo, perchè mi vede solo. Per lui non manca farmi morire di dolore, tanta istracutata baldanza per ogni cruda via usa contra me, come se la terra fosse sua, per tormi il mio. E quando udiste i modi suoi, direste ch'io non fosse adirato a così scrivervi di lui; tanto mi tempero in narrare le sue costume, e gli assalti mi fa ogni dì a ogni Corte; e le torte vie con che mi va contro: e sono tante, che se io starò fermo con Dio, sanza lui offendere o maladire, che d'avventura mi vendicarà. Io ho udito siete uomo di grandi opere, e sanza faccende non sapete stare, e costà n'avete forse poche; però me stesso ho lusingato a dir lungo, per darvi faccenda e noia. E da altra parte, perch'io sono certo che quanto io più dicessi, tanto più errerei; e per tanto non vo' dire più. Per questa priego Iddio che vi conservi nella sua santissima grazia in filice stato, con salvamento dell'anima e del corpo. - Per lo vostro servidore FRANCESCO DI MARCO da Prato, vi si raccomanda. Di Firenze. [OMISSIS].