Francesco carissimo. Veduto il lodo e 'l compromesso, e 'l chiamore, e la lettera ci manda Tommaso; come che le cose siano lunghe e istese alla guisa di là, io ne traggo, solo, al mio scrittoio, in tempo di notte, lettele due volte, due cose brievi da notare e non più: quanto appartiene alla domanda di Tommaso, che 'l tengo puro e fedele, ma semprice nel piatire; e quanto appartiene a voi, per ora, a istimare il caso della pena in che si dice v'è corso l'altra parte, di dugento marche d'ariento, mezze a voi e mezze alla Corte. La prima è, che i lodatori dicono nella lor sentenza, come lodano di volere e di concordia di messer Guido e di Tommaso vostro procuratore; e voi poi, come sapete, ancor la ratificate. Il perchè essendovi pur caduto in pena messer Guido, disonesta cosa parrebbe a ogni maniera di gente, che tale quale voi siete domandaste pena, d'errore o cosa fatta in uno compromesso per l'altra parte, il cui lodo è dato poi di concordia delle parti. Il quale errore non ha avuto a dare o tòrre o crescere o scemare il debito, nè è suta malizia ch'abbia condotto Tommaso a consentire al lodo. E chi considerasse bene che cosa è la pena, e che giustizia è a domandalla, non correrebbe a domandar pena sanza grandissima cagione; però che la santa legge sotto che ogn'uomo vive, i' dico la 'mperiale, ordinò la pena in iscambio de' danni e degl'interessi, acciò che 'l danneggiato fosse ristorato con la somma della pena. E voi sapete bene, che per andare o mandare messer Guido a porre una mattina il chiamore negli atti d'uno giudice e non andar più oltre, non vi fe danno d'una medaglia: ma fe contra la sua promessa; però che nel compromesso promise non andare ad altro giudice, nè far cosa nuova fuor degli álbitri. L'altra si è, che per quello ch'io veggia nella copia del chiamore vi manda Tommaso, messer Ghisi non v'è caduto in pena, per due ragioni. L'una, perchè quel chiamore dice così: come il notaio del banco e della Corte fa fede, che messer Guido, ovvero altre per sua parte, puose chiamore, ec.. Per le quali parole, cioè, ovvero altre per sua parte, non apparisce chiaro che messer Ghisi andasse in persona a farlo; ma dice, o e' fu egli, o e' fu altre per sua parte, che 'l puose. E questo non viene a dir nulla: però che la legge non presume che uno vada a diletto a correre in pena. E però vuole la legge, che altre l'abbi posto ch'egli. E a dire per sua parte, bisogna che quel tale avesse ispresso mandato di poterlo fare cadere in pena. Ma dovea il procuratore di Tommaso di subito far richiedere messer Ghisi, e fargli dire che venisse a Corte a dire se quello chiamore era di suo volere, o no. E avendo detto di sì, era qualche cosa. L'altra ragione di questa seconda parte è; che Tommaso non dice, che benchè messer Ghisi ponesse il richiamo, che poi esso lo seguitasse, e facesse richiedere Tommaso a rispondere al richiamo. Però ch'io posso, Francesco, dare a ogni Corte di Firenze e a ogni Consolato una domanda e richiamo contra voi, di danari m'avete a dare; e mai non vi fo richiedere: e non è che per questo io vi turbi o faccivi torto, o facci contra compromesso, o concordia che fatta abbiamo: ma fo uno mio farnetico, e cosa non di mio onore nè profitto, a volere che tal domanda e favola si stia colà scritta, la quale non vi fa nè a ragione nè ad equità alcuno male. E penso che se Tommaso si volesse patteggiare con la Corte, di dare alla Corte la sua parte, ec., che la Corte direbbe: Io do a te la mia per uno bicchiere di buona beona. Questo dico perchè Tommaso accenna che la Corte ne farebbe istima, secondo che dicono i procuratori vostri. E questa mi pare grande simplicità. Potrete far provare; e ricorderetevi del pecoraio, e della donna sua, c'ha la vita da Dio e da quello dilicato liquore dell'olio della gentile e amichevole valle di Bisenzo. Guardivi Dio. E attendete a cose di più importanza. E ricordivi lo scemare le faccende, come diceste in sulla piazza di San Polinari con tre vostri amici; e crescere i pensieri che dànno vita, nella futura e molto prossima vita.