Al nome di Dio. Dì xvi d'aprile MCCCCI. In questi dì ti scrissi che, udendoti ricordare, m'entrasti nell'animo; come che spesso m'avvenga; e ogni volta dentro t'accuso del non avermi scritto già sono anni. Sapiendo tu, ch'a' tuoi di qua in quelle cose ch'io ho potuto e saputo sono stato continovo padre e fratello, e ho auto a mente l'amore mi portò il tuo benedetto padre, e come teneramente nello suo passamento mi vi raccomandoe; per questo, tale qual sono, mi sono fatto loro sempre innanzi, e postomi per colonna o per traverso a ogni loro impaccio; e farò così insino che fiato arò. E tu fai caro di farmi uno verso? e non degni chi t'ama cotanto, e le vie tue osserva come quelle del figliuolo propio? e per fare uno vano guadagno d'uno fiorino, faresti cento lettere raddoppiate! Ricevolo in pazienzia, perchè 'l sangue ti bolle ancora e t'intorbida la mente, e astetto che quando fia posato, e ara'la chiara, vedrai nel chiaro ogni cosa: e, per la grazia che Dio mi fa, ti dilettarai meco; se vivremo tanto, che insieme ci abbiamo a trovare. Almeno piaccia a Dio siamo insieme in quegli eterni beni, se in questi vani che passano, non accadesse ritrovarci. Nanni e gli altri tuoi mi ricevono con molta carità. E in questi dì, perch'io ho l'occhio a Nanni, che è buono, entrai in Prato, che radi volte il fo, per vedere, e vidi la sua donna; e a lei me le proffersi di cuore, e piacquemi il suo costume. Francesco ha pur male stato, e io penso averlo avviato a Firenze: solo mi manca, ch'egli è un poco troppo oltre col tempo. Ma egli è buono e d'assai, e volentieri gli partirei il pane mio, ora che non mi stringono tanto i figliuoli come prima; che fra quattro ch'io sotterrai, n'era uno in banchi co' Ricci, che in due anni avea fatto salto, che non vi si vola per li più in x; in tanto onore e amore era de' maestri suoi: tutto venìa di Dio! sanza mai adirarsi, come non fai tu; solo vivea, per non udire le rie cose delle male compagnie. E per questo son contento andasse al cielo, e lasciassi noi e gli altri ingrati ne' viluppi del mondo; pe' quali abbandonano Iddio, entrando il dì in mille lacciuoli per un poco di terra rossa; dico per l'oro; e poi lo lasciano, e al capezzale e' si veggono da lui gabbati. Non ti sia detto altro, che per bene ch'io ti voglio: chè se cercassi d'amare più le ricchezze che Iddio, tosto aresti meco rotta l'amistade. Simone, vivi dirittamente, e d'aver roba non temere, e te n'avanzerà. Sia fedele al maestro, e alle genti amorevole; e dilettati fare altrui, a dir brieve, quello volessi fosse fatto a te: e dilettandoti, almeno le domeniche, leggere qualche cosa di Dio; e udendo divotamente la messa, la quale non lasciar mai. Il fine nostro farà pruova s'io ti consiglio bene. Iddio t'ha mandato già de' suoi ambasciadori, cioè delle doglie o delle gotte, perchè iscemi un poco della tua gagliardìa, e perchè veggi o cominci a vedere quel che è lo istoregiersi della bocca o d'altro; e quel che vale, o può, questo nostro corpaccio, e come di leggieri cade e torna nulla. Or penso m'arai perdonato, se teco ho fallato in troppo dire; ma l'amore trae oltra la penna e scema la pena. Sai bene ch'io ti potrei dire, e anche fare. E torno al proposito mio, cioè: Nell'altra ti dissi come Meo, che stette costà teco, ha tolta la mia fanciulla; puossi dire per mano di Francesco e per sue lettere. Sommene rimasi quattro piccoli: uno all'abbaco, e sanne assai; l'altro al latino; due alla tavola; alla tavola, dico, dove s'appare a b c. Esso Meo ha a ritrarre suoi danari, e non pochi, che Falduccio suo zio, uomo assai traverso, gli avviluppoe, quando fu suo tutore. Di sotto ti dirò dove e come ha avere in costà; che 'l saprò da Meo, quando verrà in casa; chè ci usa molto, come sai fanno i giovani insino l'hanno menata. Richeggioti e pregoti, che ti piaccia avvisarmi, più tosto che puoi, che credito è questo, e come è atto a ritrarsene, venendo costà in te o in altri procura o mandato sofficiente dalle rede di Falduccio; che penso sappi è morto; che n'è una fanciulla e la madre. E ancora arei caro sapere da te, o che sapessi da qualche notaio o iscienziato costà, che forma di carta o che mandato si vorrebbe fare. Simone, io vo' dir così; bench'io sappia, perchè è mia arte, e holla bene pratica, in che modo voglia stare, essendo pupilla ec.: dicol pertanto, perchè e' sono terre per lo mondo che si passano d'ogni mandato o d'ogni general procura, perchè non sanno in quelle parti molta legge: e questo è vero, e hollo provato a Genova e Vinegia, che non v'ha molti giudici o notai. Altrove, come s'è a Perugia, a Bologna e a Firenze e altrove, chi ha a pagare, non pagherebbe mai, se le carte de' mandati o delle procure non fossono fondate in sul punto della ragione. E però, o da te o per consiglio altrui, dimmene qualche cosa. Tutto si dice perchè la madre della fanciulla, per paura di debiti, si reca malvolentieri a pigliar la tutela della picchina; e se costà s'andasse un poco alla grossa, con qualche sodamento o promessa che tu facessi, se Francesco tel commettesse, si terrebbono e potrebbono tenere degli altri modi a far questa procura, sanza far pigliare detta tutela. Meo è sì giovane e volontaroso all'utile, che s'io gliel dicesse, e' verrebbe costà volentieri a riscuotergli. E io non vorrei che, pensando esso riscuotere, e' venisse a pagare e spendere il suo. - LAPO MAZZEI notaio, in Firenze. Colui c'ha a dare ha nome: l'erede di Giovanni Pillicieri e Feriere Vidello. E par che siano debitori per certa parte mise Falduccio con loro in uno navilio, come da loro sarai informato. Rispondi.