Frate Giovanni Domenici. Onestisimo e divoto servo di Dio. Dopo le debite reverenze, io mi rachomando alla vostra reverenza e charità, e sì vi pregho che per vostra beningnità che voi preghate Idio per me, chè mmi rendo certo ch'egli per la sua santa miserichordia egli v'odirà volontieri; e solo che io mi richonoscha inverso di lui, altra grazia non dimando. È vero che i' ò scritto a chotesti miei che vi si profrano e che mi vi rachomandino. Io non v'ò scritto da poi che io partti' di chostà per due chagioni: l'una, perchè a volere fare mio dovere mi chonverebe avere a lato meser Giovanni da Lengnano; l'altra, perchè non sapea bene chome mandarvi detta lettera, e d'altra partte per le molte facende, chome sapete che ' miei pari son senpre achupati per questi benedetti denari. Questo dì ricevetti una vostra lettera fatta a dì XI, la quale mi fu di grande chonsolazione, e lla detta lettera mi diede uno giovane della chasa de' Bentivogli, ch'è l'una delle magiore chase di questa città. E molto parlamo de' fatti vostri, e, sechondo che mi dice, il priore di Santo Domenicho non à voluto dare la lecenza che voi ci vengnate, se prima e' non avesse lecenza dal suo vicharo; e, in, efetto, e' furono a tanto, che disse d'entrare prima in pregione che dare la parola, e infine e' fue lecenziato e quello dì se n'andò a Vinegia. Deto giovane mi preghò di due chose: l'una, che io vi dovesse servire, e preghare che voi veniste a servire questa chomunità; apresso, che io dovesse informare i Singnori della vostra buona vita e della vostra vertù. Alla prima partte rispuosi che io vi scriverei volontieri, a l'altra partte rispuosi che io non era da tanto che io gli sapese informare della vostra vertù, il chè per alchuna chagione io non oserei travagliarmi di questi fatti; ma egl'è qua Nicholò da Uzano, ch'è uno grande valente uomo ed è abansciadore dello nostro Chomune, e chosì c'à molti altri valenti cittadini che sono pure atti a fare questo fatto che noe sarei io, e puie onesto per la detta chagione. E inn effetto noi ci rimanemo che io vi scriverei, e poi arei mio chonsiglio di parlare cho' Singnori auta la risposta da voi, e qua rimase la chosa. La mia lettera vidono i Singnori prima di me. Io feci la schusa vostra a detto giovane chome sepi il meglio. La chagione per che io rispuosi in questa forma si è che uno di questi dì, parlando chon uno valente uomo di questa città nella presenza di Manetto Davanzati, e' mi domandarono quello che io farei dello tornare chostì; di ch'io rispuosi che io mi voleva stare qua per dottanza che lla moria no ritochase questo altro anno, chè vi dire io non so se noi aremo piue lo chapello dell'oro che lgl'altri, chè siàno la pigiore gente dello mondo. Uno giovane di chostì dello mio ghonfalone mi disse: chi sono questi mali genti? E io rispuosi e dissi: pratesi, pitoresi, firentini, pisani e tuttuta quello paese. Ed egli mi disse che v'avea de' buoni e de' rei. Io dissi: questa è chosa naturale. E 'l detto buono giovane riporttò agl'Otto della guardia che io avea detto male di chotesta chomunità; e pertanto a me è di bisongno guardarmi molto di non fare e di non dire chosa niuna che niuno mi possa chalongnare. Tutto Firenze sa l'amicizia ch'è tra voi e me, che insino qua mi domandano di voi. Non vorei che niuno vi ponesse piede e dicesse: che si va chostui impaciando che voi ci veniste? E si direbe chostà che voi ci veniste per mio amore, chome si sono dette dell'altre chose. Per questa volta non vi vo' dire altro per noe darvi piue rincrescimento. Pregho Idio che vi conservi nella sua santisima grazia chon salvamento dell'anima e del chorpo. Per lo vostro minore fratello Francescho di Marcho da Prato, in Bolongna, a' vostri chomandi.