L'
ambasciata d'
Arrigo intesi. Dilettomi udire come la fece a
punto: e non mi piacque meno la buona volontà ch'avea in pignere
verso me il mandato che da voi ricevette; per tanto, ch'io non mi so
tenere ch'io non ve lo raccomandi, credendo che sia servente fedele. A
lui rispuosi, e a voi il dico: tanta noia mi fu che, cercandomi voi, non mi
trovasse, io mi voglio con voi legare; che se mai, vengo in
villa che voi
noi sappiate, che voi facciate, e intendasi fatta, una traversa di ferro al
viso, della carità ch'io vi porto; sì che a catuno sia palese il mio difetto.
E perchè io dico del legare, voi farete il nodo; sì che dibattere non mi
possa. Ben vi ricordo, e in forte fede che è tra noi vi prego, che anzi il
diliberiate, vi pensate; perchè a chi scrive, pare in ciò usare quella virtù
che tiene nell'altre signoria, cioè discrezione: così di lei hanno scritto i
padri antichi. E se bisogna ch'io torni, ditelo: e penso dal comandare
all'ubbidire fia poco spazio. I miei
figliuoli mi dànno speranza d'aver più
tempo di libertà, ch'io non soglio, con aitarmi allevare
quelle anime che mi sono date in guardia. E oggi da
Barzalona ho aute,
il
fratello d'
Agnolo e io, dell'
uve e
mandorle e
riso di
Barzalona; che
come da Dio e da voi l'ho ricevute; piene di buono e di soave odore, per
chi le manda e per lor medesime. De'
capperi taccio: chè Dio sa che da
una parte disiderrei che mi dimenticassi alle volte, solo per levar noia
dalle spalle a chi n'ha tante, che fanno un altro Giobbo. Non vo' dire ora:
Iddio vel renda! chè 'l farà sanza prego. Ben lo gravo, che tanto metta
nell'animo vostro di me, quanto ha messo a me di voi; chè non posso
credere che uomo, tanto et in tal maniera amato, perisca. -
LAPO vostro. XXII
febbraio.