Al nome di Dio. A dì 22 d'
aghosto 1398.
Per
Rosso ricevetti tua lettera, e chon esa una
schatola, in che
avea le chose che tu iscrivi. Tu sai che llo
Schiavo non n'è in
Prato;
manderemo domatina per lui e mostereglele ed e' tôrrà quello che
gli piacerà: l'avanzo ti rimanderemo il più tosto che noi potremo.
Dello
agresto non so perché tu me ne dimandi, ché, s'io ti dicesi
il vero, no' me lo crederesti; se s'è
infracidato l'
agresto, non
s'è
infracidato per mia cholpa, ma e' s'è
infracidato per lo
barile
chativo, e sa bene la
Francescha che, quello che è venuto chostà
già è tre
anni, non se l'ène
infracidato ghociola; e se s' è versato non
s'è versato per mia cholpa, che pure ughuanno io t'avisai parechi
volte che tu il
turasi bene e sapestilo sì be'
turare che egli se versò
mezo, ma tu ti stesti cheto la matina, perché tu fosti tu.
Di' a
Pelegrino che non dice il vero: e' non la vide e non
v'era in
chasa e non ve ne andò tanta ch'ella agugnesi alla
fognia, e
gl'era
Nanni a tavola e monna
Giovanna era nella
logia, e tutte
queste femine ed io e
Ghuido ti rispondavamo, s'io ti dicesi il vero
no' me lo crederesti: domanderane
Nanni e monna
Giovanna.
Tu di' che
Ghuido dice che lla donna sua no' gli fece mai
dispiacere niuno: io credo che dicha vero, ma io credo ch'egli ne
fece via meno a lei ch'ella non ne fece a lui; non che
Ghuido
sapese ghovernare una donna, ma egli ghoverna una
città. Io mi
sono bene informata, e chon
ser
Lapo e cholla
nuora sua, che fu qui
ritta, de' modi che tie'
Ghuido in
chasa sua.
Ghuido non n'è d'aghuaglare
a gl'atri huomini: e' tenea la donna sua chome donna e non
chome
moglie d'
aberghatore, che gl'è quindici benedetti
anni, ch'io
ci venni, ch'io sono stata ne l'
abergho e non credo che sia niuno
aberghatore che faccia l'
abergo ed anche
muri ad un'otta, e più che
tu m'abia senpre mai tenuta a
spidochiare la cinaglia e più non ti
bastò di que' da
Firenze, che tu mandasti a
Chastighione Aretino
perr eso.
Delle femine ch'io t'ò mandato ogi, tu rispondi che non chale
altro dire; ma e' chale a me, ché noi abiamo tenuto ogi qui, monna
Giovanna ed io, due
fighiuole che c'ànno avelenato me e monna
Giovanna; fo ragione che stanotte noi faciamo la perdiugiata, monna
Giovanna ed io: queste cho
se sono delle grazie che tu m'
achatti a
me:
achatamene ispeso ch'io non sono d'altro, metimi a quelle chose
che tu credi ch'io possa fare, ch'io sono atta a levare fecie. Io vorei
che fosse posibile, me e monna
Giovanna, con queste fanculle in
chollo, e la
Chaterina e tutte l'atre c'avese vedute, ché c'è venuto
tutta la vicinaza a vederle,
chosì fatte le strida ànno meso. Tu
se' chosì proveduto, chome no' m'avisasti tu che il fancullo non fosi
in
Firenze, ché non ne arei mandato le femine a tale otta. Tra l'atre
chose è ghunto istasera la
mula, che l'ài dato tanto manichare e
tanto agio che l'è per ischopiare e alle tre hore s'è chonvenuto chavare
sanghue, perché dice
Filipo ch'ella n'à bisongnio, perch'ella
sta tropo ad agio ed à tropo manichare: volese Idio che tu tenesi
chosì ad agio me.
La
chalcina s'è
spe
ntta al
fondacho istasera di notte.
Della
chavalla non ci siamo diliberati anchora se noi la manderemo
o no. La
ciopa non n'è anchora fatta.
Il
bacino renderemo a
Bonachorso di Chello.
A
Nicholò di Piero dire' quanto tu di' de' fatti di quello da
Pistoia.
I
lengni non si sono tirati, perché, dice
Nanni, che non v'avea
tanta aqua.
A
messer
Piero disi la 'ba
sciata tua.
Perché e' gli è tardi, e per non tenere più monna
Giovanna a
tedio, e per lasciare andare a letto
Ghuido, e perché io non so dove
io mi sono, e tu mi richonforti cholle lettere tue, ché sai che quando
tu ci se', tu ài che fare quanto tu vuogli, non che io ò ora la facenda
tua e la mia e sai bene chom'io poso stare a speranza di persono s'io
non fo fare io, e io non sono più sana ch'io mi sia; ma d'ongni
chosa mi darei pace, pure che fosi chognosciuto la metà di quello
ch' io fo. Idio ti ghuardi.
per la tua
Margherita, in
Prato.
Francescho di Marcho da
Prato, in
Firenze.
1398 Da
Prato, a dì XXIII d'
aghosto.