Padre mio. Dopo l'ultima, ch'io vi dissi in quella della mia
fanciulla, accadde grande caso, e tale che pensai non aver più da
scrivervi mai; che quattordici ore gridando penai a gittare una
pietra
come una uliva, ma più lunga, per la
vescica. L'avanzo pensate voi! che
non m'era fra' minori dolori vedermi innanzi tutti i visi dolenti della mia
famiglia. Pensai comparire a Dio per tale richesta. In fine non volle: ma
ben volle ch'io raccolga i miei pensieri a morire, e ad abbandonare ogni
terrena cosa. Così piaccia alla sua bontà aitarmi, com'io sono disposto a
farlo; e ch'io non venti marinaio in fortuna, che dopo pianto, a poco
spazio ride a riva. E'
medici e altri hanno voluto vedere questo sasso
durissimo. E con loro consiglio, ove non ho troppa speranza, piglierò
quella regola che potrà la spalla mia: chè credo la vergogna ho auta di
me stesso, di far due cucine, m'hanne qui tirato; dopo altre
pietre avea
fatte or fa più
anni. Non mi manca nè
danari
nè amici. Andrò così oltre: e modo di morire piaccia a Dio io non
curi; ma, ben tema, il modo del vivere. Arei caro da voi una
scodella di
ceci rossi, o più tosto
neri, se sono costà migliori; che mi verrà molto
usar quell'
acqua. Questi qua sono rinfusi e fatti per forza: e se cotesti si
molleranno, mandrò a voi per mezzo
staio, o quello arò bisogno. E
perchè qua non sono
malvagìe a taverna, anzi
bruschi del paese,
credendo voi avere
vino grande, anche n'arei caro mezzo
barile o un
barile; dico mezzo, perchè l'ho a usare di rado; e basterebbe uno
quarto
sei
mesi: a bevitori ghiottoni, de' quali il ventre è iddio, non sono per
dare. Sono rimasto cotal vano, ma sanissimo. Or per questo mi paiono
buone le vostre cose; non che voi me l'abbiate a porgere, ma ch'io me
n'abbia a torre io stesso: chè pur giova la fede m'avete, che v'ho ripreso
dello scrivere: chè questa sezaia mi faceste, con la lettera di
Francesco Federighi, ha più modo assai, che non soleate avere.
L'altra non ho ancor letta a quella buona gente di
mercatanti; che ben
l'ho a cuore. Questi
ambasciadori de'
creditori rimangono pure errati;
chè in niuno luogo non s'appicca bene la loro ragione. E alla
Mercatanzia
sono ito; e
Stoldo spesso: e nulla aranno, mi penso, sanza nostro
consentimento. Oggi se ne vanno, con ritornare altra volta: e tuttavia
siamo daccordo, se e' non n'escono.
A
Francesco Federighi ho fatta la lettera: farolla
copiare. L'altro
amico è
Domenico Giugni, che tanto mi servì in
Palagio contro il
cugino
Podestà di
Prato e contra
Francesco Ardinghelli: e poi
n'abbiano riso in
Mercato Nuovo
assai. O! costui sarebbe da sfangare ogni grave peso, ec
.. Altre
volte ne diremo. Ed è a me un altro
Guido: e poi
uscìe de'
Priori, già l'ho
tocco da lungi, e dissilo con
Istoldo pe' fatti delle
lane di
Fiandra. Non ha
questa
città niuno che gli vada innanzi d'ingegno e di prestezza: e anche
s'addirizza a vivere più mercatante che non solea.
Or diciamo d'altro. Io mi sto, per non desinare, allo
studio; e spassomi
con voi. Siate certo, che tutto vi ricordo per bene. E non v'entri questo
peccato addosso, che voi mai crediate che a quello c'ha da voi le
legne e
altro, io accennasse mai una parola, o cenno, che per mia opera o
cagione questo fosse; chè mi parrebbe fare furto del vostro onore, che
so nol pensereste mai: e in questo non sono com'e vostri innacquati
amici da
Prato.
Le lode mi date, penso siano per farmi ridere: se 'l facesse per altro, non
sta bene. Sapete io vaglio poco: e s'i' ho un poco fede, o piacemi un
pochetto l'onestade, (a Dio il dico) egli è egli: e però sarebbe pur meglio
a mordere gli errori miei, che lisciare un poco di fiore di buona
intenzione. Se
Guido me l'avesse fatto,
are'mi corretto; chè altro a
colui non mancava.
Ser
Piero vi ringrazia del buono
ser
Giovanni che tanto onorate. Dissemi
l'ha per meglio, che se a lui propio fosse fatto; però che
ser
Piero l'ama:
e vede che per lui e per me tutto fate, per una lettera
ser
Piero ha auta
da lui.
A
Nofri ho fatto ciò che bisogna da vostra parte; e tutti sono uno a ben
fare: benchè per ancora poco o nulla fanno di
mercatanzia.
Andrea ha
menato la donna con nozze di grande ispendio.
Peraccino mio sta
all'
abbaco;
perch'e
Ricci stavano a sportello alla tavola. E
Niccolò d'Andrea
è
gonfaloniere.
Perchè
Francesco di Matteo è infermo, non ho spacciati i fatti di
quelle donne; che, come intenderò le cose, le porrò, credo, in buona
pace per vostra parte, mediante la ragione. Non dico più; se non che
troppo m'è piaciuto il buon parlare avete fatto or meco: chè veggio
vedete ch'io non cerco vostre cose, se non quand'io ne volesse torne:
che non che con voi avesse onesto ardire, ma
are'lo con uno
saraino a cui io volesse bene, se bene se gli può volere. E molto m'ha a
dare, e molto mi consola che di me mai pensiate; che mi basta averlo
dato il pensieri a me. La morte vi farà pruova per ch'io v'amo, o se per
oro o per
ariento o per mondana cosa.
La fanciulla mia è pur così; chè quel
garzone sta pur duro a certo
pregio: da me non è per averlo mai, nè egli nè altre, più ch'io abbi
diliberato di spendere. Se mi profferrete nulla, dirò che poco abbiate a
mente la lettera buona m'avete mandata ora. E io non n'ho bisogno.
Vedete il buono Iddio! che sempre pensai o
vendere il mio per maritalla,
o richiedere due o tre amici, e voi il primo; e ora non
vendo, non
richeggio, e ho tutto. Dio sia benedetto
in secula seculorum.
Ser
Giovanni penso ne sarà venuto. Salutate la
comare. Ricordatele che
qualunche consolazione arà, salvo che di leggere di Dio e pensar di Dio,
sarà vana: sì che non si curi per non scrivermi. Iddio la salvi, e noi nella
grazia sua. -
LAPO vostro, in
Firenze,
sabato XXII
gennaio.
La forma è questa, salvo un poco più un poco meno, come vi
parrò, o come vedete per quello vi dico di
Domenico Giugni e di
Francesco Federighi. E dite così a tutti generalmente:
«Onorando mio maggiore. Aveami posto in cuore di questa materia non
parlare. E veggio nol posso fare, chè gli amici non mi lasciano, a' quali
vo' più credere ch'a me. Io non seppi mai vedere che differenzia sia da
vivere in patria, o un poco più là che la patria, pur che l'uomo fosse
amico di Dio e infra quelle persone che l'amano. Io ho costà poche
possessioni; non credo, fuor delle
case,
vagliano
fiorini 2500. Pregovi
albitriate bene quello che a me si viene di
prestanza, tra quelle e gli altri
traffichi, o viluppi, ch'io ho; e compresa la verità, operiate co' vostri
amici ch'a me sia fatta ragione alla
prestanza. Che l'arò così caro per
non vedervi far torto, come per utile ch'io ne speri; però che 'l mio ho
già destinato di cui debba essere, a onore di Dio; e altre riceverebbe più
torto ch'io: non penso io averci tanto a vivere. Se qua, o dove fossi,
potesse far cosa di vostro piacere, mi richiedete come vostra cosa.
Cristo vi guardi; e a me metta nell'animo tornare a vivere con voi e con
gli altri amici, se dee esser meglio dell'anima mia.»