Poco fa, da la mano di
Stoldo, ebbi vostra lettera, rinchiusa in
una di
Guido
fattore, ove mi gravate assai di dirvi il vero della stanza
vostra. Io vel dico volentieri spesso; però non bisognava tanto isforzare
la cosa, che da sè corre. E prima mi dolgo, che poi foste costà non si
perdè mai lettera vi mandasse (che m'era consolazione); e ora le lettere
avea fatte, con molte
copie e forme a cui doveste scrivere, sono perdute
per averle
Stoldo date a non so che
vetturale: che fu mal fatto. E se ne
vorrebbe far coscienza, dar lettere a chi ha tanto a fare, ch'egli è sul
morire; che così sono
vetturali sempre. E io mi meravigliava poi, quando
udiva dire:
Francesco torna! perch'io diceva: Egli è pur sì sottile
d'ingegno, quando e' vuole, che l'avvisamento buono gli gustarà, e
appiccaravvisi.
Io vi diceva che, a buon fine era ita voce fra'
Venti delle Prestanze,
e a tutti era piaciuto, che coloro che fossono di fuori fossono sì
trattati, ch'egli avessono voglia di tornare, e far buona la terra. E aveavi
detto, che l'aver voi qui poca possessione, con l'esser voi in su l'ale atto
a volare, vi dovea far molto meglio che vedervi qua appollaiato, con la
voce ch'avete, più che l'usato. Or vedendo non mi rispondavate, e pur
tornavate, pensava il
pasto non vi fosse piaciuto; e dicea: E' ne vede più
di me! Ma non mi parea, questa volta. Ben potreste dire: Che non
radduplicavi le lettere? Dicovi ch'io fo, per modo di dire, miracoli, alla
faccenda che ho, se 'l cervello non si macchia; ma in verità e' patisce
pena: io me n'avveggio spesso.
Arete aute mie lettere e
copie di nuovo: seguite di scrivere come vi
pare; chè e' non è da gittarla a drieto. Io vi dico che si dice, ed è vero,
che se costoro seguono i principii, e' racconciaranno questa terra con
porre la
prestanza al soprabbondante. Non vi dispiaccia ch'io dica così,
ch'egli è pur vero: ma che gli amici nostri, che reggono, e sono pur
buoni nell'altre cose, vogliano anche qui essere. Or m'avete inteso.
Pigliate partito come a voi pare: io ho voto il sacco. L'avvenire sa Iddio:
esso provvegga.
De' fatti di
ser
Schiatta si pigliarà modo. Sarebbe lungo ora dirne mio
pensiero: ma co'
compagni de'
creditori
sindichi, mi dà cuore
acconciarlo. Ma vorrà qualche andata, e tempo. E al peggio peggio, ogni
volta ci sareste per otto o quindici dì, quando qua vedessi che nel
maggior fatto non vi pregiudicasse.
Di
Tanfuro si vuole pigliar almeno questo, che metta uno in suo
cambio, tanto ci si pigli modo; ove voi non torniate ora. Voi ne
dispiacete a chi v'ama, ed è tenero dell'onor vostro: di me non curate,
ch'io cognosco
Tanfuro, e voi me.
Di quella gente s'ha pur sospetto: e qua s'attende a' ripari, con costo e
con gente. Questo non manca, vincendo noi il nimico, perdere nelle
borse. E Iddio sa tutto: più non è licito dire.
Del ripigliar coloro le
dote, né mio consiglio hanno né mio favore, nè mai
ne fui domandato. E penso, per alcuno spiraglio m'è trapelato, colei si
rimaritarà. Voi scriveste bene, che di quello
Inventario elle ne stessono a
mio detto. D'altri lor fatti non m'avete mai scritto, se non di quelle
gabelle: fecine ciò che pote'; e così v'ho risposto per altra lettera, come
dice questo
capitolo.
A
Meo scrivete una lettera paia venga da voi: diteli come e' sa fare di
non scrivervi: e conchiudete, che ne' fatti che portano, faccia che i miei
pareri gli paiano suoi; e se non gli piacciono ora che è giovane, gli
piaceranno quando conoscerà più. Buono è, e onesto, e bottegaio, e
sanza vizii tristi, e di poche parole e buone, e buone usanze. Temo non
somigli
Falduccio in suoi cotali pareri! che dovrebbe darsi a credere, che
'l parere degli altri non fossono sì vani; come che non v'imbizzarrisce
però su: ma vorrei non si desse a credere troppo le cose. Oh Iddio
provvegga! il mondo va, e la ruota non resta; e noi voliamo, e a' beni
eterni poco pensiamo. -
SER
LAPO vostro. XI di
maggio.