Al nome di Dio, a dì 28 di
febraio 1398.
Iersera n'ebi una tua, e gli
spinaci. Per
Nanni mando a choteste
fanculle, la
'salata che c'arechò la
parente di monna
Ghita, e rispondo
a la lettera chome che male s'intenda. Chostì non poso esere insino a
domenicha sera, e Idio sa quante chose io òne a fare in questo mezo.
Di nonn avere vicitato la donna di
Vieri, nonn è a dire altro: vorei che
fosse fatto. Dicemi
Nanni che la vicitò: te ristorerela, e faremo ciò che
sarà da fare.
De'
panni sucidi nonn è a dire altro, e de'
panni di
Ghuido che
rechò
Nanni.
Di
Maso di Nicholò nonn è altro a dire: io ne iscriverò loro, o ogi
o domane, per modo m'intenderanno; e s'io non avesi a rispondere a
la lettera, te la manderei chostà, a ciò la mostrase a
Nicholò. Dice
chosì il
chapitolo di Tomaso: "non so che dirmi, se non che di lui si
può istare a fidanza chome che non ci fóse, e' nonn à il chapo fermo a
nulla, e certo, se non muta modo, e' non sarà mai
merchatante, e fa
dispiacere, a
Nicholò ed a me, ongni dì cento volte. Al
padre lo
scriverò per ischusa di me. Sarà buono, voi e 'l
padre, gli scriviate, e
che se non muta modo arà a prochacare d'altro; e ditegli di suo stato,
sì che e' non si dia a 'tendere d'esere riccho". Del
drapo che tu di'
cche m'ai chiesto, non so qual s'è: dillo a
Nanni qual è e io te lo
manderò di presente. Perché
Nanni vuole partire, non ti dicho altro.
Idio ti ghuardi.
per
Francescho di Marcho, in
Prato.
Monna
Margherita, donna di
Francescho di Marcho, in
Firenze.