Al nome di Dio, a dì viij d'
aprile 1399.
Io ti scrissi istamane quanto fu di bisongnio, e dissiti brieve perch'io
non aveva tenpo di scriverti a pieno e ancho ora ò poco tenpo di
scriverti troppo lungho.
Per quella di stamane, ch'era molto per tenpo, te dissi che
Angnolo di Niccholò
istava assai bene e che non mi pareva da dubitarne. Or
dappoi, io andai di buon'ora istamane a
casa
Nicolò per sapere com'egli
istava, e in efetto io truovo ch'egli ebbe istanotte una gran
bussa chon una gran
febre e istamane, per simile modo, à 'uto e
ancòra l'à una gran bussa, di che nnoi l'abiàno mostrato a questi
medici
migliori che cci sono; e in efetto e' ne parlano, quelli che l'ànno
veduto, tutti per una boccha e che de' fatti suoi è da dubitare forte.
Di ch'io dilibero, per iscaricho di me e d'ongni cosa e per fare il
dovere, che ssai ch'io nonn ò più niuno che m'attengha quanto costoro,
che all'auta di questa lettera tu mandi per lo
maestro
Giovanni, e
che ttu sappi da llui, se di grazia e' fosse in punto di poterci venire
domattina, che ci fosse a ora di mangiare; e sse non potesse così domattina,
vengha domane dopo mangiare il più tosto che può, però ch'io ò
fede i llui. E perch'egli è nostro amicho, come tu ssai, e penso che
mediante la grazia di Dio egli farà quello gli fia possibile per rèndelloci
sano. E però fanne ciò che ttu puoi perché ci sia prestamente, il più
che ttu puoi.
Chome tu ssai, io nonn ò persona a chui io debba portare amore e
che m'atengha tanto quanto fa
Nicolò e'
figliuoli: di ch'io sono tenuto,
per l'amore ch'io porto loro, fare in questi casi, come sono questi,
quanto farei per la mia propia persona. Di ch'io mi sono pensato, in
quanto a tte paresse, che sse fia pure bisongnio tu vengha insino qua,
e potrai menare la
Lucia e lla
Fattorina e lla
Iacopa; e costà potrai
lasciare, cholla
Franciescha tua, la
Chaterina e lla
Ginevra; e costà
manderò
Ghuido che ghuardi la
casa tanto quanto tu istarai qui. E
pertanto vedi quello che tte ne pare, e avìsamene prestamente; e io
starò a vedere, di qui domattina, com'egli istarà, e ss'io vedrò ch'egli
pegiori, io ti manderò costà
Ghuido colle
cavalchature per modo tu
potrai venire a tuo posta e coxì ti manderò che potranno venire
cotest'altre femine ch'io ti dicho. E sse ttu verrai, potrai serrare nella
chamera tua - dove noi dormiàno - le cose che tti paranno, sicché per
la
casa non rimangha ogni cosa alla sbandita. Or tu ssai quello ch'io
voglio dire, sì ch'io sopra ciò non ti dicho troppo ch'i' ò assai maniconia
e dispiaciere, e di questo e di altre cose, si ch'io ò assai che
pensare: di tutto sia lodato Idio.
Perch'io ò assai dispiaciere e maniconia, non mi può ricordare di
tutto, e non mi ricordava di monna
Giovanna. E però ti dicho che a
mme pare che ttu lasci costì lei e lla
Iacopa con cotesto fancullo, e dì
a monna
Giovanna, che mentre tu non vi se', che ghuardi la
casa
come fa bisongno. Qui mi pare tu meni la
Fattorina e lla
Lucia, acciò
che nnoi abiàno qui chi cci serva. E io manderò una
bestia che lle ci
rechi qua: or questo mi pare da ffare in chaso tu abi a venire. Io
t'aviserò domattina come le cose seghuiranno e ssecondo potréno
prendere partito.
Altro non mi ricorda averti altro a dire. Idio ti ghuardi.
Franciescho di Marcho, in
Prato, a
nona.
Saracci una lettera va a
Gienova: dalla a
Stoldo che lla mandi per
modo salvo.
Monna
Margherita, donna di
Franciescho di Marcho, in
Firenze, propia.