«Al nome di Dio. A dì 25 di
dicembre 1400.
A dì
vi mandai l'utima, e dissivi il bisogno: di poi ieri n'ebbi due
vostre, alle quali non ho tempo, perchè parte chi porta, farvi risposta a
tutte le parti; ma solo vi farò risposta a quello è di bisogno, e l'avanzo
farò per lo primo altro, se piacerà a Dio.
De' fatti di
ser
Schiatta non n'è altro a dire, se no che in voi e in
Istoldo rimetto largamente quanto più si può tutto, che ne facciate alto e
basso come vi pare: che di tutto quanto farete rimarrò per contento, e
terrò per bene fatto: sì che a voi ne lascio ora il pensiero, che ne
facciate come vi pare. Ma di quanto m'avete scritto sopra a questa
parte, è uno perdere tempo a voi e a me: e di certo,
ser
Lapo, voi non
mi conoscete ancora (di che mi grava); ma ancora verrà tempo che voi
mi conoscerete, in però che, secondo natura, voi dovete vivere più di
me; e praticherete molte persone che vi parranno dassai, e nella fede gli
troverete dappoco: e se la fine mia sarà quello ch'io mi do a intendere,
allora mi conoscerete, come ch'io credo che voi direte ch'io sono di que'
del 48: perchè e' si dice così de' mia pari; ma se corresse la mia
moneta
come fa di molti altri, voi muteresti proposito, e direste ch'io fosse di
que' buoni Romani che vollono morire per la
Ripubblica: ma e' non se ne
truovano più, se no come de' màrtori confessori si truovono assai. Iddio
mi dia grazia ch'io sia màrtero, s'egli è di suo piacere.
«Perchè a voi non debbe essere sagreto niuna cosa se no come a me,
avendo stanotte letto insino a le sette ore; andandomi a letto, mi trovai
di sotto alla poppa
diritta una
bollicina a modo che uno
fignoluzzo. Dovete credere
che io non fu' sanza pensiero e malinconia assai, considerato nello stato
in che io mi truovo. Annoverai le dieci ore; e stamane venne il
medico a
me, e ditemi ch'io non tema, che nonn'è nulla: ma tutta via, e' fa come
fanno i loro pari, che di buona guardia m'avvisa ch'io faccia. Or come
che la sia, s'io avesse fatto inverso il mio Creatore uno
anno quello ch'io
debbo, e rendutogli la metà di quello m'ha prestato de' beni temporali
colle mie mani, direi
Te Deus ladamus! E così caro are' la morte
come la vita: pure che fosse piacere del nostro Signore Gieso Cristo. Or
io non vi posso dire più per questa, se no ch'io vi priego che voi pigliate
quella sicurtà di me che voi potete; e tenete a certo come di morire, che
mai aveste nè arete niuno di cui possiate pigliare quella sicurtà che di
me: non per mia vertù, ma per grazia di Dio, che me lo dotò il primo dì
ch'io nacqui: e se io avesse tempo, io ve ne direi di largo, ch'egli è così;
ma non ci è il modo, perchè l'amico vuole partire. A
Prato non ne
scriverò più nulla: ma se considerasti bene ciò ch'io dico e ciò ch'io fo,
non vi maraviglieresti così del mio scrivere. Ma io mi do a 'ntendere e
che voi e
Stoldo mi siate nel cuore; e che voi intendiate quello ch'io
voglio dire, meglio che io che 'l dico. Ora voi avete troppe cose
nell'animo, ed è impossibile che voi possiate vedere l'animo mio com'io.
E pertanto sopra a questa parte no mi voglio stendere in più dire: se no
che di bello nuovo vi dico, che de' fatti di
ser
Schiatta e d'ogni altro mio
fatto, io sono contento che voi ne facciate alto e basso come a voi pare:
e sì vi prometto nella mia buona fede di non venire contro a cosa che voi
facciate; ma tutto tenere per bene fatto: e sia che vuole;
di tutto mi lavo le mani, come fe Pilato di Cristo. E però di tutto
fate come vi pare.
«La
malvagìa e
romanìa è partita di qui ieri. A voi lascio il pensieri di
tutto: ch'assai ve n'ho detto per più lettere o
polizze. Iddio vi guardi
sempre. Per
FRANCESCO DI MARCO da
Prato, in
Bologna.»