Dal vostro
fondaco ebbi quella recò
ser
Giovanni, con quella di
Domenico Giugni. E non ebbi tempo a leggerla, se none in
Palagio de' Signori: ove attendendo risposta da'
Dieci pe' fatti
d'
Antonio da Camerino, tutta la vidi. La quale mi diede nuova
consolazione, forse più che mai avesse di vostra lettera. E questo fu, che
veggendo quante volte e in quanti modi mi mostrate avere ottima
fidanza di me, che quando la cosa vostra passa per le miei mani ne
vivete tanto sicuro, per fede che vedete ch'io v'ho, e per un poco di
pratica ch'io ho con le genti; e veggendo come di me vi consolate, e
credete che ogni errore io vi racconci; non potreste immaginare quant'io
fui contento. E non pigliate che a mie lode lo scrivesse: ma solo guardai
dentro al cuor vostro verso me, che mi fu grandissimo dono e
allegrezza. Intanto che mi deste nodo Salamone alla carità ch'io v'avea;
chè, credetemi, egli è un grande presente all'amadore, che l'amato
se n'avvegga. Io vi prometto ch'io venni co' pensieri tanto oltre
(e Iddio il vede, e questa verità mi lascia dire), che io pensai fra me
stesso così: O se io, vermine
creatura vile disonesta e bestiale, ho tanto gaudio che uno speri in me,
ch'io mi metterei per lui a ogni grande affanno; che sarebbe di noi, dissi
io, se noi avessimo ottima e amorevole fidanza in
messer Dominodio,
che ci fe e creocci? Per certo, noi ne faremmo tanto appiacere
onore a Dio, che nulla mai ci mancherebbe. E dolfimi meco che con Dio,
tanto buono e tanto paziente, non averlo io saputo fare. E così
contemplando, pe' miei difetti, si bagnarono gli occhi.
Compare, così
fossi io atto e forte a potervi aitare, come io sono atto a volere, e fui
sempre; ma che voi l'aveste creduto! io dico non aitare da' piati e dalle
frasche, ma aitarvi a essere buono, in grazia di Dio, giusto, paziente, e a
vivere nella pace di Dio, e nella consolazione della mente; sì che viveste
lieto e moriste contento.
La lettera di
Domenico stava sì bene, che nulla bisognò toccare.
Puosigliele in mano, e andai via. Altra volta gli mostrerrò ch'io voglio
ch'egli ami voi e
Stoldo; e farallo: e spero ve ne vedrete prode ed onore.
A quell'altro, a cui volavate mandare quello ch'a lui, nol fate ora:
sostenete; chè ogni cosa vuole modo: e sarete più accetto altrui. E in
queste cose si vuole avere molto l'occhio a guardarsi dagli invidiosi; che
sappiendo di queste cose troppe, morderebbono il bene; e non farebbe
per l'una parte nè per l'altra.
Se 'l
barile viene in
casa vostra, io l'ho: se viene in mia, e' basterà dieci
anni; e aretene più e più spesso, che se l'aveste voi; chè in uno
mese vi
sarebbe a diletto
beuto. Di
Barzalone non temete:
Niccolò da Uzzano v'ha
riparato per ora; e se nulla mancherà, credo farlo io. Abbiatene
pazienza; chè 'l mondo dà così: e almeno no gli è fatto per ingiuria e
errore: modo vi si vedrà. Siatene certo, e a me il lasciate: a Dio prima.
Ser
Giovanni ha tanto detto a
ser
Piero di voi e di vostra
famiglia, che è
troppo. Caro l'ho, ciò che fatto avete: se non che troppo isturbo n'avete
auto; che non si fa per certo per voi i forestieri, se non come per me.
Ora è pur così. I
danari pagati daremo a
Stoldo, per vostro
conto
proprio. Delle profferte a
ser
Piero,
ser
Piero vi risponderà, dice, di sua
mano.
Ritorno a
Domenico. Tenete di certo, che voi mi fate de' cenni e de'
modi da poco in qua da dare scacco a
Giovanni d'Arrigo: voi
m'intendete: ma è meglio a dire a
Guido, ch'era più reale. Cioè, che
questa mandata è stata ardita, e da gentile animo; da farlo ismemorare
nel vostro amore. E certo io non ve lo scrissi; e tal cosa non sperava;
come a lui credo dire, in frall'altre. E fia stato buono pensieri, e alla
prestanza e a tutto ch'avvenire potesse. Vedretelo, s'io non mi inganno.
Benchè la
prestanza andrà adagio; e andrà a Ventina; e non sarà che
non vi sia degli amici. Quando sarà da farvelo assapere, il farò. Statevi
per ora. E ne' bisogni e nelle oneste cose, abbiate il vostro tesoro per
vile: altrementi terrei non foste signore d'esso, ma e' di voi. E però mi
piaceste a dire: Non guardare ad avarizia; ne' fatti altrui sono stretto,
ne' miei prodigo. Faceste bene a così dire.
Del fatto della mia fanciulla, vi rispuosi ieri: fatene
vostro parere; pur ci ho un poco l'animo. Ma al modo detto di
sopra, in Dio ho speranza; chè quando così fo con verità, ogni cosa mi
riesce prospera. Se pare a voi, a me pare facciate quella lettera com'io
vi mandai in
copia. Un poco mi fa attendere a maritalla tosto, perchè mi
pare ella non fia grande: e voi sapete quel che la gente vuole.
I
creditori da
Prato sono addormentati: per voi si fa.
Oggi ebbi le
scodelle: gran mercè della sollicitudine vostra: io l'avea
travalicate; e attendeva quando ci foste, chiederne; chè qua non n'ha.
Una
giarra ce ne venne; e prima fu
venduta a
ritaglio, ch'io il sapesse.
E le mie di
villa feciono meno in quello furore ch'io ebbi di mia
madre,
con altre cose, per tanta gente v'abbondò.
Altro non ci è a dire. Sono rimaso assai sano; se non che pochissimo
mangio, e nulla nulla patisco. Iddio provvegga. -
SER
LAPO, primo di
febbraio 1400.