Padre carissimo. S'io in questi dì vi tribolo troppo con mie
lettere, da questa parte mi perdonate, ch'io n'ho diletto. Altra volta
verrà dalla parte vostra forse a
scriverne a me, più che non fia il bisogno. Questa vi fo solo
perchè se udiste di
prestanze nulla, statevi; fate vista che a voi non
tocchi: e se v'accade, dite o scrivete: Io non sono per pregare più i
cittadini. Caro arò facciano sì ch'io torni a
Firenze: e se sanza mio difetto
sarò oppressato, ancor caro l'arò; chè poco o nulla vaglio: ma sanza me
faranno, con poco utile di loro, in modo mi sono assottigliato a
Firenze di
tutto. Or queste, o simile, sarebbono (al mio modo) le parole o lettere
vostre: e scrivete a
Stoldo, che a niuno ne favelli per altra preghiera; e
lascerete guidare a
Domenico nostro questa faccenda; che ancor no
glien'ho parlato.
Nofri d'Andrea è de'
Venti a far la
prestanza;
e
Niccolò, o vero il
fratello, da
Uzzano, e altri tali: che ringraziate di
questo Iddio, ch'io penso da loro arete cortesia; e la cosa andrà sì
adagio, che arete bene tempo d'esserci, se bisognerà. Tutto dico perchè
facciate ragione che non tocchi a voi; e nell'animo godete. Attendete ad
altro; e a me lasciate, s'io vivo, questo pensiero d'avervi avvisare e
consigliare. E questi
Venti hanno a fare il tutto: e non si fa più Ventina
che questa. Non ho ancora per stasera auto tempo a sapere chi siano gli
altri. E io vi scrissi oggi al
fondaco vostro, che s'aveano a far più
Ventine: e io non sapea il vero, chè no l'avea cerco.
Stommi pur così del mio difetto, e vivo a speranza: siatevene contento
come sono io; chè non vorrei non averlo, poi che penso Iddio il permette
per salvare l'anima. Stando io sempre sano, avendo buoni
figliuoli,
grande
inviamento, molto tesoro acquistato, nulla arei fatto, s'io
perdesse me medesimo: forse, e sanza forse, avea qualche superbia o
vizio nell'anima; che d'avventura questa visitazione il levarà via. Io
stava troppo bene, e troppo
godea questo mondo: ora ho chi mi ricorderà spesso la nostra
fine; e che gli
anni hanno a venire sono fatti come gli
anni passati: che
so che vi pare uno
anno, che povero
garzonetto andaste a
Vignone! E
che giova (disse un savio) se tutta la
cittade facesse il signore bene
guardare, e lasciasse nelle
mura una buca, onde i nimici potessono
entrare? La buca mia era la mia santà, in che io mi gloriava. Or mi viene
pensare d'altro: e pur ora scrivo ritto, s'io voglio potere avere poi il
benificio dell'orina. Così ricordo a voi. None istimate quello che
possedete, ma istimate quello che siete. E ingegnatevi pensar di Dio
spesso; e Iddio ci darà grazia ci ritroviamo insieme, e viveremo quello
piacerà a Dio ancora in grande consolazione di mente; che mai diremo
d'altro che di queste cose. Iddio il permetta.
Dopo questo buono pensare, mi viene anche cogitare del prossimo. Io
non ho troppa
famiglia, e avanzami
roba all'animo mio. Oggi
pagai
contanti una
balla di
ferro a
Meo, cioè
acciaio in piastre: e vedendo che
'l suo lavorare potrebbe gittar utile a
Lionardo, e forse
Lionardo ci farò
tornare per queste novelle s'apparecchiano, ho detto a
Meo ch'io voglio
prestagli venticinque insino cinquanta
fiorini; e rivògli di punto in punto,
come e' piglia; cioè prestagliele solo in
comperare
ferro detto; e esso
lavori quanto può. E però arei caro per la prima m'avvisaste per quanto
areste costà il
centinaio dell'
acciaio in piastre; e che
costarebbe di
gabella costì: poi m'avvisarò con lui da
Bologna in qua. È vero,
facendolo venire da
Brescia verrebbe meno. Non ci voglio metter
più che insino
fiorini cinquanta; che n'ha forse ora
Stoldo de'
miei XXV: e io ve ne starei, se di costà mel levaste. Questo di stasera è
costato qui a
contanti più di
fiorini 4 e mezzo il
centinaio. Avvisatemene
per la prima: poi il tempo, e Dio prima, consigliarà. Vorrò prima udire
Lionardo; e anche dal dire al fare ha assai. E nulla togliete, se prima
deliberatamente non ve lo scrivo. -
LAPO vostro. V di
febbraio.
Siamo qui a buono porto de'
danari d'
Antonio da Camerino. Lodato
Iddio!