Al nome di Dio, a dì xij di magio 1394. Ricevetti tua lettera e chon esso quanto mandasti: rispondo apresso. Della lettera di ser Lapo non è altro a dire; se avessi detto che 'l Fattorino l'avesse letta loro, non te la arei rimandata, ma io mi credetti che per la sopraiscritta tue no lla avessi loro mandata e, chome che pocho montasse, pure la ti volli rimandare. De' pipioni non è altro a dire: non furono buoni, ma pure gl'abiamo mangiati. Credo ch'e' detti pipioni abiano charestia d'aqua che lgli mancha perché è loro molto di lungi; credo quella cholonbaia dal Palcho sarebe molto milglore che quella. Or chome ch'ella si sia, dell'una e della altra ò pocho pensieri. Chosì piacesse a Dio ch'io t'avese creduto di molte chose, dov'i' òe preso grande piacere e tue il chontradio. Ora è lla chosa pure que; e chaciare e noe pilglare verebe a dire pocho, vengnamo a' rimedi e questo è il meglo ci sia. Piacesse a Dio ch'io t'avese creduto di molte chose, io dicho della magiore parte. Dè' fatti di monna Simona non è altro a dire; quando a punto ti viene, dilgliele, che paia che da tte vengha, per quello savio modo ch'a tte parrà, chome che pocho monti, non di meno non puote nuocere. Io mi credo ch'ella ti volgla bene, e ònne ragione per pùe chagioni, e credo ti dirà il vero; e non puote altro che giovare, chome che nella fine s'io arò servito non ne debo essere diservito, e sia che vole. Di zucharo e altre chose avesti per Nanni di Lucha, non è altro a dire. Dello mandare a mulino, fae chome ti piace. Manda per Nicholaio Martini e dilgli facca che Cervello macini uno mogio di grano per lo modo saprà fare, e màndavi Mattarello e fallo macinare inn una volta o in due sechondo parrà loro, e fallo innafiare in chasa a Mattarello chome suole. Non è ora in sì grande pregio il grano che bisongni avernne tropo grande paura, pure non mi sia ischanbiato. Màndavi Mattarello e dilgli quello ti pare: tu sai di quello ch'elgl'è vagho e tue lo saprai ben a dire. Della mia malinchonia no bisongna dire altro, se nno che per mio difetto è, in però, s'io avesse fatto e facesse quello ch'io drovei, questo non mi interverebe; ma i' òe fatto e fo quello non debo e io ne porto bene la pena, e chosì adiviene a chi ffa quello no dèe. Di tutto sia Idio senpre lodato. Io sono dengno [ms.: + dengno] di questo e di peggio perché io l'òe molto bene meritato e via pegio ch'io non ò; e s'io avesse creduto a chi bene mi vole, forse questo e molte altre [ms.: moltre alte] chose che m'ànno dato pena e danno e faticha e verghongna non mi sarebono adivenute. Di tutto sarà per lo mio melglo per la grazia di Dio, e di certo io credo, chome credo morire, che Idio mi fa ed à fatto questo per mio grandisimo bene, no perch'io il meriti, ma per la sua santisima miserichordia. Io non torno chostà alchuna volta perché queste sono chose che mai non si volglono abandonare, e s'io non ci fosse pocho troverei chi se ne churerebe. Ed ancho atendo a pùe chose che sono di grande bisongno, che di certto io credo che Idio, per sua santa miserichordia, m'à data questa tribulazione per farmi richonosciere de' miei erori perch'io mi schonosciea tropo da lui; e credo certto, chome io credo morire, che tutto fa per nostro melglo, non perché noi lamentiamo ma per sua miserichordia e per qualche bene che noi abiamo fatto, ed elgli lo ci vole meritare mille per uno, chom'è di sua usanza: di tuto sia elgli senpre lodato. De' fatti di ser Lapo, chome tu di', molto m'è venuto male a punto che non c'è istato, in però io non ò qua altro richorso che a Dio, a chui richorro il dì 3 o 4 volte; per questa è una chosa che ciaschuno non è vagho di pilglare questo incharicho, anzi ongniuno fugie i ranno chaldo e chie vi s'inpacca una volta fuge l'altra per la pocha giustizia e ragione ch'è in questa città. E non ci si atende se noe a rubare l'uno l'altro e fare ongni male; e d'altra parte io non mi ci sono ritenuto chon persona, nè fatte delle chose di che e' sono vaghi. Non è da maravilglare s'io non truovo chi ssi volgla di ciòe inpaciare, e c'è mortta la giustizia, miserichordia e piatà e fede ed amore; ciaschuno va di dreto a quello crede che melglo gli metta; in parole a tuti ne rincrescie e dichono che per certto in Firenze non si fece mai pùe ischonca chosa che questa, ma niuno non si leva a dire che questo non si dèe soferire. E non sono pure io, e c'è meser Roselo d'Arezo, ch'è istato preso 3 volte ed è valente giudice; ènne uno in pregione, ch'è stato chiarito 4 volte, che non à a fare nulla chollo Ghonfahone delo Dragho, e chosì ci à d'altri che sono in tanta pena quanto io, e pùe; e no ne dubitare che se non fosse Guido, e' m'arebono manichato vivo vivo, e niuno oserebe dire il chontradio perché ci sono mortte le chose iscritte di sopra. I' òe fatto questo dì la chonchordia chollo Ghonfalone cho nostro grandisimo danno; ma noe puote essere danno pure ch'io mi lievi questa malinchonia che nm'à chonsumata l'anima e llo chorpo. Non è per danari, ma per la 'ngiuria mi vegio fare a chosì grande tortto; poi imagino, ed òe grande paura di Guido, per gli pecchati di questa città, che i buoni uomeni non ci ànno luogho. Ora, chome ch'ella sia - che sarebbe lungho a dire tutto -, i' òe fatto uno achordo cho detto Ghonfahone e sono libero da loro pure Guido sia chontento, che in questa ora ne vo in Palagio a parlare cho lui, che a lui istà il tutto. E fatto questo, si vole vincere una pitizione accò ch'io sia fuori dello estimo, che tutti questi modi e pensieri chonviene avere a me accò ch'io no rimangha chostì a l'estimo perché òe paura ch'io non fosse tropo gravato. E d'altra parte, chome tu sai, e' noe basta estimo: quando a punto viene a chostoro, ponghono prestanze allo chontado, il perché io volglo esere innanzi cittadino e troverò modo che io non ci sarò tratato altro che bene, in però tutto Firenze sa il tortto e lla ingiuria che mm'è fatta, credo averci ongni grazia. E a questo no ne atendo se non ser Lapo, che llo atendo in questi 4 dì. E chome che lla chosa vada, io non posso altro che bene chapitare, ma ch'io mi lievi questo dolore dallo chuore. I danari non ci ànno a fare uno grande male, e se lla ingiuria m'è fatta io non sono il primo, anzi mi spechio a molti milgliori di me, e que e asai piùe parti sono istati oltragiati per invidia; questa non m'è verghongnia niuna in però no lla mi fa uno uomo di niente, anzi si puote dire tutto Firenze, e io sono uno vermine a petto gli altri uomeni che ànno ricevote delle chose pegio che queste. Io t'òe dette molte chose, perché tue sapi tutto e per isfogharmi techo la malinchonia; potrà esere ch'io ti verò a vedere domane o ll'altro, sechondo rimarò ogi d'achordo chon chostoro d'alchuna chosa. E venendo ser Lapo, non verrò per fare fare la pitizione; non venendo, potrà essere ch'io vi verò, e staròvi tanto ser Lapo ci torni. Non ti poso dire pùe. Idio ti guardi senpre. per Francescho di Marcho da Prato, in Firenze. Monna Margherita, donna di Francescho di Marcho, in Prato. 1394 Da Firenze, a dì 12 di magio.