Al nome di Dio. A dì 29 di novenbre 1398. Per Nanni abia' ricevuto vostra lettera: apreso vi faremo risposta. Per chagione che Nanni è gunto istanotte a ore quatro di notte, fare' pichola risposta, perché non n'è di gran bisongnio. Del fatto d'eserre dì XV che tu se' chostì e del veghiare, no' bisongnia che tu me ramenti, che d'io ne sono più che certa che tu veghi ed ài pocha chura di tua persona: di questo porto gran pena e non ne poso fare altro. Dice Nicholò che non paghò ghabella di que' llana grosa, non di meno sarà Ghuido domane da lui e saprà tutto di nuovo. Noi ti manderemo la choltrice ch'era ne l'orto e manderenti chon esa uno materaso, il miglore ci sarà che si chonfaccia chon esa. Tu non mi di' nulla d'un materasso; mi pare che sarebe di bisongnio per quella choltrice Nanni à arechato chostà e mi pare che ora v'abia choltrice asai; non di meno, se tu ve ne vorai una per Nanni, io m'era pensata, se ti paresse che chostà àe una federa che e' si mandò, che Domenicho la facese enpiere, mi parebe da enpila di quella choltriche che à la famiglia che si fe' per la Lucia ch'è su dove dormìa la Ciglia, e io so ch'io l'enpie' ed enpiela tropo, sendo di chative penne e senpre ebi animo di chavarne, se tti pare da 'ndughare tanto ch'io vi sia e mi dà chuore d'achoncare quella coltricella ch'ella starà bene e quella ne starà di meglio, perché le penne chative non vorebono mai esere trope nella choltrice. Due chagioni m'ano tenuto qui: l'uno si è perch'io sono stato di mala voglia, l'atra si è perché io so che queste chose ànno a venire a Firenze, e niuno le sa meglio di me, ch'io sare' venuta chostà, io e lla Lucia, e arei chonpiuto il boto mio e aremo chotto e fatto quelle chose che vi sono a voi di nicistà e voi aresti ateso a fare miglore chose che non sono quelle e, a mio parere, saresti istato meglio e chon più tuo onore e di più mio chontentamento; io ti priegho, se tu v'ài a stare più, tu me lo mandi a dire e veròvi io e la Lucia e sarà i' meglio, e ispaceretevi più tosto. La malvagìa ò auta e l'otriacha, ed òne beuto uno pocho stasera ed àmi fatto uno gran bene ed àmi quasi ghuarita. Del pane ti manderò tanto ch'io credo tu n'arai asai insino lunedì; ma io credo sarebe bene tu ci tornasi qualche dì. A monna Giovanna era presente quando la lettera si lesse, e udì quanto tu di'; dice che Idio vi dia buona vita e rachomandasi a voi e dice la rachomandiate a Tomaso. La choltrice di monna Margherita della Maglia non dèe istare bene nella letiera ti mandai, ma mandoti la choltrice vi sta bene. Delle chose di Baldetto, quando sarò chostà, ne pigliere' partito di quello ci parà. Il fornimento de' letto di suso m'idugerò di mandarlo ora da Zezo, perché l'aopero ed e' non v'è di bisongnio ora. Di quanta à a dire Ghuido a tutti, lo dirà e terà que' modi che tu gli di'. De' fatti di monna Margherita mi piace quanto tu di'; se tu vi torni più rachomandamele centomila di volte da mia parte. Mandoti uno sacho in che è drento due paia di lenzuola e II chamice, che sono leghate insieme chon una ghuglata di refe: l'una mi pare de' Rosso e l'altra di Stoldo; rendile loro, e 7 tovaglioline, tra chative e buone, e ve n'è che so' da nettare choltella, e IIII tovagliuole: due bianche e due chapitate; e IIII tovagle, e IIII ghuardanape, e II isciughatoi larghi, e uno rinvolto chon uno sciughatoio sotile per tenere a la ghola, e III chufioni, e II benducci, e I ghuanchaluzo, e una chamica per te, e una chamica di Pelegrino, e uno chapuccio e la ciopa sua, e uno paio di chalze bianche per te se tu ti volesi mutare; muta le lenzuola a que' gharzoni e le tue, e mandami qua quanti panni sucidi v'à: ciò ch'io ti mando è tutto vechio e questo fo perché di verno è molto malagievole asciughare le chose nuove. Due zane: ne l'una à pane e ne l'atra frutte, e manderotti una choltre e uno celono e una farsata per letto di Ghuido; io non vi poso ora mandare altro, perché tu sai che gl'è di verno e non siamo anchora qua e tu c'ài a tornare e ci bisongnia pure asai adosso a ongni uno quando sare' per venire chostà e noi n'arecheremo ongni chosa. E uno materaso da letuccio, il più tristo che ci è, ti mandiamo ed è di braccia 5 e chotesta chamera non vi si vede lume, è buono asai, e più due tovagliuole in su le zane: fale ripolle, ché no' se ne isucidi più sia di bisongnio. Ogi abia' ricevuto da Pietrasanta 5 sacha di lana lavata ed abia' paghato il veturale ed ebe fiorini nove gravi e lire una, soldi uno, denari quatro, Nicholò mi prestò i fiorini gravi peché non n'avea niuno: dite se volete pongha Nicholò "deba avere" i detti danari e farò risposta; di detta lana non n'ò fatto se none uno richordo i' su' foglio; a Nicholò pare quella lana meza fracida, credo forse domatina la tenderemo tutta in qualche lato, sechondo vorà Nicholò: da lui sarete avisato chome l'è. Da Aghostino Bonfigliuoli òne auto ogi lire sette, doldi due: porògli e' "deba avere", in però è posto "debia dare". A Nicholò prestai l'atr'ieri, tra due volte, lb. 22, s. 12 piccoli: dise di rendermegli; òne fatto richordo in su n'u' foglio e non è altra iscritura. Perché sono ore sette di notte e per atendere a trovare le chose v'abiamo a mandare non diciamo altro. Idio ti ghuardi senpre. per la tua Margherita, in Prato. Francescho di Marcho da Prato, in Firenze, propio. 1398 Da Prato, a dì 30 di novenbre. Risposto.