Già ho udito che al Re di Puglia nobilissimo, e infra ' Cristiani riputato di grande ingegno (non so se fu chiamato Carlo Martello), fu richesto per lettera da' barbari, che gli piacesse mandare due i più belli libri che avesse lingua latina. E che esso, come molto benigno, ne gli servì volentieri: e de' due, scelse l'uno per somma filosofia Boezio; il quale pare da' semplici oggi accetto per vile, perchè si legge a corso in ogni scuola ai più giovani. Se vero fu, non udi' mai darnegli altro che loda: se non fu così, non sarìa biasimato chi di nuovo il facesse. Tanta grazia ebbe da Dio in discernere il vero nelle umane faccende! Esso Boezio, in frall' altre cose, a vostra consolazione ora, mostrando che 'l mondo fa sua natura a far sì che nullo si contenti, dice come al presente udirete; che in volgare lo scrivo, a dottrina della vita vostra. «Questo è vero (dice questo autore), che a tutti i mortali è nell'animo spezial cura di sostenere la vita. E per questo si può in ciò chiamare felice colui che delle cose necessarie a quella, il mondo gli ha dato in abbondanza. E nondimeno, ordinato è dal sommo bene, Iddio, che niuno in qualunche grado si contenti. E dimmi (dic' egli): quale uomo si truova di tanta bene ordinata felicità, che da qualche parte non sia turbato, dalla forma o qualità del suo stato? Questa è la nostra condizione, che o felicità non venga intera, o poco duri. Ecco uno che abbonda in ricchezze, e egli ha a vergogna ch'egli è nato di bassi parenti. L'altro è famoso per gentilezza di sangue; ma rinchiusogli nel petto uno dolore della povertà della famiglia, innanzi vorrebbe non esser conosciuto. L'altro ha ricchezza e nobiltà, e non resta piagnere e disiderare vita di religioso o d'eremita. L'altro, felice nelle nozze sanza figliuoli, rauna per la reda che e' non conosce. L'altro abbonda in bella famiglia, e ha che fare a piagnere e riparare a' loro malefici». E però dice: «Troppo è malagevole ad accordarsi alcuno con la sua medesima condizione: però che tutti, quello non han provato, disiderano; quello che hanno, entro non vi si compiacciono». E aggiugne così questo Santo: «Egli è troppo tenero ogni ricco o felice, che se ciò che vuole no gli viene a punto fatto, come superbo e isfacciato e impaziente, d'ogni minima avversità si gitta in terra; assai siano leggieri le cose che scemano sua ventura. O quanti sono (dice costui) che direbbono: Io tocco con la mano il cielo, se degli avanzi e de' minuzzoli di tal felice, o ricco, potessono possedere! Credimi; niuno è sì avventurato che, s'egli è impaziente, non disideri spesso mutare suo stato». E conchiude: «Non cercate adunque, o uomini, fuor di voi felicità; la quale sta dentro a voi, nell'animo vostro. Certo, se non ve n'accorgete, voi andate dirieto all'errore. Ma vo'vi mostrare l'uscio della letizia e della giocondità, che è in questo mondo. Or dimmi: è al mondo a te niuna cosa più preziosa che te medesimo? Risponderai, che no. Adunque, se tu hai cervello in testa, t'ingegnerai di godere e in pace possedere quella cosa, che mai non vorrai perdere, nè fortuna di mondo ti potrà mai furare. L'altre cose, perchè non sono ferme, anzi sono piene d'affanni, come t'ho detto, non si possono chiamare bene, ec.». Basti, padre carissimo, questo: e pregovi, se la verità vi piace, che vi piace, v'ingegnate col vero in mano darvi pace. E per me pregate, che tanto di voi penso, e ho pensato già sono molti anni. Ben mi dolgo se stasera non leggerete, o farete leggere chi fu san Tommaso, quanto e dove visse, che fece, e come fe sì rilevato palagio in India, e che segni fe alla morte. - LAPUS vester.