Più volte ho stimato in me medesimo, che siate suta presa da maraviglia in avere ritardato il visitarvi, e nella santade e nella infirmitade; e ho immaginato che voi stessa per me arete fatta la scusa, e pensato che le occupazioni della famiglia propia, e dell'altre che vanno attorno, m'abbi noiato; e che nondimeno io abbia auta di voi e de' vostri affanni quella passione che si conviene. E così è stato certamente. E oltr'all'altre cose, sono stato e ancor sono, oltr'all'Ospidale, a uno uficio assai spiacevole; che penso siano tre mesi o circa ch'io non ho auta licenza dagli impacci miei venire a Prato. Bene arei però lasciato ogni cosa, dove frutto avesse potuto fare, o a voi o a Barzalone nostro, che ancora egli sento è suto da Dio visitato. Che io tengo a certo, che non per altro ci sono mandate queste infertadi, se none come messaggieri che ci ricordano che noi non ci pognamo a sedere, e a gambettare in su questo mondo, o in sua ruota, che mena su e giù chi vi s'appicca; ma che come pellegrini, ch'andiamo a morire, camminiamo per la valle e miseria di questo mondo ne' servigi di Dio, levando spesso gli occhi al cielo; ove Iddio ci dia grazia d'esser de' suoi eletti. Raccomandatemi a Francesco; e non dimenticate il bello principio del leggere spesso nelle cose della Vergine Maria. Nè dimenticate i buoni pensieri ch'avate in quella infermità, campando voi, come ho dimenticato io. - LAPO MAZZEI vostro. XXXI di luglio.