Carissimo padre. Non crediate che il mio stare volentieri qui sia cagione dello errore il quale io commetto inverso di voi del non vi scrivere spesso come dovrei; ma ben più tosto il dispetto, il quale io ho nell'animo nel vedermi esser qui, mi fa perdere e sentimenti e l'uso della ragione nello scrivervi e nelle altre cose; imperò che voi dovete immaginare che gran gloria io ho nell'animo di vedermi esser venuto dal disputare di filosofia e di medicina, a disputare se gli è il meglio di seminare dello scioverzo o di seminare delle sorbe; e se pur a più alte questioni io passo, vegniamo a disputare quanto sia il meglio da seminare lino stio o alvernio. Questi son dubbii di grande speculazione! Ma nientedimeno non ve ne sgomentate; però che, se io ci arò stare, spero per a tempo esser sì bene introdotto in simil materia, che quando arete in ciò alcuno dubbio, da me ne sarete chiarito a pieno. Infino a qui sono stato a chiarirmi co' dottori Bolognesi e Padovani d'ogni mio dubbio: ma ora e miei dottori tengono le scuole in Port'a Corte. Are'vi a scrivere più cose, se tempo avessi. Io sto bene, e tocco d'erbolati; però che da' miei infermi io sono pagato di cacio e d'uove fresche, e talvolta d'un panieri di ciriege. Raccomandatemi alla mia madre mona Margherita, e Luca mille volte per mia parte salutate. Cristo vi guardi. Fatta a dì 2 di giugno. - Per lo vostro figliuolo LORENZO d'Agnolo, in Prato. Mandovi un paio di capponi, e quali mi furono mandati da uno mio infermo, in mentro che io scrivea questa; si che, avendo io giurato la morte addosso agli erbolati, gli mando a voi. Francesco di Marco da Prato, carissimo padre suo, in Firenze.