Al nome di Dio, amen. A dì 5 d'
aprile 1386.
A dì 2 d'
aprile ricevetti tua lettera, fatta a dì XXXI del passato:
apresso rispondo.
Il
fardello di
ceci e
aringhe per anchora non ò auto: non so
che sia la chagione; chome l'arò ve n'aviserò. Dell'averne tu
dato a monna
Parta e agli altri amici sono chontento.
Della
malvagìa, mi sono di poi avisato, ch'io no' ne voglo:
vômi richordare del detto de' romani, ch'io non ne voglo per
questa
quaresima, ché quando si digiuna non si potrebono fare
le
medicine che bene andassono.
Dispiacimi che tu non abi le chose buone chome qua; ma è
ragione che, chi vole della brigha, sì n'abia: è buono talotta di
provare a stare di
sagiato, sa poi altrui miglore il bene; ma pure
che questi disagi fossono per l'anima, ché, que' che paiono a noi
disagi, parebono a molte gienti agio.
Di
Nicholò Pentolini ò 'nteso le buone risposte che tt'à fatte;
piacia a Dio che chosì sia.
Per cierto, per quello ch'io vegho, Idio ti fa le magiori grazie
ch'io vedessi mai fare a persona, che tu riesci di chose che
niuno tuo amicho no' 'l credette mai: piacia a Dio che noi ne
siamo chonoscienti. Per cierto, che se tu non ti rimuti ogimai di tenere
una altra vita, di lasciare tante delle chose di questo mondo
e atendere a l'anima e parte al chorpo; se questo non fai, ò paura
che non si volgha al contradio. So che tu veghi insino a meza notte
e mangi a
vespro: tu non te ne rimani mai, volsi pure isforzare di
mangiare allotte per amore di sé e della
famigla: vivono poscia
più chontenti.
Preghoti che tu vogla vivere ordinatamente questi parechi
dìe, ché so che vivi male. Non digiunare niuno dìe, ch'io digiuno
per te e per me, che s'i' avessi di che fare le lemosine chome te,
io non digunerei mai, ché vi sono pure di be' vantagi per chi gli
sa piglare in questi dì, che ne ne potete andare in paradiso dormedo;
ma io chredo che voi ne siate tutti fuori, chi n'à per la loro
ischonoscienza che no' ne sazierebono mai quante ne furono mai
niuno: chosì viveremo infino alla morte. Sopra questo più no' dicho.
Monna
Lionarda di
Stoldo s'è doluta cho' monna
Giovana,
zia,
chom'io no' lle fo festa chom'io solglo; e ll'è intrato in chapo
pure chome
iStoldo deb'eserre morto, e quando ella mi truova non
fa altro che piangiere: iscrivi a
Stoldo che lle iscrivi qualche
lettera, se vole, e digli i modi ch'ella tiene.
A chagione che gli è di
Quaresima, ti scriverò pocho e rado,
ch'i' ò pocho ciervelo fuori di
Quaresima, e vie meno di
Quaresima,
perciò abimi per ischusato. Da parte di monna
Giovanna e della
Franciescha e di tutti gli altri mille salute; salutami monna
Parta e
chi tti pare. Che Idio ti ghuardi sempre.
per la tua
Margherita, in
Firenze.
Franciescho di Marcho da
Prato, in
Pisa, propio.
1386 Da
Firenze, a dì 6 d'
aprile.