Al nome di Dio, a dì 28 d'aghosto 1389. Iersera n'ebi una tua, a che achade pichola risposta. Farò brieve perché chostà atendo esere tosto; ma da poi ch'io dilibero istare chostì tanto che lla fiera sia pasata, potrà esere ch'io istarò qua insino a giovedì, per esere que il dì del merchato per chonperare lino. S'io n'arò buono merchato, chom'io credo tutta volta potrà esere, sarò chostì pùe tosto e lascierò fare a Monte e a Barnaba. Metti mano a quella botticella del vino biancho che v'è piena, ch'è a lato alla botte del vino di Giogholi che si vendé. No ve n'à pùe niuna, salvo quelle del Podestà, e bevetene tanto quanto io peno a venire, poi i lascieremo alla Cilia ed Andrea che nne beranno insino ch'io e tue istaremo qua. Credo sarà ora milglore non fue il primo dì: chosì mi fue detto. Mandami quelle due saccha per Niccholò di Piero, che lle darà a Ghineldo, in che vénoro la farina di Papero da Ghonfienti: ànne bisongno. Se ài bisongno dirmi nulla, dillo a Nicholò di Piero. Che Idio ti guardi senpre. Francescho di Marcho, in Prato. Non m'ài detto se ttu parlasti a Niccholò dell'Ammannato del vino biancho e vermiglio da Signia. Io ò scritto qui ciò che cci è, e non ci ò trovato l'anpolla dell'aqua rosa di Domascho: dirai se ll'ài costà. Manda per Istefano, che cci achoncia le botti, e digli che cci prochacci di fornirci di 2 chognia di buono vino vermiglio e d'uno botticiello di buono vino biancho, che voglio vedere da cchi saremo meglio serviti. Monna Margherita, donna di Franciescho di Marcho da Prato, in Firenze. 1389 Da Prato, a dì 29 d'aghosto.