Al nome di Dio, a dì 4 di giungno 1395. Iersera n'ebbi due tue che mi furono la giunta alla mia malinchonia, ed erami di grande bisogno perché mi sentia molto bene della persona per lo molto scrivere che ò fatto questi du' dì, sanza dormire nè di dì nè di notte, ed ò mangiato in questi due dì presso a uno pane. I' ò dimandato il Fattorino: la risposta sua furo al modo usato. Dice che mai non disse nulla a mon'Ave nè alla Lucia, e io riprovandolo dicendo "questo non puote essere che tu non debba avere detto qualche chosa", e nella fine dice che disse "tenete sì fatti modi che quando Francescho tornerà non abbia a gridare"; poi seminando parole viziate, chom'è di sua usanza, poi nella fine disse che tu gli avevi detto che non dicesse nulla che tue eri ito a Fiesole. E pertanto all'auta di questa mi dì a punto quello che disse a mon'Ave e chi sono quelle persone di chui e' domandò, però che di questi fatti io sono nuovo chome della prima chamicia mi misi mai: che di tutto sia lodato Idio, no mi manchava ora altro! Porracci Idio termine quando sarà di suo piacere, che ben n'ò aute di questa settimana da chapo e da piè: non è chome io merito, di tutto sia lodato Idio. Non ti posso dire altro perché in quest'ora m'è stato punto il chuore per modo ch'io n'arò assai tutti dì della vita mia. Rispondi tosto: Idio mi ti guardi chome bisogno mi fa che meglio mi varrebbe la morte che lla vita: morrei una volta dove muoio mille, ma nella fine Idio ne pagherà chi fa male, e a me dia grazia ch'io lo porti in pace, che bene istento in questo mondo. A grandissimo torto, Idio ne faccia chonoscente chi fa quello che non dèe, ma tutto sarà per bene dell'anima mia e del chorpo e dell'avere. Francescho di Marcho, in Prato. Francescho di Marcho da Prato alla piaza Tornaquinci, in Firenze. 1395 Da Prato, a dì 4 di gugnio.