Al nome di Dio. A dì 21 di marzo 1396. Per Ungheria n'òe ricevuto questa sera una lettera: rispondo apreso a' bisongni. Del fatto di Nicholaio Branchacci t'àe avisato Nicholò e simile te ne aviserà domatina; io gl'ò mostrate le mie lettere e àle lette e questa parte àe intesa e farà quanto tue gli di'. Chasino àe auto i due fiorini: pocho potremo perdere cho' lui, perché, se vedremo che noi abiamo a fare nulla chome se a la Chiusura o al Palcho, lo faremo fare, se noi saremo lascati e spezialemente a la Chiusura. Delle fave farò infrangnere, e venerdì matina te le manderò ....... Di monna Ave t'avisai quello diceva del fornaio; io la menai in chamera mecho e domandala da me, sanza che tue me ne avesi avisato, mostradomi di trovalomi meno io, e tenni que' modi che mi parvono sopra ciò, per vedere s'io le potesi chavare di bocha ch'ella l'avesi mai veduto o chostà o qua: a mio parere, per quello ch'io ne posa chonprendere, ela no' sa quello si sia sugello e parmi chosì al viso e a favelare ch'ela ne debe esere molto netta, chome ch'io mostrai a lei di trovarlomi meno che tue no' llo ........ A monna Ave no' poso favelare, perché ò aute le lettere a la chanpana e lo .... istae in chasa meser Nicholaio Torelli che ghuarda una sua figliuola che sta molta male, be' che per via di domandala no' mi pare che sia di bisongnio, che d'io l'entrai per nuovi modi e no' gli saprei tenere più sotili ch'io tenni, per vedere s'io le poteva trare nulla di boccha, perché tropo me ne duole di questo sugello no' tanto per la valuta, ma per le manichonie che n'entrano a 'ltrui per lo chapo: Idio e chotesta benedetta Inuziata, che sarà domenicha, ci dia grazia che noi il posiamo ritrovare, a ciò che altri no' pechi sopra persona. Del pagliaio s'è arechato ogi dicotto fastella e se no' fose che tenpo c'àe isconcio s'arebe arechato tutto; del Palcho e de l'atre chose teremo que' modi ci parà sia di bisongnio: I vini àe asagato istasera Barzalona e Nicholò e sonsi i' que' termini che tue gli lascasti. Lo sciughatoio di monna Mea no' ritruovo; penso l'arò insucidato e sarà tra' panni sucidi: per lo primo lo troverò e manderoglele. Mandoti una zana che drento v'è uno pezo di tovagla straciata e la tovagliuola grande mi mandasti qua, e più ò ritrovato lo sciughatoio di monna Mea: daglele, ché vi sarà drento; e più ti mando venticinque pani nella detta zana, e più ti mando sopra la detta zana il chaperone tuo, se ne avesi bisongnio, e' riterà l'aqua se piovesi, ché pane no' si molli. Rimandaci le zane: questa e l'atra che tue ài costà; el pane è uno pocho più bruno che no' fue l'atra volta, perché è me' chotto, e parmi a me più sano be' chotto che chosì mal chotto. De' pesegli ne tengho i modi ch'io ti dirò: ch'io gli metto la sera i' mole chome si fanno i ceci e chosì gli pongo la matina a fuocho, chome si fanno i ceci istretti, e tanto gli fo bollire che so' chotti, e sì fo bolire erbucci e uno pocho di cipolla entro in una pentola di per sé, e sì la batto e quando i' metto i pesegli nella pentola magiore ed io vi metto sue questa aqua e questi erbucci, chome si fa l'anno a le rubiale fresche. La Vilana sa pure chome e' si chuochono, perché me n'à veduto tante volte chuocere, che se ne de' pure richordare; monna Mea anche me n'à veduti chuocere ed io ed ela gli chocemo, ed ela baté l'erbe in questa chasa e parvole molto buoni e manichamogli nella chamera terena, e Belozo non ne vole perché avavano tropi pesci; ma no' ve ne maravigliate perché lei no' gli sapi chuocere, perché e' sono uno pocho malagevoli. Perché è molto tardi fra notte, fare' sanza dire più: che Idio ti ghuardi senpre. Richorda loro che no' vi metesino agli chome si fae ne' ceci. per la tua Margherita. Franciescho di Marcho da Prato, in Firenze. 1396 Da Prato, a dì 22 di marzo.