Francesco, quello Signore e amore che regna fra noi, mi
fa pauroso e geloso di voi e d'ogni cosa che dispiacere vi
potesse. E quinci procede che tutto giorno, andando e stando,
sono in pensieri de' vostri fatti e dell'anima e del corpo; e
ora massimamente ragguardo con la mente quello che sia da
fare pe' fatti dell'
estimo. E veggio che alcuni degli
uficiali (non so per che rispetto; forse per giustizia che
gli par fare, per qualche mala informazione ch'arà) vi metton
spesso in favola fra'
compagni, che voi abbiate
fiorini xv di
prestanza, ec
.: e ogni volta io fo degli avvisi nuovi, a
riparare alle volontadi senza freno. E per queste cagioni non
posso tacere con voi: e da altra parte il diletto che
prendete al
Palco mi vieta dirvi l'animo mio. Ora io ho più
volte udito e letto, che de' due mali si vuole eleggere il
meno reo: onde vi dico non mi piace ora la stanza vostra
costì, per qualche xv dì, o almeno insino a
calendi, che
vorrei foste qua. E sola una cosa è sofficiente a farvici
venire; che
mi pare che voi abbiate errato a non venire almeno una
mattina a visitare
Guido; che poi che fu colassù, e poi
ch'ebbe posto in assetto i fatti vostri, mai nol veniste a
vedere, o a ringraziare pur della noia ch'io gli diedi in
quella fine. Ben ch'io getto spesso parole di voi verso lui,
che vi sono di grande iscusa, com'io debbo, e com'io so
sareste e siete stato tenero di me. E poi quando questo
furore dell'
estimo fosse posto in sodo e in pace, che fia
tosto, e voi a grandissimi agi potrete fare ogni vostro
piacere, e costà e ove vi piacerà.
Francesco, io uso agli
amici dir molto il vero; e dilettami andare per una via molto
larga: e però abbiate per sempre meco pazienza. E cognosco
che molto s'usa il contradio. Io il fo con
Guido, e però lo
posso far con voi. La stanza di costà, per ora, non mi piace,
se siete sano a poter esser qua un poco. -
SER
LAPO vostro. II d'
agosto.
Egli è meglio provvedere innanzi al furore, che pensar
rimedio poi che fosse venuto. Costoro sono per chiedere balìa
a'
Signori di poter crescere
prestanza a chi esce
dell'
estimo, e avesse
prestanza leggieri secondo lo stato
suo. E però la stanza vostra qua farà tacente tale, che parla
male; chè vedranne che voi siete
cittadino e abitante. Or voi
siete savio, e vedretene quant'io, o meglio: a me basta dir
quello a voi, ch'io direi a me propio. E ben potrebbe anche
avvenire che la stanza costà non vi gittarà quella mala
ragione di ch'io ho paura: ma ciò v'ho detto per la più
sicura via. Io il dico per vostro amore, e anche per mio;
ch'io so il dolore e la morte ch'io ne patirei! e ogn'altro
se ne sarebbe fuori.