A dì XXIII d'
ottobre 1400.
Arete auta una mia ultima in questi dì: con lettera d'
Ardingo la chiusi;
fatevela dare, per non avere a ridire
più quello. Da poi n'ebbi una vostra, con la letteruzza dentro di
vostra mano, de' fatti di colui v'abbominoe; e una di
Nanni, per la
mula,
se io l'avesse voluta. E in queste dicevate me ne mandaste una grande
col
mazzo di
Stoldo: quella non ho auta.
Ser
Nigi pare le lasciasse tra
via, e dice che ha scritto per riavelle. Dicevate erano cose da vegghia.
Non arò quella faccenda, ch'io no le legga sanza vegghia.
De' fatti di
ser
Schiatta non affannate più. Lasciateci menare la cosa
come meglio vuole la ragione, e anche vantaggialla un poco, sì che dalla
parte vostra nulla manchi; ed all'avanzo starete contento, come gittarà
la ragione, e la
sustanza di que'
beni di colui che s'andò troppo
impaniando per farsi grasso più che non bisognava. E penso il principio
de' suoi mali fu volere benifici di Dio con
danari. Questa sentenza è
vera: Niuno è savio, se non è buono e che tema Iddio. Iersera tornò il
messo con lo stagimento fatto di quelle
masserizie: pare il
Podestà di là
l'avesse a male. E non è che questo stagimento vaglia, perchè
lodo non
si potrà ancora usare per gli ordini nostri: e credo si diè il dì medesimo.
E prima hanno a passare dieci dì, e hassi a
notificare per
messo
all'
erede, e grossare le
carte, che sono una mezza bibbia. Ma facemmolo
per intraversare quella foga; e seguiremo tanto che, se forza non fia
fatta là, gli piglieremo per lo
lodo. E non vi bisogna domandar costà
messer tale o quale; chè di questo ne starebbe egli a noi. E
messer
Torello simile: chè ad altri casi si serbano gli
avvocati. I
mallevadori vi
sono tenuti a quello
sodarono, se 'l
lodo dicesse di
fiorini mille, non che
di più che trecento. El dubbio è in queste
masserizie, perchè
si possono trabaldare: ma ne'
beni non riceverete voi inganno;
dico ne'
beni immobili. Di questo non diciamo più. A
Francesco Ardinghelli
parlerò de' suoi 50, come dite.
Io non so qual s'è il meglio, o iscrivere voi agli
Otto, e avere a
rinfrescare quello e' hanno dimenticato; o pure scrivere per iscusarsi. Se
in questa fia la
copia del modo che mi chiedete, fatela, s'a voi pare.
Vo'ci ancor pensar su, qual sia meglio; e se la farò, penserò il
meglio fia. Com'io vi dissi in altra, molti dicono di voi bene, che forse
cancellano quelle novelle; ma chi dicesse mal di voi, d'esservi male
condotto la vita vostra a stare nella età che siete, e presso alla morte
puossi dire, in tanti impacci e vegghie e
scritture mondane; da costoro
non saprei io bene a ragione sostenervi. E questo è quello che porta:
però che è troppo troppo
[sic] grande male a cambiare l'anima vostra, con
che? colle
mercatanzie e co'
guadagni. Che non è altro la vita nostra, se
non non cambiare l'anima con nulla; altro che, oltra 'l bisogno, non
pensare se none di Dio, e cercare di morir bene. Or penso Iddio vi farà
grazia, se la vorrete; poi che tanto v'astetta: ma sempre mai non vi
astetterà. Perdonatemi: così vi priego per amor di Dio.
Nofri tornò in istanghe; e confessossi, e comunicossi, e quasi morìo.
Pure l'ha Iddio riserbato per lo meglio dell'anima sua, perch'egli
ammendi forse delle cose che, già insieme con voi ragionando,
dispiacciono
troppo a Dio. Penso domane, ch'è
festa, starmi con lui, e dirògli
di voi quanto saprò. El fanciullo mio, ch'io sotterrai ora di
vaiuolo, avea
sei
anni in sette; uno de' due binati, il più grasso e 'l più piacevole.
Deo gratias. E i fatti di
Bartolommeo Cambioni arò a mente.
Il tutto n'è
ser
Giovanni Barnetti: e egli e la
Corte sono affamati;
ma vostro amico è: hogliene detto l'animo mio; hogli mostrato come il
Ricordato non può a ragione domandare uno
bolognino.
Se in questa fia una lettera viene a voi pe' fatti d'
Antonio da Camerino,
leggetela; ch'io ve la fo: e in parte fia vera, e in parte non così: a fine
che, andando a lui, gliela leggiate; se e' si movesse a pietà di questo
artefice leale e impotente, che l'ha sì bene servito, e
pagati per lui i suoi
danari. Io n'ho parlato più volte co'
Dieci della balìa. E veramente tutti
d'accordo dicono, che e' perde la fama sua in
Toscana, se e' fa questa
fallenza: e dannomi grande speranza che e' no la farà; sì buono
guerrieri
e sì nomato
uomo d'
arme è tenuto. Voi sapete che l'
uomo d'
arme niente
vale, se non v'è la fede delle cose promesse. Alcuno de'
Dieci m'ha
abboccato col
Cancellieri, e dammene speranza: Altro non ci è. Arei pur
caro gli parlaste, o a
Nanni Gozzadini gliel faceste dire; e farmene
uno verso di risposta. Forse
co' detti
danari
Lionardo buono ritornarebbe a
città.
Meo non
voglio più mandare a torno. Increscemmi di troppo stare fece costà: a
voi gra' mercè.
Iersera mi mandò a dire
Checco Tanaglia, che m'ha a dare,
ch'avea dati per me a
Stoldo,
fiorini XV: farò di quegli di
Stoldo come de'
miei. Ma chi mi porge la mano, a pena piglio il dito: e altrementi
facendo, vorrei la morte.
LAPO vostro.
Ecco come direi io:
«
Signori carissimi. Le vostre onorevoli faccende, e la vergogna e dolore
che ho di scusarmi dove non è difetto, mi faranno dire poco, ma
reverentemente alcune parole alla Nobiltà vostra. E udendo i nomi di chi
voi siete, che pure i più cognosco, penso la mia innocenza arà luogo a
venirvi innanzi. Pare vi sia stato porto, che essendo a certo
banco qua,
in presenza di giovane uomo vostro
cittadino che ve l'ha rapportato, e in
presenza di
Manetto Davanzati e di
messer
Romeo Fuscherani,
io avesse a dir male del mio signore, il
Comune di
Firenze, per lo quale
Comune io
contadino e d'umile
condizione sono stato onorato per una
buona parte de' paesi del mondo.
«Nulla vi dirò di scusa, se non questo: pensate come l'arei detto, che io
sapea che
uficio egli era; e alcuni di voi sa mia natura, che a uno
minimo
famiglio da
Firenze io fo onore, come (tale sono) al padre. E per
altro non ho fatto una
casa a
Prato, di
costo più che non vale il
mio, ove è ordinato da' miei di là che tutti i
Podestadi, tutt'i
Fiorentini da bene, vi siano ricevuti, ben ch'io non vi sia, e per loro vi
tengo parecchie onorate letta. L'altra è, che vi piaccia per onore di me
sapere chi errò, o egli o io, da' detti due valenti ch'erano presenti; che
se non che io gli ho reverenza come a padre, io gli direi: Quando sarai
più oltre cogli
anni, ti vergognerai d'aver detto quel c'hai detto.
«Parvemi bene licito, perché 'l veggo costà usare, potermi dolere di chi
mi puose costà
fiorini 60 di
prestanza, ch'a pena v'era giunto, e in
questo paese posso dire non avea nulla. Or perdonatemi,
Signor miei; e
tenete, che per questo più amerò il mio
Comune, e i miei
cittadini; e di
colui, come d'adirato allora, sarò ancor fratello e amico.»
Fatela di buona lettera, e puntata bene.
E l'amico non è di quello
uficio, anzi è d'un altro.