Molte cose v'arei a dire, perchè a questi dì andai a
Prato, e ho
comperato per uno forestiere, che di me si fida, due
poderi in quel
piano. E così stando in que' ragionamenti,
andai in
Prato, ed entrai in
casa vostra; che me ne venne olore:
e vidi i
melaranci, e assaggiai i
vini, e l'
aceto nobile, ch'ebbi più caro che
qualunche altra cosa. E'
vini sono, i più, non fini com'io vorrei: due
botti
v'ha mi piacciono; benché in questo
anno fallano alla maggior parte,
salvo ch'a me; che mai no gli ebbi migliori. Udiretelo da altrui: e se arò
modo, vi manderò qualche
fiasco, per miracolo, d'una
botte che ho di
due
cogna. Serbovi la parte vostra, cioè tutta; che pur dovrete omai
tornare.
Barzalone nostro mi fe molta carità per indurmi a
cena con lui;
e mai non me ne fe venir voglia, se non quando mi disse:
Cenaremo in
casa di
Francesco, per memoria di lui. Veramente io dissi: Peccato fia di
chi di voi due rimarrà in vita sanza l'altro! E' non è di quegli che faccia,
al vostro modo, dell'altrui
coiame grasse coreggie; anzi piglia di voi
meno sicurtà che non dee: e io, iscorretto e poco temperato, ne piglio
più. Ma la buona intenzione m'ha aiutato, e aiutarà; e Dio prima. Da poi
mi venne voglia andare a
Carmignano a
Lionardo, per provare meglio la
mula. La verità è questa: ch'ella non mi portò bene com'io credetti: tre
volte inciampò; che ogni volta pensai desse giù affatto. Ascesi, se fosse
mal
cinghiata, perchè la
sella venia insino alla croce della spalla a
mezz'
oncia: vidila
cinghiata per
Nanni, non seppi dir nulla. Pure al
tornare in qua la
cinghiai in sulle poppe, e tirala adrieto assai; e dicovi
ch'ella mi portò bene. Così mandai a dire a
Nanni che facesse. E tenete
di certo, che uno goffo
maestro, non vo' dir signore, ne vede più che
un pratico
fante; perchè il
coiame è suo, e perchè comunemente
hanno l'
omore della testa grosso.
E
sindichi mi vennero a favellare, che e' voleano de' primi
danari far
certe spesarelle per lo
sindacato, insino in XXV
fiorini. Dissi, che benchè
avessono a venire a voi, che voi sareste contento; e ch'io non pensava
che con loro voi voleste andare sofisticando, purchè una volta voi aveste
il vostro. E dicovi,
Francesco, poi che per questo la vostra ragione non
perisce, ch'io penso vi sia onore avergli lasciati lor tòrre. E però lo
consenti'. Ben dissi, che l'
olio fosse vostro; perchè paresse che voi
eravate colui che possedavate la possessione. Penso vi faranno de' primi
danari il dovere: e già hanno mandati due
bandi; e se nol facessono per
amore (che pur sono vostri amici, secondo che e' dicono), il faranno per
paura di non averne vergogna.
Per la
prestanza disiderrei vi stesse costà; secondo i pensieri ch'io ci ho
su fatti: per ogn'altra cosa vorrei che tornaste. Qui, nè a
Prato nè nel
contado nè a spidali non ha nulla: dicavi Fra
Giovanni ciò che e' vuole. E
però potreste tornare. Questi delle
Prestanze non
s'accordano ancora a nulla, sopra 'l modo. Pensate quando
aranno finito, ch'e' non sanno cominciare!
Tanfuro fu molto sollicito
sabato santo: mai poi non senti' nulla. Tutto vi scrissi: però non ripeto.
Ne' dì passati v'ho detto assai: non so che più mi vi dica. Della
prestanza voglio il pensieri io, se non ci sarete; se ci sarete, parleremo
insieme.
Dicemi stasera
Stoldo, che
Barzalone dee venire a
Bologna. In nome sia
di Dio. Ricevetelo sicuramente come buono figliuolo: salvo che se
m'aveste dato buona parte delle
sustanze vostre, non sono contento s'io
non ho mia parte di quello
aceto di greco. Avvisovi che le XV
libbre de'
ceci non ho ancora auti. Io gli serberò per venire a mangiarne con voi;
che vorrò che gli usiamo spesso. Dicemi
Stoldo, che gli dite che
Antonio da Camerino è partito. Non curate: Iddio ci ha nutricati
bene insino a qui, per la sua grazia: e a sua speranza non nascemo.
Cristo vi guardi. Dico a speranza d'
Antonio. -
SER
LAPO vostro. VIII d'
aprile.