Picchiai alla vostra
casa la sera tornò la donna; non mi fu
aperto: pensai per buona cagione. L'altro dì vi mandai boce viva:
mandommi a dire io non v'andasse, ch'avea a fare il cordoglio,
ec
.. Oggi a tavola ho vostra lettera. Mandai il fanciullo per tre
saggiuoli de' tre
vini a monna
Margherita: mandommegli. L'uno è
quasi guasto; l'altro ancor si berebbe; il
bianco ha me' retto.
Quel guasto, si perde ogni spesa: il compagno è da berlo e da
donarlo: solo il
bianco sosterrebbe l'aiuto; il quale sarebbe, avere
tre o quattro
some d'
uve in uno
tinello, e come fossono calde,
gittarvi su otto
barili di questo
vino, e non gittarvi il fondigliuolo; e
in tre dì sarebbe ottimo: e
imbottarlo, e in otto dì si berebbe.
L'altre sono favole: però che con lo
letto suo, ciò che si mettesse
guastarebbe.
Dolgasi
Istoldo della verità, non di me; chè e' fa uno
mese e
mezzo ch'io gli ho detto ogni otto dì una volta:
Stoldo, quel
bianco
è pieno in giro in giro; fa' che spesso ne facci attignere mezzetta
per volta, sì che alla tornata di
Francesco e' sia isfogato; però
ch'egli affoga: e fu buono, e ebbilo per amistà. Non posso più. Voi
vorreste che e fatti altrui s'avessono a calere come i propii; e voi
volete rivolgere l'ordine di Dio, e della natura; che dirò meglio:
anzi dirò meglio, del mondo tristo. E dicolo per me, che ne' fatti
miei penso ogni dì, gli altrui abbandono.
Delle due
botti, lascio alla discrezione dirne quello si conviene.
Esso fu di
Valdigrieve, che l'ebbi da amici di
Niccolò da Uzzano: e
notate, che e' venne di
luglio, ardendo il mondo: e forse uno
mese
e mezzo ch'io gli assaggiai, n'areste presso che addoppiato il
danaio. E io ve lo scrissi. Se poi siete pur soprastato, non ne posso
altro. Penso lo
Spidale vi potrà fornire a
fiaschi grossi di tale
vino
sano, che basterebbe otto dì ottimo nel
fiasco. E io n'ho un poco
del buono.
Voi state male, e pessimamente, a
vino: provvedete. Io penso per
me, che o per lo bisogno o per male avvezzo, io per averne gli
caverei dell'osso; e 'l
danaio mi parrebbe terra. E così sono
disposto a vivere; e avanzerammi
roba alla morte.
S'io sarò
domenica in
villa, vi prometto come uomo, ch'io non
entrarò in
Prato. Io sono libero, e a voi non fo danno; che se io il
facesse, v'entrarei. Noi aremo tempo, se Dio vorrà, stare insieme
tutto l'
anno. S'io vi verrò, recarò i
danari del
Gamba, e a
Grignano
si peli ognuno: e di presente me ne verrò, veduto ch'arò miei
tini.
Io ho in dispetto la
villa, e
Prato; per stare
qui in consolazione, non per guadagnare. E nelle miei
malattie mi
sono di voi ricordato, e voglia ho auta di
venderlo.
La
botte napoletana non so che fia, o se è guasta o olorosa.
Bonifazio è in
villa a far
vendemmiare.
Del
ronzino mi duole: se non v'ha rimedio, chiudete gli occhi, come
savio: a fare altro, è poco senno, o mala natura. Io l'ho apparato a
fare assai bene.
Fate dire, pregovi, al
Gamba quello ch'io vi dico di suoi fatti.
Troppa briga mi do per altrui. Lo spirito mio è pronto, e la carne è
inferma. Catuno vorrei servire; e io diservo me, e nulla acquisto.
Iddio sia sempre laudato e gloriato, che in troppe grazie riempie
l'anima mia, che di nulla cura, s'io sapesse sì fare ch'io no gli
dispiacesse. A lui vi raccomando. -
LAPUS vester. XXII
septembris.
De'
tinelli di quattro
some ha qua assai; ma troppa briga areste.
Me' sarebbe a berlo alla discorsa.