Al nome di Dio. A dì 29 di gennaio 1404, in Firenze. Magnifico egregio Cavalieri, con ogni debita reverenza mi raccomando alla vostra Signoria. Ricevetti la vostra graziosa lettera, alla quale non mi sento sofficiente a fare risposta, come merita la vostra reverenza e carità, perchè non sono messer Giovanni da Bignanomesser Francesco Ramponi. Farovvi risposta sempricemente, come colui che no sa più. Io non so che dirmi, se non dire come disse Centurione a messer Domenedio quando egli voleva andare alla casa sua. Non cale che io ve ricordi, chè tutto avete bene a mente. Ricordandomi, letta ch'ebbi la vostra lettera, di sì fatto padre, quello che già udi' dire che uno rispuose a un altro, vedendosi ben contento e appagato da lui; cioè disse: S'io avesse cento lingue e la bocie di ferro, non potrei sodisfare alle vostre onorevoli e fidate profferte. E io che sono di molte cose ignudo, e più di sapere rendere le grazie ch'altro, no mi posso consolare com'io vi risponda, se none con questa maniera: L'ho pregato e priego Iddio che ci ha fatti e sostienci per grazia ognora, che spiri l'animo vostro quant'è la consolazione e 'l conforto che ha el mio per la risposta vostra; e per sua piatà e misericordia vi renda debiti premi per me umile vostro amico e servidore, bene che disutile. Attenderovvi alla tornata, e di quello vi scrissi, se caso il darà o in qualunque altro mio bisogno giusto e onesto, vi richiederò in quel modo che la vostra amichevole lettera vuole ch'io voglia: e in questo mezzo avendo nicissità di nulla, richiederò il vostro cortese figliuolo Papino, el quale cogli altri vi guardi Iddio, e voi, come desiderate, lungo tempo in filice stato con salvamento dell'anima e del corpo.