L'ultima vi mandai fu una
cedola aperta, che portò il compagno
di
Lionardo mio
fratello: penso l'arete ricevuto benignamente per l'amor
ch'è fra noi. E prima avea risposto a voi, a quella lettera che diceva de'
fatti d'
Antonio di Paolo Mei, piena di santa e buona intenzione, la
quale vidi ch'avate per grazia di Dio. E però
no cal dire altro. Il detto compagno di
Lionardo avvisate, prieghi
Niccolò da Uzzano d'aiuto e di consiglio, se fra'
Dieci della balìa
costà esso
Niccolò avesse alcuno amico, che ce ne fosse buono. E a voi,
Francesco, dico che sopra tutti gli amici che poteste avere, fuor di
Guido, mi contentarei per lo vostro bene vi fosse amico
Niccolò detto,
col quale vi conforto vi riteniate; e di lui prendete ogni aperta fidanza, se
in
Guido o in persona del mondo l'aveste. Egli è uomo di lena e di
consiglio, ed è buono, ed è potente e amato; e sempre ho tenuto tema
Iddio; e nelle più segrete cose io l'ho provato. Raccomandategli detto
compagno di
Lionardo, se 'l vedete. E la
vernaccia sua fia presta, se la
vorrete; che ce n'ha macco; ma non a serballa. E la
vendemmia
s'appressa molto: almeno per la
fiera si romperà la cosa per tutti. E io
v'attendo con l'animo; non ch'io il creda; poichè la cosa quasi quasi è in
tutto ristata qui, e molti, fuor di
Nofri, sono tornati e tornano. La
Picchina tornò malata d'
Arezzo; e stamane la sotterrammo con molto
dolore. Avvisaretene
Niccolò detto.
Barzalone visitai ieri e l'altro, fedito di mortale gavocciolo sotto il braccio
ritto, con
febbre tale che l'ultima comunione e
oglio santo ricevette: e
stamane sento ha picciolo miglioramento. La donna, infermissima, con
altre donne il governa: e così è dolce morendo come
vivendo.
Parti'mi, e
lascia'lo lagrimando, e gli occhi
miei non s'asciugarono a buona pezza. Parmi lasci il suo al vostro
Ceppo, se mai si farà. Ma bene ebbe intorno de' cani e degli uncini.
Nofri andrò a vedere domane in
villa, se 'l tempo il patirà, e dirò quanto
per ogni lettera m'avete scritto. Do! de' fatti di
Bartolommeo Cambioni
non abbiate pensiero: basta tenete bene sani cotesti picchini; l'altre cose
lasciate fare a noi qua, tanto torniate: e quello facciamo si è starsi; però
che niuna sua cosa perisce, di qui a vostra tornata. E al
Vescovado
lascerete andare me; e le sue
ricolte fiano ricevute. Ma s'a voi pare, a
me parrebbe ch'io vi compia il
testamento; e manderovvelo costà; e poi
il rimanderete a
Paolo di Lioncino e
Francesco Cambioni,
vostri
compagni. E io toccherò dal
banco vostro qualche danaiuolo,
meno che ragione. Sapete che ogni fatica dell'
artefice disidera premio.
Ma io il prenderò picciolo. E alla sua donna niente lasciò, e la cagione
udirete; e fu ingrato, secondo me.
Francesco Federighi non vidi poi: come gli darò di petto, v'ho
inteso; e ingegnerommi fare quel che già feci, sanza vostro priego, per
mettervi nel suo amore.
Ser
Schiatta odo stamane sta male, egli e 'l
figliuolo. E poco danno fa però la mortalità a
Prato, fuor di costoro; e
meno fa qui ogni dì.
La mia
famiglia sta bene; l'
Antonia sola escetta, che non muove il
braccio. Cristo v'aiuti; e monna
Margherita
confortate. Nè da
Niccolò Ammannati nè da
Domenico ebbi
mai nè vostra lettera nè vostra
ambasciata. E' sono sì malinconosi, che
e' s'addormentano. Infine, per Dio, vi priego mai non mi rispondiate: per
torvi fatica il dico.
A queste benedette
morici dicono costoro ha tanti
rimedii, ch'io non so
metter mano, a scrivervi. Ma dirovvi quello m'ha detto a questi dì il
nostro
Vescovo: non trovando
rimedio da tutti i
medici, e' dice l'ebbe da
povera persona, e
guarì subito; cioè, una
cipolla bene cotta e pesta col
bituro, e
ugnere bene il luogo. E non vi dilettate più di
pillole: chè e' si
truova che
maestro
Bernardino n'avea manicate uno
staio, e pur si morì.
E a questi dì morì il
fratello di
ser
Vanni Stefani, che n'usava molte
e molte: però che le troppe guastano la persona.
SER
LAPO vostro. XXIII d'
ogosto.