mio luogo. E da te ho inteso quel ch'io mi pensava di poter tu male intendere,
chi di
bene: chè a fine d'ubbidire Iddio il fo; e ho cercato quindi levallo. La bontà
di Dio m'abbia esaudito. E sarà, o forse è ora costà, o all'auta sarà: e a
ubbidire t'ha in tutto. Nondimeno non ti tacerò uno mio pensieri: trattalo per
quello che e' vale, o per meno. Io mi truovo di natura dimentico; e spesso arei
vergogna e danno, se con lo 'ngegno Iddio m'ha dato della mente, io non
soprastesse alla mimoria, facendole sempre segni e ricordi giornali, e portando
allato note dell'opere ho a fare ognora: perchè, nel vero, ci sono de'
amici mi sollicitano, oltra lo
pare che mia
gli altri fanciulli. E per questo diceva; se potesse esser, operassi
altro che all'
l'adopera: chè sento,
delle spesarelle tutto dì si fanno per la terra, infine si truova meno; e evvi
danno e vergogna. Or, com'io ti dico,
ha tenuto
sia da lungi, pure istimo non siano altro che poca mente o poca pratica. E
s'egli desse per Dio uno
che scriva; la natura arebbe fatto abito per modo, che anzi avesse dati
si sarebbe corretto per sempre: com'io gli ho insegnato per parecchie lettere: e
meglio sarebbe uno
è regola di santi, e vera e provata; e tocca a me, che d'uno fallo io faceva,
non fallo or mai più; e sanza la regola non pote' mai vincermi. Io scrivo a
Nel vero, e' cala pur le vele come gli altri, d'invecchiare: e però iscema un
poco, come vuol natura, sua maniera del tribolare altrui e sè. Tu gli dài per la
lettera buono consiglio; ed egli il conosce, e piglia il peggio. -