Al nome di Dio, ame
n. A dì VIII di
giungno 1395.
Riceveti una tua lettera per la quale ti faròne risposta per
Niccholaio Martini.
De'
pipioni ebi otto ed erano tanti tristi ch'a pena
erani vivi; ògli dati a 'ltrui: a gente povera, perché no' pe
nsai vi
venisino; no' ce ne mandare piùe di chosì fatti, perché non erano
da mandare a gniuna persona da bene. Di
Stoldo venire chostà
lascio il pensiero a lui: no' mi pare sia molto achoncio a venirne
tosto. Io are' bisognio de' mia
gharneli e de le mie
g
iube, ché
vedi il chaldo fa; io mi sono tutavia pensato che la
vi
gilia de la
Pasqua tu torni e però no' te n'ò fato freta, ma tune non ài a
nchora
chonpiuto di lavare la
tavola; ma, a mia parere, la tua
tavola mi pare
che sia di
geso, ché quando i fanculi l'àno bene piena e' la lavono
e poi la riepiono: e questa è la chagione perché tuo
lavoriono no'
si può mai chonpiere. Di questo fato no' mi dolgho io, ma doghomi
ché quando altri te lo dice, tu daresti vole
ntieri a 'ltrui nel viso,
ché mi richordo che, quando te lo disi per la
Pasqua, che m'era deto
che tu vi staresti tuta questa
istate, dicesti che non era vero, che
sarebono dua dì: anovera quanti dì sono da
Pasqua in qua. Del
tuo no' dire p
iùe di venire, se no' sarai presto, farai bene, e a me
farai grandisimo piacere, piùe per le luoghoradone tune iscrivi, che
per me.
De' mia sospeti no' mi fano male, ma fanomi male que' sospeti
altrui, perché sono dano de le persone e de l'anima.
Di
Nicholaio Martino àne prechato che deba tornare qui rita
(a) abercho e a
cena; dice che no' vuole, perché ène qui per
i
nbasc
iadore.
I
manichini
chuc
io tutavia, potràe esere a
Nicholaio gli
darò, se no' si parte torpo per tenpo; davami per chonsiglio ch'io
me ne venise chostà chon eso lui, sòmi diliberata pure ne l'animo
mio di stare qui anchora alchuno dì: questo fo per amore di chostoro
da lato, che no' vorei se ne desino manichonia; ma, se
Stoldo si dilibera
di venire chostà, forse mi dilibero di venirne cho' lui, se mi
vorà menare, e vorò vedere s'io mi saprò stare chostà uno
mese poi
che tu sarai venuto qua; e vedrai quanti sospeti prenderò e ne
viene te steso la
richolta e' vo' fare questo ughuano io, e dami il
chuore di rasegniarmene buono
chonto: la risposta farai a bocha,
rimacho per chontento qui rita; non à
lengnie minute, fuscielo, ne
no' c'à
fornime
nto per
leto nostro per la
'state; se tu credi di fare
la
'state qui, sarebe bene ci mandasi qualche chosa quanto che no'
lasciale stare chostà. Di' a la
Domenicha faca ramentare le
tovagliola
al mio
tesitore, perché n'abiàno grandisimo bisognio, ed ela
i' sa che non ò auto pocho a fare a tenere fornite choteste
tavole
dodic'ani fa. Bisognierebemi uno pocho di
lino vernio
forte per
filare
i'
refe per fare i buchi per le
tovagliole; mandamelo il piùe tosto
puoi, perché no' potrebe chomicare a fare le
tovagliole, se no' gli
mandasi i'
refe. Quado i' mi partì di chostì,
Nicholò mi die' tre
lire,
io me gli ò ispesi; mandamene, dicho, perché voglio aparare da
Barzalone, ch'è savio, ché no' voglio esere
iscrita a'
libri dal
fondacho.
(volgi)
Fami cerchare de' mia
paternostri d'
anbra che gli lasciai apichati
a pie' de'
letucho de la
chamera de le dua
leta.
E'
panieri e la
ghabia ti mandai per
Nanni da Santa Chiara e
uno
fiaschio di
vino biancho per mona Fia. La
ghata facesti a tuo
modo di mandalaci: se noi la tegniamo leghata e ela ène i' su lo
inpazare, se noi la tegniamo isciota, ela si se ne va; ebe, mon
a Ave
a stare uno dì a cercharne e saltò a tera de le
finestre e desciesene
di sùe dove sono i
poli, noi alamiamo, ed e' entrò ne la
ghabia da
poli e mai none uscirà che tu tornerai, perché inazi vo' fare chosì
che averne piùe manichonia; sarebe achora il meglio rimenale chostà,
ché uno dì la perderemo. Aremo bisognio de l'
erba da lavare le
schodele. Altro no' c'è a dire. Cristo ti quardi. Del tuo no' magiare
e no' bere, te 'l credo; e questa ène la mia pena che, pure il meno
quando istò dove s'ène, pure no' si disordina tanto e stiamo melio
tuti quanti isieme.
per mona
Margherita, in
Firenze, salute.
Franciescho di Marcho da
Prato, in
Prato.
1395 Da
Firenze, a dì 9 di
giugno.