Al nome di Dio. A dì 4 di
luglio 1398.
Per
Arghomento ebi tua lettera e chon esa la
zanella nuova, e
la
chasia, e
ghuarnello di mon
a Ghita. Di poi demo la lettera a
Barzalone e per
ser
Baldo vi rispondemo di quanto ci dise: aretela
auta. E da
ser
Baldo non ne avemo niuna altra chosa, se non le lettere
che indrieto ti rimandamo: penso e' sarà suto ogi a te e da lui arai
saputo quanto e' n'à fatto di que'
danari.
E più ebi la
seta e, se me ne mancherà, te ne aviserò.
A
Cristofano manderogli a dire domatina quanto tu di' e, se ci
verà, istarò cho' lui e farò quanto tu di'.
Il
chatino ti manderò chome prima potrò.
Argomento si non
vi viene domane, perché vuole
battere.
I
panchoni non sono anchora
seghati, perché dice cholui che
non può trovare un
chonpangnio, in però che il suo
batte e dice no'
gli può a
iutare.
Ghuido vi va ongni dì a ramentalo loro: àgli promeso
che forse domane gli sarà.
I
chalcetti, se noi troveremo per chui, te gli manderò. A
Ghuido
ò richordato quanto di'. Noi non n'abiamo più
vino vermiglio, ché
della
botte non ne viene più e si è tutto
fiorito, sì che iscrivici quale
tu vuogli che noi manometiamo.
Barnabò òne fatto chiamare uno gran pezo e non risponde, ché
già se n'era ito a letto: diroglele domatina. Perch'è molto tardi non
dicho altro. Idio ti ghuardi senpre.
per la tua
Margherita, in
Prato.
Fancescho di Marcho da
Prato, a alla
piaza Tornaquinci, in
Firenze.
1398 Da
Prato, a dì 5 di
lulglo.
Risposto.