Tornando ieri da
Prato e da
Grignano, ove era ito con
malagevolezza d'animo, trovai due vostre lettere con la lettera di
Meo: e
prima n'avea auta un'altra, alla quale per rispondere astettava mente
mansueta, e riposato animo; che quando l'ho, vivo molto contento, e a
voi porto spesso singular compassione. Ma questo m'addiviene delle
vostre lettere ch'io ricevo, che nella loro auta, sanza aprilla, l'animo mi
s'allegra; aspettando di loro sempre, come da messaggieri che portino
liete novelle e amichevoli trattamenti: e troppo le leggo volentieri; salvo
quando, per vostro amore, sono troppo lunghe. Queste stanno bene; e
hanno
capitoli assai, e tutti brievi, come a voi si richiede: chè
certamente vedete molto e molto; ma in mutare natura non avete forza;
e però, o per troppo amore alla cosa che alcuna volta
non merita, o per troppa ira o malinconia ove forse non cade, vi
lasciate andare a perdere tempo assai: se già non fosse alcuna volta per
isfogar col figliuolo i rancori, che stando pur nell'animo dentro
potrebbono uccidere.
Dico prima, che ben faceste a mandarmi la lettera di
Meo; e vie meglio
diceste a dirmi, quanto è malagevole o forte a cognoscere uno in poco
tempo, e quanto è folle chi troppo tosto loda molto. Certissimamente la
vostra sentenzia è vera: e questo è di quel ch'io dico. Potrebbe esser
che amore m'inganni in trascorrere di
Meo: ma, se io non erro, io dissi
quello di lui mi parea insino a qui. Se altrementi dissi, fui leggiere,
com'io sono spesso. Iddio mi fa grazie assai; e pur mi riserba e
m'astetta: e lo 'ngrato sta pur duro. Iddio m'aiuti. Io mi perderò, se
dimenticarò pure i doni di questo aspetto, mi fa tanto.
Rispondo alle vostre al bisogno. D'
Antonio da Camerino ho inteso;
e ben so la lettera deste al suo
Cancellieri; e veggo ora è costà egli, e
quanto v'ha risposto. Ringrazio Iddio, e voi e lui. E non è ch'io errasse,
come mi dite, in non legger bene la vostra lettera; ma dissivi non avate
auta un'altra lettera ch'io vi mandai poi ad
Antonio, aperta, perchè la
leggeste prima: e veggio non l'aveste mai. Non monta: non fu difetto
de' vostri; ma d'uno a cui io la fidai.
A
messer
Antonio per parte di
ser
Piero farete dare
ducati dieci. Facciane
poi
oratorio, o che gli piace: e' gli ha franchi in quattro doppi: e
raccomandategli questa infermaria. Io credo sia molto amico di Dio, e
nemico dell'
oro.
E fatti di
Salvestro Simentucci, si fe ciò che si potè. Fu
imborsato; e come fia tratto, riaremo
fiorini 13, ec
.: più non si può: e
la
gabella che si
pagherà, per non intendere bene le
gabelle, per la
lana,
non penso si possa provvedere; s'e
gabellieri aranno occhi, come
sogliono. Honne fatto mio podere, e farò; e poco spero.
A
Domenico Giugni rispondeste bene; io dico, bene. La
malvagìa
sua arete a mente: per bene il dico. Della mia, ho vergogna n'abbiate
noia o spesa; se non ch'io mi consolo in sulla verità, ch'io la serberò per
voi, meglio e più che non fareste voi.
De' fatti di
Tanfuro vi dissi mio parere, e seguirò il vostro. Credo sarete
meglio
pagato, a non farlo stagir per più ora; che facendovelo stare per
più, penso meno acquistarete: e paionmi le
ragioni pronte. Non ho
tempo ora a dirle.
Pensai esser per le
feste a
Firenzuola, e diliberai dormire due notti costì
dal capezzale vostro; e votarci i sacchi. E stimo che l'amore in che v'arei
parlato, v'arebbe aitato fare il bene che disiderate; cioè trovare Iddio, e
andar per le vie che ci menano a lui. E così areste fatto voi a me. Ora,
per la tornata che fa a
Firenze colui a cui io andava a
Firenzuola, veggio
non verrò a
Bologna: ove penso state ora malinconoso per le novitadi.
Francesco, volgete l'occhio, e tenetelo fermo a Dio; e queste rovine del
mondo guatatele per lato,
come cose che vanno com'elle meritano; e andate oltre al vostro
cammino.
La
procura mi mandavate a vedere, non vidi mai; e
Stoldo non ne sa
nulla. Piacemi serviate
ser
Amelio. E di
messer
Bonaccorso, tutto v'ho
inteso: e bene avete preso. Io non ardiva a troppo pregarvene. Ma siate
certo, voi avete, sanza vostro danno, legato lui e confitto
messer
Torello. Veggio che tosto amenduni la cancellaranno: vivetene sanza
sospetto. Io ho da dir così, cosa tocco. Così foste voi chiaro de'
cinquecento che ora raffermano gli amici fratelli, e de'
traffichi di
ser
Conte, che mi paiono troppi.
Ceci rossi non mandate più per nulla. Io n'ho auti di più parti, e honne
fatto
seminare mezzo
campo.
In fine,
Francesco, vi dico che mi piacque troppo quando lessi Tullio, ove
dice ch'al savio uomo non è bisogno
medico; però che le cose gli sono
buone egli usa, quelle gli sono ree non usa. E la sperienza gli fa provare
le buone e le ree. Se l'andare a
Santa Maria, e lo star fermo, e 'l
troppo scrivere, e altre cose vi fanno male; per amore di Dio e de' vostri
amici, che disiderano che viviate, sappiatevene guardare: e Iddio v'aiuti
non dimenticare lui.
Montai in sulla vostra
mula, e assai mi piacque. Dio ci
conceda ritornare
a vivere e usare insieme; chè forse di me arete più consolazione non
avete auta insino a qui. -
LAPO vostro. XVI
marzo.