Nella lettera ultima ho auta oggi dì IIII da voi, nè in quella di prima che dite scrisse Guido e che nolla leggeste, non dite nulla delle più copie ch'io vi mandai che scrivesse a più della Ventina, ch'a me parea. Ben dite a Stoldo e me, che vi maravigliate che non vi dico che a Guadagni scriviate nulla. E per questo penso pur, l'abbiate aute. E a mano a mano dite, come è ch'io non vi scriva che scriviate a Francesco Federighi. E io ho a mente, come se fosse ora, ch'io vi mandai a dire che a lui scrivesse, e dissivi come gli diceste nella forma ch'agli altri; salvo che aggiugneste questo: «Francesco, io so che Vanni Rucellai è quello che voi; se mai mi dovete servire, vogliate che e' s'adoperi per la mia giustizia, sì che io abbia cagione di tornare a Firenze». A Domenico Giugni vi dissi diceste, come sperate a luogo e tempo avere con lui grandi e lunghe consolazioni; e che lui ricevavate per amico in iscambio di Guido, cui Iddio v'avea levato dinanzi agli occhi. E che in fine gli diciavate, che nell'animo vostro era, non curare ove voi finiste vostra vita: e che non v'era noia così andar più là, come tornare alla patria: e come di questa materia non pensaste mai scrivere nè a lui nè ad altri; pure, per conforto de' vostri amici e parenti, a' quali volete più tosto credere che a voi medesimo, scrivavate a lui ed alcuno altro, che gli piacesse sostenervi nella vostra giustizia: e come la verità era, che tutte le possessioni vostre, fuor delle case e masserizie, non valeano fiorini MMM; e come agevole era loro informarsene a Prato. E in fine il pregaste, gli desse Iddio grazia pigliare buono partito. Or, Francesco, questo era l'effetto della lettera io vi mandai per copia a più e più. E dicovi che in detto effetto ne facciate una a messer Tommaso; con dire in fine, che gli piaccia dirne l'animo suo a Matteo dello Scelto, suo vicino: e che ciò arete caro; e grande amore vi fa scrivergli. E dinanzi, e nella soprascritta, dite: «Onorevole padre, messer Tommaso Soderini, maggior carissimo». E dissemi Stoldo, che dette mie lettere diede ora al dirieto a non so che vetturale. Stoldo non suole mai fallare di ciò. E dicovi che v'è più adatto e più utile, che mai arei creduto; ed è d'assai: salvo ne' fatti del Comune non è isperto; ed è un poco duro di piacevolezze: ma egli è da tenerlo caro. E oggi il trovai con molta malinconia di non so che villania gli diciavate per l'ultime lettere, cioè ch'attendavate Tommaso, ec.; e ch'egli è a Pisa, e non si ispaccierà sì tosto. Ora torno al proposito. A Matteo Villani, a Tommaso Rucellai, a Bernardo e Vieri Guadagni, Domenico Corsi, Andrea di messer Ugo, Aghinolfo Popoleschi, Niccolò da Uzzano, ne fate una, di pochi versi l'una, come in effetto vi mando per copia. E a tutti dite di sopra: «tale di tale, onorando mio maggiore, in Firenze». E una simile ne fate a Francesco Federighi. E non vi iscordi quella di Domenico Giugni, detta di sopra; con quella parola, che sperate avere con lui lunghe consolazioni in iscambio di Guido, ec.. E una ne fate a Francesco Federighi, se già fatte non l'aveste, come in altra vi scrissi. A Matteo dello Scelto, a Vanni Rucellai, a messer Filippo, non la fate. Non dico sanza cagione. E tutto pigliate sotto brevità, e in consolazione; e andate alla piana col mondo. Fatte queste lettere, a pochi dì o settimane potete tornare; e le vostre parole e degli amici fiano, Che siete venuto a stanza degli amici che v'hanno richiesto che vegnate a pregare alcuno che per la prestanza non siate disfatto. E per ancora, direte, non sono tornato affatto. So che mi intendete bene; chè fia uno onesto dire: S'io sarò maltrattato, io non ci starò. E già fra la Ventina è sparto, che que' di fuori siano sì trattati, ch'egli abbiano voglia di tornare. De' vini arete; lasciate a me: tutta la terra, insino a' Signori che mel tolgono, è rivolta a una botte ch'io n'ho; e assai faranno ch'io non vi serbi la vostra parte per uno mese: e degli altri procaccerò. Il ripigliar delle dote di coloro, non ne seppi nulla; nè ne fui domandato mai: se non che ho sentito ciò da altrui; e che la Lapa di certo è tosto per rimaritarsi. Dirovvi a bocca tutto. Piero di Guidaciaglia pare meni quella danza. Nulla v'ho a dire altro. Se none che, per uno capitolo mi fate, mi lasciate in molta consolazione, forse in maggiore che mai m'accadesse con voi: cioè, che amiate di buon cuore chi puramente vi dice l'animo suo, e non vi liscia; e come avete prima iscorti i lusinghieri, che e' parlino. Padre carissimo, contento sono di voi e di me; chè spesso ho paura delle cose v'ho scritto, che non vi turbiate. E certamente avete grande e sottile intendimento, e avveggomene più che mai. E dico ch'è scacco a tale e tale, che avea più fama di voi; solo se voi vi potesse vincere di non turbarvi nè rompervi, almeno delle piccole cose; o della ruota del mondo, che non volesse spesso ritenella; la quale non può ritenere senno nè arte: ma sola la vostra colonna e camera fosse Dio, e il vostro porto; e posastevi ne' beni etterni; e questi che fuggono, lasciaste impazzare e infuriare come si vogliono. Dicea l'altro giorno Villano di Giovanni Villani, che da fanciullo apparò questo verso, cioè: Chi più ha, più lascia, E con maggiore dolore passa; Lascia quello non può portare, Porta quello non può lasciare. Cristo vi dia consolazione nell'anima; dell'altre non curo. - LAPO vostro figliuolo. V di maggio.