Al nome di Dio, amen.
Anno della sua incarnazione
Millequattrocentodieci,
indizione terza, a dì ultimo di
luglio. Fatto nella
terra di
Prato, nella
casa dell'abitagione di
Francesco di sotto scritto;
presenti
.
Sia a tutti manifesto sì come el discreto e onorevole uomo
Francesco di Marco Datini
da
Prato predetto,
cittadino e
mercatante fiorentino, sano, per la grazia
di Dio, della mente, sentimento e intelletto, avegnadiochè
infermo del corpo: considerato che la morte per modi innumerabili gli
uomini uccide; per la qual cosa necessario è, in mentro che la ragione
reggie la mente, alla salute della sua anima provvedere e i suoi fatti
ordinare; e però per lo presente suo nuncupativo
testamento, il quale
si dice sanza scritti, la sua ultima ordinando volontà, quello fecie,
compuose e ordinò in questo modo, cioè:
In prima, l'anima sua a Dio e a tutta la celestial Corte raccomandando,
la sepultura del suo corpo elesse, quando avvenisse che morisse, nella
chiesa di
San Francesco di
Prato, in quello luoco, con quegli apparecchi e
con quegli adornamenti del sepolcro e sepultura e esequie di tutto il
mortoro, e spese d'essi e altre cose circustanti, condecenti e usate in
simili cose farsi; anco più tosto quelle e sì come una volta e più si
diliberrà per mona
Margherita sua donna,
Luca del Sera mercatante
cittadino fiorentino
compagno del detto
Francesco,
Barzalone di Spidalieri
da
Prato e
Lionardo di ser Tommaso da
Prato; tutto commettendo nelle loro
discrezioni, pregando loro che più tosto a bene dell'anima sua attendano, che a
quelle cose che in tutto appartenessono a vanità.
Ancora lasciò, che a tutti e ciascheduni i quali dovessino alcuna cosa
iustamente e veramente ricevere, interamente e ragionevolemente si
satisfaccia: e però, sè e sue
rede e
beni
obligò; vogliendo e disiderando
che i
debitori suoi, o quegli dare doverranno a lui o alle sue
rede, nel
tempo e secondo la forma della ragione e onestà, esser costretti a
pagare quello che dare debbono.
Ancora lasciò all'
altare della preziosa
Cintola di
Nostra Donna regina del cielo,
nella terra di
Prato, nella
pieve di detto luogo, dodici
lampane d'
ariento;
le quali sieno dinanzi al detto
altare e la detta venerabile
Cintola ivi
perpetuo dedicate, a reverenzia della detta
Nostra Donna: le quali sieno
di spesa di
fiorini trecento: le
quali se per alcuno tempo se ne levassino,
vendessonsi o
permutassonsi, o in alcuno modo avvenisse che si
alienassino,
guastassino o struggiessonsi, incontanente volle divenissino alle
rede e
Ceppo suo di sotto scritto. La quale spesa volle si facesse
sollecitamente, e con fede, per l'
erede suo, o veramente per
gl'infrascritti
esecutori
Consoli di
Calimala, o pe'
Rettori per tempo
fossino del detto
Ceppo.
Ancora lasciò a' Frati,
Capitolo e Convento de' Romiti di
Santa Maria degli Agnoli di
Firenze, sì veramente che se ne
comperino
terre
vignate atte a detti Frati e Convento,
fiorini cinquecento: comandando esse
terre, che si
compreranno, non si potere in perpetuo
vendere,
alienare o
a lungo tempo
concedere; vogliendo che i frutti d'esse venghino in
perpetuo e ne' presenti Frati e ne' loro successori. E se contro al detto
lascio in alcuno modo si facesse, le dette terre e lascio volle divenire al
Ceppo de' poveri, sua
reda infrascritto; e che la detta
pecunia in altro
non si possa convertire, se non nelle dette
vigne se ne debbono
comperare, eziandio con autorità del suo
Priore.
Ancora, per accrescere le limosine e divozioni de'
cittadini e
contadini e
degli altri che hanno piatà inverso i fanciulli e fanciulle che si dicono i
gittatelli; e acciò che essi fanciullini bene sieno nutricati, mutati e
governati; e gli effetti de' danti le limosine sieno liberi, e non temano
che le limosine si trabaldino e mandinsi fuor della
città: volle e ordinò,
che per principiare uno luogo nuovo,
ove e sì come vorrà lo infrascritto
Spidalingo nella detta
città di
Firenze, del quale sia
priore
rettore
spidalingo
governatore e
sostentatore lo
Spidalingo dello
Spidale di Santa Maria Nuova di
Firenze,
il quale sarà per li tempi, e il quale così lasciò fosse; il quale i fanciulli
notrichi e notrire faccia, i quali ivi saranno rilasciati o gittati, con buona
diligenzia e cautela; si dieno al detto
Spidalingo di
Santa Maria Nuova,
della
sustanzia del detto
testatore, e da poi che esso
Spidalingo arà
principiato a edificare, e non altrementi,
fiorini mille d'
oro, che si
spendano nello detto nuovo luogo, e non altrementi. Dello quale nuovo
luogo, che così si debba fare, lo infrascritto
Ceppo suo
ereda e i
Rettori
d'esso volle essere et esser nominati patrone, sollecitatore e autore, in
quello modo che dire o far si potrà.
Ancora lasciò, per l'amor di Dio, a mona
Domenica
vedova, donna fu di
Meo vocato il
Saccente, sua
servigiale e povera persona, a vita di lei e in
mentro ch'ella viverà, una
casa del detto
testatore, nella quale abita, e
come abita
Iacopo da Pisa barbieri, a presso alle
Due vie e la
casa di
ser
Naldo
notaio, posta in
Prato in
porta Fuia. Item,
staiora sette di terra la
quale esso
testatore
comperò da
Chese di Filippo da
Prato, posta in su la
strada pratese, luogo detto alla
Romita. E gravò l'
erede suo e i
Rettori e
provveditori suoi sì adoperare fare e curare che, eziandio oltra le
predette cose, niente delle
cose sanza le quali comodamente non si vive, manchi alla detta
mona
Domenica, secondo la
condizione del suo stato, in mentro ch'ella
viverà. E questo come agli
uficiali del
Ceppo infrascritto parrà e piacerà.
Ancora lasciò, per l'amor di Dio, a
Andrea di Simone di
porta Santa Trinita da
Prato, povero giovane il quale, come disse, quasi
infino da puerizia ha nutricato, ogni
anno, in quanto e in mentre che viveranno a
lui i
figliuoli del primo grado o alcuno di loro, e, esso
Andrea morto, a
essi suoi
figliuoli così chiamati, uno
moggio di
grano e uno
cognio di
vino.
Ancora lasciò, per l'amor di Dio, a frate
Francesco di Iacopo Pucci, di
sopra per
testimone scritto, suo confessoro, una
cappa a lui
confaccientesi, come ordineranno i detti mona
Margherita,
Luca,
Barzalone e
Lionardo, di sopra nominati nel primo
capitolo e lascio.
Ancora lasciò, ogni
anno in perpetuo, a' Frati,
Capitolo e Convento di
San Francesco da
Prato, pe'
vestimenti de' Frati e loro notricamento e
altre cose a loro necessarie, e alla detta
chiesa, per l'anima del detto
Francesco, come s'ordinerà e parrà a' suoi futuri
uficiali dello infrascritto
Ceppo, i quali a maggior necessità di loro provvedranno d'
anno in
anno,
fiorini venticinque; facciendo eglino ogni
anno spezialmente condecente
mimoria a Dio per la sua anima, come i detti
uficiali del
Ceppo ordineranno.
Ancora lasciò, per l'amor di Dio, a ciascheduna delle
figliuole di
Chiarito di Matteo
da
Prato, povero e non ingegnoso uomo, suo
parente, divenuto, come disse,
in male stato per l'
estimo e altro, quando si mariterà e per maritarsi,
fiorini cento d'
oro. E gravò l'
erede suo infrascritto e i suoi
Rettori e
provveditori sì adoperare, fare e curare, che niente delle cose sanza le
quali comodamente non si vive, manchi d'
anno in
anno al detto
Chiarito in mentro che viverà, e similmente a le dette sue
figliuole in mentro che saranno non maritate, o innanzi che si maritino,
se sanza il detto
padre rimanessino non ancora maritate, e vita onesta
mantenessino. E questo come agli
uficiali del
Ceppo parrà e piacerà.
Ancora lasciò a
Tommaso di ser Giovanni da
Vico,
contado di
Firenze,
suo
fattore in
Vignone, a godimento e a sua vita,
fiorini cinquecento; i
quali dopo la sua morte volle ritornare all'
erede suo infrascritto; esso
Tommaso facciendo
debito et idoneo
sodamento di rendergli.
Ancora volle e ordinò el detto
testatore, che per lo suo
erede infrascritto
e i suoi
uficiali, tre
lampane in perpetuo si tengano accese nella detta
chiesa di
San Francesco; cioè, una a ciascheduno delli suoi due
altari, e
la terza dinanzi alla
figura del
Crucifisso che è nel mezzo di detta
chiesa.
Ancora lasciò, per l'amor di Dio, a mona
Lucia per adrieto suo' serva,
maritata a
Nanni di Martino Pagni dal
Palco,
lire dugento; le quali volle
ritornare al
Ceppo suo
reda infrascritto dopo la morte della detta donna
e del detto suo
marito e de' loro
figliuoli: vogliendo che 'l detto suo
marito e i
figliuoli, se sopravvivessino a lei, godano il detto lascio; sì che
dopo la morte di lui e de'
figliuoli ritorni come di sopra. E liberando il
detto suo
marito di tutto quello a che al detto
testatore in alcuno modo
fosse tenuto.
Ancora volle che se alcuno de' soprascritti o infrascritti
legatarii si
ramaricasse d'alcuna
ragione o
saldo fatto o non fatto col detto
Francesco, o vero
richiamo o lite facesse d'alcuna cosa allo suo
erede
infrascritto, tale ramaricantesi o
querela facciente perda il lascio suo; e
quello tale così lamentantesi privò d'ogni favore che gli provenisse del
presente
testamento.
Ancora lasciò a' detti Frati e Convento di
San Francesco, oltra i
due
altari ivi per lui fatti e a loro già donati, per l'amor di Dio,
fiorini
dieci; comandando ai suoi
eredi infrascritti che debbano i detti due
altari, sì come al presente sono forniti, così in perpetuo quegli
mantenere e conservare, alle spese del detto infrascritto
Ceppo:
commettendo al detto
Ceppo e a' suoi
Rettori la facitura e l'opera del
coro e delle volte del
chiostro ivi, quando potranno e a loro parrà, e in
quello modo, forma e ordine, come esso
Francesco già fare avea
deliberato; ripognendo ne' detti
Rettori solamente el tempo e la potenzia
e comodità del detto
Ceppo.
Ancora lasciò a
Tieri di Benci da
Settignano, il quale sta a
Vignone,
fiorini cinquecento; e che di quello a che il detto
Tieri è tenuto al detto
Francesco, fra loro la ragione come si debbe si rivegga e faccisi, e a
esecuzione si mandi, di per sè e separatamente dal detto lascio. I quali
fiorini cinquecento volle avesse a vita, e
sodando come di sopra è detto
nel lascio di
Tommaso da Vico, il quale ancora dimora in
Vignone.
Ancora, per l'amor di Dio, liberò ogni e qualunque sua
schiava,
dovunque e in qualunque parte del mondo fosse, e essa e esse nella
pristina libertà ripuose.
Ancora, avendo avvertenzia a' servigi per lo passato e al presente fatti e
che si fanno per certi
medici i' nelle sue e della sua
famiglia infermità, e
che non è convenevole abbino a chiedere quello a loro si debbe; volle
che a pieno a loro si satisfaccia, sì come diranno i detti mona
Margherita,
Luca,
Barzalone e
Lionardo, di sopra nominati nel primo
lascio; a' quali i detti
medici sono ben noti, o almeno a' detti primi due,
mona
Margherita e
Luca.
Ancora lasciò a ogni
chiesa di
Prato e che sia nella terra di
Prato,
a ciò che messe si dicano per lui,
lire cinque; delle quali si
comperi uno
torchio per ogni
chiesa detta, per l'anima del detto
Francesco; escettuati
gl'infrascritti quattro Conventi, a' quali più lascia.
Ancora lasciò a frate
Ventura,
calzolaio, dell'
Ordine de' frati degli Umiliati
converso d'
Ogniesanti, il quale dimora ivi alla porta, per messe di
san Gregorio che per esso
testatore si dicano,
fiorini dieci d'
oro, per
l'amor di Dio.
Ancora lasciò a' Frati e Convento di
Santa Anna presso a
Prato, in
quanto per alcuno tempo reedifichino e rifacciano la
cappella maggiore
della detta
chiesa, ora inetta, come è suto detto per molti, e non
altrementi,
fiorini cinquanta d'
oro. Volle nientedimeno che alle spese
delle suo'
rede si faccia la
volta o vero
loggia, già per lui diliberata farsi,
tra la
chiesa e la porta del
chiostro, acciò che si cuopra l'
altare ivi atto, e
come esso
Francesco
testatore più volte detto avea. E questo come
parrà a' detti
uficiali del
Ceppo, o vero a' detti mona
Margherita,
Luca,
Barzalone e
Lionardo, nel primo lascio di sopra scritto nominati.
Ancora, per l'amor di Dio, a' quattro conventi della terra di
Prato, cioè di
San Domenico,
Sant'Agostino, del
Carmino e de'
Servi di Santa Maria, a ciascheduno di loro,
lire venti; le quali si
convertino in quelle cagioni e cose delle quali parrà a' detti
uficiali del
Ceppo,
o a' detti mona
Margherita,
Luca,
Barzalone e
Lionardo, di sopra nominati.
Ancora, nel detto modo e per le dette cagioni e
nella detta forma, lasciò a'
monisteri di
Santa Chiara, di
San Niccolò e di
San Matteo da
Prato,
lire cinquanta per ciascuno
convento.
Ancora lasciò al detto
monistero di
San Matteo da
Prato, per fare una
tavola per l'
altare, come s'ordinerà pe' detti quattro, mona
Margherita,
Luca,
Barzalone e
Lionardo, quello che i detti quattro
dilibereranno esser
necessario pello detto
altare.
Ancora lasciò al
munistero di
San Niccolò da
Prato, e volle che si
dipingano certi
pancali, e certe
dipinture si facciano in quello modo
forma e luogo e dispese, ne' quali e sì come già il detto
Francesco avea
ordinato si facesse, e come diranno i detti mona
Margherita,
Luca,
Barzalone e
Lionardo, meglio informati d'ogni sua intenzione e ogni suo
fatto e atto, che alcuno altro che si potesse trovare; e delle coscienzie
de' quali egli si confida.
Ancora volle e dichiarò, sè esser contento che
Luca del Sera suo
compagno, se avesse il donde, e a lui paresse,
paghi a'
legatarii di
questo
testamento del detto
Francesco, poveri, e di piccola importanzia
e di piccole
somme: in niente però vogliendo si diroghi alla
compagnia
che ha col detto
Luca, della quale di sotto si farà menzione. E che in
questo non si faccia contro alla volontà del detto
Luca,la quale riputa per
l'avvenire buona, come ne' passati tempi sempre ha trovata buona e
fedele.
Ancora lasciò alla
chiesa di
Santa Maria de Alpuon d'
Avignone, e
all'
oratorio di
Santa Maria delle Grazie sopra 'l
Ponte Rubaconte di
Firenze,
fiorini dieci per ciascuno.
Ancora finì e liberò
Betto
trombetta da
Prato, per l'amore di Dio,
poverissima persona, da tutto ciò a che tenuto gli fosse.
Ancora volle per gli
uficiali suoi dello infrascritto
Ceppo in tal modo
ordinarsi, che una pietanza e uficio rinovale nella
chiesa di
San Domenico da
Prato, con condecente spesa, si faccia per l'anima del detto
Francesco: e che il detto Convento di
San Domenico sia a essi
uficiali e
Ceppo in perpetuo raccomandato nelle sue necessità, come parrà agli
uficiali del detto
Ceppo che per lo tempo saranno: i quali pregò
considerassono le necessità secondo i tempi; e proveggano come
penseranno che esso
Francesco fatto arebbe.
Ancora volle, che sopra uno caso d'una
somma di
fiorini mille
cinquecento, del quale
Luca infrascritto e altri sono informati, s'abbia
consiglio, per l'anima del detto
Francesco, pe' detti mona
Margherita,
Luca e
Barzalone e
Lionardo, di sopra nominati, co'
maestri in Teologia o
dottori di
Decretali, come essi quattro vorranno: pregando me
notaio
disotto scritto, e comandando che, per l'amore di Dio e per l'anima sua,
riceva questo peso con loro. E disse, volle e dichiarì, che secondo il detto
consiglio si faccia e a
esecuzione si metta per essi mona
Margherita e gli
altri predetti, della
sustanzia del detto
testatore; sì che l'anima del detto
Francesco non
sia per lo detto caso in alcuno modo obligata: comandando
all'
ereda e
esecutori suoi predetti, che
paghino o
pagar faccino o a
esecuzione mandino quello che nelle predette cose e detti quattro suoi
amici in questo lascio nominati diranno.
Ancora finì e liberò
Giovanni di Bartolomeo di Giunta da
Prato, e
Lionardo di ser Tommaso da
Prato, e il detto
ser
Tommaso, d'ogni e
tutto quello a che a esso
testatore in alcuno modo fossino tenuti, o
dicessesi loro esser tenuti.
Ancora volle, per l'amor di Dio, che a niuno
maestro di pietre o
legname
o
fornacciaio, o a niuno
manovale,
renaiuolo,
vetturale o
fabro,
s'adomandi alcuna cosa di quello che scritti sono, o apparisce pe' suoi
libri, loro dare dovere al detto
Francesco, e loro da' suoi
debiti liberò:
escetti
Iacopo da San Donnino e
Antonio di Vitale da
Prato, co' quali
volle il
saldo e
conto farsi, e secondo quello o secondo i
libri del detto
Francesco esser gravati a
pagare quello debbono, e eziandio liberi, se
per lo
computo si dovesse la liberazione di loro; la qual cosa non crede.
Ancora lasciò a ciascheduna delle
figliuole di
Luca del Sera da
Firenze,
suo
compagno benemerito, in aiutorio delle loro
dote quando si mariteranno,
fiorini cinquecento d'
oro.
Ancora lasciò a detti mona
Margherita,
Luca e
Barzalone, di sopra nel
primo
capitolo nominati, per dare e acciò che le dieno a una certa donna
ora maritata, la quale a detti mona
Margherita,
Luca e
Barzalone ha
posto in secreto, tante possessioni e
beni immobili a vita
e durante la vita della detta donna, in qualunque stato si
trovasse, maritata o
vedova; le quali sieno di
valuta e
stima di
fiorini
mille d'
oro; de' frutti de' quali niente volle pervenire al suo
marito, più
che si procederà dalla mano e volontà della detta donna. Dopo la morte
della quale e detti
beni ritornino al detto
Ceppo. E comandò agli
ufficiali
che per l'avvenire in qualunque tempo saranno dello infrascritto suo
Ceppo e Casa de' poveri, che inverso la detta donna e per suo rispetto
faccino certo
pagamento o vero
paghino certe quantità di
pecunie per
lei, et o vero per lo suo
marito, continua, la quale e sì come in secreto
ha posto alla detta mona
Margherita,
Luca e
Barzalone e al
maestro
Lorenzo medico da Prato; infino a tanto e in mentro che la detta donna
viverà e in qualunque stato viverà. E che la detta donna, alle spese delle
rede del detto
Francesco, sia difesa da qualunque
a lei nuocere volesse o molestasse. E se la detta donna avesse
figliuola o
figliuole legittime e naturali, le quali venissono a atto di
matrimonio
contrarre, volle alla prima, per lei maritare, allora darsi della
sustanzia del detto
Francesco, quando si mariterà,
fiorini cinquecento; e
vegniendo l'altre suo'
figliuole a
contrarre matrimonio, come di sopra,
dopo la prima, all'altre lasciò quando si mariteranno, per aiutorio del
loro maritarsi, quello che e come si
dilibererà per gli
uficiali dello
infrascritto
Ceppo de' poveri, i quali saranno pe' tempi, e i quali lo stato
del
Ceppo e il numero delle
figliuole e l'altre cose da considerare
considereranno: e così loro pregò facessino.
Ancora lasciò a mona
Margherita, sua donna diletta, lei stando
vedova e
onesta, e in mentro che così starà, ogni
anno tutto il tempo della vita
d'essa, per gli alimenti di lei e della sua
fante e
famiglia,
fiorini cento
d'
oro, che a lei si debbano dare dal detto infrascritto
Ceppo e Casa de' poveri,
o vero
esecutori. E che per gli suoi
esecutori e i detti di sopra e
di sotto nominati
uficiali del
Ceppo si provvegga in tal modo, che
liberamente e sanza intervallo o alcuna
querimonia il presente
legato
annuale el suo effetto abbia. Et eziandio volle, essa sua donna avere
dalla sua
eredità le cose infrascritte a sua elezione; quali e quelle che
vorrà et eleggerà, delle cose e
beni del detto
testatore; e le quali a lei
liberamente lasciò: cioè, due
letti forniti, uno per sè e un altro per la
fante; ancora le
masserizie a lei di bisogno. E oltra le predette cose, tutti
i
panni lani e
lini a uso del dosso della detta donna e del detto
Francesco, acciò che possa far le limosine per l'anima di ciascuno di loro.
Ancora una
casa per abitare, a lei confacciente, in mentro che viverà,
vedova e onesta. Ancora l'
usufrutto d'una
presa di terra del detto
testatore, di più pezzi, posta presso alla
porta di Santa Trinita
di
Prato, ove si dice alla
Romita; la qual
presa si chiama
La
chiusura di Francesco: in mentro che così viverà. Liberando lei da
ogni
gravezza di
sodare per lo detto
usofrutto nelle terre predette: e di
lei si confida, che bene le terrà e restituirà, come delle
rede sue
infrascritte. E dopo la morte di lei, la detta terra e
chiusura ritornar volle
alle sue
rede infrascritte. Volle ancora, che i detti suoi
eredi debbano per
la detta donna, lei così stando
vedova,
pagare ogni
prestanza o
estimo e
simili
gravezze che a lei s'imponessino, e le quali da lei si volessino
riscuotere per la
Comune di
Firenze o vero pe' reggimenti della
città o
contado o
comunità o popoli dove avvenisse che fosse
collettata in
alcuno modo per rispetto de' presenti lasci o altra qualunque cagione. E
che eziandio alle spese dell'
erede del detto
Francesco, la detta donna sia
difesa da ogniuno che contro le facesse. E se la detta donna si
rimaritasse, allora privò lei di tutti i detti lasci di sopra scritti; e in luogo
d'essi, a lei lasciò solamente
fiorini cinquecento, che a lei liberamente si
dieno de'
beni della sua
redità; affermando dalla detta sua donna non
avere avuto
dota. Ancora, perchè la detta donna potrebbe non
incongruamente eleggiere, in caso della detta viduità, l'abitagione e
casa
per abitare per sè nella
città di
Firenze; acciò che n'abbia una altra in
contado, eziandio volle e lasciò, oltra le predette cose, alla detta mona
Margherita, e a una altra donna la quale a lei e a' soprascritti
Luca e
Barzalone ha posto in segreto, oltra quella che alla sopradetta mona
Margherita ha lasciato, una
casa per abitare per loro in
Prato, in mentro
che viveranno, colle
masserizie in verità necessarie nella detta
casa a
esse donne, durante la loro vita.
Ancora lasciò a
Francesco di Domenico Naldini da
Firenze, il quale lungo
tempo è stato co lui, el
salario
suo ancora non fatto o fermo, a vita e durante la vita del detto
Francesco di Domenico,
fiorini trecento d'
oro; lui facciendo
debito
sodamento
di rendergli: la quale
somma di
pecunia, lui
Francesco di Domenico
morto, ritornare volle all'
erede suo infrascritto. E volle che
mona
Margherita,
Luca,
Barzalone e
Lionardo di sopra nominati, perchè
esso
Francesco di Domenico è
debitore del detto
Francesco
testatore,
per
danari per lui avuti, come pe'
libri del detto
testatore apparisce,
facciano e fermino il
salario del detto
Francesco di Domenico, il quale si
sconti per errata della
pecunia in che è
debitore, come la
ragione e
conto che se ne farà detterà; e del resto, per ogni parte si faccia quello
che è di ragione.
Ancora lasciò a
Guido di Sandro di Piero da
Firenze, il quale quasi da
puerizia ha allevato, a godimento
trafficare e
usufruttare in mentro che
esso
Guido viverà,
fiorini cinquecento d'
oro; lui facciendo
debito
sodamento di rendergli: la qual
somma dopo la sua morte ritornare volle
all'
erede suo infrascritto. Ma il
salario suo e la forma del
salario, disse
esso
testatore altravolta avere fatto e fatto fare e ordinare.
Ancora lasciò alla nuova
Sagrestia di
Santa Liperata, e
all'
Opera delle mura della
città di
Firenze, tramendue,
fiorini uno d'
oro.
Ancora lasciò e fece come di sotto si contiene: imperò che considerò el
detto
Francesco
testatore, che dalla sua infermità della
renella e
arsione
dell'orina molto era oppressato in fare il presente
testamento, e dal
dolore di molte
febri era impedito; per la qual cosa impossibile era,
come disse, che non dimenticasse molte cose appartenenti allo stato
della sua anima, ed alquanti
amici ben meriti di giusta rimunerazione; delle quali cose
l'oblivione non potrebbe bene essere sanza infamia della memoria del
detto
Francesco e sanza ingratitudine: e però volle il detto
testatore, che
mona
Margherita sopradetta,
Luca del Sera,
Barzalone di Spidalieri e il
maestro
Lorenzo medico da Prato cittadino fiorentino (il quale si voleva
dire innanzi), possino, sieno tenuti e debbano, sopra la sua anima e le
loro coscienze, ove vedranno esso
Francesco, massimamente in
omettendo, avere errato, secondo il loro giudicio, dare e
pagare e
pagar
fare, per gli
esecutori e o vero
Ceppo
erede suo e d'esso
Ceppo
uficiali e
per sè medesimi, della
pecunia del detto
Francesco, quella quantità di
pecunia che a loro parrà, e come a loro parrà, e a cui e come fie di lor
piacere, in fino in nella
somma di
fiorini mille d'
oro. Et infino a ora,
infino nella detta
somma di
fiorini mille d'
oro o meno, lasciò e volle si
desse a quelle tali persone o luoghi che per loro si nomineranno, sì come
esso propriamente avesse lasciato a' detti tali; gravando loro che
cautamente faccino, acciò che niente si faccia contro all'animo di
Francesco, come giudicheranno, nè contro alle loro coscienzie, male
dispensando.
Ancora volle esso
testatore, che solamente la
compagnia della
mercatanzia la quale esso
testatore ha con
Francesco di ser Benozzo e
Luca del Sera di
Firenze duri e durare debba dopo la morte del detto
Francesco cinque
anni prossimi che verranno: in questo gravando gli
eredi infrascritti. Per la qual
diliberagione spera el detto
Francesco, che
la sua
sustanzia venga nello infrascritto
Ceppo suo
reda più atta e più
piena pe' poveri suoi, i quali ha eletti, come di sotto si noterà. E spera
che in questo mezzo e
compagni suoi predetti, e massimamente il detto
Luca, non in furore ma in tempo comodo
e opportuno e a poco a poco, si potranno ritrarre, e con buono
provvedimento e cautela finire la detta
compagnia, con accrescimento
de' poveri di Giesù Cristo; pregando loro che per questo rispetto sieno
bene quieti e contenti. E vogliendo che
Lionardo di ser Tommaso da
Prato, di sopra nominato, con cinquecento
fiorini della
sustanzia del
detto
Francesco, i quali a lui cinque
anni lasciò a godimento
trafficare e
usufruttare nella detta
compagnia, entri in
compagno e per
compagno i'
nella detta
compagnia de' detti cinque
anni, e colla persona sua, come
dichiarerà el detto
Luca d'essa persona. E finiti i detti cinque
anni, la
detta
somma di
fiorini cinquecento volle ritornasse alle sue
rede
infrascritte. La quale
compagnia di cinque
anni di sopra espressa, così
ordinò per
esecuzione plenaria del detto suo
testamento. El quale
Luca del Sera
e
Francesco di ser Benozzo,
esecutori suoi in questa parte e
capitolo solamente fecie et esser volle; vogliendo che la detta
compagnia di cinque
anni si chiami nomini e scrivasi, La
esecuzione e
fedecomissaria di
Francesco di Marco e
Compagni.
Ancora lasciò a
Agnolo di Iacopo e
Niccolò di Giovanni, suoi
fattori in
certe parti del mondo, a godimento,
fiorini trecento d'
oro per
ciascheduno in mentro che viveranno; e morti loro, o alcuno di loro,
essa
pecunia, che era a godimento di tale morto, all'
erede del detto
testatore debba pervenire: facciendo eglino dovuto e idoneo
sodamento
di restituirgli.
Ancora esso
Francesco
testatore volle e ordinò, per l'amor di Dio, e acciò
che a' suoi poveri dia quello che da Dio in dono e di grazia ha avuto:
Che la sua maggior
casa e della sua abitagione nella terra di
Prato, col
giardino e
casa dirimpetto, o vero
loggie,
stanze e ornamenti suoi,
s'intenda essere e sia uno certo
Ceppo,
Granario e
Casa privata, e non
sacra, in niuno modo sottoposta alla
Chiesa o
ecclesiastici
uffici o
prelati
ecclesiastici o a altra persona
ecclesiastica, e che in niuno modo a ciò si possa ridurre; ma sempre sia
de' poveri, e a perpetuo uso de' poveri di Giesù Cristo, e loro alimento et
emolumento perpetuo. E così essa lasciò, destinò e
obligò in ogni miglior
modo, via e ragione, pe' quali più e meglio potè; co' modi, ordini, patti e
condizioni nel presente
testamento detti e che si diranno di sotto. La
qual
Casa, a differenzia dell'altre
Case de' poveri della detta terra di
Prato, si chiami, e volle chiamarsi, La
casa del Cieppo de' poveri di
Francesco di Marco. Per la qual
Casa,
Granario o vero
Ceppo de' poveri,
volle e comandò si
comperino
poderi, terre e possessioni stabili, per gli
esecutori
Consoli infrascritti, o vero eziandio pe'
Governatori della detta
Casa che di sotto s'ordineranno, di qualunque
pecunia che della
redità
del detto
Francesco si
ritrarrà e
riscoterà di qualunque luogo. E per
insino a ora il detto
Francesco
testatore le dette terre e possessioni che
si
comperanno, e ogni suo' terre,
case e
beni immobili, dovunque sieno,
e presenti e futuri, diede, consignò, lasciò, unì e adattò, per l'amor di
Dio, alla detta
Casa o vero Ceppo de' poveri,
reda suo infrascritto: de'
quali
beni immobili divietò la
vendita,
alienazione e
allogagione a lungo
tempo; sì che in perpetuo de' frutti d'esse si paschino e nutrichino i
poveri di Giesù Cristo. E se alcuna possessione, contro alla detta
proibizione, s'
alienasse o
concedesse, quella e quelle cotali, che così
s'
alienassono o
allogassino, lasciò alla
Compagnia di
San Michele in Orto
di
Firenze. Delle quali possessioni e terre e
beni i frutti,
rendite e
proventi si dieno e volle darsi e espendersi e distribuirsi ne' poveri di
Giesù Cristo, così piuvichi come segreti e vergognosi; come si fa, o
meglio, de' frutti delle possessioni che sono dell'altro
Ceppo e Casa de' poveri,
che è in
Prato. E questo per quattro
terrazzani, de' migliori e più onesti della detta terra di
Prato,
ogni
anno; i quali s'
eleggano o vero si
scruttinino propriamente nel
Consiglio generale della detta terra e
Comune di
Prato, come di sotto si
dirà: commettendo per insino a ora l'
elezione annuale e perpetua
predetta, e de'
ministri eziandio opportuni, nel detto
Comune di
Prato, e
la
remozione e privazione d'essi. La quale
elezione volle e pregò che si
faciesse con pieno
mandato e autorità, e sì come al detto
Comune
piacerà; salve sempre le cose si contengono nel presente
testamento e
sua ultima volontà: e spezialmente, per difendere la detta
Casa o vero Ceppo
da qualunque, alle spese della detta
Casa, e per
riscuotere e
racquistare i
beni,
ragione e
pecunia,
crediti e lasci e
eredità, e così la
infrascritta come l'altri a lui appartenenti; e di finire le cose
riscosse: e
per adomandare,
piatire e difendere e altre cose fare, che per lo detto
Comune saranno ordinate. E per cagione che del detto
Comune e terra
di
Prato e de' suoi uomini grande ha confidenzia, la detta
Casa e Ceppo,
colle soprascritte e infrascritte sue ragioni et
eredità, al detto uso de'
poveri e loro alimento ordinata, e la manutenzione e defensione,
gubernazione e reggimento d'essa raccomandò al detto
Comune, alle
spese della detta
Casa; e a esso
Comune la
rettoria, regimine,
governazione e administragione principale plenariamente e in tutto, e
eziandio la
esazione di tutti i
debiti e
ragioni del detto
Francesco, presa
o non presa la sua
eredità, e si come esso
Francesco nella sua vita
arebbe avuto, se avesse voluto, così diede, commise e conferì in
perpetuo, e in qualunque futuri tempi; acciò che, per l'amore che porta
al detto
Comune di
Prato e agli uomini di detta terra, le cose dovute e
che si doverranno al detto
Ceppo si possano
riscuotere e avere; e delle cose
riscosse far si possa quello che di
sopra e di sotto ordinato è e ordinerassi: e da qualunque potente o
magnate, il quale volesse la detta
Casa e
beni in qualunque modo e con
qualunque titolo o modo sotto velame o
mantello secolare o
ecclesiastico
occupare, si possa difendere, e col beneficio cioè aiuto del detto
Comune
difendersi. Pregando e ammonendo il detto
Comune di
Prato, che in tal
modo gli piaccia provvedere, che de'
pagamenti o vero promesse fatte
per lo detto
testatore, per lo detto
Comune di
Prato esso suo
reda
infrascritto ne sia conservato sanza danno, e le date e ricevute scritte e
promesse quantità di qua e di là, come si conviene, nel debito tempo si
cancellino. El quale
Comune di
Prato, e qualunque sarà sustituito da
esso
Comune, a cautela eziandio fecie suo
procuratore in perpetuo
duraturo dopo la morte d'esso constituente a
riscuotere ogni suo
credito
e
ragione e a ogni cosa fare che esso
testatore puote e arebbe potuto,
con pieno, libero e general
mandato, per
esecuzione del presente
testamento, e con piena libera e generale amministragione; e
massimamente di permutare in altre e altri, se a loro sarà consigliato
esser bene, e se al detto
Comune parrà, per
comperare possessioni e in
tutto e in parte, i suoi
crediti del
Monte del
Comune di
Firenze presenti e
futuri, e essi
crediti ricevere e finire, e del permutare agli scrivani
licenzia dare; e simigliantemente di
riscuotere tutti gli
accattoni e
prestanzoni e ogni altra cosa a lui dovuta che si doverrà dare dal detto
Comune e da qualunque altra persona, comune,
università,
compagnia o
luogo; e similmente di finire e liberare.
Ancora volle e dichiarò il detto
testatore, che nella detta annuale
elezione che si farà de' detti quattro buoni uomini i quali abbino a essere
sopra la detta
Casa, e essa reggiere, dirizzare e accrescere con consiglio
e favoreggiare
e i frutti e
beni della detta
eredità distribuire, come è detto di
sopra, sopra le loro coscienzie, quanto meglio conosceranno, volle esso
testatore nel detto generale
Consiglio del
Comune di
Prato o
iscrutinio
esser presenti e intervenire, a dare le
fave e voci ogni volta, o almeno
esser premoniti o avvisati o
citati in persona o alla
casa in verità per lo
dì e ora delle
elezioni, gl'infrascritti, cioè:
Chiarito di Matteo Chiariti,
Lionardo di ser Tommaso di Giunta,
Barzalone di Spidalieri,
ser
Amelio di messer Lapo,
messer
Piero Rinaldeschi,
Giovanni di Bartolomeo,
Stefano di ser Piero,
messer
Torello di messer Niccolao,
messer
Bonaccorso di messer Niccolao,
Martino di Niccolao Martini,
Bartolomeo di Matteo Convenevoli, e
Biagio di Bartolo, tutti da
Prato; e
essi mancanti, i discendenti di loro e di ciascheduno di loro per linea e stirpe
masculina; no però più che uno per
casa, d'età legittima, e il quale sia maggior di
tempo. E quali sopradetti e i loro discendenti nel detto modo
elesse e
nominò in protettori e di continuo vegghiatori attenti e difensori e
amatori della detta
Casa e Ceppo, e della detta sua ultima volontà; sì
veramente che, di fuori del detto
Consiglio generale, contro a detti
quattro che d'
anno in
anno si
eleggieranno, o contro alla loro volontà,
niente far possino: ma loro in somma esser volle e pregò fossino
adiutori e all'aiuto e
difensione, per l'amor di Dio e dell'amicizia del detto
Francesco e dell'anime loro, della detta
Casa e Ceppo, contro a tutti
quegli che volessono inimicare la detta buona opera, o alcuna cosa
diminuire o guastare; e a consigliare spesso sopra 'l buono stato e
perpetuità della detta
Casa, per amore de' poveri di Giesù Cristo,
quando fossino dal
Comune di
Prato o da' detti quattro
presidenti in
alcuno modo
richiesti. I quali nientedimeno quattro
presidenti
sopradetti, in fine dello loro
ufficio, abbino
a rendere ragione delle cose fatte per loro, come parrà al detto
Comune di
Prato.
Ancora, a cautela e per più presta
espedizione de' detti poveri e
Casa e Ceppo,
oltra l'altra loro balìa della quale di sopra si fa menzione; fece e
ordinò i detti quattro futuri in qualunque tempo
presidenti al detto
Ceppo o vero Casa de' poveri dopo la morte d'esso
testatore, eziandio in
perpetuo duraturi, suoi
procuratori a rivedere e
calculare e
saldare con
ciascheduni le
ragioni e
conti, e a pigliare, ricevere e
riscuotere dal
Comune di
Firenze e i suoi
camarlinghi le
paglie, doni e
interesse de'
crediti del detto
Francesco scritti sopra qualunque
Monte del
Comune di
Firenze, e che si scriverranno in lui o negli
eredi suoi, e così presenti
come futuri; eziandio quelle che si dicono Le sostenute, e quelle che si
dicono degli
Accattoni, e esse
pecunie d'
accattoni e o vero
prestanzoni e
ogni altro
interesse di qualunque
pecunia; et esse confessare, ed indi
farne fine valida e piena; e altri
procuratore e
procuratori e ciascheduno
in tutto e come vorranno per loro alle predette cose fare e sustituire e
rivocare, durando il presente
mandato: e le dette
paghe principalmente
convertire in
pagar le
prestanze del
Comune di
Firenze appertenenti e
che toccassino al detto
Francesco infino a tanto che durerà la
prestanza
che vegghia; e o vero infino a tanto che si
rinnoveranno o
rinnoverà, e
rimoverassi il nome del detto
Francesco da non esser più
apprestanziato: acciò che alcuno altri, contro al debito o contro alla
volontà sua o contro alla
compagnia di sopra ordinata durare, per le
dette
prestanze non sia molestato. Pregando essi tali quattro
presidenti,
che sieno benivoli a' poveri amici del detto
Francesco, ben noti a' detti
mona
Margherita,
Luca,
Barzalone e
Lionardo: vogliendo che essi
quattro
presidenti e i sustituendi, non però dirogando a quelle cose
che di sopra son dette nel presente
testamento di loro o d'altri,
eziandio possano adomandare in
iudicio e
piatire,
riscuotere i
crediti e
finire, e confessare, e gravare personalmente i
debitori e far rilasciare, e
de'
beni loro
sequestrare, e in
tenuta de' loro
beni farsi mettere, e l'altre
cose intorno alle predette di bisogno fare. E volle il detto
testatore e
dichiarò, doversi credere alla
carta della
procura per
riscuotere le
paghe
del
Monte, e l'altre cose de' detti quattro pratesi
presidenti al detto
Ceppo, sanza alcuna
elezione o balìa a loro
conceduta per lo
Comune di
Prato, o solennità che s'abbia a osservare, veduto solamente il presente
testamento, o vero la instituzione della
reda sola di sotto scritta, e essa
carta di
procura che si farà pe' detti quattro pratesi
presidenti, o vero
affermanti sè presidere al detto
Ceppo, colla
lettera della
testimonanza
dagli
Otto Difensori e dal
Gonfalonieri della giustizia di
Prato del
notaio
che ne sarà
rogato, se a
Prato sarà fatta la detta
carta del
mandato per
notaio pratese; ma se in
Firenze per
notaio fiorentino
rogata sarà la
detta
carta, la detta
lettera testimoniale non sia di bisognio.
Ancora, a perpetua divozione intorno la detta
Casa e Ceppo o vero
Granaio di poveri, e acciò che sia di continuo chi tenga l'
uscio aperto in
nel tempo, e riceva l'
ambasciate de' vegnienti e de' partentisi pe' fatti
del detto
Ceppo e Casa, e noti e oda le cose utili alla detta
Casa, e il
quale abbia a sollecitare i detti quattro
presidenti che si raunino, e
provvedere che non ruini la
casa di tanta spesa, e'
tetti e l'altre cose si
riparino, e netta e monda ogni cosa si tenga; volle e ordinò, in quanto
questo piaccia al detto
Comune di
Prato, che per lo detto
Comune di
Prato si truovi uno certo
guardiano, uomo con donna o sanza, di buona
condizione e fama, a guardia solamente della detta
casa; al quale o a' quali si
doni la detta abitagione per l'amor di Dio in alcuna parte della
casa, et eziandio alcuno agiutorio per lo vivere, per lo tempo ne' modi e
forme come per lo detto
Comune sarà
diliberato.
Ancora volle, che i detti mona
Margherita,
Luca,
Barzalone e
Lionardo, e
i sopravviventi di loro, sieno di tutte le predette cose sollicitatori e
operatori, che i
debitori
paghino, e che i
beni si
comperino delle
pecunie
che si
riscoteranno della detta
eredità per lo detto
Ceppo e Casa; e che
si
riscuotano le dette
paghe, dono,
interesse e
pecunie e
crediti; e tutto
il suo
testamento sopra e infra scritto e la sua ultima volontà abbia
esecuzione: imperò che della sua intenzione, quasi in tutte cose, come
esso
Francesco sono pienissimamente informati. Pregando el detto
Comune di
Prato, che nelle cose da fare per lui, le quali avessono in sè
peso e importanzia, di conferirne co loro e co' sopravviventi di loro:
vogliendo che in difetto di quelle cose che non si facessino, e detti
quattro di sopra nominati possino fare ramarichii e
querele, ove fosse di
bisognio, e far fare e costrignere e eziandio, se di bisogno sarà a loro
giudicio, per sè medesimi mettere a
esecuzione, e a
esecuzione far
mettere il presente
testamento e sua ultima volontà, insino a che
saranno tutte le cose, quanto in loro sarà, a
esecuzione messe. E questo
in quanto essa
esecuzione mancasse, e non si facessono le cose per lui
ordinate con quella sollecitudine, modo e forma nella quale e sì come è
ordinato. E in detto caso possino eglino e i sopravviventi di loro
riscuotere e finire le
paghe del
Monte, de'
crediti del detto
Francesco e
de'
prestanzoni e degli
accattoni, e le
pecunie e
capitali loro, e finire
eziandio quelle che si dicessono Le sostenute, o per altro vocabolo; e
tutte cose fare le quali esso
testatore i' nelle predette cose, se vivesse,
far potrebbe; e dei
riscossi
danari
pagarne le
prestanze del detto
Francesco infino che dureranno, o far
mettere a
entrata del detto
Ceppo per
esecuzione del detto suo
testamento. I quali quattro e i sopravviventi di loro nel detto caso
eziandio suo'
procuratori fecie, gli altri non
rivocando, duraturi dopo la
morte d'esso constituente, alle dette
paghe del
Monte
riscuotere e finire
e all'altre cose, le quali fare
conceduto è di sopra al detto
Comune di
Prato, o vero a' detti quattro da esser
eletti per lo detto
Comune. E che
eziandio, quanto a esse
paghe e doni
riscuotere e finire e confessare, nel
detto caso possino altro
procuratore per loro fare e sostituire come
vorranno, e i sustituiti
rivocare e altri creare.
E in tutti gli altri suoi
beni mobili e immobili, ragioni e
azioni, presenti e
futuri, per l'amor di Dio, suo
reda universale e universali instituì, fecie et
esser volle la detta
Casa di Dio, privata, e
Ceppo diputato, e il quale
come di sopra diputò in perpetuo, eziandio oltra cento
anni, e in futuro
uso e necessità de' poveri di Giesù Cristo, e i detti poveri, come di sopra
ordinato è nel
capitolo che comincia: Ancora esso
Francesco
testatore,
ec
.; e il detto
Comune di
Prato,
governatore e
rettore, per la detta
Casa e Ceppo e poveri ricevente. Vogliendo, e di sua intenzione così
esser disse, la detta
Casa e Ceppo e i suoi
beni predetti essere al tutto
privata e non sacra, e in niuno modo essere o di ragione potersi dire
ecclesiastica, ma diputata secolarmente, per l'amor di Dio, a perpetuo
uso sopradetto; nè alla
Chiesa o
ecclesiastici o
iudici o persone
subietta essere in alcuno modo. Vogliendo questo suo
testamento, in forma
di
libro, stare in piuvico legato con
catena nella
Casa e Ceppo
predetto, acciò che a tutti nota sia la volontà del detto
Francesco; e
d'indi agevolemente non si possa levare. Nel quale eziandio volle si
scrivano d'
anno in
anno e nomi de' quattro che s'
eleggeranno, de' quali
di sopra si fa menzione, e altre cose come al detto
Comune piacerà e
meglio e più atto parrà, a memoria delle cose future.
E suoi e di questo suo
testamento e ultima volontà
esecutori e
fideicommissarii generali e maggiori fece e volle essere, per tempo di tre
anni e non più, gli onorevoli
cittadini e fideli riputati i' nelle a loro
commesse cose,
Consoli dell'
Arte di Calimala della
città di
Firenze, che
per lo tempo saranno, e le due parti di loro, gli altri eziandio assenti, e
non richiesti o
contradicenti, non accettanti, morti o rimossi: salvo
sempre le cose che spezialmente agli altri suoi amici di sopra fossono
commesse. Pregando el detto
uficio de'
Consoli, che per l'amor di Dio
non si sdegnino questa pia commessione di poveri accettare; ne,
mancando e' loro favore, questo principio di quest'opera perisse: e
confortandogli di piccola fatica, se con
Luca del Sera,
Barzalone di Spidalieri
e gli altri due di sopra nominati nel primo lascio e altrove, o
con alcuno di loro, conferiranno delle cose da fare; imperò che delle
sustanzie sue e della sua intenzione quasi in ogni cose sono pienamente
informati. A' quali
Consoli
esecutori e
fideicommissarii predetti, e alle
due parti di loro, come è detto di sopra, esso
testatore, per
esecuzione
di questo
testamento e lasci e suo' ultima volontà, e delle cose s'hanno
a fare per la sua
eredità racquistare, per l'amor di Dio e per accrescere e
ridurre al detto
Ceppo
reda suo, diede e
concedette
licenzia
e libera facultà, mandato, balìa e potenzia de'
beni,
sustanzia,
cose,
ragioni e
crediti suoi pigliare e aprendere; salvi sempre nelle
predette e infrascritte cose i
beni di sopra divietati
alienarsi, e la
compagnia la quale di sopra dichiarì durare dopo la morte; e essi
beni,
no requisiti gli
eredi,
alienare,
vendere, cedere, e i
prezzi constituire, e
della
evizione d'essi promettere, e il detto
ereda e
eredità e
beni
ereditarii del detto
Francesco
obligare, da'
fattori e gestori de' fatti e da'
compagni e altri suoi
debitori le
ragioni adomandare,
conti fare e
crediti
riscuotere, et e detti costrignere, finire e liberare, in
pagamento de'
beni
pigliare, e loro personalmente e in
beni gravare;
ragionieri
eleggere;
procuratori,
mandatarii e sustituti in luogo di loro porre, il loro mandato
fermo rimanente. E per le predette cose fare e ciascheduna d'esse, e per
cagione d'esse e qualunque delle dette, e per altra qualunque cagione,
in
Firenze, in
Genova, in
Barzalona, in
Pisa, in
Vinegia e in qualunque
parte del mondo, con qualunque, adomandare,
piatire e difendere, e i
piati già cominciati seguire, eziandio dopo la morte d'esso constituente e
qualunque ora; e lo spaccio e fine de'
piati e liti dinanzi a qualunque
signore e
presidente,
rettore e
uficiale, in qualunque luogo e contra
qualunque, adomandare; e tutte cose fare che a adomandare e piatire
s'appartengono; e tutte dette cose fare, presa o non presa la
redità del
detto
Francesco, e gli
eredi nonne richiesti: e generalmente, tutte e
ciaschedune cose fare e a esecuzione mandare, per le predette cose e a
cagione d'esse, e per lo detto
Francesco e la sua
eredità; e eziandio per
essa
eredità e
compagnia, in ogni modo, via e ragione, per le quali
meglio far si potrà; e le quali cose esso
testatore, nella vita sua, in
alcuno modo arebbe potuto fare:
concedendo a loro nelle predette e
circa alle predette cose pieno, libero
e general mandato, con piena libera e generale amministragione.
E finalmente, come altra volta disse averne avuto consiglio, el detto
testatore pregò e cauti fecie e detti
Consoli, e 'l detto
Comune di
Prato,
e i detti quattro che s'
eleggieranno
presidenti al detto
Ceppo, e suoi tutti
altri
esecutori predetti, e avvisògli che sieno cauti in non rizzare nella
detta sua
Casa o Ceppo di sopra ordinato,
altare, e di non farvi
oratorio
o forma d'alcuno luogo
ecclesiastico, o alcuna altra cosa fare per la
quale dir si potesse la detta
Casa e Ceppo luogo
ecclesiastico; e di poi
pe' malivoli, sotto titolo di beneficio, vi s'entri o occuparsi avegnia: la
qual cosa è al tutto contro alla mente del detto
testatore; vogliendo che,
per questo laccio schifare, si facci ogni isforzo e spesa de'
beni della sua
eredità, se alcuna cosa di molestia, la quale a Dio piaccia rimuovere, per
alcuno tempo apparisse.
E questa sua ultima volontà, ec
..
Cassando, ec
..