Indice rubr.
In questo quaderno sono distinti i
capitoli del libro di
Rasis filio
Çacheria, e a ciascuno libro sono distinti ordinatamente i
kapitoli e
sono
.x. libri, overo tractati.
IndiceQui
cominciano i
capitoli del libro di
Rasis, il quale è distinto in
diece libri, overo tractati. E
àe
ciaschuno tractato, overo libro,
chapitoli ordinati sì come voi potrete vedere.
Lo primo libro tracta de la figura e de la
forma de'
membri. Lo
secondo libro tracta del notificamento e manifestamento de le
complexioni de' corpi e delli omori ke segnoregiano i· lloro e de le
significationi di fisonomia e de' mali particulari. Lo terço libro tracta
de le virtudi de' cibi e de le medicine sempici. Lo quarto libro tracta
del conservamento de la
sanitade. Lo
quinto libro tracta di
decoratione, cioè di belleza e netteza. Lo sexto libro tracta del
regimento di coloro ke fanno viagio. Lo septimo libro tracta de
l'
agragationi, ragunamenti e somme dell'
arte di cirugia e de le fedite e
delli apostemi. L'octavo libro tracta de la
cura e sanamento de' veleni
e de' morsi de' velenosi animali. Lo nono libro sì è, tracta, de la
cura e
medicamento de le 'nfertadi le quali adivengono dal capo infino ai
piedi. Lo decimo libro tracta de le febri e di quelle cose ke ssono
necessarie a perfecto conoscimento de le febri.
Qui ditermina i
capitoli del primo libro di Rasis filio Çacheria.
Capitolo primo del primaio libro. De l'agregationi e somme del
giovamento de'
membri i quali
ci conviene mandare dinançi nel
cominciamento di questo tractato. Capitolo secondo. De la
forma de
l'
ossa. Capitolo terço. De la
forma de'
muscholi. Capitolo quarto. De
la forma de'
nerbi. Capitolo quinto. De la forma de le
vene ke
procedono e vengono dal
feghato e non sono
pulsatelle, cioè per che
ssi senta
polso. Capitolo sexto. De la forma de l'arterie. Capitolo
septimo. De la forma del cerebro. Capitolo ottavo. De la forma e
figura de l'
ochio. Capitolo
.viiij. De la forma del naso. Capitolo
decimo. De la forma delli orecchi e del suo
bucino. Capitolo
undecimo. De la forma de la lingua. Capitolo
.xij. De la forma del
gorgozule e de la boccha. Capitolo
.xiij. De la forma del
petto e del
polmone. Capitolo
.xiiij. De la forma del cuore. Capitolo
.xv. De la
forma del
mery, cioè de la via onde scende il cibo e de lo stomaco.
Capitolo
.xvj. De la forma de le budella. Capitolo
.xvij. De la figura
del
feghato. Capitolo
.xviij. De la figura de la milza. Capitolo
.xviiij.
De la figura del
fiele. Capitolo
.xx. De la forma de le reni. Capitolo
.xxj. De la figura de la
vescica. Capitolo
.xxij. Di nominare le somme,
l'agregationi e 'l ragunamento del giovamento delli strumenti del
notrichamento. Capitolo
.xxiij. De la forma del
sifach. Capitolo
.xxiiij.
Dell'osso del
femore e membro virile. Capitolo
.xxv. De la
matera ke
ssi parte dal corpo de l'huomo, cioè de la
sperma. Capitolo
.xxvj. De
la forma de le poppe. Capitolo
.xxvij. De la forma de la matrice.
Qui apresso ditermina e si dimostrano i
capitoli del secondo
libro di
Rasis.
Capitolo primo del libro secondo. De le sonme ke colgono la
scienza di
congnoscere le complexioni. Capitolo secondo. De' segni
del corpo iguali. Capitolo terzo. De' sengni de la complexione calda.
Capitolo quarto. De' segni de la complexione freda. Capito
lo .v. De'
segni de la
complesione
humida. Capitolo
.vj. De' segni de la
complesione seccha. Capitolo septimo. De' segni de la complexione
calda e secha. Capitolo
.viij. De' segni de la complexione freda e
umida. Capitolo
.ix. De' sengni de la complexione del cerebro e de la
sua forma, overo fighura. Capitolo
.x. De' sengni de la complexione
del cuore. Capitolo
.xj. De' sengni de la complexione del
fegato.
Capitolo
.xij. De' segni de la
complesione del polmone. Capitolo
.xiij.
De' sengni de la complexione de lo stomaco. Capitolo
.xiiij. De'
sengni de la complexione de' testicoli, cioè de' granelli de l'huomo.
Capitolo
.xv. De' fiori ke ssi debbono dire e de le
consequentie cioè
di quelle cose ke
sseguitano le quali sono necessarie e per le quali si
fae giovamento a la cognicione de le complexioni. Capitolo
.xvj. De'
segni particulari per li quali si testimonia coll'altre significationi, e per
li quali si fae giovamento per
alcune dispositioni ne la congnitione de
le complexione delli huomini. Capitolo
.xvij. De' sengni de la
deboleçça e
fraleçça de'
nervi. Capitolo
.xviij. De la
congniçione de la
complesione de' membri e delli omori. Capitolo
.xix. De la
congnitione de la repletione. Capitolo
.xx. Di conoscere e sapere
quale de' quatro
homori soprabonda. Capitolo
.xxj. De la
significatione e
chognitione de la collera rossa. Capitolo
.xxij. De la
significatione de la collera nera. Capitolo
.xxiij. De la significatione de
la
flemgma soprabondante. Capitolo
.xxiiij. De la significatione de'
songni (sonni). Capitolo
.xxv. Del comperamento de' pregioni e delli
schiavi, come per sengni huomo li dee conoscere ançi ke lli comperi.
Capitolo
.xxvj. De la significatione de' capelli. Capitolo
.xxvij. De la
significatione del colore. Capitolo
.xxviij. De la significatione de li
ochi. Capitolo
.xxviiij. De la significatione de le cillia. Capitolo
.xxx.
De la significatione del naso. Capitolo
.xxxj. De la significatione de la
fronte. Capitolo
.xxxij. De la significatione de la boccha e de'
labbri e
de' denti. Capitolo
.xxxiij. De la significatione del viso e de la faccia.
Capitolo
.xxxiiij. De la significatione delli orecchii. Capitolo
.xxxv. De
la significatione de la boce. Capitolo
.xxxvj. De la significatione de le
carni. Capitolo
.xxxvij. De la significatione del riso. Capitolo
.xxxviij.
De' movimenti. Capitolo
.xxxviiij. De la significatione del collo.
Capitolo
.xL. De la significatione del ventre. Capitolo
.xLj. De la
significatione del
dosso. Capitolo
.xLij. De la significatione de le
spalle. Capitolo
.xLiij. De la significatione de le braccia. Capitolo
.xLiiij. De la significatione de le
palme de le mani. Capitolo
.xLv. De
la significatione del ginochio, e de la
coscia, e de la gamba, e
piede.
Capitolo
.xLvj. De la significatione de' passi. Capitolo
.xLvij. De la
significatione de l'ardimento e conoscere quelli k'è ardito. Capitolo
.xLviij. De la significatione de la
paura di conoscere quelli k'è
pauroso. Capitolo
.xLviiij. De la significatione de l'huomo di
ratto
ingengno. Capitolo
.L. De' segni di colui k'à buona natura. Capitolo
.Lj. De' sengni de l'huomo filosafo. Capitolo
.Lij. De' segni de
l'huomo k'è di duro ingengno e di grosso
intendimento. Capitolo
.Liij. De' sengni de lo svergognato. Capitolo
.Liiij. De' segni de
l'
iracondio. Capitolo
.Lv. De' segni del lussurioso. Capitolo
.Lvj. De'
sengni del feminile animo. Capitolo
.Lvij. De' segni del
nucho, cioè di
colui ch'è sança
collioni. Capitolo
.Lviij. De l'
agregatione del
ragunamento il quale è mestieri d'oservare. Capitolo
.Lviiij. De'
giudicii e de la sottile inquisitione dell'
arte di fisonomia.
Qui cominciano i chapitoli del terço libro di Rasis filio Çacheria
e sono in soma ventiquatro
capitoli.
Capitolo primo del terço libro. D'uno dicimento
univesale per
lo quale si fae giovamento a conoscere le virtudi e propietadi de' cibi
e de le cose ke nodriscono e de le medicine. Capitolo secondo. Di
conservare, overo conoscere, le virtudi de'
semi de' quali si
suole fare
pane. Capitolo terço di quelle cose che ssi fanno di grano e d'
orço.
Capitolo quarto de la virtù de l'acqua. Capitolo quinto. De la virtù del
vino. Capitolo sexto. De' beveraggi. Capitolo septimo. De la virtù de
le carni e de la loro spetie. Capitolo
.viij. De la virtù de' membri delli
animali ke ss'usano di mangiare. Capitolo
.ix. De le virtù le quali
acquistano i cibi per l'artificio, e
aparekiamento di loro. Capitolo
decimo. De la virtù
sissamorum, cioè di quelle cose che del mèle si
conficiono e aparecchiano. Capitolo
.xj. De la virtù e
propietà
dell'
uova. Capitolo
.xij. De la virtù del lacte e di quelle cose che di lui
si fanno. Capitolo
.xiij. De le virtù de'
pesci. Capitolo
.xiiij. De'
semi e
de le spetie ke ssono necessarie a la
cucina. Capitolo
.xv. De'
camangiari et erbe, e quali di loro s'
anministrano in dicotione.
Capitolo
.xvj. De la propietà e virtù de'
fructi e de' pomi. Capitolo
.xvij. De le
cose odorifere, overo frutti odorosi, overo bene
odoraferi. Capitolo
.xviij. De le spetie odorifere. Capitolo
.xviiij. Delli
olii, overo unguenti. Capitolo
.xx. De la virtù de' vestimenti. Capitolo
.xxj. De la virtù de' venti e de la propietade dell'aiere. Capitolo
.xxij.
De le cittadi ke ssono
sane e come si possono conoscere. Capitolo
.xxiij. De le virtudi e de' lattovari ke ssono sani a
usare, e quali si
fanno di frutti e di fiori. Capitolo
.xxiiij. De le spetie le quali huomo
puote ongne ora
usare. Disposto secondo l'ordine de le lettere de
l'alfabeto di qualumque specie, il nome comincia da
&Ca&c. Nel capitolo
del
&Ca&c si truova
alesinone, e
similliantemente si fae ne l'altre lettere.
Qui cominciano i
capitoli del quarto libro di Rasis, filio di
Çacheria.
Capitolo primo. De la
misura delli
exerciçii e faticha, e de la
dispositione del loro tempo. Capitolo secondo. De la
misura del
sonno e de le sue ore, e del suo giovamento, e del suo nocimento.
Capitolo terço. Del
regimento del mangiare. Capitolo quarto. Del
regimento del bere. Capitolo quinto. Del purghare il corpo da le
superfluitadi. Capitolo
.vj. Di temperare le case e le magioni per più
sanamente dimorare. Capitolo septimo. Di pronosticare i mali
accidenti e di dirli dinançi k'elli
signoregino e ch'elli
creschano.
Capitolo ottavo. Dell'
operatione de'
pensamenti dell'anima, cioè
dell'operacioni de' pensamenti animali. Capitolo
.ix. Di conservare lo
costume. Capitolo
.x. Di torre e rimuovere la
malatia de' salvatichi e
rei nodrimenti. Capitolo
.xj. Di levare e di tore il nocimento ke
previene del vino. Capitolo
.xij. Delli altri beveragi ke ssi prendono in
luogho del vino. Capitolo
.xiij. Del giovamento e del nocimento del
torre sangue, e come e quando si dee fare e scemare. Capitolo
.xiiij.
Del giovamento del
purgamento e del suo nocimento. Capitolo
.xv.
Del giovamento ke
viene del vomire e reddere, e del suo nocimento,
e come e quando si dee fare. Capitolo
.xvj. D'avere a ffare kon
fenmina e del suo giovamento e nocimento. Capitolo
.xvij. Del
giovamento del
bangno e del suo nocimento, e come si dee fare.
Capitolo
.xviij. De l'abitudine del corpo, cioè grasseza e magreza.
Capitolo
.xviiij. Del giovamento e del nocimento de la fricatione de'
labri, e le scorze de le noci, e del suo nocimento e quando si dee fare.
Capitolo
.xx. Del conservamento de' denti e kome l'huomo li dee
guardare in biltade. Capitolo
.xxj. Di conservare li occhi in
sanitade e
da
farli belli e chiari e sani. Capitolo
.xxij. Di conservare li orecchi e
l'
udire in
sanitade. Capitolo
.xxiij. Di guardarsi da le 'nfermitadi e mali
ke ssi
apichano e passano d'uno in altro. Capitolo
.xxiiij. De la
mortalitade e de la sua
cautela e guardia. Capitolo
.xxv. Del
regimento
del corpo, secondo i quatro temporali dell'anno. Capitolo
.xxvj. De le
femine prengne e come si deono guardare e conservare in sanitade.
Capitolo
.xxvij. De la malagevoleza del parto e del suo
regimento a
partorire
legiermente. Capitolo
.xxviij. Del
regimento del fanciullo sì
tosto kom'elli è nato. Capitolo
.xviiij. Di scielliere la balia per nodrire
il fanciullo e del suo
regimento. Capitolo
.xxx. Del
regimento
dell'altre etadi e de la vechieza tardare. Capitolo
.xxxj. Di considerare
e provare chente è il
medicho.
Qui cominciano i
capitoli del quinto libro di Rasis filio di
Çacheria.
Capitolo primo. De le forfori del capo e kome si puote torre via
e
rimuovere le forfori. Capitolo secondo. Di curare il
dipelamento del
capo e de la barba. Capitolo terzo. Di fare
nascere i
peli ne' luoghi
ingnudi e vòti. Capitolo quarto. Del conservamento de'
capegli acciò
ke non chagiano e k'elli diventino lunghi, e 'l
medicamento
cominciamento quando l'
uhuomo
diventa chalvo. Capitolo quinto.
Di quelle cose che non lasciano
cadere i capelli. Capitolo sexto. Del
fendimento de' capelli che ssi chiama alopicia, over loppoli. Capitolo
septimo. Da ffare i capelli crespi. Capitolo ottavo. Da ffare i capelli
piani. Capitolo
.ix. Da ffare i capegli neri. Capitolo decimo. Del
regimento acciò ke l'huomo non
incanutischa troppo tosto. Capitolo
.xj. De la tintura de' capelli rossa, overo ruffa. Capitolo
.xij. Da
'mbiancare i capegli. Capitolo
.xiij. Di quelle cose ke tolgono via i
capegli, e assottilliano, e divellono, e che no li lasciano nascere.
Capitolo
.xiiij. Di quelle cose che al tutto in tucto tolgono via i peli.
Capitolo
.xv. Di quelle cose che distruggono e
mandano via il
puço
del dipelatoio e del
silotro. Capitolo
.xvj. Di quelle cose che non
lasciano che 'l
silotro e 'l dipelatoio faccia
ardore, né cocimento, né
bolle, né
vesciche. Capitolo
.xvij. De la
sapha, cioè de le
pustole e de
le bolle del volto e del capo. Capitolo
.xviij. Di quelle cose ke 'l volto
inbiancano e la buccia
sottilliano e fanno il volto lucente e chiaro.
Capitolo
.xix. Di quelle cose ke fanno il colore giallo. Capitolo
.xx. Di
quelle cose che fanno il colore nero. Capitolo
.xxj. Di levare il panno
del volto. Capitolo
.xxij. De le grandi
letigini e loro cura. Capitolo
.xxiij. Da disfare e distrugere le margini e le cicatrici de le fedite.
Capitolo
.xxiiij. De la
sapha rossa, la quale si fae nel volto. Capitolo
.xxv. Da curare e da distrugere e rimuovere la verdeza ke aviene per
percossa. Capitolo
.xxvj. Da distrugere e disfare
algesen. Capitolo
.xxvij. Di quelle cose ke
mandano via i segni de'
vaiuoli. Capitolo
.xviij. Del piçicore e de la
rongna, e de le
papici e bulle. Capitolo
.xxviij. De
sare. Capitolo
.xxviiij. De la
phasaf, cioè di
sudationi.
Capitolo
.xxx. De la
'mpetigine, cioè
volaticha. Capitolo
.xxxj. De la
morfea
biancha. Capitolo
.xxxij. De la morfea nera. Capitolo
.xxxiij.
De
albaras. Capitolo
.xxxiiij. De la malattia e lebrosia. Capitolo
.xxxvij. Di quelle cose ke generano i
peli ne'
nepitelli. Capitolo
.xxxvij. De'
pidocchi ke ssi generano ne le
nepitella. Capitolo
.xxxviij.
De l'orçaiuolo. Capitolo
.xxxviiij. Di gesse, cioè quando dopo 'l
dormire nom si possono aprire li occhi.
Capitolo
.xL. Delli occhi ke
strabuçano in fuori per vomire o per altre cose. Capitolo
.xLj. Del
puço del naso. capitolo
.xLij. Del
puço de la boccha. Capitolo
.xLiij.
Di quelle cose ke l'
odore del vino spengono e
ripriemono. Capitolo
.xLiiij. Di quelle cose ke
ripriemono e spengono e tolgono l'odore
delli
agli,
cipolle,
porri e simili cose. Capitolo
.xLv. Di quelle cose che
tolgono il
fluxo e 'l
gociolamento de la saliva, o de la bava, ch'esce de
la boccha, quando huomo
dorme. Capitolo
.xLvj. Di quelle cose ke
non lasciano i denti corrodere. Capitolo
.xLvij. Di quelle cose non
lasciano cadere i denti che ssi crollano. Capitolo
.xLviij. Di quelle
cose che mondano e nettano le soperfluità che ssono nelli orecchi.
Capitolo
.xLviiij. Di quelle cose che non lasciano venire
puço de le
ditella. Capitolo
.L. Di quelle cose che non lasciano i
piedi sudare.
Capitolo
.Lj. Di quelle cose ke al
sudore di tutto 'l corpo fanno avere
buono odore. Capitolo
.Lij. Di quelle cose che tolgono via il
puço
dell'orina e dello stercho. Capitolo
.Liij. Di guardare i corpi morti le
nom putano. Capitolo
.Liiij. Di quelle cose ke i testicoli de' fanciulli
ne le mamelle de le pulcelle non lasciano crescere, né
pendere
giuso.
Capitolo
.Lv. De le
rusticheze le adivengono nell'
unghie. Capitolo
.Lvj. De le
fessure del volto e de'
labbri, e de la
cotenna, e de la
buccia ch'è ne le parti di fuori de la mano. Capitolo
.Lvij. De
l'
emfiamento e piççicore ke avengono ne le mani nel verno e ne
l'autunno. Capitolo
.Lviij. Di quelle cose che ingrassano il corpo de
l'huomo e de la
femina. Capitolo
.Lviij. Di quelle cose che dimagrano
il corpo de l'huomo e de la
femina. Capitolo
.Lx. Di quelle cose che
acrescono la sperma e fanno diriçare la vergha. Capitolo
.Lxj. Di
quelle cose ke riscaldano la natura de la
femina. Capitolo
.Lxij. Di
quelle cose ke acrescono la dilettatione del coito, cioè di quando
huomo
usa carnalmente co la femina. Capitolo
.Lxiij. Di coloro ke a
la fine quando ànno usato co la femina escono a
ssella, e del loro
medicamento.
Capitolo
.Lxiij. Di coloro ke per lo troppo
usare con
femina sono indeboliti. Capitolo
.Lxiiij. Di coloro ke per lo troppo
usare con femina sono indeboliti. Capitolo
.Lxv. Di quelle cose che la
vergha fanno crescere. Capitolo
.Lxvj. Di quelle cose ke costringono
la natura de la fenmina dinançi. Capitolo
.Lxvij. Di quelle cose ke
tolgono e mandano via l'
umidità de la natura de la femina. Capitolo
.Lxviij. Di quelle cose che
giovano a impregnare e ke riscaldano la
natura de la femina. Capitolo
.xix. Di quelle cose ke non lasciano
imprengnare e fanno scipare. Capitolo
.Lxx. Di quelle cose ke
giovano a bere molto vino. Capitolo
.Lxxj. Di quelle cose ke fanno
tosto venire l'ebreza. Capitolo
.Lxxij. Di qelle cose ke allievano
l'ebbro e che tosto il gueriscono. Capitolo
.Lxiij. Da curare e da
guerire la crapula, cioè il soperchio riempimento del cibo e del bere.
VI. Capitolo primo del sexto libro di Rasis. Del
regimento e de
la
vita di coloro ke
kanmin
ano, e de la
cautela, e de la guardia del
caldo, e come si dee soccorrere al nocimento ke di cioe
adiviene.
Capitolo secondo. De la guardia de' die
chaniculari e del
medicamento e de la cura del nocimento ke di cioe aviene e procede.
Capitolo terço. Di torre via la
sete e di torre via la sua
rocheza e
nocimento. Capitolo quarto. Del
regimento di coloro i quali nel
tempo fredissimo e per molta neve
kanminano, e loro
konviene
kanminare. Capitolo quinto. Del
medicamento e
guerimento di
coloro ai quali per cagione predetta
adiviene
congelamento nel
chamino. Capitolo
.vj. De
simcopi, cioè tramortimento ke aviene per
la fame, e de la sua cura e
medicamento. Capitolo
.vij. De la guardia
de l'estremitadi, cioè de le
dita de' piedi e de le mani, e che tosto si
socora a colui o a quella parte che ss'è già cominciata a corrompere, e
de la sua cura e
medicamento di quello ch'è già corrotto. Capitolo
.viij. De la cagione quando l'ochio si congela, e per la troppa
gram biancheza de la neve nom può vedere. Capitolo
.ix. De l'
ardore
e del dolore ke
adiviene all'occhio per chagione del grande freddo e
del grande vento in chamino. Capitolo
.x. De la cura de la
lasseza e
faticha di coloro ke ssono indeboliti nel canmino. Capitolo
.xj. Di
segnare aconciare e di sporre il corpo a
kanminare, e del
regimento
del cibo nel canmino. Capitolo
.xij. Di torre via il nocimento ke
proviene de le
diversitadi de l'acque. Capitolo
.xiij. De le magioni di
coloro i quali sono ne le castella. Capitolo
.xiiij. Del
regimento di
coloro ke volliono navichare per mare. Capitolo
.xv. Di quelle cose
ke non lasciano ingenerare
pidocchi e ke uccidono quelli che ssono
ingenerati. Capitolo
.xvj. Di quelle cose ke non lasciano mutare
colore al
sole e al vento. Capitolo
.xvij. Di quelle cose che non
lasciano fare le
fessure nel
calcagno. Capitolo
.xviij. De lo
scorticamento e
dibuciamento ke aviene per lo cavalchare, o per li
calzari, nel canminare. Capitolo
.xviiij. Del cadimento e de le
percosse
ke avengono nel capo, overo in altra parte del corpo de l'huomo.
VII. Capitolo primo. De l'agregationi e somme dell'
arte di
cirurgia, e de le fedite e delli apostemi ke sopravengono alli
homini.
Capitolo secondo. Di
ramollare le dureze ke rimangono ne' membri
dipo lloro raconciamento. Capitolo terzo. De le
colletioni e de
l'agregationi e somme dell'
essiture de le fedite. Capitolo quarto. De'
medicamenti e medicine ke generano e ristorano la charne. Capitolo
.v. De' medicamenti ke menomano la charne
superflua. Capitolo
.vj.
Di quelle cose ke saldano l'
ulceragioni e generano carne nelli
ulceri ke
ànno molte humiditadi e lievano via la loro
humidità
superflua.
Capitolo
.vij. Di quelle cose ke rompono l'
esciture in tal maniera ke
non è mestiere ke huomo le
fori con
ferro. Capitolo
.viij. De le
scruofole e
gavine. Capitolo
.ix. Del
cancro e sua cura. Capitolo
.x.
De'
carbuncoli e sua cura. Capitolo
.xj. De l'apostema caldo e sua
cura. Capitolo
.xij. De l'apostema molle e sua cura e guerigione.
Capitolo
.xiij. De l'apostema duro e sua cura. Capitolo
.xiiij. De le
grandi ghiandole. Capitolo
.xv. De'
nodi
ghiandolosi. Capitolo
.xviij.
Del fuoco di Persia. Capitolo
.xviij. De l'
arostimento e
adustione del
fuocho, o de l'acqua, o dell'olio. Capitolo
.xix. De'
paterecci ke ssi
fanno presso all'
unghie e de la loro cura. Capitolo
.xx. Del fluxo del
sangue. Capitolo
.xxj. De la flebotomia. Capitolo
.xxij. De le
ventose,
overo
kopette. Capitolo
.xxiij. De le
sanguisciughe. Capitolo
.xxiiij.
De la
vena civile. Capitolo
.xxv. Di trare le saette. Capitolo
.xxvj. De
le percosse ke ssi fano nel capo. Capitolo
.xxvij. De' falsi e frodolenti
medici ingannatori, e de le lor frode e inghanni.
Capitolo primo dell'ottavo libro di Rasis. De le somme e
agreghationi da medicare i veleni e i morsi de' velenosi animali, e
come l'uhuomo si dee guardare da lloro. Capitolo secondo. Del
morso de la vipera. Capitolo terzo. De le puncture de li
scorpioni.
Capitolo quarto. De le punture de'
saraceti, o
albarathen, cioè di
scorpioni piccoli. Capitolo quinto. Del morso de la rutela e del
ragnolo. Capitolo
.vj. De la
puntura de l'api e de le vespe.
Capitolo
.vij. Del morso de lo
scellone e de la rutela.
Capitolo
.viij. Di quelle
cose ke cacciano via li animali velenosi, e i serpenti, e i lupi, e le
donnole, e l'altre fère rapaci. Capitolo
.viiij. De' morsi de' cani non
rabiosi, e de le bestie, e de' furoni e delli huomini. Capitolo
.x. De'
morsi de' cani rabiosi. Capitolo
.xj. Di coloro ai quali i
napelli si
danno. Capitolo
.xij. Di coloro ai quali sono
dati a bere i
cornispice.
Capitolo
.xiij. Di coloro ai quali il
fiele del leopardo
fue dato a bere.
Capitolo
.xiiij. Di coloro ai quali fu dato a bbere il fiele de la vipera.
Capitolo
.xv. Di coloro ai quali fue dato a bere la sommitade de la
coda del cerbio. Capitolo
.xvj. Di coloro ai quali il
sudore de le bestie
fue dato a bere. Capitolo
.xvij. Di coloro ai quali fue dato a bere le
canterelle e la stafisagria. Capitolo
.xviij. Di coloro ai quali fu dato a
bbere l'oppio. Capitolo
.xix. Di coloro ai quali fue dato a bere il
giusquiamo nero. Capitolo
.xx. Di coloro ai quali fu dato a bbere la
mandragora, cioè l'erba luccia. Capitolo
.xxj. Di coloro a cui fu dato a
bere le noci
kastaneole. Capitolo
.xxij. Di coloro a chui fu dato a
bbere i
semi de
jusquiami albi. Capitolo
.xxiij. Di coloro ai quali le
foglie del
coriandro
verde fuoron
date. Capitolo
.xxiiij. Di coloro ai
quali fuoron
date il sugo de le
foglie del
psillio. Capitolo
.xxv. De'
funghi e
trumbis mortali. Capitolo
.xxvj. Del sangue e del latte ke ssi
prende nel corpo. Capitolo
.xxvij. Delli arostiti ke ssi cuoprono, sì
che 'l fumo non ne puote uscire fuori. Capitolo
.xxviij. Di coloro ke
manucano i
pesci
freddi. Capitolo
.xxviiij. Di coloro ke avessero
mangiato il latte
corrotto. Capitolo
.xxx. De' noccioli
muffati e
corrotti, de' quali
viene reo odore, e delli oli
spessati di reo odore.
Capitolo
.xxxj. Di coloro ai quali fossero date le
rane del lago o del
fiume. Capitolo
.xxxij. Di coloro ai quali fie dato la
lievre del mare.
Capitolo
.xxxiij. Di coloro ai quali fue dato il reo
castoro. Capitolo
.xxxiiij. Di coloro ai quali fu dato l'anacardo. Capitolo
.xxxv. Di
coloro ai quali fu dato l'
oleandro. Capitolo
.xxxvj. Di coloro ai quali
fu dato a bere la
cipolla
squilla. Capitolo
.xxxvij. Di coloro ke
avessero bevuto o fosse dato a bere il
seme de l'
orticha. Capitolo
.xxxviij. Di coloro a cui fosse dato a bere e avesse fatto nocimento
l'aqua fredda bevuta a oltragio. Capitolo
.xxxviiij. Di coloro ai quali
fue dato a bere il
gesso. Capitolo
.xL. Di coloro ke
bevero lo
litargiro.
Capitolo
.xLj. Di coloro ke
bevero l'
ariento
vivo. Capitolo
.xLij. Di
coloro ke
bevero la
biaccha. Capitolo
.xLiij. Di coloro ai quali fosse
dato
calcina insieme, overo arsenicho
soblimato, o grasso di
sapone,
o ne la cui
gola la polvere de l'arsenicho o
calcina fosse entrata.
Capitolo
.xLiiij. Di coloro ai quali nocque la ferrugine del ferro, o la
sua limatura fosse data a bere. Capitolo
.xLv. Di coloro ai quali
fosse
dato a bere
çimar, cioè
verderame. Capitolo
.xLvj. Di coloro ai quali
fue dato a bere molto
allume o vetriuolo. Capitolo
.xLvij. Di coloro ai
quali
fosse dato a bere
tottomalii, o altre velenose erbe. Capitolo
.xLviij. Di coloro ke
bevero lo
eleboro biancho, e la noce
vomicha, e
'l condisi, o
archaytha. Capitolo
.xLviiij. Di coloro ke
bevero lo
eleboro nero. Capitolo
.L. Di coloro ai quali fue dato a bere
l'euforbio. Capitolo
.Lj. Del mellioramento de le medicine ka fanno
uscire, nel quale si
nomina le loro virtudi e la quantitade che ssi ne
dee dare loro. Capitolo
.Lij. De l'exempro di comporre le medicine
purghative.
Capitolo primo del nono libro di Rasis, il quale ditermina del
male del capo, de la
migranea, cioè quando la dollia è pur nell'una
metade del capo. Capitolo secondo. De la
vertigine e de la
schotomia,
cioè quando pare ke ongne cosa si giri intorno e àe
tenebrositade e
vuole cadere. Capitolo terzo. De la frenesia. Capitolo quarto. De
l'apoplesia. Capitolo quinto. Del subeth, cioè di grave
sonno.
Capitolo
.vj. Del
congelamento quando alcuno giace quasi sì com'elli
dormisse. Capitolo
.vij. De la
parlasya. Capitolo
.viij. De
l'adormentamento de'
menbri e del loro triemito e
ritrahimento.
Capitolo nono del
travolgimento de la boccha. Capitolo
.x. De lo
spasmo e
contratione. Capitolo
.xj. De la
epilensia, cioè del mal
maestro. Capitolo
.xij. De l'
incubo, cioè di colui ke la notte quando
dorme si sente cadere adosso una cosa grave. Capitolo
.xiij. De la
malinconia. Capitolo
.xiiij. Del catarro e
rema. Capitolo
.xv. De
obtalmia, cioè d'apostema delli occhi. Capitolo
.xvj. Delli
ulceri delli
occhi. Capitolo
.xvij. Di quelle cose ke cagiono nelli occhi, o
pelo, o
paglia, o altro che ssia, e de la biancheza che ssi fa nell'occhio.
Capitolo
.xviij. De la scabbia e del
sebel ke apaiono nelli occhi.
Capitolo nonodecimo. De' lacrimali
com piçicore. Capitolo
.xx. De
l'ungola o unghiella de l'occhio. Capitolo
.xxj. De la
macula rossa o
d'altra cosa com
percossa. Capitolo
.xxij. Del
vedere debole. Capitolo
.xxiij. De l'
emfiamento de le palpebra e de'
peli de le palpebra ke
tornano in emtro più che nom dovrebbero, e pungon l'ochio.
Capitolo
.xxiiij. De l'acqua che
cade ne l'occhio. Capitolo
.xxv. Di
coloro ke non veghono dopo il
sole tramonto. Capitolo
.xxvj. De
l'alargamento de la
pupilla. Capitolo
.xxvij. De le fistole che ssono ne
le cantora de' lacrimali delli occhi. Capitolo
.xxviij. De' medicamenti
delli occhi. Capitolo
.xxviiij. De la dollia delli orechi. Capitolo
.xxx.
Del tonamento delli orecchi. Capitolo
.xxxj. De l'
ulceragione delli
orechi. Capitolo
.xxxij. Del suono e tuono delli orechi. Capitolo
.xxxiij. De la graveza dell'udire. Capitolo
.xxxiiij. De'
vermi delli
orecchi e del panno delli animali che v'
entrano entro. Capitolo
.xxxv.
Di quelle cose che di fuori sono entrate nelli orecchi. Capitolo
.xxxvj.
Quando elle esce troppo sangue del naso. Capitolo
.xxxvij. De
l'
ulceragioni del naso. Capitolo
.xxxviij. De le
morici ke nascono nel
naso, cioè del
polippo. Capitolo
.xxxviiij. Del
perdimento de
l'
odorato, cioè quando huomo non sente né
puzo, né odore. Capitolo
.xL. Del dolore de' denti. Capitolo
.xLj. D'
insegnare trare i denti.
Capitolo
.xLij. De l'adormentamento e
alleghamento de' denti, e di
coloro ai quali dolliono i denti per cagione dell'aire freddo. Capitolo
.xLiij. De le
gengie sanguinose. Capitolo
.xLiiij. del cadimento de
l'uvola. Capitolo
.xLv. De le mignatte k'entrano ne la ghola. Capitolo
.xLvj. Di quelle cose k'entrano ne la
gola, o
spina, o osso ke ssia.
Capitolo
.xLvij. De la graveza de la lingua. Capitolo
.xLviij. De la
lingua ke ingrossa sì ke non cape ne la boccha, ançi n'esce fuori.
Capitolo
.xLviiij. De la ghiandola k'è
annodata sotto la lingua, e delli
apostemi che ssi fanno sotto la lingua. Capitolo
.L. De la
squinantia,
cioè de l'apostema de la gola, overo colta. Capitolo
.Lj. De la
tossa
aspra e seccha. Capitolo
.Lij. De l'asma del petto.
.Lij. De
pleuresi,
cioè quando alcuno si sente sopra le
costi dolore pungnente. Capitolo
.Liiij. De la
pleriponya, cioè appostema del polmone. Capitolo
.Lv. Di
coloro ke gitano il sangue col vomito e collo sputo, o con
ruscatione
dal palato. Capitolo
.Lvj. Del tisico, overo tisichezza. Capitolo
.Lvij.
Del triemito del cuore. Capitolo
.Lviij. De la collerica infertade.
Capitolo
.Lviiij. Di quelle cose che confortano lo stomacho e
adiutano bene ismaltire. Capitolo
.Lx. Del dolore de l'apostema de lo
stomacho. Capitolo
.Lxj. Del
singhiozzo. Capitolo
.Lxij. De
l'apostema de l'appetito
canino. Capitolo
.Lxiij. Del dolore del
fegato.
Capitolo
.Lxiiij. De la yteritia, cioè quando huomo diventa
giallo o
nero. Capitolo
.Lxv. De la ydropisia. Capitolo
.Lxvj. De la dolglia de
la milza. Capitolo
.Lxvij. De la
colica, cioè del male e dolore del
fiancho. Capitolo
.Lxviij. Del fluxo del ventre. Capitolo
.Lxviiij. De la
malagevoleza de l'orina. Capitolo
.Lxx. De la malagevoleza del male
de la pietra. Capitolo
.Lxxj. De l'apostema ke ssi fa ne le reni, overo
ne la vescicha. Capitolo
.Lxxij. De l'ardore de l'orina. Capitolo
.Lxxv.
De' vermini ke ss'ingenerano nel ventre e nel
fondamento de la
natura. Capitolo
.Lxxvj. De le
morici e de le fistole e de le
ragadie che
ssi fanno ne la natura del
fondamento di sotto. Capitolo
.Lxxvij. Del
budello del fondamento di sotto o de la
matrisce k'esce fuori.
Capitolo
.Lxxviij. Di ristringnere i
mestrui. Capitolo
.Lxxviiij. Di
provochare i
mestrui. Capitolo
.Lxxx. De le
ragadie o
crepace e
aspreza de la natura de la femina. Capitolo
.Lxxxj. De l'apostema che
ssi fa ne la matrice de la femina. Capitolo
.Lxxxij. De l'
ulceragioni che
ssi fanno ne la matrice e del
cancro. Capitolo
.Lxxxiij. De la
putrefatione de la matrice, cioè quando la matrice
emfia e sale in su e
pare che la femina
tramortischa e vada di questo mondo. Capitolo
.Lxxxiiij. De la
'nfertà k' è kiamata
mola, la quale è una
infertà ke
aviene a la
femina alcuna volta ke paiono prengne e sono
discolorite e
ritengono i
mestrui. Capitolo
.Lxxxv. De' crepati e
herniosi. Capitolo
.Lxxxvj. De le
gotte e de le doglie. Capitolo
.Lxxxvij. De la
scrignutezza. Capitolo
.Lxxxviij. De le
vene
grosse ke appaiono per le
gambe piene di sangue. Capitolo
.Lxxxviiij. De l'
helefantia, cioè
quando i
piedi e le
ghambe
diventano grosse molto e
emfiate con
ischiançe. Capitolo
.Lxxxx. de la dollia che ssi fae manifesta ne'
membri.
Capitolo primo del decimo e ultimo libro di Rasis, nel quale
ditermina de la
febbre la quale
dai medici è apellata effimera, e ponsi
il proemio del libro. Capitolo secondo. De la
febbre ethica. Capitolo
terzo. De la
febbre terzana. Capitolo quarto. De la
febre causon.
Capitolo quinto. De la
febbre k'è dentro a le vene, la quale continua
per
kagione di molto sangue, et è apellata
febbre
almathicha. Capitolo
.vj. De la
febbre ke
piglia ogne dì, la quale è kiamata flematicha.
Capitolo septimo. De la
febbre quartana. Capitolo
.vij. De la
febbre
ne la quale la caldeza e la fredeza si truovano in una dispositione.
Capitolo
.viij. De le febbri
continue. Capitolo
.ix. De le febbri
mescolate o erratice, ke nel quinto die o nel sexto, o per più tempo
fanno parosismo, cioè vengono. Capitolo
.x. Del triemito ke non si
riscalda. Capitolo
.xj. De la febbre ne la quale no è tramortimento, la
quale s'ingenera d'omori rei e acuti. Capitolo
.xij. De la febbre co la
quale l'uhuomo tramortisce e àe deboleza, la quale aviene per
moltitudine di crudi omori. Capitolo
.xiij. De le febbri che avengono
per
kagione d'apostema. Capitolo
.xiiij. De le febbri ke avengono per
pistolentia, o per corruptione dell'aria. Capitolo
.xv. De le febbri
composte. Capitolo
.xvj. De'
vaiuoli e
morbilli, overo
rosolia, e de la
loro cura. Capitolo
.xvij. Di quelle cose ke ssono necessarie a ssapere
reggere le
'mfertadi aghute. Capitolo
.xviij. De' sengni che
ssignificano bene ne lo 'mfermo. Capitolo
.xix. De' segni
rei ne lo
'mfermo. Capitolo
.xx. Di conoscere il tempo de la
febre e de la
'mfertade. Capitolo
.xxj. De' segni de la digestione de la febbre.
Capitolo
.xxij. De la congnitione de la digestione de la febbre.
Capitolo
.xxiij. Del
termine e in quanti modi huomo puote terminare.
Capitolo
.xxiiij. De' sengni i quali dimostrano e giudicano il
termine.
Capitolo
.xv. Del mutamento de la materia ançi il
termine. Capitolo
.xxvj. Del buon
termine. Capitolo
.xxvij. Come si puote conoscere
l'orina. Capitolo
.xxviiij. Dell'uscita di sotto. Capitolo
.xxx. De' polsi.
Capitolo
.xxxj. Del
regimento di coloro ke ànno agute infermitadi.
Capitolo
.xxxij. Del
regimento di
convalescenti, cioè delli
scappaticcii.
E qui si determinano i
capitoli del libro ultimo di Rasis.
Sit nomen
domini benedictum. Amen.
L. I, Introduzione
Qui comincia i· sovrano libro di Rasis filio di Çaccheria,
traslatato per lo maestro Gherardo
kremonese in Tolletto di lingua
arabicha in latina, il quale veramente per lui "Almansore" sarà kiamato,
perciò ke dal re Almansore, filio d'Isaach, fue
komandato ke ssi
compilasse.
In questo mio libro al re, la
vita del quale Dio prolunghi, io
raguneroe le somme e l'agregationi de la dottrina di medicina, e
questo farò brievemente e in soma. E io dirò i· llui, cioè in questo
libro, del conservamento de la sanitade e de la
curagione, cioè del
medicamento, de le 'nfertadi e quelle cose ke
sseguitano queste, le
quali sança interponimento advegnono spesse volte. A le quali cose
sapere la necessitade ci mena e per le quali cose è possibile a quelli
ch'ànno lo
'ngegno acuto e subtile e 'l consillio d'iguagliare ai medici.
E lascerò stare quelle cose ke rade volte solliono
adivenire e lasceroe
stare quelle cose ne le quali è troppo grande profunditade di dottrina
e de 'nsegnamento ne l'
arte.
E questo libro io
distingnerò in
.x. tractati e in ciascuno suo
tractato porrò i
capitoli
segnati e distinti per lettere de l'alphabeto per
ordine secondo il lor numero, acciò ke quello ke l'huomo cercha
tosto si possa trovare. E acciò k'io possa questo decentemente e
aconciamente compiere, io kiamo e adimando il
divino
ducato, cioè
menamento e aiuto, acciò k'io primieramente a llui, e poi apresso al
re, piaccia e a llui incessantemente mi possa
adcostare e
adergere.
L. I, IndexE 'l primo trattato è de la figura e de la forma de' membri.
E 'l secondo tractato sì è del notificamento e manifestamento de le
complexioni de' corpi e delli omori ke
ssegnoregiano i· lloro, e de le
significationi di
physanomia e de' mali particulari, colte e comprese
brievemente. E 'l terço tractato sì è de le virtudi de' cibi e de le
medicine sempici. E 'l quarto tractato è del conservamento de la
sanitade. E 'l quinto tractato sì è de
decoratione, cioè di bellezza e
netteçça. E 'l sexto tractato sì è de
regimento di coloro ke fanno
viaggio. E 'l septimo sì è de l'agregationi, ragunamento e summe de
l'
arte di cirurgia e de le fedite e degli apostemi. E l'ottavo sì è de la
sanatione e
guerimento de' veleni e de' morsi delli animali velenosi. E
'l tractato
.ix. sì è de la
curatione e
guerimento de le 'nfertadi e mali, le
quali avengnono dal capo infino ai piedi. E 'l tractato decimo sì è de
le febri e di quelle cose ke le febbri seguitano e di quelle cose ke
ssono necessarie, a ssapere, a
perfecto conoscimento di loro, cioè de
le febbri.
I
capitoli del tractato del primaio libro sono
.xxvij. De
l'agregationi e somme del giovamento de' membri, i quali ci conviene
mandare dinançi nel
cominciamento di questo tractato. De la forma
dell'ossa. De la forma de' muscoli. De la forma de'
nerbi. De la forma
de le vene ke procedono e vengono dal fegato e non sono
pulsatele,
cioè per ke ssi sente polso. De la forma de l'arterie, cioè per quelle ke
ssi sente polso. De la forma del cerebro. De la forma de l'
ochio. De
la forma del naso. De la forma de l'orecchie e del suo
bucino. De la
forma de la lingua. De la forma del
gorcozule e de la boccha. De la
forma del pecto e del polmone. De la forma del cuore. De la forma
del
meri, cioè la via onde scende il cibo, e de lo stomaco. De la forma
de le budella. De la forma del fegato. De la forma de la
milça. De la
forma de la ciesta del fiele. De la forma de le reni. De la forma de la
vescicha. De le
summis da dire e de' conoscimenti dell'
utilitade delli
strumenti del notricamento. De la forma del
mirach. De la forma de'
collioni e de la
verga. De la forma del sifac. De la forma de le poppe.
De la forma de la matrice. E questi sono i ventisette
capitoli del
tractato del primaio libro.
L. I, cap. 1 rubr.Capitolo primo del primo libro ke ditermina de l'agregationi e
somme del giovamento de' membri.
L. I, cap. 1E 'l creatore di tucte le cose Dio fece e compuose l'ossa, acciò
ke per loro il corpo fosse
substentato e
rettificato. Ma imperciò ke
ffue mestiere alcuna volta muovere una parte del corpo (cioè de la
persona) sança l'altra, non fece elli uno osso
solamente in tucto 'l
corpo ma molti. A le quali ossa
diede diverse figure, acciò k'elle
fossero aconcie a quello k'è mestiere d'essere facto per loro. E
imperciò ke ffu mestiere ke
alcuni di loro alcuna volta insieme e
alcuna volta per sé l'uno sança l'altro si movessero, sì le congiunse elli
e
copuloe ad una substantia, la quale elli
procreò e trasse dell'una
extremitade dell'uno osso e la continuò e congiunse colla
extremitade
de l'altro osso. E questa
subtantia è kiamata legamento, la quale è
corpo e cosa
dura e
biancha e non à
sentimento. E ancora ne
l'estremitade dell'uno osso fece uno agiugnimento rotundo e ne la
extremitade e fine de l'altro osso fece
koncavitade capace, prenditrice
e ricevitrice del predetto agiugnimento retondo, acciò ke in lei si
collogasse. E per questa cotale disposicione pervennero le
iuncture de
l'ossa, per le quali i membri fuorono
acconcii a esser mossi alcuna
volta insieme e alcuna volta spartiti e l'uno sança l'altro.
E i
legamenti delli ossi non
impedimentirono ke i membri
insieme non si movessero, quasi sì come un membro fosse tanto
solamente, imperciò quando noi vorremo muovere tucta la mano, noi
la moveremo ko la
iunctura dell'
omero, con uno
movimento, quasi sì
come i· llei fosse uno osso tanto
solamente, sì ke in lui, cioè in quel
movimento de la coniuntura del gomito, non saremo impediti né da
congiuntura de la
rascetti, cioè del
nodo de la mano, né da quella de
le
dita. E se nnoi vorremo una de le sue parti alcuna volta muovere
sança l'altra,
faremo quello co la
iuntura propia di quella parte. E per
questo, dunque,
ebbe l'animale due modi di
movimento, cioè a
ssapere particulare e universale, secondo ciascuno de' quali elli si
movesse sì come fosse mestiere e necesario.
Ma imperciò ke l'ossa per sé non si muovono ma, per altro
movitore ke le muove, continuate fuoro - e congiunte loro dal
principio e da la radice del
sentimento e del
movimento e da la loro
origine, cioè il cerebro - certe
continuatadi le quali sono
'
nerbi. E
questi cotali
nerbi non per sé semplici, cioè sanç'altra cosa, all'ossa si
congiungono, ma primieramente co la charne e coi legamenti si
mescolano, imperciò ke se 'l
nerbo per sé solo al grande membro si
congiungnesse, o in niuna maniera o debilmente il moverebbe. Per la
qual cosa il
nerbo, dinançi ke al membro pervengha ke per lui
debbia
essere mosso, sì ssi divide, e subtili e minute parti de la carne e del
legamento in quelle cotali sue divisioni si tessono insieme. E quello
ke di tucto quello
tessimento
perviene è kiamato
muscolo. E la
grandeza di questo cotal corpo, cioè
muscolo, è secondo la
misura del
membro ke per lui dee esser mosso et è posto e situato in quella parte
verso la quale il
movimento di quel membro sarae. Ma poscia da una
de le extremitadi del
muscolo, cioè a ssapere k'è verso la parte del
membro ke ssi muove, nascie una substantia, cioè una cosa k'è
kiamata corda, la quale è corpo, cioè cosa composta del
nerbo ke va
al membro, et è legamento ke
nnaque e uscì de l'osso, la quale è
separata e divisa da la charne ke intra quelle due in miluogo del
lacerto iera. E la corda si distende infino a tanto k'ella si
congiungha ne la stremitade di sotto del membro che per lei dee esser
mosso. Per la quale dispositione aviene ke, per piccola
retratione
adietro, ke 'l moscolo verso la parte de la sua sua radice si traggha, la
corda
fortemente sia tracta e 'l membro tucto si muova, imperciò
k'ella è continua e
congiunta ne la stremitade di sotto.
E 'l
cerebro fece
Idio acciò k'elli fosse origine e radice de' senni
e de' movimenti voluntarii e da llui, cioè dal
cerebro, trasse i
nerbi e
produxe, i quali sono continuati e
congiunti
a' membri e
danno loro,
cioè ai membri, modi de' sentimenti e de' movimenti. E noi
mosterremo onde i
nerbi
nascano quando noi tracteremo de la loro
anotomya, cioè del loro essere e loro dispositione. E imperciò ke le
parti del corpo di sotto, e ke dal cerebro son molto remote, ànno
mestiere di
sentimento e di
movimento, e
movimento e
sentimento
sança i
nerbi avere non possono; e se i
nerbi del cerebro per diritta
via si
protendessero e venissero, per la
lungitudine del discendimento
indebilirebbero, onde il lor
protendimento non sarebe né fermo né
forte. E perciò fece Idio sotto il
craneo, cioè sotto 'l teschio del capo,
forame per lo quale elli trasse e produsse parte del cerebro la quale è
kiamata nucha. La quale, imperciò che
nobile iera, a ssua guardia fece
li
spondoli (cioè l'ossa) de la schiena e l'ossa de la schiena, sì com'elli
fece l'ossa del
craneo a guardia del
cerebro. La qual nucha così
guernita elli prolungò secondo la lunghezza del corpo. De la quale,
ancora quando nel diritto d'alcun membro è ke a llei è presso, sì
trasse e produsse
nerbi. I quali
nerbi per li
sponduli (cioè giunture de'
nodi de la schena) uscendo e per li loro forami, a quel cotal membro
si congiungano
dandoli
sentimento e
movimento.
Dunque se al cerebro sopraviene grande accidente e grande
male, il
sentimento e 'l
movimento si tollie a tucto 'l corpo.
Ma se
aviene pur a la nucha, ai membri (ai quali i
nerbi da quella parte
vegnenti e procedenti si congiungono e che sotto loro sono)
movimento e
sentimento si tollie, imperciò ke 'l cerebro è quasi fonte
de' senni e movimenti voluntari, e la nuca è sì come grande
fiume il
quale esca da llui, e i
nerbi che da llui escono sono sì come piccoli
ruscelli i quali escono dal fiume
. Ma quando a la
fonte aviene alcuno
impedimento, quello
impedimento fia comune, ké sse ai ruscelli
averrà nocimento, quel nocimento sarae proprio de' luoghi ai quali
quelli ruscelli
vanno. Per la qual cosa noi dobiamo sapere onde
ciascun
nerbo nascha e a qual membro vada, imperò ke nell'
arte di
medicina è molto
utile; la qual cosa Galieno testimonia nel libro ke
ffece de' mali e de le
'nfertà de' membri dentro, così dicendo in
questa maniera. Uno ne la via andando a Roma, cadde della
mula
sopra le
pietre, del quale una degli
spondoli, cioè de'
nodi della
schiena, si
magangnoe; del cui magagnamento il
dito mignolo e quello
ke lli è al lato apena e con
dureza a tempo si moveano. A le quali
dita
i medici e impiastri e altri
medichamenti
sopraponearo, de' quali lo
'nfermo neuno giovamento sentia; la qual cosa Galieno riguardando,
quelli medesimi
medichamenti puose sopra li
sponduli,
de' quali i
nervi vengono ke
a'
predetti
diti
vanno, e così in questa maniera guerì
.
E i
nerbi nel
cominciamento de l'uscimento suo dal
celabro o da
la nucha, son molto molli e somillianti al
celebro e a la nucha. E
quando elli si cominciaro magiormente ad allunghare,
indurano,
infino a tanto ke ricevero perfetta forma de'
nerbi. Dunque la sonma
del giovamento de'
nervi è ke ssono
strumenta e
vie per le quali il
sentimento e 'l
movimento a tucti è dato, onde se per traverso si
talliaro, o 'l
sentimento o 'l
movimento o ciascuno si perderà del
membro al quale elli
vanno. Ma sse la nucha si costrigne o per
traverso si tagli, il
sentimento e 'l
movimento di tucti i membri, de'
quali i
nervi
dai luoghi vengono ke ssono sotto quello talliamento, si
tollie e perde; ma advengna ke la detta nuca si tagli per
lungheza, non
riceverà grande
impedimento. E similliantemente il talliamento de'
nervi per lungheza se advenisse, non farà grande
magagna né gran
male, e se per traverso avenisse l'
operatione per quel cotale
talliamento, si distrugerà e perderà secondo la
misura per la quale il
talliamento trapassò e secondo la parte verso al quale trapassò.
E 'l
celabro, sança quello k'elli è origine e radice e fondamento
di
sentimento e
movimento
voluntario, è ancora, secondo la sentenza
di Galieno, fondamento d'imaginamento e di pensamento e di
memoria
. E la ymaginatione si compie nei due
ventricoli dinançi del
cerebro, e 'l pensamento si compie nel ventricolo di mezo, e la
memoria possiede il ventricolo di dietro.
E 'l cuore fece
Idio acciò ke fosse fonte e
origgine del
calore
naturale e ke da llui tucto il corpo si
rischaldasse per l'arterie, le
quali da llui a tutti membri
vanno. Onde se alcuno membro perde
l'arterie k'erano adcostumate a llui venire, il
movimento e il
sentimento si congela e
indura primieramente, poi apresso si
distrugono e a la perfine, sì come
morto, si redde.
I muscoli e i
nervi e ancora il cerebro, acciò ke 'n sua natura si
conservi e acciò ke possa compiere le sue operationi, àe mestieri di
certa
misura di
calore naturale, per la qual cosa l'arterie sono a llor
mandate. E quello ke l'animale àe sopra le cose
vegitatibili, sì come
sopra le piante e sopra li albori, è il primaio giovamento e quello ke
rriceve dal cuore. E quello ke
riceve dal cerebro è 'l secondo, per lo
quale è perfettione e quello a ke tutta la 'ntentione del facitore e la
volontà fue intenta. Ma quello giovamento ke riceve dal
feghato è a
llui comune coi
vegetatibili, imperciò ke non
riceve da llui, cioè dal
fegato, se
nnon nudrimento e acrescimento; ma imperciò, acciò ke 'l
cuore in sua natura si conservi,
atractione d'aiere più fredda di lui fue
necessaria e de mandar fuori l'aiere troppo rischaldata delle sue
conkavità, fatte sono a llui strumenti d'atrarre l'aiere, cioè a ssapere lo
petto e 'l polmone; entra lloro e 'l cuore son posti
conchavitadi e
forami, per li quali l'aiere atracta possa entrare e passare secondo ke
nnoi diremo quando de la dispositione di questi membri tratteremo.
E 'l fegato è fatto ad origine e
nascimento del sangue e a la sua
generatione, e acciò ke le vene ke da llui escono a tucti i membri
vadano a dare loro
umiditade, e a divisione del sangue per li membri
secondo che a ciascheduno membro si conviene, per k'elli aviene ke 'l
nodrimento e la loro
conservatione rimangano sì come erano dinançi
e acrescimento si fa di quelli membri ke crescono. Imperciò ke nulle
cose sono ke rimangano sì com'erano dinançi, se non quelle di che
niuna cosa si disolve o
distruge, sì com'è la dispositione ne le pietre,
sì come nel giacinto e ne l'
oro e in
simillianti cose, overo quelle le
quali quello ch'è disoluto e menomato in loro si ristora sì come
l'acqua del mare, la quale advengna ke ciascheuno die grande
riceva
menomamento e
disolutione; tuctavia da l'entramento de'
fiumi
ciaschun die riceve ristoramento, onde sempre quasi in una medesima
forma
rimane servata quant'iera dinançi. Dunque i corpi delli animali,
imperciò ke ssono composti di quelle cose ke ssi disolvono, a lloro
non fu possibile ke acrescimento avessero
' in suo
stato
rimanessero sanza benificio di nodrimento; e imperciò ke quelle cose
ke
nnodriscono non sono d'una spetie kon quelle kose ke ssono
disolute,
konvenne ke nel corpo fosse membro ke quelli cotali
nodrimenti mutasse in
similitudine di quelle cose ke ierano
disolvute.
Ma imperciò ke quelle cose ke
nnodriscono non del tucto in tutto si
convertiscono, ma alcuna parte di loro e ll'altra parte
rimane sì come
humore superfluo, lo quale non riceve convertimento né
assimilliamento di quelle cose ke ssono
disolvute; la qual parte se nel
corpo rimanesse
generebe materie di
gravi infertadi. Apparecchiate
sono a la sua expulsione, cioè a
mandarla fuori,
istrumenti e chanali
konvenienti.
E imperciò ke l'operatione del nutrichamento in tre luogora si
compie, tre sono generationi di superfluitadi. E l'una è superfluità de
la prima digestione, cioè
cotione, la quale se fa ne lo stomacho e ne le
budella et è kiamata stercho, overo
egestione. E l'altra è superfluità de
la seconda digestione, la quale si compie nel feghato quando il sangue
si genera e certo ella è collera, rossa o nera, e
urina. E queste tre cose,
divise e separate dal sangue, ànno
propii receptaculi ne' quali sì
ricevono sì come 'l
fiele, la collera rossa, la melancolia, la milza e
l'
urina, le reni ricevono, secondo ke noi diremo per più
manifesto
tractato, quando noi diremo de le forme e de le dispositioni di questi
membri. La superfluità de la terza digestione, la quale si fa in
tucti membri quando a quelli membri s'
assomillia il sangue (il qual
sangue ad ciascuno di quelli membri vae), è sudore e ordura. E
qualumque cosa de le superfluità k'
esscono de' membri a lloro à
ssomilliança, sì come
mocci e
lippitudini, cioè
kaccha d'occhi e
simillianti a queste.
Ancora i modi de' membri nel corpo son quatro, de' quali tre
sono principali, i quali ne la
conservatione de la vita molto sono
necessarii; de' quali
alcuni sono istrumenta de nutricatione sì come lo
stomacho e 'l feghato, e loro
kanali e vene e vie ke a lloro
pervengono sì come la boccha, e 'l
meri, e l'altre
vie ke da lloro
escono sì come le budella. E alcuni sono
strumenta del
calore
naturale e del suo conservamento, de' quali il primaio è il cuore e
l'arterie, e poi il polmone e 'l pecto e qualumque altri valliono a
l'attratione de l'aiere, secondo ke noi diremo nel suo luogho. E lli altri
sono istrumenta del
sentimento e del
movimento e de l'operationi
intellettuali, i quali sono il
celebro, e la nucha, e i
nerbi, e i muscoli, e
le corde, e somillianti a questi,
necessarii e valevoli a compiere
l'actione, cioè l'operatione, e la
passione, cioè il ricevimento. E in
ciascun modo di questi strumenti, uno è principale e operante e li altri
sono sì come serventi e aitanti a llui ne le sue operationi.
E delli strumenti de la nutricatione il principale è il fegato. Ma
delli strumenti del
calore naturale il principale è il cuore. E delli
strumenti del
sentimento e del
movimento e delle
'ntellectuali
operationi principale è il cerebro. E ciascheduno di questi alli altri due
è agroppato e legato e di loro
à mestiere, imperciò ke 'l fegato se non
mandasse a tucti li altri membri nudrimento,
disolverebbersi e
distrugerebbersi. E s'elli dal cuore non avesse
kalore, la sua substantia
non si conserverebbe, per la quale la sua operatione si compie. E 'l
celebro se dall'arterie non ricevesse
kalore, né da le vene ke dal
feghato vengono non ricevesse nudrimento, sua natura non si
conserverebbe, per la quale elli àe a compiere le sue operationi. E i
muscoli del pecto, s'elli non si movessero dal cerebro, sarebbe
impossibile cosa di attrare l'aiere, né la substanzia del cuore non si
conserverebbe, per la quale il
calore naturale ke nel cuore è si ventola
e raffredda.
E
' principali del quarto modo de' membri sono istrumenta di
generatione, i quali sono la matrice, e la vergha, e i testicoli (cioè i
collioni), e ' vaselli de la sperma.
E questi strumenti non sono
necessarii accioe ke un singulare
perduri, ma acciò che la specie di
quello singulare
permangha e si conservi; e imperciò ke Dio, il qual
sia benedetto, il corpo de l'huomo fece de' corpi
disolubili e non
durabili né stabili (onde non fu possibile ke uno
singulare permanesse
sempre), fece elli
strumenta de la generatione per li quali almeno la
spetie potesse
durare
.
E queste cose ke noi abbiamo
mandato dinançi e detto sono
somme e agregationi de le dispositioni de' membri e de' loro
giovamenti, la qual cosa noi diremo da ora innançi più kiaramente e
secondo più divisioni. E tuctavia non lascieremo di colliere le
somme. E lo 'ntendimento di questo libro non fu di colliere e di
congregare tucte le cose da ssezzo e ke vengono poscia.
L. I, cap. 2 rubr.Capitolo secondo del primo libro de Rasis, il quale ditermina de
la forma de l'ossa.
L. I, cap. 2
Il craneo, cioè l'osso del capo, naturale è retondo, advegna ke
non del tucto; nel quale sono molti forami per li quali molti
nervi
escono e vene e arterie entrano; et egli dinançi ne la parte de la fronte
e de dietro nel
zucolo è relevato;
e in ciascuna parte delli orecchi è
lato; e di tucti i forami ke i· llui sono è magiore quello k'è nel
zucolo
di dietro, per lo quale escie la nuccha. Et elli è composto di molti ossi
de' quali l'uno è
kontinuato all'altro, e 'l luogo ov'elli si
congiungono
è kiamato
similliante a la congiuntione de la serra, cioè
serrallio
dentellato.
E al craneo di sopra si continua la
mandibula, ne la quale le
mascelle e ' denti di sopra si continuano, la quale ancora si compone
di molti ossi de' quali l'uno all'altro si continuano a
ssimilitudine de
serra. E dipo questa è la mascella di sotto, ne la quale i denti di sotto
sono; l'ossa de la quale non si continuano a
ssimilitudine di serra, sì
come quelle ke ssono dette, ma ssi continuano con sole giunture. E
certo la
mascella di sotto ebbe mistiere di
movimento, la quale è
continuata a la mascella di sopra nel luogho k'è kiamato
vidirsim, cioè
substentamento. E questa è composta di due ossi non contando i
denti, le quali due ossa si continuano a modo di serra in miluogo del
mento.
E ancora sotto il craneo, ne la parte di dietro, è uno grande
osso, il quale è posto intra 'l craneo e la mascella di sopra, dal quale il
menomamento, ke ne le figure de l'ossa si truova, si compie, il quale è
kiamato
alguatedi.
Dumque tucti li ossi del craneo quando sieno annoverati
saranno
.xxiij.,
sanza i denti. De' quali sono
.vj. propii del craneo e
uno k'è kiamato
alguatedi, sopra 'l quale le
.vj. predette ossa stanno; e
de la
mascella di sopra
.xiij. e di quella di sotto due. E in ciascheuna
mascella sono
.xvj. denti, de' quali due son kiamati
duali e due ke
sseguitano questi i quali son kiamati
quadupli; dipo i quali d'una parte
e d'altra son due, i quali son kiamati
kanini;
dipo i quali sono
.v.
kiamati
molari dal lato diricto, e
.v. dal sinistro
. Alcuna volta de'
molari menoma uno e non sono se non
.iiij. E certo i
molari di
sopra ànno tre radici, alcuna volta quatro, ma i
molari di sotto ànno
pur due radici solamente, ma li altri denti sono contenti d'una sola
radice.
Dumque sono tucti li ossi del capo
.Lv.
E al capo al lato al grande forame, per lo quale la nucha esce
(cioè la midolla de la
skiena), la primaia
spondile (cioè il primaio
nodo
de la schiena) è
kontinuata, le quali certo sono
.vij. E queste sono
forate da le due parti, per li quali forami i
nerbi escono ke
vanno al
lato
ricto e al
mancho. E dipo queste
spondile del
dosso sono quelle
ke ssono
.xvij. per numero, de le quali le
.xij. sono
kiamate
spondili
del pecto, imperciò ke nne la loro rectitudine il
termine del petto di
sotto finisce; e le
.v. spondili ke
sseguitano sono
spondili '
alchatyn.
Sono, dumque, tucte le
spondili, ke da l'uscita de la nucha sono infino
all'osso
alathis,
.xxiiij., alcuna volta ve n'àe una più o una meno, ke
rrade volte adviene. E di questo luogo l'osso
alathys a le
spondili si
continua, il quale è composto di tre parti ke ssono somillianti a lo
spondile, al quale da la parte di sotto l'osso
alhoas si continua, il quale
somilliante è composto di tre parti.
E la terza parte di queste k'è di
sotto è
alhosos, la quale è
cartilagine, cioè tenerume
ossosa. E da
ciascuna
giuntura de le predette due
spondili e in ciascuna de le due
parti esce
nerbo, il quale a quella parte del corpo se distende e in lei si
divide. E de la fine de l'
hahossos un solo
nerbo esce ke in quelli
luoghi di divide.
E le due ossa de l'anche, de' quali l'uno è dall'uno lato e l'altro
ne l'altro, si continua a l'osso il qual è
alcutys, cioè a ssapere l'uno
dall'una parte e l'altro dall'altra, ne' quali sono i bossoli, cioè le
concavitadi, de l'anche; ne le quali
conchavitadi
entrano i
capi de
l'ossa ke ssono ne le
cosce e le quali
capita di loro son
kiamate
vertebrha. E queste sono le forme de l'ossa e de li
spondili, le quali
sono ne le parti di dietro dal
cominciamento de la nucha infino a
alhosos.
E aguale cominceremo a nominare le forme delli altri ossi ke
ssono sotto 'l collo, de le quali sono l'ossa de le sue forche (o
forcelle), e l'ossa de le spalle e del petto, e l'ossa de le mani, e ll'ossa
del
pettingnone e de le coscie, e l'ossa de' piedi. E l'osso de la
forcella
è di fuori
gibboso, cioè colmo, e dentro è chavo, del quale uno de'
due
capi è continuato
da l'homero al kapo dell'osso k'è kiamato
adiutorio, e l'altra extremitade è continuata a la sumitade del pecto
ove è la
pisside de la gola, cioè la concavitade. E la spalla da la parte
k'ella si soprapone al
dosso è
lata, co la quale capo
kartilaginoso si
continua, e da quella parte ke a la
forcella approccia è
rritonda, ne la
quale è concavitade, nella quale il capo de l'osso k'è kiamato
aiutorio
entra. E l'ossa del
pecto sono
torax, lo quale si compone di
.vij. ossa,
ne la
extremità di ciascuno de' quali è
cartilagine, il chominciamento
de' quali è da la
pisside, cioè da la concavitade de la gola, e la fine è di
sotto um pocho sotto le poppe, il quale luogo è più
stretto di tucte le
luogora ke ssono nel ventre, le quali, quando
homo le palpa e toccha,
le truova l'uhuomo molli non abienti ossa. E le
coste in ciascheduno
lato sono
.xij., le quali sono
churve, cioè pieghate, de le quali la
magiore di tucte è la mezana; de le quali
.vij. una de le due
extremitadi, cioè a ssapere quella k'è di dietro, si continua alli
sponduli del
dosso; e quella k'è più dinanzi a uno delli ossi ke nel
torace sono con capo
cartilagino se continua. E di queste
.v. sono
corte in tal maniera ke al
torace non si continuano, l'
extremità de le
quali, quando si priemono in entro, si sentono pieghare, le quali sono
kiamate
costoli de dietro. E quello k'è del ventre sotto al
torace tucto
è molle infino a ll'ossa del
femore, cioè verso il
pettingnone.
E ora
dinomineremo l'ossa de le mani e de' piedi. L'osso de le
mani, il primaio, è quello k'è kiamato
aiutorio, il quale è uno osso di
fuori
gibboso, cioè
scringnuto, overo colmo, e dentro è conchavo, il
chapo del quale entra ne la
conchavitade de la spalla per quella
quantitade ke già li è aparechiata. E questa è una de le sue
extremitadi. E l'altra extremitade è nel
gommito ne· quale è
ruotola
somilliante allo strumento d'attignere acqua, nel quale la stremitade
del focile di sopra entra. E la lungheza de' due
focili è dal
gommito
infino al
nodo de la mano, de le quali quello k'è minore è kiamato il
focile minore e quello k'è magiore è kiamato focile di sotto, de' quali
ciascuno ne le sue
somitadi ke ssono da parte de la
rascietha àe uno
aditamento, cioè una
giunta, per lo quale si fae la
giuntura k'è entra la
rascettha e lei. E la
rascettha si compone di
.viij. ossa, ai quali quatro
in due ordini dispositi, li altri quatro in quel medesimo ordine
dispositi si congiungono, li quali conciosiacosaké sieno molto duri
non ànno midolla, la figura de' quali è curva, cioè pieghata inn entro,
per la quale la figura de la
rascettha
viene acconcia. E dopo la
rascetta
è il
petten, cioè il
dosso de la palma de la mano, il quale è composto
di quattro ossa e all'ossa de la
rascettha, con certi
leghamenti molto
fermi, è continuato. E all'ossa del pettene l'ossa de le
dita si
continuano, le quali in ciascun
dito sono tre, de' quali uno all'altro per
giunture, con fermati
legamenti, si continuano. Dunque tucti li ossi
de la mano sono
.xxx. per conto, cioè a ssapere l'osso k'è kiamato
aiutorio, e le due ossa ke sson
kiamate
focila, e l'ossa della
rascettha
ke ssono
.viij., e l'ossa del pettene
ke sson
.iiij., e
.xv. che sson de le
dita, ma
.v. ossa del pollice, cioè del
dito grosso. Il primaio si
continua a la extremitade del focile di sopra, nel luogho de la giuntura
ampia e
largha, la qual cosa perciò fu facto perké avea mestieri di
grande
movimento, acciò k'elli si potesse
congiungnere all'altre
quatro
dita. Ma de l'ossa del piede ditermineremo ora, dapo' k'avemo
narrato di quelle de le mani.
De l'ossa del
piede il primaio è quello de la
coscia, il quale è uno
di fuori
gibboso e dentro lato, la cui stremitade di sopra è
ritonda, la
quale è kiamata
vertebrun de la
coscia; e questa entra ne la
pisside
dell'ancha, cioè ne la concavitade, da le quali si fae la primaia
giunctura del piede. E la sua extremitade di sotto entra ne la
pisside
del magiore de' due
focili de la gamba. E 'l
termine de' due
focili si
protende dal ginocchio infino al
calcagno; e quello ke di questi due è
magiore è kiamato focile di sotto, il quale è ancora più lungo
dell'altro; ma il minore focile è kiamato quello di sopra. E
l'estremitadi di questi due
focili sono continuate al
calcagno,
dai quali
la terza giuntura del piede nasce.
E a la
iunctura ch'è nel ginocchio è sopraposto uno osso
ritondo
kartilaginoso, cioè di tenerume, il quale è kiamato occhio del
ginocchio e da alcuno è kiamato molla. E al
calcangno da la parte
dinançi si congiugne uno osso il quale è chiamato navicula e di
socto
si congiungne ad uno osso il quale è kiamato assub, ai quali la
rascetha del piede, la quale è composta di tre ossa, è continuata, per li
quali proviene convenevol forma a quello k'è qui mestiere.
E 'l
petten, il
dosso del piede, è
kontinuato a la
rascetta del
piede il quale è composto di
.v. ossa, per le quali l'ossa sono
continuate al
dito ke in ciascuno sono tre, trattone il grande
dito nel
quale sono due ossa tanto solamente. Dumque tucte contate l'ossa
del piede sono
.xxviiij., cioè uno de l'ancha e de la gamba due, e
ll'osso del
calcangno, e ll'osso k'è kiamato assub, e l'osso de la
navicula, e le tre ossa de le quali si compone la
rascetha, e l'altre
.v. de
le quali si compone il
petten del piede, e ll'ossa de le
dita
.xiiij., e
l'ossa del ginochio.
E quando tutte l'ossa del corpo fieno annoverate, sì come
Galieno annoverò
.ccxLviij., fieno
sanza l'osso ch'è nel
pilliotto, cioè
ne la gola, k'è
ssimilliante a
llauda, lettera
greca la cui figura è questa
}LAMBDA{.
E ll'osso ch'è nel cuore, che da alcuni
cirurgichi è detto
karthalagine, e ' piccoli ossi,
da' quali le
vacuitadi ke ssono ne le
giunture si riempiono, e sono
kiamate
sisamale, tutte queste se ne
tragono et
exceptano da quello conto e sopradetto e diterminato
numero
.
L. I, cap. 3 rubr.Capitolo terço. De la forma de' muscoli.
L. I, cap. 3I moscoli ke ssi truovano in tucto il corpo, quando elli
fieno
contati secondo Galieno e divisi,
.Dxxviiij. si troveranno. E noi
diciamo ke ' moscoli sono
komposti di
karne e di
nerbo e di
legamento, et elli sono
strumenta de' movimenti voluntarii, cioè de'
movimenti ke ll'animale fa di sua volontà. Le figure de' quali moscoli,
secondo la
diversità de' suoi luoghi, sì come a lloro è mestieri, si
diversificano; e più e grande parte de loro, sì com'elli sono involti in
charne, si distendono infino a tanto k'elli pervenghano a le sue
extremitadi. De l'extremità de' quali un corpo nasce, cioè una cosa k'è
kiamata corda, la qual corda si distende infino a tanto k'ella si
congiungha a la stremità di sotto di quello membro ke per lei si dee
muovere. E 'l membro per quella si muove in questa maniera,
imperciò k'elli si racollie e
ritrasi a la parte de la sua origine e de la sua
radice, inde tutto il membro si ritrae ad quella parte a la quale si ritrae
il
muscolo. E se 'l membro ke ssi muove, o dee essere mosso, è
grande, il
muscolo ke 'l muove sarà grande e grosso, dal quale una o
più corde nascono, le quali si continuano al membro ke ssi dee
muovere. E alcuna volta nel
movimento d'un membro molti muscoli
si danno
aiuto insieme. E 'l
muscolo ke muove il piccolo membro è
piccolo e subtile, imperciò il
muscolo k'è ne la coscia e ke
mmuove
tucta la gamba è molto grande; e i muscoli che muovono le palpebre
di sopra delli occhi molto son piccoli e sottili, dai quali corda non
nasce.
Dunque ogne membro ke ssi muove per
movimento
voluntario
à
muscolo per lo qual si muove; e s'elli si muove ad parti
contrarie, à i
muscoli di
contraria
positione, da ciascuna de' quali si trae a le sue
parti, quando in tal maniera si muove, e 'l
muscolo a llui contrario
allotta ristà da la sua operatione, e quando alcuno
muscolo è situato
da la parte
contraria farà la sua operatione insieme, allotta il membro
starà diricto e in neuna de le due parti si
kinerà.
Verbigratia, la mano quando si trae dal
muscolo k'è dal lato
dentro del braccio,
curvasi in entro; e quando si trae dal
muscolo k'è
pposto ne la parte
mancha del braccio si
piegha in fuori; e quando da
ciascuno si trae insieme, eguale intra quelli due
dimora
diricta.
E i movimenti voluntarii, i quali sono nel corpo, sono questi,
cioè a ssapere: quello k'è ne la cotenna de la fronte; e 'l
movimento
k'è nelli occhi; e 'l
movimento k'è ne le mascelle; e 'l
movimento de la
somitade del naso, e de le
labbra, e de la lingua, e del
pigliotto; e 'l
movimento de la mascella di sotto; e 'l
movimento del capo e del
collo; e 'l
movimento de l'homero e de la
iumtura de la spalla; e 'l
movimento de l'
aiutorio; e 'l
movimento il quale si fa de la summità
de l'
adiutorio e del braccio; e 'l
movimento de la giuntura de'
focili e
de la
rascettha; e 'l
movimento de le
dita e di ciascuna de le sue
giunture; e 'l
movimento de' membri ke ssono nel gozzo; e 'l
movimento del petto, il quale si fae ne l'
attractione dell'aiere; e 'l
movimento de la vergha; e 'l
movimento de la vescicha, quand'ella si
chiude per ritenere l'orina; e 'l
movimento de la sumitade del budello
diricto, il quale si fae acciò ke lo
sterco non
escha; e 'l
movimento del
myrach del
ventre; e 'l
movimento de la giuntura ke ssi fa dall'ancha e
da la coscia; e 'l
movimento del ginocchio; e 'l
movimento de la
giuntura del piede co la gamba; e 'l
movimento de le
dita del pie'. De'
quali ciascuno à muscoli ke ànno figure acconcie e convenevoli al
retrahimento e al distendimento, per li quali i movimenti
predetti si
possono compiere. I quali tucti se nnoi cominceremo d'investigare e
di kiedere, crescerà il libro e perverrà a quello di ke non grande uttili
tà proviene, imperciò ke non è possibile cosa ke la forma de' muscoli
possa essere ficta ne le menti delli altri e compresa per li nostri
sermoni, sì come ne l'ossa e
nerbi e vene e arterie, inperciò ke in
questi è necessario spessa testimonianza di vedimento e molto studio.
E imperciò noi comprenderemo tanto solamente il numero de'
muscoli che ssono ne' membri. E noi diremo ke nel volto sono
muscoli
.xLv., de' quali al
movimento delli occhi e de le sue palpebre
sono
.xxiiij.; e al
movimento de la mascella sono
.xij.; e ne le parti del
volto ke ssi muovono per
movimento
voluntario
.viiij.; e uno è sotto
la extremitade de la cotenna de la fronte, per l'
aiuto del quale aviene
ke è grande aprimento de l'occhio; e li altri due dai quali l'extremitadi
de le
narillie si muovono; e lli altri due ke 'l
labro di sopra muovono
in suso, e lli altri due ke 'l
labro di sopra muovono in giuso, e altri due
qui labium inferius deorsum movent; e sanza questi sono due muscoli i
quali muovono le mascelle.
E i muscoli ke 'l capo muovono e 'l collo sono
.xxiij., de' quali
alcuni solamente muovono il capo a la parte ne la quale è il
muscolo.
E li altri ancora col capo muovono il collo, e sono alcuni i quali il
muovono in su dinanzi, e alcuni indietro, e alcuni nel lato diricto, e
alcuni nel sinistro. E quelli ke muovono la lingua sono
.ix. e quelli ke
muovono la gola e, sotto il
gorgozule, l'
epigliotto muovono sono
.xxxij. E nel
movimento di ciascuna spalla in ogne lato sono
.vij., i
quali tucti i suoi movimenti
compiono, e ancora da ciascuna parte
sono
.xiiij., i quali muovono l'
aiutorio. E quatro da ciascuna parte
sono sopraposti a l'
aiutorio, de' quali due ke ssono dentro e due ke
ssono ne la parte di fuori lo stendono, imperciò k'elli sono in
ciascuno braccio
.xvij., de' quali
.x. ne la parte di fuori son collocati e
posti e
.vij. ne la parte dentro, dai quali la mano dentro e di fuori e a
la parte del
dito grosso e a la parte del
dito mignolo si muovono e si
contraghono le
dita e si stendono. E in ciascuna mano e da ciascuna
parte sono
.xviij., da' quali le
dita verso 'l
dito grosso o verso il
dito
mignolo si muovono. E al
movimento del petto
cento e
.vij. muscoli
sono costituti, de' quali alcuni il dilatano e alcuni il
chostringono. E
quelli ke tucti i movimenti del
dosso
compiono
.xLviij. sono. E sono
altri
.viij. i quali sopra 'l corpo da la parte di sotto del petto sono
alloghati e posti e si distendono infino al
femur, cioè verso il
pettingnone, de' quali alcuni i· llunghezza e alcuni in larghezza e
alcuni nel traverso si stendono, dai quali tucti i movimenti del corpo, i
quali, constringnendo o
comprimendo, si fanno e si
compiono. E per
l'aiuto di questi ancora si fanno altri movimenti. E de' muscoli ne'
collioni si truovano
.iiij. muscoli,
sanza i quali sono li altri quatro ke
nmuovono la vergha. Et è uno il quale il collo de la
vescica costringne
acciò ke ll'orina nonn escha
sanza nostra volontade. E ne la lungheza
sono altressì
.iiij., i quali tengono primieramente l'orificio acciò ke llo
stercho non
escha sança nostro
volere. E a le
cosce sono
.xxvij., da'
quali le coscie si muovono, i quali sono
posti e situati di sopra a le
cosce. E
.xx. ne sono sopraposti a le
cosce, i quali muovono le
gambe. E al
movimento de'
piedi e d'alcuni de le sue
dita sono
sopraposti a le
gambe
.xxviij. e, acciò ke lli altri
diti de'
piedi si
muovono, sopra i piedi
.xxij. ne sono
logati.
L. I, cap. 4 rubr.Capitolo .iiij. De la forma de' nervi.
L. I, cap. 4Il
nascimento de'
nervi e la loro origine o è dal cerebro o è da la
nucha, cioè da la midolla de la schiena. E la nucha esce da la parte del
cerebro di dietro, la quale se 'nvolge coi
pannicoli del cerebro, i quali
noi nomineremo quando noi tracteremo de l'
anotthomya del cerebro.
E la nucha predetta è coperta (si cuopre) delli
spondoli infino a ttanto
k'ella
perviene a l'osso, il qual è kiamato, sì come noi dicemo,
alhosos. E da questa nucha, per
giascheduna giuntura de le due
sponduli, um paio di
nerbi esce, de' quali l'uno
vae al lato diritto e
l'altro al lato mancho; la quale cosa tanto lungamente si fa infino a
ttanto k'ella
perviene a la fine de
alchosos; dal quale
nerbo, il quale
non à pare né compagno, esce, per la qual cosa elli è kiamato impar,
cioè un solo.
E '
nerbi somigliantemente ke dal
celebro escono si truovano
pari, cioè due a due, de' quali, sì come noi dicemo, l'uno si
driza e va
al lato
destro e l'altro al lato
sinixtro. E 'l primo paio di questi
.vij.
paia de
nerbi che dal cerebro escono à due
nerbi, i quali nascono ne
la parte
dinançi del cerebro e,
adiriçati alli occhi, a llor
dampno e 'l
senno e 'l
sentimento del vedimento; de' quali ciascheduno è
cavo, i
quali, dal cerebro nati e quando da llui sono um poco
allunghati,
congiungonsi insieme; e de le concavitadi d'
ambimdue proviene
conchavitade; ma tuttavia, ançi k'elli escano dal craneo, cioè de
l'ossa del capo, si dividono elli. De' quali ciascheduno uscendo del
craneo si diriza e va all'occhio k'è ne la sua parte.
E 'l secondo paio nascie dipo 'l primo paio; il quale paio per li
forami ke sono nel seno de l'occhio esce dal craneo e spargesi per li
muscoli delli occhi, dando a lloro i suoi movimenti.
xE 'l terzo paio dopo 'l
nascimento del secondo paio nasce, sì
come il primaio
ventre del cerebro
perviene al secondo ventre. E
questi ventri io dirò poscia. E al quarto paio k'è dipo llui poscia si
mescola, dal quale poi diviso in quatro parti si divide, de le quali l'una
al ventre k'è sotto il
diafra' (cioè la
pellicola ke divide il
pecto e quelle
parti del corpo e quelle parti) discende; e de l'altre parti alcune per le
luoghora del volto, e de la faccia, e delli orecchi, e de le
narillie si
spargono e
vanno; e alcuna al paio ke
sseguita questo paio si
continua.
E 'l quarto paio
nasce dipo 'l terzo paio e per lo palato si sparge
e divide,
dandoli proprio
sentimento.
E 'l quinto paio è per l'una parte del quale si fa e 'l senno e 'l
sentimento dell'udire e per l'altra sì ssi muovono i muscoli ke la faccia
e 'l volto muovono.
E 'l sexto paio è del quale l'una parte al
gorgozule e a la lingua
va, e l'altra ne' muscoli ke ssono ne le spalle e ne' membri ke ssono
intorno a lloro va, e l'altra sua parte discende per lo collo la quale da
ssé molti muscoli manda fuori; de' quali alcuni ai muscoli che ssono
ne l'
epilliotto
vanno, i quali, quando al pecto vengono, si dividono
ancora un'altra volta, le parte de' quali alcune ritornano suso tanto
k'elle si congiungano a' muscoli ke ssono nel
pilgliotto, e l'altre parti
si spargono per la
cassula del cuore, e per lo polmone, e per lo
meri, e
per le luoghora ke ssono vicine a cqueste. E quello k'è altro di questo
paio, il qual è ancora magiore parte di questo, si protende e va infino
a tanto che passi nel
dyafragma e la sua magior parte si continua a la
boccha de lo stomacho. E l'altra sua parte al
pannicolo del fegato e
de la milza si continua.
E 'l septimo paio da la parte del cerebro de dietro, da la quale la
nucha nasce, esce, il quale si divide per li muscoli de la lingua e del
pilliotto.
E da la nuca nascono
.xxxj. paio di
nerbi e uno
nerbo ke non à
paio, de' quali septe de li
spondili del collo nascono, e
.xij. paia delli
spondili del
dosso nascono infino ove il pecto si contrapone al
dosso.
E
.v. paia ke ssono dopo queste dalli
spondili del
chathyn, il qual è
il luogho di sotto del
dosso, da li
spondili de le
coste di sotto
nascono. E dall'osso
alahanys tre altri nascono, de' quali altri tre da
l'osso
alhossos nati si truovano e da la
sonmitade da
alhossos
nerbo,
ke no à pare né compagno,
nasce dal mezo di lui.
E 'l primaio paio di questi ke nascono da la nucha dal primo
forame de lo
spondile del collo nasce, il quale ascendendo al capo si
sparge per li suoi muscoli.
E 'l secondo paio dal forame, ke entra la primaia e la seconda
spondile si truova nato, a la cotenna del capo si continua
dandoli
senno di
toccamento e si congiunge ai muscoli del collo e de le
mascelle dando loro
movimento.
E 'l terzo paio del forame, k'è entra la seconda
spondile e la
terza nato, in due parti si divide; de le quali l'una a' muscoli che
muovono le
mascelle va e l'altra per li muscoli si diparte ke intra
ll'una e l'altra spalla sono posti.
E 'l quarto paio entra la terza e la quarta
spondile nasce, il quale
si divide in due; de' quali uno di dietro per li muscoli del
dosso si
parte e l'altro dinançi si divide e per li muscoli si parte ke ssono in
diricto a llui e sopra llui.
E 'l quinto paio, uscito intra la quarta e la quinta
spondile, in tre
parti si divide; de le quali l'una va al
dyafragma, e l'altra ai muscoli ke
muovono il capo e 'l collo va, e l'altra ai muscoli delle spalle si
protende.
E 'l sexto paio somigliantemente entra la quinta e la sexta
spondile nasce.
E 'l settimo intra la sesta e lla settima
spondile nasce.
E l'ottavo intra la septima e l'ottava
spondile nasce, ove li
spondili del collo finiscono.
E de'
nerbi da tucte queste parti vegnenti, alcuni per li muscoli
del capo e del collo si dividono, e alcuni per li muscoli del
dosso e del
diafragma, exceptati e trattine quelli che procedono da l'ottavo paio
de' quali neuno
perviene al diafragma, e alcuni
vanno a l'
aiutorio e al
braccio e a la mano. E le parti del sexto paio, alcune
vanno ai muscoli
de le spalle, e l'altre muovono l'
aiutorio, e l'altre
dampno
sentimento
a le parti di sopra de l'
aiutorio. E del septimo paio alcune parti
vanno
ai muscoli che ssono de l'
aiutorio, e l'altre muovono il braccio, e
l'altre per la cotenna de l'
aiutorio si spargono, dando a llui
sentimento. E le parti de l'ottavo paio,
alcune si spargono per la
cotenna del braccio e si dividono dando a llui
sentimento.
E 'l nono paio entra l'ottava e la nona
spondile esce ove li
spondoli del
dosso prendono
kominciamento, le parti del quale
alcune per li muscoli che ssono ne le
coste si dividono, e l'altre per li
moscoli de l'osso si dividono, e alcune discendono a la mano e si
dividono in lei
dandoli
sentimento, e alcune le
danno
movimento.
E 'l decimo paio intra la nona
spondile e la decima nasce, del
quale l'una parte mandata a la cotenna de l'
aiutorio li dae
sentimento
e l'altra parte si divide, de le quale alcuna parte distesa dinançi per li
moscoli ke ssono intra le
costi e per li moscoli ke ssono vestiti sopra
'l pecto si partisce. E l'altra sua parte per li moscoli del
dosso e de le
spalle si divide. E a questo modo escono e
dividonsi i
nerbi dell'altre
paia infino al nono decimo.
E 'l vigesimo paio è il primo i cui
nerbi da le
spondili di sotto
del
dosso escono et entra la dicenovesima e vigesima
spondile
excono.
E a questo modo intra li
spondili
.v. paia nascono, i
nerbi de'
quali alcuni
vanno dinanzi e per li muscoli ke sson posti sopra 'l
corpo si dividono, e lli altri si partono e dividono per li muscoli, e lli
altri si dividono per li muscoli che sono sopra i
lombi. E tre paia di
sopra di questi
.v. a'
nerbi che si discendono del cerebro si
mescolano. E l'altre due paia, ke sotto questi tre sono, mandano
grandi
rami de sé, i quali discendendo a le gambe infino a
l'extremitadi de'
piedi vengono. E i ventesimi
nerbi del quinto paio
sono i primai, i quali dal primo da le tre ossa
alhavis escono. E dal
secondo osso di queste tre paia il secondo esce. Dal terço il terço
procede e viene. E queste tre paia si mescolano ai
nerbi ke da le parti
di sotto del
dosso escono, de' quali grande parte discende ai piedi. Ma
tre paia k'escono dalli ossi
alhossos insieme col
nerbo ke non à paio a
la
vergella, e ai muscoli del
culo, e a la vescicha, e al
muscolo k'è
posto presso a queste altre luogora si protende e
vae.
L. I, cap. 5 rubr.Capitolo quinto. De la forma de le vene ke procedono dal
feghato.
L. I, cap. 5Tucte le vene nascono da la parte scrignuta e
kolma del fegato,
imperciò ke 'l fegato è dentro kavo e di fuori colmo e
scrignuto. E
sopra la sua parte colma e scrignuta una grande vena nasce, la quale,
quand'ella èe um poco allungata, si divide in due parti de le quali
l'una, ke magiore è, a le parti del corpo di sotto diriva e va, acciò
k'ella dea bere e
humiditade a tutti membri ke ivi si truovano e sono;
e la seconda a l'
embibitione e
umentatione di tucti membri del corpo
di sopra vae, la quale infino a tanto in tal maniera tende e va in su
insino ad tanto k'ella sia continuata al diafragma, ove ella si divide
in due vene, le quali per lo diafragma si dividono acciò k'elle il
nodriscano, le quali poscia forano il diafragma. Dipo la cui
perforatione vene sottili da lloro divise e disgregate al
pannicolo ke
divide il petto in due parti, e a la
cassula del cuore (la quale dai medici
è kiamata
morum), si continuano e per li
predeti membri si spargono,
le forme de' quali io dimostrerrò in quello k'è a venire. E poscia un
gran ramo si scevera da lloro, il quale all'una de le due orechie del
cuore, cioè a la dericta, si continua e in tre parti si divide, de le quali
l'una entra ne la
concavità
diricta del cuore, la quale è magior
dell'altra, e la seconda circula e avirona intorno quelle parti ke ssono
di fuori ne la superficie del cuore e se parte per lui tucto. E la terça
parte ne le parti di sotto del petto si congiungne e i membri ke ivi
sono nodrisce; la qual, poscia k'ella
passa per lo cuore, per diricto in
rectitudine si porge e va infino a tanto k'ella sia nel diretto de le
forcele. E in questo andamento
ramuscoli sottili da llei a diricto e a
sinistro in ciascuna de le due parti si divide, i quali ' membri ke ne la
loro rettitudine sono
loghati o intorno a lloro
imbeono e
umentano.
E di fuori ancora da ssé manda i rami, i quali ' muscoli di fuori ne la
rettitudine de' predetti membri che dentro sono trovati
humentano e
rammolliscono. Da la quale, quand'ella sarà ne la rettitudine del
titello, uno grande ramo esce fuori, il quale a la mano (la quale è da la
parte di quello titello) si protende e vae, il quale è kiamato basilica. E
questa quando sarà ne la rettitudine del mezo k'è intra due parti si
divide, de le quali a la parte
diricta e l'altra a la sinistra tende e vae. E
di queste ciascuna si divide in due parti, de le quali l'una, sottoposta a
l'homero, a la mano va da la parte di fuori et è kiamata
ceffalicha; e
l'altra di ciascuna parte si divide in due parti, de le quali l'una per le
parti del collo dentro sale e monta infino ' tanto k'ella entra il craneo
(cioè nel craneo), e le parti de' membri del cerebro e de' suoi
pannicoli, ivi
trovate,
imbee e
inumidisce; e nel suo passamento per
lo collo infino a tanto ke entri nel cerebro, rami sottili da llei si
dividono, i quali ' membri oculti e
nascosi nel collo
humentano; e
questa è kiamata vena
guttem
piatta e nascosa. E l'altra, manifesta,
monta e sale infino a tanto k'ella si divida per lo volto, per lo capo e
per li occhi e per lo naso, e tucti questi membri nudrisca, la quale è
kiamata
guidem manifesta. E de la
vena
humerale, quando per lo
gomito passa, alcuni rami sottili si dividono, dai quali quelli membri
ke nell'
aiutorio sono di fuori se
'nbeono e
humentano. E similliante
modo de la vena
ascellata, cioè del
ditello,
rami sottili si dividono, i
quali le carni piatte de l'
aiutorio nodriscono.
E quando la vena
humerale e l'
ascellata vengono presso de la
giuntura del gomito, due parti si dividono da lloro, cioè a ssapere una
da l'
ascellata e l'altra da l'
humer
ale, e insieme discendono infino a
tanto ke di loro si faccia una vena la quale è kiamata purpurea. E
l'altra parte de la vena
humerale si distende per le manofeste parti de
l'
aiutorio e passa sopra 'l focile alto, e questa è kiamata
funys del
bracchio. E l'altra parte dell'
ascellata, la quale è del luogo di sotto per
la parte del braccio (la quale è nel profondo) passa, la quale tanto si
scende infino k'ella pervengha al capo del focile di sotto e fassi d'uno
de' suoi rami la vena k'è in mezo del piccolo
dito e di quello ke lli è al
lato, la quale è kiamata
salvatella. E la parte ke discende a le parti del
corpo di sotto sopra le
spondili del
dosso passa, la quale,
discendendo di sotto in giù, si porge; da la quale rami escono, i quali a
le reni e ai suoi panniculi e ai membri, i quali som posti intorno a
questi,
vanno e li nodriscono, da la quale poscia due gran rami si
disceverano e partono, i quali entrano ne le
concavità de le reni, dipo
le quali si truovano altri due i quali
vanno ai
collioni e d'
or en
avante
da quella medesima vena diricto a cciascuno
spondile due altri rami si
partono, i quali, andando a ll'uno e a ll'altro lato, i membri ke ssono
intorno loro - le quali membra o ssono oculti e nascosi, sì come la
matrice e la vescicha, o manifesti sì come il ventre e le budella -
humentano, cioè danno
humidità a quelli membri. La quale quando
perviene a la sezaia
spondile, si divide in due parti, de le quali l'una
vae al piede diricto e l'altra al mancho, e da queste si dividono parti le
quali nodriscono i muscoli de le
cosce, de le quali alcune sono
nascose e celate, da le quali si nodriscono i muscoli oculti, cioè non
manofesti, e alcune manofeste, le quali i manofesti muscoli
nudriscono. La quale, ancora, quando al ginocchio
perviene si divide
in tre parti, de le quali l'una passa per mezo, i cui rami nodriscono
tucti i muscoli de la ghamba, i quali si truovano dentro e di fuori. E
l'altra va a la parte dentro de la gamba, la quale infino a tanto va in tal
maniera ke ssopra la
chavillia dentro cominci ad aparire e allotta di lei
si fa la vena k'è kiamata
saphena. E la terza parte va a la parte de la
gamba di fuori, la quale similliantemente s'occulta e nasconde infino
k'ella a la
chavillia di fuori pervenga, la quale è detta vena
sciaticha. E
da ciascuna di queste, quando al piede
perviene, si dividono parti, le
quali per lo piede si dividono, de le quali quelle ke ne le parti de le
dita, cioè del piccolo e del secondo, da llui si truovano, sono parti de
la vena
sciaticha; e quelle ke ssi truovano ne le parti del
dito grosso
son parti de la vena
sophena.
L. I, cap. 6 rubr.Capitolo .vj. De la forma de l'arterie ke procedono dal cuore.
L. I, cap. 6L'arterie tucte ke vengono dal cuore da la sua conchavità
manca
nascono. E da questo escono
.ij. arterie, de le quali l'una k'è minore è
guernita d'una
tonica solamente, la quale è ancora più sottile de le
tuniche de le due arterie, e questa, divegnendo vena, entra nel
polmone e partesi i· llui. E dall'altra, la quale è molto magiore, ne la
sua primaia uscita due rami si partono, de' quali l'uno, quello k'è
magiore, va a la concavitade diritta del cuore, e l'altro a quelle parti ke
ssono intorno intorno ne la superficie del cuore va e poscia entra in
lui e in lui si sparge. E questa parte de l'
arteria, la quale dimorò dopo
la separatione e dopo 'l dividimento de' due predetti rami da llei, si
divide in due parti, de le quali l'una discende a le parti del corpo di
sotto e l'altra va a le parti del corpo di sopra. E questa parte andando
a le parti di sopra si parte e divide in rami ke
vanno ad ambendue lati,
i quali ai membri sono continuati ke ssono diritto a quelli rami, acciò
k'elli dieno loro il
calore naturale. E questi rami tanto lungamente si
distendono k'elli sieno diritto al
ditello ove un ramo de la predeta
arteria esce, il quale insieme co la vena
ascellata, cioè di sotto il titello,
va a la mano e per lei si divide, secondo ke nnoi dicemo ke la vena si
divide. E da questo ramo si dividono rami, i quali
vanno ad
manofesti e a
piatti e
nascosi muscoli de l'
adiutorio; et elli è sempre
coperto e piatto infino a tanto k'elli
perviene al gomito, ove in molti
suoi corpi (o luoghi) apare il polso; et elli tanto lungamente sotto la
vena
ascellata va a llei congiunto infino ke sotto il gomito
descende
um pocho e a la perfine passa dentro più e si dilata, dal quale rami si
dipartono subtili a modo di capelli, i quali sono continuati a moscoli
del braccio, la qual cosa si fa tanto lunghamente infino ke passa
gram parte del braccio. E dipo questo si divide in due parti, de le
quali l'una passa per lo focile di sopra e va a la
rascetta, e questa è
l'arteria la quale i medici tocchano. E somilliantemente l'altra sua
parte, trapassando per lo focile di sotto, va a la
rascettha, e questa è la
minore arteria. E queste ambindue per la vola, cioè per la palma de la
mano, si partono, e 'l polso de le quali nel
dosso della vola alcuna
volta appare. E ancora questa arteria, la qual noi dicemo k'andava a le
parti del corpo di sopra, quando viene al luogho il qual è mezano de
le due
forcele in due parti si partisce, da le quali ciascuna in due
somilliantemente si divide parti, de le quali l'una è vicina e proximana
a
guidem piatta e tanto lunghamente sale infino k'entra ne l'osso del
capo, cioè nel craneo. E in questo montamento del suo andamento,
rami si dipartono da llei, i quali sono continuati ai membri celati e
piatti k'ivi sono, sì come noi dicemo nel trattato de le vene. Ma
quando ella è entrata nel craneo
maravilliosamente vi si divide e fassi
di lei quello k'è kiamato rete, sopra 'l cerebro sparto; la qual cosa è
corpo e cosa somilliante a molte reti, de le quali reti l'una all'altra è
sopraposta. E dipo questa cotale divisione di rete si ragunano et
escono da la predetta rete due arterie, le quali, igualmente grandi sì
com'elli erano ançi ke ssi dividessero da la predetta rete, le quali
allotta entraro ne la substantia del cerebro e i· llui si partiro e divisero.
E l'altra parte di queste due, la quale è ancora minore, va a la
superficie del volto e del capo di sopra ove si divide per li membri
manifesti, il polso del quale alcuna volta dipo l'orecchie appare e ne le
tempie. E 'l polso il quale appare presso del
guidem non è polso di
questa arteria, ma de la magior parte k'è continuata al
guidem occulta,
cioè nascosa. E queste due arterie son
kiamate
litargige. E l'altra parte
de le due arterie del cuore, discendendo a le parti del corpo di sotto,
posta sopra li
spondili del
dosso discende dentro, da la quale presso
di ciascuno
spondile alcuni rami si dividono, de' quali, alcuno
andando dal lato diritto e li altri dal lato
sinistro, ai membri si
continuano, i quali ritto a lloro sono allogati. E 'l primaio ramo ke da
llei esce è quello ke va al polmone, dipo 'l quale son gli altri rami i
quali
vanno a' muscoli che ssonno intra le costi. E dopo questi sono
gli altri rami i quali
vanno al
diaflagma, i quali li altri seguitano ke a lo
stomaco, e al fegato, e a la milza, e a l'
omento, o a
rreticulo, e a le
budella, e alle reni, e alla matrice, e
a'
coglioni, e a la vescica, e alla
verga
vanno. De' quali alcuni in tanto si distendono infino ke ai
muscoli di fuori, i quali ne la rectitudine di questi luoghi son
truovati,
siano continuati. E quando tucti questi rami a la sezzaia
spondile
pervengono in due parti si dividono e, ai piedi discendendo, i quali in
quella medesima maniera in kente le vene si dividono, e non è altra
diferenza se non ke l'arterie
vanno per la
profondità de' membri, il
polso de le quali ne la 'nguinaia e sotto la
caviglia dentro, e di fuori, e
nel
dosso del piede, presso a la gran corda appare.
L. I, cap. 7 rubr.Capitolo .vij. De la figura del cerebro.
L. I, cap. 7
Il cerebro non è solido, cioè sodo, ançi àe certe conchavità le
quali son chiamate seve
ventricoli, e sono secondo Galieno quatro,
intra i quali alcune
vie si truovano per le quali dall'uno all'altro si
possa pervenire, de' quali due son posti ne la parte del cerebro
dinanzi e uno nel mezzo e l'altro di dietro è posto e situato, de' quali
la figura è cotale.
Ma apo questi trapassamenti, cioè a ssapere i quali
sono infra questi
ventricoli, certe parti si truovano, le quali ànno
figure
convenevoli acciò ke alcuna volta gli apra e alcuna volta li
chiuda. E ancora due
agiungnimenti (i quali so· nati e derivati da due
ventricoli dinanzi somilglianti ai
capi de le poppe e
vanno all'osso il
quale è somilliante al colatoio) per li quali il
sentimento, il qual è
kiamato
odorato, si compie e fae. E questo osso è
perforato per molti
forami nonn iguali ma dispartiti i· lluogho del craneo, cioè de l'osso
del capo ove le
narillie (cioè fori del naso) si rompono, è posto.
Il cerebro
sanza le predette cose à due panniculi, de' quali l'uno
è grosso e l'altro è sottile. Ma il sottile è molto presso al cerebro e in
alcuno luogho si mescola co llui. E 'l grosso s'
accosta et
aerge al
craneo, il quale ancora al cerebro è molto presso e in due luogora è
forato di molti forami, de' quali l'uno è presso del forame ove le nare
al craneo si
congiungono presso all'osso, il quale è kiamato colatoio, e
l'altro è presso all'osso forato, il quale è nel palato. E per lo primaio
osso, ke ssi congiugne a l'extremità di sopra de le
nari del naso, le
superfluità de'
ventricoli dinanzi discendono a le nari del naso. E per
lo secondo osso, k'è nel palato,
kolano a la boccha le superfluità del
ventricolo di mezo e di quello di dietro. E per l'
expulsioni, cioè per lo
mandamento fuori di queste superfluità, il cerebro si conserva e
guarda sanza
lesione, cioè sanza
magagna, da molte malvagie
infermitadi. E sotto il suo grosso
pannicolo è una tessitura
similliante
a la rete, la qual è generata e facta dell'arterie ke ssalgono al capo, da
la quale due arterie
excono, sì come noi dicemo nel tractato de
l'arterie le quali, entrando nel grosso
pannicolo, si continuano e
giungono al cerebro. E del
nascimento de'
nerbi ke vengono dal
cerebro sufficientemente dicemo nel tractato de'
nerbi.
L. I, cap. 8 rubr.Capitolo .viij. De la forma e figura dell'occhio.
L. I, cap. 8
L'occhio si truova k'è composto di
.vij. tuniche, cioè di panni
.vij., e di tre
homori, e 'l modo de la compositione del quale noi
diremo aguale certo
.
Il
nerbo conchavo, il quale prima esce dal cerebro andando a la
parte di sopra de l'occhio, esce fuori del craneo. E questo ne la sua
uscita è velato e coperto di due pannicoli del
celebro, il quale uscendo
fuori del craneo,
perviene al sommo de l'osso de l'occhio e uno da
llui grosso
pannicolo si diparte, il quale si fae
pannicolo e vestimento
di tucta la superficie de l'osso dell'occhio; e questo
pannicolo da'
cirurgiani è kiamato
isclioticha. E poi apresso dal predetto
nervo si
divide sottil
pannicolo, il quale sotto la
sciloticha passa in altro
vestimento e
pannicolo, il quale è kiamato
secondina imperciò k'elli è
somilliante a la
secondina de le femine; e quel cotal
nervo si dilata
poi. E sotto i predetti due di lui si fa
pannicolo il qual è kiamato
retina
tunicha; e nel mezo di questa cotale
tonicha si genera ancora
un corpo molle e humido, il quale è somilliante a colore di
vetro e
imperciò è kiamato omore vitreo, nel mezo del quale similliantemente
un corpo si crea, il quale àe largheza con alcuna ritonditade, il quale,
imperciò ke nel suo risplendimento è somilliante a la grangnuola, è
kiamato homore
grandineo, la metade del quale è intorneata del
predetto omore vitreo e l'altra sua metade è circundata e
avironata
d'una
tunicha, la quale è molto luminosa e, conciosiacosak'ella sia
molto
assomilliata a la
tela del
ragnatelo, è kiamata
tela
aranea. E
sopra questa un corpo
liquido, cioè una cosa liquida, è locata e
posta, il qual, conciosiacosaké ssia molto somilliante all'albume
dell'
uovo, è kiamato homore albugineo, al quale dentro è sopraposto
um corpo sottile, cioè a ssapere da la parte de l'homore albugineo, il
qual corpo è crespo e di fuori è teso e il cui colore ne' corpi si
diversifica; alcuna volta è molto nero, alcuna volta è meno, alcuna
volta è vaio. E in questo mezo, cioè nel luogo ov'elli è posto di
rimpetto a l'homore
grandineo, è un foro ke alcuna volta si dilata e
alcuna volta si costrigne, sì com'elli fu necessario e bisogno a l'
homor
grandineo per kagione del lume, e si costrigne quando il lume è
molto, e si dilata quando è ne l'oscuro. E questo forame sì è la
popilla. E 'l predetto
pannicolo è kiamato
tunica uvea. E da questa
tunicha un altro corpo è sopraposto il quale lo cuopre, et è ispesso,
duro e kiaro, somilliante ad um pezo di
corno bianco, il quale è
kiamato cornea
tunicha, la qual è colorata secondo il colore de la
tunicha a llei
sopposta, la qual è kiamata uvea, secondo k'al
vetro,
inchiuso ne l'anello, alcuna cosa soprapone da la quale riceve colore.
E sopra questa in questa maniera vestito, ma non sopra tutto, ma
pervenendo infino a la
nereza de l'occhio, un altro corpo v'è allocato,
il quale è duro e di bianco colore et è kiamata
tunicha
congiuntiva, la
quale è quello ke nell'occhio pare biancho; e questa
tunica nasce della
cotenna ch'è sopraposta al craneo di fuori.
E la
cornea nasce de la
tunica
scilotica e ll'uvea de la
secondina, e l'
aranea
tela è creata de la
retina
.
L. I, cap. 9 rubr.Capitolo .viiij. De la figura de le nari del naso.
L. I, cap. 9I forami del naso, andando in su, in due parti si dividono, l'uno
de' quali vae dentro a l'extremitade de la boccha e l'altro va in suso
infino all'osso k'è somilliante al colatoio, il qual è posto dinanzi a due
agiungnimenti del cerebro simillianti ai capezoli de le poppe. E per
questa via e trapassamento si fae l'odoramento, ma per lo primaio
foro ke ssi congiugne a la stremitade de la boccha viene l'acostumata
atractione de l'aiere, non quella ke alcuna volta si suole fare co la
boccha.
L. I, cap. 10 rubr.Capitolo .x. De la forma de' bucini de l'orecchie.
L. I, cap. 10Il forame de l'orecchie si truova ne l'osso duro, il quale è
kiamato
petroso, il quale osso è molto tortuoso e avolto e àe molte
revolutioni; e in questa maniera si distende infino al
nerbo del quinto
paio ke dal cerebro nasce, per lo quale si fae l'udire.
L. I, cap. 11 rubr.Capitolo .xj. De la forma de la lingua.
L. I, cap. 11La lingua è karne molle e biancha, la quale è intorneata di molte
vene piccole, ne le quali è sangue, per la qual cosa il suo colore è
mutato in rosso. E sotto la sua parte di sotto sono vene e arterie
molte e nerbi molti, la misura de' quali tutti, la grandezza, de la lingua
è magiore. E ancora sotto lei sono due boche da le quali esce la
ssaliva, le quali si stendono infino a la carne ghiandolosa e molle
presso de la porta de la lingua. E questa è kiamata karne ke genera
saliva e le due predette bocche son kiamate manda fuori saliva,
imperciò ke per lor due lo homore naturale ne la lingua rimane e in
quelle parti ke ssono intorno lei.
L. I, cap. 12 rubr.Capitolo .xij. De la forma de la gola e de la boccha.
L. I, cap. 12La stremitade de la boccha vae a due forami de' quali l'uno, cioè
quello k'è locato dinançi, è la
tracea arteria la qual è detta e kiamata
da'
cirugiani
kanale del polmone, e l'altro k'è posto di dietro da la
parte del collo, cioè sopra le sue
spondili, è kiamato
meri, per lo quale
passa il cibo e 'l
bere. E per la
tracea arteria nom passa se non l'aria
ke ssi trahe e si manda fuori per l'alito, a la quale è facto
coperkio ke
l'acompagnia, il quale la cuopre quando il cibo si tranghiottisce, il
quale è facto imperciò ke niuna cosa di quello ke ssi
tranghiotisce
entri in lei, imperciò che, quando in lei entra alcuna cosa, aviene a
l'huomo
ostuamento e angoscia e mala dispositione similliante a la
dispositione ke aviene ad alcuno quando alcuna cosa si mette nel
naso, infino a tanto ke llo
starnutamento si faccia. E
similliantemente
il polmone àe bollimento e pena e fassi i· llui forte tossa infino a tanto
ke ssi
mandi fuori quello k'è ne la
tracea arteria. E questa dispositione
de' membri è molto benfacta. E imperciò ke per questo forame si
passa e va al polmone; e conciosiacosaké 'l polmone non sia
strumento di notricamento, ma ssia strumento d'atrare l'aria, né di
sotto sia perforato, onde se i· llui
cadesse alcuna cosa, l'
atractione
dell'aria s'impedimentirebbe, fu mestiere ke elli fosse guardato. E
imperciò fue elli assai
convenevolmente guernito ke questo non
possa advenire se non rade volte, la qual cosa allotta adviene quando
l'uomo tosse, o grida, o elli favelli, e tranghiottisce il cibo ' insieme
atrae l'aria, la qual cosa quando aviene sì non fina di tossire tanto ke
tucto quello si mandi fuori. E in questo luogho strumento de la boce
è fatto e la
boce si genera dell'aria attratta. E in questi luoghi son facti
strumenti
convenevoli a generatione de la voce, non a
generatione
d'una sola voce ma a generare tutti suoi modi; de' quali è uno
instrumento il quale è kiamato
pilliottis, la quale si compone in tal
maniera di tre
cartaligini k'ella sia
acconcia e convenevole a
generatione di boce; e l'altro è un corpo, cioè una cosa corporea, ke
ssimillia a la
fistola de la lingua, cioè al foro o al
cannello de la lingua,
il quale è più
nobile di tucti li altri strumenti de la boce, e li altri sono
molti muscoli convenevoli, aconci e adatti a generare e fare i
movimenti, i quali sono
necessarii in questo luogho per la diversitade
de le figure, de' quali diversi modi di boce pervengono. E tutti questi
membri, cioè a ssapere la
tracea arteria, e
kanali del polmone, e tutto
il polmone, e tucto 'l petto con tutti i suoi muscoli e i suoi
pannicoli,
e 'l diafragma, son facti per l'
atractione de l'aiere. E per ciò, e da
l'
atractione de l'aria per lo
pilliotto, e per lo corpo de la lingua k'è
assomilliato a la
fistola, cioè a la sampogna, proviene e si fae la boce.
E dipo queste cose i
toni de le boci e le lettere, per l'aiuto de la
lingua e de le
labbra, e de' denti, e di tucte quelle cose ke ssono ne la
boccha si
compiono.
L. I, cap. 13 rubr.
Capitolo
.xiij. De la forma del petto e del polmone.
L. I, cap. 13Le
conchavitadi di tutto il ventre, cioè di tutto il
cavo del corpo,
le quali sono e si truovano da le forcelle infino a ddue ossa de l'anche,
si dividono in due gram parti de le quali l'una, cioè quella k'è da la
parte di sopra, contiene il polmone e il cuore, e l'altra k'è da la parte
di sotto contiene lo stomacho, e le budella, e 'l feghato, e la milza, e 'l
fiele, e le reni, e la vescicha, e la matrice. E queste
conchavitadi uno
membro scevera e divide, il qual è kiamato
diafragma.
E la
diafragma
comincia dal capo del
torace e per traverso va in
giuso a ciaschedun lato infino a tanto k'elli è continuato a la
duodecima
spondile del
dosso, dividendo quello ch'è di sopra da llui
da quello k'è ddi sotto da llui. E la
concavità di sopra si distribuisce e
divide ancora in due parti, le quali un altro
pannicolo k'è
ssomilliante
al diafragma divide e distingue tendendo e andando per lo mezo di
loro infino a tanto ke ssia continuato a li
spondili del
dosso.
E di queste cotali tre concavitadi è facta cotale figura. E tucta la
conkavità di sopra è kiamata
pecto, il cui
termine e fine da la parte di
sopra sono le forcole, cioè le forcelle, e da la parte di sotto il
diafragma ke divide il ventre per lunghezza. E questa ke noi dicemo è
la figura del petto.
E 'l canale del polmone, sì come noi dicemo,
komincia da la
extremitade de la boccha, il quale quando elli
perviene al luogho k'è
ssotto le forcelle in due parti si divide e si scevera, de le quali
ciascheduna si divide ancora in molte parti, intra le quali si texe la
carne k'è nel polmone e si
consolida. E di questi
kanali ke così si
dividono, e de le vene ke vengono a lloro, e ancora de la carne ke lli
acerkia e avirona, si genera il corpo del pulmone, del quale l'una
metade ne la
conchavitade
diricta del pecto è
kollocata e l'altra ne la
mancha. E la
tracea
arteria si compone et è composta di due
kartilagini k'ànno due parti di cerchio nom perfecto, l'estremità de le
quali continua um
pannicolo molle, il quale va secondo diritta linea,
secondo ke apare in questa figura predetta. E tra questi molli anelli
sono continuati panniculi e questi anelli sono duri e
chartaliginosi. E
la parte delli anelli gibbosa, cioè colma e scrignuta, è posta di fuori ne
la parte manofesta del corpo, la quale ancora si puote tochare con
mano e 'l suo luogo diritto si congiungne al
meri. La qual cosa se ttu
ymagine due kanne piccole poco lunghe, dell'una de le quali tu
talliando lievi la terza parte e poscia il luogho de la talliatura tu chiude
col pergameno, a la quale in lungheza e per lungheza tu
agiungni
un'altra kanna
intera,
kompierassi la visione e 'l vedimento, per la
quale la forma de la congiuntione e del comunicamento de la
tracea
arteria e del
meri si puote intendere. E tucta la
conkavitade di sopra
non è per altra cosa se non perké l'aria s'
attraggha.
E 'l petto quando si dilata trae il polmone e 'l dilata. E quando il
polmon si dilata trae l'aria e fassi una de le due parti de l'alito, la quale
è
atractione de l'aria. E poi si costrigne il petto col quale si costrigne il
polmone e fassi, per la sua
costrintione, expulsione d'aria ke è la parte
seconda de l'alito. E l'
attractione dell'aria di fuori e la sua expulsione
fu necessaria a l'
aventamento del cuore, imperciò ke parte dell'aria
atracta vae, per li forami ke ssono intra 'l pulmone e 'l cuore, al cuore,
il quale, quando è riscaldato, è mistieri ke ssi mandi fuora e si muti,
per la qual cosa il petto constrigne il polmone, il quale, constretto,
manda fuori l'aria. E ancora si dilata il petto e dilata il polmone, il
quale, dilatato, atrae l'altra aria secondo ke ssi fa ne' mantachi, per li
quali si ventola il fuocho; i quali quando si dilatano s'empiono d'aria e
quando si costringono si vòtano de l'aria.
E impercioe il petto per la lungheza fue diviso in due
conchavitadi e in ciascuna di loro la metade del polmone fu allogata
acciò ke ll'alito avesse
.ij. stumenti, acciò ke sse all'uno alcuno male
extrano avenisse
koll'altro a quel k'è mestier si potesse temperare. La
qual cosa fu facta
similgliantemente nelli occhi, imperciò ke questa
operatione (cioè de l'alito), per la
vehementia e per la forteza de la sua
mobilitade e per la
vehementia e força de la sua necessitade, acciò ke
la
vita
perduri, acciò ke molto si conservasse, fu mestiere. La qual
cosa per certo fu ben facto, imperciò ke al petto spesse volte viene
percussione, per la quale una sua
konchavitade si
fora, ma coll'altra a
compiere l'alito si tempera secondo k'elli è mestiere. E se i due suoi
lati fosser forati, l'animale non potrà vivere più lungamente ke quelli
ke ss'afoga. Ma imperciò ke la
tracea arteria de la parte oculta e
nascosa fu al
meri adiuncta, il quale è forame per lo quale passa il
cibo e 'l
bere, imperciò
pannicol molle fu posto da la parte del detto
meri, acciò ke quando il
meri la
comprieme e costrigne per troppo
riempimento o repletione a lei dea luogho e non si stringa il
meri.
E se noi non volessimo guardare la
misura di questo libro ne le
forme di questi membri e ne' loro giovamenti, amplificheremo e
multiplicheremo le parole, la qual cosa schifando, comprendendo la
somma de le parole, insistiamo a la brevitade in quanto noi possiamo,
cioè
abbreviamo questo libro.
L. I, cap. 14 rubr.Capitolo .xiiij. De la forma e figura del chuore.
L. I, cap. 14Il cuore in sua figura
assomillia a la pina, il capo del qual è
converso e tornato e rivolto, quello k'è in alcuna maniera
aguto vae a
le parti di sotto del corpo e la sua radice è di sopra. E 'l cuore à
casula, cioè picola
cassa e chaverna, la quale è d'uno
pannicolo spesso
lui circundante e
avironante. E questa casula non del tutto in tutto, né
d'ongne parte, a llui si continua, ma tanto solamente presso de la sua
radice. E 'l cuore è posto in mezo del petto, il cui capo
tornatile e
rivolto declina um pocho a la parte manca, da la quale grande arteria
nasce, cioè
orthi (k'è così apellata), onde ancora il polso ne la parte
mancha apare magiormente. E due ancora grandi
ventricoli à, de'
quali l'uno è nel lato diritto e l'altro nel
sinistro. E truovasi ancora
presso de la sua origine e de la sua radice una cosa ke
assomillia a
cartalagine, la qual cosa è sì come
basis, cioè fondamento, di tucto il
cuore. E intra 'l diritto ventricolo e 'l sinistro certi forami si truovano:
e 'l ventre dritto dritto à due bocche, de le quali l'una è per la quale
entrano le vene ke nnascono dal fegato e per la quale il sangue passa
al ventricolo dritto del cuore, sopra il quale tutti i tre
pannicoli
stanno, l'andamento de' quali
cominciando di fuori si compie dentro,
la qual cosa fu acciò ke ssi
riflettessero e ritornassero adietro a quello
k'è 'ntra; e l'altra bocha è boccha de la vena ke da questo ventricolo è
continuata al polmone, la quale, ancora conciosiacosak'ella sia vena e
non arteria, le sue
toniche son grosse e
spesse, per la qual cosa dalli
anathomici, cioè da quelli ke tractano de la dispositione de' membri, è
kiamata vena
arteria. E le
tuniche dell'arterie son più grosse e più
dure e più
spesse de le
tuniche de le vene, la qual cosa perciò dee così
essere, imperciò ke l'arterie assiduamente si muovono tanto quanto
huomo
vive, per lo quale
movimento se avenisse k'elle si rompessero,
magior nocimento si seguiterebbe k'è del rompimento de le vene. E
sopra questa boccha tre pannicoli sono collocati, l'andamento e
l'entramento de' quali,
kominciando da le parti dentro, termina da la
parte di fuori acciò ke
reghano e si
ripieghino a quello k'
esscie dal
cuore. E in quello medesimo modo il ventricolo mancho àe due
orificii, cioè due bocche de le quali l'una è boccha de la grande arteria,
cioè
orthy, da la quale l'arterie di tucto 'l corpo nascono; e sopra
questa boccha paniculi si truovano, l'andamento e l'entramento de'
quali
cominciando da le parti dentro finisce da le parti di fuori, acciò
ke
regghano e si
repieghino e si
reflectino ad quello che dal cuore
esce de lo
spirito e del sangue. E l'altro è boccha de la vena la quale
vae al polmone e ne la quale è
trapassamento d'aria et èe entramento,
per la quale dal pulmone si manda l'aria al cuore, sopra la quale
ancora due
pannicoli si truovano, l'entramento e andamento di fuori
comincia e dentro si compie, acciò k'elli s'aprano e convenevoli e
disposti si facciano, acciò ke ll'aria possa passare per loro al cuore. E
ancora à due
aditamenti, cioè due
agiungnimenti
simillianti alli orechi,
de' quali l'uno è diritto e l'altro è mancho.
E 'l polmone cuopre il cuore e guardalo ke lli ossi del petto
dentro no 'l tocchino.
L. I, cap. 15 rubr.Capitolo .xv. De la figura del meri e de lo stomaco.
L. I, cap. 15In quello k'è passato dinançi è già mostrato ke due vie sono ne
la stremitade de la boccha, de le quali l'una è facta acciò ke ll'aria al
polmone si possa trare e andare, la quale è
trachea arteria, e l'altra è
acciò ke quello ke ssi bee e si manucha per lei passi a lo stomacho,
la quale è il
meri. E questo
meato e questa via k'è kiamata
meri è
posta di dietro sopra li
sponduli del collo, il quale, discendendo in giù,
vae infino ad tanto k'elli
fori il diafragma, sempre essendo legato
kolli
sponduli e con alcuni panniculi, il quale, poi k'elli perfora il
diafragma, si dilata; e ivi il membro k'è kiamato
stomaco, il quale dipo
la predetta perforatione del diafragma s'inchina um pocho verso la
parte mancha und'è il capo de lo stomacho, si truova inchinato a la
parte
mancha e 'l suo
fondo s'inchina a la parte diritta. E se ttu
ymagine una
zuccha
ritonda ke abbia il collo lungho da la parte di
sopra, del quale un altro collo si contenga da la parte di sotto e sia sì
come tu vedi, sarae la figura del
meri e de lo stomaco. E ancora lo
stomacho da la parte k'è
a parte dorsi è um poco lato, del quale l'un
capo, cioè quello k'è ddi sopra, è il
meri e l'altro ch'è di sotto è
kominciamento e principio de le budella et è legato kolli
spondili e
coll'altre cose dentro e budella kon fermi legamenti ke lui
tengnono
fermamente. E la fermeza del legamento e del
substentamento di tutti
l'interiori è secondo ke la loro nobilitade richiede e loro fu necessario
e paura sopra lloro.
E 'l
meato, cioè la via di sotto, de lo stomaco è kiamato
portanario. Il quale
meato, poi ke 'l cibo è ragunato ne lo stomacho,
si contrae e kiude in tanto ke niuna cosa di lui né ancora acqua ne
puote uscire, tanto ke la digestione e la
cotione sia compiuta e 'l cibo
si corrompa, poscia s'apre infino a tanto ke quello k'è ne lo stomaco
corra e vada a le budella. E questo luogo, sì come noi dicemo, qui
nato, è
cominciamento de le budella.
E 'l corpo de lo stomaco è composto di tre
tuniche, de le quali
l'una àe suoi veli ke passano e
vanno i·
llungheza, e l'altra àe i suoi ke
vanno i·
llatitudine, e l'altra àe i suoi ke passano e
vanno per lo
traverso, i giovamenti de' quali è lungha cosa di narrare singularmente
e ciascuno per sé.
L. I, cap. 16 rubr.De la figura de le budella. Capitolo .xvj.
L. I, cap. 16
La figura de le budella
distingnerò brevemente. Le budella si
truovano composte di due
tuniche e sopra la
tunicha dentro si truova
alcuna viscositade apicchata sì com'è lo stangnamento
ke ssi
fa ne le
vasella. E tucte le budella sono
sei solamente, de le quali le tre di
sopra sono sottili e li altri tre ke ssono di sotto sono
grosse. E de le
sottili il primaio budello è quello ke ssi truova essere continuato a la
boccha de lo stomacho di sotto il quale è kiamato duodeno, e questo
seguita il budello il qual è kiamato
yeiunum. Le quali due budella
stanno dricte e sono stese ne la lunghezza del corpo. Ma tuctavia li
orificii e le bocche, per le quali il nudrimento è portato e vae al
fegato, sono più in questo budello ke nelli altri, i quali
fieno nominati
nel tractato del fegato. E il predetto budello seguita un altro il quale è
kiamato
minuto, il quale si truova k'è involto di molte
involutioni e
avolgimenti. E l'ampieza di queste tre budella si truova k'è iguale in
grandezza a l'ampieza del
portinario. E dipo questo l'altro budello
seguita, il quale è chiamato
monoculo. E questo è budello ampio e àe
un forame tanto solamente, quasi com'elli fosse un saccho o una
borsa, e à una bocca per la quale quello ke ll'una ora entra dentro,
l'altra ora n'esce fuori, il quale ancora è
allogato e posto nel lato
diritto. E dipo quello incontanente seguita un budello il quale è
kiamato
kolon, il cui
cominciamento è nel lato diritto, ma elli per la
larghezza del ventre è porto e disteso infino al lato mancho. E dipo
questo seguita il budello k'à
nome
recto, nel quale, conciosiacosak'elli
abbia ampia concavitade, si collie e riceve lo
sterco, sì come ne la
vescicha si raguna l'orina. E la extremitade (cioè la fine) di questo
budello è il
culo, sopra 'l quale è un
muscolo il quale non
lascia uscire
lo stercho infino a tanto ke il disiderio sia venuto ke ll'apra e allenti.
L. I, cap. 17 rubr.Capitolo .xvij. De la figura del fegato.
L. I, cap. 17
Il fegato è posto nel lato diritto e
kollocato sotto le
coste di
sopra, le quali sono di dietro, la cui figura è a modo di
luna, il quale
dentro da la parte de lo stomaco è conchavo, e ancora certi
giungnimenti i quali alcuna volta
.iiij. e alcuna volta
.v. si truovano
. Il
quale ancora abraccia il lato diritto de lo stomacho e la sua gibosità,
cioè il
dosso, e 'l colmo si truova da la parte del diafragma et è legato
ko
llegamenti ke continuano il feghato al
pannicolo, il qual è di sopra
a llui. E di questa cotale
conchavitade nasce un chanale, il quale è
kiamato porta del fegato, la cui figura tiene
somillianza di vena ma
ssangue non tiene. E questo chanale si parte in molte parti, le quali
ancora si dividono in molte parti, le quali molte divisioni
vanno a la
parte de lo stomaco di sotto e molte di queste al duodeno ' al
jeiuno
vanno. E ancora in questa maniera si protendono e
vanno all'altre
budella, infino a tanto k'elle pervengono al budello k'è kiamato
rectum. E queste sono li
orifici e le bocche ke noi
nominammo, per
le quali il
nutrimento si trae e vae al fegato, lo quale nel suo
trapassamento non
cessa d'andare del luogo più
stretto al più ampio,
tanto k'ella sia ragunata nel canale k'è porta del fegato. E 'l predetto
kanale ne la parte dentro del fegato si divide im parti sottili al modo
de' capelli, ne le quali il nutricamento ke ffu
tracto al fegato si
disparte e divide e tanto lunghamente si cuoce de la carne del fegato
k'elli sia fatto sangue.
E dal
gibbo, cioè dal
dosso, del fegato una grande vena nasce da
la quale le vene di tucto 'l corpo e de la
persona prendono origine e
nascimento secondo ke nnoi dicemmo ne l'
anothomia de le vene. E
la radice di questa cotale vena si divide im parti subtili ad modo de'
capelli, le quali a le parti si congiungono ke ssono divise dal forame
k'è kiamato porta. E fassi in questa maniera, acciò ke 'l sangue ke
ssale da le divisioni de la vena di quella porta passi e vada a le parti de
la vena ke nasce dal
gibbo, cioè dal
dosso, il quale, poi ke saranno ne
le parti ke vengono dal
gibbo, tanto lungamente si lieva passando da
la parte più sottile a la parte più ampia, infino a tanto ke tucto il
sangue si raguna ne la vena ke esce del
gibbo del fegato.
L. I, cap. 18 rubr.Capitolo .xviij. De la figura de la milza.
L. I, cap. 18La milza secondo la sua figura è lungha, la quale è posta e locata
ne la parte manca e aggropata e legata kon alcuni legamenti, i quali
sono continuati al pannicolo il quale è sopra lei. E dall'una parte è
apiccata a lo stomaco e dall'altra è continuata a le coste del dosso, del
quale due pori nascono, de' quali l'uno a la boccha de lo stomaco e
l'altro vae a la concavitade del fegato.
L. I, cap. 19 rubr.Capitolo .xviiij. De la figura del fiele.
L. I, cap. 19Il fiele, sopra il fegato e allogato e posto, à due pori
similiantemente, de' quali l'uno vae a la concavitade del fegato e
l'altro si parte e divide in parti, le quali vanno e tendono a le budella
di sopra e al fondo de lo stomaco.
L. I, cap. 20 rubr.
Capitolo
.xx. De la figura de le
reni.
L. I, cap. 20Le reni sono poste intorno al fegato da ciascuna parte delli
spondi del dosso, de' quali il diritto tiene il luogho dinançi. E
ciascuno di loro àe due colli, de' quali l'uno dal lato nel qual è elli vae
a la grande vena k'è nel gibbo del fegato, e l'altro discende in giù
infino ad tanto ke a la vescicha maravilliosamente sia continuato. E
questi i quali discendono a la vescicha sono pori kuritydes e son
kiamati emultoria.
L. I, cap. 21 rubr.Capitolo .xxj. De la figura de la vescicha.
L. I, cap. 21La vescicha è vasello de l'orina e suo receptaculo, la quale è
allogata intra 'l femur e 'l culo et è composta di due tuniche. E
sopra la sua boccha sono alcuni muscoli, i quali il costringono e
guardano ke ll'orina non escha de la vescica sanza volontade infino
ad tanto ke la volontade la lasci andare e l'orina discenda da le reni a
la vescicha per due colli, i quali noi dicemmo ke eran kiamati
emuntoria, i quali, quando pervengono a la vescicha, perforano una
de le sue tuniche e poi passano intra le due sue tuniche infino a tanto
ke pervengono al collo de la vescicha ove, perforando l'altra,
discendono a la concavità de la vescika.
L. I, cap. 22 rubr.
Capitolo
.xxij. Di nominare l'agregationi e 'l ragunamento del
giovamento delli strumenti del nutrichamento.
L. I, cap. 22La boccha sopra 'l senno e 'l
sentimento del
toccamento, il quale
è comune in tucti i membri, ebbe propio senno d'assagiare e
sentimento, la qual cosa fu acciò ke, intra quelle cose ke suavitade e
dilettatione fanno e quelle ke fanno orribilitade, discerna e
cognoscha, imperciò ke quella cosa ke porta e fa dilettatione nudrisce
e fa
prode più ke ll'altre.
E la lingua fae grande giovamento il qual tiene nel formamento
de la boce; e 'l cibo, quando si
masticha, rivolge ne la boccha secondo
k'è mistiere infino ad tanto ch'elli sia
agevolmente macinato, ne la
quale ella tiene simillianza de la mano del mugnaio, la quale rivolge
quelle cose ke ssono mestiere al
macinamento.
E i denti sono in tre maniere, imperciò ke alcuni di loro sono
aconci ad
talliare, de' quali alcuni son kiamati
duales e li altri
quadupli;
e li altri son fatti acciò ke fossero aconci e convenevoli ad alcune cose
chostringnere: et elli son kiamati
kanini; e li altri acciò k'elli fossero
aconcii e disposti ad macinare, e questi sono kiamati
molares. Et è
ancora ne' denti una cosa la qual dee essere scripta e notata a
maravilliosa sapientia, cioè a ssapere ke lli
cisori e i
quadrupli,
riscontrandosi insieme, si toccano quando è mistiere. La qual cosa
adviene allora quando alcuna cosa si conviene mordere, la qual cosa
in nulla maniera si potrebbe fare se la mascella di sotto tanto
lungamente andasse innançi, infino a tanto ke i denti di sotto ai denti
di sopra si potessero riscontrare, acciò k'elli si giungano in rectitudine
quelli ad quelli. E quando il cibo si dovrà masticare o macinare, la
mascella di sotto vae al suo luogo e lli
ci
sores e
quadrupli di sotto si
tragono dentro e non
vanno incontro a quelli di sopra sì come
facceano prima. E com questo aviene ancora ke i
molari di sopra
sopra quelli di sotto
kaggiano quando è mestiere, la qual cosa allora
aviene quando masticare si conviene, imperciò ke impossibile cosa
sarà ke i
duali e i
quadlupi di sopra, riscontrandosi, ad que' di sotto si
congiungnessero, sì che i
molari insieme si riscontrassero, la qual cosa
aviene quando alcuna cosa si
rompe. E ancora le radici de'
molari
som più ke le radici delli altri denti, imperciò ke la loro operatione è
molta e lungha. E i
molari ke sson di sopra ànno più radici, imperciò
k'elli pendono.
E grande
cautela s'à ke alcuna de le cose ke ssi manucano non
entri ne la
tracea arteria, sì come di sopra fu mostrato, imperciò ke ne
l'ora del tranghiottire il
meri discende giù e l'
epilliotto si leva in su e
allotta a la
tracea arteria il suo copertoio s'
aherge e acosta trabene, e
in tal maniera ke quello ke ssi conviene tranghiottire sopra 'l
dosso
del predetto copertoio passa tanto k'elli pervengha al
meri. Ma poi
che quello ke ssi manucha discende a lo stomaco, lo stomaco
l'acerchia e 'l
portinario dinançi si chiude, il quale ancora dimora così
infino a tanto ke la digestione sia compiuta.
E 'l detto stomacho da la parte
diricta dal fegato e da la mancha
da la
milça e dentro dal
gibbo e di dietro da le carni del
dosso è
circundato, le quali cose tutte acciò son poste intorno ke 'l
calore si
ritengha e ke molto riscaldino lo stomaco. E 'l cibo in cotal maniera,
ne lo stomaco dimorando tanto lunghamente, si cuoce k'elli
assomillia a
ssugho e ke per li predetti
orificii e bocche, i quali
vanno
al feghato, al fegato sia aconcio di passare, le quali perciò fuorono
molte, imperciò ke sse fosse uno tanto solamente, e a uno luogho
solo andasse,
fallerebeli e
verrebeli meno, imperciò ke quello ke
discende del cibo uscirebbe dal predetto luogho. Per la qual cosa i
predetti
orificii fuor molti, i quali son continuati a la magior parte de
le concavitadi de le budella, acciò ke quello ke avesse lasciato l'uno
de' predetti
orificii, dall'altro sia
tracto. E a le budella fuoron molte
revolte acciò ke quello ke ssi manucha tanto lungamente si possa
ritenere infino ad tanto ke tucta la
sucositate k'è in lui s'
attraggha e 'l
cibo non discenda
isdrucciolandosi troppo tosto. E questa
operatione, cioè a ssapere d'attrare, si compie propiamente nel
budello il quale è kiamato
monoculo. E quello ke esce da questo
budello niuna cosa ritiene in sé ke vallia ad nodrire, imperciò ke in lui
abonda e signoreggia molto la
putredine e imperciò ke quello ke
ss'
atrahe al fegato da la sua carne tanto lungamente vi si cuoce infino
ke passi in sangue e si faccia sangue. E mestier fue ke quello ke
ss'
atrahe tanto lungamente patisca e riceva l'operatione infino ad
tanto ke piccola quantitade di lui di molta carne del fegato sia
circundata, acciò ke la sua conversione sia tosta e
agevole, per la qual
cosa il canale, il quale è kiamato porta del fegato, al quale ciò ke ssi
atrae s'agiugne ad nudrimento, in minute parti ne la
conchavitade del
fegato si divide.
La qual cosa
similliantemente è fatta, acciò ke quel ke
s'
attrahe in sangue si convertischa tosto e
agevolmente e imperciò ke
i membri non si possono nudrire e acrescere
sanza sangue mondo e
conveniente, e col sangue insieme due si generano superfluitadi, le
quali allotta non generarsi è impossibile cosa, imperciò ke in tucte le
cotioni e digestioni aviene d'essere fatto in questa maniera, de le quali
l'una
assomillia a la
feccia e l'altra si truova somilliante a la
spiuma;
mistier fu ke 'l sangue da quelle si mondasse e nettasse. Per la qual
cosa fatto fue il
fiele, il quale à collo, il quale tanto lunghamente si
protende tanto k'elli entra ne la conchavità del feghato, per lo quale la
collera rossa è tracta, la quale insieme col sangue si genera.
E la milza somilliantemente fue creata, la quale àe
somilliantemente collo il quale vae al feghato, per lo quale e col quale
un'altra superfluitade si trae, de la quale s'ingenera la collera nera. E
allotta dimora il sangue mondo e netto, neuna cosa in sé abbiendo di
collera rossa o nera se non quello ke mistiere è, ma tuctavia elli è più
sottile ke non fu mestiere. Dumque fu mistiere ke l'ac
quosa
superfluitade ke i· llui rimase da llui sia mandata fuori, la qual cosa è
tanto lungamente da ffare infino k'elli abbia grossezza, per la quale
elli sia apto, aconcio e convenevole a
karne generare. Per la qual cosa
fatte fuoro le reni, da cciascuna de le quali un collo lungho fu disteso
andando a la vena k'è nel
gibbo del feghato, cioè nel
dosso del
feghato; dal quale luogho quello k'è
aquoso nel sangue, inançi ke 'l
sangue si lievi in alto e
imbea i membri, si trae per lo predetto collo.
E quando il sangue sarà purgato da le predette tre superfluitadi, il suo
mondificamento sarae allotta compiuto e sarà aconcio e
convenevole
di nodrire i membri e d'
acrescerli secondo k'è loro convenevole. E tu
ssaprai la magnitudine e la grandeza del giovamento che ss'àe de la
purgatione del sangue da queste superfluitadi, quando tu
avrai
considerato le cose nuove e le novitadi ke a questi strumenti
avengono. Imperciò ke 'l fiele quando non atrae la collera rossa, ma
col sangue tanto lunghamente il lascia ke va ai membri ke ssi
debbono nodrire, molte infermitadi avengono de la collera rossa sì
come yteritia, cioè giallore, e
pustole rosse, cioè bolle rosse, piccole, e
formicha, e rosseza ke aviene com piççicore e febri agute e somillianti
a queste.
E la milza quando non trahe la collera nera, avegnono
infermitadi di collera nera, sì come yteritia, e morphea nera, e
impetigine, cioè
volaticha, e
letigini, e malattia, e meninconia, e
somillianti a questi. E la superfluitade aquosa, cioè l'orina, se non
passa e vae a le reni, una de le due spetie de la ydropisia, cioè
alcite,
cioè a ssapere
yposarcha averae e si
generrae.
Dumque se i
predetti tre strumenti non fossero, le predette
infertadi averebbero assiduamente e spesso, e ke 'l collo del fiele e 'l
collo de la milza, vegnendo a la
conchavitade del fegato, quello che
dee essere
expulso e mandato fuori da llui sia tracto
maravilliosamente e fatto e
saviamente.
E da le reni a la vena ke sale dal fegato due colli
vanno, i quali
indi traggono la superfluità aquosa, cioè l'orina. La qual cosa è per
ciò: perké 'l sangue
fue necessario ke a questo luogho si levasse e
salisse ne' meati, cioè ne le vie minute, in modo di subtilitade de'
capelli. E allotta conviene ke questa
aguosità in lui rimanesse acciò ke
la sua
sottillieza a llui rimanesse, atando lui sopra la velocitade,
tostezza e
spilliateza del suo salimento in questi suoi meati e vie. Per
la qual cosa lo strumento ke l'atrae non fu ivi continuato, ma poi k'elli
salie e in queste sottili vie passoe a la via ampia e pervenne, et
iscusato de la sua suttilitade, et ebbe mestiere de la sua grossezza, et è
ivi giunto a llei. E quando sale a queste vene, sangue mondo si
divide per tutto 'l corpo, acciò k'elli
imbea tutti i membri del corpo e
a ciascheduno mandi la sua parte, la quale secondo la sua quantitade
giustamente a llui toccha, secondo ke noi dicemo ne la divisione de le
vene. E 'l sangue k'è così diviso ne' membri in ciascuno di loro si
converte ne la sua natura e così il nodrisce e acresce, se 'l corpo e la
persona àe ancora mestiere d'acrescimento e se non si ristora quello
k'è disoluto e distructo da llui, se 'l corpo e la persona non menoma
ancora. E s'elli
komincia già a menomare, sì ssi ristora meno ke
quello ch'è
ddisoluto. E l'operatione ke noi dicemo aguale è la finale
kagione per ke ll'animale ebbe mestiere di tutti li strumenti del
nutricamento; e acciò ke le predette superfluitadi, da le quali il sangue
si purgha, di tutto in tutto nom paressero inutili, sì le fece Idio, il
quale sia benedetto,
utili alli altri grandi giovamenti; e imperciò il
fiele
kon un solo collo il sangue purga da la collera rossa, sì come è
predetto, e coll'altro collo la manda a le budella ove la detta collera
per la sua acuitade e per lo suo pugnimento e
pizicamento le budella
fa conmuovere a l'expulsione e a mandare fuori lo stercho. E questa è
la cagione per la quale il corpo si purgha da lo sterco e ss'asicura da lo
'nduramento de lo stercho e dal suo retenimento.
E 'l fiele trae la superfluità puzolente da la quale purgha il
sangue e la convertisce ancora infino k'ella sia aconcia e
convenevole
ad
acesositade e
ponticitade, cioè
lazeza. Poscia di lei manda ciascun
die alcuna cosa a la boccha de lo stomacho, accioe ke per la sua
afrezza e
lazeçça in lui
exciti e
aguççi e commuova l'appetito, la quale
poscia insieme ko lo sterco si manda fuori.
E le reni, sì come è predetto, traggono l'aquosa superfluitade del
sangue e de la parte ke lloro è
convenevole ke ssi truova ne la
predetta superfluità si nodriscono, e l'altra sua parte si manda a la
vescicha per li due forami ke noi
nominammo.
E la vescicha
fue ampia acciò ke non sia mestiere l'animale
continuamente levarsi a urinare. E sopra la sua boccha fue posto un
muscolo, il quale la costrigne in tal maniera ke di lei neuna cosa escha
se primieramente non è piena e cominci ad avere pena e bollimento
per la moltitudine dell'
urina e de la sua acuitade e allotta
voluntariamente s'apra e l'urina si mandi fuori. E 'l
trapassamento e la
via di questi forami
maravilliosamente e
saviamente è facto, imperciò
ke tu vedi ke quando la vescicha s'
emfia il vento di lei non esce, già
sia elli ke i· llei sieno due forami per li quali il
razo entra e per li quali
l'
aquosità del sangue (la quale è orina) da le reni a la vescicha
sdrucciola e vae. La qual cosa percioe aviene imperciò ke ' due colli
predetti forano l'una
tunicha de la vescicha e,
perforando entra le due
sue
tuniche, passano tanto k'elle s'agiungono al collo de la vescicha,
ov'elle forano ancora l'altra
tunicha; e imperciò, intrando ne la
continuitade de la vescicha, discendono a la sua
tunicha di sotto e a
quella di fuori fanno
aprocciare, onde ancora quanto magiormente
s'empiono, tanto magiormente a la sua
tunicha si congiungono. Per la
quale cosa il forame predetto in tanto si costrigne ke niuna cosa de
l'orina, poi k'ella sarae ne la vescicha, possa
tornare addietro e l'orina
legiermente si
mugnerà. E non
cessa l'orina,
mungnendo, di scendere
a la vescicha tanto ke da llei sia
gravata. La qual, poi k'ella sente
questa
estuatione e bollimento e
stimolatione,
allarghasi il
muscolo ke
costrigne la boccha de la vescicha, e costrignesi la vescicha, e
sdrucciola e discende l'orina.
E de lo sterco spesso poi ke nne fie tracto fuori quello per lo
quale alcuna cosa puote essere nodrita, quello ke ffia relicto, lasciato e
abandonato, si mandi al budello k'è kiamato
recto, il quale à ampia
concavitade acciò ke quello ke ivi si raguna dello stercho possa
raccolliere e ritenere e acciò ke non sia sempre mistiere levarsi a far
suo
asgio. E poi ke da quello ke ivi è ritenuto
komincia a essere
puncto e gravato, sente questa
estuatione e pena e l'animale il
muscolo voluntariamente allenta e allargha, il quale il chiudea; e
l'
egestione è kiamata stercho. E a questo modo di notricamento
procede il
reggimento da ke alcuna cosa ke abbia a nnodrire entra nel
corpo infino ad tanto ke 'l detto
korpo, di quello e da quello ke llui
dee nodrire sia nodrito e la superfluità da llui sia mandata fuori.
L. I, cap. 23 rubr.
Capitolo
.xxiij. De la forma del sifac, il quale è uno
pannicolo
rughoso.
L. I, cap. 23Sotto la cotenna ko la quale il ventre è di fuori coperto si
truovano otto muscoli, i quali noi nominammo, dipo i quali ne le
parti dentro è uno pannicolo rugoso, cioè crespo e viçço, il qual è
kiamato cyphac o siphac, dipo 'l quale è il zirbo, e dipo 'l zirbo sono
le budella. E la roptura ke adviene nel myrac è quando si rompe il
sifach.
L. I, cap. 24 rubr.Capitolo .xxiiij. Del membro virile.
L. I, cap. 24De l'osso del femore, cioè k'è dal pettignone, nasce un corpo
nervoso il quale à molti ampi forami, sotto 'l quale sono molte ampie
arterie e vene sopra quello ke la sua misura merita, cioè più ke nogli
verrebbe im parte, e 'l predetto corpo è il membro virile, cioè la
vergella.
L. I, cap. 25 rubr.Capitolo .xxv. De la matera ke ssi diparte d'alhosos, cioè de la
sperma.
L. I, cap. 25E ancora dal
sifach discendono due
kanali, i quali paiono
somillianti per natura ad vedere a quelli forami i quali si protendono e
vanno da le reni al
gibbo del fegato, de' quali poscia, dilatati e
allarghati i
folliculi dentro de la
tunicha de'
collioni (cioè le loro
borse) si generanno, nelli quali i detti
coglioni sono contenuti.
E vegnono ancora a le parti de'
collioni alcuni rami de le vene,
dentro i quali in molte maniere avolti di carne
kiandolosa e bianca si
comprendono e vengono, ke ciò ke in loro è di sangue in tal maniera
si muta ke ssi fae biancho, e allotta si fa alcuna parte de l'
ontuositade
de la
sperma (cioè di quella
humidità k'esce per la vergha quando
l'uhuomo
usa con
femina). E poi da questa carne si manda ai testicoli,
cioè ai
collioni, ove la sua conversione si compie e passa ne la sua
spetie e natura e fassi perfetta
sperma. E ivi si genera due forami i
quali
vanno a la vergha, il cui
arettamento si fa quando i forami, i
quali v'ànno di
grossa ventositade e le sue vene di sangue
similliantemente fieno ripiene. E non quiesce né ristà lo suo
arrettamento quando quelli vasi si stendono e s'aparecchiano di quelle
cose de le quali è la sperma e si conmuovono ad mandare fuori quello
k'è i· lloro per la sua moltitudine e per la sua
mordicatione, le quali
disiderano di mandare fuori quello k'è i· lloro, overo perciò ke la
sperma k'è in loro è molta, overo perk'elli è acuto e pugnente. E una
de le cagioni per le quali questo aviene è quando il capo de la
verga
alcuno corpo avrà ' lei riscontro e
rimtoppo, fregandosi con esso o
strupicciando; imperciò ke per questo i vaselli de la sperma si
tendono e s'isforçano di redere quello k'è i· lloro.
L. I, cap. 26 rubr.Capitolo .xxvj. De la forma de le poppe, overo mammelle.
L. I, cap. 26Le poppe, overo manmelle, si truovano essere composte
d'arterie, vene e nerbi, intra le quali spetie di carne ghiandolosa e
biancha si truovano essere spessate e indurate. E imperciò ke la sua
natura assomillia a la natura del lacte, la creò Iddio, il quale sia
benedetto, acciò k'ella fosse acta e aconcia e disposta a la conversione
e a la generatione del lacte. E queste vene e arterie ne le poppe
soctilmente si dividono. E queste arterie e vene ne le mamelle si
dividono in sottili divisioni, e si risolvono in molte resulutioni, e
comprendono quella carne ch'è generativa di lacte e convertisce, cioe
k'è del sangue ne la sua conchavitade per lo suo assomilliamento ko
la sua natura, sì come la carne del fegato per l'asomilliamento di
quello, cioè a ssapere ke da lo stomacho si trae e da le budella, ke
tanto lunghamente convertisce e muta ke ssi fa sangue.
L. I, cap. 27 rubr.Capitolo .xxvij. De la matrice de la femina e sua forma.
L. I, cap. 27
La matrice è posta intra la vescicha e 'l budello k'è kiamato
recto, ma più suso è ke la vescicha. E quella k'è ne le
vergini e in
quelle ke nom partorirono ancora è piccola e in quelle ke già fuorono
pregne e ke partorirono si truova grande, le quali sono legate con
legamenti non molto
stretti e in sé medesima la poppa è nervosa
acciò ke stendere si possa quando fosse mestiere e
allargare, e
raccolliersi e costringersi quando l'
allarghamento e l'
ampiamento non
fosse mistiere. E ancor per questa altra cosa fue nervosa acciò k'ella si
multiplichi nel parto e si possa nel parto
amplifikare e dilatare, i cui
legamenti non fuoron molto
stretti, ançi fuorono ampi. La quale àe
due
ventricoli, cioè due piccoli ventri, overo concavitadi, i quali
pervengono ad uno orificio, overo a una boccha. E à ancora due
additamenti, cioè due
agiungnimenti, i quali son chiamati sue corna.
E dipo questi due
aditamenti i collioni de la
femina sono allogati e
posti, i quali sono minori de' collioni delli homini e più larghi, dai
quali la sperma de le fenmine discende a la concavitade de la matrice.
E ancora il collo de la matrice si porge e vae a la natura dinançi
de la
femina, il quale è ne la fenmina sì come la vergha nelli huomini.
E la boccha de la natura dinançi ne le vergini è
stretto e rugoso, cioè
crespo, e ne le rughe, cioè crespe, del collo de le vergini, cioè a
ssapere si tessono vene insieme sottili, le quali quando la
vergine si
corrompe, cioè si
spulcella, si rompono e le predette crespe si
dilatano. E quando la femina s'
imprengna, la boccha de la matrice in
tanto si costrigne ke ancora l'agho non vi possa entrare. E quando sì
è venuta l'ora del
partorire o alcuno nocimento fosse advenuto a la
creatura per lo quale si corrompa, la predetta boccha in tanto si dilata
ke 'l corpo del fanciullo possa passare per lui.
E 'l fanciullo, secondo la sententia di Galieno, de la sperma si
genera, ma cresce e giungne a acrescimento dal sangue
mestruale
(cioè da quello cotal sangue ke le femine ànno per lor
purgamento), la
forma del quale, se fie maschio, prima si compie ke quella de la
femina. E a la creatura alcune vene sono
kontinuate, le quali
vengnendo a la matrice tanto lungamente nodriscono la creatura
k'ella sia compiuta. La qual creatura, poi k'è compiuta, nom puote
sufficientemente né bene essere nudrita di quello ke ll'è mandato e ke
le viene di quello cotale sangue e nodrimento, per la qual cosa
duramente e
fortemente si muove e si rompono i
tenaculi (cioè quelli
legamenti ke la tenieno legata ne la matrice) e seguita il parto e nasce.
L. II, Index rubr.
Qui cominciano i
capitoli del secondo libro, il quale libro
tratta del notificamento e manifestamento de le complexioni de' corpi
e delli omori ke
ssignoregiano in loro, e de le significationi di
fisanomia, e de' mali particulari.
L. II, IndexCapitolo primo. De le somme ke colgono la scienza di
cognoscere le complexioni. Capitolo secondo. De' segni del corpo
iguali. Capitolo terço. De' segni de la complexione calda. Capitolo
quarto. De' segni de la complexione
fredda. Capitol quinto. De la
complexione
humida. Capitolo
.vj. De' segni de la complexione
seccha. Capitolo septimo. De' sengni de la
complesione
kalda e secha.
Capitolo
.viij. De' segni de la complexione fredda e
humida. Capitolo
.ix. De' segni de la complexione del cerebro e de la sua forma.
Capitolo
.x. De' sengni de la complexione del cuore. Capitolo
.xj. De'
segni de la complexione del fegato. Capitolo
.xij. De' segni de la
complexione del polmone. Capitolo
.xiij. De' segni de la complexione
de lo stomacho. Capitolo
.xiiij. De' segni de la complexione de'
testicoli, cioè de' collioni. Capitolo
.xv. De' fiori ke ssi debbono dire e
de le
consequentie, cioè di quelle cose ke
sseguitano, le quali sono
necessarie e per le quali si fa giovamento a la cognitione de le
complexioni. Capitolo
.xvj. De' segni particulari per li quali si
testimonia ko ll'altre significationi e per li quali si fa giovamento per
alcune dispositioni ne la congnitione de le complexioni. Capitolo
.xvij. De' segni de la debolezza de'
nerbi. Capitolo
.xviij. De la
cognitione de la complexione de' membri e delli omori. Capitolo
.xix.
De la cognitione de la
replectione. Capitolo
.xx. Da conoscere quale
de
.iiij. homori soprabondi. Capitolo
.xxj. De la significatione de la
collera rossa. Capitolo
.xxij. De la significatione de la collera nera.
Capitolo
.xxiij. De la significatione de la flemma soprabondante.
Capitolo
.xxiiij. De la significatione de' sompni. Capitolo
.xxv. Del
comperamento de' pregioni e delli schiavi, come per segni huomo li
dee congnoscere ançi ke lli comperi. Capitolo
.xxvj. De la
significatione de' capelli. Capitolo
.xxvij. De la significatione del
colore. Capitolo
.xxviij. De la significatione delli oki. Capitolo
.xxviiij.
De la significatione de le ciglia. Capitolo
.xxx. De la significatione del
naso. Capitolo
.xxxj. De la significatione de la fronte. Capitolo
.xxxij.
De la significatione de la boccha, de' labbri e de' denti. Capitolo
.xxxiij. De la significatione del viso e de la faccia. Capitolo
.xxxiiij. De
la significatione delli orechi. Capitolo
.xxxv. De la significatione de la
boce. Capitolo
.xxxvj. De la significatione de le charni. Capitolo
.xxxvij. De la significatione del riso. Capitolo
.xxxviij. De' movimenti.
Capitolo
.xxxviiij. De la significatione del collo. Capitolo
.xL. De la
significatione del ventre. Capitolo
.xLj. De la significatione del
dosso.
Capitol
.xLij. De la significatione de le spalle. Capitolo
.xLiij. De la
significatione del bracio. Capitol
.xLiiij. De la significatione de la
palma de le mani. Capitolo
.xLv. De la significatione del ginocchio, e
de la coscia, e de la gamba, e del piede. Capitolo
.xLvj. De la
significatione de' passi. Capitolo
.xLvij. De la significatione de
l'ardimento. Capitolo
.xLviij. De la significatione de la
paura.
Capitolo
.xLviiij. De la significatione de l'huomo di
ratto ingengno e
di buona natura. Capitolo
.L. De' segni di colui ke à buona natura.
Capitolo
.Lj. De' segni de l'huomo
phylosafo. Capitolo
.Lij. De'
segni de l'huomo k'
àe duro ingengno. Capitolo
.Liij. De' sengni de lo
isvergognato. Capitolo
.Liiij. De segni de l'iracundio. Capitolo
.Lv.
De' segni del
luxurioso. Capitolo
.Lvj. Del costume del feminile
animo. Capitolo
.Lvij. Del costume del
nucho, cioè di colui k'è sanza
collioni. Capitolo
.Lviij. De l'
agregatione e del ragunamento, la quale
è mistiere d'
osservare. Capitolo
.Lviiij. De' giudicii e de la sottile
inquisitione di
fisonomya.
[L. II, Incipit]Qui comincia lo secondo libro.
L. II, cap. 1 rubr.Capitolo primo. De le somme ke colgono la scienza di
congnoscere le complessioni de' corpi de l'homini. Rubrica.
L. II, cap. 1La complexione del corpo si conosce per lo colore e per
l'abitudine del corpo, cioè per grasseza e magrezza, e per lo
tocchamento e per l'operationi e per quelle cose k'escono del corpo.
Imperciò ke il colore biancho e
foscho, e ke di
biankezza e
liaucezza
(cioè sì come
korno
lucido) è mescolato, e
gypseo (cioè kolore di
gesso) e
piombeo (cioè kolore di
piombo) mostrano la complexione
fredda
.
E 'l
rosso e 'l
sottorosso e 'l ruffo, cioè più suso in rosseza, e
l'
inapos, cioè rosso colore ke
pende a
nereza, tutti questi mostrano
kaliditade di complexione. E se
kiareza e
subtillieza si congiungono al
colore, o in colore, sì ssi dikiara
kiaritade e sottilitade d'omori. E se
turbolenza e grosseza vi si mescholano, sì
ssignifica grosseça d'omori.
Ancora bianco kolore, al quale, con subtilitade e
kiaritade,
rossezza si mescola, dimostra equalitade di complexione. E s'elli
adviene cosa ke la roseçça soprabondi e la chiaritade fosse minore,
la signoria del sangue e la sua
superabondanza significherebbe. E se la
rosseza fosse in tanto menomata k'ella
aprocci al colore del vivorio
mostra la
paucitade del sangue, la quale se ancora magiormente fosse
menomata in tal maniera, cioè a ssapere ke da lei neuna cosa aparisse,
proverrebbene un colore il quale suole essere kiamato dai medici
gipseo, il quale di ciascuna collera e del sangue mostra
pokeza e
prende e mostra segnoria di flemma nel corpo. E questo, se a la
biancheza (a
ckui la verdezza è mescolata) aproxima, sì singnificha
uno colore il quale dai medici è kiamato
piombino, il quale mostra
diminutione di sangue e di collera rossa e mostra segnoria di collera
nera e di flemma.
E 'l fosco, s'elli è vicinato a la rosseza o a llui si mescola,
dimostra signoregiare sangue grosso, secondo la quantitade che a llui
aproxima o ke a llui si mescola rosseza. E 'l colore puramente fosco,
il quale apropinqua ad verdeza, dimostra la segnoria de la collera nera.
E i corpi ke ssono colorati di colore ruffo, il quale cioè a
ssapere si truova più
prociano a biancheza, sono di più fredda
complexione.
E s'egli
aprociano più a verdeza o a
glauceza sono di più calda
complexione a questo modo. E i
citrini corpi, alcuni sono i quali sono
procciani a
biankezza e participano subtilitade, cioè ànno subtilitade,
il quale colore ne'
convalescenti, cioè in quelli ke ssi levano d'infertadi
o in quelli de' quali molto sangue sarà uscito, si truova e fassi questo
spetie di colore
citrino, imperciò ke 'l sangue è menomato e no per la
signoria de la collera. E questi corpi non sono
citrini se non
accidentalmente, cioè d'avenimento e non
naturalmente. E li altri
sono citrini veramente e poco caldi, i quali in ogne tempo
perseverano cotali; e questi corpi caldi sono. E sono ancora alcuni di
loro i quali a
ccitrinitade, a verdeza e ' fosco colore
aprociano, cioè
apropinquano, participando poco di belleza, ai quali ciascuna collera
segnoregia, la complexione de' quali s'appruova pigiore delli altri. E 'l
fegato e la milza di coloro ke ànno questa cotale complexione più de
le volte sono infermi e la
sanitade de' corpi di questi cotali non è
ferma né stabile.
E i corpi ke ànno il colore
inops, i quali sono procciani a
ccitrinitade, sono di più calda complexione e vicini a collera rossa. E
quelli ke ànno verdezza mescolata sono men caldi e apertengono a la
collera nera.
E per le forme de' corpi altressì sì s'àe la cognitione de le
complexioni, imperciò ke 'l grasso e 'l grosso significa la complexione
humida. E se 'l corpo sarà sottile e magro, cioè la persona, sì dimostra
la complexione esser seccha. Ma tuttavia quando la grassezza è di
carne
salda e soda e dura, con rossezza e sanguinitade aparente nel
corpo, la complexione avrà caldeza kon
humiditade a questo modo.
E s'elli aviene ke la grasseza o grosseza sia di
grascia e 'l corpo, cioè la
persona, sia molle e in sangue diminuto, la complexione sarà fredda e
humida insieme.
E ancora equalitade di membri e
observança di
proportione,
cioè ke ll'un membro risponda bene all'altro ne le sue misure, quando
l'uno sarà comparato all'altro, mostra la propinquità de le sue
complexioni, i quali se in questa si diversificano, se mostra ke la loro
complexione non è una né
propimqua. Ma, tuctavia, la largheza de'
forami, k'è ne' membri e ne' suoi
kanali, mostra e significa calda
complexione, e la loro
strettezza e piccoleza significa fredda
complexione.
E per lo tacto, cioè
toccamento, si
cognosce ancora la
complexione, imperciò il corpo ke ssempre si truova caldo pare ke
abbia
kalda complexione e quello ke sempre si truova freddo à fredda
complexione. E se 'l corpo si truova morbido quando si toccha, sarà
d'
uhumida complexione, e l'aspro di seccha; e se la caldeza del
toccamento fie mescolata all'
umideza e morbideza, dimostra
complexione
kalda e
humida; e se aspreçça vi si
agiunga, significherà
la complexione
kalda e seccha; e la fredeza del
tocchamento,
mescolata ad morbideza, dichiara fredda e
humida complexione, ma
tuttavia in più corpi la fredezza del tacto e del
tocchamento se
mescola a morbideza più ke a l'asprezza, imperciò ke apena si puote
trovare corpo che ssia di fredda complexione e aspro. E se sarae
morbido e molle il corpo sì ssi mostra humida complexione; e 'l sodo
e duro sì
ssignificha e testimonia d'essere di seccha complexione.
E l'operationi naturali, sì come apetito, digestione e
acrescimento, e i polsi, quando elli sono forti e racti, significano
kalda
complexione; e s'elli saranno deboli e tardi, fredda complexione
significheranno. E similliantemente l'operationi animali, sì come
subtillieza d'ingengno, e tosto parlare, e racto
movimento, e
ardimento, significano calda complexione; e contradii a questi
mostrano la complexione fredda.
E ancora le superfluità che del corpo solliono uscire sì come
l'orina, e lo sterco, e 'l sudore, e i capelli, e molte altre cose,
dikiarano
le complexioni, imperciò ke
rratto
nascimento di capelli, e spesseza, e
nereza, e crespezza, e grosseza, e aspreza, tucte queste cose
significhano la complexione calda; e ' contradi a questa la mostrano
fredda. E 'l
puzo del
sudore e
malo odore ' colore nel corpo dimostra
caldezza di complexione, e multitudine di sudore dimostra
humiditade di complexione; e quelli ke ssono contrarii a questi la
complexione dimostrano
contraria. E l'
egestione (cioè lo sterco)
pocha e seccha e la tintura de l'urina e 'l suo
puço significa la
complexione chalda; e i contradi a questi la dichiarano fredda.
L. II, cap. 2 rubr.Capitolo secondo. De' segni del corpo iguali e come si giudicha
per aspetto la equalitade.
L. II, cap. 2Il colore bianco è di colui k'àe il corpo eguale, a cui il colore
rosso è mescolato, e 'l suo
toccamento non è freddo, né
soprabundante in
kalore, né nom apare molto morbido, ma tuctavia
si truova aproximare più a chaldezza e a morbidezza che a
ffreddeçça
e a
aspritade. E l'abitudine e lo
stato di questo cotale corpo è in
meçço tra
carnositade e magrezza, ma tuttavia um pocho è più vicina
a la
carnositade ke a la magreza e magiormente se 'l
regimento di
quello cotale sarà di tranquillitade e di quiete e di
riposo; i cui capelli
sono meçani intra sottili e grossi, e tra neri e rossi, e tra morbidi e
aspri. E questo cotal corpo né molto piloso né molto ignudo di peli
apare a' riguardanti.
E ancora le sue operationi tutte, le naturali e l'animali, sono
tenute e stanno in equalitade, impertanto ke non abbia molto di
disiderio, né le sue cupiditadi non sieno sì deboli ke quasi
morte si
truovano e non sia troppo veghiante, né troppo
dormillioso, né
molto tosto o ratto movente, né molto reposato.
E le superfluitadi k'escono del suo corpo entra le predette
dispositioni sono meççane e a la perfine la sua dispositione è, tra
ttutte le dispositioni, è mezana, le quali passano equalitade; e le sue
vene né non sono piacte e subtili, e ampie e manofeste. E la sua boce,
e 'l suo alito, e 'l passo, e 'l suo
movimento, tutte queste, intra grandi
e piccole e racte e tarde, sono meççane.
L. II, cap. 3 rubr.Capitolo terço. De' segni di conoscere la complexione de
l'homo calda.
L. II, cap. 3I chapelli di questi cotali
tostamente crescono, i quali son caldi
a coloro ke li toccano, e sono magri e sottili, e le loro vene sono
manofeste e 'l
movimento racto, e tucte quelle kose ke i· lloro si
considerano veloci e racte, e contrastanti, e fermi al male, e di pocho
senno, e di molti capelli crespi e molto neri, e il loro colore è ruffo e
rosso kon alcuna obscuritade.
L. II, cap. 4 rubr.Capitolo quarto. De' segni de la complexione fredda.
L. II, cap. 4A questi cotali tardi crescono i capelli e sono di grosso
ingengno e di tarde operationi, e il loro polso è piccolo e l'alito piatto;
e questi cotali corpi paiono fredi a quelli ke lli toccano. E quelli ke
ànno questi cotali corpi non sono possenti nel coito, cioè ne l'avere a
ffare con femina, e pocho generano figliuoli e ànno piccolo disiderio
e picol sonno.
L. II, cap. 5 rubr. Capitolo quinto. De' segni de la complesione humida.
L. II, cap. 5Il
toccamento di questi cotali se truova molto morbido, e la
loro carne molle e morbida, e i lor membri laxi (cioè
lenti), e le lor
giunture e li ossi oculti (cioè
piatti e nascosi), e la virtude pocha, e
poco possono sofferire di faticha, e quando lavorano e s'
affatichano
tosto si disolvono, cioè si distrugono, e tosto per faticha appare
i· lloro dissolutione del corpo. E ancor son molto debili,
dormilliosi e
ànno pochi peli.
L. II, cap. 6 rubr.Capitolo sexto. De' sengni de la complexione seccha.
L. II, cap. 6Questi corpi sono aspri, e magri, e duri, e forti, e molto rigidi,
e sofferano molta fatica, le giunture e le corde de' quali sono
manofeste e sono di molti capelli e pilosi.
L. II, cap. 7 rubr.Capitolo septimo. De' sengni de la complexione kalda e
seccha.
L. II, cap. 7Questi corpi in ultimo, cioè più k'esser possa, abondano
capelli neri e spessi e son magri in ultimo, i quali si truovano caldi da
ccoloro ke lli tocchano e ànno la cotenna spessa, e aspra, e dura, e i
nerbi forti; e le corde ànno più manofeste e l'ossa e le giunture e sono
di più piccolo sonno, e i polsi in loro sono più racti, e i movimenti
somilliantemente, e 'l tatto (cioè il tocco) è kaldo e sono più arditi e
più ostinati.
L. II, cap. 8 rubr.Capitolo ottavo. De' segni de la complexione fredda e
humida.
L. II, cap. 8Questi cotali corpi se truovano in ultimo molli e ignudi di
peli,
e ànno i capelli morbidi, e ànno sottilliezza di vene e le giunture
oculte (cioè celate e nascose),
e ànno gran corpo, e ànno molta
pinguetudine (cioè
crascia), e laxi (cioè
lenti), non sono duri e forti,
e sono di molto
sompno, e sono pigri, e i loro movimenti son tardi.
E
le dispositioni del corpo freddo, e seccho, e
kaldo, e humido, sono
mescolate de le dispositioni semplici de le quali fuoron composte,
cioè a ssapere secondo ke all'uno di loro appropinqua, o ssono in
mezzo tra lloro.
L. II, cap. 9 rubr.Capitolo nono. De' sengni de la complexione del cerebro.
L. II, cap. 9La forma del cerebro seguita la forma del craneo, imperciò ke
sse 'l craneo sarà piccolo, el cerebro sarà piccolo, e se la sua figura si
corrompe, perciò si corromperà la figura del cerebro. Per la quale
cosa il capo k'è troppo piccolo di
necessità è reo, e la cui figura è
rusticha, la quale è somilliante a la cesta de la palma o de lei
somilliante, cioè a ddire alcuna mala dispositione e rea. E quel kapo è
milliore ke è in grandeza moderato e à convenevole '
dicente
retonditade, la quale dinanzi e di dietro um poco sia alta e da ciascuna
parte delli orecchi abbia una piccola compressione, cioè sia um poco
compremuto e schiacciato a pianeza.
E la complexione del cerebro k'è caldo redde il
tocchamento
del capo e del volto troppo caldo, e nelli occhi rossore, e le vene
appaiono nelli occhi più manofeste, e i lor capelli tosto nascono e
sono spessi, forti, e neri, e aspri, e il lor sonno è piccolo e lieve. E
quelli ancora ke ànno questa cotale complexione, da' caldi odori tosto
ricevono nocimento. E i lor
capi tosto si gravano e si riempiono, e
ne' pensamenti sono ratti, e correnti, e inistabili, e di molti mutamenti
superflui, e sono acuti, cioè subtili e ratti, in operationi animali, cioè
di quelle cose ke ssi fanno nel capo e per lo capo e per li suoi
strumenti.
E la fredda complexione del cerebro
opera
contrarie cose a
queste che ssono dette; imperciò ke quelli ke ll'à è
dormillioso e duro
d'ingengno et è di tardo
intendimento, e ' capelli del suo capo
morbidi e poco neri, e tosto patiscono e ànno catarro, ai quali è
nocivo e reo discoprire il capo, e ancora le sue palpebre delli occhi
tardi si muovono e pigramente.
E se 'l cerebro sarà seccho, i capelli nel capo tosto nascono e
tosto si fanno calvi, e saranno veghiatori e di piccolo sompno, e del
naso no
colerà neente se non pocho, e
rema del capo non averrà loro.
E l'humido è contrario ad questo, imperciò ke i suoi chapelli
sono subtili e tardi nascono, né calvi non
divengnono, e l'omore del
naso cola troppo e da la
rema riceve nocimento, et è dormiglioso, e
' suoi senni non sono kiari.
E quelli ke à la complexione
kalda e seccha àe i
capelli nel
capo in ultimo di forteza, e tosto nascono, e molto sono neri, e
crespi, e tosto si fanno
kalvi, e sono in ultimo grado di
pokezza di
sonno, e poco sono profondi nel sompno, e ànno presteza
d'operationi animali, e tosti e racti
pensamenti, e senni chiari, e poche
superfluitadi discendono di loro.
E 'l fredo e humido a questa dispositione è contrario, imperciò
k'elli à molto sonno pigro, e tardo, e duro d'ingengno, al quale in
neuna maniera adviene
chalvezza, ma molto è molestato da rema e di
catarro e spesse volte li aviene.
La calda complexione, fredda e humida, calda e seccha,
secondo ke alcuno de' suoi sempici apropinqua, mostrano le loro
significationi, imperciò ke sse li semplici saranno iguali e le
significhationi saranno eguali.
L. II, cap. 10 rubr.Capitolo .x. De' segni de la complexione del chuore de l'huomo
e del suo stato.
L. II, cap. 10La complexione del cuore, s'ella fie calda, il polso sarae
ratto e
corente e spesso, al quale somilliante alito si truova. E sopra 'l pecto
sono molti
peli e spessi, il quale al tacto si sente
kaldo. E quelli che à
questa cotale complexione del cuore sarae ardito e hostinato e di
grande iracundia.
E l'abitudine, cioè l'essere e lo stato, del petto, in sua grandeza
o picciolezza considerata, la complexione dimostra, imperciò ke se 'l
pecto sarà grande manofesta propiamente la caldeza e la grandeza del
cuore, la qual cosa sarae ancora più manofesta se con questo il capo
sia piccolo o ancora non sia; imperciò ke sse questo sarae in questa
maniera non converrae attendere ad altri segni. Somilliantemente se 'l
petto sarà piccolo e 'l capo grande o mezano, propiamente si
mosterrà piccoleza del cuore e freddeza di sua complexione. E s'elli
adiviene che la grandeza del petto a la grandeza del capo, o la
piccioleza del pecto a la
piccioleza del capo sia
proportionale, altri
segni
dei attendere.
E la fredda complexione del cuore fa piccolo polso, al quale
l'alito si truova somilliante, e 'l pecto avrà pochi peli e sottili, e 'l
pecto ai
tocchanti
parrà freddo. E quelli k'avrà questa cotale
complexione del cuore, pauroso e pigro sarae.
E se la complexione fia seccha il polso fie duro e tucto il
corpo si truova
pieno di muscoli et è
fusco e 'l pecto avrae poke
carni, ma le vene avrae manofeste e sarà piloso e la cotenna avrà
dura.
E l'humida fae il polso morbido e 'l petto de
peli ignudo e la
carne del petto molle e soave.
La complexione calda e seccha il polso redde duro, e
ratto, e
spesso, e molti peli nel petto, e forti, e spessi, e nel
femore
somilliantemente, e l'alito di lei verrà grande e spesso, e tutto il corpo
si sente caldo, e pieno di muscoli, e à manifeste le vene. E quelli che à
questa cotale complexione del cuore sarae irascibile e obstinato.
E la fredda e humida complexione del cuore opera contrarie
cose a queste.
L. II, cap. 11 rubr.Capitolo .xj. Il quale tratta de' segni de la complexione del
feghato.
L. II, cap. 11La caldeza de la complexione del fegato spesse volte si
conosce d'esser trovata per l'ampiezza e per la grandeza de le vene e
per la siccità de la costrictione, ancora l'appetito è forte e nel corpo
molta collera rossa se 'ngenera e l'urina e l'uscita son tinte, ' è molta
sete, e ' caldi cibi son nocivi, e giù sotto il costado sono molti peli.
E la fredeza del fegato si conosce per tucti i segni, i quali sono
contrarii a quelli che ssono detti. Ma la sua seccheza si chonosce per
lo poco sangue e per quello ke il corpo è magro, e 'l ventre subtile, e
'l colore à pocha bellezza, e la sua humiditade si puote congnoscere
per tutti i sengni ke ssono contrarii ai predetti.
E s'elli adviene k'elli segnoreggi kaldeza kon secchezza,
cognoscesi per quello ke i segni de la calda complexione sono
manofesti e in ultimo sono forti. E la sua humiditade con fredezza si
conosce per quello ke le cognitioni e le significationi de la fredda
complexione son forti e sono manofeste in ultimo.
L. II, cap. 12 rubr.
Capitolo
.xij. De' sengni de la
complexsione del polmone
chaldo.
L. II, cap. 12Quando il polmone sarà caldo, la boce fie grossa e l'alito
grande e 'l pecto ampio e grande, al quale è minore nocimento de
l'atractione de l'aiere fredda. E se la complexione del polmone sarà
fredda, tutto avrae contrariamente a queste cose. E quando fia
seccha, la boce fie kiara, e per la boccha si gitteranno poke
superfluità. E s'ella fie humida, averranno contradie cose ad queste. E
le significationi de le complexioni composte si possono avere per le
congnitioni de le semplici.
L. II, cap. 13 rubr.Capitolo .xiij. De' segni de la complexione de lo stomaco.
L. II, cap. 13
Quando la complexione de lo stomaco fia
kalda, la digestione
fie più forte ke l'apetito, cioe k'è 'l disiderio del
manicare;
e ' cibi
sottili, sì come
karni d'
ucelli e
karne di
kastrone, i· llui si corrompono;
e ' grossi cibi, sì come
karne di vaccha e grano cotto, i· llui si cuocono
bene. E quelli k'avrae quella cotale complexione avrà gran
sete e
ancora non puote sofferire fame. E adviene a quelli che ànno questo
cotale stomaco, per questo, dolore di capo e
vertigine, cioè pare ke 'l
mondo volgha intorno, et è iroso e cruccioso e acuto (cioè sottile
d'ingengno).
E quando fia fredda avranno tucte le cose
contrarie a queste,
imperciò ke l'apetito è in loro magiore de la digestione, cioè più
disidera di mangiare ke non puote cuocere, e ' grossi cibi i· llui si
corrompono. Per la qual cosa, per questa cotale corruptione si seguita
eructatione acetosa, sì come
appo la loro corruptione ne lo stomaco
caldo è fummosa. E ancora vi sarà appetito de' cibi
freddi, per l'
uso
de' quali verrà lesione, cioè
impedimento e male.
E quando la complexione de lo stomacho fia humida, la
sete
fie minore e molta saliva abonderà de la boccha e tosto avrà
abbominatione e vollia di reddere, e tosto redderà, e tosto avrà
scotomia o vertigine, cioè cotale tenebrosità e avolgimento, kome se
il mondo s'
agirasse e volgesse intorno intorno.
E quando la complexione fia seccha avengono e opera tucte le
cose contrarie a queste: e la
sete è molta e l'
egestione è pocha, cioè lo
stercho; e ancora quando i cibi fanno
dimoro a lo stomaco e non
discendono tosto da llui, ma con alcuna
dureza; e l'appetito non fia
forte né puro e lo stomaco fie debole. E quando le contradie cose a
queste
signoregierano a lo stomaco, la forteza de lo stomaco sì
significherae. E per molto mangiare a una volta se alcuno sia gravato,
e nom per molto
manicare facto a diverse hore, riceve nocimento,
ma
llegiermente e bene si cuoce il cibo, sì
ssignifica ke llo stomacho
di quel cotale è forte, avengna k'elli sia piccolo.
L. II, cap. 14 rubr.
Capitolo
.xiiij. De' sengni de la
complesione de' testicoli, cioe
sono i granelli.
L. II, cap. 14E se i collioni fieno
kaldi, le parti ke ssono vicine intorno sono
vestite di molti peli e spessi, e la vergha si diriza fortemente, e la
sperma fia
grossa, e tosto compierà sua volontà, cioè l'avere a ffare
kon femina e per tempo, cioè a ssapere dinançi al tempo di
pubertade (cioè ançi k'elli passi
.xv. anni) sarà fervente e ardente e
volontaroso del coyto. E ancora le vene ke ssono ne la superficie de
la vergha sono grosse e manifeste. E le sue corde si truovano grosse e
forti. E la cotenna e la buccia ke circonda i testicoli, cioè i collioni, si
vede
grossa e spessa e aspra.
E quando la complexione fie fredda tutte le predette cose
aparrano contrarie.
E quando la complexione fia seccha e la sperma si truova
pocho in quantitade e spessa, e la vergha non solamente non si diriça
ançi sì è ancor debile.
E quando la complexione fie humida, la sperma in quantità è
molta e in
qualità è subtile, e la
verga non si diriza imperciò k'ella è
lassa, cioè lenta, e non tesa, e non à le corde forti, anzi le sue corde si
truovano somillianti a llei, e la sua cotenna è morbida il cui luogho è
ignudo di peli.
Ma quando la complexione fie calda e humida, molto sarà
indirizamento de la vergha e la sperma molta e sarà molto
luxurioso e
in luxuria molto potente. E quando ella fia fredda e seccha tucte
queste cose avranno contrarie a queste.
L. II, cap. 15 rubr.Capitolo .xv. De' fiori ke ssi debbono dire e de le
consequentie, cioè di quelle cose ke sseguitano, le quali sono
necessarie e per le quali si fa giovamento a le congnitioni de le
complexioni.
L. II, cap. 15La complexione di tutto il corpo si truova somilliante a la
complexione de' membri principali e propiamente del cuore, del
fegato, del cerebro e de' testicoli, ciò sono i collioni. E i corpi ne'
quali le complexioni di questi membri si truovano diverse, sono
piggiori delli altri corpi, imperciò ke questi cotali corpi sempre
infermano. E l'etadi e le regioni si truovano ke non aoperano poco ne
le complexioni, imperciò che l'
etade puerile, cioè quella k'è dinançi a
.vij. anni, si truova più humida di tucte l'altre etadi, e la decrepita, cioè
da
.Lx. anni inançi, si truova più fredda di tucte l'altre etadi, imperciò
ke l'huomo da la nativitade infino
ad senium, cioè infino a l'
etade
sezaia ke
ffinisce la
vita de l'huomo ke muore di morte naturale, non
cessa e non fina di disecchare tanto k'elli diventi neente, imperciò ke
'l
senio non è altra cosa se non gran segnoria di secchezza nel corpo.
E de le molte superfluitadi ke dai vechi gocciolano et escono kon
tossa e con
munctoni per lo naso, la chagione sì è ke i forami de' suoi
membri sono
pieni di soperfluitadi e d'omori crudi; e 'l corpo de le
lor vene e de' lor membri è in ultimo di seccheza. E seccheza e colore
fosco, cioè ke tende a
llivideza e nerezza, e menomamento di belleza
e di tenereza e d'
umiditade in loro sono manofeste.
E la caldeza de' fanciulli piccolini è magiore secondo la
quantità e quella de' giovani, cioè di coloro ke ssono da
.xx. anni a
.xxv. infino a
.xxxv., è in qualitade più forte e più
acuta, cioè più
pugnente.
E ancora la complexione de' vecchi, cioè di coloro ke ssono
passati e
.xxxv. anni infino in
.xLv. o in
.Lv., o ivi intorno, a riguardo
di coloro ke ssono
kostituti nel
senio, cioè in questa etade sezaia k'è
detta, è
kalda e humida la complexione; e a riguardo e rispetto de'
giovani è detta fredda e seccha.
E da le regioni quelle ke ssono
kalde reddono la complexione
più seccha, e la superficie del corpo abrusciando incendono, e le
budella e le membra dentro fanno fredde. E le regioni ke ssono
fredde conservano li homori nel corpo e la superficie del corpo in
morbideza e in
ignudezza similliante a la dispositione de' corpi delli
Schiavi reddono, cioè di coloro di Schiavonia ke ssono ne' paesi
freddi; ma le budella e li altri membri dentro
kostituiscono e fanno
troppo caldi, onde la
crespeza de' capelli neri è nelli Arabi, cioè ke
ssono d'Arabia. E 'l colore rosso, k'è a fosco mescolato, significa
abssolute (cioè sança neuna altra agiunta) ke la loro complexione è
calda.
E la morbideza de la cotenna
Partorum (cioè de' Parti, di
coloro ke ssono in paese
freddo), e la loro nuditade de' peli, e la loro
biancheza, non significha freddeza de la loro complexione, ançi le
'nteriora, cioè le cose dentro del corpo, son molto più calde ke le
'nteriora de' neri.
E i corpi di tucti neri sono molto più secchi de'
corpi de' Parthi. E ne le regioni le quali sono temperate tra chaldeza e
fredeza, la significatione, per la quale s'à il conoscimento de la
superficie sopra le sue interiora, è
ferma e vera.
E ancora la costuma ne la complexione opera diverse cose,
imperciò ke la largheza di manicare e di bere e di dormire fae la
complexione humida, e le contrarie a queste fanno e reddono la
complexione seccha. Per la qual cosa quando noi vedremo l'uhuomo
grasso e
carnoso ancora le cui vene sono ampie, dobbiamo intendere
la grandeza di questo cotale corpo essere non naturale ma accidentale,
cioè non
naturalmente ma per altra cagione
strana di fuori e
d'aventura. Per la qual cosa noi dobbiamo dividere entra il corpo
karnoso e grasso, imperciò ke la multitudine de la carne multitudine
di sangue e calda e humida complexione dimostra e significa. E la
molta pinguedine, cioè la molta grascia, multitudine d'
uhumiditade
e fredda e humida complexione dimostra e significha.
L. II, cap. 16 rubr.De' segni particulari. Capitolo .xvj. De' segni per li quali si
testimonia coll'altre significationi e perké si fa giovamento per alcune
dispositioni ne le cognitioni de le complesioni delli homini.
L. II, cap. 16
La boce grossa significa caldeza di
complesione e la sottile
significa
frigiditade di complexione. E la velocitade e ratteza di
parlare e d'aprire e di
kiudere li occhi significa
kaldeza di
complexione. E sottilliezza del naso e collo lungo e l'
epigliotto, cioè il
nodo del
gorgozule, pinto e aparente in fuori; e la boce acuta e bella
dimostra seccheza di complexione. E grandeza d'occhi e
strabuzati in
fuori mostrano la complexione humida, e li occhi tendenti in
latitudine del corpo,
simillianti alli occhi de' Parthi, dimostrano
humidità del corpo. E la
crespeza de' capelli, i quali si levano in suso,
dimostrano
kaldeza di complexione. Ampieça de le
narillie del naso e
moltitudine di charne ne le mascelle e molto grande pocheza di peli
significhano
humiditade di complexione. E tranquillitade e riposo
significa
humidità di complexione. E
puço e malo odore del corpo
significa caldeza di complexione. E 'l colore k'è um poco meno
procciano a
citrinitade, cioè a colore di cederno, e 'l volto un poco
enfiato e le palpebre di sotto, cioè ove sono i
nepitelli di sotto ke
ànno uno
enfiamento somilliante de l'orçaiuolo e all'orzo, tucte
queste cose mostrano debilitade di feghato.
E
raditadi di denti e loro
deboleza, imbecillitade e deboleza di tucto il corpo dimostrano e
brevitade di vita significano
. E 'l naso curvo, cioè uncinuto, e la
boccha piccola e i denti corti e grossi humida complexione
dimostrano e fredda. E morbideza de l'extremitadi e la loro
subtilliezza et equalitade dimostrano
humiditade di complexione. E le
mani e i piedi, quando elli fieno belli e piccoli, tutta la complexione
del corpo essere debile e la sua caldeza esser pocha dimostrano.
L. II, cap. 17 rubr.Capitolo .xvij. De' segni de la deboleça e fraleçça de' nervi.
L. II, cap. 17Poca sofferença di fatica, e quando l'operatione fosse forte
tremore e debilitade nel coito, cioè quando avesse a ffare con femina,
e laxamento quando bevesse acqua fredda, o piccoleza de le giunture
e sottilliezza de le corde e de la cotenna e de la forma: la quale cosa
aviene magiormente ad choloro i quali ànno la complexione humida.
L. II, cap. 18 rubr.Capitolo .xviij. De la congnitione de la complesione de'
membri e delli omori.
L. II, cap. 18Il
kuore è più
kaldo di tutti li altri membri, imperciò ke da llui
tucto il corpo riceve
calore, ond'elli si truova fonte di tucto il
calore
naturale. E 'l
fegato dopo 'l cuore in caldeza è secondo e dopo 'l
fegato sono le carni. E l'
adeps, cioè il grasso de' sugnacci, è più
fredda de la carne. E la complexione del cerebro è fredda e humida.
E la complexione de l'osso è fredda e seccha. E le cartilagini, e '
legamenti, e le corde, e i corpi de le vene, e '
pannicoli, tucte queste
ànno la complexione fredda e seccha, ma tuctavia meno ke ll'osso. La
complexione de la cotenna è temperata, ma tuctavia quella k'è ne le
palme de le mani si truova più temperata. La complexione de'
nerbi si
diversificano, imperciò ke quelli ke nascono dal cerebro son più
humidi, ma quelli ke nascono da la nucha, ne la sua complexione, a la
complexione de la cotenna sono vicini. La complexione de le
ghiandole, le quali generano lacte e sperma e saliva, fredda è e
humida. E la substantia de la carne ne' membri si truova diversa, la
quale in ciascuno de' membri tiene propia complexione, imperciò ke
la complexione de la carne del polmone è diversa da la complexione
de la carne de le reni. Ma tuctavia il
sermone ke qui difinisce, cioè
tracta, pare ke ssi
parta de lo 'ntendimento di questo libro, quasi
vollia dire dicendo troppo.
De l'humiditadi e delli homori è da ssapere ke la collera rossa è
più calda di tucti li altri
homori e com questo a la comperatione de la
flemma e del sangue è seccha, ma il
flegma si truova più
freddo e più
humido di tucti li altri homori.
E la collera nera, respetto del sangue,
è fredda e, a comperatione delli altri homori, è seccha
. E 'l sangue, a
respetto del
flegma e de la collera nera, si truova humido; le cui spetie
si truovano diverse, sì come del flegma, de le quali l'una è più fredda
dell'altra, e similliantemente le spetie de la collera l'una è più acuta e
calda dell'altra e di più seccha qualitade. E similliantemente alcuno è
più temperato dell'altro, sì ch'elli sia per comperatione al sangue
buono,
kollerico, flegmatico e
melancolicho.
L. II, cap. 19 rubr.
Capitolo
.xviiij. De' segni de la congnitione de la repletione.
L. II, cap. 19Se quello ke si truova ne' forami de le vene sarà di tanta
quantitade e di tanta moltitudine ke le vene extenda et
emfi,
adverranne una dispositione, la quale
replectione, secondo ' forami o
de' forami, da' medici è kiamata. E quando quello k'è i· lloro di quello
del quale il corpo si de' nodrire intanto passerà la
misura ke la natura
alcuna cosa di quello, sì come nodrimento del corpo non necessario,
lascia, imperciò ke quello convertire nom puote, né a llui nom puote
segnoregiare,
provienne indi dispositione la qual da' medici, secondo
virtude, è kiamata. E queste ambindue dispositioni, cioè l'una e l'altra,
sono generative d'infertadi.
E di quella
replectione ke è secondo i forami, la singnificatione
è rosseza di colore e caldeza del corpo
kolla sua intensione, cioè ko la
sua forteza, e alcuna volta multitudine di
sbadilliamento e molto
sompno e
replectione de le vene ko llor distendimento, e
somilliantemente sangue del naso e de le gengie a
gocciola a gocciola
usciente, quando l'une e l'altre fieno um poco tocche, e graveza del
capo e delli occhi e de le tempie, e
turbolenza d'ingengno e di senno e
sentimento, e grandeza di polso, la cui dispositione sia ancora
somilliante a la sua dispositione quando distemperamento è, e ke
dinançi molto manichare e molto bere
abbia usato, e superfluo
sompno e molto riposo e quiete.
E de la
replectione, la quale secondo la virtude adviene, queste
significationi sono:
kadimento d'appetito, e a' movimenti gravitade e
pigrezza e dissolutione e
lassitade, impercioe che tucte queste cose, se
sanza rossezza di colore o
destensione de' membri sarà, propiamente
significano la predetta
replectione. E 'l polso ne la spetie di questa
replectione no è grande e l'orina non è tinta né cotta.
L. II, cap. 20 rubr.Capitolo .xx. De' segni di conoscere quale de' .iiij. omori
soprabonda.
L. II, cap. 20Tucte le prime significationi di replectioni de le due spetie
mostrano il sangue signoregiare, e ancora plurito, cioè piççichore, del
luogo del quale il sangue suole essere tracto, e la sua dolceza sanza
costuma, e ne la boccha piccole vescike, e nel corpo papici, e l'orina
rossa e spessa. E ancora sanza questo l'etade sia giuvenile e 'l corpo
sia di buona habitudine, cioè di buono habito, il quale abbia molte
carni, e ' cibi (i quali elli avrà usati nel tempo precedente) sieno stati
generativi di sangue, sanza dubbio significa sangue abondante.
L. II, cap. 21 rubr.Capitolo .xxj. De la congnitione de la collera rossa.
L. II, cap. 21
Citrinitade di colore, o amaritudine di boccha, e molta
seccheza di boccha, e molta
sete, e
debilità d'appetito,
abominatione, e vomito
citrino, e l'uscita mordicativa e ke punga, e
seccheza di lingua e sua asperitade, e
citrinitade di quello ke appare
nel biancho de l'occhio, e l'orina subtile e ignita, cioè kon colore di
fuocho, e kiara, qualumque di queste significationi
aparranno. E se
con questo fia tempo di state, e l'
etade iuvenile, e i cibi (i quali elli
avrà usati dinançi) pochi o
kaldi, e faticha andò dinançi molta, e
sopno pocho, e la complexione si truova calda, allotta è d'avere
fidanza del suo dominio e signoria di collera rossa.
L. II, cap. 22 rubr.Capitolo .xxij. De la significatione de la collera nera.
L. II, cap. 22Ardore di stomacho, e moltitudine di
chanino appetito, e
fosco colore e nereza di sangue o spesseza, e urina nera o rossa ke
participi e tengha di colore
fuscho o
apropinquità a verdeza, el corpo
sia tale, nel quale nera collera si suole generare, imperciò ke ne' corpi
bianchi e grassi e ignudi di peli collera nera rade volte i· niuna maniera
si genera.
E ne' corpi colorati di colore
bruno e magri e abbienti colore
mescolato di rosso e di fosco e
pieno di moscoli; e ne' corpi ruffi o
rossi, quando molto lavorano o male si reggono, e se con questo i
cibi (i quali elli à dinançi usati) furono generativi di collera nera e 'l
suo
reggimento somilliante al corpo, cioè nel mangiare e nel bere, e
ancora li avengha scabbia e morfea - cioè quando la cotenna del
corpo è biancha o nera e ' peli che vi sono suso sono altressì in
alcuna parte del corpo -, e
pustole, cioè cotali
papici, e acrescimento
et
emfiamento di milza, quando queste cose saranno, no è più da
doctare ke la collera nera segnoreggia.
L. II, cap. 23 rubr.Capitolo .xxiij. De la significatione e congnitione de la
flemma.
L. II, cap. 23Multitudine di saliva viscosa e pocha sete, e urina biancha, e
pigreçça e dureza d'ingengno, e vitoria di sompno, e morbideza del
corpo, e tardità di digestione, e ancora se con queste la complexione è
fredda e 'l tempo del verno, e ancora dinanzi a questo sia usato poco
movimento e pocha faticha, e molto manichare, e cibi, i quali elli usò,
secondo la magior parte, fuorono generativi di flegmate, e usò bagno
d'acqua dolce, allotta le significationi saranno più forti e più ferme ne
la significatione de la singnoria del flegma.
L. II, cap. 24 rubr.Capitolo .xxiiij. De la significatione de' songni di notte.
L. II, cap. 24Le significationi de' sompni si solliono molto spesse volte
mescolare ai predetti, imperciò ke quando molte volte nel sompno
vede le
piove, e 'l mare, e i
fiumi, molta
humidità significha d'essere
nel suo corpo. E ' fuochi e le folgori e le liti, quando alcuno ne' sonni
spesse volte vede, sì mostra collera rossa in lui abondare. E
colori
rossi, e tinti, e nozze, e cibari dolci, e coppette, e ventose, e fluxo di
sangue e trarre sangue se alcuno sognerà, sì ssi declara moltitudine di
sangue. E quando con molto
fusco kolore tincta, cioè cose tinte, e
nereza, e paure, e timori se alcuno riguarda nel sompno, significha
operatione di collera nera. E quando nel sompno si vede alcuno stare
sì come nel luogo di neve, o pare ke
rriceva lesione o
magangnamento da alcuno freddo, sì
ssingnifica victoria e dominio di
freddo. E se le
contrarie a queste cose si vedessero e fossero vedute,
sì saranno contradie significationi. E se alcuno si vede sì come nel
bagno o nel sole o elli si disponga quasi a' dì
kaniculari, cioè al grande
caldo di luglio, o nel fuocho, sì significha sormontamento di
chaldeza. E quando alcuno avrae sognato sé quasi volare e assalire e
pilliare, sì ssi dimostra l'effetto e l'operatione di seccheza, e levitade
d'omori, e seccheza. E se alcuno
sogna sé essere gravato da alcuno, sì
ssi dimostra k'elli è molto ripieno. E qualumque si vede andare per
sé, per li luoghi fangosi puçolenti, sì ssi dimostra k'elli à putridi
homori e puzolenti nel suo corpo sopra. E le contradie cose a queste
ànno contradia significatione. E colui che vede ne' sompni k'elli vada
quasi per li orti, i quali ànno buoni odori, sì significa iguallianza '
equalitade de' suoi homori e k'elli sono molto di lungi da
putredine e
fracidume. E per li luoghi quasi
stretti se ssi vede alcuno andare, li
strumenti de l'alito sì dimostrano d'avere grande infermitade, la quale
il
vieta e lli
constrasta d'attrare tanta quantità d'aria quanta a llui è
mistiere.
L. II, cap. 25 rubr.Capitolo .xxv. Del comperamento delli schiavi come si
deono prima conoscere per segni.
L. II, cap. 25Nel
cominciamento quelli ke ssono presi konviene riguardare
il colore kon grande
diligentia, imperciò ke 'l colore, quando in
rosseza è meno, e infermità di feghato e di milza significa, o di
stomacho, o k'elli à male di morici de le quali molto sangue esce. E
dipo queste cose la superficie di tutto il corpo in kiaro luogho e
luminoso sì si de' riguardare e considerare e vedere, acciò ke morfea
subtile, se i· llui è, o
cominciamento d'
impetigine, cioè di
volaticha,
non si possano appiattare. Imperciò ke la morfea nel suo
cominciamento è molto nascosa, inperciò k'ella allotta non è se
nom bianchezza o nereza subtile, la quale a poco a pocho, crescendo
e prendendo kon suo acrescimento, si compie. Imperò ke
impetigho,
cioè volatica, nel suo
kominciamento non è altro se non
crespeza ke
aviene al luogho, e con suo agiungnimento sempre, di die in die,
cresce. Ancora se in alcuno luogho del corpo s'elli avranno
similitudine di
nerbo, o di
cottura, o alcuno
segno con grande studio
fie da considerare ke in questo luogho non abbia baras, cioè infertade
per la quale elli sia arso o arrostito o
scortichato e tinto, acciò ke ssi
possa
appiactare o celare; la quale quando fie
invechiata o ke ssia di
gram tempo tintura quasi debole
riceva e farassi ampia l'
albaras, cioè
quella infermitade, oltra il luogho de la
cottura e de la
scoriatione,
cioè de lo
scorticamento. E quando elli aviene la dubitatione del
nerbo, mettasi nel bagno e coll'acqua kiara primamente si freghi e col
seme
haslusnon (nome
saracinescho e ke ssi sporrà ne le
Sinonime,
innançi ne la fine, e così intendi delli altri nomi
kaldei e
saracineschi
k'io no
sporroe infino a le "
Sinonime". E tu,
lectore, lae ne cercherai per
l'alfabeto ordinatamente per l'ordine de le lettere e com
barac, cioè
sale
nitro, e aceto).
E apresso se consideri e se nel luogho, nel quale
cottura o
scoriatione non si suole fare, elli fia cotto o
scortichato, allotta si dee
avere più sospectione et è di magior
sospetione e perciò si dee
magiormente freghare.
E ancora la
ssomitade e la extremitade de la
cotura con grande
inquisitione si dee considerare, imperciò che in questi luoghi pare più
manofestamente. E poi si domandi quello che si dee domandare e
sappiassi quello ke dice. E poscia i peli del capo e di tucta la cotenna
si debbono considerare, se in lei è forfore o rosseza. E l'acuitade e
subtillieza dell'udire si dee
inkiedere e le sue parole e 'l senno e 'l
sentimento.
E le
pupille, cioè le luci delli occhi, si debbono attendere e
ancora si debbono atendere s'elle sono iguali in grandeza; e la
subtillieza del suo vedere, e de la biancheza k'è nelli occhi, e' sono da
considerare, imperciò ke quando i· lloro è fosco colore participante
torbideza significa malattia;
e quando in loro è
citrinitade significha
infertade di fegato; e quando vene molte, rosse e manofeste, sono
i· lloro, sia
sebello, cioè una infermità de l'occhio, la quale noi
conteremo apresso.
E le sue palpebre delli occhi si debbono considerare s'elle
sono nette e monde e tosto mobili e moventi; e s'elle sono grosse più
de le volte sono scabbiose o ssono a schabbia aparecchiate; e quelle
ke
gravemente si muovono e sono
malagevoli sono ree. Dumque
conviene colui la cui dispositione è cotale, quando si leva da dormire,
tanto fregare le sue palpebre infino k'elle s'aprano. E lacrimale k'è da
la parte del naso si conviene espriemere, imperciò ke nn'uscirà forse
humore di lui per kagione de la
fistola, s'ella v'è. E i peli ancora de le
palpebre e de le cillia sono da riguardare, imperciò ke ss'elli son
radi,
sì
ssignificheranno male e propiamente se con questo elli è roco e à la
faccia rossa.
E poscia con grande
diligentia l'alito per la boccha e per
le
nari s'attenda ke ivi non sia malo odore. E se consideri la figura de le
nari del naso, imperciò ke s'elle sieno grandi e corte avranno in sé
fistola, e imperciò si debbono riguardare al sole. E l'alito si dee
attendere s'elli è agevole.
E ancora il modo de' denti si dee observare, cioè assapere s'elli
sono forti, e diritti, e netti, e se alcuni di loro si muovono e si
corrodono, imperciò ke ' denti forti lunghamente durano, e i minuti
debili tosto cagiono, e ancora
pronostichano e giudicano deboleza di
tucto il corpo.
E d'ora inançi il suo collo si consideri s'elli è iguale, e
comprimasi e
vegasi s'elli è ivi in alcuno luogo
emfiato si veggha, o
k'elli abbia
citrinitade, imperciò ke ivi fieno forse ghiandole de le
quali tosto si generanno
scruofole
.
E ancora s'attenda il petto s'elli è ampio e s'elli à molte
karni,
imperciò s'elli è piccolo e magro e le spalle sono pinte in fuori,
significa la
'nfertà la qual è kiamata
thysis, cioè consumptione di
corpo.
E dipo questo giacendo supino si pongha e tucto il suo ventre
e corpo si
cerchi, attendendo se ivi si truova enfiamento o dolore ivi
si priema e magiormente nel luogo de la milza, e del
fegato, e nella
boccha dello stomacho. E poi apresso si comandi ch'elli vada, del cui
andare si consideri la virtude. E poi li si comandi k'elli
stringha alcuna
cosa e si consideri la forteza de la sua
constrintione imperciò ke
s'ella è debole si dimosterrà la
debilità di tucti i
nerbi. E poi li si
comandi k'elli corra e
attendasi se dipo 'l corso asma o tossa l'
assalga.
E ancora le mani e i piedi, insieme comperando, e' si
riguardino, imperciò ke forse l'una si troverà magiore dell'altra. E de
la dispositione de le giunture si dee considerare se a' movimenti sono
aparechiate. E apresso le
ginocchia si debbono riguardare a ssapere se
i· lloro, o ne le ghambe, vene grosse e ampie vi si truovano, imperciò
ke di ciò aviene spesse volte
varici et
elefantia. E ancora tucte l'altre
cose ke noi dicemmo ke ssi dovieno atendere a queste cose
congnoscere
adiutano.
L. II, cap. 26 rubr.Capitolo .xxvj. De la significatione de' kapelli.
L. II, cap. 26I capelli morbidi sono significativi di paura e i crespi
significano ardimento. E ancora moltitudine di peli trovata nel ventre
dimostrano luxurioso. E se sopra 'l dosso sieno molti peli sì ssi
giudicherà ardimento. E se sopra le spalle e 'l collo sia moltitudine di
peli, paççia e ostinatione sì significherà. E nel ventre e nel pecto
moltitudine di peli trovata sì dimostra pokeza di sapiença. E peli
trovati stare diricti nel capo, o in tutto il corpo, significano paura.
L. II, cap. 27 rubr.Capitolo .xxvij. De la significatione del cholore.
L. II, cap. 27Il colore ruffo o rosso sì dimostra moltitudine di sangue e di
calore. E 'l colore mezano intra rosso e biancho significha la
complexione eguale se con questo la cotenna fie ignuda di peli. E 'l
cui colore è sì come fiamma di fuocho è inistabile e paçço. E 'l cui
colore si vede rosso e kiaro è vergognoso. E ancora il cui colore
appare verde o nero è irascibile e cruccioso.
L. II, cap. 28 rubr.Capitolo .xxviij. Della significatione delli occhi.
L. II, cap. 28
I kui occhi sono grandi pigro è.
E i chui occhi som posti
im profondo è malitioso e ingannatore. E i cui occhi
strabuçano in
fuori è isvergognato e grande parlatore e stolto. E quando li occhi
sono posti ne la lungheza del corpo, sì dimostrano malitioso e
ingannatore. E le cui
pupille delli ochi participano molta nerezza è
pauroso. E i cui occhi sono somillianti alli occhi de le capre è
istolto.
E i chui occhi sono tosto mobili e fiso riguardanti è ingannatore e
malitioso e ladro. E i chui occhi sono sì immobili, come se fossero
pietra, è malitioso. E 'l kui riguardo assimillia a riguardo di femmina è
luxurioso e isvergognato; e quando elli riguarda sì come elli fosse
un fanciullo e tutto il suo volto e li occhi paiono ke
rridono, lieto è '
lungho tempo viverà, e quando li occhi sieno grandi e tremanti, pigro
e spatioso, cioè tardo e amatore di femmine. E quando in rosseza
assomilliano li occhi a la
brascia, huomo pessimo è e obstinato, cioè
contrastante e fermo in male.
La
pupilla dell'occhio, cioè la luce, se nera, dimostra pigro e
grosso d'ingengno. E lli occhi vari, abienti al suo colore
citrineza
mescolata (cioè
gialleza), e paiono tinti come di gruogho, significano
pessimi
mori, cioè rei costumi. E molte
macole intorno a la
pupilla
adparenti nell'occhio
signifikano huomo reo e se com questo l'ochio
fie vaio sarà pigiore. E s'elli occhi sieno piccoli e
pinti in fuori, sì
chome gli occhi di granchi, significheranno
scioccheçça e stolteçça e
seguitatore de le sue cupiditadi. E quando gli occhi sieno piccioli e
molto mobili e i
nepitelli spesse volte palpitanti, cioè moventi,
pessimo huomo significheranno. E le
pupille nel cui
circuito apare
somillianza di margarita mostra huomo invido, e parlante, e pauroso,
e pessimo. E lli ochi ke ssono somillianti alli occhi de le vacche
dimostrano huomo ke ssia fuor del senno. E quando la
pupilla è nera
e
àe tale
citrinitade, per la quale ella pare quasi dorata, huomo reo e
spanditore di sangue significheranno. E lli occhi ke tendono in alto, sì
come li occhi de' buoi, i quali com questo
rossi appaiono e grandi,
huomo stolto, scioccho, pessimo e molto ebbrioso significhano. E
quelli occhi sono detti milliori i quali sono mezani intra neri e
vai e se
con questo elli son molto risplendienti con
citrinitade o colore di
pietra. Se ssono
verdi
homo reo significano. E ancora li homini ke
con questo ànno
macole rosse o
bianche o
ssanguigne sono pigiori di
tucti li altri huomini e magiori ingannatori. E quelli che àe la
pupilla
pinta in fuori co la latitudine de la substantia di tucto l'occhio è
mentachatto e fuor del senno. E quando li occhi sono profondi e
piccoli malitioso e ingannatore e invido dimostrano. E quando i peli
de' nipitelli si pieghano in giù e
curvano, o elli si torcono
naturalmente a una parte, significano mentitore, malitioso e scioccho.
E huomo
habiente li occhi molto tremanti è reo. E quando li occhi
fieno piccoli, l'uhomo sarà reo e stolto. E se lli occhi fieno grandi, la
scioccheza fia magiore e la malitia minore. E ki àe li occhi
vai e
verdi
è reo e ladrone. E li occhi le chui palpebre
palpitano e battono con
grande spesseza huomo pauroso e
maniacho e fuor del senno
significano.
(+i) E lli occhi neri e um poco vari né non sono né rossi né
articolosi e sono kiari e lucenti, ciò è
segno di buona natura, savia e ben
costumata, ke ciò sono i milliori occhi che ssieno.
(i-)
L. II, cap. 29 rubr.Capitolo .xxix. De le significationi de le cilglia. Rubrica.
L. II, cap. 29
(i+) Colui k'àe moltitudine di peli ne le cillia sì è
segno di molte
coggitationi e pensamenti e di molta tristitia e di grosso e di mal
parlare.
(i-)
(+i) E le cui cillia son lunghe sì è sengno d'arroganza, cioè ke ssi tien
molto buono et è oltragioso e sança vergogna.
(i-) E le cui cillia discendono in
giù da la parte del naso
(+i) pendano
(i-) e si lievino in su da la parte
de le tempie sì è isvergognato e grosso d'ingengno.
L. II, cap. 30 rubr.Capitolo .xxx. De' sengni e de le significationi del naso.
Rubrica.
L. II, cap. 30La chui stremitade del naso è sottile è huomo ke ama lite. E le
cui nari son grandi e grosse è huomo di picolo
savere. E la cui
stremità del naso è lunga e sottile è ratto in fare e in dire è scioccho e
lieve. E le cui nari sono
late è luxurioso. E i chui forami del naso son
molto
aperti è molto cruccioso e iracundio
(+i) e ki più l'àe larghe sì è
sengno ke più si cruccia volentieri.
(i-)
L. II, cap. 31 rubr.Capitolo .xxxj. De la significatione de la fronte de l'huomo.
L. II, cap. 31La cui fronte è
piana e non àe rughe, cioè crespe, è litigioso e
huomo ke muove lite e rexe. E la cui fronte è rugosa e
dikina al mezo
di lei è irascibile e cruccioso. E ki àe piccola fronte è stolto
(+i) e di
non gran
savere
(i-). E ki àe grande fronte è pigro
(+i) lento e neghiettoso
(i-).
E la cui fronte è rugosa o crespa sì è isvergognato.
L. II, cap. 32 rubr.Capitolo .xxxij. De la significatione de la boccha e delle
labra e de' denti.
L. II, cap. 32Chi àe gram boccha sì è ghiotto e ardito. E i chui labbri son
grandi sì è scioccho e grosso d'ingengno.
(+i) E i cui labri sono tinti e
mal coloriti è infermiccio e
segno d'inferma natura.
(+i) E i cui denti sono
deboli e fieboli e
radi e minuti
(+i) sì è
segno di fiebolezza di corpo e di
piccola
vita.
(i-) E i cui denti
canini sono lunghi e fermi è ghiotto e reo
(+i) e gran manichatore e di mala natura.
(i-)
L. II, cap. 33 rubr.Capitolo 33. De la significatione del viso e de la faccia.
L. II, cap. 33E 'l chui volto
assomillia al volto de l'huomo ebro
(+i) è ardito
di parlare e s'inebria volentieri;
(i-) e 'l somilliante a l'
iracondio è
iracondio; e quelli k'è somilliante al vergongnoso è vergongnoso. E
'l cui volto è
pieno di
karne è scioccho e pigro. E la cui carne de le
mascelle è grossa è huomo di
grossa natura, cioè di grosso senno. E
quelli che àe sottile volto è huomo di molto pensamento. E 'l cui
volto è molto ritondo è scioccho. Il cui volto è molto grande è pigro.
Il cui volto è molto
piccollo è reo e malitioso e ingannatore. E 'l cui
volto è rustico li costumi non puote avere buoni se non rade volte. E
'l cui volto è lungo è isvergognato. E ki àe le tempie
emfiate e le vene
e l'arterie grosse è irascibile e cruccioso.
L. II, cap. 34 rubr.Capitolo .xxxiiij. De la significatione delgli orecchi.
L. II, cap. 34I cui orecchi sono grandi
(+i) sì è sengno k'elli sia scioccho
(i-) e di
lungha
vita.
L. II, cap. 35 rubr.Capitolo 35. De la boce.
L. II, cap. 35La cui boce e molto
grossa è ardito
(+i) e di malvagio
intendimento
e non di gran senno.
(i-)
Il cui parlare è racto
(+i) sì è
segno k'elli sia
ratto
(i-) e corrente
ne' suoi fatti e detti et è di picolo intellecto. Il cui parlare è kon alcuna
racteza, è elli e racto, e corrente, e irascibile, e
malcostumato.
E 'l cui alito è lungo è vile, cioè di piccolo valore.
E ki àe la boce grave è servo del suo ventre
(+i) e non à cura se
non di servire sé medesimo et è dispregiatore delli altri.
(i-) La cui boce è aspra
è invidioso e tiene in cuore il male
piatto e nascoso.
(+i) Chi à piccola
boce sì è sengno di
sciocheza e di poco
sapere.
(i-) Buona boce mostra
sciokeza e poco
sapere.
L. II, cap. 36 rubr.Capitolo 36. De le significationi de le carni.
L. II, cap. 36Molte
karni e dure sì dichiarano grosso senno e grosso
intelletto.
(+i) E le
karni morbide e suavi sì è
segno di buona natura e
intelligentia.
(i-)
L. II, cap. 37 rubr.
De le significationi del riso
. Capitolo
37.
L. II, cap. 37Chi è molto ridente sì è benigno e amabile alli homini e
convenevole e non è sollicito o pensoso per alcuna cosa. E ki poco
ride sì à natura contraria a questa, imperciò ke a llui dispiaciono tucti '
fatti delli homini. E ki ride ad alta voce è isvergognato. E kolui che
tosse quando ride, o patisce malagevoleza d'alitare, è isvergognato e
tiranno.
L. II, cap. 38 rubr.Capitolo 38. De le significationi del movimento.
L. II, cap. 38
(+i) Movimento tardo, cioè quelli k'è lento ad andare, significha
grosseza d'
intendimento e di pesança di corpo.
Movimento racto, cioè ki
vae, e tosto sì è sengno di poco senno e di levità e
legerezza di corpo.
(i-)
L. II, cap. 39 rubr.Capitolo 39. De le significationi del collo.
L. II, cap. 39
(+i-) Chi àe il collo corto e grosso e duro e forte sì è
segno k'elli sia
malitioso e ingegnoso e savio. E 'l cui collo è lungho e sottile sì è
segno
k'elli sia scioccho e garulo e pauroso. E ki à duro e grosso collo, e
forte, e bene nerbuto, sì è
iracondio e
ratto e corrente e legiere in tutte sue
bisogne.
(i-)
L. II, cap. 40 rubr.Capitolo .xL. De la significatione del ventre.
L. II, cap. 40Forteza de
costoli, e sopra lloro moltitudine di carne,
dikiara e
significa stolteza.
Sottillieza di corpo significa molta angoscia.
Grandeza di ventre dikiara e significa troppa libidine e luxuria.
Subtillieza di costi dimostra deboleza di cuore.
(+i) Ki à il costato
largho dee essere di gram burbanza e forte e non di
gran
savere. Ki ll'àe
strette sì à natura contraria a questa et è mal costumato, e ki
ll'àe in quel mezo sì è
segno di buona natura.
(i-)
L. II, cap. 41 rubr.
Capitolo
.xLj. De la significhatione del
dosso.
L. II, cap. 41Ampiezza di dosso dikiara e significa forteza e arrogança e
grandeza d'ira. Curveza e kinamento del dosso dimostra e singnifica
malitia di costume. E agualliança del dosso è buon sengno.
L. II, cap. 42 rubr.De' segni de le spalle.
L. II, cap. 42
(+i) Spalle sottili e agute e alte mostra pocheza di senno e
malcostumato.
(i-) Spalle
late e piene sì dimostra buono intellecto
(+i) e
di grande
intendimento e di buona natura.
(i-) Elevamento del capo de la
spalla molto
allunghata dimostra
sciokezza.
L. II, cap. 43 rubr.Capitolo .xLiij. De le significationi de le braccia.
L. II, cap. 43
Quando le braccia fieno sì lunghe ke le mani possano tocare le
ginocchia
(+i) sì è
segno di gentileza di cuore, e
(i-) di sottilitade d'animo e
arroganza, e cupidità di regnare dimostra,
(+i) e ama le donne.
(i-) E
quando le braccia sono molto corte huomo pauroso e amatore di
malitia significha.
L. II, cap. 44 rubr.Capitolo .xLiiij. De la significatione de le mani.
L. II, cap. 44Mani morbide e subtili
(+i) e ben colorite
(i-) molta sapientia e
buono intelletto dimostrano. Mani corte dimostrano sciocchezza.
Mani sottili e molto lunghissime dikiarano tiranno e sciocchezza.
L. II, cap. 45 rubr.Capitolo .xLv. De la significatione del ginochio e de la
coscia, e gamba, e piedi.
L. II, cap. 45I
piedi ne' quali è moltitudine di carne dura dimostra huomo
di malo intellecto. I piedi piccoli e belli huomo gratioso e fornicatore
dimostrano
(+i) e amatore di femine; e ke ssia giocoso, lieto e gioioso dimostra.
(i-)
E quando il
calcangno è sottile sì dimostra
paura, e quando elli è
grosso e forte sì dimostra forteza. E quando le
kavillie, cioè i talloni
di
ciaschuna parte, e le
gambe sieno grosse, grosso d'ingengno e
isvergognato dimostrano. E quando le
cosce di fuori ànno molte
carni poca forteza o lenteza e molleza dimostrano. E quando l'ossa
de le coscie
vanno in fuori significano ardimento. E ll'ossa de l'anche,
quando tendono in fuori, dimostrano moltitudine di forteza e
virilitade, cioè
maschieza.
Subtillieza d'anche significha amatore di
femine.
(+i) Ki àe i talloni sottili e piccoli sì è
fiebole e pauroso, ki lli à grossi dee
essere forte e ardito e prode. Ki àe le gambe e i
fusoli grossi sì è isvergognato,
pesante e lento. Ki à le coscie piccole e sottili sì è fornicatore e amatore di femine e
dikiara huomo
fiebole e pauroso.
(i-)
L. II, cap. 46 rubr.Capitolo .xLvj. De la significatione de' passi radi e spessi a
l'andare.
L. II, cap. 46I passi de· quale sono ampi e tardi è ispatioso, cioè lento. E di
colui i cui passi sono ratti e piccoli festino e ratto e corrente ne' suoi
facti significha e per ciascuna cosa si muove et è molto solicito e
angoscioso, le quali cose tuttavia elli non sa disporre e ordinare.
L. II, cap. 47 rubr.
Capitolo
.xLvij. De la significatione de l'ardimento e di
conoscere l'ardito. Rubrica.
L. II, cap. 47
(+i) Ardito è colui i cui capelli sono forti e aspri e k'à 'l corpo e la
sua statura
diricta e l'ossa grosse e forti e ben fornite,
(i-) e l'estremitadi, e
le
costi, e ancora le giunture abbiano forteza e sieno grandi, e ancora
il petto grande e 'l ventre grande, e le spalle grandi, e 'l collo forte e
grosso, nel quale non sia moltitudine di carne; e ancora
torax, cioè la
parte del petto dinanzi, lato, e le
cosce piatte e celate, e
lacerto ke ssi
truova ne la polpa de la gamba da la parte dentro discende in giù, e la
sua cotenna e le carni sono di giugnimento di seccheza, e la sua
fronte abbia vene larghe e non abbia rughe, cioè crespe, e non sia
sanza peli,
(+i) e ke le coscie e le gambe e i
piedi rispondano bene alli altri
membri.
(i-)
Sono ancora altri sengni d'ardimento sì come equalità di carni,
e
diritteza di statura, e forteçça de le giunture e de le
dita, e sottillieçça
del ventre, e ke le sue
natiche sieno picchole e ke del tucto in tucto
non si vegano, e ke ambendue le spalle grande spatio distingue, e ke
le cillia sieno diricte, e la fronte non sia rugosa. Et elli è molto
iracondio, e niquitoso, e molto tengha la sua ira,
(+i) e non si
rapacifichi
legiermente,
(i-) e ancora nel petto e ne le spalle è piloso,
(+i) questi
sengni dimostrano e
dikiarano ardimento.
(i-)
L. II, cap. 48 rubr.Capitolo .xLviij. Di conoscere quelli k'è pauroso.
L. II, cap. 48Pauroso è quelli i cui kapelli sono piani e la sua statura
pieghata e kinata, e i muscoli de la gamba dentro salgono in suso, e 'l
colore è citrino, e lli occhi deboli e spesso battono. E le mani e i piedi
sottili e magri, e 'l suo riguardo è somilliante al riguardo del tristo.
L. II, cap. 49 rubr.Capitolo .xLviiij. De' segni de l'homo k'è di ratto ingengno.
L. II, cap. 49I cui segni sono ke ssue
karni sono morbide, e molli, e poke,
in mezzo intra grasse e magre, e no à molte
carni nel volto; e le sue
spalle sono rilevate in suso, al cui
dosso no à carni; e 'l suo colore è
mezano intra rosso, e biancho, e tenero, e lucente, e kiaro; e la
cotenna e 'l buccio de la carne è sottile; e i capelli ancora non sono né
molto duri né molto neri,
(+i) né crespi né piani, e à colore di capegli gialli,
sì come intra neri e rossi, tale huomo dee essere di buona natura;
(i-) e i chui
ochi sono mezzani intra varii e neri e sono molli.
(+i) Tale huomo
dimostra ke ssia di buono intelletto e di buona natura.
(i-)
L. II, cap. 50 rubr.Capitolo .L. De' segni di conoscere l'uomo di buona natura.
L. II, cap. 50Questi cotali sono sengni k'elli è intra lungho e corto, e magro
e grasso, si truova mezano; et è biancho e à um poco mescolata
rosseza; et è mezano intra colui ch'à pocha charne e molta. E ancora
la grandeza del capo è
proporcionale e risponde a la grandeçça del
corpo, nel cui collo poka grosseza è; e i suoi chapelli sono mezzani
intra aspri e morbidi e sono um poco vicini a
rrossezza, e 'l suo viso è
ritondo; e le nari diricte e molto belle e iguali in grandezza; e lli ochi
sono mezzani intra neri e
vai, ne' quali è
humiditade e
kiareza.
(+i) E
questi sono sengni di colui k'à buona natura.
(i-)
L. II, cap. 51 rubr.
Capitolo
.Lj. De' segni de l'huomo filosopho.
L. II, cap. 51I cui segni sono ke la sua statura è
diricta, e à
'qualitade di
carne, et è biancho, e àe un poco di rosseza mescolata; e i suoi
chapelli intra poki e molti, e piani e crespi, sono mezani, e intra neri e
rossi; e le mani sono piane e ànno le
dita divise; e la fronte è grande; e
li occhi intra
vai e neri son mezani e sono molli; e ke 'l suo riguardo si
truova
somilliate a
rridente e a
llieto e gaudente.
(+i) E questi sono
segni d'uhuomo
phylosafo.
(i-)
L. II, cap. 52 rubr.Capitolo .Lij. De' segni de l'homo di grosso ingengno.
L. II, cap. 52I kui segni sono overo k'elli è molto bianco, o molto bruno, o
molto fusco; e 'l suo ventre è grande e le dita corte, e 'l volto molto
ritondo, e moltitudine di carne ne le mascelle, e ancor de le sue
significationi è ke nel collo e ne' piedi, e in quello k'è intra lloro, è
molta carnositade; e 'l ventre con ritonditade tende in fuori, e ke le
sue spalle sono rilevate in suso; e la fronte in ritonditade tiene
similitudine quasi sì com'ella fosse gibbosa, cioè scrignuta o colma, e
àe molte carni; e le sue mascelle sono grandi; e le sue gambe sono
lunghe e llungo volto e 'l collo grosso.
L. II, cap. 53 rubr.Capitolo .Liij. De' segni de l'homo sança vergogna.
L. II, cap. 53
Isvergognato è quelli i cui occhi sono molto aperti e
pinti
im fuori e acutamente e fisamente riguardanti, e le sue palpebre
grosse; e la sua statura non è molto lungha, e quando vae il petto
tende um poco innançi; le cui spalle sono ancora elevate, e 'l
movimento e l'andare ratto, e 'l colore ruffo; e à molto sangue, e 'l
volto ritondo, e 'l
torace del petto um poco
scrignuto. E ancora de le
sue significationi è ke lli occhi s'aprono molto e riguardano fisamente,
et è molto parlante.
L. II, cap. 54 rubr.Capitolo .Liiij. De' sengni de l'iracundio. Rubrica.
L. II, cap. 54I cui segni sono volto rustico e àe il colore rosso kon alcuna
obscuritade e la cotenna, overo buccia, del volto seccha, e magreza di
tucto 'l corpo, e 'l volto rugoso e crespo, e i capelli neri e morbidi.
L. II, cap. 55 rubr.Capitolo .Lv. De' segni de l'homo luxurioso.
L. II, cap. 55I cui segni sono biancheza di colore kon rosseza mescolata, e
moltitudine di
capelli e grosseza e
nereça e morbideza; e ancora ke
ssopra le tempie
à molti
kapelli e ke i suoi occhi sono molto grossi.
(+i) E ridenti e 'l viso ben formato e si
diletta volentieri di parlare chon femina.
(i-)
L. II, cap. 56 rubr.
Capitolo
.Lvj. De' segni del femminile animo.
L. II, cap. 56In tutte le generationi delli animali le femine ànno l'animo più
morto e meno sono sofferenti, e più tosto si possono convertire, e
più tosto si crucciano, e più tosto s'appacificano; e sono di magiore
kalliditade, cioè più savie in malitia; e sono precipites, cioè s'aventano
a cosa ke volliano e ke llor piaccia, e isvergognate; e ànno piccol capo
e volto e collo subtili; e 'l petto e le spalle ànno più strette, e le costoli
minori. E le cosce d'ogne parte ànno grosse, e le natike
somilliantemente, e le gambe sottili, e le mani e i piedi sottili. Le quali
in tutte le generationi delli animali più paurose e peggio acchostumate
si truovano.
L. II, cap. 57 rubr.Capitolo .Lvij. De' segni de l'enucho k'è sança collioni.
L. II, cap. 57L'eunuco è male acostumato, imperciò k'elli è scioccho e
cupido e presuntuoso, cioè ke crede essere magiore ke non è, e crede
e presume di sé il bene ke non è, e dengno di quello ke non è. E
quelli che non fue kastrato, ma è nato sança testicoli (cioè sança
collioni) o k'elli li àe molto piccoli, apare enucho; al quale barba mai
non nasce è 'l piggiore.
L. II, cap. 58 rubr.Capitolo .Lviij. De' iudicii de la sottile agregatione e in
questione de la fisonomia.
L. II, cap. 58Conviene, quando giudicare vuoli, ke tu non attende tanto
solamente una significatione. Ma, in quanto puoi,
attendi a le loro
agregationi e
a· ragunamento. E se alcuna volta aviene contrarietade
ne le significationi, e le loro virtù e le loro testimoniançe misura; e poi
apresso al più forte pendi e dichina e giudicha per lo loro testimonio
e somilliantemente quelle che ssono più.
(+i) E non si conviene guardare né attendere solamente a uno
dell'insengnamenti de' sengni ke detti abbiamo, ma a tre o a quatro o tanto
quanto
potrai, il più ke tanto kome l'inse
ngnamenti e i segni predetti s'acordano
più insieme sarae più diricto il
giudicio.
(i-) E ancora dei sapere ke la
significatione del volto, e magiormente delli occhi, a tutte l'altre
significhationi in forteçça
pregiudicha.
(+i) E tu
lettore ke questo libro di
fysonomya leggi, sì lleggi
distintamente
e apertamente e ritieni bene l'insengnamenti di su detti e prenominati, imperciò ke
per li predetti segni potrai conoscere le nature di ciascuno huomo, per li membri ke
l'huomo vede di fuori. E avengna Dio ke secondo natura
debbia così essere kome
noi avemo
iudichato, impertanto neente di meno puote bene ancora essere
altrimenti, sì come per li buoni insegnamenti e per la dotrina ke lli huomini
ricevono, ké voi dovete sapere ke nodritura passa natura molte volte, sì come voi
potete vedere manofestamente e
continuamente in huomini e in bestie. Nelli homini
potete vedere ke molti homini sono di mala natura, ke per loro natura non
dovrebbero fare altro ke male. Ma per l'insegnamenti e per la dotrina de' savi e
de' discreti huomini diventano buoni e fanno altra cosa ke llor natura non aporta.
E ne le bestie vedete voi altressì, sì come ne' cavalli e ne' chani e nell'altre bestie,
ke per l'insegnamenti fanno cose e no le fanno neente per lor natura. E intendete
ke noi non
crediamo, perciò ke detto v'abbiamo ke natura nom passi nodritura,
ma ll'uno
può l'altro passare, se voi vi ne ponete ben cura sottilmente.
(i-)
Compiuto è il tractato secondo per l'aiuto di Dio le cui gratie
sono infinite.
L. III, Index rubr.
Qui cominciano i
capitoli del terzo libro, il quale tracta de
le virtudi de' cibi e de le medicine sempici. E sono
.xxiiij. capitoli.
L. III, Index
Capitolo d'un dicimento universale per lo quale si fa giovamento
a conoscere le virtudi de' cibi e de le cose ke nodriscono e de le
medicine. Capitolo secondo. Di conservare, overo
konoscere, le
virtudi de'
semi de' quali si suole fare pane. Capitolo terço. Di quelle
cose ke ssi fanno di grano e d'
orço. Capitolo quarto. De la virtù de
l'acqua. Capitolo quinto. De la virtù del vino. Capitolo sexto. De'
beveraggi. Capitolo septimo. De le carni e de la loro spetie. Capitolo
ottavo. De le vertù de' membri delli animali. Capitolo nono. De le
virtù le quali acquistano i cibi per l'artificio e aparechiamento.
Capitolo decimo. De la virtù
sisamorum e di quelle cose ke del mèle
si
conficiono. Capitolo
.xj. De la virtù e
propietà de l'huova. Capitolo
.xij. Del lacte e de la sua virtù e di quelle cose ke di lui si fanno.
Capitolo
.xiij. De le virtudi de' pesci. Capitolo
.xiiij. De'
semi e de le
spetie necessarie a la
cucina. Capitolo
.xv. De' camangiari e quali di
loro s'amministrano in
decotione. Capitolo
.xvj. De'
fructi e de' pomi.
Capitolo
.xvij. De le cose odorifere, overo
fructi odorosi, overo ben
odoriferi. Capitolo
.xviij. De le spetie odorifere. Capitolo
.xix. Delli
olii, overo unguenti. Capitolo
.xx. De' vestimenti. Capitolo
.xxj. De'
venti e dell'aria. Capitolo
.xxij. De le cittadi
sane a dimorare. Capitolo
.xxiij. De le virtù de' lattovarii ke sono sani a mangiare, i quali si
fanno di frutti e di fiori
mochabath e
murabathis. Capitolo
.xxiiij. De
le spetie le quali l'uhuomo ogn'ora puote
usare e dee, il qual è
disposto secondo l'ordine de le lettere de l'alfabeto. Di qualunque
specie il
nome comincia da
.a., nel capitolo del
.a. si truova, e
similliantemente si fa ne l'altre lettere. E sono medicine usate.
L. III, cap. 1 rubr.
Capitolo primo del terço libro, il quale tratta d'uno dicimento
universale per lo quale si fa giovamento a conoscere le virtudi de'
cibi
.
L. III, cap. 1La cosa dolce è
kalda, advegna che non sia di troppa
kaldezza
forte. La força de la cui caldezza non appare se non quando alcuno
avrà
kominciato d'usarlo spesse volte, o quando colui ke l'
usa fia
acconcio a caldezza, sì come colui ke à febbre e chi à
ccalda
complexione. E ki userà cose dolci, molta collera rossa i· llui si
generrae e moltitudine di sangue e commuove le 'nfermitadi e mali
fatti e ke ssi fanno di ciascuno di loro. E genera oppilatione e
appostemi nel feghato e ne la milza e magiormente se questi membri
acciò fieno aconci o apparecchiati. E ancora fa menagione del corpo
e mollificha lo stomacho, ma elli giova al petto e al polmone e
ingrassa il corpo e fa crescere la sperma.
Accido o acetoso, cioè cosa acetosa, è fredda, avegna k'elli non
sia di troppa grande freddeza, e riprieme e spengne la collera rossa e 'l
sangue, e
strigne e fae stiticho il ventre, se lo stomaco e le budella
fieno nette e vòte. E se i· lloro fia moltitudine di flemma, si fa fluxo di
ventre, cioè fa uscire, e 'l corpo raffredda e la virtù digestiva
indebolisce e
primamente nel feghato; e a'
nerbi e a' membri
nerbosi
fa nocimento e 'l corpo
diseccha, ma la virtù apetitiva conmuove,
cioè fae
appetito.
E la cosa
unctuosa
mollifica lo stomacho e fa uscire e fa
satietade, cioè satolla, inançi ke l'huomo abbia
preso tanto cibo
quanto mistiere li è; ma tuctavia elli riscalda e magiormente i febricosi
e quelli ke ànno lo stomaco e 'l fegato
kaldi, e ancora
ramollisce e
ramorbida il ventre e acresce la flemma, ma elli ingrossa la memoria e
lo 'ntellecto e acresce in sompno.
Lo stitico, cioè il lazzo, raffredda e diseccha il corpo e fa
menomamento di charne e di sangue, e se alcuno molte volte l'
usa, lo
stomaco conforta. E il ventre più de le volte
strigne e genera sangue
melancolico.
E l'amaro rischalda e diseccha
fortemente e mena tosto il sangue
ad
adustione, cioè ad
imbrasciamento, e fa crescere la collera rossa
nel sangue.
E ll'
acuto sì come
pepe e mostarda e cotali cose
pugnenti
riscaldano molto più ke non fa l'amaro, onde acresce il
calore, e tosto
infiamma il corpo, e
arostisce il sangue, e primieramente il muta in
collera rossa e poi in collera nera, cioè in meninconia.
E lo
'nsipido, cioè sì come sança sale ' sança sapore, e alcun di
loro è ke più nodrisce e notricha, cioè quello k'è procciano a
equalitade; e un altro è ke temperatamente riscalda, e un altro è ke
temperatamente raffredda kol quale, se molta
humiditade sarà,
humenterae e
ramollirà, e quando fia seccho e sança
humidità, si
diseccherà.
E quando alcun de' predetti sapori a alcuna cosa in tanto
segnoregia k'ella nom possa essere presa da la signoria de l'altro, o se
vi si sente, cioè l'altro almeno poco e nascosamente vi si sente, sarà
allotta la sua operation nel corpo secondo ke noi dicemmo.
E se due
sapori igualmente signoregeranno, la loro operatione sarà composta
egualmente secondo questo.
L. III, cap. 2 rubr.Capitolo secondo di conservare e conoscere le virtù de' semi,
de' quali si suole fare pane.
L. III, cap. 2
(+i) Il grano, cioè il
frumento, è una biada temperata
konvenevole sopra
tucte biade a la natura de l'huomo,
(i-) advegna k'elli tengha um poco a
caldezza. E quello ke ssi truova più pesante e più sodo è di magior
nodrimento alli huomini, più di tucti grani si truova convenevole e
proprio e 'l sangue ke di lui s'ingenera è più temperato d'ongne
sangue ke delli altri grani s'ingenera.
(+i) Ma elli diversificha sua natura
per vecchiezza e per
novelleza e per la terra ov'elli cresce. E perciò kolui che 'l dee
mangiare sì 'l dee eleggere ch'elli sia cresciuto e nato im buona terra, e k'elli sia
netto e mondo di tutte altre cose, e sia in intra vecchio e novello, e ke abbia colore
intra bianco e rosso, e sia tenuto nettamente e non in fosse, né a
rilento, ançi dee
essere in
magione ove venti possan
ventare. E tale
frumento konviene a l'huomo
usare perciò ke 'l sangue ke nn'è ingenerato è più temperato ke nniuno sangue ke
ssia ingenerato di neun'altra biada.
(i-)
(+i) Orzo sì è freddo e secco nel primo grado.
(i-) E l'orço è
prociano a
equalità, avengna k'elli si tenga a
ffredeza, il cui nodrimento, per
comperatione al grano, è piccolo,
emfiativo e infrigidativo, e alli
akostumati d'avere ventositade e infertadi fredde e male di fianco fa
impedimento. Ma a' riscaldati e ke volliono
acquistare menomamento
di carne giova, ma elli genera sangue vicino a la collera nera.
(+i) E la
segale si tiene a questa medesima natura, ma quelli il possono
usare ke ssono di
calda natura. E sappiate ke 'l sangue ke n'è ingenerato è malinconoso e perciò è
mellio a usarlo secondo via di medicina ke per santade guardare, cioè a dire
d'usarlo in febbri sì come fare acqua d'orzo e altre cose ke lli autori di fisicha
insegnano.
(i-)
(+i) Riso è
kaldo nel primo grado e seccho nel secondo e il suo
kalore sì è
procciano al
temperamento ke lli è intra chaldeza e fredeza. Ma elli è
di sua natura pesante e dimora molto a la forcella e 'l ventre
ristrigne,
(i-) e
alli acostumati d'avere male di fianco nuoce, il quale avengna ke
molto nodrisca. Del ventre non discende
leggiermente s'elli non si
cuoce kon alcuna cosa ke ssia molto viscosa, il quale, quando si cuoce
kol latte ' kol çuchero e si manucha, molto nodrisce e 'l sangue
acresce.
(+i) Millio e panicho sì sono freddi nel primo grado e secchi nel secondo. E
noi diciamo insieme di questi due perciò k'elli ànno una medesima natura, kon
tutto sia ciò ke 'l panicho doni milliore nodrimento ke 'l millio. E sappiate ke
ssopra tutti i grani ke l'huomo usa donde l'uhuomo facia pane dona il millio
meno di nodrimento, ké 'l sangue ke nn'è ingenerato sì è poco e malvagio, e perciò
quelli ke volliono ingrassare e avere abbondança di buon sangue no 'l debbono
usare, perciò k'elli
ristrigne il ventre e fa emfiare la forcella. Ma a colui ke mellio
nom puote e ke
usareli le conviene, sì 'l puote
usare con latte e con olio di
mandorle e con carne
grassa, ké
karne grassa sì li fa
perdere sua malitia.
(i-)
(+i) E sappiate ke 'l millio e 'l panicho valliono più per malatie rimuovere
ke per santade guardare, kome ke l'huomo il vollia
usare, sì come a porre lo
arrostito e caldo a le tortioni, e ai dolori per ventositade, e a molte altre malatie ke
per
ventosità sono ingenerate.
(i-)
(+i) Vena e
spielda sì sono fredde e secche, e sono di maniera d'
orço, e ànno
somilliante natura in tucte opere, e vallio
no più per malatie rimuovere ke per
santade guardare, ké di loro natura fanno la forcella
bruire et enfiare, ma elli
ànno virtù e propietà di torre via
emfiature ke per
ventosità avengono se l'uomo lo
vi pone
kaldo di sopra. E
vallion molto a
usare a quelli ke ànno eticha e sono
magri e volliono ingrassare in questo modo: prendete farina di vena o di
sspielda e
mischiate con esso la
colatura ke l'huomo fa di bien di
frumento, cioè la cruscha
del grano, in acqua
kalda kol latte di
mandorle e con tre tuorla d'
uova, e fare
kuocere a maniera di
gruel; e
usinlo koloro ke ingrassare volliono e ke per
kalde
malatie son magri, ke questa è una vivanda
sana ke ssopra tutte altre ingrassa.
Saggina sì è una maniera di biada fredda e seccha ke cresce in
Proenza e in
Toschana e in Lombardia a maniera di kanna. La quale non è neente buona a
usare per santade guardare perciò ke dona grosso nodrimento, e fae il sangue
malinconoso, et
enfia il ventre, e la forcella e
ristrigne, tucto sia ciò k'elli la molli
alcuna volta forse perciò k'elli è um pocho pesante e fae le vivande avallare. E 'l
pane ke nn'è facto di tale biada e di tucte l'altre si tiene la natura de la biada
dond'elli è facto, salvo k'elli è um poco più caldo, e tale
calore li viene del
forno
ov'elli è kotto, sì come testimonia
Ysaac.
Farre è una maniera di biada k'è
sommiliante al grano, salvo k'elli è più
grosso et è freddo e seccho temperatamente e à virtude di donare nodrimento al
corpo quando elli si cuoce bene. Ma elli
enfia um poco il ventre e vale più a
malatie levare ke per santade guardare e spetialmente ad malatie
kalde.
Ora diremo de' legumi.
Fave sono di due maniere sì come sono verdi e secche. Le secche sì sono
fredde e secche e le verdi sì sono fredde e
humide nel primo grado. E 'l nodrimento
ke le verdi donano sì è reo, grosso e viscoso, e fanno troppo gran male a lo stomaco
e perciò si ne debbono coloro guardare ke ànno male di
ventosità e ke ssono pieni
di grossi homori. E ancora le
fave verdi ne lo stomaco e ne le budella acrescono la
flemma e in loro
konmuovono ventositade.
(i-)
E le
fave secche sono
prociane a
temperamento, avengna k'elle
apertengano a fredezza, le quali molto
emfiano e generano scotomia,
e tucto il corpo fanno disoluto e grave, e gravano il capo; ma la gola
puliscono e
ramorbidano quando si
manuchano sanza sale. E s'elle
sieno cotte coll'aceto il ventre
stringono. E a coloro ke ssono
acostumati d'avere
ventosità per male di fiancho, k'elli sieno rotti o
crepati, sono ree.
(+i) E valliono mellio a
usare per malatie rimuovere ke per
santade guardare. E sì vi diroe kome ke ki prende farina di
fave e mangila con
grascia sì fae li omori del petto e del polmone solvere, e ancora ki ne fa
empiastro
sopra le mamelle, quando elli v'àe
apostome e à i testicoli
emfiati. Ma quando le
fave son cotte in aceto, sì fanno le malatie rimuovere. E l'acqua ove le
fave son
cotte sia natura di nettare il viso e di purgarlo di tucte ordure. E intendete ke le
fave ke ssono milliori a
usare sì ssono le bianche ke ssono intra
vecchie e novelle, e
valliono mellio quelle ke ssono
kotte ne l'acqua ke quelle ke ssono
kotte ne la
brascia, perciò ke ll'acqua
à ppiccola la ventosità. Ma l'arrostite ànno natura di
donare magiore apetito di mangiare. E ancora quelle ke mellio vagliono sì sono
quelle ke ssono cotte sança i gusci, perciò k'elle dimorano pocho a lo stomaco e
nodriscono assai e donano talento d'
usare con fenmina e per loro malitia
amendare. Ki usare le vuole, sì le
mangi kon menta, con pretosemoli e con
salvia,
con ispetie buone di pepe, di
kannella, e di çafferano, e d'altre somillianti cose ke
possono lor malitia amendare.
(i-)
(+i) Ceci di loro natura sì sono
kaldi e humidi e sì sono di diverse maniere
sì come verdi e secchi. E i secchi sì ssono bianchi e rossi e neri. I verdi si tengono a
natura di
fave, ké elli
emfiano e danno grosso e malvagio nodrimento. E si
diversifichano i secchi dai verdi, sì come le
fave verdi da le secche, ke ssì come le
fave secche ànno meno di
vescositade ke le verdi, così è de' ceci secchi, con tucto sia
cioe k'elli non abbiano tanta ventosità kome i verdi. Impertanto tuctavia ànno elli
ventositade, e ingenera grossi homori, et
emfia, e ànno natura di provocare l'orina,
cioè di fare
orinare, e fanno venire lor private malatie a le femine, e acresce la
sperma. E i ceci neri, ki usa l'acqua ov'elli saranno cotti, sì tolgono il male de la
pietra e sono di loro natura più
kaldi ke i bianchi o ke i rossi, e perciò sì ànno
natura d'aprire le vie del fegato e del cuore più ke i bianchi o i rossi. Ma i bianchi
e i rossi sono più amabili a la natura de l'huomo. E intendete quando elli sono
arrostiti ke elli ànno meno di
vescositade e di ventosità ke i cotti in acqua e
valliono mellio per malatia rimuovere ke per santà guardare.
(i-)
(+i) Lenti sono di lor natura frede e secche nel secondo grado e secche nel
terço e sì sono di diversa natura ke la midolla
ristrigne la menagione e la scorça la
fae. E sappiate ke ssopra tutti i leghumi le
lenti sono ree a usare, perciò k'elle
sono dure e grosse per
kuocere a la forcella. E 'l sangue ke n'è ingenerato (o si ne
ingenera) sì è grosso e malinconicho, e di loro si lievano grossi
fummi ke riempiono
il cervello e tolgono la veduta e l'udire e fanno la testa dolere. E non fanno né
micha solamente ciò, ma elle ingenerano cancro e
letigini e morfea,
(i-) e 'l corpo
disecchano, e distrugono la sperma, e
ristringono il sangue, la cui
chaldeza elle spengono; imperciò k'elle raffreddano e fanno
tenebrosità d'occhi e
menanconice infertadi, quando alcuno l'usa di
manicare spesse volte. E quelle ke di loro s'arrostiscono meno
enfiano e più
disecchano.
(+i) E perciò sono ree a
usare, ma se
usare si
convengono, sì le dee huomo elegiere quelle ke ssono grosse e novelle e ke ssi
cuocano
leggiermente. E conviene k'elle sieno cotte con menta, e pretosemoli, e
salvia, e
comino, e çafferano, ké tucte queste cose amendano lor malitia.
Pesi sono freddi nel primo grado e sono humidi temperatamente, e sono di
diversa natura, ké la scorça di sua natura sì
ristrigne il ventre e quel dentro
l'amolla. E quando si mangiano sança la scorça, overo gusci, sì ingenerano buoni
omori e nodriscono bene con tucto sia ciò k'elli abiano um poco di ventosità, ma
elli n'ànno assai meno ke le
fave. E la prima acqua ov'elli saranno cotti sì vale a
quelli ke ànno febbre e ke ànno tossa e dolore di chapo e di petto, salvo ke
ll'acqua sia sança sale e non abbia alcuna altra cosa in sé ke gravare lo potesse.
(i-)
Mes freddi sono e secchi, i quali sono più lievi ke le
fave e de le
lenti e meno di loro sono
enfiativi, ma il lor nodrimento si truova
minore ke 'l nodrimento de le
fave e de le
lenti.
(+i) Lupini di lor natura sono
kaldi e secchi nel primo grado e valliono
meglio per malatia rimuovere ke per santade guardare, perciò k'elli sono grossi e
duri a digerere e cuocere, e valliono mellio a
usare dopo mangiare ke dinançi kon
salina, ma sieno temperati ne l'acqua tanto ke lloro amaritudine sia levata.
(i-)
E quando elli son fatti dolci e si manucano non riscaldano, e quando
elli sono
amari non sono aconci ad nodrire, ma sono aconci a
medicina, imperciò k'elli disfanno e distrugono le
scruofole, cioè le
gavine, ançi ke ssi rompano, e
astergono (cioè lavano) e
mondifichano. E quando elli s'
anministrano e danno non molto
radolciti e provocano l'orina e i mestrui, cioè fanno orinare e venire
lor celata e privata malatia a le femine e fanno scipare le femine, e
lumbrichi e vermini mandano fuori del ventre, e aprono le bocche de
le
morici;
(+i) usando e tolliendo farina di
lupini e mischiata in mèle e data a
bere a quelli k'ànno vermini o mal di mignatti sì li
caccia. Ancora mischiata la
farina di
lupini chon sugo di ruta, sia sopra tutte cose natura di purgare la
vescicha di tutti mali omori ke vi avengono. E ancora ki prende dell'acqua ove i
lupini siano cotti e l'asperge sopra le
cimici, sì l'uccide e caccia tucte.
Fasgiuoli sono caldi e humidi di lor natura
pressoké nel secondo grado, e di
loro natura non si possono di secchare sì come altri legumi, e perciò non si possono
guardare. E quando huomo li mangia, sì ingenerano grossi homori, et
enfiano, e
riempiono il cerebro di malvagi omori e di
malvagi
fumi ke di loro si dipartono, e
perciò no li fa buono
usare, perciò ke lli omori ke ss'ingenera di loro sì è di grosso
e di malvagio nodrimento. E ciò sono più i verdi ke i secchi.
(i-)
I fagiuoli
enfiano e ingrassano il corpo e provocano l'orina e i
mestrui, e ancora
redono il corpo molle, cioè muovono, e quelli
propiamente il fanno ke ssono rossi. E 'l corpo riscaldano e fanno
scotomia del capo, cioè pare ke ssi giri intorno intorno il mondo, e
fanno vedere mali sogni.
(+i) Ma per malatie rimuovere sì li dee huomo
usare a koloro ke non possono orinare e a le femine, a kui fà lla loro privata
malatia sì come detto è. E se mangiare li conviene, sì dee huomo elegere quelli ke
ssieno bianchi e sieno intra vecchi e novelli e ke ssien cotti e netti di
scorçe, over
gusci.
(i-)
Le
rubillie sono fredde e secche, le quali poco nodriscono e reo
sangue generano e fanno
impedimento ai
nerbi.
(+i) Mochi sono
kaldi nel primo grado e secchi nel secondo e valliono mellio
a
usare per malatie rimuovere ke per santade guardare, ké di loro natura aprono
le
vie turate del fegato e del polmone e delli altri membri e fanno bene orinare e
venire
mestrui, cioè le private malatie a le femine, e nolli dee huomo usare troppo
perciò ke lle fanno pisciare sangue.
Cicerchie sono fredde e si tengono a la natura de le
lenti, ma elle sono mellio
a usare ke le
lenti, perciò ke ll'omore ke nn'è i
ngenerato non è sì grosso né sì
malinconoso. E vale tuttavia mellio a usare l'acqua ke la substanza, ké ll'acqua
de le cicerchie si può usare a la maniera ke l'huomo fa quella de'
peselli.
Vecci di loro natura sono
kalde e secche ma il loro
kalore è temperato e
valliono meglio per malatie rimuovere ke per sanità conservare, perciò ke di loro
s'ingenera malvagio sangue e mali homori, e donano mal nodrimento, e fanno la
testa dolere e pesante, e fanno dormire assai. Ma loro natura è di fare bene
orinare e di
sturare le vie del fegato e de le vene ke ssono
richiuse e piene di grossi
homori.
(i-)
Dora è seccha e poco nodrisce e 'l ventre
ristrigne.
L. III, cap. 3 rubr.Capitolo terço. Di quelle cose ke ssi fano del grano e de
l'orço.
L. III, cap. 3Il pane ke ssi fae del
frumento ai più delli homini è convenevole,
il quale ancora è milliore quando di molto sale e di molto formento è
formentato e
kuocesi, e sia ben lievito e ben cotto perciò ke più tosto
si
digere e cuoce ne lo stomacho e più sottile e dilichato si truova.
E l'aççimo pane duramente e apena si digere e cuoce ne lo
stomacho, e tardi discende de lo stomaco, e fa dolore nel corpo e
oppilatione nel fegato, e pietra genera ne le reni.
La
similla, cioè il fior de la farina, de la quale si fae
dormacha,
cioè quel
kotale manichare ke così è kiamato; e quelli cotali
dormacha
sono di magior nodrimento, ma tardi discendono ne lo stomacho.
E la comune farina più tosto discende e meno nodrisce, ma il
sangue ke di lei è generato apertiene um pocho a malinconia. E
ancora il pane ke ssi cuoce ne la
padella e ogne pane ke non è bene
cotto a
ddigerere e cuocere ne lo stomacho si truova più tardo e 'l
ventre fa dolere, il cui manichare spesso nom puote sofferire se non
quelli che molto s'affaticha.
Il
tri, e 'l pane de'
carnegi, e le
zibule,
karteduli, e
crustola, tucti
questi cotali manicari, sì come
frittelle e macheroni, lasagne,
vermicelli e
similliante di pasta, sono sì come pane azimo. Ma tuctavia
qualumque di questi fia
confetto con olio o con latte sì è più ultimo
in malatia, ma ffie di magior nodrimento.
E 'l pane de l'orço, per comperatione di quello del grano, si
truova più freddo, il quale è di piccolo nodrimento e fa
venstositadi, e
male di fianco, e infertadi fredde, e il ventre
strigne.
E 'l pane ke ssi fa delli altri grani è sì come il grano di ch'elli si
fae.
E ne l'
amido si truova
viscosità per la quale i membri
scortichati
si fanno piani e puliti, il quale pulisce e
ramollisce la gola dentro e 'l
petto, quando le
polte si fanno di lui con çucchero e con olio di
mandorle; ma ispesse volte manicare fanno
oppilatione nel fegato.
E de l'acqua ancora
sulvuris si fanno
polte, le quali ànno
tersione,
cioè uno
strupicciamento e lavamento per lo quale il polmone
mondano e nettano.
E l'acqua de l'orço a quelli ke ànno febbre aguta giova, e lenisce
e pulisce il petto, e ancora seda la
sete, cioè atuta, e tollie l'ardore.
(+i) Cruscha. E la
similla di grano, cioè la cruscha, è
kalda e seccha e
'l nodrimento ke dona è pocho e malvagio, ma il
calore e la
sete spengne
(i-)
e giova a coloro k'ànno il fegato
kaldo se coll'acqua primieramente è
bene lavata; apresso con molta acqua
kalda
acconcia col çuchero
mescolata si bea.
(+i) E la
colatura sua sì à virtù di nettare i membri quand'ella è messa in
acqua calda e bene
stropiciata, e poi colata, e sia cotta a maniera di
gruello. E la
puote huomo donare in febri e in tutte
kalde malatie col zuchero, sì come di su
detto.
(i-)
(+i) E la semola, cioè la cruscha, de l'orço sì vale mellio, perciò ke nodrisce
più ke quella del
frumento e rafredda. Ma quella del grano è
lieve e temperata. E
ki fae bollire la crusca del grano in acqua e in vino e faccia di cioe uno impiastro
kaldo, e pongalo sopra le mamelle ke ssono
emfiate e dure per abondança di lacte,
sì le
disemfia. E questo impiastro medesimo vale altressì al morso e
traffigimento
di serpi e di tucte bestie velenose.
(i-)
L. III, cap. 4 rubr.Capitolo quarto. De la virtù e propietà de l'acqua e come si
dee elegere la buona.
L. III, cap. 4
(+i) L'acqua
naturalmente è fredda e humida e non dona punto di
nodrimento, salvo k'ella àe virtù di sottilliare il cibo e fàllo passare più
legiermente
per tucti i membri e
à virtù d'atare a tucti quelli ke ssono di chalda
komplexione
più ke non à il vino,
(i-) reprimendo e mitigando il
calore a coloro ke
ssono
rischaldati e a coloro ke ànno la complexione
kollericha è più
convenevole ke 'l vino.
(+i) E l'acqua ke l'huomo dee eleggiere sì è quella ke più è legiere e di
peso più lieve e ke più tosto riceve caldeza e fredeza e ke tiene millior sapore,
(i-) il quale um poco è
inkinato a dolceza, è giudicata per milliore. E
ancora l'acqua ke à malo sapore e
malo odore è rea e non si dee bere,
ma tuctavia alcuni beono l'acqua per kagione di medicina.
E l'aqua torbida nel fegato e ne le reni
oppilatione genera e crea
pietra.
E la
salsa acqua primieramente muove il corpo e poscia lo
strigne, e se alcuno la bee acostumatamente il corpo diseccha, nel
quale schabia e
ragadie, cioè quella infermitade, genera.
E l'acqua ke non corre e quella k'è putrida fa crescere la milza et
emfiare, e la complexione corrompe, e
febre genera.
E l'acqua
freddata co la neve, o quella ke di sé o di sua natura si
truova così fredda, percuote e fa male a lo stomaco, se alcuno la bee a
ddigiuno, ma molto raffredda il feghato. La quale neuno a
ddigiuno
osi bere, se non i riscaldati, imperciò ke a lloro giova in questo modo.
E presa sopra 'l cibo fa forte lo stomacho e acresce l'
appetito, de la
quale piccola quantitade basta. E l'acqua, la quale di sua fredeza o per
poca non
perviene infino a quello k'ella faccia dilettatione, e 'l ventre
emfia e la sete non menoma, ma l'
appetito
distruge e guasta, e il
corpo
disolvendo indebolisce, e a la perfine non è
konvenevole.
E l'acqua
kotta, infino a tanto ke sua substantia si redda, meno è
emfiativa e più tosto discende.
E l'acqua piovana ad coloro ke tosto cagiono in febbre è rea e
magiormente s'ella è molto stata, la quale ne l'altre sue dispositioni è
buona.
E l'acqua
tiepida fa nausea, cioè abominatione e voglia de
rendere.
L'acqua calda, la quale alcuni beono a
digiuno, lo stomaco
lava
da la superfluità del precedente nudrimento, la qual forse muove il
ventre. E se questa spesse volte si bee, lo stomaco corrompe e
indebolisce.
E l'acqua, ne la quale l'uomo si bagna, non è bene k'ella sia
molto calda né molto fredda, ma conviene ke intra queste due tengha
temperança, imperciò ke questa ai temperati corpi è più convenevole.
E l'acqua fredda i corpi grassi fortificha e li fa più chaldi ke
primieramente non erano e ai vecchi nuoce e a coloro ke ànno i corpi
deboli.
E l'acqua calda
rimuove e tollie la fatica e menoma il dolore, e
mollificha li apostemi, e acresce la belleza del corpo e le sue carni, e
provoca l'orina, ma il corpo disolve e indebolisce e il sangue fae tosto
uscire di coloro de' quali è acostumato d'uscire, e abbatte la virtù. E
de l'acque
calde ke
naturalmente sono
sulforee (cioè
sanno di
solfo) e
di bitume riscaldano i
nerbi e a le fredde infertadi de'
nerbi
giovano
quando l'
imfermi v'entrano entro. E a la scabbia e a le
pustole (cioè
papici)
giovano, e le budella riscaldano fortemente, e magiormente il
fegato.
E l'acque ke ssono salate di sale armoniacho e quelle k'ànno
male sapore il ventre allargano quando huomo le bee, e quando
huomo vi siede entro, e quando huomo ne fa cristeri.
E l'acque
kalde, ke ssopra l'
alume corrono,
giovano a coloro ke
sputano sangue, e a le femine a chui abonda troppo lor tempo, e a
coloro ke ànno le morici, ma ne' caldi corpi generano febbri. E
l'acque
naturalmente
calde ke bollono e arrostiscono disolvono il
male del fiancho e 'l gueriscono, e la grossa ventosità
infusa e sparta
ne' membri e lo
spasmo humido mandano via.
E l'acqua la quale corre sopra la terra, de la quale si trae il ferro,
giova a coloro ke ànno grande milça et
emfiata. E quelle ke corrono
sopra la terra de la quale si fae il rame, a coloro k'ànno la
complexione
corrotta si
pruova e truova molto utile.
(+i) L'acqua dolce ke dee essere buona a usare, sì dee essere kiara e k'ella
non abbia punto di savore, né d'odore, né di colore, perciò ke queste cose non puote
ella avere s'ella non è mischiata con altre cose, se non k'ella dee essere kiara in
tutte maniere e dee correre sopra terra k'è apellata sabbione. E tanto com'ella
corre più lungamente di tanto vale mellio e dee correre di verso il sole levante e al
vento da tucte parti
discoperta. E sança questa acqua ke noi avemo nomata, sì
dicono i
filosaphi ke ll'aqua de la
piova, k'è nettamente ricolta e ke ssia
caduta
d'alte nuvole, sì è la milliore di tutte altre, perciò k'ella è più sottile, ke per sua
sottilità vegiamo noi k'ella si corrompe più
legiermente ke ll'altre. E potete
conoscere la quale è più sottile e più lieve per questo
experimento. Prendete due
drappi di cotone o di lino d'uno peso, e
bagnateli in diverse acque, e li pesate al
ritrare ke ssieno d'iquali peso, e li ponete al sole a secchare, e quale peserà meno
l'acqua ov'elli sarà molle sarà più
lieve e milliore.
E ancora dico ke l'acqua ke più
legiermente si schalda e raffredda al sole,
quella vale mellio. E poi che voi sapete qual è la milliore e per bere e per usare, sì
vi dirò kome voi la dovete usare.
Sapiate ke bere l'acqua a
digiuno è mala cosa e quando l'uomo è
fatichato
altressì e perciò konviene k'elli
mangi um pocho; ma quelli ch'è sanguigno e àe
grande
calore nel ventre, e genti ke ssieno ebbre, la possono più arditamente
usare e bere; ma tuctavia la debbon bere soavemente e non troppa insieme, ké bere
troppa aqua insieme a
uvetta sì è troppo mala cosa, perciò k'ella potrebbe
amortire il
calore naturale. E ki
à grande mestiere di prendere grande quantità
d'aqua, sì la prenda quand'elli avrà mangiato moderatamente e non a
gorgate.
Ma d'amendare l'acque ke ssono corrotte noi non ne diremo ora più, perciò
ke noi il diremo qua inançi in suo proprio luogho. Avemo detto de l'acqua or
diremo del vino.
(i-)
L. III, cap. 5 rubr.Capitolo quinto. De la virtù e propietade del vino e come si
dee usare.
L. III, cap. 5Lo vino si truova essere diversificato e mutato in molte maniere,
cioè si può diversificare in colore e secondo la sua substantia,
(+i) in
savore e in odore, novello e vecchio, e secondo la sua
diversità si aopera
diversamente al corpo de l'huomo. Ma il buon vino naturale sì è quello k'è intra
novello e vecchio igualmente, e ke sua substantia è kiara e netta, e ke ssuo colore è
biancho e tiene una parte di rosso, e ke àe odore buono e soave, e ke
à savore non
troppo alto, cioè troppo forte, né troppo
fiebole, ma àe un savore intra dolce e
amaro verdetto. E questo è il vino ke conviene
usare a la natura de l'huomo ke la
vuole
sana tenere, ké quelli che di tale vino bee temperatamente, secondo ke la sua
natura
rikiede e domanda e può portare e l'usança e 'l paese richiede, sì fae buono
sangue, buono colore e buon savore, e tutte le virtudi del corpo più forti e sì fae
l'uomo lieto e di buon aire e bene parlante. E ciò sapevano i filosafi qua in
adietro, sì come quelli de la
regione di Persia ke
corregievano il popolo e le cittadi,
i quali bevevano buon vino ançi k'elli volessero consilliare o giudicare a
ragione la
gente, perciò k'elli sapevano bene e vedevano ke 'l vino li
facea più sottili e più
provedenti ne le cose k'elli avevano a ffare.
E sì come voi vedete ke 'l vino fa bene a colui che 'l prende temperatamente,
così dovete sapere k'elli fae male a colui ke 'l prende oltre ciò k'elli non dee, perciò
ke ki 'l
be' a digiuno sì ingenera
gotte sopra tutte cose, perciò ke 'l vino, quando
elli vae a la forcella, per sua sottilità sì non vi dimora tanto k'elli sia cotto, ançi
se ne va per li membri tucto
crudo, e fae
gotte venire e altre malatie assai. E dopo
mangiare, quando la vivanda cuoce, sì è mal bere, perciò ke la vivanda non si
cuoce a sua natura. Ma bere temperatamente quando huomo mangia e spesso sì è
convenevole. E non dee l'uomo bere tanto k'elli sia ebbro, con tutto ke alquanti
filosafi dicano ke d'essere ebbro due volte il
mese è sanità, perciò ke dicono, ke la
força del vino sì distrugge le superfluità del corpo e
purgale per sudore e per orina e
per molti altri luoghi. Ma certo di
divenire ebbro spesso avengono molte malatie sì
come
paraliticho,
appoplitiques,
spasmo e altre assai; e 'l membro ke più n'è
gravato per lo troppo bere sì è il
cervello e perciò si ne debbono guardare coloro ke
ànno il cereb
ro fievole, e coloro cui il vino fa male
legiermente sì debbono
usare,
poi k'elli ànno bevuto, mèle e ulive, o
molsa di pane in acqua fredda, o mèle
cotongne, e tucte cose ke
fummi
avallino.
Ma coloro ke volliono divenire ebbri, si
prenda
ollium e altre cose, sì come seme di
jusquiamo, e moscado, e scorça di
mandragora, e aloe, e
gala muscata, e altre cose ke 'l fumo del vino fanno montare
a la
testa.
E poi ke ll'huomo è divenuto ebbro per queste cose mangiare e vollia
disebriare, sì bea aceto mischiato in acqua fredda spesso e poco insieme, e sì fiati e
odori spesso la
canfera e acqua
rosa, e tengha ' suoi piedi in acqua fredda, e
ma
ngi molta di pane in
vergius, cioè in
agresto. E ki vuole assai bere sança
inebriare, sì può fare l'enfrascripte cose, cioè seme di chavoli, e
comino, e mandorle
monde ne l'acqua fredda a
digiuno. E quelli che ànno il
cervello
fiebole si debbono
guardare di vino alto mischiato in acqua di bere, perciò ke 'l vino alto e potente
mischiato in acqua inebbria più tosto ke non fae il puro; e di bere di diversi vini si
deono guardare per li diversi fummi ke riempiono il
cervello.
(i-) E ongne vino
ke inebria riscalda troppo.
E 'l vino biancho e kiaro, ke non soffera molta mescolança
d'acqua, è di minore riscaldamento, ma più è provocativo d'orina,
cioè fa orinare. E quello ke à colore di fuoco è amaro e che puote
ricevere magior conmistione d'acqua è di magior riscaldamento. E 'l
nero grosso e dolce, nel qual è ponticità, è di più
grossa natura.
E 'l vino ancora nuovo genera più sangue et empie le vene più e
più tosto.
E 'l vecchio si truova contrario a questo, e ancora
generalmente
il vino lo stomacho e 'l feghato riscalda, e 'l nodrimento fa passare, e
'l sangue e le carni e 'l
calore naturale
naturalmente acresce, e aiuta la
natura ne le sua propie operationi e la digestiva ne diviene più forte,
cioè la virtù ke cuoce il cibo. E per lui l'
expulsioni de le superfluitadi
e loro uscire fuori si fa leggiere e agevole, e questa è la chagione perké
santade e grosseza e forteza
perdurano e la vecchieza si ritarda. E
ancora il vino letifica l'animo. Ma s'elli se ne bee più che non è
mistiere, al fegato, al
cerebro e a'
nerbi fa
impedimento e triemito, e
spasmo, e parlasia, e
applopesia, e morte subitanea genera, ma s'elli si
bee temperatamente è kagione di molto bene nel corpo e ne' vecchi
magiormente.
E 'l vino puro, al quale si mescola poca acqua, a coloro ke
ssolliono
patire nel ventre
grossa ventositade e a coloro i chui
stomachi e fegati sono freddi giova.
E 'l vino dipurato e che à molta amistione d'acqua, a coloro ke
per lo vino sentono dolore e di lui s'inebbriano dà aiuto, avengna
k'elli
emfi il ventre.
E 'l vino grosso dolce e nuovo a coloro ke ànno opilatione
dentro o grosseza è nocivo, ma a coloro ke volliono tosto ingrassare
è buono.
(+i) E 'l beveragio ke ssi fa del vino dee l'uhomo considerare sua natura,
secondamente k'elli è usato e ke ssua natura richiede, ché molte nature sono ke
amano mellio vino grosso sì come i sanguigni, e altri che amano mellio vino chiaro,
e altri ke amano meglio vino novello, e altri sono ke amano mellio vino
vieto. E
secondamente ke l'huomo vede ke sua natura si
diletta più all'uno k'all'altro e
quello ke mellio loro vale dee l'uhomo
usare.
(i-)
E 'l beveragio ke ssi fa dell'
uve passe, la virtù è sì come la virtù
del vino k'è grosso e nero, avegna k'elli abbia
minor caldeza di lui. E
quello ke
à mistione di mèle è più chaldo ke 'l grosso vino, secondo la
moltitudine del mèle o la sua
paucitade bisognante in lui.
E 'l beveragio k'è fatto del mèle è fortemente
kaldo, il qual è
generativo di collera rossa, e no è convenevole a coloro ke ànno
kalda
complexione, ma giova a coloro ke ànno infermitadi fredde.
E 'l
beveraggio ke ssi fa di datteri e de'
fichi è grosso, per la
quale cosa è reo a lo stomacho e sangue malinconico genera e
oppilatione dentro, e maggiormente s'elli è nuovo è dolce, ma il
corpo ingrassa e in lui augmenta e cresce il sangue.
L. III, cap. 6 rubr.Capitolo sexto. De' beveraggi e prima de la cervigia.
L. III, cap. 6
(+i) Cervoisa sì è una maniera di
beveraggio ke l'huomo fa di vena o di
frumento o d'orço, ma quella k'è d'orço non è neente sì buona come quella de la
vena o del formento, perciò ke non
emfiano e non fanno tanta di ventosità. Ma di
che k'ella sia facta, o di vena o di
spielda o di
frumento, sì fa ella mala
testa et
emfia la forcella, e fae male alito di boccha e
malvagi denti, e riempie di grossi
fummi il cervello, e perciò ki con vino la bee si inebria
legiermente, ma ella àe
natura di fare bene orinare e di fare
bianca carne e morbida e soave.
(i-)
La
cervigia k'è facta d'orço i
nerbi impedimentisce e fa dolere il
capo et
emfia, ma provoca l'orina e 'l
calore ke è per ebreza riprieme,
cioè menoma. E quella
cervisa ke si fa di riso è
prociana a la predetta
ne le sue operationi, ma meno
emfia. E quella ke ssi
confice e fa di
pane
similageneo, cioè di pane bianchissimo, e che à seco mescolato
menta e appio è giudicata milliore di tucte l'altre. Ma tuctavia a'
riskaldati al sole e ne le dispositioni e ne' tempi
kaldi non è buona.
L'
ossi è freddo, il quale riprieme e menoma il
calore, e la collera
rossa, e 'l sangue, e tollie e menoma la
sete quando no à molta
dolceza, e la
flegma tallia e subtillia e absterge e
lava, e l'opilatione
apre, e l'orina
provoca; ma la gola e 'l petto fa aspri, la qual cosa fa
propiamente quando àe molta
aigrezza e a coloro k'ànno i
nerbi
deboli o che i· lloro ànno alcuno male, e a coloro ke ànno rase le
budella e discoperte e ke ànno i rupti
acetosi fa nocimento, e a coloro
fa male ke ànno freddo lo stomacho e 'l fegato.
Isciroppo
juleo è temperato, avengna k'elli apertengha a fredeza,
impercioe k'elli spegne la sete e la gola, e 'l
gorgozule redde e fa
pulito e piano, e giova a lo stomaco
infiato o infiammato, e riprieme e
spegne la febbre aguta se ssi bee colla neve.
L'
idromel sempice, cioè sanz'altra mescolanza, è
kaldo e
lenitivo, e fa rimedio a coloro ke ànno le fredde infertadi. E quello
ne la cui
confettione vi si pongono spetie è più ultimo (cioè melliore)
in quello e più caldo, onde a coloro ke ssono riscaldati nuoce; e a lo
stomacho giova lui mondificando e nettando dal
flegma, e riscalda i
nerbi, e conmuove la collera rossa.
E questi beveraggi ke falsamente sono kiamati vini, fatti d'
uve
passe e zuchero e di mèle, se in luogho di vino innançi ke bollano o
risegano o si riposino si beano, generano enfiamento e
sete o
fastidio,
e fanno fluxo di ventre, e 'l sangue e la collera rossa commuovono,
cioè fanno bollire. Ma quello ke ssi fa di mèle, quando è bene cotto,
meno
emfia.
Rub di viuole, cioè sugho di viuole, fredo è,
(+i) perciò ke le viuole
sono fredde e humide e vale
(i-) a l'
epilliotto e al
gorgozule e al petto
giova, ma a lo stomaco è reo.
E 'l rob ke ssi fa de l'acqua
bolliente, ne la quale rose ricenti
molte volte
fuorom poste e ciascuna volta fuorono rinovellate, fa
nauscha, cioè abominatione, e 'l ventre muove, cioè fa uscire.
E 'l rob sempice (cioè sança mescolanza) di mele cotogne
acetose il ventre
stringne e lo stomaco fortificha e tollie la sete.
E 'l
robb sempice (cioè sança altra
mescholanza) di
melegranate
acetose il vomito ritiene, cioè la vollia del reddere, e 'l ventre
strigne;
e a'
crapulati, cioè a coloro ke ssono
pieni di cibo, e a l'abominatione
e ai dolori del capo ke avenghono per troppa
pieneza di cibo giova.
E 'l rob sempice di mele acetose al batimento del cuore e a
l'ardore de lo stomaco e a l'abominatione fa rimedio.
E 'l rob del sugho dell'
uve acerbe riprieme e spegne la chaldezza
de la collera rossa e del sangue
fortemente, e l'ardore de lo stomacho
e la sete, ke viene per
kaldeza, spengne e
miticha, e 'l ventre e 'l
vomito costrigne.
Rob de ribes è sì come rob di sugho d'uve acerbe e poco più
opera.
E 'l rob del sugho de le melerance fa secondo ke fanno i
predetti e costrigne il ventre secondo ke fanno i predetti, ma il
calore
spengne più fortemente di questi.
E tutti i predetti rob ke detti sono nocciono a colui nel cui petto
àe
aspritade.
E 'l rob de le susine spengne il
calore del sangue e de la collera
rossa, e 'l ventre allargha, e al
gorgozule non nuoce molto. E l'altra
lettera dice: molto nuoce.
L. III, cap. 7 rubr.Capitolo septimo. De la virtù e propietade di tucte karni ke
ss'usano di mangiare.
L. III, cap. 7
(+i) La carne più di tutte l'altre cose ke
nnodriscono dona al corpo
più di nodrimento e 'l corpo ingrassa e fortificha e ki di lei si nodrisce à
molta repletione. E perciò ki ll'userà molto, e buon vino kon esso, sì àe
mestiere di torresi spesso sangue,
(i-) e magiormente se alcuno kon
essa berà vino,
(+i) perciò k'ella riempie le vene e tutto il corpo sopra tutte cose.
E perciò k'ella è convenevole a la natura de l'huomo, sì vi diroe la natura di tucte
cose ke apartengono a la natura di tucte
karni ke conviene a l'huomo usare.
(+i)
(+i) Voi dovete sapere ke tucte
karni ke l'huomo usa o elle sono salvage, o
elle sono dimestiche, o elle sono maschili, o elle sono feminili. E sappiate ke tute le
salvatiche sono più calde e secche ke le
dimestike e si cuocono più malagevolmente
a la forcella, e perciò donano meno e più mal nodrimento. E così dovete intendere
ke tucte
karni ke sono maschili sono più calde ke le
fenminili, ma elle donano
millior nodrimento e si
cuokono più
legiermente ne la forcella.
(i-)
(+i) Carni di bestie
castrate tengono la natura de' maschi e de le femine. E
dovete sapere ke tucte
karni di vecchie bestie e di novelle ke ssieno tratte de' ventri
a le bestie sono tucte malvagie e perciò ciascuno se ne dee guardare, e questo vi
conviene sapere
generalmente di tucte carni. Ora parleremo
spetialmente di
ciascuna.
(i-)
(+i) Carne di
porco sopra tutte altre carni di bestia è più fredda e più
humida e dovete intendere de la dimesticha, percioe ke la carne del
porco
salvaticho, a comperatione de la dimesticha, sì è
kalda e seccha; e la dimesticha
quando l'uhomo la mangia, s'ella si cuoce bene a la forcella, sì dona buono
nodrimento e fae il ventre molle, perciò k'ella è humida e viscosa. Ma voi dovete
sapere k'ella diversificha sua natura secondo il tempo ke l'huomo la truova, sì
come di porcelletto
giovane di latte o di quello k'è vecchio.
(i-)
(+i) La carne del porcello giovane di latte è più humida e più fredda e più
viscosa d'altra carne e perciò sì ssi corrompe
legiermente e ingenera mali homori. E
non la dee neuno usare salvo ke coloro k'ànno lo stomacho forte e ke ssono di
complessione
kalda e seccha, ké ella loro dona assai di nodrimento perciò ke ella
si cuoce bene. Ma quelli che ànno il corpo d'umida natura e ke ll'ànno pieno di
mali omori se ne debbono guardare, perciò k'ella loro acresce malvagi omori, e lor
fae venire gutte ne' piedi e ne l'anche e dolore di fiancho, e genera pietra e parlasia
e altre malatie assai. Quelli ke ssono di magior tempo valliono melio, e donano
millior nodrimento, e ingenerano millior sangue, e valliono mellio. Ma quelli ke
ssono
kastrati e sono vecchi sono di mala natura, perciò li fa mal usare ké elli
ingenerano sangue malinconicho e fanno venire febbri cotidiane e quartane e altre
somillianti malatie. E s'ella è insalata d'un die o di due sì è più sana, perciò ke 'l
sale amenda sua malitia de la viscositade. E s'ella è dimorata salata d'un anno o
più o meno, sì dee essere calda e seccha per la força del sale e ingenera malvagio
sangue, ma ella dona apetito di mangiare. E se la carne del
porcho non sapesse de
l'erba, il diritto mangiare di lei sarebbe di state, perciò k'ella è fredda e humida di
sua natura, sì come voi avete
udito. E notate ke la carne del porco non dee l'uomo
usare lungamente, ma i membri ke l'huomo ne puote più usare sono i piedi e i
grifi.
(i-)
(+i) Charne di bue sì è fredda e seccha di sua natura e ingenera grosso
sangue e
malinchonoso; e quando ella si cuoce bene ne la forcella, sì dona assai
nodrimento e non è buona a usare, se non a coloro ke ànno lo stomaco
kaldo e
forte, perciò k'ella dimora molto ne la forcella e non si cuoce né micha
leggiermente. E perciò koloro ke ànno la complexione malinconosa si ne debbono
guardare ke ddi sua natura fa venire quartane,
rogna, ydropisia, litigini e una
maniera di malattia ke la fisicha apella
helefantia, e cancro, e altre malinconose
malatie. E dovete sapere ke la carne del bue si diversificha secondo il tempo k'ella
è e ke l'huomo la truova, sì come carne di latte ke allatta, ke dona millior
nodrimento e più
agevolmente si kuoce. E perciò k'ella è humida per lo allattare
ke ffae, sì ingenera buono sangue, e perciò la puote usare que' ke ssi levano di
malatie di collera, sì come di terzana doppia e d'altre somillianti
malatie. Carne
di bue k'è di magior tempo non è tanto da pregiare kome quella ke detta avemo,
con tucto cioe k'ella sia buona a coloro ke ssi
affatichano e a coloro ke ànno la
forcella forte. Carne di bue vecchio sì è del tutto rea, perciò k'ella è fredda e
seccha e dona piccolo e malvagio nodrimento, e percioe è rea a usare ke ssopra tutte
le cose fa venire le malatie ke dette avemo dinançi.
(i-)
Carne di vaccha è grassa e molto nodrisce, e genera sangue
grosso e spesso, e non è
kongrua e buona se non a coloro ke usano
gran faticha. Da la quale manicare si deono sofferire o astenere
koloro ai quali
maninconice infertadi solliono avenire.
(+i) Carne di pecora sì è più calda ke quella del porco, ma ella non è sì
humida et è più calda e più humida ke quella de la chapra o del bue, e perciò è
più legiere e mellio si cuoce a la forcella, e dona mellior nodrimento, e fae il ventre
molle più che quella de la capra o del bue, ma ella diversi
fica suo nodrimento
secondo il tempo ke tucti agnelli, quando elli lattano, sono
malvagi a mangiare,
perciò ke lloro
karne è viscosa e non si cuoce bene a la forcella, e
spetialmente ne la
forcela fredda k'è piena di mali homori.
(i-)
(+i) E
karne d'agnello d'uno anno sì è buona a mangiare, perciò k'ella è
kalda e humida, e si cuoce bene
legiermente a la forcella, e ingenera buono sangue,
e dona buono nodrimento.
(i-)
(+i) Charne di
montone giovane sì è meno viscosa e meno
humida, ma ella
è più seccha ke quella de l'agnello di latte o de la pecora e perciò sì vale mellio a
mangiare ke ella si cuoce bene ne la forcella e assai ingenera buono sangue, e
spetialmente quando elli sono castrati, perciò ke allora sono elli
kaldi e humidi
temperatamente. Et è una
karne più convenevole a la natura de l'huomo, ma
k'elli non sia vecchio, perciò ke perde sua buona natura. E lor buono nodrimento
è per loro vechieza.
(i-)
E la carne del
castrone, cioè la carne pecorina maschio e femina,
è più grossa de la carne del cavretto e più cresce la força e più
superfluità fae,
(+i) e tuctavia la charne del
castrone vecchio è milliore ke di
tucte altre bestie di gran tempo.
(i-)
(+i) Carne di beccho a comperatione di quella de la pecora sì è più fredda e
tucto sì è ciò ke 'l sangue ke nn'è ingenerato sia più sottile e più aguta, perciò ke
ssua carne è più seccha e non si ne 'ngenera né mica
legiermente malvagi omori.
Ma ss'elli è kastrato sì vale meglio perciò k'elli è più temperato, sì ssi kuoce più
legiermente e dona millior nodrimento, ma il nodrimento ke dona sì puote essere
buono e reo secondo il tempo, ké
karne di
kavretto sopra tucte altre
karni si
chuoce più
legiermente a la forcella, e dona milliore nodrimento, e ingenera millior
sangue, et è la più temperata carne ke l'huomo possa avere né usare, e perciò la
possono usare quelli ke ssono di malatie calde e seche rilevati e ke sson magri e ke
ànno
fiebole forcella. E sappiate ke tanto kom'elli
allactano sì
valliano mellio, e
mellio nodriscono, e meno ànno di superfluità, e valliono mellio ke lli agnelli di
lacte; con tucto sia ciò ke la pecora sia più sana ke la capra, ké il latte donde il
cavretto si nodrisce è meno viscoso e meno grosso ke 'l lacte onde si nodrisce
l'agnello, ké voi dovete sapere ke tucte bestie ke
allattano ànno la natura del lacte
ond'elli sono nodriti. E s'elli aviene ke 'l beccho sia giovane e
debbia
lasciare il
latare, sì dona assai nodrimento, ma elli è reo, perciò ke 'ngenera sangue
mani
nconoso. E perciò Galieno non
loda neente, né becco né capra giovane,
perciò k'elli ingenera malvagio sangue, kon tucto sia ciò ke la capra sia più sana
ke 'l beccho, e se 'l becho è di gram tempo di tale carne non dee l'uomo mangiare
perciò k'ella è fredda e seccha e neuno bene al corpo de l'huomo non potrebbe
donare né fare.
(i-)
(+i) Carne di capra sì è fredda e secha e non si cuoce a la forcella kome
quella de la pecora e, perciò k'ella è più seccha, sia meno di superfluità e nodrisce
meno il corpo. E non è buona a usare a quelli ke ànno fredda natura e ke
legiermente
kagiono in malatie fredde, ai quali la
montanina più giova, overo la
castratina. Ma a coloro ke ànno la repletione e a coloro a chui solliono venire
kalde infertadi di repletione più giova la carne
kaprina, ma coloro la debbono
usare la carne
caprina ke ssono di
kalda natura e ke di
kalde malatie divengono
malati. E ki usare la vuole, sì la mangi quando ella è giovane e non neente
quando ella è
vecchia, ké carne di
vecchia capra non è profitabile, né utile al corpo
de l'huomo.
(i-)
(+i) Carne di cerbio e di daino sono due carni fredde e secche, ma quella del
daino è um pocho più chalda, ma tuctavia malvagiamente si cuocono a la forcella e
ingenera malvagio sangue e malinconoso. Ma ssì come detto avemo de l'altre carni,
secondo l'etadi diversificano in loro natura di donare buono o reo nodrimento. E
karne di cerbio, quando ella è giovane, sopra tucte
karni
salvatike vale mellio e
il sangue ke nn'è ingenerato sì è più sottile e meno àe di superfluità; e, avengna
Dio k'elli sia malinconoso quando elli sono giovani s'elli sono
kastrati, sì valliono
assai mellio e la charne è più temperata. Ma
karne di cerbio vecchio non dee
huomo usare perciò k'ella è del tucto in tucto rea.
(i-)
La carne del gaçello intra le carni
salvatiche è milliore imperciò
ke 'l sangue ke di lei s'ingenera à poche superfluitadi, il quale,
conciosiacosak'elli sia seccho, a meninconia apartiene.
E la carne de' becchi salvatichi è più grossa e più
propimqua a
maninconia.
E la carne de' cerbi vecchi e
onagrina, cioè de l'
asino salvagio,
una medesima operatione ànno a ffare, ma l'
onagrina riscalda più,
(+i) imperciò k'ella è più generativa di malinconia dell'altre.
(i-)
Carne di
kanmello essendo molto
kalda genera malinconia.
Tucte queste carni generano sangue malinconicho.
(+i) E la charne de la lievre questa cosa opera. Carne di lievre sopra tucte
l'altre
karni salvagie ingenera malinconia, ma tuctavia vale ella mellio ke
karne
di beccho né di capra a usare. E si debbono di tale charne guardare coloro ke
ànno la
complesione seccha e magra, perciò k'ella nodrisce poco e
malvagiamente.
(i-)
(+i) Carne di conillio si tiene um poco de la natura de la lievre, ma ella è
assai più temperata e perciò vale mellio a usare. E la possono usare coloro ke di
calda malatia sono rilevati, perciò k'ella conforta lo stomacho e dona apetito di
mangiare e 'l sangue ke nn'è ingenerato sì è buono e sottile, ma elli è um poco
malinconoso.
Carne d'orso sì è sopra tucte
karni viscosa e più malagevolmente si
chuoce a
la forcella e dona
pigior nodrimento ke nulla altra carne, e perciò si ne dee huomo
ben guardare. E se
usarela conviene, sì vale mellio a usare per malatie rimuovere
ke per santade guardare, che ssì come disse
Diascorides tutti i membri de l'orso
ànno
similliante natura di diliberare le malatie de' membri ke al corpo de l'huomo
avengono.
(i-)
E notate ke la
karne delli animali
vecchissimi e ingrassati e di
coloro ke ssi tragono del corpo delli animali dinançi al parto non
sono da manichare. E quella k'entra queste due si truova mezana è
mezana. E quando quella
karne sarà de l'animale più giovane, sarà più
humida; e quando sarae dell'animale molto vecchio sarà più seccha.
E universalmente ogne
karne
kalefa e riscalda, la quale è
incongrua a coloro ke ànno febre e a coloro ke ssono molto ripieni.
E ancora la carne rossa sança grasseza è di magior nodrimento
ke quella k'è con grasseza, la quale genera ancora più poke superfluità
e più corrobora e fa forte lo stomacho.
(+i) Voi dovete sapere ke
karni d'uccelli volanti o elli sono salvagi o elli
sono
dimestichi. E tucti i dimestichi sono più temperati e mellio nodriscono ke i
salvatichi. Or vi diremo primieramente de' dimestichi.
(i-)
(+i) Sappiate ke i polli ànno
karne più temperata e ke più
legiermente si
cuoce e milliori sangue ingenerano di tucti
ucceli
dimestichi, e più confortano, e più
ànno
konvenevole natura di tutti uccelli dimestichi. E perciò sono buoni a usare a
coloro ke sson magri e ke ànno la forcella
fiebole e a coloro che ssi lievano di
malatie, sì la debbono mangiare in
vergiusso e con un pocho di
kannella perciò che
conforta lo stomacho.
(i-)
(+i) E dovete sapere ke la carne del galletto, quando elli
comincia a
chantare, vale mellio ke la femina, perciò ke non è neente sì viscoso, ançi è più
kalda la carne e più humida temperatamente.
(i-)
(+i) Carne di
gallina è meno humida ke quella de le pollastre e si cuoce
meno tosto a la forcella, e quando ella si cuoce bene a la forcella sì dona assai di
buono nodrimento. E intendete ke
gallina ke non sia posta è quella ke mellio
vale, perciò ke la sua carne è più temperata, e ingenera millior sangue, e conforta
la natura de l'huomo a usare con femmina.
(i-)
(+i) Carne di gallo tanto com'ella è più vecchia tanto vale peggio a usare,
perciò k'ella è dura, e dona malvagio nodrimento; e vale più per malatie rimuovere
ke per sanitade guardare. E vi diremo come ki prendesse uno gallo bene vecchio, e
'l vòti dentro e riempia di
polipodio e d'anici, e faccial cuocere in acqua, tale acqua
vale a quelli che ànno dolore di fianco e a quelli che ssono stitichi k'ànno duro il
ventre, e vale a que' ke triemano e a tucti quelli che ànno malatia di fredura. E
ancora vale molto se voi prendete il gallo e partitelo e ponetelo sopra morso di
velenosa bestia, sì ne trarrae il veleno. E intendete ke ddi tanto quanto elli è più
vecchio di tanto val mellio a queste cose ke dette avemo.
(i-)
(+i) Carne di colombo sì è
kalda e seccha, e spetialmente di colombo vecchio
k'àe la carne dura, e perciò si cuoce male a la forcella e dona reo nodrimento.
Ma quelli ke ssono giovani pippioni e nom possono volare sono
kaldi e humidi e
nodriscono bene, e il sangue ke nn'è ingenerato sì è grosso e viscoso. Ma p
ipioni
ke
comincino a volare sì nodriscono mellio e ingenerano sangue più kiaro, ma non
li fae buono usare a que' k'ànno
kalda natura e seccha e che per
calore
legiermente divengono malati.
(i-)
(+i) Carne d'
ocha vecchia sì è fredda e seccha e grossa e ingenera grosso
sangue e malinconicho, perciò si ne debbono guardare coloro ke ànno complexione
malinconicha, e ke ànno
fiebole forcella, e ke ànno malatia di milza, e ke
achagiono
agevolmente in fredde malatie ke di sua natura fae venire malattia
kalda, quartana e assai d'altre somillianti infertadi. E perciò no la fa buono
usare. Ma ki usare la vuole, sì è buona a usare tanto com'ella è giovane, ke per
loro giovaneza sì è loro complexione più temperata. E non intendete ke di tanto
kom'ella sia più giovane k'ella ne sia milliore, perciò ke quando ella è troppo
giovane sì è viscosa e di male savore. E sua propia medicina per amendare sua
malitia sì è di mangiarla in
vergius coll'
agresto. Ma di kente ke tempo ella sia
vale ella mellio a usare ke carne d'ocha salvagia.
(i-)
(+i) Carne d'anitra si tiene a natura d'ocha e sì ingenera homori grossi e
viscosi, ma ella è più calda ke
karne d'ocha. E quando ella si cuoce bene ne la
forcella, sì nodrisce mellio e più ke
karne di
gallina, ma il nodrimento non è
neente sì buono. E intendete ke quella ke non à posto vale mellio ke quella ke àe
posto, perciò k'ella è più temperata in sua natura e ingenera mellior sangue e vale
del tutto mellio ke la salvaticha. E la diritta medicina per sua malitia amendare
sì è di mangiarla
arosto,
kom
pepe nero, e a questo savore di pevere nero amenda
sua malitia. E la dimesticha si tiene a questa natura e la salvaticha maschio,
salvo ke sua natura è um poco più calda. E intendete ke ssopra tutti uccelli ke in
riviera dimori sono l'oche salvatiche più convenevoli a la natura de l'huomo i
maschi ke le femine. E conviene ke l'huomo nolle mangi neente dinançi k'elle
abbiano uno anno e ke ssono uccise dinançi un
giorno ke l'huomo le mangi. E ki
ll'userà in tal maniera, sì ingenerrà buon sangue e dona assai nodrimento.
(i-)
(+i) Carne di
pernice, cioè de la starna, è
kalda temperatamente e più
lieve si truova de la carne delli
ucelli e più
konvenevole ad coloro ke
per sottile
regimento si volliono guardare. E sopra tucte
karni d'ucelli
salvagi è la milliore e fae millior sangue, e percioe la debbono usare quelli che
amano ad avere buon sangue e lor corpo in santade mantenere.
(i-)
(+i) Dipo questa la charne de la quallia non è sì buona, ma ella è im
bontà secondo lei, la quale ingenera piccola superfluità e tiensi a la natura dinançi
detta, e la dee huomo elegere ke ssia giovane e grassa. E s'ella è vecchia ingenera
più malvagio sangue, e
ristrigne il ventre ki à menagione, e ingenera sangue
malinconoso.
(i-)
(+i) Carne di fagiano sì è
kalda e humida temperatamente e dona assai
buono nodrimento kome carne di gallina, ma quelli che ssono giovani si tengono di
tutte cose a la natura de la gallina, salvo ke voi dovete intendere ke lli homori ke
ssono ingenerati di lui è più grosso. E ki 'l vuole usare, sì 'l dee uccidere un die
dinançi e poi apresso mangiarlo, e suo diritto savore a ke l'huomo il dee mangiare
sì è
salsa
kammellina ov'elli abbia assai di
kannella di
kardamone. E intendete
ke il maschio vale mellio a usare ke la femina, perciò ke 'l sangue ke nn'è
ingenerato sì è kiaro e sottile.
(i-)
(+i) Carne di paone e di grue si tiene a una natura e sopra tucte carni più è
grossa e dura e più tardi si cuoce a la forcella, salvo ke la carne de lo
struzo, ke
ssopra tucte
karni d'ucelli è più dura e più grossa. E il sangue ke n'è ingenerato è
più malinconoso, e perciò ki
karne di paone e di grue vuole usare sì 'l conviene, se
ciò è di state, ke l'homo lo faccia uccidere un
giorno dinançi. E s'elli è di verno, si
dimori tre
giorni morto, e apresso sì 'l dee l'uomo mangiare con savore di pepe
nero.
(i-)
(+i) Carne di cecero sì ssi tiene a natura d'ocha salvaggia, ké elli ingenera
sangue grosso e malinconoso. Ma
karne d'airone è più calda, ma lli omori che di
lei sono ingenerati è malvagio e sono
perilliosi a mangiare per loro malvagio
nodrimento; e così si tiene carne di
cicogna e tucte
karni di somillianti uccelli. E di
queste cotali carni ki usare le vuole, di tanto quant'elli l'usa, à pever nero più
forte; e di tanto
vallion mellio per lor maliçia amendare e sono milliori a usare di
verno ke di state, perciò ke i ventri son più
kaldi.
(i-)
(+i) Carne di passera è
kaldissima sopra tucte
karni di piccoli uccelli e
conmuove la luxuria e 'l sangue ke nn'è ingenerato sì è molto
kaldo e
kollericho
più ke niuno altro sangue di piccioli uccelli. E perciò non è buona a usare di state,
e spetialmente a quelli che ssono di
kalda natura, ma di verno si puote più
sicuramente usare, e
spetialmente quelli che ssono malati di fredda malatia.
(i-)
(+i) Le carni delli altri uccelli sì ssono più temperate, e 'l sangue ke nn'è
ingenerato sì è più kiaro e più sottile, e vagliono a usare a coloro ke ssi lievano di
malatie, perciò ke nodriscono bene e confortano l'
appetito.
(i-)
La carne dell'alodola la quale è kiamata
kapelluta
strigne il
ventre.
(+i) La carne de l'allodola e de la gallina si tiene a una natura e di lor
natura si aiutano a
rristrignere il ventre, ma quando l'allodole son cotte in acqua
et elle sono grasse, sì à natura il brodetto d'amollare il ventre, e ciò de la natura de
la grassa e non per natura di lor
karne; ma ki usare le vuole, elle valliono mellio
quando elle son grasse ' arosto con la salina, e con suo savore di salina sì s'usino
di mangiare.
(i-)
(+i) Carne di piviere e di tordi si tengono a una natura, salvo ke la carne
del
tordo è
kalda e humida più temperatamente e perciò sì è buona a usare ke ella
ingenera di buon sangue. Carne di piviere non ingenera neente sì buono sangue,
ma quello k'è ingenerato di lui è um poco malinconoso e di più seccha natura che
'l
tordo. E 'l diricto tempo nel quale l'uhuomo li dee usare sì è ne l'autunno ke
allotta è lor natura più convenevole a la natura de l'huomo. E 'l diritto mangiare
sì è arosto con salina o com pever nero.
(i-)
La carne
sissonis e delli altri uccelli salvatichi quanto elli sono
più rossi o più neri tanto sono più
kaldi, e 'l sangue
maninconicho più
presso paiono. E qualumque di quelle à malo odore, sì genera
pigior
sangue e imperciò in nulla maniera si debbono mangiare.
E la carne delli uccelli che dimorano ne'
fiumi o ne' laghi fa
molte superfluità, la quale se à malo odore sì è giudicata piggiore.
L. III, cap. 8 rubr.
Capitolo
.viij. De la virtù de' membri delli animali ke
ss'usano di mangiare.
L. III, cap. 8
(+i) Lo chapo è di grosso nodrimento e di grande, percioe si scalda e no è da
manikare se non ne' tempi freddi, perciò ke molte volte di lui febri s'ingenera e
male di fianco, ma tuttavia di sua natura molto conforta l'apetito e 'l sangue la
sperma acresce.
(i-)
(+i) Il cerebro, cioè il cervello, sì è freddo e humido e,
conciosiacosak'elli sia freddo, fae abominatione e a lo stomaco nuoce
e vi si corrompe
leggiermente;
(i-) il quale da tutti quelli che pilliare e usare
lo volliono dinançi a ogne cibo è da mangiare, s'elli non ànno a
prendere medicina da muovere;
(+i) o vollia vomire, ke ki vuole vomire,
cioè redere per boccha, sì 'l dee mangiare dopo le vivande. E dovete intendere ke
elli non è convenevole a ma
ngiare né ançi cibo, né dopo cibo, se non a coloro che
ànno la complexione
kalda e seccha e ke ànno la forcella piena di mali homori. E
quando homo di tale natura il cuoce bene, sì dona gran nodrimento e dona talento
d'usare con femina. E a coloro ai quali solliono
avenire le
'mfertadi fredde non è
buono. Ma ki 'l mangia kon savore d'aceto, e di pepe, e di gengiovo, e di
kannella, e di menta, e di pretosemolo, e d'altre cose sembianti, sì dona
nodrimento a koloro k'ànno la complexione calda sì come detto è.
(i-)
(+i) La midolla de la schiena à comparatione a le midolle dell'altre ossa
del corpo e sì è fredda e humida e tiene la natura del cerebro. E quando ella si
cuoce ne la forcella, sì dona più nodrimento ke non fa i· cervello, ma la midolla
delli altri ossi è temperata e intra caldezza e fredeza è vicina e
prociana a
temperamento, ma tuctavia aproccia e si tiene più a chaldeza ke in
fredezza, la quale la sperma acresce e lo stomacho
ramolla e di sua
natura dona talento d'usare con femina. E la midolla ke mellio vale è di bestie ke
rugino.
(i-)
(+i) La grassa k'è mischiata co la carne e all'osso del costato e d'altri
luoghi sì è calda e humida e grossa e notrisce li
spiriti e fae abominatione; e la
grassa che non è mischiata co la charne né à osso, sì ssi tiene in questa medesima
natura, ma dona più malvagio e più grosso nodrimento, e ingenera fummi grossi, e
tura le vie del corpo, e non vale se non a condire e a dare savore a le vivande.
(i-)
(+i) L'occhii sono diversa natura perciò k'elli sono fatti di diverse cose sì
come di charne, e di
nervi, e di grassa, e d'omori. E perciò konviene k'elli abbia
diverse nature ké 'l grasso ke v'è sì è
kaldo e humido, i
nervi e l'altre cose sì ssono
freddi e secchi. Ma voi dovete intendere
generalmente ke li occhi di grassa bestia
sono freddi e humidi, e di magra sono freddi e secchi. E sappiate k'elli si cuocono
a la forcella più
legiermente ke lli altri membri, ma per la grassa ke v'è mischiata
sì sono pesanti e grossi e non si cuocono neente
legiermente. E per lor malitia
amendare konviene ke l'huomo li mangi con savore di gengiovo, di pepe e di
cannella.
(i-)
(+i) Le nari e li orecchi sono freddi e secchi di lor natura, e sono ingenerati
d'una matera, e si
cuokono male nello stomacho, e danno poco e reo nodrimento,
ma elli confortano la natura um poco quando huomo li mangia kon
vergius o con
mostarda.
(i-)
(+i) La lingua sì è fatta di diverse materie mischiate intra
kalde e fredde,
ma ssì si tiene più in freddura ke in
calore e ki la mangia con savore di
pepe, di
cennamo, e di gengiovo, e con aceto, e di sembianti spezie, sia natura di confortare
e nodrisce bene. E s'ella è salata sì acresce sua natura di donare apetito.
(i-)
(+i) Gorgoçule è freddo e seccho di sua natura e perciò sì dona poco e mal
nodrimento e non è né micha obidiente a la virtù de lo stomaco. E perciò ki usare
lo vuole, sì 'l conviene usare con salsa di buone spetie calde.
(i-)
La poppa, overo l'
uvero, è freddo e grosso, il qual avengna che
molto nodrisca, tardi si digere e giova a coloro che ànno lo stomaco e
il fegato caldo.
(+i) Lo cuore sì è di dura e di fredda e di seccha natura, il quale tardi si
digere, e non si kuoce
legiermente, e non molto nodrisce, ma se ssi digere, sì dona
assai gran nodrimento.
(i-)
(+i) Il polmone sì è di fredda e d'umida natura e dimora poco ne la forcella
e dona meno nodrimento ke tutti li altri membri. E quello k'elli dona sì è
malvagio,
flegmaticho, e grosso, e viscoso. E perciò no 'l fa buono a usare a coloro
ke ànno la forcella fredda e ke non ànno
appetito di mangiare; e se
usarelo
conviene, sì 'l mangi con savore di buone spetie per sua malitia amendare.
(i-)
(+i) Il fegato sì è
kaldo e humido e sopra tucti altri membri dimora e si
cuoce, più anoia e tarda a lo stomacho, ma quando elli si cuoce, sì dona buono e
assai nodrimento. E 'l feghato ke mellio vale sì è di quello k'è di bestia di latte, e
di quello ke non
lactano sì è milliore quello de la gallina, e
spetialmente quando
la
ghallina sarà nodrita di
fave e di
frumento.
(i-)
(+i) La milça sì è di fredda e seccha natura, e dona poco e malvagio
nodrimento, e dimora molto a la forcella, e il sangue ke nn'è ingenerato sì è nero,
grosso, e malinconoso, e perciò sì non la fa buono
usare per santà guardare, ma di
sua natura conforta le gengie e sopra tutte le milze de le bestie milza di
porcho è
la milliore.
(i-)
(+i) Il
guisciere sì è di natura freddo e seccho, ma elli àe natura di
confortare e di donare buono apetito di mangiare.
(i-)
(+i) Lo stomaco sì è di diversa natura, ké la boccha sì è fredda e seccha per
l'abondanza de'
nervi ke vi sono e perciò sì ingenera poko sangue e malinconoso,
ma il fondacho de lo stomacho sì è
kaldo e humido per lo grasso. Ma tuctavia è
elli duro per cuocere a la forcella, e quando elli si cuoce bene, sì nodrisce molto, e
no 'l conviene usare a coloro ke ànno la forcella
fredda, ké elli ingenera grossi
homori e viscosi. E dovete intendere ke 'l
fondo de lo stomacho è quello onde
l'uhomo fae
tripes. Lo stomacho conforta ma tosto satia lo stomacho. E nota ke 'l
ventre tardi si cuoce e nodrisce e flematico sangue genera.
(i-)
I moscoli, overo i
lacerti, fanno sangue che
habonda molta
humiditade e generativo di molta superfluitade, il quale, tengnendo in
sé viscositade, è di
minor caldezza.
(+i) Li ernioni sì sono di grossa natura e donano reo nodrimento, e sì
corrompe molto
legiermente, e il sangue ke nn'è ingenerato è grosso e malinconoso.
E 'l grasso sì dee l'uomo schifare, perciò k'elli è ingenerato da l'orina ke quindi
passa e tardi si
digerono, i quali non danno buon nodrimento.
(i-)
La carne sanza grassezza, cioè rossa, è generativa di sangue
seccho e fa poke superfluità e più nodrisce de l'
adipe, cioè ke 'l
sugnaccio.
Il grasso genera sangue
humidissimo, il quale fae molte
superfluitadi, ma è di minore nodrimento.
(+i) Carne grassa e magra sì è
kalda e humida temperatamente, perciò ke
'l sangue ke nn'è ingenerato sì è kiaro e sottile e buono, ma de la charne k'è sança
grasso sì non ingenera neente sì buoni homori né sì
convenevoli al corpo de l'huomo
kome di quella k'è mischiata e à poca superfluità.
(i-)
E la carne nominata, cioè a ssapere intra grassa e magra, genera
sangue temperato.
La cotenna genera freddo sangue nel quale è molta
viscosità e fa
oppilationi.
(+i) Buccia e
nervi sono freddi e secchi e l'omore ke nn'è ingenerato sì è
freddo e malinconico, ma se 'l
nervo si cuoce ne la forcella, sì dona più di
nodrimento e milliore ke no fae il buccio, overo la cotenna.
(i-)
I piedi generano sangue viscoso, il qual è più freddo e più lieve
ke neuno che la carne generi.
E le parti
dinançi delli animali sono più calde e più lievi, e quelle
di dietro sono più
gravi e più fredde.
L. III, cap. 9 rubr.Capitolo .ix. De le virtù le quali aquistano i cibi per l'artificio e
per l'aparekiamento di loro.
L. III, cap. 9La carne arrostita sopra la brascia molto nodrisce e tosto il
corpo fa forte. E questa giova et è di grande efficacia a coloro ai quali
è uscito molto sangue, ma tardi si digere e apena, o non giamai tucta
del tucto si digere. La quale non si dee prendere dop'altro cibo, né co
llei altro cibo si dee prendere, dipo 'l cui mangiare beveragio non si
dee prendere se non im picola quantitade e quando grande necessità
vi ci menasse o sforzasse.
E la carne
fricta col grasso fa
fastidio e de lo stomacho tardi
discende, il cui nodrimento è grande et è più grande di quella ke
ss'
arostisce sopra la brascia. E quella ke ssi frigge nell'olio è più
lieve
e più
digestibile.
E la carne ke ne le padelle, posta nel
forno, si cuoce è rea,
imperciò ke poco nodrisce. Ma a coloro ke fanno rutti
acetosi è
buona.
Universalmente tutte le spetie de'
mortadelli e de le padelle
piccolo nodrimento
à ' riguardo e comparatione de' cibarii ke ànno
brodetto e sugho. Ma a coloro ke ànno molti omori giova e danno
aiuto a coloro ke volliono i lor corpi disecchare e sottilliare.
E la charne che ne lo schedone s'
arrostisce grossa è e molto
nodrimento dona, la quale non si cuoce e
digere, se non quando lo
stomacho truova forte e caldo. Ma il ventre
strigne e quello fa
propiamente quando di lei non si manucha quello k'è grasso.
Indebozi dinançi a ogne cibo si dee mangiare, al quale sia
mescolata cosa ke faccia uscire, imperciò ke di lui aviene spesse volte
il male del fianco e propiamente quando si manucha con molte erbe,
dipo 'l cui mangiare bee acqua.
Il grano, cioè il
frumento, cotto infino a tanto k'elli sia bianco e
sì chome
polta, nodrisce più di tucti li altri cibi e magiormente s'elli è
cotto col lacte, il qual giova a coloro ke disiderano acrescimento di
força e grosseza. E a coloro ke ssono di
kalda natura e magri e a
coloro ke molto s'
affatichano dae aiuto. E a coloro k'ànno la
dispositione contraria a questi tosto riempie le vene e perduce a
ffebbre, e ad male, e a dolore di
gotte, e genera pietre ne le reni e
flegmoni e apostemi.
E la charne cotta ne l'acqua, a la quale si mescola poscia aceto e
gruogho, è fredda, la quale riprieme e spegne la collera rossa e 'l
sangue, e giova a coloro ke ànno il fegato caldo e a coloro ke ànno
oppilatione nel fegato e febre e iteritia. E ancora giova a coloro a chui
è tolto sangue. Ma ella fa nocimento a coloro ke presero medicina
da ffare uscire, e a coloro ke ànno alcuno male ne'
nerbi, e a coloro
ke ànno i corpi magri e deboli e ànno mestieri di ricevere vigore e
força e d'ingrassare, imperciò ke ella
sottillia e diseccha e giova a
coloro ke ànno moltitudine di carne e di sangue, e a coloro a cui la
moltitudine di sangue e di collera nuoce e 'l ventre
strigne.
E la carne cotta ne l'acqua e raffreddata, a la quale il sugho de
l'
uva
acerba si mescola, è fredda, imperciò ke 'l sangue e la collera
rossa riprieme e spengne e 'l ventre
strigne, ma ella non
sottillia e
l'opilationi non apre, sì come la predetta carne co l'aceto fa, a la quale
ella
assomillia
.
E la carne cotta col ribes o col sumach è de' nodrimenti ke ne la
state giova, quando
çuccha o porcellana o cederni o somillianti cose
co llei si mescolano, imperciò ke tucte queste cose e la carne predetta,
aparecchiata koll'aceto, nuoce a coloro ke ànno il petto aspro.
La carne koll'aceto cotta temperatamente nudrisce e a lo
stomacho e al fegato giova, la quale abiendo in sé la bontà de la carne
ko l'aceto temperata non ritiene in sé neuno suo nocimento.
E la carne cotta col grano e col lacte è grossa, la quale molto
nodrisce et è congrua e buona a coloro ke ssono di calda natura e
magri, e
incongrua e rea a coloro ai quali acostumatamente avengono
l'enfertadi
flematiche. Ma ella fa bene a coloro ai quali
acostumatamente avengono febri acute e le terçane.
E la carne che ssi cuoce col latte acetoso è somilliante a quella
ke ssi cuoce kol lacte e col grano.
E la carne cotta koll'acqua de l'orço è sì come quella co la quale
si pone il sugo dell'uve acerbe, ma questa è
emfiativa.
E la carne cotta koll'uova e col
pepe è sempre calda et ella è
cibo del verno ke 'l corpo fa forte e robusto e più nodrisce di tucti li
altri cibi, ma ella si diversificha secondo la quantitade de le calde
spetie ke vi si mescolano. E questa ancora acresce il sangue e la
sperma e 'l corpo redde robusto e lo
humenta e bello e grosso il
redde, ma di state fae
fastidio e riscalda e crea pietra.
L. III, cap. 10 rubr.Capitolo de la virtù sissamorum, cioè di quelle kose ke col
mèle si conficiono.
L. III, cap. 10
Pheludes molto nodrisce ma nello stomaco lungamente dimora
e crea oppilatione a colui ke llungamente l'usa e molto, ma a la gola e
al polmone giova.
Cambez è più lieve di
pheludes ma meno nodrisce et è più
dilungi a generare oppilatione nel fegato.
Anaada è sì come
pheludes, se non ke i· llui si pone
sisaminum, e
molto nodrisce e 'l corpo redde molto robusto, e 'l sangue e la
sperma acresce.
Cataif è di grossa natura, il quale fa fastidio e 'l corpo ingrossa.
Leoçinegi è somilliante a
cathaif, ma molto più lieve si giudicha
e dice.
Çulenigee
risscalda e fa
sete e
rutto fumoso crea e fa.
E universalmente ogne cosa ke di mèle si fae sangue e la sperma
acresce e 'l corpo ingrassa e fae nocimento al fegato e a la milça, i
quali aparecchiati e disposti sono a ricevere oppilationi e apostemi,
ma a la gola e al polmone
giovano, e fanno acrescimento a la midolla
e al cerebro. Le quali tucte, s'elle avranno çucchero i· lluogho del
mèle, saranno meno calde ke quelle ke si fanno di mèle. E
dell'
unctuositadi ke co lloro si mescolano, l'olio de le mandorle è il
milliore. E quelle cose ke ssi fanno de mèle e di noci, o con
fistici, o
con noce indicha sono troppo
kalde.
L. III, cap. 11 rubr.Capitolo .xj. De la virtude e propietade dell'uova. Rubrica.
L. III, cap. 11
(+i) L'uova sono di lor natura temperate, ma perciò ke ssono di diversa
substantia, sì come d'albume e di tuorlo, sì dovete sapere ke 'l tuorlo è
kaldo e
humido temp
eratamente, e però sì è convenevole a natura d'uomo. L'albume fie
freddo e humido e si cuoce molto tardi ne lo stomaco e ingenera grossi homori.
E per bene sapere la natura de l'huova, sì vi conviene sapere ke lloro natura
si diversi
ficha in quatro maniere: la prima sì è per la
diversità delli ucelli che lle
pongono; la seconda sì è per lo tempo; la terça sì è per la frescheza de l'huova; e la
quarta sì è per lo aparecchiamento ke l'huomo ne fae per mangiare. La prima
diversità, ke aviene per li ucelli ke lle dipongono, sì è ke l'huova k'è d'ucello di
buona complexione sì è milliore, e spetialmente quello de la gallina e de la
pernice
sono più convenevoli dell'altre huova e mellio nodriscono e millior sangue
ingenerano.
(i-)
Dopo le quali l'uova dell'anitra in bontade sono seconde,
advengna k'elle facciano reo nodrimento. E l'altre huova, sì come son
quelle de' piccoli uccelli e magri, non sono da mangiare se non per
kagione e via di medicina. Ma le due generationi d'uova primamente
dette, cioè de la gallina e de la
pernice, acrescono molto la sperma, e
ancora stimolano e conmuovono molto la luxuria. E apresso queste,
l'uova de l'ocha fanno fastidio e ànno reo e grave odore.
(+i) Ma s'elle
si cuocono bene ne la forcella, sì nodriscono più ke ll'altre, ma elle sono grosse e
pesanti et
emfiano la forcella. E quelle ke dipo queste pegio valliono sono quelle de
lo
struçolo ke ssopra tucte altre sono ree. E quelle del paone sono pessime e meno
konvenevoli a natura d'uhuomo, k'elle sono pesanti e di male odore e ingenerano
grossi omori e velenosi. Quelle ke ssono sopra tutte l'altre più calde sono quelle de
la passera e dipo queste quelle del colombo. La
diversità k'aviene per lo tempo sì è
ke ll'uova ke ssono di giovani uccelli valliono mellio e mellio nodriscono ke l'huova
ke ssono de' vecchii. La terça
diversità ke aviene di ciò k'elle sono o fresche o
stantie e quelle ke ssono intra questo mezo. E quelle ke sson fresche valliono
mellio, perciò ke ssono più temperate e nodriscono mellio e confortano più il
calore
naturale. Quelle ke ssono vecchie
stantie sì sono del tucto malvagie e si corrompono
ne lo stomacho
legiermente, e ingenerano mali homori, e si tengono a natura di
veleno, e di tanto quant'elle sono più
stantie e vecchie di tanto valliono pegio a
usare. La quarta sì è per l'aparechiamento ke l'huomo ne fa per mangiare. E
l'aparechiamento fae l'uomo diversamente, sì come di
farle
kuocere in brascia e
fricte e nell'acqua, e mangiare con esse
cipolle, o pepe, o in altre maniere, o in
brodetto kon esso
karne. Quelle ke ssono
kotte im brascia sì sono diverse, sì come
dure, molli, o in quel mezo. Quelle ke ssono dure sì ssono grosse e pesanti e si
cuocono molto tardi a lo stomacho e ingenerano grossi homori. E tali huova
possono usare quelli k'ànno menagione, e
spetialmente le tuorla. Le molli sono
contrarie a queste, ké elle amolliscono il ventre e vi fanno picola dimorança ne lo
stomaco e amolliscono la secchità del petto e del polmone. Quelle ke ssono in quel
mezo, né dure né molli, si tengono la natura dell'une e de l'altre e valliono mellio
a usare ke neuno de le dette due. Quelle ke ssono cotte in acqua sì confortano il
calore naturale, e spetialmente quand'elle sono kotte ke non sieno né dure né
molli, ké per l'acqua si amendano e perdono lor malitia; e mangiarle in tal
maniera valliono mellio e nodriscono mellio di tutte altre maniere ke l'huomo le
possa mangiare.
L'uova fritte sopra tucte altre maniere ke l'huomo possa usare di mangiare
valliono peggio ke elle si convertono in malvagi omori, e ingenerano fummi e
abhominationi, e perciò sono ree a usare. Quelle ke ssono mangiate in brodetto o
in altra maniera, sì le dee huomo
lodare o biasimare secondo la compagnia
dell'altre cose ov'elle son messe e mischiate, ké quelle ke ssono mangiate com buone
spetie, sì come pepe, gengiovo,
kannella e con carne, si cuocono mellio e donano
millior nodrimento e acrescono il talento d'usare con femina più ke quelle ke ssono
mangiate con formaggio ke non amendano neente, ançi acrescono la maliçia.
(i-)
E nota ke 'l tuorlo de l'huovo è temperato in caldeza e ben
nodrisce, ma l'albume è freddo e viscoso e duramente e tardi si digere
e 'l sangue ke di lui s'ingenera no è buono. E le molli si
digerono più
tosto e sono utili a coloro a chui è uscito molto sangue e ai quali le
forçe sono menomate.
E nota ke ll'uova sono
utili a l'aspreza de la gola e del polmone,
de le quali si genera sangue temp
erato e di molte forçe. Et elle
tengono alcuna volta il luogo de la charne, le quali non debbono
usare coloro ke ssono molto grassi.
L. III, cap. 12 rubr.Capitolo .xij. De la virtù e propietade del lacte.
L. III, cap. 12
(+i) Lo latte k'è novellamente
munto e tracto sì è temperato, k'elli è
kaldo
e humido nel primo grado e ingenera buon sangue, perciò ke sua natura sì è
pressoké
ssembiante a natura di sangue, ke, ssì come dicono i filosafi, lacte sì non
è altra cosa ke sangue due volte ricotto e il bianco colore k'elli àe sì ll'àe per le
mammelle ov'elli si cuoce. E perciò k'elli si convertisce
legiermente, sì
ahumida e
ingrassa il corpo, e per questa
ragione sì vale a coloro ke ssono tisichi.
(i-) E fae
aiuto alli
etici, e a la tossa seccha, e a l'
arsura dell'urina, e a coloro ai
quali fuor
dati
jusquiano e
kanterelle; e ai corpi secchi dae
opptimo
nudrimento, e mena a
temperamento e acresce il sangue e la sperma;
ma la sua conversione e mutamento sono molto tosto, per la quale
cosa in neuna maniera è da dare a coloro ke ànno febbre aguta, né a
coloro ke acostumatamente ànno dolore di capo, né a coloro ke ànno
male di fiancho, né a coloro
ai quali acostumatamente solliono
advenire fredde infermitadi.
Il quale latte si truova essere diversificato in molte maniere, cioè
a ssapere secondo la spetie de l'animale, e secondo la sua etade, e
secondo i luoghi ne' quali elli pasce, e secondo la propinquitade del
suo tempo.
E 'l latte de la vaccha si giudicha più grosso d'ogne lacte di
qualumque altro animale, il quale è più convenevole a tucti coloro ke
volliono ingrassare.
E il latte dell'asina è più sottile di tucti li altri latti, il quale si de'
dare a coloro ke ànno male nel polmone,
(+i) e ke ssono etichi per
kalde e
per lunghe malatie.
(i-)
E il lacte de la capra tiene
temperamento in questi due, ma
quello de la pecora genera più superfluità di tutti li altri.
(+i) E di sua
natura è più grosso ke quello de la capra e più sottile ke quello de la vaccha, ma
elli non è buono a usare perciò ke ingenera malvagi homori e assai superfluità, e
di ciò vi potete acorgere ke d'um poco di lacte di pecora fae l'uomo assai
formagio.
(i-)
(+i) Latte di jumenta sì è di natura di latte d'asina, ma elli non è così
sottile, e perciò si trae a natura de la capra e il puote huomo usare sì come quello
de la capra, tutto sia ciò k'elli non sia così buono.
(i-)
(+i) Lacte di
chanmello sì vale mellio a usare per malatia rimuovere ke per
santà guardare, ké di sua natura elli è sottile e perciò apre le vie e
mena il dolore
del fegato. E vale molto a coloro ke ànno il fegato corrotto e 'l polmone e ke ànno
la complexione corrotta.
(i-)
(+i) Latte di
troia sì è reo a usare perciò k'elli è mal cotto e ingenera mali
homori e freddi.
(i-)
E ancora in quella medesima maniera il latte delli animali grassi
e giovani, i quali discorrendo pascono buone erbe e ke ssono ancora
vicini al parto, si giudica più temperato e milliore. E quello k'è
contrario ad questo opera contradie cose.
E 'l lacte che ffa dimorança nell'otre al meno per otto dì, onde si
fae grasso, il quale in
arabico è kiamato
sieres, è più freddo ke non è il
lacte
ricente, il quale,
spengnendo il
calore, dinançi a ongne cibo si
dee mangiare nel die de la fatica e del caldo,
(+i) perciò ke tutte maniere
di latte sì dee l'uomo mangiare a digiuno e non dee huomo mangiare apresso altre
vivande infino a tanto k'elli sia dello stomacho dipartito.
(i-)
Ma il rob è molto più freddo del siero, il qual è più convenevole
a lo
stomaco caldo e a coloro ke ssono
kaldi per natura, ma a'
nervi e
a le fredde infermità nuoce.
E 'l lacte ke
rimane quando n'è tratto il biturio giova a coloro ke
ànno fluxo di ventre e menagione per l'
acumine e caldeza de la collera
rossa, e a coloro ke ssono magri e deboli. Il quale sarà milliore
acciò se, dopo ke 'l bituro n'è tracto, il ferro caldo tante volte vi si
spegne k'elli diventi spesso; e, in questo modo aparecchiato, il fluxo e
menagione di ventre (facta per cagione di caldeza di collera rossa) e a
coloro ke ànno ne le budella, per quella medesima cagione, fedite o
roptura giova.
E 'l siero manda fuori del corpo la collera rossa e fa aiuto e
giova a la scabbia, a le
pustole, e a'
papici, e a
sapha (cioè a quella
infertà), e a iteritia (cioè al giallore del corpo), e a colui a cui fece male
il bere del troppo forte vino.
E
azub fa aiuto e giova a l'aspreza de la gola, e a coloro ke ànno
la
impetigine, e a la rosseza del volto co la grosseza de la buccia, e a le
pustole secche e aspre quando con esso si fregano, ma fa
fastidio e
monta suso e sale a la boccha de lo stomaco.
E 'l bituro cotto indebolisce e
ramollisce li apostemi duri
quando di lui si fae
empiastro e giova ai morsi de le vipere da' veleni
molto acuti e forti; e a colui che lli userà ne' suoi mangiari, sì lli
averanno fredde infertadi, ma più nodrisce di tucte l'altre cose
untuose et è di magior virtude.
(+i) E notate ke il latte k'è facto sì è di tre diverse
substançe, sì come
gaghiosa,
serosa, e d'altra k'à natura di formagio, e altro k'à natura di burro; e
secondo la
diversità di queste cose si aopera diversamente: ke quella natura è (k'è
dianeuse)
kaghiosa sì è calda e seccha, e di sua natura purga il ventre e apre le vie
del fegato e purga la collera; l'altra substanza, ke tiene a natura di formagio, sì è
grossa e ingenera mali omori e pietre ne le reni e altre cose ke noi diremo del
formagio; la terça substança, ke à natura di burro, sì è
kalda e humida e di sua
natura amolla il ventre, ma elli dona abominatione e vale a tutti quelli ke ànno
tossa fredda e seccha, e spetialmente mangiato con zukero e con lacte di
mandorle.
E non à il latte questa
diversità solamente ke detta avemo, ma elli diversificha
sua natura per la
diversità de le bestie ke 'l portano e per lo tempo loro, e per la
diversità del tempo nel quale si trae, e per le diverse vivande ke elle usano. La
diversità ke aviene per le bestie ke 'l portano avemo diterminato.
Ma tanto
arogiamo e diciamo ke il lacte più convenevole a natura d'uomo e
al corpo de l'huomo sì è il lacte de la femina, e spetialmente quando elli è usato sì
com'elli esce de le mammelle.
(i-)
(+i) La
diversità ke aviene del latte per lo tempo de le bestie sì è ke quello
latte k'è di vecchia bestia sì è malvagio, e quello k'è di giovane vale mellio. E
quello ke vale mellio di tucti sì è quello k'è di bestia ke non sia troppo vecchia né
troppo giovane e spetialmente quando la bestia è grassa.
La
diversità ke aviene per lo tempo sì è ke voi dovete sapere ke quello k'è
fatto ne la primavera vale mellio di tucti li altri, e questo è per due
ragioni: l'una
sì è per lo tempo k'è temperato, e truovano allora le bestie millior vivande per
usare, l'altra sì è ke il latte vale, perciò ke in questo tempo filliano più le bestie ke
in altro tempo. E notate ke, ançi ke il lacte sia buono per usare, si conviene
passare
.XL. dì dopo ciò k'elle ànno partorito.
Lo latte ke l'huomo trae nell'autunno non è sì buono, percioe k'elli trae più
a natura di formagio, sì
enfia la forcella e il ventre e ingenera ventosità e fa male
assai. Latte di state sì ssi tiene a natura di questi due. Quello del verno, avengna
ke ssi ne truovi pocho, elli è reo più ke tutti li altri perciò k'elli è più grosso e più
seccho, e cioe perciò k'elli è sì dilungi dal tempo ke le bestie ànno
filliato.
La
diversità del latte ke aviene per lo nodrimento ke le bestie prendono.
Perciò ke le bestie ke ssono nodrite d'erbe fredde, sì kome
lactughe,
borage,
bitole e
altre maniere di cavoli e di
chamangiari, lo lacte k'elle portano sì è aguto e sottile.
Altre bestie sono sì come le capre ke non mangiano se non li
tenerumi delli arbori
e de' rami. Questo latte vale mellio a lo stomacho. Altre bestie sono ke mangiano
tucte altre maniere d'erbe e di
totomallio. Cotale lacte sì è malvagio a lo stomacho
e al corpo de l'huomo. E intendete
generalmente ke, secondo la
diversità de l'erbe e
del nodrimento k'elle prendono, si conviene ke il lacte sia
sano e
infermo.
La
diversità del latte ke aviene per lo tempo, quando huomo lo trae, sì come
huomo lo trae novellamente, tale latte vale mellio di tucti li altri e ingenera millior
sangue, ma conviene ke l'huomo ne prenda secondo la natura ke ciascuno può
portare, ke ki nne prende oltre ciò k'elli non dee, sì fa male a lo stomacho e fae
mala testa e mali denti. Perciò dovete sapere ke di tanto, kome l'huomo l'usa, più
tosto quando elli è tracto e munto di tanto vale elli mellio et è più sano.
(i-)
(+i) Formaggio, sì come disse Ysaac, è
generalmente tutto reo, perciò k'elli
ingrossa et è pesante et
emfia la forcella. E di ciò vi potete acorgere ke quelli ke
ll'usano lungamente si conviene k'abbia dolore di
fianco, e
malvagia testa, e grosso
intendimento, e pietra ne le reni e ne la
vescica. Ma elli è meno reo per la
diversità
dell'usare ke l'huomo lo fae, ké ki 'l mangia quando elli è
fresco, sì è grosso e
freddo, sì
à natura di rafreddare l'
adustione de la forcella percioe k'elli è freddo e
humido nel primo grado; e se ssi cuoce bene ne lo stomaco, sì nodrisce molto e no è
buono a coloro ke ssono freddi di natura.
(i-)
E 'l vecchio si diversificha secondo la quantità de la vecchieza e
quello k'è di sapore aguto e pugnente è chaldo, e arde, e fa
sete, e mal
nodrisce. Ma, tuctavia, quando dopo mangiare di lui si prende piccola
quantità, corrobora e fortificha la boccha de lo stomacho. E la troppa
satietade e fastidio ke viene de le cose dolci e untuose ne la boccha de
lo stomaco lieva, ma tuctavia elli conviene ke l'huomo lasci stare il
ricente e 'l vecchio.
E 'l lacte spesso dee l'uomo del tutto in tucto
fugire e schifare,
perciò ke genera pietre ne le reni. E lacte rapreso fa fastidio et,
essendo grave, non fa apetito sì come il chascio e non fa sete; il quale
in sapore si truova più untuoso ke llatte né ke 'l kascio.
(+i) E il kascio vale mellio per malatie rimuovere ke per santà guardare,
ké elli vale molto mangiato arostito a que' k'ànno menagione, e conforta lo
stomacho, e fae la vivanda
advallare, s'elli è mangiato dopo ciò ke l'huomo à
mangiato grande quantità di vivande, e spetialmente quando elle sono grasse e
abbominabili. Formagio ke non è troppo vecchio né troppo novello e k'è di buon
savore e non è troppo grasso, quello vale mellio a usare, con tutto sia ciò k'elli non
sia sança malitia.
(i-)
Masal rafredda fortemente e la
sete e la collera rossa riprieme e
indebolisce e a'
nerbi e a l'enfertà fredde è reo.
E 'l siero dal lacte acetoso fa meno
impedimento ai
nerbi ke il
masal.
L. III, cap. 13 rubr.
Capitolo
.xiij. De la propietade de' pesci
freschi e
salati.
L. III, cap. 13
(+i) Voi dovete sapere ke tucte maniere di
pesci ricenti
generalmente sono
freddi e humidi, e ingenerano grossi homori e viscosi, e
(i-) sono duri a
digerere, e ne lo stomacho fanno gran dimorança, e fanno
sete. E 'l
sangue ke n'è ingenerato de'
freschi è flematicho.
(+i) E valliono a coloro ke ànno lo stomacho
kaldo e sono di calda e
seccha complexione e magri e di state sono milliori a usare ke di verno, avengna
ke 'l nodrimento di tutti pesci sono malvagi e no li debbono usare coloro ke ànno
la complexione fredda e flenmaticha, ké elli
distrugge la complexione et
empie di
malvagi homori. E ki usare li vuole, sì vi aprenderemo quali sono buoni e quali
sono rei.
I
pesci ke l'huomo dee usare per milliori sì sono quelli ke ànno la carne
viscosa e non troppo grossa, e sono di buono odore e ànno buon savore, né non
sono neente troppo grassi, e ke ànno la charne dura, e ke nom putono né micha, sì
tosto com'elli sono fuori de l'acqua, e ke non sono neente dimorate in istagno, né
in fosse ov'elli abbia ordura, e ke non siano dimorati in acqua corrente ke i venti
possano da tutte parti
ventare, ançi conviene k'elli sieno di riviere petrose ove
sabione non usi, e ke non sieno ordi e corrano lungamente discoperti ke i venti vi
possano
ventare. E ancora conviene k'elli sieno nodriti in luogo ov'elli abbia
buone erbe ke non sieno velenose, ke ciò è una cosa donde ciascuno si dee prendere
guardia, sì come di
sapere il luogho ov'elli sono stati nodriti e al tutto konviene
k'elli sieno con
iscallie. E sappiate ke perciò ke noi nom possiamo dire la natura
di ciascun
pesce per sé, sì vi diremo dell'insegnamenti
generalmente ke voi dovete
sapere.
Sappiate primieramente ke tutti pesci sono di tre maniere. La prima
maniera sì è de' pesci di mare i quali son nati e nodriti dentro il mare e tuctora vi
dimorano. La seconda maniera sì è di pesci d'acque dolci, sì come di riviere e di
stangni ov'elli si nodriscono e in che elli dimorano. La terça maniera sì è de' pesci
del mare ke
vanno in acque dolci ke
vanno nel mare. Quelli ke ssono nodriti nel
mare, v'à di tali ke vengono ne l'acqua dolce e loro piace e vi si dimorano. Cotali
pesci sono
konvenevoli a natura d'uomo, perciò ke lloro
karne non è sì grassa né
troppo magra, ançi è savorosa e nodrisce più ke
karne d'altri pesci.
Quelli k'escono del mare e vengono ne l'acqua dolce e non piace loro il
dimorarvi, ançi ritornano adietro, non sono neente sì sani, né ssì convenevoli a
natura d'uhuomo, né non donano neente sì buon nodrimento, perciò k'elli non
sono sì savorosi ke le vivande savorose di tanto, kom'elle sono più savorose e
dilettevoli a la boccha, di tanto nodriscono mellio e valliono per santade
guardare.
Pesci ke dimorino in mare sì possono essere diversificati di diversa maniera,
k'elli ne sono di tali ke dimorano in una parte del mare ov'elli à pietre o
ssabione,
ke llungi è di cittadi, e ordura non vi può entrare né andare; e questi sono i
milliori pesci e ke milliore sangue fanno sopra tutti altri pesci. Quelli ke dimorano
nel mare morto e cheto k'è presso di città et è altressì come maroso, questi non
sono buoni a usare, ançi si ne dee ciascuno guardare.
Pesci ke ssono d'acque dolci sì sono di quatro maniere. La prima sì è
nodrita in istagni o in marosi. Quelli ke ssono nati in riviere, e la riviera sia
grande e chiara e corra lungamente, e sia discoperta ke i venti vi possano
ventare,
e corre il fiume sopra pietre e sopra sabbione, e sia lungi di città, i pesci ke vi sono
valliono mellio di tucte maniere di pesci d'acqua dolce; ma s'elli sono pesci ke
ssieno nodriti in picole riviere ke sieno in cittadi, e corrano sopra malmetta e sopra
mota e ordura, tali pesci non sono
utili né buoni a mangiare, perciò k'elli
nodriscono malvagiamente e ingenerano grossi omori e viscosi. L'altra maniera di
pesci d'acqua dolce sì sono quelli ke ssono nodriti in stagni, e li stagni possono
essere di molte maniere, ké elli sono stagni ke ssono presso del mare e ke 'l mare
v'entra et esce. E di quelli sono ke dimorano
keti ke acqua non vi entra né non
n'esce. Li pesci ke ssono nodriti in istangni, kenti k'elli sieno, valliono peggio che i
pesci di riviera, ma quelli ke ssono in tal luogho ove il mare puote entrare e uscire
e di riviera, valliono mellio ke di stangni ke ssono tuctavia
keti e non corrono; ke
i pesci di stagno ke ssia
keto e non è
rimondato né purgato de due anni, o de tre,
una volta, questi sono sopra tutti li altri pegiori e non sono buoni a usare a
natura d'uomo.
E intendete
generalmente ke i pesci del mare valliono mellio e più
nodriscono ke non fanno i pesci d'acque dolci, perciò k'elli non sono sì viscosi e
ànno la carne più dura. E non solamente dovete sapere ke natura di pesci si
diversificha per le cose di su dette, ma ancora si diversifichano in cimque maniere:
la prima sì è per le scallie; la seconda sì è per la vivanda ond'elli sono nodriti; la
terça per li venti; la quarta sì è per le cose ke i venti
anmenano ne le riviere, nel
luogo ove i pesci dimorano; la quinta sì è
La prima
diversità per le scallie sì è in due maniere ke o elli sono
pesci ke
n'àno assai de le schallie e grosse, o elli non n'ànno nulle, o elle sono sottili. Quelli
ke ànno schallie grosse e assai sì valliono mellio ke quelli ke n'ànno poche o nulle,
perciò ke le schallie sono ordure ke la natura del
pesce
kaccia fuori, donde la
charne rimane più
netta e più
pura. E cosie sono le schallie ai pesci kome le
piume e
penne a li ucelli e i peli a le bestie. Quelli che ànno schallie sottili non
valliono neente tanto e assai
vallion peggio quelli che non ànno, e ciò è per la
ragione che detta avemo.
La seconda
diversità sì è per lo nodrimento k'elli prendono in diverse
maniere, ké elli sono pesci ke ssono nodriti di buone erbe e di buone radici, e di
grano, e d'altre buone cose, e questi sono quelli ke
nnodriscono bene e sono più
sani. Ma quelli ke ssi nodriscono di malmetta e d'ordura o di mota e dimorano in
marosi, quelli non dee huomo usare, ançi si ne dee huomo guardare, perciò k'elli
fanno le genti alcuna volta
morire subitamente.
La terça
diversità de' pesci sì è per li venti ke ventano nel luogho ove sono li
pesci, però ke i venti ke ventano di septemtrione o d'oriente, quando elli ventano
nel mare o in riviere ove i pesci dimorano, sì lli fae più sani e mellio valere ke non
fanno i venti di
mezodì, né quelli d'occidente. E percioe ke quelli di septemtrione e
d'oriente sono di loro natura più secchi, si conviene ke la
karne de' pesci ne sia più
dura e meno
visscosa.
La quarta
diversità sì è de' venti ke portano ordura, o polvere, o follie, o
fiori, o altre cose in riviere o in altri luoghi ove i pesci sono, ond'elli si possono
nodrire. E secondo la
diversità di queste kose sono i pesci buoni e rei.
La quinta
diversità sì è de l'aparecchiamento ke l'huomo ne fae di
mangiarli o arostiti, o fritti, o in acqua, o in altra maniera. Quelli che ssono
salati
vallion mellio, ma ch'elli sieno mangiati di due dì, o di tre, dopo poi k'elli
sono
salati, perciò ke il sale amenda lor malitia de la
viscosità k'elli ànno. Li
arostiti valliono mellio ke i fritti, perciò ke i fritti prendono
viscosità nell'olio
ov'elli sono cotti. Quelli che ssono cotti in aqua o ne l'olio sì valliono peggio ké
elli sono
visscosi, sì fanno male a lo stomacho e
gravallo troppo. Ma quelli che
ssono chotti in acqua
pura e col sale valliono mellio delli altri, ma sieno mangiati
con savore di gengiovo, di pepe, e di
channella, e d'altre buone spetie, e di vino
agro, cioè d'aceto.
Un'altra maniera di pesci sono sì come sono
screvetes e altri cotali pesci ke,
secondo la sententia di Galieno, non sono neente convenevoli a lo stomacho, ma sse
usare si volliono, si conviene k'elli sieno nodriti in buon luogo.
E questi sono l'insengnamenti ke ssapere dovete
generalmente di tucti pesci.
I pesci
freschi e tuti pesci sono duri a digere
re e fanno sete e generan sangue
flematico.
(i-) E questi cotali pesci
humentano il corpo, sì come i barbi,
fanno uscire e acrescono la sperma, i quali a coloro ke ànno male di
fiancho, e a cui suole venire fredde infertadi, son rei. Ma elli giovano
a coloro k'ànno la complexione calda e a cui signoregia collera rossa,
avengna ke, come detto avemo, il loro nodrimento in tucto in tucto
sia reo. E quando elli sono mescolati con altri cibi sono migliori a
spegnimento di collera rossa, imperciò ke i pesci, sempre ne lo
stomaco facendo lungha dimorança e generando
sete, ragunano nel
corpo male
viscositadi, de le quali molte infermità pervengnono.
E di tucti li altri pesci
eçie e
buny sono milliori e' somiglianti a
lloro. E a la perfine quelli pesci debbono essere scielti, la carne de'
quali no è molto viscosa né molto grassa, e ke non à grave odore e
reo, e ke tosto non si putrefa, sì come detto avemo, e ke non siano
presi a' laghi, né im paludi, né in luogora ove sia ordura, né i· lluogo
ke abbia reo o male odore, né in acqua ke abbia male erbe e non
siano tragrandi. Questi cotali pesci sono i milliori di tucti altri pesci, e
quelli ke ssono contrari a questi son pigiori.
E ' pesci
salati in neuna maniera si deon mangiare, se non il dì
ke l'homo si vuole medicare. Ma tuctavia se alcuno i disidera di
mangiare, picola quantitade pillii di loro, i quali sieno aparecchiati con
cose untuose e con cose ke faciano satietade. E s'elli, così come sono
o in acqua salati sono posti, si
manuchano, confortano e fortificano
um poco l'apetito.
E ' pesci salati e
rafreddati
tengnono in sé e ànno la distrutione
de le due predette cose, imperciò k'elli non
rafreddano, né
spegnimento di
calore non generano, né talliamento, né
subtilliamento non fanno, i quali, facendo gran dimorança ne lo
stomacho,
creano e fanno
sete.
L. III, cap. 14 rubr.Capitolo .xiiij. Del sale e de' semi e speçie necessarie a la
cucina.
L. III, cap. 14
(+i) Sale sì è caldo e seccho nel primo grado e seccho nel secondo, il
quale cibo tolliendo, il nocimento del fastidio
sottillia
(i-) e l'appetito
excita e commuove e fa acuto.
E ancora
arostisce e riarde il sangue di
coloro ke di lui prendono grande quantitade, e 'l vedere indebolisce, e
la sperma menoma, e genera piççicore e scabbia.
(+i) Sale sì è di molte maniere ma noi non usiamo se non di due, sì come di
quello ke l'huomo fae de l'acqua del mare e si cuoce al
calore del sole, e l'altro ke
ssi fae di
poççi e di grandi stangni ke l'huomo fa bollire in chaldaie di piombo e di
metallo. E tale sale sì s'apella sale sottile ke noi kiamamo salina, e l'uno e l'altro
dee essere kiaro, e bianco, e netto di pietre e d'altre cose. Il quale moderato dona
talento di mangiare e leva l'abominatione, ma ki ll'usa a oltragio sì ingenera
rongna e malvagio sangue, e tollie il talento d'usare kon femina.
(i-)
(+i) Aceto è di sua natura freddo e seccho, ma elli tiene più di fredura e àe
natura di disecchare, di partire, e di passare, e fa dimagrare,
(i-) e la virtù
distruge, e menoma la sperma, e la collera nera fa crescere e
corrobora, e la collera rossa e 'l sangue indebolisce, e
sottillia i cibi ai
quali si mescola,
(+i) e vale più per malatie rimuovere ke per santade
guardare. E si puote l'aceto fare in questa maniera: prendete buon vino e
mettetelo
in uno vasello, ma non sia pieno, e lasciatelo dimorare discoperto, e così diventerà
aceto, e 'l potete metere al sole
.iij. die o quatro. E se più tosto il volete fare,
tolliete un ferro chaldo, o una pietra di riviera, e
scaldatelo, e
spengnetela dentro il
vino e diventerà aceto. E quando sapere volete s'elli è buono, sì ne
digociolate
sopra la terra, e s'ella il bee e
schiuma, sappiate k'elli è buono, e se no 'l fa sì è
reo. Cotale aceto sì dee l'huomo usare in
salsa per
ristrignere il ventre e
stangnare
il vomire, et è buono a usare in tutte
kalde malatie, e spetialmente vale a usare
quando l'aiere è corrotto per troppo grande
kalore. E sappiate k'elli àe un
kalore
sì come li autori dicono di tal virtù ke ss'elli truova lo stomaco pieno, sì 'l fa bene
andare a
kamera, e s'elli il truova vòto sì 'l
ristrigne.
(i-)
Moripsia opera quello ke ffa il sale, avenga k'ella sia più forte di
lui e più soptile, la quale muove il ventre e tallia la
visscosità, e grossi
cibi
sottillia, e fa sete, e lo stomaco e il fegato riscalda.
(+i) Pepe sì è
kaldo e seccho nel quarto grado, e di sua natura sì conforta lo
stomaco freddo, e
ditrugge li omori freddi e viscosi, e fae ben cuocere le vivande, e
perciò vale a usare a coloro ke ssono di fredda complexione e ke ànno tossa di
freddi e di grossi homori. Ma non è buono a usare a coloro ke ssono di calda
complexione e spetialmente pepe lungo. Il pepe lungho sì è de la natura del nero,
ma elli non è così caldo di state.
(i-)
Il pepe nero digere il cibo e la ventosità disolve. Essendo
fortemente caldo e seccho, lo stomaco e il fegato riscalda; la cui
caldeza, conciosiacosak'ella sia forte sì come detto è, fae nocimento a
coloro ke ànno i corpi
kaldi e magiormente di state.
Il coriandro è freddo e seccho, la cui natura è ke quello ke dee
nudrire, sì llungamente faccia stare ne lo stomaco k'elli si compia la
sua digestione, e perciò konviene ke di lui si pongha molto ne' cibi ke
ssono di grossa natura.
(+i) Comino sì è caldo e seccho nel secondo grado et è seme d'un'erba ke
cresce in grande abondanza e la puote huomo guardare
.v. anni;
(i-) il quale,
dando aiuto a la digestione, l'
emfiatione et enfiamento disolve,
(+i) e
fa bene orinare e comforta la virtù de lo stomacho, se im polvere o in salsa è usato.
E ancora ki usa il vino ove sia cotto
komino e fichi secchi, sì val molto a coloro
k'ànno tossa di fredi omori, e vale a quelli che ànno corruptione e dolore di ventre
per freddo, sì vale molto ad
farne impiastro, ma sia mischiato con farina d'orço e
arosato di vino. E ancora per sangue k'è nelli ochi per battiture sì è buono a
prendere
comino, e mischiare kon tuorlo d'
uovo, e mettere sopra un chaldo
testo, e
porre sopra li occhi. Ancora se 'l visagio è perso e
livido per battiture, o per altre
cose, prendete polvere di comino, e mescolate con cera
virgine, e
scaldatelo, e
ponetelo di sopra. E dovete sapere ke l'
asiduatione del comino, cioè troppo usarlo,
sì fae l'uhuomo palido e di male colore.
(i-)
Il carvi in caldeza e seccheza è sì come il
comino, ma più è abile
a lo stomacho e chonvenevole e 'l ventre
ristrigne.
Kessimi, o
kessynii, è
kaldo e seccho, il quale la digestiva
atando, la ventosità e l'enfiamento disolve.
Amiden è
kalda e seccha, la quale, ne lo stomacho lunghamente
dimorando, l'
enfiatione non
dissolve né disfa, ma la luxuria
konmuove.
L'origano è
kaldo, il quale, stando et essendo molto abile e
convenevole, molto è amato da lo stomacho, imperciò k'elli excita
l'apetito e manda via la ventosità.
(+i) Lo cinnamo, overo
kanella, è
kaldo e seccho nel secondo grado e sonne
di due maniere sì come grosso e sottile. Il grosso non è sì caldo et è scorça d'albero
ke nasce in Yndia e 'l dee huomo scielliere k'elli sia sì come rosso e non sia né
biancho né nero; e si conviene sagiare com boccha; e s'elli pungne et è dolce sì è
buono; e si puote guardare
.xx. anni, salvo k'elli non sia tenuto in luogho troppo
kaldo, né troppo seccho; e di sua natura à virtù il fegato e lo stomacho,
fortificandolo, aiuta la digestione e manda via la ventosità; e s'elli àe malatie ne lo
stomacho ke ssieno per freddi omori ke non possa ben cuocere la vivanda,
adunque
sì fa buono usare polvere di
channella mischiata com polvere di
karvy, con
salsa di
pretosemoli e di salvia e d'aceto.
Kotale salsa dona talento di mangiare e conforta
il cerebro, e fa buono alito. La chanella k'è grossa non è sì buona né ssì
profitabile, né di tanta efichacia a le cose ke dette avemo kome la sottile.
(i-)
(+i) Gengiovo sì è
kaldo nel terço grado e humido, kon tucto k'elli nom
paia né micha, e di sua natura conforta lo stomacho freddo, e amolla il ventre, e fa
ben cuocere la vivanda, e si dee elegiere k'elli sia biancho e duro e novello.
(i-)
(+i) Galanga sì è
kalda e seccha nel terço grado e dicono molte genti ke ciò
è albero, ma
Diascorides disse ke ciò è radice ke ssi truova in parti et è radice
d'un albero ke cresce in Persia e si puote guardare
.v. anni sança coruptione, ma
ke ssia rossa, novella e pesante, e abbia savore ke a l'uscire de la boccha pungha
la lingua, ké galanga palida, e legiere, e pertugiata, e con poco savore non è da
neente, ma quella ke noi avemo nomata di sua natura conforta la virtù de lo
stomacho per bene cuocere la vivanda. E ki bee vino de la sua dicotione, sì
menoma il dolore k'avenire puote a lo stomaco per freddi e per grossi omori e per
ventosità. E solamente l'odore di lei
scalda e conforta lo
cerebro. Ancora ki
prende polvere di galanga kon sugho di
borrana, sì vale a coloro ke ànno il cuore
fiebole dina
nçi cibo usandolo.
(i-)
Marath è
kaldo e seccho, il quale corrobora e fortificha lo
stomacho e 'l feghato.
L. III, cap. 15 rubr.Capitolo .xv. De' camangiari et erbe e quali di loro
s'aministrano in dicotione, e prima de le latughe.
L. III, cap. 15
(+i) Lattughe sono di due maniere: salvatiche e dimestiche. Le dimestiche
che noi usiamo sì sono fredde e
humide temperatamente e valliono sopra tutte altre
erbe a buon sangue ingenerare. E di lor natura son buone a lo stomacho e si
cuocono
legiermente, e spetialmente quelle ke non sono lavate, perciò ke le lavate
perdono e
chambiano la bontà di sua natura, onde il buon sangue s'ingenera e
acresce la freddura. E sono milliori a usare a coloro ke ànno la forcella chalda ke
a coloro ke ll'ànno fredda, perciò k'elle raffredano più che no scaldano, e donano
talento d'usare con femina e di sua natura non
ristrigne né non
ramolla il ventre, e
mitigano la caldeza de lo stomacho e l'ardore, e la sperma menoma, e fa sompno.
(i-)
Endivia, essendo fredda, genera spengnimento di mala
kaldeza,
e giova et è di grande eficacia alli ardori de lo stomacho e del fegato, e
àe grande virtù di disolvere l'oppilatione.
(+i) Porri sono caldi e secchi nel terço grado e valliono mellio per malatie
rimuovere ke per santade guardare, perciò ke di sua natura fae lo stomaco dolere e
grava la vista per la fumusità ke viene a la testa, ke ssi dipartono da lo stomaco
quando huomo li mangia. E voi vi ne potete acorgere a le
strane visioni ke coloro
ke lli mangiano vegono in
dormendo. E però si ne debbono guardare di mangiare
koloro k'ànno mala testa e ke sono di chalda natura. Ma chi lli mangia e li vuole
usare, sì li faccia cuocere in due acque e mangi latughe o porcellane dop'essi, ké ciò
fanno lor malitia amendare. Usargli per malatie rimuovere valliono molto, k'elli
donano apetito di mangiare e
ristringono il sangue del naso. In questo modo aconci
prendete sugho di porri, e mischiate con olio
rosato e con aceto e con um poco
d'incenso, e
mettetelo ne le nari del naso con una
tasta lina intinta in esso, e
stangnerà. Ancora vale a coloro ke ànno le vie del fegato e del polmone turate di
freddi e di grossi omori. Lo salvaticho sì è
kaldo e seccho nel quarto gradoe à
natura di fare bene orinare e di fare venire i
mestrui, cioè le private malatie de le
fenmine.
(i-)
Il coriandro ricente è freddo, del quale non è da pilliare grande
quantità ke per l'aventura se ne seguiterebbe morte, la cui piccola
quantità opera quelle medesime cose ke lla
latugha, ma elli non
humenta.
(+i) La rucha è
kalda nel secondo grado e humido nel primo, la quale
essendo
emfiativa genera dolore di capo e tardi si digere, ma la vergha
fa
drizare.
(i-)
(+i) Ma perciò k'ella è di buono odore et è afretta, sì conforta lo stomaco, e
dona apetito di mangiare, e
tolle l'abominatione ke per mali omori possono
avenire ke ssono ne lo stomaco. E ancora ki la prende e fa
pestare e trane il sugo
e
mischilo con vino di
melograne, sì
ristrigne il vomire e
tolle il
singhiozo. E
ancora ki ne fa
empiastro e póllo sopra le mamelle
emfiate per troppo grande
abondança di latte, sì le fa venire a sua natura.
(i-)
Il
nasturço è
kaldo e seccho e aiuta l'apetito, avengna ke
emfiamento e dolore di capo faccia e ancora ritarda la digestione.
Il fieno
greco è
kaldo e non fa
emfiatione.
Andacoca fa dolere il capo, la quale è calda et
emfiativa, cioè
genera
emfiatione.
Thyacon è
kalda, la quale
emfia e la digestione ritarda.
(+i) La ruta è chalda e seccha in secondo grado, la quale il viso
sottillia e la ventosità e l'
emfiatione disfae.
(i-)
(+i) Et ènne di due maniere: salvaticha e dimesticha, la salvaticha è detta
pigamo. Le
frondi e 'l seme è
konvenevole in medicina, e i
semi possono essere
guardati per
.v. anni, e le
foglie seccate per anno, e à virtù dureticha, e disolve e
consuma. E con dollia di capo et
epilensia sia messo um pocho del suo
suco chaldo
per lo naso nel bagno, imperò ke purgha flemma e mondificha il cerebro. E 'l vino
de la sua dicotione vale a cciò con
difetto diviso per
humidità collerica; sia posta la
ruta nel dollio con vino e lo 'nfermo usi tale vino. Anche mescolata con acqua e
posta sopra li occhi
cisposi li mondificha. Contra dolore di denti la ruta cotta nel
vino sia impiastrata sopra 'l luogo dolliente, o altrimenti tolli il frusto suo e
ardilo
um poko al fuoco, e con quello
kauteriça la
concavità del dente, assai fa utilità.
Contra
frigidità di stomaco e membri (
paralisi) sia dato il vino de la sua dicotione
e del castoro, con l'opilatione de la milça sia dato il vino de la sua dicotione e de
la radice del
finocchio, il polvere suo con sugho di finochio. Anche contra
stranguria e
dissuria sia cotta la ruta in vino e olio e sia impiastrata sopra 'l
petignone con
tenasma. Per fredda cagione sia cotta la ruta nel vino, e sia facto
antenasma, e sia scaldato buono vino, e sia gittato sopra la ruta, e lo 'nfermo
riceva il
fummo per
embuto. A provocare il sangue mestruo e diducere il
filio
morto e la
secondina sia data trefora
magna con sugo di
ruta. E questo medesimo
adopera il sugo suo solo bevuto o
pesariçato, o le tenerità sue fritte nell'olio e
sopraposte. Contra dolore di membri di fuori per contusione o per altra cagione la
ruta sia
schaldata in tosto, sança alcuno liquore sia aposto sopra il luogo dolliente.
Contra li occhi cispi e rossore il polvere del comino con sugo di ruta sia
confetto e
la bambagia intinta sia posta sopra li occhi.
La ruta bevuta vale contra veleno e contra morsi d'animali velenosi
impiastrata. E s'alcuno fosse tucto circondato di ruta verde sicuro potrebbe andare
al basalischio. Dicono
Plunyio e
Diaschorides e
Constantino ke la
donnola, la
quale dee combattere col serpente, manuca la ruta e, guernita de l'odore e de la
virtù sua;
sicuramente assalisce e uccide il basalischio. L'odor suo chaccia delli orti
i ranocchi e tucti animali velenosi, imperò ke
convenevolmente è piantata ne
lluoghi ove sono le sedie de l'api. Anche quelli i quali sono unti del sugo de la ruta
non sono punti da scarpioni, né da
ragnateli, né da vespe, né da api.
Salvia sì è
kalda e seccha nel terço grado e di sua natura è buona a lo
stomaco e
confortalo, e spetialmente lo stomaco freddo, e vale a quelli ke triemano
e sono paralitichi. E no è buono usare di state quando elli è gran
kaldo, ké di sua
natura schalda e diseccha. E ki ne fae vino
salviato sì è buono a usare di verno e
spetialmente a quelli k'ànno la forcella fredda e 'l petto turato di grossi e di freddi
homori. E ancora vale a usare a coloro ke ànno malvagio alito per la
corutione
delli omori che ssono ne lo stomacho. E nota ke la salvia dee essere piantata com
picole piante e kon rami
jovani nel mese d'ottobre o di novembre ma mellio è di
março.
Menta sì è
kalda e seccha in secondo grado, e perciò k'ella è di buono odore
et è afretta, sì conforta lo stomaco; e dona apetito di mangiare, e tolle
l'abominatione ke per malvagi omori possono avenire ke ssono ne lo stomacho. E
ancor ki l'aprende, e
pestala, e trane il sugo, e
mischialo con vino di pome granate,
e donala a bere, sì
ristrigne il vomire e leva via il
singhiozo. Ancora ki ne fae
impiastro e póllo sopra le mamelle
emfiate per troppo grande abondança di latte, sì
le fa rivenire a sua natura.
(i-)
(+i) Bassilico sì è
kaldo e secho di sua natura. Altri sono ke 'l kiamano
albethoari, il qual è ko le
foglie larghe et è
kaldo,
(i-) il quale fa dolere il
capo e male nodrisce, il cui mangiare turba il vedere quando di lui
molto s'usa, e la sperma e lacte disecca, e tollie il talento d'usare con
femina, e a la boccha de lo stomaco giova, imperciò k'elli il corrobora
e fortificha, e al cuore fa aiuto,
(+i) e
distruge i malvagi omori e fummi ke
intorno al cuore possono avenire e
ingenerarsi.
(i-)
La
mellisa è calda la quale, essendo subtilliativa, è congrua e
buona a coloro ke ànno triemito di cuore; e faccendo
emfiatione,
diriça la vergha e dà vollia di mangiare e tollie il vomito e il
singhiozo.
Appio è
kaldo, il quale, aprendo l'opilationi,
emfia e la luxuria
commuove e al reo odore de la boccha dà e fa rimedio. E non si dee
manicare se non quando huomo temesse de la
puntura de lo
scorpione.
L'appio romano è sì come il predetto, avengna ke elli sia più
sottile e più fortemente operi.
(+i) Allio è caldo e seccho al
cominciamento del quarto grado e sonne di due
maniere, salvatichi e dimestichi. Il salvaticho è più
kaldo e più seccho, ma il
dimesticho, ke noi usiamo a mangiare, fanno sete e fanno libidini, cioè vollia di
luxuria, e mandano fuori la ventosità, e 'l corpo riscaldano e fanno nocimento ne
le calde regioni e ne' caldi tempi e a' caldi corpi, e sono convenevoli e utili a coloro
ke ssono contrarii a questi, e fanno la testa dolere. Ma quando elli è cotto e tienlo
huomo in boccha, sì menoma il dolore de' denti, ma elli
apiccola il vedere e atrae
malvagi omori alli occhi. Ma elli schiara la voce e rimuta vecchia tossa ke ssia
ingenerata di freddo e di grossi homori. E ancora di sua natura dona appetito di
mangiare e vale contr'a' morsi di velenose bestie e per la malitia amendare de le
vivande ke velenosi omori potrebbero ingenerare, e perciò il kiama l'uhuomo lo
triacha del
villano.
(i-)
(+i) Cipolle sono
kalde e secche secondo Raxis, ma secondo Avicenna sì è
kalda nel terço grado e
humide nel quarto e valliono mellio per malatie rimuovere
ke per nodrimento donare, ké di loro natura danno
sete e ingenerano grossi
homori e viscosi. Ma elle confortano l'apetito e secondo Avicenna confortano molto
e nodriscono. Ma s'elle sono mangiate crude, sì fanno la testa dolere, e tucte nature
di cipolle fanno acrescimento di libidine, cioè donano talento d'usare con femina. E
crude manichate generano superflui omori e flemma, e se impiastro n'è fatto con
aqua e
sale, e sia posto sopra 'l morso del chane rabioso od altra velenosa bestia,
sì vale molto. E ancora valliono a usare dopo mangiare per amendare la malitia
de le vivande ree ke potrebboro velenosi homori ingenerare. E ancora per buon
colore avere le fa buon usare.
(i-)
Troximel
domestica è somilliante a la salvaticha, ma è più sottile
e più fortemente opera.
Arsey è chaldo e seccho e a lo stomaco è convenevole.
Chavolo romano e
cavolo di Syria, il qual è kiamato imperiale, è
kaldo e seccho. Il quale, generando collera nera, fa vedere rei
sogni,
ma tuctavia la gola lenisce, cioè pulisce, e
ramorbida e fa uscire, e
tollie ebbreza. Lo 'mperiale medesimamente opera quello medesimo,
avengna ke ssia di minore
kaldeza. E ancora si truovano altri kavoli, i
quali son chiamati
mosali,
kamenden, e sono più freddi, le cui
operationi sono somillianti a l'operatione de' navoni, cioè de le rape
lunghe, e la sperma aumentano, cioè acreschono.
(+i) Ma come k'elli sieno o salvatichi o dimestichi o verdi o rossi, sappiate
ke di loro natura ingenerano grosso sangue malinconico, e fanno
malvagia alena;
ma ki lli mangia con grassa
karne, e ke la prima acqua ov'elli sieno cotti sia
gittata, sì amendano molto la lor malitia. Et essendo così
aparekiati, l'acqua
ov'elli sono cotti amolla il ventre e la substança lo 'ndura; e valliono mellio a usare
per malatie rimuovere ke per santà guardare, ché per malatie rimuovere vale elli a
ffare bene orinare. E 'l sugo bevuto col vino vale a quelli che ssono morsi da kane
rabbioso. E 'l seme quando elli è cotto e bevuto non lascia inebbriare e vale a
molti dolori ke avengono al corpo, ki ne fa
empiastro spetialmente kotto in aqua.
E a questa medesima natura si tiene il torso, se non k'è più duro a cuocere a la
forcella, cioè a la
boca de lo stomacho.
Navoni sì sono
kaldi e humidi nel secondo grado, e di loro natura
nodriscono più ke ll'altre erbe se elli si cuocono bene ne la forcella. E la carne del
corpo ke nn'è ingenerata sì è molle et
emfiata, ma elli ànno gran virtù di donare
talento d'usare con femina. E ki usare li vuole per lor malitia amendare,
konviene k'elli sieno cotti in due acque e ambindue sieno
gittate, e ne la terza
sieno ancora cotti con charne ben grassa. E l'acqua ov'elli sono cotti alenta, e
giova molto al dolore de' piedi e de le
kavillie, e a coloro ke di malatie si lievano.
Radice è
kalda nel terzo grado e seccha nel secondo e di sua natura nodrisce
mellio ke navoni, ma il nodrimento ke dona è malvagio e grosso, e fae emfiare la
forcella, e fa male alli occhi e ai denti e a la gola, e vale mellio per malatie
rimuovere ke per santà guardare. Ki le mangia dopo
pasto, sì fa la vivanda
avallare, e amolla il ventre, e fa bene orinare, e
rompe la pietra de le reni e de la
vescicha, e vale molto a coloro ke ànno tossa di grossi homori e d'umidi. E se
mangiata a
digiuno non è sì convenevole a natura d'huomo kome dopo mangiare,
ké dopo mangiare non fae neente sì emfiare, ançi conforta lo stomaco a cuocere la
vivanda.
(i-)
Melogia è
kalda e molto seccha, la quale genera collera nera, e 'l
sangue
arrostisce, e ne la boccha fa
pustole e bolle, se alcuno l'userà.
E s'ella si cuoce ne l'aceto, ne la boccha non fa
pustole, ma la collera
rossa spengne e riprieme fortemente, e apre l'oppilatione del fegato e
de la milza. Il cui modo di mangiare è pigiore quando ella si manucha
cruda, dipo 'l quale modo di mangiarla sì è arrostita, e dipo questo è il
modo per lo quale ne la
padella si cuoce.
(+i) Baucie, cioè
pastinache, sono
kalde nel secondo grado e humide nel
primo. E sono di due maniere: salvatiche e dimestiche. Ma le
dimestike e le
salvatiche sì nodriscono
poko e grossamente e sono
emfiative, le quali appena con
dureza si
digerono, e a la sperma danno acuitade e chaldeza, e fanno orinare, e
usarle fanno abondanza di grosso sangue di malvagio, e nodriscono meno ke i
navoni. Ma elle provocano orina e aprono le vie de le reni e del fegato turate e de
la vescicha, e danno talento d'usare con femmina. E ki le vuole usare per lor
malitia amendare, sì le faccia cuocere in due acque, o in tre, e le mangi com pepe e
channella e con altre spetie
kalde.
(i-)
Sparagi sono
kaldi e humidi, i quali danno acrescimento a la
sperma, le reni riscaldano e a lo stomaco non sono
konvenevoli, ançi
fanno alcuna volta
nauscha, cioè volglia di reddere.
Rubea, o
ubea, sono fredde e grosse e generano flemma, e 'l
crudo, il quale di loro à
rroseza, è reo. Il molto mangiare di loro
genera
colica, cioè dolore di fiancho, e non sono da manichare sança
kaldi condimenti.
(+i) I funghi sono di molte maniere, e dovete sapere k'elli sono freddi e
humidi nel terzo grado. E sonne ancora di quelli che ssono freddi e humidi nel
quarto, ke
strangolano e avelenano e uccidono li homini subitamente. E intendete,
secondo ke dicono li autori di fisicha, k'elli sono d'altri funghi ke non sono né
micha sì rei, avengna k'elli sieno tucti da ridottare per lo grande perillio ke v'è, ke
quelli ke di loro sono buoni sì generano nel corpo flemma viscosa. E tucti sono
ingenerati di malvagi e puçolenti fummi ke de l'altra nascono, ké quelli ke mellio
valliono sì ingenerano nel corpo grossi omori e viscosi. E sappiate ke la malitia
k'elli ànno, sì la tragono del luogo dov'elli sono nati. E perciò sì è buona cosa a
conoscerli e di sapere k'elli sieno nati in buon luogo, e sì vi aprenderemo a
conoscere quelli che ssono mortali.
Quelli ke sono mortali sì sono molli e grossi e viscosi e nascono in malvagi
luoghi, e quando huomo li parte per mezo e li lascia um pocho dimorare all'aria,
sì lli truova l'uomo tutti verminosi. E perciò ke molte genti non si ne prendono
guardia, sì vi insegneremo kome voi li dovete mangiare per loro malitia amendare,
con tutto ch'elli sieno tutti rei. Ma l'huomo li de' mangiare in tale maniera.
Primieramente li de' huomo
kuocere in
kalamento, origamo,
cannella e pepe, e poi
quella acqua gittare e
farli cuocere in un'altra. E allora si deono mangiare con
pepe, gengiovo, carvi,
kalamento (cioè
nipitella),
kannella e con altre somillianti
spetie, e debbono bere buono vino apresso
.
E que' ke ssono di fredda natura k'elli
ànno mangiati, sì usino dop'essi lattovari, sì come zenzeverata, diecimino,
diacethon,
diatheion
piperon ke queste cose sono buone per lor malitia
amendare.
(i-)
Alcarsof
kalde sono, le quali, aitando l'apetitiva, cioè la vollia del
mangiare, danno acrescimento a la sperma, provochano l'orina e
sono expulsiva, cioè mandano fuori, e tolgono il
puço del
sudore,
quando di loro si prende grande quantità, e riscaldano le reni.
Gosie sono fredde e
humide, le quali sono
prociane a' tuberi,
ma meno sono fredde e milliori di loro.
Fesiche sono fredde e humide, le quali sono vicine e
prociane a
gosie.
Cantar è caldo et
emfiativo, il quale, acrescendo la sperma, fa
nauscha e dolore di capo, cioè vollia di reddere.
Sahara è calda e seccha e diseccha lo stomaco e 'l fegato.
Cuscute, essendo temperata e seccha, fa lo stomaco e 'l feghato
robusti e forti.
Talea è freda e seccha, la quale, faccendo lo stomacho robusto,
diseccha, e l'
ebollitione del sangue riprieme e menoma.
Sicile, o
sicle, sono
kalde, et essendo ree a lo stomacho fanno
uscire e la flemma
talliano.
Firfir, o
flosyr, essendo freddo, tollie la
sete.
(+i) Porcellana sì è fredda nel terzo grado e humida nel secondo. E vale di
sua natura per malatia rimuovere più ke per nodrire, ke ella vale a coloro ke
ànno la vescicha, le reni e lo stomacho caldo;
(i-) sete e
adustione
spengnendo, il ventre
strigne e la congelatione e l'allegamento de'
denti tollie. E a coloro ke ànno superfluità di collera rossa, e a coloro
ke ànno fluxo e menagione di ventre per cagione di collera rossa
giova, e la sperma menoma.
(+i) E
ristrigne il sangue da qualunque parte
k'elli vengna; e ki nne fa
empiastro a la testa, per dolore ke per
kaldo aviene, sì 'l
mitigha.
(i-)
Atrebici sono freddi e humidi, i quali
mollificano il ventre e
molto nodriscono, onde all'iterici e a koloro ke ànno il feghato
rischaldato sono buoni e
hutili a usare.
Litri, overo
bliti, si truovano più chaldi ke lli
atriplici, ma meno
sono humidi.
La
malva si truova vicina alli
atreplici, ma è più lieve cibo di
loro,
(+i) e tiensi a natura di bietole, e secondo Galieno è temperata, e vale più a
malatie rimuovere ke a nodrimento donare, ké di sua natura matura apostemi. E
ki bee il sugo kol vino, sì purgha le reni di pietra e di grossi homori, ma usarla
per nodrimento donare sì tollie l'apetito del mangiare e fae abominatione e la
forcella emfiare.
(i-)
(+i) Spinaci sono freddi e humidi ne la fine del primo grado e sono
temperati, i quali a la gola e al polmone, e ancora a lo stomacho e al feghato, sono
buoni e convenevoli, e muovono il ventre. Il cui nodrimento è buono e optimo e
valliono mellio a nodrire ke li
atreplici. E sono buoni a usare a coloro ke ànno il
petto seccho e il polmone caldo e ke ànno tossa di calda natura e di caldi homori,
k'ànno lo stomaco
kaldo e ànno
sete.
(i-)
(+i) Bietole amolliscono il ventre percioe ke ssono fredde e humide, e
vallio
no a usare a coloro ke ssono di calda natura e di caldi omori, e
tengosi a
natura di spinaci e più amollano il ventre.
(i-)
(+i) Borrana sì è calda e humida nel primo grado, e di sua natura fa
l'uhomo lieto, perciò ke 'l sangue ke nn'è ingenerato sì è caldo e temperato, e
conforta il corpo, e spetialmente quando huomo bee il suo sugo col buon vino, e
vale a tucte malatie che al cuore possono avenire, et è di sua natura più
convenevole a natura d'huomo ke erba che l'huomo possa trovare.
(i-)
La
coregiuola è
kalda, la quale, essendo rea a lo stomacho, fa
menagione di ventre e fae abominatione e angoscia.
(+i) Çucche sono fredde e humide nel secondo grado; la quale, essendo rea a
lo stomacho, l'apetito
distruge e la sete mitigha, la quale
strigne il ventre e lo
stomaco fa aspro, e la collera rossa e la
sete spengne, e perciò vale mellio a usare ai
sanguigni e ai collerichi ke ssono di calda natura ke a coloro ke sson di fredda; e
di state è milliore ke di verno, k'elle rafredano il
calore del fegato e de la forcella, e
amorta il
calore ke di state si può generare. E valliono mellio a calde malatie
rimuovere ke al
korpo nodrire, e spetialmente l'acqua de la
zuccha, e si ne può
trare in questo modo: prendete la
çuccha e fatela radere e
imbiutare di
pasta molle,
e poi apresso
farla cuocere al
forno in una teghia e, quando sarà cotta, si
creperà
la crosta; allora la traete del
forno e
talliatela e gittate via la crosta e
premetela, e
dell'aqua ke n'uscirà sì fate sciroppo, e datolo sempicemente com um pocho di
zuchero a coloro k'ànno
kalde malatie, ké ssopra tucte cose à virtù di rafreddare
il grande
kalore de la febre e di spegnere la sete. E se non ne fate sciroppo,
date
l'acqua sempice kol zuchero.
(i-)
L'acetosa è fredda e seccha, la quale
stringne il ventre e lo
stomacho fa aspro e la
colera rossa e la sete spengne.
(+i) Aneto sì è
kaldo e seccho in secondo grado e 'l suo
seme spetialmente
si conviene a la medicina, perciò ke 'l seme suo
mondifica il ventre de la
putrefatione delli omori e à propietade di spengnere il
singhiozo, ma non è a
mangiare
konvenevole a lo stomaco, e fa abominatione.
(i-)
E 'l lacte acresce e 'l ventre muove.
Il
rafano sì è
kaldo e grosso, cioè di grossa substantia, il quale,
facendo ne lo stomaco lungha dimorança, il flemma tallia, e 'l cibo
lieva a la boccha de lo stomacho, e conmuove vomito e fa reddere; le
cui follie il cibo
digerono e aiutano l'appetito, quando di loro si pillia
pocho.
(+i) E bere il suo seme vale molto a morso di velenosa bestia.
(i-)
Keneyviri fa menagione del ventre e fa oppilatione del fegato e
de la milza.
(+i) Enula, cioè ella, sì è calda in secondo grado e di sua natura
ingenera buon sangue et è buona a coloro k'ànno pieno lo stomaco di
molti omori,
(i-) e apre l'opilationi del fegato e de la milza. E ki di lei
manucha grande quantità avrae, corruptione del sangue e
menomeràgli la sperma.
Garus è caldo e seccho e fae
sete, ma tuttavia purgha lo stomaco
de la flemma e giova e fa bene al reo odore de la boccha.
Assanetu è
kaldo e secco, il quale, faccendo
sete e radendo lo
stomacho, sì 'l purga di grossa flemma. E 'l sangue di colui che ll'usa
si corrompe, e del suo usare e manichare scabbia e simillianti infertadi
a llei si generano.
Robdie sono
kaldi, i quali, faccendo apetito di manicare,
generano sete e lo stomaco nettano e stimolano di mandare fuori la
sperma.
Simiechet
kaldi sono, i quali, radendo l'omore de lo stomaco,
fanno sete.
Cappari
salimura condita è
kalda e seccha, la quale è rea a lo
stomacho, e fa sete, e 'l corpo fae dimagrare.
Amiden condito col
sale è molto
kaldo e fa dolore di capo, e a
lo stomacho ripieno di molti homori e a colui la cui digestiva è molto
diversa fae aiuto e giova.
L'
aneto condito col sale è
kaldo, il quale è convenevole a colui
ke vuole redere, e quando si manucha dopo 'l cibo si nuoce.
Universalmente la virtù di tutti questi ke ssono
konditi col sale,
la virtude è sì come la virtù di coloro de' quali elli si fanno. Le quali,
poscia, per lo sale e per la putrefatione aquistano un'altra natura
seconda, ne la quale sono
superflua caldeza, e
superflua seccheza, e
acuitade, e aguçamento. E tucte quelle cose ke co l'aceto si
condiscono aquistano da llui molta subtilità, e 'l fegato raffredano.
E 'l
capparis, la quale si conde co l'aceto, è meno
kalda ke quella
ke ssi
condissce
salimura, e a l'opilatione del fegato e de la milza è
convenevole e buona.
Le cipolle che ssono ko l'aceto condite non riscaldano e non
rafreddano e non fanno sete, ma l'appetito aiutano e confortano.
Cedroni e cochomeri conditi coll'aceto molto raffredano e con
questo sono sottili. E tucte le cose condite con l'aceto e co la
salmuria, cioè un savore, nocciono a coloro ke ànno aspreza ne la
gola.
E ancora quelle cose che ssono condite con la
salmurra si
truovano nocive a color ai quali aviene scabbia e piççicore e
sahapha,
e a coloro ai quali solliono avenire infertadi somillianti a quelle le
quali si generino d'
adustione e
'mbrasciamento del sangue e de la sua
corruptione.
La
senape è fortemente caldo e acuto e pugnente, la quale
rade e
lava la flemma, e lo stomaco e 'l fegato riscalda, e non è da manicare
spesse volte,
(+i) perciò k'ella è
kalda e seccha in quarto grado,
(i-) e non si
de' mangiare se no si mescola con cibi e nudrimenti molto grossi.
(+i)
E di sua natura sia disecchare i grossi homori e humidi de la testa e de lo
stomaco, e spetialmente a quelli ke ll'ànno freddo. Ma ella è rea a usare di state a
coloro ke ànno la complexione
kalda e seccha. E dovete sapere ke 'l suo
kalore
apicola, quand'ella è distemperata con aceto. E s'ella è distemp
erata kon
vino novello sì è meno seccha et è amabile a lo stomacho per la dolceza
del vino novello.
(i-)
Le rape condite coll'aceto sono fredde, le quali, avengna k'elle
non faciano
infiamento, spengono la collera rossa.
L'ulive de l'acqua
kalde sono e secche, le quali, se ssi manucano
dinançi al cibo, fanno uscire e fanno la boccha dello stomaco robusta
e forte.
L'ulive dell'olio sono più calde, le quali fanno la boccha de lo
stomaco meno robusta e meno forte, e 'l ventre fanno meno uscire.
Seragar condita koll'aceto riscalda e la digestione aiuta.
I
bruncoli, i quali non sono salati, um poco riscaldano ' essendo
emfiativi acreschono la sperma. E quelli che ssono salati più
rischaldano e fanno sete, e sono di reo nodrimento, e 'l sangue
arostiscono e
riardono.
E la salsa, la quale si fa d'aceto e charvi, il cibo digere e cuoce e
non riscalda molto. E quella che ssi fa d'
allio e di senape, ne la quale
non si pone aceto, è caldissima, e quella ne la quale si pone il siero del
latte acetoso riprieme il loro
kalore.
Phezneregegi è
kalda e l'omore il qual si fa di lei è reo, il quale i
nerbi impedimentisce e fae
emfiatione.
L. III, cap. 16 rubr.Capitolo .xvj. De la propietà de' frutti e pomi e prima de'
dateri.
L. III, cap. 16Datteri
kaldi sono e danno molto nodrimento, i quali, se ne'
manichari s'usino molto di pilliarne, dentro generano il sangue
grosso, e i denti
corrompono, e 'l sangue e la flemma fanno acrescere,
e 'l cibo fanno tosto de lo stomacho discendere, e mandano fuori del
ventre se ssi manucano dinançi al cibo.
Rotab, o
ratab, sono una maniera di datteri ke ssono sança
noccioli e sono meno
kaldi che i datteri, i quali essendo
lenitivi, cioè
ke puliscano, lo stomacho
rettifichano
.
(+i) Datteri sono
kaldi e humidi nel secondo grado e loro natura si
diversificha secondo i paesi ov'elli nascono: ké certi sono ke nascono in paese
kaldo, e altri sono ke nascono in paese freddo, e altri sono ke nascono in
temperati. Quelli che nascono in chaldo paese sì sono più caldi e viscosi e più dolci,
ma elli nodriscono meno e si cuocono più tosto a lo stomaco, e ànno natura
d'amollare il ventre, e d'aprire le vie, e ingrossare il fegato e la milza. Quelli ke
nnascono in terra fredda sì ssono più secchi e meno viscosi e mellio nodriscono e
più dimorano a la forcella. Quelli ke ssono nati in terra temperata sì ssi tengono a
la natura delli uni e delli altri.
(i-)
L'
uve molto dolci sono
kalde, ma di minore
kaldeza sono ke
non sono i datteri e non fanno
oppilatione sì come i datteri, ma elle
emfiano il ventre e tosto ingrassano e fanno dirizare la vergha de
l'huomo. E quelle le quali ànno la scorza sottile più tosto
discendono e meno
enfiano, e quelle ke ssono contrarie a queste
fanno contrarie operationi. Ma quelle ne le quali àe
acetositade non
riscaldano, ançi, coll'acqua fredda lavate e dinançi al cibo mangiate,
spengono quasi il
calore.
E l'acerbe
uve sono fredde, le quali il ventre
stringono e la
collera rossa e 'l sangue
ripriemono e
atutano e
mitigano.
E l'uve passe sono temperate in caldeza, le quali bene
nodriscono e
oppilacione non fanno sì chome i dacteri, advegna
ch'egli più fortemente e più
nodriscano.
(+i) I fichi sono di diverse maniere: verdi e secchi. I verdi sono
kaldi e
humidi di loro natura, e fanno il ventre emfiare e ingenerano grossi homori, e
fanno bene andare a camera e spetialmente quando la scorça n'è levata; e per lo
poco dimorare k'elli fanno nel ventre, sì nodriscono poko, ma elli non ne donano
sì pocho k'elli no ne donino più ke neun altri
fructi. E secondo la 'ntentione di
Galieno, quelli ke ssono verdi sì sono rei a lo stomaco, ma elli sono buoni per
distoppare e aprire le vie de la milça e del feghato e de le reni. Fichi secchi sono
kaldi e secchi nel primo grado e di loro natura scaldano, e danno sete, e danno
assai nodrimento, e sono convenevoli a lo stomaco, e non
emfiano la forcella sì
come fanno i verdi. E se ciò è ke lo stomaco sia pieno di grossi omori o di grosse
vivande e di ree allora non sono buoni a usare, perciò k'elli ingenerano allora
ventositade e ingenerano polso più k'altra volta, avegna ke per lo lungo usare
abbiano tuctavia grande abondança di polso. Ma chi li mangia quando lo stomaco
non è pieno di mali omori, sì ingenerano sangue buono, e purgano i mali omori del
corpo, e fanno bene orinare, e purgano il petto, e allargano le vie del polmone. E
perciò ke l'huomo non è sança ventosità, sì dee usare dop'essi anici, gengiovo, seme
di finocchio e altre cose per la ventosità levare.
Il molto
uso de' sechi fae e crea piççicore e
vermi e 'l ventre muovono
usandoli ançi cibo. E ki vuole ke i fichi ingenerino buono sangue sì li mangi kon
noci o kon mandorle. E vallio
no mellio a mangiare ançi mangiare ke dipo
mangiare, e kome ke huomo li
usi sono più convenevoli a natura d'uomo ke neuno
altro
fructo.
(i-)
Fumez sono caldi, i quali, essendo rei a lo stomaco, fanno
nauscha e abominatione, ma di più sottile natura sono ke i fichi e più
tosto discendono.
Musa è
kalda, la quale, conciosiacosak'ella sia rea a lo stomaco,
fa fastidio e si convertisce in collera rossa, e tollie l'apetito del
mangiare, e il ventre muove, e
rimuove e lieva l'asperità de la gola.
(+i) Cannamele è
kaldo e humido in primo grado e sì è molto convenevole a
natura d'uhomo a usare, ké di sua natura pulisce la gola e provocha l'orina, cioè
fa bene orinare. E ancora lieva l'ardore, il quale si sente ne l'
orinare, e fae
rimedio a la tossa, e purga le reni e la vescicha, e amolla il ventre, e allargha il
petto e il polmone. Ma ki ne mangia troppo, sì
emfia il ventre, e
tura le vie per la
grande atrattione ke i membri ne fanno, e purga lo stomacho per vomire apresso
quando huomo n'à preso assai prendendo acqua chalda. E 'l çuchero ke ssi fa del
cannamele sì si tiene a quella natura.
(i-)
(+i) Melegrane sì ssono di diversa maniera, sì come dolci e afre. Le dolci
non sono sì fredde come l'afre, e di loro natura non
rafreddano ma sono
emfiative,
e fanno sete, e la gola fanno pulita sanza asprezza. L'afre, overo acetose, sono più
fredde e valliono a coloro k'ànno lo stomaco caldo e il fegato
scaldato, e ke ànno
febre di collera
kalda e rossa, e vomiscono
legiermente, e fanno aspreza di petto, e
vagliono insomma mellio per malatie rimuovere che per santade guardare.
(i-)
(+i) Mele cotongne sono di diverse maniere: dolci e acetose. Le dolci sono
fredde e secche, ma non sono sì fredde né sì secche come l'afre. E intendete ke tutte
maniere di mele cotongne afre o dolci fanno lo stomaco forte e
confortallo, e donano
apetito di mangiare, avengna ke l'acetose sieno più forti,
acciò la cui propietade è
di costrignere il ventre. E se queste dipo 'l cibo si
manuchano, tutto
questo no llasciano avenire, ké ss'elle sono mangiate dinançi cibo si
ristringono e dopo cibo si allargano. E quelle che ssono più acetose nel
costrignimento sono più forti.
(i-)
(+i) Pere sono fredde nel primo grado e secche nel secondo. E intendete di
quelle ke ssono mature ke dell'altre no. E sappiate ke tucte pere
ristringono il
ventre dinançi mangiare e dopo mangiare tosto fanno uscire lo sterco, perciò ch'elle
sono pesanti, sì fanno la vivanda avallare, dipo la cui
'spulsione
e mandamento
fuori è la loro propietade di costrignere il ventre. E valliono mellio a usare per
malatie rimuovere ke per santade guardare, ké in santà guardare non fanno
pro,
se non per grosse vivande avallare. E quelle ke l'huo
mo dee usare sono quelle ke
ànno la scorza tenera e ke non sono né troppo grosse né troppo picole, e ke ànno
colore mischiato di verde e di giallo, e che al savore sono dolci in maniera di
zuchero. Cotali sono le pere ke l'huomo dee usare, ma perciò k'elli ne sono di
diverse maniere, sappiate ke tucte maniere di pere,
generalmente sono ree a digiuno
e non valliono in santà guardare se non usandole dopo mangiare da
ssezo a la
vivanda.
(i-)
E le
pere de'
semi, avengna k'elle sieno di minore nodrimento,
nel costrignimento del ventre sono più forti e più
atutano la sete.
(+i) Le
sorbe sono fredde e secche e di loro natura confortano, e
ristringono
il ventre, e spengono e
atutano la collera rossa, e valliono molto a quelli ke
vomischono per boccha e ke ànno menagione, ma il loro nodrimento sì è piccolo e
malvagio.
(i-)
Naubach, ciò sono uve d'abrostini, fredde sono e secche, le
quali
stringono il ventre e la collera rossa
repriemono e spengono. E
quelle ke di loro sono più dolci, a queste cose sono più deboli.
(+i) More sono di due maniere, sì come mature e verdi. Quelle ke ssono
mature e dolci sì sono
kalde e humide, e ànno natura d'amollire il ventre e di fare
orinare, e non sono convenevoli a lo stomaco, ançi vi fanno fastidio e
affiebolisconlo
e tolgono il talento di mangiare. E se l'huomo le 'mprende quando la forcella è
piena, sì ssi corrompono e ingenerano malvagi omori e fanno lo stomaco enfiare e
la testa dolere. Ma s'elle sono mangiate a
digiuno e sono
rafredate ne l'acqua
frescha, sì tolgono la sete e raffreddano la forcella e il fegato. E perciò ki le vuole
usare, sì le dee prendere a digiuno e non dopo mangiare. Quelle ke sono verdi e
non mature sì ssono fredde e secche e di lor natura confortano lo stomacho, e
raffreddano, e donano talento di mangiare, e valliono più per malatia rimuovere
ke per santà guardare, ké 'l vino di tali
more vale a
gargarizare a dolore di gola
ke viene di caldo, e vale ad menagione di collera e di caldi homori sì la
ristrigne.
E la radice del
moro cotta in acqua sì amolla il ventre e fae bene andare a
kamera. Le
foglie cotte in aqua, e quella acqua tenere in boccha, sì conforta i
denti e le
gengie e
rimuove il
calore, e a quella medesima natura si tengono quelle
de' pruni.
(i-)
(+i) Mele di loro natura sono fredde e
humide, e intendete di quelle ke
ssono mature e ke ànno poco di savore. E tucte mele diversifichano loro natura
diversamente, e diversamente
adoperano nel corpo de l'huomo secondo il tempo ke
l'huomo le mangia, ké ki le mangia verdi e ànno agro savore, sì confortano lo
stomacho e valliono a usare a coloro ke ànno la forcella calda, per la natura del
vino, cioè del loro sugho; ma per la natura de la substantia, sì ingenerano homori
flematichi e puçolenti, onde febbri si possono ingenerare e dolore di fiancho. Quelle
che l'huomo mangia mature sì raffreddano la forcella e ingenerano sangue freddo e
aguto, e lunghamente usarle sì fae venire dolore di
nerbi, e spetialmente usarle di
verno. Ma elle sono buone a usare a quelli k'ànno bevuto troppo vino puro, ké
elle avallano le vivande e i
fumi del vino ke 'l cerebro potrebbero empiere e fare
l'uhomo ebbro.
(i-)
(+i) Le prune, ciò sono le susine, sono di loro natura fredde e humide:
fredde nel
cominciamento del secondo grado e
humide ne la fine del terzo, le quali,
avengna k'elle muovono il ventre, la collera rossa
ripriemono e spengono, et tolgono
l'apetito.
(i-)
(+i) Ma voi dovete sapere ke elli ne sono di diverse maniere, sì come
bianche e nere, citrine, grosse e piccole. Le bianche e le grosse sì fanno male a lo
stomacho e donano menagione e pocho nodrimento. E queste prune non dee homo
mangiare s'elle non sono ben mature. Le nere sì ssono di diverse maniere o elle
sono salvatiche o elle sono dimestiche. Le dimestiche sono ancora di tre maniere
sì come bene mature, verdi, e in quel mezo né verdi né mature. Le nere mature sì
ssono meno fredde e più
humide de l'altre e di loro natura sì amollano il ventre e
lo stomacho, e le dee homo
usare a digiuno per purgare la collera, ma elle gravano
molto a la forcella e la
travalliano, ma elle sono più frede e meno humide dell'altre
e di loro natura amolliscono. Le verdi dure e afre sì ssono ree per nodrire, ke elle
travalliano la forcella e l'agravano e ingenerano vermini, ma elle sono più frede e
meno humide de l'altre, e
ristringono il ventre, e donano apetito di mangiare.
E sono altre maniere di prune che amollano il ventre, sì come dice Galieno.
Altre sono, sì come
Diascorides, ke dicono ke
ristri
ngono. Per sapere ki disse
melliore sperimento, si giudicha intra questi due le salvage, ke di loro natura
ristringono o picole o grosse k'elle sieno, ma per santà guardare sono tutte
malvage.
(i-)
(+i) Pesche sono fredde e humide. Fredde sono ne la fine del primo grado e
humide ne la fine del primo,
(i-) e sono di grosso nodrimento, le quali,
avegna k'elle sieno buone a lo stomaco troppo caldo, kom pena
discendono e con
dureza de lo stomacho, e com pena e con
dureza si
convertiscono in sangue. E ki ll'userà di manichare
kadrà in febbri
flematike
(+i) ke di lor natura sì ingenerano flemma e amollano il ventre,
spetialmente quelle ke ssono ben mature e donano appetito di mangiare, ma
konviene k'elle sieno mangiate a digiuno e bevuto buon vino dop'esse; ké ki le
mangiasse dopo mangiare, sì ssi corrompono e ingenerano mali homori e fanno
malvagia alena e
putente. Ma elle donano molto mal nodrimento e dimorano
molto a la forcella. E quelle ke ssono grosse, e pilose, e rossette, e tengonsi al
nocciolo de nero, sì ingenerano più grossi homori e più viscosi ke le piccole. E 'l
sugo de le fogle bevuto vale contra i vermini, e spetialmente le follie poste sopra 'l
bellico a modo d'impiastro.
(i-)
(+i) Grisomole sono piccole peschette ke noi
kia
miamo humiliache. E
sono fredde e
humide nel secondo grado, le quali mature muovono il ventre et
emfiano, e
ripriemono la collera rossa, e lo stomacho indeboliscono spegnendo il
suo
calore. E ki spesse volte l'userà nel sequente tempo avrà febre. E per
brievemente parlare, elle sono tucte malvagie, avengna k'elle si tengano a la natura
de le pesche. E se usare le conviene per loro maliçia schifare, sì ssi convengono
mangiare a digiuno e bere buono vino, e mangiare anici e altre somillianti cose per
loro malitia amendare.
(i-)
Ribes sì è
fiore di
salce di fiume
korrente, è fredda, la quale il
ventre
strigne e la collera rossa e 'l sangue spegne.
(+i) Melloni sono freddi e humidi in secondo grado. Melloni dolci si
convertiscono in collera rossa e li altri tolgono la sete e ànno a
humentare. Il seme de' melloni provocha orina e mondificha la vescicha da la
renella e da pietra. E s'alcuno userà molto di manicare i melloni,
averàgli il male del fiancho.
(i-)
Cochomeri e cederni sono fredi, i quali tolgono la sete, e lo
stomaco raffreddano, e l'orina provocano.
(+i) Cocomeri sono freddi e humidi nel secondo grado, e sono grossi e duri
per
kuocere ne la forcella, e di loro natura sì fanno mal stomaco e tolgono talento
di mangiare. Ma quando dopo mangiare sono mangiati, sì tengono cruda la
vivanda e nolla lasciano cuocere. Ma impertanto elli sono meno rei a lo stomaco
ke i melloni, ké i melloni sono di più
malvagia natura ke i chocomeri, avengna ke
quando elli si cuocono bene a la forcella valliono mellio ke i cocomeri ké, ssì come
disse Ypocras, i cocomeri ingenerano più grossi homori ke i melloni e fanno più
orinare e amollare il ventre.
I cedriuoli sono più freddi ke i melloni, ché elli sono
freddi ne la fine del
secondo grado, e di loro natura sì sono più grossi e più viscosi ke i cocomeri, e
percioe sì ingenerano flemma. E se elli non si
cocessero a lo stomaco, sì ssi
convertono a natura di rei omori, e ingenerano ventosità, e gravano più lo
stomacho ke i melloni o ke i cocomeri, e perciò non sono buoni a usare se non a
coloro ke ànno lo stomacho forte e
kaldo.
Cederno. Pome citrino, ciò sono cederni, sì ànno diversa natura, perciò ke
elli sono di quatro cose diverse fatti, sì come de la scorça, cioè buccia, la quale è
kalda nel primo grado e seccha nel secondo. E ki la mangia sì non si kuoce né
mica bene a lo stomaco, perciò k'ella è amara um poco et è di buono odore, a lo
stomaco sì konforta, e dona apetito di mangiare e fa buona alena di boccha. E
ki 'l prende
kontra veleno com buono vino puro sì
distruge il veleno, sì come disse
Diascorides. E ancora sì vale incontra lo snaturato apetito de le femine ke ssono
incinte ke mangiano
karboni e altre male cose. E ancora ki prende la scorça e la
tiene tra le robe, tra ' panni, sì li guarda da coruptione e da tignuole. E con
quella medesima
scorça stropiciare i denti la mattina sì conforta le gengie e fa
buono odore di boccha. La seconda cosa sì è il bianco ke à presso la scorça k'è
freddo e humido nel primo grado e di sua natura raffredda lo stomacho, ma ella
non si cuoce bene, e ki la vuole usare si conviene k'elli sia mangiato dinançi a
tucte vivande. E vale mellio a usare di state ke di verno e si dee mangiare kol
mèle o kon
çukero. La terça cosa sì è la midolla k'è
acquidosa, la quale è fredda e
humida nel secondo grado, e usarla per nodrimento dare non fa prode, ma ella
vale per lo
calore del fegato e de lo stomaco rimuovere, e leva l'amaritudine de la
boccha ke l'huomo sente la mattina di state, e dona talento di mangiare e tolle la
sete, e ancora sì tolle le litigini e altre ordure ke possono avenire nel viso
.
E ciò
potete provare per questo spermento: prendete sugho di questa midolla e
stroppiciatene la roba che ssia nera d'
inchiostro, e le mani che sono tinte di scorçe e
malli di noci verdi sì le
netta e le fae rivenire il loro primo colore
.
La quarta cosa
sì come le granella sue ke ssono
kalde e secche nel primo grado e non valliono
nulla per mangiare, ma elle valliono stemperate col vino contra veleno, e fa buona
alena, e conforta lo stomaco a cuocere la vivanda. La
follia de l'arbero ke tale
pome porta si tiene a la natura de la scorça.
Fraole sono
calde e
humide temperatamente, ma elle si tengono più in
freddura ke in
calore e di loro natura, quando elle sono bene mature, sì amollano
il ventre, ma s'elle sono verdi, sì
ristringono. E sappiate k'elle nodriscono pocho e
dimorano poco ne la forcella, e conviene ki usare le vuole ke l'huomo le mangi a
digiuno, ké ki le mangia dopo mangiare, sì ssi corrompono e si ingenerano rei e
malvagi homori nel corpo de l'huomo.
(i-)
Le ghiandi sono fredde e secche, le quali costringono il ventre
(+i) e non donano nodrimento al corpo de l'huomo.
(i-)
(+i) Le corniuole sono fredde e secche, ma quando elle sono bene mature sì
confortano lo stomaco, e donano apetito di mangiare, e valliono molto a quelli ke
vomiscono, e ma ingenerano malvagi omori e poco nodriscono.
(i-)
(+i) Ginepere sono chalde e secche nel secondo grado, e secche nel
cominciamento del terzo, e valliono mellio per malatie rimuovere ke per lo corpo
nodrire, ké di loro natura nodriscono pocho, ma elle confortano lo stomacho e
ristri
ngono il ventre, e fanno buon
alenare di boccha, e fanno il
sudore ke
pute
odorare soave da tucte parti del corpo. E ki sse ne fae lavare la testa, sì la scalda
e
ristrigne la
rema ke viene per freddura.
(i-)
(+i) Noci sì ssono di due maniere: verdi e secche. Le verdi sì ssono
kalde
nel terço grado e secche nel
cominciamento del secondo. Ma s'elle si cuocono, sì
nodriscono molto, e no le dee usare se non colui ch'à la forcella calda, k'elle si
convertono
legiermente in
kaldi omori secondo Avicenna; ma Ysaac dice k'elle
valliono mellio a quelli che ssono de lo stomaco temperati intra caldi e freddi
humidi, e tanto kom'elle sono più vecchie, tanto valliono meno per nodrire. E
tanto kom'elle si tengono più a verdi valliono mellio ke le verdi, non sono né
micha sì ree a la forcella, ançi nodriscono bene e donano apetito di mangiare; e
s'elle sono mangiate con sale sono meno
kalde e meno secche de le vechie. E
intendete ke tucte maniere di noci sono triacha, ki ll'usa contra tutte maniere di
veleno e spetialmente ki pesta le noci col sale e co la
cipolla, e
fanne impiastro e
póllo sopra il
morso del cane rabbioso e d'altre bestie velenose. E sappiate ke
ll'olio sì è molto caldo e non è buono a usare come quello dell'ulive, k'elli si tiene
tuctavia a la natura de le noci ond'elli è facto, le noci sono
kalde, le vecchie, le
quali fanno
vescike ne la bocha e
rischaldano.
(i-)
(+i) Nocelle sì ssono più fredde e più secche ke le noci e di loro natura sì
nodriscono più ke le noci. Ma elle sono più grosse e più pesanti e dimorano più a
la forcella; e ki ll'usa, sì ingenerano ventosità, e spetialmente ki le ma
ngia co la
scorza. E valliono molto peste col mèle a coloro ke ssono malati di vechia tossa.
E valliono ancor a ki le mangia contra tutte maniere di veleno, e arostite
ristringono il ventre, se a digiuno sono mangiate.
(i-)
(+i) Chastangne sono calde nel primo grado e secche nel secondo e fanno di
lor natura ventosità e dolere la testa per la flemma ke ssi diparte da lo stomaco de
la gran dimoranza k'elle vi fanno. Ma quando la forcella è forte k'elle si cuocano
bene, sì nodriscono molto il ventre s'elle sono mangiate a digiuno e apresso la
mollano. E ki le fa cuocere im brascia o in acqua, sì amendano lor malitia, ma
elle ànno loro virtù di più forte
restrignere il ventre. A malatie rimuovere sono
buone perciò k'elle donano apetito di mangiare, e
ristringono il vomire s'elle sono a
digiuno mangiate. E ancora contra i morsi di chani rabiosi ki le prende e fa
mischiare col sale e col mèle, e
fanne impiastro, e
pòllevi sopra, sì
vallion molto.
(i-)
(+i) Mandorle sono di due maniere: dolci e amare. Le dolci sono chalde
temperatamente nel primo grado e di loro natura nodriscono a maniera di noci,
ma le noci si cuocono più
legiermente e si convertono più tosto in omori collerici ke
non fanno le mandorle. Le mandorle sono pesanti a lo stomaco e sì vi dimorano
molto, ma non fanno tanto di male come le noci, e s'elle sono mangiate verdi con
tucta la scorça, sì confortano le gengie. E quando elle sono mature, quando la
scorça si comincia a
maturare e a indurare, sì valliono mellio a usare a coloro ke
ànno la forcella calda e ke ssono malati di febri, con tucto k'elle
nodriscano poco.
Ma ciò k'elle nodriscono è buono e lacte ke nn'è facto e l'olio è più legiere ke non
sono le mandorle. Le mandorle dolci fanno
lenità e pulimento ne la gola e tolgono
l'aspreza, ma tuctavia elle sono
gravi e lungamente stanno a lo stomaco, ma elle
non solamente fanno opilatione e mangiate col çuchero sì acrescono la sperma.
(i-)
I
fistici sono più chaldi ke le mandorle e aprono l'oppilatione del
fegato.
E l'avellane sono meno
kalde de le noci, sì come avemo detto, e
prestano ancora benificio a coloro ke ssono puncti da scarpioni.
Naragil sono le noci d'India e sono calde, le quali la sperma
acrescono e le reni riscaldano e quelle parti ke ssono intorn'a loro.
Taro ortolana nasce in Gerusalem et è calda, la quale dà
acrescimento a la sperma, e riscalda le reni, e l'ingrassa, e
provoca i
mestrui.
Faffasa grana son calde, le quali la sperma acreschono e 'l corpo
ingrassano.
(+i) Il
fructo del
pino. Sono
kalde ne la fine del secondo grado e secche nel
cominciamento e sonne di due maniere, piccole e grandi. Le picchole sono più
kalde e più secche de le grosse e di loro natura le grosse e le piccole, se l'huomo le fa
dimorare ne l'acqua
kalda, sì s'aprono, e di lor natura monde sì valliono a coloro
k'ànno tossa e caricato il petto di grossi e di mali omori, e peste con seme di çucche
distruge l'arsura e 'l dolore de le reni e de la vescicha ke per orinare aviene, e
ingrassano e danno talento d'usare con femina, e giova a coloro k'ànno triemito in
alcuna parte del corpo.
(i-)
(+i) Nespole sono fredde e secche nel primo grado e di lor natura confortano
lo stomaco e
ristringono il vomire e menagione ke viene per caldi homori, e fanno
bene orinare e valliono più per malatie rimuovere ke per nodrire il corpo, perciò
k'elle nodriscono pocho e ingenerano grossi homori. E ki le vuole usare sì le dee
usare a
digiuno, ké allora confortano più lo stomaco e danno appetito di
mangiare.
(i-)
Kicil sono
kalde, le quali acrescono la sperma e fanno dolere il
capo.
Grana
çelanus, o
zelen, sono
kalde e acrescono la sperma.
Il seme de la canape è
kaldo, il quale fa fastidio e ne la boccha
genera mal odore, e lo stomaco mollificha, e 'l ventre
liniendo muove.
Il seme del papavero biancho è freddo, il quale è buono a la gola
e al petto e fa sonno e talento di dormire.
Geboan, o
gebran, sono fredde e secche, le quali il ventre
stringono e 'l vomito
ritengnono.
Iuiube sono temperate in caldeza e sono buone al petto e a la
gola e l'acuità e 'l bollore del sangue e la sua
sottillieza spengono
um pocho.
Silique, le quali nascono in terra
gesorolimitana, ànno temperato
calore e 'l ventre
stringono. E quelle ke nascono nell'altre terre sono
più forti a constrignere il ventre e non è i· lloro caldeza.
Lutun da mangiare è freddo, il quale fae la bocca de lo stomaco
robusto e forte, e tollie il fastidio ke ssi fa dipo mangiare, e ne la
boccha fa buono odore. E ki di lui a digiuno
mangerà grande
quantità, avrà oppilatione del fegato e corruptione di sua
complexione.
Il
luto pulito e leve è caldo, il quale fa nel fegato oppilatione, e la
milça ingrossa, e
distrugge l'appetito e guasta, e fae lo stomaco lordo.
I
penniti sono caldi, i quali
leniscono la gola e 'l ventre e la
vescicha e riscaldano in quelle parti ke ssono intorno alle reni.
(+i) Il mèle sì è
kaldo e
secco nel secondo grado di sua natura, sì diparte e
purgha i malvagi homori ke ssono dentro il corpo, e perciò sì vale mellio a coloro
ke ssono di fredda natura e d'umida, sì come ai vecchi e a quelli che ssono
flemmatichi, ké sse quelli che ssono di chalda natura l'usano, non è lor sì
convenevole, perciò ke lli scalda e non dona punto di nodrimento. E sappiate ke 'l
mèle si diversificha secondo la
diversità del tempo ke ll'api, ke 'l fanno
diversamente, si nodriscono. E sappiate ke 'l mèle è di tre maniere sì come quello
de la primavera e de l'autunno e del verno; e quello k'è fatto ne la primavera sì è
quello ke mellio vale; e quello k'è facto ne l'autunno è malvagio, e quello del verno
è più malvagio assai. E non solamente la
diversità del tempo diversifica la natura
del mèle, ma i fiori onde l'api sono nodrite, ké quelle ke sono nodriti di fiori di
mandorle e d'altri somillianti, sì come di pomieri di meli, di peschi, di ciriegi, sì è
più temperato e di milliore savore di tutte altre maniere di mèle;
ké voi dovete
sapere ke 'l mèle k'è fatto quando elle sono nodrite di fiori d'
origamo, di
calamento, di
thimi, di
petimi, d'
isapo e d'altre somillianti erbe, non si tengono
neente a la natura di quello ke detto avemo, ké quello è più caldo e più seccho e
non è sì temperato.
E per più brievemente parlare sapiate k'elli si tiene a la
natura dond'elli è fatto. Il mèle si convertisce in collera rossa e 'l flemma quasi
discorrendo
distruge e guasta, il qual è buono ai
velliardi e a coloro k'ànno fredda
complexione e la state è reo a coloro k'ànno
kalda complexione.
(i-)
Il çuchero lenisce la gola e 'l ventre e non riscalda se nom poco.
Tenerabyn è
kaldo e 'l ventre muove e la gola lenisce e fa pulita
sança
asspreçça.
L. III, cap. 17 rubr.Capitolo .xvij. De l'erbe odorifere, overo de' fructi bene
odoriferi. Rubrica.
L. III, cap. 17E
sabran apartiene a
kaldeza, la quale, quando sopr'essa acqua
rosata s'arosa o
ispruça, sì raffredda e provocha sonno.
La
maiorana, cioè la persa, è
kalda e seccha, la quale fa prode a
tucte le fredde infertadi ke ssono nel cerebro.
(+i) Serpillo è
kaldo e seccho in secondo grado et ènne di due maniere:
salvaticho e dimesticho. Il
dimestico sparge i rami per terra, il silvestro cresce per
lungo e alto, i fiori e le follie sono
konvenevoli in medicina, le quali, scaldate in
pentola
roçça e posto in uno sacchetto sopra 'l capo, vale contra rema fredda del
capo. Il vino de la sua dicotione e del sugo de la regolitia vale contra tossa e contra
dolore di stomacho per ventosità. Anche la
fomentatione dell'acqua de la sua
dicotione vale a la stranguria e
dissuria, e
mondifica la matrice, e riscalda e
conforta lo stomaco infredato e il fegato e la milza.
(i-)
La rosa è fredda e tollie il dolore del capo, il quale viene per
caldeza e la crapula tollie, cioè la superflua repletione del cibo e del
beveragio, ma ella fae rema e
starnutatione.
(+i) Le viuole sono fredde e
humide e de le viuole verde è facto zucchero
violato e facto in quel modo nel quale è facto il rosato.
(i-)
Le viuole sono fredde e fanno dormire e
mitigano il dolore del
capo, il qual è fatto per kagione di troppo
kaldo.
(+i) Le viuole ànno virtude lenitiva,
humentativa,
rifrigerativa e
laxativa e
purgano
principalmente la collera rossa, onde valliono a la febbre terzana, e contra
distemperamento di fegato e iteritia, e contra difetto d'apetito per collera. Anche le
viuole poste sopra li apostemi caldi nel
cominciamento sono
utili, e questo
medesimo fa l'erba. E la
fomentatione fatta dell'acqua de la dicotione di
quella erba sopra i piedi e le tempie e la fronte provocha sonno ne le
'mfermità agute.
(i-)
Le mortine e il loro arbore sono fredde e secche, le quali fanno i
membri forti e robusti quando sopr'essi si ministrano, lavando o
impiastrando.
Le melerance ànno la scorza calda e sottile, la carne de le quali,
avengna k'ella sia temperata, a digerere e a cuocere ne lo
stomako è
grossa. E 'l loro aceto è freddo e seccho e la collera rossa mitigha e
riprieme e spengne. E i loro
semi a tucti veleni sono
utili e
profitabili.
Le pomi de la
mandragora sono fredde, le quali fanno nel capo
gravezza e
subbetto, cioè una
infertà ne la quale sempre vuole
l'uhuomo dormire. E se l'huomo le mangia, sì fanno
nausca e
abominatione e vomito, e fanno
subbeth, e forse uccidono.
Neufar è freddo e fa dormire e seda e lieva il dolore del capo.
Otheon è calda e fa graveza di capo e fa
sibeth.
Schaflos è caldo e seccho, il quale fae rimedio a coloro k'ànno il
naso oppilato.
Geusinum è calda e seccha, la quale a l'opilatione e al dolore del
capo per kagione di freddeza o per grossa ventosità pervegnente
giova e vale, e 'l cerebro fa robusto e forte.
Nesin, o
kesyn, o
nesryn, è
kalda e secca, la quale tollie il dolore
del capo tostamente.
Narcyscus è
kalda e seccha e sottile e fae aiuto al cerebro.
Felengemuscoli è
kalda e sottile, al tremore del cuore presta e fa
rimedio.
Floschyles, o
flosryles, è fredda e 'l cerebro corrobora e fa forte,
e riprieme e atuta e mitigha il
fummo
kaldo.
Keny, o
reny,
kalde sono e sottili, e propiamente i citrini ànno
questo.
E ancora ongne
herbe, ne l'odore de le quali si sente acuitade e
agreza e
stimolamento, sì come il fiore de lo
sticades
arabicho e
mentastro, sono calde. L'odore de le quali è
dilicato, per lo quale
l'animo se seda e mitiga e
apacificha e
apacia, sì come il fiore del
neufar, e 'l fiore del salce, e la rosa, tucte sono fredde.
L. III, cap. 18 rubr.Capitolo .xviij. De la virtù de le spetie odorifere e prima del
moscado.
L. III, cap. 18
Il moscado è
kaldo e seccho, il quale a color ke ssono di calda
natura tostamente fa dolore di capo, ma giova molto a tutti i mali che
ssono nel corpo de l'huomo per kagione di fredeçça, e a la
nausca e
abominatione è buono, e a coloro k'ànno reo apetito giova.
(+i) Çafferano è
kaldo e humido nel primo grado et è di due maniere: l'uno
sì è di quello ke cresce in giardini e l'altro sì è
orientale. E sono fiori ke crescono
assai in Lombardia e in
Toscana, e dee essere scelto quello ke ssia rosso ke non
sia mischiato d'altre cose gialle e ke ssia puro e netto di tucte ordure.
(i-)
(+i) Çafferano puote l'uhomo guardare
.v. anni essendo tenuto
strettamente
in uno sachetto di
kuoio, e il luogo ov'elli dimori non sia troppo humido, né
troppo seccho. Cotale çafferano àe virtude di confortare la fieboleza del cuore e de
lo stomaco, e spetialmente quand'elli è sopra il brodetto di gallina o di carne o
d'altre cose stemperato. E non si ne dee usare troppo, perciò k'elli fa abominatione
e dona talento di vomire, e ancora vale contra coloro ke ànno li occhi rossi et
emfiati e sanguinosi. Tolliete polvere di zafferano orientale, ma k'elli sia seccho in
uno
testo
kaldo, e
mischiatelo con albume d'
uovo e
mischia um poco, e ponete
sopra lli occhi, e fae la malatia trapassare.
(i-)
(+i) Cubebe sono
kalde e secche temperatamente, sì come alcune genti
dicono, ma secondo
Avicena sono calde e secche nel secondo grado. E sappiate ke
ciò è frutto d'uno albero ke cresce oltre mare, o India, e le dee huomo
scelliere
quelle ke pungano sopra la lingua quando huomo l'usa, ma non troppo. E siano
di buono odore e amare, e ke ssieno piccole e c'abbiano la
coda sottile, tali
cubebe
si possono guardare
.x. anni., e confortano e scaldano di loro natura lo stomaco e
il cerebro, e perciò valliono molto a usare a coloro ke ssono infreddati e
rematichi
di
rema fredda. E valiono ancora a usare a coloro ke ànno lo stomaco freddo e ke
ànno malvagio colore e possonsi usare in
lattovario ke ssia fatto di
kubebe e di
mèle e d'altre spetie.
(i-)
(+i) Cardamone sì è caldo e seccho in terço grado, et è
fructo d'uno albero
ke ne la primavera
gitta
boççeti, sì come seme di ruta, e dentro è il
cardamone. E
sì nne sono di due maniere: grosso e picolo. Il grosso vale mellio perciò k'elli è di
milliore odore, e dee avere un savore mischiato di dolce, e quando usare si conviene,
si conviene k'elli sia bene triato e netto di
petruze e d'altre cose, e
stropiciato con
uno drappo per
netarlo di polvere. E
kardamone si può guardare
.x. anni e à
natura di confortare e di distrugere la ventosità e i grossi e i malvagi omori contra
la fieboleza de lo stomaco e, per la virtù ke kuoce la vivanda, confortare: prendete
cardamone e anici e fatene spetie, sì donano apetito di mangiare. E odorare
solamente il
cardamone sì vale a coloro ke ànno fieboleza di stomaco e
di cerebro.
(i-)
(+i) Noci moscade sì ssono calde e secche nel secondo grado et è fructo
d'albero ke cresce a maniera d'avellane, e le dee homo elegere e
scelliere quelle ke
ssieno grosse e pesanti, e ke ssi rompino
legiermente, e ke abbiano buon odore e il
savore um poco
afretto. Cotali noci ànno natura di confortare lo stomaco e 'l fegato
e la milza, e fanno buon alito, ma elle
ristringono il ventre ki le pesta col sale e
usale. E sappiate ke la
mace sì è la
follia de la noce moscada ke dimora intorno
la noce, sì come quella dell'avellana. Et è la
mace calda e seccha, e àe natura di
confortare lo stomaco e di fare buona alena, e tucte altre cose come fa la noce
moscada.
(i-)
(+i) Garofani sono caldi e secchi nel terzo grado e spetialmente quelli ke
pungono sopra la lingua e ke ànno buon odore. E sappiate ke garofani sono frutti
d'albero ke crescono in Indya, e si colgono la state quando elli sono maturi. E si
possono guardare
.v. anni, ma k'elli non sieno tenuti in luogho troppo humido né
troppo seccho, ké s'elli stessero in troppo humido, elli
putirebbero. E dee l'uomo
heleggiere quelli ke ssieno
bozzuti e pieni
diverso la testa, e ke a l'assagiare de la
boccha pungano um poco la lingua e ke abbiano buono odore, e ke quando huomo
li
strigne koll'
unghia k'elli
divengano humidi. Cotali garofani sì ànno di loro
natura di confortare il corpo e di distrugere la ventosità e i malvagi omori grossi e
viscosi ke ssono ingenerati per freddo, e fanno ancora ben cuocere la vivanda, e
spetialmente ki li prende in tal maniera: prendete garofani e seme di finocchio e
fateli bollire in vino, e bevete poi quel cotale vino. Ancora valliono molto a quelli
ch'ànno a gran pena loro alena, per omori grossi e freddi e viscosi ke ànno il petto
turato. Ma ki lli prende in cotale maniera, sì com'è di prendere gomma adragante,
e fare dimorare una notte in acqua d'orço, e prendere poi i garofani e
mastic e
goma
arabica, e
farne polvere, e mischiare co la gomma adragante ke ssia
dimorata in acqua d'orzo, e
farne pillole e tenerle que' ke ssarà malato sopra la
lingua una gram
pezza, e poi le potrà avallare e usare il vino ov'elli sarano cotti. I
garofani sì scaldano e confortano il cerebro, e intendete ke a questa natura si tiene
la
foglia del garofano, salvo ke ella non conforta sì bene e no è di sì
calda natura.
(i-)
Ambra è calda e humida e 'l cerebro e 'l cuore fa robusto e
vigoroso.
La
chamfora è fredda e humida e sottile, la quale al dolore del
capo e ancora a tutte le sue infermitadi calde giova. La quale cosa ella
opera in tucto il corpo, ma chi molto userà il suo odore sentirà e avrà
detrimento e male di veghiare. E le reni si rafredderanno a color che
la beranno, e i suoi testicoli e la sua sperma si
congelerae e
rafredderae, e fredde infermitadi si
procreeranno e faranno in queste
luoghora.
Legno aloe è caldo e congruo e buono a lo stomaco humido e
pieno di
vescositade.
Çaffanus, o
zaffoca, è
kaldo e seccho, il quale, essendo a lo
stomaco
incongruo e non convenevole, fa
nausca e male e dolore di
capo e provoca il sonno.
Sandali sono freddi e secchi, i quali sono utili e giovano a l'agute
infermitadi quando li
'mfermi li odorano o kon essi si
epithimano,
cioè s'
impiastrino. E ancora tucto 'l corpo se con esso sia
epithimato
nel bagno
guirrae dal piççicore e da la
pruçça.
Bune è caldo e seccho, il quale, essendo congruo (cioè
convenevole) a lo stomaco, tollie il malo odore del
sudore e del
silotro, cioè del
dipelatoio.
Maaleb caldi sono e
mollificando i
nerbi ke ànno grosseza de'
quali la
'mfertà fue lunga e cronica.
L'acqua rosa è fredda e sottile, la quale tollie il dolore del capo
ke aviene per caldeza, e la crapula, e la
nausca (cioè l'abominatione e
'l vomito), ma tosto fa incanutire ki molto l'usa.
Sigia è
kalda e fa gravitade di capo e dolore.
Braethebisonçe
kalde sono, le quali fanno nel capo graveza e
dolore.
Costo, essendo
kaldo e seccho, apre l'oppilatione e purgha e la
carne corrode, il quale colui ch'àe rema per fredezza aiuta, se con
esso si
suffomiga il naso.
Ciperi, essendo caldi e secchi, sono convenevoli e buoni al reo
odore de la boccha e a l'humido stomaco e ripieno di viscositade.
Usmon, o
uzen, è
kalda e seccha, la quale purgha e apre
l'opilatione e corrode la carne superflua.
E universalmente di tucte queste erbe ke ànno buono odore le
più sono calde, se non se quelle de le quali si sente quello ke noi
dicemo, sì come si sente ne l'acqua rosata e
camfora e sandali.
L. III, cap. 19 rubr.Capitolo .xLj. De la virtù delli oli, overo unguenti.
L. III, cap. 19L'olio è
kaldo, e quello è più caldo nel qual è magior
mordimento e più forte odore si sente. Et elli non fae fastidio,
secondo ke fanno l'altre cose ke ssono untuose.
(+i) E dovete sapere ke
ll'
ollio ke l'huo
mo fae dell'ulive sì ssi diversificha secondo la
diversità dell'ulive
ond'elli è fatto, ké ll'olio k'è facto de l'ulive mature sì è
kaldo e humido, e di
sua natura sì amolla il ventre, e sì converte a natura di collera rossa. Quello k'è
facto d'ulive, ke ssono in quel mezo tra verdi e mature, sì è di millior natura per
lo stomaco confortato, perciò k'elli è più freddo e più seccho, e perciò dicono i
filosafi k'elli tiene natura d'olio rosato.
Holio ke l'huomo fa d'ulive verdi sì ssi
tiene a la natura dell'ulive di confortare e di
ristrignere il ventre e d'altre cose ke
dette avemo de l'ulive.
(i-)
L'olio ke ssi fa de le noci è fortemente
kaldo e
disolutivo, cioè
disfae e
distruge le cose dure, sì come duri apostemi e cotali cose.
E l'olio ke ssi fa de
neriden e de'
ciperi è caldo e riscalda le reni.
E l'olio
resin è
kaldo e purgha i
nerbi de la viscositade, la quale
a lloro s'accosta,
apiccha e
invescha
.
L'olio de le mandorle è temperato, il quale fa aiuto al petto e al
polmone e a la vescicha e a le reni, ma ffae fastidio e tardi discende
de lo stomaco.
L'olio seracino muove il corpo e fa uscire. E se huomo l'userà di
bere molti dì, sarà medicina a le
ragadie e gioverà a l'aspreza di tutto il
corpo.
L'olio del
rafano è
kaldo e sottile e
disolutivo et è medicina al
dolore dell'orecchie ke fosse venuto per fredezza e per ventositade
grossa.
L'olio del lillio è caldo e sottile, e lenisce e
amorbida i
nerbi, e
lieva il loro dolore, e giova al dolore de la matrice.
L'olio del narcisco è sì come quello ke ssi fae del lillio.
L'olio violato è freddo e fa dormire,
(+i) e
fàssi in questo modo:
siano cotte le viuole in olio e la
colatura sarae olio violato, e vale ricevuto dentro
contro distemperamento per faticha. Anche la sua
untione, fatta sopra 'l fegato,
vale contro la sua
kalefatione, anche de la sua
untione fatta sopra la fronte e
sopra le tempie, fatta per
kaldeza, giova.
(i-)
L'olio del
neufar è somilliante a questo, ma più fortemente
opera.
L'olio del seme de laza è giudicato somilliante a quelli due che
ssono detti, il quale congruo si truova al
calore e al
veghiamento.
Il biturio nodrisce più ke tucte le cose ke ànno untuosità et è più
grosso.
L'olio rosato è freddo e dà rimedio al dolore del capo e a tucte
l'altre sue infermitadi ke ffossero venute per kagione di caldeza. E a la
perfine tucte quelle cose ke ànno
untuositade tengono
similitudine di
quelle cose de le quali si fae.
L'olio del costo è
kaldo e riscalda i
nervi e fae aiuto a coloro ke
ànno triemito e ai paralitichi, il quale vale ancora a lo stomacho
freddo, se con esso si epithima, cioè s'
impiastra o ungne.
Olio di mortine è freddo e fa i capelli robusti.
L'olio de
kyri è caldo, e sottile, e resolutivo, e
lenitivo, e
propiamente quello ke ssi fa del
citrino, cioè del
giallo.
L'olio del balsamo è
kaldo fortemente, il quale rompe la pietra e,
fattone
passario, cioè una cotale
tasta, e
unta con esso e messa ne la
natura de la femina, vale a ingravidare e concepere.
L'olio de lo spico, cioè de lo
spicanardi, sì è caldo et è di grande
eficacia a lo stomaco freddo quando con esso s'epithima.
L'olio de la
mastice similliantemente è buono
soposto,
mescolato all'impiastri e posto sopra lo stomaco freddo e,
somilliantemente nell'impiastri posto, presta benificio e giovamento.
L. III, cap. 20 rubr.Capitolo .xx. De la proprietà dei vestimenti.
L. III, cap. 20
Ongne vestimento morbido e pulito fae minore
calore al corpo
e a la persona, il quale a vestire di state è milliore, al quale somilliante
vestimento si giudica quello che, quando si texe, rimane rado.
E quello k'è piloso e non è forachiato e tralucente e truovasi
spesso, magiormente riscalda il corpo, il quale huomo dee usare nel
verno.
E 'l vestimento del panno lino è più freddo di tucti li altri
vestimenti al corpo, e meno s'accosta a llui, e meno li si
apiccha, onde
si dice ke meno riscalda.
E 'l vestimento fatto di bambagia è più
kaldo ke quello k'è fatto
di lino e più s'achosta e
apiccha al corpo. Ma il vestimento facto di
seta è più
kaldo ke quello k'è facto di lino, et è più freddo ke quello
de la bambagia, e acresce la carne.
E ancora ogne vestimento ke àe aspreza fae dimagrare la carne e
falla sentire dura. E quello k'è contradio a questo fa il contrario.
E in quel medesimo modo i vestimenti facti di lana, o di peli,
sono
kaldi e aspri e ànno a indebolire il corpo e propiamente la state.
E quelli vestimenti ke ssi fanno di peli di
kanmelli e de le capre
sono caldissimi, e al corpo molto s'acostano e apiccano e fortemente
riscaldano.
E
agasdia, quello cotale vestimento, altrettanto riscalda quanto
quelli ke ssono fatti e tessuti di lana o di
peli, advengna k'elli non
abbia e non faccia aspreçça, né a le carni non noccia.
E la
pelle d'
asizent è meno
kalda di tucte le pelli ke ànno
peli.
E la
pelle de la
volpe è più calda di tucte l'altre pelli, la quale
i· neuna maniera è buona a coloro ke ssono di calda complexione.
Dipo la quale, la
pelle de
fiberis in caldezza è seconda.
E
phanez, o
coabun, e
guaasil temperatamente riscaldano, e
sono morbide, e sono buone ai corpi ke ànno
temperamento, cioè ke
ssono temperati.
E l'altre pelli e peli, de' quali noi non facemo mençione,
conciosiacosak'elle in quantità sieno di soperkio e superflue, a nniuno
non sono buone se non a coloro ke ànno i corpi grossi e aspri.
L. III, cap. 21 rubr.Capitolo .xxj. De la virtù de' venti e dell'aiere.
L. III, cap. 21Il vento che viene dal polo septentrionale, cioè da la
tramontana, da la parte de la minore orsa (cioè di quella stella) e de la
magiore orsa (cioè da quella altra) è freddo e secco, il quale fae i corpi
duri e robusti e 'l
sentimento e 'l capo fa lievi. Et elli è migliore di
tucti i venti e più lieva e tollie la putrefatione, ma tossa e mena
l'enfertadi e mali ke ssi fano nel
gorgozule e nel petto e nel polmone,
e
rematismo (cioè rema) e
coriça (cioè
rema per lo naso), e
strigne il
ventre e fa urinare.
E 'l vento ke viene dal polo di mezodie i corpi disolve e
indebolisce, e rallenta, e senni e sentimenti turba, e fae dolore di capo
e
infertà d'occhi, e fa venire l'
epilensia (cioè il male maestro), ançi 'l
tempo ke suole venire, e aparecchia la febbre per la sua
putredine e
corruptione. Ma non fae aspreza a· petto, né al polmone, né a la gola.
E ancora è più aparecchiato di tucti li altri venti di fare infertadi e
magiormente molto s'elli soffia ne la state e ne la fine de la primavera.
E 'l vento il quale soffia e trae da la stremitade del
nascimento
de la primavera infino a la stremitade del
nascimento del verno, e
quello ke viene da la stremitade de l'occaso del verno (cioè del
cadimento della primavera infino all'estremitadi dell'occaso del
verno) sono in caldeza e fredezza di tucto in tucto temperati.
E quello ke da oriente tende ad noi è milliore, ma quello k'è da
occidente è più grosso e pigiore.
(+i) L'aiere sì è uno de quatro elimenti de' quali tucte le cose sono fatte e
formate. E non vale solamente l'aria a
formare il corpo de l'huomo, ma elli è una
cosa speciale a guardare e a mantenere il corpo de l'huomo, poi k'elli è formato,
sança la quale l'uhomo non puote vivere. E sì vi diroe come l'aiere aiuta ' vivere
l'uomo per due cose. L'una sì è per k'elli raffredda il
calore del cuore in tre
maniere: l'una è per l'aria k'entra nel corpo de l'huomo per la boccha; l'altra sì
è per li pertugi de la carne ke ssono per tucto 'l corpo de l'huomo. E dovete sapere
ke 'l cuore sì è il principale membro del corpo de l'huomo, e dal cuore conviene che
tucta la virtù e tucto il
calore vengna a tutti i membri del corpo de l'huomo, e
perciò li conviene avere più
calore che la sua natura non aporta. Si conviene
dunque k'elli sia raffreddato per l'aiuto de l'aiere ké, avengna ke ll'aiere sia caldo
di sua natura e humido, impertanto elli è molto freddo e temperato a comparatione
del
calore del cuore. La seconda cosa per che ll'aria aiuta ' vivere il corpo de
l'huomo sì è questa: cioè ke àe a spurgare le superfluità e i malvagi fummi ke ssi
possono ingenerare intorno al cuore.
Dumque, dapoi ke sança l'aria non si può vivere, sì vi insegneremo a
conoscere quale aiere è buono e quale malvagio. Per elegiere quello k'è buono per
santà guardare, sì è quello ove non à mescolato neuno
fummo, e là ove l'uomo può
vedere il
cielo apertamente e lungi, e k'è più sottile e più kiaro, nel quale sono
mossi i vapori e non si truova in riposo né
profocato (cioè non troppo incalciato e
dibatuto dai venti), ma i venti che vengono a llui il conmuovono, e ke quando i
venti ventano k'è mosso
legiermente, e quando huomo il sente dilettevole alitando,
e sentelo
dilicato e buono, il quale quando il sole si lieva
schaldi
legiermente, il
quale tosto si rafredda dopo il cadimento del sole. E questo è il buono aiere e il
naturale.
Il malvagio aiere sì è tucto
contrario a questo e a quelle cose ke ssono dette
k'elli è mischiato in fummi,
(i-) e prieme e charica la boccha de lo
stomaco e 'l cuore, e ke per la molta sua caldeza e grosseza l'alito suo
ritiene; è quello nel quale molti grossi vapori si sentono per la
vicinitade e propinquitade de' laghi e de li stagni, ne' quali si truovano
l'acque stare e non muovere, o ne' quali i
puççi sono per le cose
puçolenti e per li cadaveri, cioè per li animali morti, o ne' quali il
calore è fortemente ardente,
(+i) e di terre ove crescono malvagi alberi e
herbe velenose sì kome di noci.
(i-)
E quello k'è costretto e non si muove dai venti (tucti questi
generalmente sono
pistilentiali e fanno
pestilentia) è certo l'aria k'è
prefocata ne' luoghi che ssono posti intra molte fosse e quelli che
monti altissimi e laghi acerchiano, a le quali si truovano non molti
venti.
(+i) E certo poche cose sono ke mettano la natura de l'huomo sì al di sotto
kome il malvagio aiere. Ma come l'huomo lo dee amendare per guardare sua
santade, noi ne parleremo altrove a tempo e a luogho.
(i-)
L. III, cap. 22 rubr.Capitolo .xxij. De le cittadi ke ssono sane per habitare e
come si conoscono.
L. III, cap. 22
(+i) Sappiate ke tucte cittadi ove genti dimorino poche o molte sono sane e
inferme secondo la diversitade del luogho ov'elle sono assise e situate, ossia in verso
oriente, o ssiano in verso septemtrione, o in verso occidente, o in verso
mezodì, o in
alto o im
basso, o in pietre, o sopra terra. E i luoghi ke ssono sopra la terra, o è
sopra marosi ov'elli àe assai alberi, o in terra seccha e secondo la
diversità di
questi luoghi ànno le cittadi diverse nature per habitare e per dimorare.
(i-)
Da ssapere è ke magior mutamento è ne le cittadi da la parte de
le sue latitudini, imperciò ke le cittadi ke ssono septentrionali, cioè da
la parte di septemtrione, sono più fredde, e quelle che ssono da la
parte del mezzodì sono più calde, e le cittadi fredde sono più sane.
Onde quelli che i· lloro dimorano sono magiori del corpo e più forti e
mellio
digerono, cioè cuocano il cibo, e sono più belli de le persone, e
ànno le persone più lievi e più legieri. E le calde sono contrarie a
queste.
E in quel medesimo modo le cittadi, le quali i monti
septemtrionali cuoprono, per la qual cosa i venti
septemtrionali a
lloro vengono meno, perdono l'uttilitadi, le quali i suoi venti
septemtrionali dovieno dare. Per la quale cosa, se con questo i venti
meridionali a lloro passano e
vanno, fassi la loro complexione calda e
humida. Ma la complexione de le cittadi
septemtrionali è fredda e
seccha, la quale fa poche febbri e poche
putrefationi.
E quelle cittadi sono milliori e più temperate, le quali,
conciosiacosak'elle sieno discoperte da la parte d'oriente, da la parte
d'occidente son coperte.
E ancora le città che da la parte di septentrione ànno il mare
sono
septemtrionali, e quelle ke ànno i monti da la parte di
septemtrione, e sono discoperte da la parte di
mezodì, sono dette
meridionali, cioè del mezodie.
E ancora le cittadi le quali i monti accerchiano da tucte parti, le
quali cioè a ssapere sono ne le predette foci, o
fonti, o falci,
generano molte infertadi.
E l'aiere è di buono odore de le città, e bene sottile, ke ssono
poste e situate in alto, le quali sono soffiate da molti venti.
Similliantemente quelle cittadi ne le quali multitudine d'acqua e
d'arbori si truovano sono più
humide, ne le quali infertadi d'occhi più
spesse volte si suole generare.
E le cittadi ke ssono poste im piano, le quali sì come rase e
ignude sono de le predette cose, ne le quali è pocheza d'acqua, sono
secche, le quali somilgliantemente sono situate e poste sopra pietre,
sono più secche.
Le cittadi somilliantemente de le quali il fango è rosso sono
mezzane intra seccheza e
humiditade; e quelle sono ree e puçolenti, il
fango de le quali et è nero e ordo e ke à reo odore. E l'altra
somilliantemente di palude, la quale è con aria calda, è pigiore: la
quale quando è fredda à meno malitia. E a la perfine la città calda
infice e
minuta il corpo e corompe di caldo e di giallezza e di nereza.
La qual, facendo menomamento di charne e di sangue, il corpo
indebolisce e disolve la virtude.
E la città, stando et essendo fredda, è
chontradia a questa del
tucto in tucto.
E la cittade,
apartengnendo e pendendo a
humiditade, fa i
chapelli lunghi e la persona morbida e grassa, e i
nerbi fae
lenti e
deboli. E la città, stando seccha, si redde et è contraria a questa.
L. III, cap. 23 rubr.Capitolo .xxiij. De le virtù de' lattovari facto di fiori e di
fructi.
L. III, cap. 23Çucchero rosato giova e vale a lo stomaco ripieno d'omori, se
ssi pillia a digiuno e bene si mastica, quando dipo llui si bee acqua
calda. Il quale quelli ke ànno
kaldo e arsura in neuna maniera
debbono mangiare, e magiormente se fosse di state, imperciò ch'elli
riscalda e fa sete. La qual cosa s'elli è mistiere di
manicarlo, per quello
ke noi dicemmo, prendasi con isciroppo rosato fatto con çuchero.
Çucchero violato la gola lenisce, cioè pulisce e lieva l'asprezza, e
tolle la tossa e la
mitica, e
agevolmente fa sputare, e 'l ventre lenisce,
cioè
liniendo fa uscire, ma lo stomaco disolve e indebolisce, e
l'appetito distrugge e guasta.
Il
lattovario fatto di mirabolani, indi fatto con çucchero, lo
stomacho corrobora e fortificha, per la qual cosa la superfluitade delli
homori ke rimasero del cibo precedente, exprimendo, mena fuori. Il
quale se alcuno spesse volte userà,
aquisterae buono colore e i
capelli non diverranno sì tosto canuti.
La trifera minore in questa operatione è più forte, avengna ke
menomi la sperma.
Il gengiovo col mèle condito è di molto grande
kaldeza, il quale
aiuta la digestione
rischaldando lo stomaco e 'l fegato e fae diriçare la
vergha.
E 'l
secacul fae fastidio e
distruge l'apetito, ma la sperma
adcresce quando alcuno l'usa spesse volte.
Il pepe nero e lungo condito è procciano al gengiovo condito.
E li altri lattovari si manucano tanto solamente per kagione di
diletto.
L. III, cap. 24 rubr.Capitolo .xxiiij. De le spetie le quali si possono usare a
ongne ora. Rubrica.
L. III, cap. 24L'assaro sì è caldo e seccho, il quale giova a colui ch'àe
oppilatione nel fegato, e l'orina provoca, e fa aiuto ad coloro ke ssono
ydropici in quella spetie.
Lo squinanto è caldo e seccho, il quale giova a l'apostema duro
de lo stomacho e del fegato, quando con esso si fae
empiastro
sopr'essi.
Usnee um poco è caldo, il quale, retinendo, lo stomaco fae
rigido e forte.
L'
anthimonio è freddo e seccho, il quale fae l'occhio robusto e
forte, e la sua santade guarda e conserva e, posto di sotto ne la natura
de le femine, i mestrui constrigne.
Echel è chaldo e seccho e i
mestrui provocha fortemente e fae
abortire, cioè scipare le femine.
Acatia è fredda e seccha, la quale constrigne il fluxo del sangue
quando esce troppo, e 'l
longaone (cioè il budello del fondamento di
sotto) recha dentro quando esce fuori, e 'l ventre
strigne dentro.
Sarcocolla giova a coloro ke ànno
lippitudine nelli occhi e a le
fedite ricenti fa rimedio e giova.
E l'epithimo è caldo e la collera nera purgha e la paura menoma.
Erberi, o
berberi, è freddo, il quale
strigne il ventre, e la sete
tollie, e giova a coloro ke ànno ardore nel fegato e ne lo stomacho.
Elli emblici sono freddi e secchi, i quali fanno lo stomacho
robusto e forte e fanno forti le radici de'
capelli.
Acederach è calda e seccha, la quale è congrua e buona a
l'oppilatione k'è nel fegato e
prolungha i capelli, ma il suo
fructo è
molto nocivo a lo stomacho e reo, il quale si truova alcuna volta
pernicioso, cioè velenoso da ffare
morire.
L'
urticha è
kalda, la quale stimula la volontade d'avere a ffare a
ffemina e manda il flemma
visscoso fuori del petto e fa uscire.
Ogne
coagulo è caldo, cioè quello
ventricino ke si trae fuori delli
animali piccoli ke
popano e da'
nonnati, il quale constrigne il ventre
fortemente e non lascia il sangue uscire.
La squilla è calda e acuta et è di grande efficacia a la
pilensia,
cioè al mal maestro, e a l'
emfiamento de la milza e a la sua grandeza,
e a' morsi de le vipere, e a l'angoscia vechia e anticha de l'alitare.
(+i) Assenço sì è caldo in primo grado e seccho in secondo e à due virtù
contrarie, cioè laxativa e constrettiva. E a'
lombrichi ke ssono ne le budella di
sotto dee esser dato com polvere di centaura o di
persicaria (o di quello k'è ne'
noccioli de le pesche o de le follie), e a provocare il sangue mestruo sia
pensaurizato
il suo sugo, o sia facta
sopposta d'assenço e appio e arthemisia cotta in olio.
Contra ebrietade sia dato il sugo suo col mèle. E aqua
tiepida vale contra
affogamento per funghi, dato il suo sugo con aceto e con acqua calda. A la
dureza
de la milza sia impiastrato l'assenzo cotto. Contra livoro e dolore di membri per
percossa sia facto
empiastro di sugo d'
asenço e di polvere di comino col mèle.
Contra vermi d'orecchi sia
distillato il sugo suo. Il sugo suo bevuto
kiarificha il
viso e, posto nelli occhi,
rimuove la rosseça e 'l panno, e colto del mese di
magio,
nel mezo mese, e seccho a l'
ombra redde i libri e i panni sicuri da topi e da
tignuole, e lo
'mcostro e le carte da corruptione vale etiandio.
(i-) Redde lo
stomacho robusto e apre l'oppilationi del fegato e a le febri di lungo
tempo dae aiuto e rimedio.
(+i) Tasso
barbasso è
kaldo e seccho, e altri dicono k'è freddo e seccho. La
fomentatione sua facta del vino de la sua dicotione vale contra le morici, e ciò vale
se la natura de lo 'mfermo, dopo l'
asselatione, ne sia forbita, e la sua
dichotione
l'acqua vale a
tenasmo e contra fluxo di ventre.
(i-)
Lo
sticades è
kaldo e purga la collera nera e la flemma e al male
maestro presta e fa benificio e prode, quando si bee molte volte,
acciò ke ffaccia
purgatione del ventre.
Meliloto è caldo e
mollifica i duri apostemi, i quali sono nati
nelli articoli de' membri, sì come ne' piedi e ne le mani e dentro.
L'aniso è
kaldo, il quale è
disolitivo de la ventositade (cioè
disfalla) e apre l'oppilatione del fegato e stimola la volontà de la
luxuria.
(+i) Et è erba ke cresce a grande abondanza e 'l semo suo si dee
elegere ke ssia grosso e novello e netto di polvere e di pietre, tale anici si può
guardare tre anni. E cotto nel vino vale con
masticha ben cotto a coloro ke ruttano
e ke non cuocono bene lor vivanda, e spetialmente cotti col vino e con
masticha, e
bea il vino poi. Ancora il pesto, anici mischiato, cera nuova, vale a coloro k'ànno
il viso perso, e intendete ke elli trae a natura di comino in tucte cose, e perciò
s'apella da alcune genti comino dolce.
(i-)
Armoniacho è
kaldo e mollificha i duri apostemi e disolve le
scruofole, cioè le
gavine ke non sono ancora rotte né
aperte.
Seme di balsamo, e 'l suo legno, è congruo e buono ai morsi de'
serpenti e de le vipere e ancora al dolore de la matrice.
(+i) Diptamo il qual è
depto per altro modo
frasinella, imperò k'àe le
foglie
a modo di frassino, è
kaldo e seccho nel quarto grado et è radice d'un'erba
apellata con
similliante
nome, la quale
maximamente è trovata ne' luoghi caldi
petrosi e
secchi e à virtù di disolvere e consumare e trare il veleno contro morso delli
animali velenosi. Questa medesima erba, o la radice trita, si aposta al morso, e 'l
sugo suo sia dato con vino. Il
polvere suo sia confetto con sugo de la menta, e sia
sopraposto e dato a bere.
E sappiate ke 'l dittamo è di tanta virtude ke trae il ferro del corpo onde di
suo notricamento le bestie percosse
kacciano le saette, le quali sono nel corpo loro.
Epatica, cioè
fegatella, è fredda e seccha in primo grado et è erba la quale
cresce nei luoghi aquosi, e
maximamente ne' pretosi, e àe molte
foglie, le quali si
giungono a la terra e a le pietre, e à virtù dureticha per sottilità di substantia, et è
infreddativa, onde vale contra l'opilatione del fegato e de la milça l'acqua de la
dicotione sua, e imperò è detta
epatica. Lo sciroppo de l'acqua de la sua dicotione,
agiuntovi il
ribarbaro in fine de la dicotione, è optimo contro erteticha.
(i-)
Anacardi sono
kaldissimi e fanno aiuto a le fredde infermitadi e
a la mala
memoria, ma generano
adustione e
imbrasciamento di
sangue, e forse producono e menano le persone a paçia e stoltezza.
Baurach è caldo e seccho, il quale provoca il vomito, cioè dà
volontà di reddere et, quando si mette di
socto e fassene
sopposta e
cura, fae uscire.
I·
corallo è freddo, il quale, bene trito e dato a bere, aiuta ad
coloro ke
sputano il sangue, e ancora corobora e fortifica l'occhio e
ristrigne le
lagrime.
Bedegar apartiene a chaldeza e fae remedio a le febri ke ssono
durate lungho tempo.
Ebulo è caldo, il quale i duri apostemi
mollificando disolve (cioè
disfae) e posto sopra 'l volto sì nne lieva il panno ke v'è. La cui
viscosità giova a la
dureza e grossezza ke rimase nel membro, poi ke
ffue raconcio dipo 'l
dislogamento; e le corde secche fa molli, e i
nerbi riscalda, e a lo stomacho è reo e fa
nauscha, cioè vollia di
reddere, e fae uscire.
Fanghest è
kaldo e seccho, il quale giova a l'
emfiamento del
feghato e la vergha no llascia dirizare.
Ogne spetie di
iusquiamo, cioè dente
kavallino, trito e posto
sopra li apostemi, inebria o stupefa, cioè
sciabordisce. E 'l nero si
giudica piggiore di tucti li altri, perciò k'elli uccide.
E 'l
giusquiamo trito e posto sopra li apostemi, nel quale è forte
battimento e caldo e dolore, disfae il
sentimento e
mortifica sì che
non si sente il dolore.
Il
psillio è freddo, il quale se ssi berà col
juleb, spegnerà la febre
aguta, e mitiga l'ardore, e 'l petto lenisce, e lieva l'aspreza. E ancora
aiuta, se ssi bee arostito, Z coloro ke ànno le fedite e le rocture ne le
budella e l'uscita e menagione troppa e sanguinosa. E se co l'aceto e
col latte huomo il muova tanto k'elli si prenda e
coagoli, seda e mitiga
li appostemi caldi, i quali sono nelli articoli, cioè ne le
dita de' piedi e
de le mani, se vi si pone suso; e 'l been rosso è
kaldo e fa venire
volontà di luxuria.
Il
capello venero sì è caldo, il quale, se fia arostito e i luoghi
ignudi de' capelli fieno uncti con esso, fae nascere i chapelli e disfae le
scruofole ke non sono ropte, e purgha il polmone di grossi homori, il
quale di loro è
imbevuto e pieno.
Bulbus è la
cipolla ke ssi manucha, la quale stimola molto la
volontà de la luxuria, e quando si pone in sul volto si ne leva e toglie
via il panno.
Sathirion è caldo, il quale acresce la sperma e giova a le
gotte.
Polipodio è
kaldo e purga la collera nera e guerisce il male del
fiancho.
Borangi, overo
dorongi, manda fuori del corpo la flemma e li
ascaridi, cioè i
vermi che ssi fanno in corpo.
I bellirici ne la sua natura sono vicini a la natura delli emblici.
Il castoro è caldo, e i
nerbi riscalda, e i
mestrui de le femine fa
venire, e l'
emfiamento disolve, cioè disfa.
Gilbenach, cioè noce vomica, è calda, la quale fa rendere
fortemente e giova ai paralitici se con essa sieno sforzati di reddere, la
cui operatione è vicina a l'operatione dello
eleboro, del quale non si
de' dare se non il peso d'una drama, imperciò ke forse, per lo molto
reddere ke ffa, ne
perverebbe la morte.
La noce
methe fa stupore, cioè
sciabordimento, la quale alcuna
volta essendo
pericolosa, cioè mortifera, fa nascha, cioè
abbominatione e vomito.
La
noce moscada è
kalda e seccha, la quale
strigne il ventre,
giova a lo stomaco e al fegato freddi, sì come
naramo nel capitolo de
le spetie odorifere.
La gentiana è calda, la quale è congrua e buona a la
puntura de
lo scorpione, e al fegato freddo, e a la oppilatione de la milza e al suo
emfiamento.
Poponax è caldo, il quale, conciosiacosak'elli sia fortemente
disolitivo di ventositade, a coloro ai quali aviene grossa ventositade
giova, e al dolore de la matrice k'è per cagione di fredeza aiuta e
giova.
Jadac è calda, la quale, avegna che generi dolore di capo, tuttavia
a le febbri antiche e di lungho tempo e a l'idropici e a l'yteritia, cioè al
giallore, e a la
puntura de lo scarpione porta rimedio.
Gesso è freddo e seccho, il quale, mescolato co l'albume de
l'huovo e posto sopra il luogo, ritiene il sangue. E i· neuna maniera il
dee huomo bere, imperciò ke forse bevuto fa
pernicie, cioè uccide.
Le
balaustie (le
meluçe de' fiori di melograno k'elli
gitta) sono
fredde e secche, le quali
stringono il ventre e non lasciano uscire il
sangue.
Arsesahan è
kaldo e ponticho, cioè laçço, il quale a le
vesciche
de la boccha, se con esso si faccia
gargarismo, cioè
gorgolliamento,
overo ke co la sua dicotione la boccha si lavi, giova. E ancora è utile
uncto e giova a la graveza e a la
dureza de'
nerbi e al
puzo del naso, se
il lucignolo intinto ne la sua dicotione si metta nel naso.
Durofolya, o
dubefolia, e le noci fredde sono e secche, le quali,
se trite e con aceto mescolate in luogo d'impiastro e poste sopra 'l
luogo arso e cotto di fuocho, fanno rimedio. La cui scorça ko l'aceto
cotta al dente dollioso giova, se con esso si lava.
Vescovo è caldo e seccho, il quale disolve la ventosità e li
apostemi.
Daumanech, o
dauanech, è
kaldo, il quale, giovando a la grossa
ventositade, giova e fa aiuto al dolore de la matrice k'è per kagione di
fredeza, e al triemito del cuore kon fredeza, e a la
puntura de lo
scorpione.
Oleander è
kaldo e giova a la scabbia e al piççicore e,
manichata, uccide li animali,
asini e huomini, ma ffae aiuto e rimedio
a l'anticho dolore de le
ginocchia e de le reni, se ssi ne fa impiastro.
Deudar, o
devidax, fortemente è
kaldo, il quale a le fredde
infertadi del cerebro o de'
nerbi giova et è buono a lo stomacho e al
fegato freddi, la cui propietade è da ffare
rimedio a l'epilensia e a la
parlasia.
La
feccia del vino è calda e disolve i duri apostemi.
La
feccia de l'aceto non riscalda, ançi riprieme e
miticha il
calore
de li apostemi
epitimatha e posta sopr'essi.
Mirabolani citrini traghono del corpo la collera citrina.
Mirabolani neri aconciano lo stomaco
korroborando e
fortifichando e
giovano a le morici.
Ilboe è
kaldo e seccho e sottile e dae aiuto a lo stomacho e al
fegato.
Ypericon è
kalda e sottile, la quale è
apertiva d'oppilatione e al
dolore de le coscie giova.
Ipoquistidos è kiamata barba ircina, è fredda e ponticha, cioè
laçça, la quale sì s'usa ove è mistiere di
ristrignere e
sticiditade.
Acoro è caldo e secco, il quale a la grossa ventosità e a la milza
dura, e ancora a graveza de la lingua giova.
Asma, overo
gasura, è
kalda e pontica, cioè
lazza, co la quale si
fa la tintura de'
kapelli.
Il gengiovo è
kaldo e humido, il cibo cuoce e 'l ventre muove e
giova a lo stomaco e al fegato freddi. E ancora a la scurità delli occhi
per
humideza, posto nelli ochi o manichato, giova.
Tucte le spetie
astorlogie sono calde e aprono l'opilatione e
giovano a le punture dello scorpione. Le quali muovono e fanno
venire i
mestrui, e fano
aborso, cioè fanno scipare.
L'
isapo è
kaldo e secco, la quale vale sì come l'origamo, e vale al
petto e al polmone, e giova all'asma e a l'antica tossa. E in quello
medesimo modo il
flemma e i vermini mena fuori del corpo.
E l'
ysopo, la qual è kiamata
korodes, la qual si fa de le
sordi e
dell'ordura de la lana matura e
mollifica i duri apostemi, e
propiamente quelli che ssi fanno ne la vescicha e ne la matrice.
Zirubeth è calda e seccha, la quale la ventositade disolve e giova
molto ai morsi delli animali velenosi e ingrassa.
L'argento vivo è ardente, il quale quando si spengne è ardente, il
quale fae aiuto a la scabbia e ai
pidocchi.
Alçegi, essendo caldo e seccho, la scabbia ch'è per
humiditade
diseccha.
E ancora la
saphati, fatta per kagione d'
umidità,
monda e netta e
strigne il sangue k'esce del naso soffiata nel naso, e 'l sangue ke esce
per
percossa se vi si pone suso.
E tucte le spetie de l'arsenicho sono calde e, incendendo e
abrusciando, giovano a la
putredine e a la
sapha humida, e a l'
orpite
estinomeno (cioè a quella infertade), e a'
pidocchi fa rimedio, e ancora
all'asma del petto giova, se con esso si fae
soffumichamento o
impiastro, e lieva la
macula del sangue k'è facta per
percossa
.
La
spiuma del mare à più spetie, le quali tucte essendo calde e
secche aiutano e sono buone a la schabbia e a la morfea e a la
elopitia, cioè al
dipelamento del capo.
La
propietade del
vetro sì è di rompere la pietra k'è ne la
vescicha e lieva le forfori se con esso si lavi il capo.
Çarnab, stando caldo e seccho, giova a lo stomacho e al fegato
freddi e
strigne il ventre.
Çimar, o
zinyar, è caldo e corrode la carne.
Amomo è caldo e seccho, il quale giova a l'oppilatione del
fegato, e lieva il dolore de la matrice, e genera nel corpo dolore o
graveza o scotomia.
Alcanna dae aiuto a le
pustole ke ssono ne la boccha, cioè a le
bolle e
ropture, e al cocimento e a l'arsura del fuocho.
Litio, essendo temperato intra caldeza e fredeçça, giova ai caldi
apostemi delli occhi se con esso sieno
impiastrati o
epithimati, cioè in
alcuna substantia molle, con spungna e chon
feltro, o con istoppa o
kom bambagia suposto. Il quale ai molli apostemi e ai duri giova e
lieva il panno del volto
epitimato, e ancora
gorgolliato tollie la
dureza
del
tranghiotire, cioè la malagevoleza del
tranghiotire, e giova a le
pustole de la boccha, cioè a le bolle e a le rotture de la boccha.
Hors, stando caldo, riscalda lo stomacho e 'l fegato, e mollificha
e muove il ventre, e mette fuori i vermini del ventre, e fa disiderio e
volontade di luxuria, e 'l polmone netta e mondificha, e giova all'asma
e a la grosseza de la milza, e fae
aborso, cioè scipare la femina.
Asse è calda, la quale, posta ne l'occhio e
manicata, giova a la
deboleza del vedere, e giova all'asma del petto, e vermini manda
fuori del corpo, e fa
abborso, cioè scipare le femine, e fae aiuto a
digerere il cibo.
Armel è
kaldo, e inebria, e fa dolore, e conmuove il vomito, e
fae reddere, e provoca l'orina e i
mestrui.
Hassetth è fredda, la cui dicotione la pietra rompe e lo sperma
acresce e fa urinare ki nom puote.
Habenil manda fuori la flemma e giova a la morphea
bianca e
albaras, ma ffa conturbatione e
nausca, cioè vollia di reddere.
La
coloquintida è calda e seccha, e mette fuori il grosso
flemgma, e netta il corpo, e al dolore de'
nerbi e a l'
emfertà
sciatica,
cioè k'è nell'
uovol dell'ancha, e ancora a le
gotte fredde e a la
helefantia fa benificio, cioè giova.
Elefantia sì è una spetie di malattia.
La
scuma del ferro lo stomaco corrobora, cioè fa forte, e
strigne
il sangue de le morici. E l'acqua in ke il ferro si spegne fa disiderio di
luxuria e giova a la grosseza de la milza.
Tamerici è freddo e seccho, de le cui follie
empiastro posto
sopra il molle apostema giova e fa aiuto. E la sua dicotione ne la
boccha seda e mitiga il dolore de' denti. E ancora il vino, nel quale le
sue
foglie sieno cotte, bevuto
sottillia la
spiena, cioè la milza.
E quel medesimo fae il vino e 'l siroppo acetoso se
llunghamente si bee col piccolo nappo facto de la sua radice.
Tulupf, o
tulup, è freddo e giova a li apostemi caldi quando di
lei si fa e
ponvisi suso.
Tharathit è fredda e seccha, la quale
strigne il corpo e non lascia
uscire il sangue.
Lo
spodio è freddo e seccho, il quale giova a le febri agute e a la
menagione e al vomito, cioè al reddere, e aiuta a le bolle ke nascono
ne la boccha e a triemito del
kuore.
La terra
sugellata e l'
armenica, cioè de Herminia, e ll'una e l'altra
giovano e sono convenevoli a coloro ke
sputano il sangue, e a coloro
ke ànno il male de le morici, e ancora a ogne luogo onde sangue escie.
Ma l'altra terra, la quale da alcuni acostumatamente si manucha,
fae oppilatione nel fegato, e distrugge e guasta la complexione, e
magiormente di coloro ke a cciò sono aparecchiati e disposti, ma la
boccha de lo stomaco, ke fosse
fastidioso o avesse fastidio, redde e fa
rigido e forte, e leva e tolglie
nausca, cioè fastidio e la vollia di
reddere, ke ffosse per cagione de' cibi fastidiosi.
E
alasafar è
kalda e seccha, la quale tollie e lieva via la
menagione, e le fedite e le
ropture de le budella, e le
moreci.
Mandragora è fredda e fae
sciabordire. E s'ella si mette nel vino
sì fae inebriare fortemente e, mescolata a le medicine, sì tollie e lieva il
dolore, de la quale se in grande quantitade si bee, sì duce a la morte.
E le spetie e le maniere del
tottomallio sono molte, le quali tutte,
essendo calde, arostiscono, e
abrusciano, e fanno uscire, e fanno
abominatione, e
ulcerano il corpo, cioè rompono e scorticano le
budella.
Sebunt, o
sebant, è freddo e seccho, il quale
ristrigne il ventre e
'l suo sugho bevuto medica il giallore de la persona e cura.
La vite de la quale si fa il vino, le
folglie o i vignuoli triti. E
fattone impiastro, e posti sopra li apostemi caldi, e al dolore del capo
presta
beneficio. E ancora il suo sugo, se ssi bee,
ristrigne la vollia del
reddere e la menagione, e la sua
goma rompe la pietra de le reni e de
la vescicha, e guerisce de la scabia e de la
rongna.
Lo
'ncenso è
kaldo e seccho, e genera ne le fedite carne, e la
menagione e 'l vomito guerisce, e fae sottile lo 'ntelletto e la
mente;
del quale, se grande quantità si pillia,
arostisce e riarde il sangue e fae
elguesegres, cioè quella infertade quando huomo solo favella seco, e
aiuta e giova al triemito del cuore.
Kampitheos è caldo e giova a la
costrintione de l'orina, cioè
quando l'uhomo non puote orinare, e al giallore de la persona e a la
gotta de l'ancha.
Condisi è
kaldo, il quale fortemente provocha e fa venire la
solutione del corpo e 'l vomito e fa starnutire.
Karisic, o
narmesic, è freddo e seccho, il quale
stringne il ventre,
e
ristrigne il sangue ke esce, e aiuta i denti ke ssi cominciano a
rrompere e a muovere e a crollare.
Kosile, o
resile,
kaldi sono e secchi, i quali, conciosiacosach'elli
ingrassino il corpo, sì sono buoni a lo stomacho.
Karabe, essendo freddo e seccho, fae rimedio ai mestrui e a le
morici e a lo sputo del sangue, e ancora ai
disinterici (cioè a coloro
che gittano di sotto ne l'uscita sangue), e a la
rasura de le budella, e al
triemito del
kuore.
Keste, o
resche, è caldo e, aprendo l'oppilationi, netta i pori e
uritides, cioè le vie onde vae l'orina, e netta la gola dentro e
strigne il
corpo.
E 'l
solfo è
kaldo, il quale, faccendo
adustione (cioè
abrusciamento), giova a la scabbia, se con esso si fa
untione, e
ancora fa aiuto a l'asma se l'huomo il bee.
Camadreos è caldo, il quale, conciosiacosak'elli apra
l'oppilationi, e la grosseza de la milça e l'iteritia, cioè il giallore, manda
e lieva.
Il
diedraganto pulisce e
leniscie la gola, cioè lieva l'aspreza
dentro il polmone, e giova a la tossa.
Kebikengi, essendo caldo,
arustisce e riarde e fa sete, e la scabia
lieva e manda via, se di lui fai
untione.
Kaldarii, o
raldarii, è
kaldo e manda fuori li
ascaridi del corpo,
cioè lombrichi ritondi.
Le mandorle amare sono calde, le quali aprono l'oppilationi e
giovano all'asma del pecto e a la pietra ch'è ne la vescicha e ne le reni.
Plantagine, cioè la
petacciuola, è fredda, la quale è congrua e
buona alli apostemi
kaldi e a l'arsura del fuocho quando a modo
d'impiastro vi si pone suso, e aiuta al dolore de l'orecchie, s'elli è per
cagione di caldeza. Il cui seme giova a le fedite e a l'
ulceragioni de le
budella e alle rotture.
La
dragontea è
kalda, la quale apre l'opilationi, e stimola il
disiderio de la luxuria, e presta benificio all'asma del petto antica.
La
laccha è
kalda e giova al dolore del fegato all'
idropici.
Lingua
avis, cioè erba kiamata lingua
avis, cioè lingua d'uccello,
acresce la sperma e lieva via e tollie il triemito del cuore.
(+i) Lingua
avis è calda e humida in primo grado e in altro
nome è detta
pillia, e àe
folglie piccole e acute somillianti a lingua d'ucello, e à fiori picoli e
rotundi bianchi. E ne' fiori sono
.v. follglie, a modo de le
foglie del
.v. foglio. La
verde è di molta efficacia e la seccha di neuna e à virtù di conmuovere la luxuria e
d'
uhumentare. Questa erba cotta col carvi, o con olio condita in luogo di saime,
indica luxuria e vale cotta
agiuntovi çucchero a' consumpti. Contra la siccità del
petto sia data l'acqua de la dicotione sua,
agiuntovi draganto vale più. L'erba
pesta e stemperata con vino biancho, posta nelli occhi a modo di
collirio,
sottillia il
viso e al
postucto redde il viso malato infra
.xx. dì kiaro, se la
pullula (cioè la
luce) non è ladita. E altretanto vale il
cimquefoglio.
(i-)
Bulliosa a la malinconia è buona e giova al triemito e a le
vesciche de la boccha.
L'
aglia, o
giallia, è
kalda e
arustisce e riarde, la quale muove il
ventre e muove il vomito, cioè fa reddere.
E 'l
meu è caldo a l'orina troppo constretta (cioè quando non si
puote orinare) s'ella si bee o sopra il
femur, cioè sopra 'l
petignone, si
pongha a modo d'impiastro.
La mastice è calda e corrobora e fortifica lo stomaco e 'l fegato.
E 'l delio
iudaico è caldo, il quale disolve i duri apostemi. E
ancora si dice k'è buono a le morici.
E 'l
delyo de metha è freddo e seccho e
stringne il ventre.
La mummia è buona a coloro che
sputano il sangue e tosto
ristora e guerisce la rottura e la
spezatura de' membri e quando sono
disconci, e 'l dolore de la gola e de la contusione (cioè
schiacciagione)
de le fedite seda e mitigha e tollie. E coloro ke dicono k'ella
perfettamente guerisce ànno in ciò ismarrita la verità. E ancora aiuta
al dolore per cagione di fredeza, s'ella è
insoffiata nel naso coll'olio
del sambuco.
Mellicaria è
kalda, la quale il ventre muove e giova a le
gotte e al
dolore de le costi e de le coscie.
La mirra è
kalda, la quale è buona a la tossa anticha e la boce fa
kiara, ma ella aduce e mena e fa scotomia, cioè quella
infertà ne la
quale pare ke 'l mondo si volga e giri intorno intorno. E ancora fa
dormire e provoca i mestrui, e quando si bee, sì fae aiuto e giova a le
punture delli
scorpioni.
Memithe è freddo e giova alli apostemi caldi se vi si pone suso a
modo d'impiastro.
Meubecletia sono caldi e 'l corpo muovono, e provocano il
vomito fortemente, e giovano a le
gotte.
Marchasida è
kalda e l'occhio freddo
erade fortemente.
La
fuligine giova a l'arsura del fuocho, se di lei si fae impiastro.
Staphysagria è
kalda e
arostisce e riarde, la quale uccide i
pidochi
e
cura la schabia e la
rogna, de la quale piccola quantità presa provoca
il vomito, e perciò forse ella, data e
administrata, sì darebbe la morte.
(+i) La
celidonia è
kalda e seccha in quarto grado, et ènne di due maniere:
l'una è
indica, la quale è di magiore eficacia, l'altra è comune, la quale si truova
ne le parti nostre e àe la radice gialla et è di minore efficacia l'altra. Ma ll'una si
pone per l'altra, e quando è trovata ne la receptione dee essere posta la radice e
non l'erba, e à virtù disolutiva,
consumptiva e atractiva. Contra il dolore de'
denti, per cagione di freddo, sia posta la radice intra denti um poco pesta, e
poscia sia posto l'
allio. A purgare il capo e la
vulva ripiena d'omor freddo la
radice kotta nel vino sia sopposta a lo 'mfermo, e riceva il
fummo per la boccha, e
poscia
gorgolli il vino; imperò ke seccha la
vulva, purga il capo e la testa. Ancora
vale la
celidonia predetta a la biancheza delli occhi e fae buono vedere. E per lo
sugo de la
celidonya li occhi de' rondinini, tratti o magagnati, tornano a lo stato
primo.
(i-)
Mugath è buona, se di lei si fae impiastro sopra i membri
disoluti e deboli.
Mezzereon è
kalda, la quale è buona et è molto acuta, e avenga
k'ella mandi fuori fortemente l'acqua citrina, cioè l'acqua gialla fuori
de' corpi delli ydropici, tuctavia ella nuoce al feghato.
Merdafengi è freda e seccha, il quale giova a lo
scorticamento de
le budella e al
puço del sudore, e dae acrescimento a la carne, e ponsi
ne l'impiastri.
Ongne generatione di
fiele è
kaldo e tolgono la
tenebrositade e
l'oscuritade delli occhi.
Moscatamosor è caldo e provoca ' mestrui.
Nil
giudaicum, o
nulus
giudaicum, è caldo e pontico, cioè laçço,
e diseccha li apostemi molli.
Ameos è caldo e seccho, e lo stomacho rischalda, e 'l fegato e la
pietra rompe, e l'orina provoca.
E 'l vitro è
kaldo e àe a radere e a nettare e a mondare.
E la
calcina è
kalda, e
arustisce e abruscia e corrode la carne
superflua, constrigne il
fluxo del sangue, la quale, quando si lava,
giova a l'arsura del fuocho.
Il
sale armoniacho è caldo, il quale fa aiuto all'uvola che
cade e
al dolore de la gola, il quale né lascia tranghiottire, e a la biancheza
delli ochi.
Nonhermysch è
kaldo e fae rimedio a lo stomacho e al fegato
freddi.
Napra è
kalda, la quale è congrua e buona all'asma e a la
ventositade e, messa di sotto nel fondamento, uccide i piccholi
vermini.
La spiga
indica, cioè de Yndia, è
kalda la quale fa prode a lo
stomacho e al fegato freddi e fae urinare.
Ciperi caldi sono e secchi, i quali riscaldano lo stomaco e 'l
fegato, e rompono la pietra, e giovano a la corruptione e a la
putrefatione e al malo odore ke ssi fae nel naso e ne la boccha.
Malegehra è
kalda e seccha e aguza il
vedere e l'orina provocha.
Folium è
kaldo e l'orina provocha e fae aiuto al tremore del
cuore e a la febbre.
Sandarahos giova a coloro ke
sputano il sangue e a coloro ke
ànno le
moreci.
Sel è
kaldo, il quale giova al dolore de'
nerbi e a la ventositade.
Le noci del cipresso e le
foglie del cipresso sono calde e
pontiche, cioè
laçe, le quali fanno aiuto a la rottura de la 'nguinaia, se
di loro si fae empiastro.
E 'l
summac è freddo e seccho, e 'l ventre
strigne, e lo stomaco
aparecchia e dispone.
Sidre è freddo e seccho e 'l ventre
strigne.
La carne de' granchi aiuta et è buona ai tisichi e fae crescere la
sperma.
Li
ermodattili sono buoni a la
podragha, cioè a le
gotte, e
acrescono la sperma.
Scedauran è fredda e seccha, e ritiene il sangue, e conferma i
capelli ke non cagiano.
Sumbedegi, radendo, absterge e netta le
concavità de' denti.
Secacur, o
secacul, è caldo e stimola il disiderio de la luxuria, la
qual cosa le sue reni
propriamente operano.
La requilitia giova a la gola e al polmone mandando fuori le sue
superfluitadi ke i· lloro sono, e ancora la sete e l'ardore dell'urina lieva.
Sebesten la gola lenisce e lieva l'aspreza.
Siselcus, essendo caldo, giova all'asma, a la
rententione de l'urina
e a l'
emfiamento del ventre; e 'l
parto fa più tosto venire ke non
verrebbe.
Sekebinegy è caldo, il quale giova a la grossa ventositade e a la
pilensia e a la parlasia, e tollie la
tenebrositade e
oscurità delli occhi, e
aiuta a la
puntura delli scorpioni
.
La
scamonea manda fuori fortemente la collera rossa e fa
nocimento a lo stomaco e a le budella e al fegato.
Arar è arbore, il cui
fructo è
kaldo, e provocha l'orina, e a lo
stomacho giova.
Assari, o
ascardi, è freddo, il quale giova ai caldi apostemi e a
l'arsura e a lo stomacho, quando a modo d'impiastro vi si pone suso.
Achelcalibit è
kaldo e giova a le
fessure e a le fedite.
Piretro è
kaldo e giova al dolor de' denti e a le
pustole, cioè a le
bolle della boccha.
Afur è caldo e giova a la morfea e al panno del volto.
E 'l solatro è freddo e fae rimedio al fegato ardente.
Curcuma è calda, la quale, conciosiacosak'ella
rada, fae buono
vedere e manda via l'albula dell'occhio, cioè il panno.
Le
giugiube sono temperate in caldeza, le quali la gola
leniscono
e
puliscono
levando via l'aspreza, e fanno il sangue kiaro, avengna ke
pocho, ma elle sono gravi e fanno fastidio, e tardi discendono de lo
stomaco.
Fu è caldo e provoca l'orina.
Felenge è caldo e seccho.
E 'l fiele è caldo e giova al dolore de'
nerbi.
Fellite è caldo, la quale, conciosiacosak'ella
rada e netta i panni,
e le litigini grandi manda via.
Farascinbucine, o
farastrobione, o
farastiri, è
similliante a la
brionia, e provocha l'orina e ' mestrui, e giova a la epilensia.
L'argento è freddo e giova al triemito del cuore.
Fufelemenie
kalde sono e giovano a la
kolica, cioè al male del
fianco, e a la ventositade.
Faufel è freddo, il quale vale alli apostemi caldi se vi si
impiastra.
Euforbio è
kaldo fortemente, il quale manda fuori fortemente
l'acqua dell'idropici e giova a la parlasia e a le somillianti infertadi e,
posto ne l'occhio, aiuta le
cateracte ke ssi cominciano.
Feluzaaragi fae i capelli rigidi e forti.
Il
marobbio è
kaldo e giova molto a l'ambascia dell'alito e a
l'
itiritia, cioè a la
gialleza.
Il
mentastro è
kaldo e seccho, il quale a la vecchia asma e a la
difficultà e malagevoleza de l'urinare dae aiuto.
(+i) Finocchio è di diverse maniere:
dimesticho e salvaticho. Lo
dimestico
ke noi usiamo sì è caldo e seccho in secondo grado, e vale mellio per malatie
rimuovere ke per nodrimento donare, k'elli dona mal nodrimento e mal si cuoce a
lo stomaco.
L'acqua ke ssi fae del finochio a maniera d'acqua rosata conforta il viso, e
fae bene orinare, e rompe la pietra de le reni e de la vescicha. E tucte maniere di
finocchi dimestichi e salvagi valliono a tucte febbri ke ssono lunghe e ingenerate di
freddi e di grossi omori. E contra panno d'occhi e piççicore il sugo de la radice del
finocchio in vasello di rame sia posto al sole per
.xv. dì, e a modo di
collirio sia
messo nell'occhio
.
Contra piççicore delli occhi (è certo spermento) sia confetto aloe optimo con
sugo di finocchio, e sia posto al sole per
.xv. dì in vasello di rame. Poscia sia posto
alli occhi a modo di
collirio. Contra l'oppilatione del fegato, e de la milza, e
stranguria, e vitio di pietra per freddo omore, sia data l'acqua de la sua dicotione
.
Anche questa medesima acqua, o vino,
solve il dolore de lo
stomaco per
frigidità o
ventosità, e conforta la digestione, e questa cosa fae il
polvere suo.
Pretosemoli sono caldi e secchi in terço grado e di sua natura nodrisce poco,
ma elli fa bene orinare e
distrugge enfiature e ventosità, e dona talento d'usare con
femmina, e fa sudare
legiermente, e vale a lunga febre e a ydropisia e al dolore
de le reni e de la vescica.
Crescioni sono di due maniere sì come di riviera e di
campi. Quelli de'
campi e de le coltora sono caldi e secchi nel
cominciamento del terzo grado, e di sua
natura conforta lo
stomaco e le gengie, e fae buona veduta, e apre le vie del feghato
e de le reni, e fae bene orinare. Quello de la riviera sì ssi tiene a questa medesima
natura, ma non è sì caldo né ssì seccho. Ma di sua natura fae mellio orinare e
rompe la pietra de le reni e de la vescicha, ma non dona sì buono apetito di
mangiare come l'altro.
Matricale sì è caldo e seccho e di sua natura conforta lo stomaco e dona
apetito di mangiare, et è buono a usare a quelli k'ànno dolore ne la forcella per
ventosità e per grossi omori, e uccide e caccia fuori i vermini ke nel ventre sono
ingenerati. E ki 'l prende e fa pestare con grasso di porco ke non sia salato e póllo
sopra ciccioni, sì li fae
maturare subitamente.
(i-)
Pionia ai fanciulli k'anno il mal maestro giova, s'ella è apiccata
loro sopra, overo di lei se ne
suffomichino.
La rubea è calda e provoca e fa venire l'orina e ' mestrui, e giova
a la morfea bianca e a l'
alboras se n'è impiastrata.
Le concule marine arrostite, radendo, sì purgano i denti, e de le
no arrostite trite si faccia impiastro, e
pongasi a l'
adustione, e a
l'arsura del fuoco posto su giova e aiuta.
Il sapone è caldo, il quale,
ulcerando e
viscicando e rompendo la
carne, fa forte
abstersione, e radimento, e stropicciamento.
Aloe è
kaldo, il quale, purghando la collera rossa, purgha il capo
e lo stomacho e genera
karne ne le fedite.
Il
gummo
arabicho è freddo e 'l ventre
strigne e giova a la
corrosione de le budella e al loro
scortichamento.
Cordumeni è
kaldo, il quale giova a l'epilensia, cioè al male
maestro, e a l'asma e a la parlasia, e mette fuori del corpo li
ascardi,
cioè quella generatione de' vermini e de' mignatti, e fae rimedio a la
puntura de lo scorpione.
Il calamo aromaticho è
kaldo e aiuta a lo stomacho e al fegato,
se vi si pone per modo d'impiastro.
Il
cartamo è
kaldo, il quale muove il ventre e la sperma acresce,
ma a lo stomaco nuoce.
Kytran è fortemente caldo e i mestrui muove e provocha, e la
creatura manda fuori del corpo, e non lascia discendere l'acqua ne
l'occhio, e giova a la scabbia e a la
rogna, e muta la sperma, sì che di
lui non si può generare creatura ne la matrice de la femina.
Centaura purga il
crudo flemma del corpo e giova al dolore de'
nerbi e al male del fianco.
(+i) Centaura sì è calda e seccha in terzo grado et è erba amarissima, e
altra è magiore e altra è minore. Ma la magiore è di magiore efficacia e conviensi a
la medicina
principalmente secondo le
foglie e ' fiori; onde, quando
incomincia a
ffiorire e fare fiori, dee esser colta e seccata i· lluogho ombroso, e con molta efficacia
può esser servata per uno anno, e àe virtù duretica e
comsumptiva. E 'l vino de la
dicotione sua vale a l'oppilatione del fegato e de la milça de le reni e de la vescicha,
onde, dice Galieno, ke la centaura è la più
nobile e millior medicina a l'opilatione
del fegato et è molto utile a la
dureza de la milza impiastrata. Contra i vermi
delli orecchi è messo nelli orecchi il sugo suo col sugo del poro. Anche ai lombrichi
è dato il polvere suo cum melle. A
kiarificare il viso de le radici de la centaura
magiore sia mescolato coll'acqua rosata e li occhi ne sieno unti.
Consolida magiore è di seccha e di fredda complexione, ma propiamente la
radice sua è medicinale e àe virtù di constrignere la substantia grossa e servata per
.v. anni. Il polvere, se dato ne' cibi, vale contra fluxo di sangue mestruo e contra
fluxo del ventre, e,
sopposto, vale contra fluxo di sangue mestruo.
Tapsia è
kalda e seccha in terço grado et è servata per tre anni, e truovasi in
Arabia, e in India, e in Calabria, et è posta ne le medicine vomitive, e dee essere
trita scalteritamente. E se aviene ke quindi sia facta
emfiatione, sia fregato com
panno messo in aceto.
Tapsia è erba de'
turtanni, imperò ke trita fae emfiare la
faccia e 'l corpo come se fosse leproso et è
curato con
pupuleon e aceto e con sugo di
sempreviva.
Sempreviva e barba jovis è una medesima cosa et è erba così detta perké
sempre è trovata verde, et è fredda in secondo grado, et è seccha in primo, e la verde
è di molta efficacia, e la seccha non è d'alcuna, e à virtù d'infreddare.
E le
peççe
intinte nel suo sugo e ne l'aceto, o in agresto, e poste sopra 'l fegato, molto valliono
contra la sua caldeza e contra dolore per kagione
kalda. Anche l'erba trita e
sopraposta vale contro li apostemi caldi nel
cominciamento a
ripercussione de la
matera, avengna ke poi noccia spessando la matera, vale contra arsura di fuoco o
d'acqua calda, sia facto unguento del suo sugo e d'olio rosato e di cera, ma non dee
esser facto ne'
primi quatro dì, ma dee essere ricevuto il
fummo de la sua
evaporatione, onde in prima
ungnamo con
sapone, o con simili cose, poi col
predetto unguento. Vale contra fluxo di sangue, lo quale, fatto per
isbollitione sua
nel fegato e a' giovani, ne la state faldelli intinti nel suo sugho si aposti a la fronte
e a le tempie e al goço.
(i-)
Cuth è freddo e
strigne il ventre.
Cambil è caldo e mette fuori li
ascaridi del ventre, cioè i
mignatti.
Kerse è caldo, e lo stomaco riscalda, e la
nausca, cioè
l'abbominatione,
reprieme e mitigha.
E 'l
milliosolis è
kaldo, il quale l'orina provocha e la pietra
rompe.
Kinya, overo
cuna, è caldo e provoca i mestrui, e disolve la
ventosità, e ingenera carne ne le fedite, e disolve e disfa le
scruofole,
cioè le
gavine, ançi ke ssieno rotte.
La
cadimya de l'argento, cioè la sua
spuma, è buona a la scabbia
e a la
rongna ke nasce nel corpo.
(+i) Lapatio, cioè l'acetosa o
rombice, è calda e seccha in terzo grado o in
secondo et è di tre maniere: l'uno è acuto, il quale àe le
foglie acute, e questo è più
efficacie; et è
alapatio dimesticho, il quale àe le
foglie
late, e questo più si conviene
all'uso; et è rotunda, la quale àe le
foglie rotunde e à virtù di disolvere e di
relaxare e d'aprire e di sottilliare. Contra
rogna il sugo de
lapatio acuto e olio
muscellino e
pece liquida insieme bollano, poi sia colato. E a la
colatura sia
agiunto polvere di tartaro, cioè di gromma di vino e di
filigine, e sia facto
unguento, il quale è assai buono ai rognosi. E a la radice sua cotta con aceto è
buona a la
rogna ulcerosa e a la
impetigine, e la dicotione con acqua calda è
buona al piçicore; e anche la radice nel bagno è optima. Contra
impetigine e
serpigine sia fatta la dicotione del sugo de la
lapatio e del polvere de l'
aurpimento.
A
maturare l'apostema vale il
lapatio rotundo trito e cotto nell'olio e co la sugna
pesto. Contra stranguria e
dissuria sia facta la dicotione de la
lapatio nel vino e
olio, e sia posto sopra il
pettignone, provoca orina in molta quantità. L'acqua, o
vino de la sua dicotione, vale contra l'opilatione del fegato e de la milza, contra le
scruofole nuove sia facto impiastro da
lapatio acuto e sugna trita insieme, e 'l sugo
suo dato con melle vale contra lombrici.
(i-)
L. IV, Index rubr.
Qui cominciano i
capitoli del quarto libro, il quale libro
tracta del conservamento de la sanitade.
L. IV, IndexCapitolo primo. De la
misura
delli
essercitii e faticha e de la dispositione del lor tempo. Capitolo
secondo. De la
misura del sonno e de le sue ore e del suo giovamento
e del suo nocimento. Capitolo terzo. Del
regimento del mangiare.
Capitolo quarto. Del
regimento del bere. Capitolo quinto. Del
purgamento del corpo da le superfluitadi. Capitolo
.vj. Di temperare
le case e le magioni. Capitolo
.vij. Di
pronostichare i mali accidenti e
di dirli dinançi k'elli
signoregino e che elli
creschano. Capitolo
.viij.
De l'operatione de' pensamenti de l'anima, cioè de l'operatione de'
pensamenti animali. Capitolo
.ix. Di conservare lo costume. Capitolo
.x. Di torre la malitia de' salvatichi e rei nodrimenti. Capitolo
.xj. Di
levare e di torre il nocimento ke proviene del vino. Capitolo
.xij. Delli
altri beveragi ke ssi prendono i· lluogho del vino. Capitolo
.xiij. Del
giovamento e del nocimento del torre sangue e come si dee fare.
Capitolo
.xiiij. Del giovamento del
purgamento e del suo nocimento.
Capitolo
.xv. Del giovamento ke viene del vomire, cioè rigitare, e del
suo nocimento e come si dee fare. Capitolo
.xvj. De l'avere a ffare
con femina e del suo giovamento e nocimento. Capitolo
.xvij. Del
giovamento del bagno e del suo nocimento e come si dee fare.
Capitolo
.xviij. De l'abitudine del corpo, cioè grasseçça e magrezza.
Capitolo
.xviiij. Del giovamento e del nocimento de la fricatione de'
labri ko le scorçe de le noci, e del suo nocimento e quando si dee
fare. Capitolo
.xx. Del conservamento de' denti. Capitolo
.xxj. Da
conservare li occhi e da
farli chiari e sani. Capitolo
.xxij. Da
conservare l'
udire. Capitolo
.xxiij. Di guardarsi de l'
enfermitadi e mali
che passano d'uno in altro. Capitolo
.xxiiij. De la mortalitade e de la
sua
cautela e guardia. Capitolo
.xxv. Del
regimento del corpo
secondo i quatro tempi dell'anno. Capitolo
.xxvj. De le femine pregne
e de la
conservatione de la sua sanitade. Capitolo
.xxvij. De la
malagevoleza del parto e del suo
reggimento. Capitolo
.xxviij. Del
regimento del fanciullo. Capitolo
.xxviiij. Di
sciellere la baglia e del
suo
regimento. Capitolo
.xxx. Del
regimento dell'altre etadi e de la
vekieça tardare. Capitolo
.xxxj. Di considerare e provare kente è il
medicho.
[L. IV, Incipit]Qui comincia il quarto libro.
L. IV, cap. 1 rubr.Capitolo primo. De la misura delli exerciçii e fatica e de la
dispositione del loro tempo. Rubrica.
L. IV, cap. 1Chi vuole conservare e guardare la santade
(+i) per lo corpo muovere
e fatichare, si conviene k'elli
sappia l'ora k'elli il dee fare e la quantità de la
fatica quando ella sarà poca o assai. Ma perciò ke lli exercitii e le
fatiche sono di
diverse maniere, le quali conviene a l'huomo usare per bisogno e per suo pane
guadagnare, sì come fabri, mastri di pietre o di legname e d'altri mestieri assai, de'
quali noi non intendiamo a dire ke ciascuno lo dee fare secondo k'elli à costumato
e ke sua natura li aporta, ma noi vi diremo delli exercitii e
fatiche propie a la
santade guardare e l'ora ke l'huomo il dee fare. E per faticare,
(i-) è mistiere
ke ssi muova e
affatichi dinançi mangiare. E ciascuno dee usare
movimento e faticha (quella ch'elli àe accostumata), il quale
movimento e faticha non passino la sua força e 'l suo
potere.
(+i) E l'ora ke l'huomo dee guardare per faticare sì è quando la vivanda è
cotta per tucti i membri e che la forcella cominci a dimandare la vivanda; e questa
ora potete conoscere per orina ke, quando l'orina comincerae a ispessare e a avere
um poco di colore, allora si comincia la vivanda a cuocere. E quando l'orina sarà
um poco più tinta e più spessa, allora è la vivanda cotta e potete faticarvi e
lavorare secondo la quantità ke noi diremo. E quando l'orina è infiamata di
calore allora è reo il fatichare, perciò ke
seccha il corpo e mette tucte le virtù a
nneente; ké assai vale mellio l'
afatichare e 'l travalliare, s'elli il conviene fare, di
farlo quando la forcella è um poco piena, ke quando ella è tucta vòta, perciò ke 'l
faticarsi quando la forcella è ben vòta fae il
calore crescere e
inforçare. Donde
avengono febbri e altre malatie. E non intendete neente perciò ke, quando la
forcella è vòta, ke elli sia reo travalliare e faticare, e ke, quando ella è piena
k'elli sia buono, ke sopra tucte cose fae la faticha e 'l travallio male dopo
mangiare, perciò k'elli fae atrare i membri la vivanda tucta cruda de lo stomacho
onde molte malatie possono avenire e
ingenerarsi. E non sia vostra intentione ke
del tucto sia reo lo travallio e l'exercitio dopo mangiare, se non il forte travallio ke
l'huomo può faticare e travalliare e andare dopo mangiare et è buono per la
vivanda avallare.
E poi che voi sapete de l'ora, sì vi conviene sapere de la quantitade. A la
quantità dee huomo sapere tre cose, sì come di conoscere il
calore del corpo, ké
quando il
calore scalda temperatamente i membri per lo travallio e non sì che
faccia sudare, allotta è buono il travallio.
(i-) E sia il suo
movimento
andare o essere portato. Il quale
movimento e la quale faticha neuno
presumi o ssia ardito d'usare sì llungamente k'elli perciò senta
lasseza
o molta graveza.
(+i) La seconda cosa sì è il muovere, ché quando il corpo si
muove
legiermente e non si truova pesante allora è buono il travallio. La terça
cosa sì è di guardare i membri, ké quando elli cominciano um poco a ingrossare e
non affondare né a sudare allora è buono il travallio.
(i-) Ma quando elli usa
il
movimento (e la faticha) del quale elli si sente già allassare,
incontanente, lasciato il
movimento e la faticha, si riposi innançi k'elli
senta alcuna lesione o nocimento. E de la natura del
movimento è ke,
quando elli si fa dinançi al manicare, k'elli fa crescere il
calore
naturale. Per la qual cosa il cibo truova il
calore naturale acceso e 'l
corpo e la persona di cioe aquista grosseza e durabilità e forçe. E
ancora con grande senno e opera è da observare ke colui ke vuole
usare grandi movimenti e forti, e
fatiche forti e grandi, k'elli in loro
proceda a grado a grado e a ppoco a poco, tuctavia, salliendo, e k'elli
non passi e vada di quiete e reposo subitamente a grande
movimento. E se 'l suo corpo sarà grave o pesante e grande, sì si dee
constringnere e fasciare ko una
largha
fascia. E di tutto in tucto si dee
huomo guardare dipo mangiare da forte
movimento e faticha e ke
molto duri. E così come il
movimento facto dinançi il manicare
conserva la santade, così si truova ke genera
infertà quando si fa dopo
mangiare.
(+i) E ancora è buona cosa ke ciascuno guardi il fatichare secondo la sua
complexione, ké quelli ch'è caldo e seccho di natura e suda
agevolmente nolli è né
mica sì buono il travallio come a colui che àe contraria natura a questa.
A quelli che ssono fieboli e che ssi lievano di malatie, dee esser più
temperato il travallio ke a quelli ke ssono forti e visti. E perciò è buona cosa di
guardare ke l'huomo faccia tucte cose secondo ke la sua natura può portare, ché ssì
come dissero i filosafi tutti exercitii ke l'huomo fa oltre k'elli non dee e ke sua
natura nom puote portare, conviene k'elli metta il corpo a nneente
.
E del
riposare
non diremo or più se non ke ki ssi sente pesante per travalio k'elli
abbia facto, il
riposo è la medicina. E ki ssae la medicina del travallio dee sapere la medicina del
riposare.
(i-)
L. IV, cap. 2 rubr.Capitolo secondo. De la misura del sonno, e de le sue hore, e
del suo giovamento e nocimento.
L. IV, cap. 2Elli conviene ke l'huomo si sofferi del dormire tanto dopo 'l
mangiare k'elli senta ke ssia disceso il cibo da la boccha de lo stomaco
e senta la graveza e l'
emfiamento menomare e giù discendere.
È cosa
convenevole e buona ke sse huomo sente ke 'l cibo tardi a discendere,
k'elli usi d'andare
bellamente tanto k'elli discenda
. E ancora si dee
l'uhuomo guardare di
tornare e volgere d'uno lato in altro spesso,
imperciò ke la digestione si ritarda, percioe se ne seguitano
emfiamento di corpo e
gorgolliamento. E
similliantemente konviene
ke 'l piumaccio sia più alto e
maggiormente se 'l cibo non è ancora
disceso da la bocca de lo stomaco.
E l'uttilitade del
dormire sì è k'elli lieva e toglie la faticha
all'anima e la fa più sottile, e
sottillia il pensamento e la
ragione e lo
'ntellecto ke ierano grossi e quasi
lassi e travalliati, e ancora mitiga la
fatica del corpo, e fa milliore digestione, e ingrassa il corpo.
E 'l molto dormire diseccha il corpo, e fàllo tenero, e crea e
genera in lui moltitudine di flegma, e 'l raffreda, la qual cosa egli
opera e fa magiormente ne' corpi grossi e grassi.
E 'l molto veghiare inforça il
calore e corrompe la forma, cioè la
complexione, e 'l corpo diseccha e fa crescere i· llui la collera rossa, la
quale cosa fanno magiormente in coloro ke sson magri. Onde
conviene ke huomo non sia isforzato di veghiare quando huomo è
lasso e disoluto e
dormillioso, e non sia isforçato di dormire quando
huomo è
isvelliato e à la
mente e lo 'ntelletto e il senno sottile, e 'l
movimento lieve, e i senni e i sentimenti forti.
L. IV, cap. 3 rubr.Capitolo terço. Del regimento del mangiare. Rubrica.
L. IV, cap. 3
Lo millior tempo e la milliore hora di manichare fie poi ke la
feccia del cibo ke andò dinançi sì è giù discesa e la parte del corpo di
sotto è alleviata, nella quale neuna
tensione (o enfiamento) sia rimasa,
e convenevol
movimento sia andato dinançi, cioè sia facto, e l'apetito
signoreggi. E ancora si dee l'uhuomo guardare di non tardare il
manichare da che l'apetito e la vollia fie venuta, s'elli non avenisse ke
ll'apetito fosse
falso, sì come suole avenire alli ebbri e a coloro k'ànno
fastidio, ke ànno vollia di manichare sança
ragione per crudezza del
molto beveragio ke ànno in corpo. Ma poi ke l'huomo ke non è
ebbro
komincia ad avere vollia e disiderio di manichare, e 'l cibo k'elli
prese nel manichare ke andoe dinançi non fue né molto in quantitade
né grosso, incontenente allora dee manicare sança neuno
prolunghamento, imperciò ke questo è mellio; imperciò ke sse 'l
mangiare si tarda tanto ke l'apetito si distrugha e vada via, il quale
imprima iera grande e acceso, sì dee quel kotale allora prendere e
bere sciroppo, il qual è kiamato
juleb, o acetoso, o acqua calda, o elli
dee tardare il manicare per una ora infino a tanto k'elli
vomisca e
rigitti, o vada a
ssella, o ke l'apetito e la vollia del manicare reggha.
Dipo la quale cosa e dipo le quali cose avenute dee l'uhomo
mangiare. E dicemo ancora ke molto sì de' l'huomo guardare ke
l'homo nom si empia sì del cibo ke llo stomacho perciò si
discenda, o
molto si gravi, o ll'alito si
costringha e si faccia com pena. Per la quale
cosa se alcuna volta questo avenisse, il cibo ke l'huomo àe preso si
dee rigittare inançi ch'egli discenda giù al
fondo de lo stomaco, il
quale s'elli nom può rigittare, si dee allora acrescere il dormire e 'l
movimento, acciò ke 'l cibo discenda o ssi
cuocha mellio, e dee
pilliare cose k'abbiano a muovere il corpo e a ffare uscire; il cibo
ch'elli
era acostumato di prendere nel die ke viene apresso, cioè la
'ndimane, dee essere meno.
E dee l'uhomo, con grande studio, guardare e
osservare ke
ciascuno
pigli i cibi k'elli àe acostumati di prendere e tante volte
manuchi quante è acostumato di mangiare, se non fosse cosa ke la
costuma fosse rea e perversa, da la quale allora si dee partire e
mutarla a poco a pocho. La quale rea costuma non dee lasciare
repentemente e subitamente, ma ordinatamente e a pocho a ppoco,
cioè passando di quella rea a la buona. E nel mangiare si dee
observare questo cotale ordine, cioè a ssapere ke quelli ke ssono sani
manuchino almeno intra 'l die e la notte una volta, o al più due volte,
o ke quello k'è più temperata cosa è mellio, cioè intra due dì tre volte,
imperciò ke 'l manicare pur una volta il die nuoce a coloro ke ànno i
corpi secchi e magri e manicare due volte il die nuoce a coloro ke àno
i corpi loro grossi e grassi.
E coloro ke molto si muovono e molto s'affaticano ànno
mestiere di più cibo e di più grosso; e a coloro ke ssono contrarii a
questi cotali convengono e sono buone le contradie cose a queste ke
ora sono dette. Per la qual cosa la costuma di ciascuno huomo si dee
considerare e dêsi domandare il quale cibo li è buono e
convenevole, imperciò k'elli adviene spesse volte ke alcuni cibi ke
ssono rei a alcuno fieno convenevoli e buoni, dai quali egli non si dee
guardare sì chome gli altri huomini. E forse
adiviene anchora che
alcuni cibi che ssono buoni ad alcuni fieno rei, da' quali elli si
debbono guardare del tucto in tucto. E s'egli aviene ke ssieno alcuni
cibi convenevoli a alcuno, i quali cibi elli disidera e, advengna k'elli
sieno meno buoni, sì li dee l'uhuomo dare e concedere a l'apetito e al
disiderio, se cosa non fosse k'elli fossero del tucto in tucto pessimi.
Ma tuctavia non dee l'uhomo sempre usare mali cibi e rei, per la qual
cosa s'elli avenisse ke alcuno questo avesse facto, cioè d'usare sempre
mali cibi, sì dee elli usare medicine ke
mmuovano e ke facciano uscire
e ke ssieno
achostumate di muovere quelli cotali homori ke fossero
generati di quello cotale cibo, o cibi. E quando elli manucha quello
cotale cibo, alcuna cosa dee mangiare con esso o bere dop'esso, ke
quello cotale temperi e faccia meno reo, sì kome noi diremo, se
piacerà a dDio. E la cagione per ke la digestione è rea e k'ella si
corrompe sì è perké molti cibi e diversi si prendono e
manuchano in
una ora, e perké 'l cibo grosso si manuca e prende dinançi al sottile, e
ké molti cibi si prendono kol brodo, nel quale sono li minuzoli del
pane, e ancora se grande dimorança è intra 'l
cominciamento del
mangiare e la fine. E conviene ke 'l cibo ke l'huomo prende di verno
sia caldo
actualemente, cioè caldo a tocchare, nom troppo freddo, e
ne la state attualmente freddo. E dêsi l'uhuomo guardare e sofferire
da' cibi molto caldissimi, sì come sono quando si lievano dal fuocho,
e da quelli ke ssono molto
freddissimi, sì come quelli che ssono
raffreddati sopra la neve, i quali niuno dee usare, imperciò ke in
neuna maniera dee l'uomo usare il cibo raffreddato sopra la neve, se
non nel tempo del gran caldo, cioè quando il corpo fosse quasi
infiamato. E le millior hore a prendere il cibo sono l'ore fredde, le
quali se avere non si possono, almeno le magioni e le case sieno
fredde. E somilliantemente sieno l'ore del mangiare tali, dopo le quali
l'uhomo possa dormire o riposarsi.
E i
fructi ke l'huomo dee mangiare al mangiare dee l'uhuomo
prendere dinançi a ongne altro cibo, s'elli non fossero di quelli cotali
ke ne lo stomacho fanno gran dimoranza, ne' quali è
punticitade (cioè
laçeçça) e
acetositade, sì come sono mele cotogne e pome e
melegrane. E s'elli avenisse ke di questi, per kagione di medicina,
volesse pilliare um poco,
manuchine. Ma tuctavia in conservare la
santade giudica l'uhuomo d'esser mellio di lasciare tucti i recenti
frutti, o almeno ke l'homo di loro prenda piccola quantitade, o de'
quali, s'elli aviene cosa ke molti se ne prendano e mangino, sì v'è da
ssocorrere co le medicine ke ffacciano uscire e chol
movimento. E
ancora è
diligentemente da observare ke l'huomo non usi i
fructi
ricenti se non in quel die nel quale elli avesse usato molta faticha e
quando ne lo stomaco si sente arsura e ardura, imperciò k'elli è
konvenevol cosa ke in questa cotale ora e dispositione i
fructi ricenti
si manuchino sì come sono fichi, uve, pere,
grisomule raffreddate ne
l'acqua. E poi k'elli avranno manicati i predetti
fructi, alcuno poco
stante, manuchino i cibi k'elli debbono mangiare.
E con gran senno e
grandissima
opera dee l'uomo guardare ancora dal fastidio, cioè ke
l'huomo non si riempia e satolli sì k'elli abbia fastidio
. E se alcuno
avesse fastidio in quello medesimo die menomi il cibo, e
somilliantemente nel sequente die prenda meno e più lieve cibo. E
s'elli aviene cosa k'elli
abbia avuto fastidio per molti die, sì dee pilliare
e bere medicina tale ke non muova troppo, sì come quella ke ssuole
lo stercho mandare fuori, e suole mondificare e nettare lo stomacho e
le budella e i forami del fegato, sì come la
trifora minore, la quale
riceve in sua
confettione la pigra e turbitti, o le pillole ke ricevono
spetie di buon odore, o pillole
confette di mastice e d'alloe, o
diacithonyten laxativo, cioè ke
nmuove, confetto, o lattovario laxativo
di datteri o
seriebezen, e somillianti a questi.
E sono ancora huomini ne' quali si
digerono e cuocono bene i
grossi cibi e si corrompono i cibi sottili ne' loro stomachi. E dunque
dee l'uhuomo dare a questi cotali i cibi ke non si corrompono ne lo
stomaco e che ssi
digerono e cuocono. E le cose contradie a queste
sono da dare a coloro ke ànno la dispositione
contraria a questa. Et
espedisce et è utile cosa ke più di quello nodrimento, nel quale
corruptibile generatione d'alcuno omore si suole
multiplicare,
faccendoli nocimento, sia contrario a questo homore e non lasci
generare.
L. IV, cap. 4 rubr.Capitolo quarto. Del regimento e regola del bere. Rubrica.
L. IV, cap. 4
Nel
regimento del bere questa regola si dee observare: ke neuno
a digiuno bea acqua a ttavola se nom poi ch'elli avrae manichato e le
parti del ventre e del corpo di sotto sieno alleviate
. E s'elli la volesse
usare per kagione di ripriemere e di
mitighare la sete, non ne
pigli a
ssatietade, ma
pilline poca poi che le parti del ventre di sopra sieno
alleviate, sì come detto primieramente, e 'l cibo da llui fie desceso. E
ancora con
somma e
grandissima opera sì dee l'uhomo guardare ke
niuno non beano troppa acqua e ch'elli non prendano acqua a tavola
se non fredda, imperciò ke quando ella fia fredda, piccola quantità di
lei fie assai. E ancora dall'acqua de la neve si debbono guardare quelli
ke ànno i
nerbi deboli e che ànno lo stomaco e 'l fegato freddi, e
coloro i quali ne la loro digestione truovano diversitade, e colui la cui
anima (e corpo) si vede debile e quasi
consumpta. E quelli non dee
avere alcuna paura de l'acqua il quale è pieno di carni, e che à molto
sangue e molta collera, e 'l cui appetito è forte. Imperciò ke niuno
digiuno dee bere l'acqua, se non quelli che à grande
ardore o colui
ch'è ebbro. E ancora si dee ciascheduno digiuno guardare k'elli
nom bea subitamente molta acqua fredda o dopo 'l bagno, o dopo 'l
coyto, o dopo forte
movimento e fatica, il quale
movimento e fatica
fanno l'alito spesso e forte. Ma s'elli aviene k'elli ne bea, si ne dee
bere pocha e poca insieme, la quale cosa elli dee fare infino a tanto ke
quello accidente si parta e k'elli si spengna la sua impressione. E
ancora l'acqua no è da bere la notte se la sete è falsa e bugiarda; e
sengno k'ella è falsa è ke colui che à la sete è ebro, o k'elli
abbia beuto
tanta acqua ke lli dee bastare dinançi k'elli dormisse, sì com'elli era
acostumato. La qual cosa s'elli aviene ke alcuno bea molta acqua, e
ke la sete cresca, sì ssi dee sofferire di lei bere e dee sofferire molto la
sete, imperciò ke tosto si partirà la sete.
E l'uhuomo vòto e
famelicho non dee bere vino né dipo cibo
aguto, né dipo bangno, né dipo forte
movimento, né dipo
satolleza e
pieneza de' cibi se non poi ch'elli sieno giù discesi de lo stomaco, né
dipo la crapula, cioè empimento di cibi. E ancora non dee huomo
pilliare tanta quantitade di vino ke perciò lo stomacho se ne gravi o
ssi
discenda, se non quando alcuno si volesse medicare dipo 'l suo
bere, cioè volesse reddere.
E ciascuno dee scielliere quello vino ke lli è più convenevole
secondo ke noi dicemmo, imperciò ke 'l vino si diversificha ne le sue
spetie in molte maniere. E i· neuna maniera dee l'uhuomo usare
spessa ebbreza, imperciò ke l'ebreza genera pessime e ree infermitadi,
avengna ke una ebbreza o due nel mese fanno aiuto e giovano s'elle
non sono
continue, cioè l'una lungo l'altra. Sia, dunque, lo
'nchinamento di ciascuno huomo a llui e da llui, secondo ke a llui è
più convenevole, imperciò ke ssono alcuni ke in neuna maniera sança
vino possono digerere o cuocere il cibo; e alcuni sono i quali il vino
grava, e ne' quali col vino il cibo si corrompe, e mena tosto la febbre
a coloro e fa venire ai quali fece
kalore o repretione.
L. IV, cap. 5 rubr.Capitolo quinto. Del purghamento del corpo da le
superfluitadi.
L. IV, cap. 5Molto si conviene studiare ke 'l corpo stea netto da le
superfluitadi, la qual cosa si puote fare con solutione e
movimento di
korpo, e com provocatione d'orina, e con
movimento et exercitio,
imperciò ke ciascuno di questi manda fuori del corpo alcuna spetie di
superfluitade. Per la qual cosa se noi troviamo l'
egestione, cioè
l'uscita, pocha e piccola, per comparatione de' cibi ke homo avrae
presi, e ancora minore ke non solea essere, sì dobbiamo muovere il
corpo kon alcuna cosa ke temperatamente questo abia a ffare. E
somilliantemente se ll'urina è meno k'essere non dee, temperatamente
la dobiamo provocare con cosa ke faccia orinare, la qual cosa farano
il vino sottile, e 'l sciroppo acetoso, e seme di melloni e di
cedrini, e
appio, e finocchio, e cocomeri, e cetriuoli, e melloni, e altre cose
simillianti a queste. E quando quello ke si suole mandare fuori per
sudore menoma, e ke gram tempo è già passato ke noi non abbiamo
usato grande fatica et exercitio, né ll'aria, ove noi siamo, no è caldo, sì
dobbiamo provocare il sudore e fare venire con exercitio, e fatica, e
bagno.
E s'egli aviene cosa ke noi usiamo cibo ke abbia a generare
collera rossa, sì dobbiamo pilliare kosa ke temperatamente la mandi
fuori e la purghi, sì come sono mirabolani citrini, e susine, e
tamarindi, e siero, e sugho di melegrane trite co la sua polpa. La qual
cosa se elli aviene ke, per cagione d'errore, noi questo avessimo
lasciato a ffare tanto ke ne' nostri corpi fosse ragunata grande
quantitade di questo homore, allotta converebbe ke noi usassimo più
forti medicine, le quali noi nomineremo e diremo ne la parte e nel
tractato ove insegneremo guerire l'
emfertadi, cioè ne· lluoghi più
degni di loro nominarle e dirle. E allora converrà ke noi usiamo forte
medicina, sì chome fanno quelli che medicano l'enfertadi e i mali e
non sì come coloro ke conservano la santade.
E se 'l cibo suole generare collera nera, sì dobbiamo pilliare
mirabolani indi e
polipodio et epithimo. E se homori, cioè flegma,
suole generare, si conviene usare
trifora minore ke
rriceve ne la sua
confettione pigra e
turbith o
lactovario
facto di turbith, e di gengiovo,
e di çucchero. E se noi vediamo ancora lo stomaco quasi stupefacto,
o sança
sentimento, e che la virtù de l'apetito e del disiderio e de la
vollia del mangiare e del bere sia quasi distructa, e ke l'huomo non à
appetito e non disidera se non alcune cose acute, e ' cibi il gravano, e
propiamente i dolci e lli
unctuosi, sì dobiamo allora provocare e fare
venire il vomito in questa maniera: imprima manuchi cose salate, e
senape, e bietole, e
rafano, e poi bea sciroppo acetoso, o
ydromel, o
medicine le quali solliono purgare temperatamente, le quali noi
abbiamo nominate.
E se noi vegiamo alcuna volta il corpo grave al
movimento, e
infiato, e 'l suo colore rosso, e caldo a toccare, vegiamo le vene piene
et elevate, sì dobbiamo
tostamente torre sangue e menomare le
quantitade de' cibi, e sforçeremo di lasciare carne e vino e tucte le
cose dolci, e
sforçerenci ke tucti suoi cibi sieno
ponthici o
acetosi, la
quale cosa tanto si convien fare lungamente ke tucti i predetti
accidenti si
cessino e vadano via.
E ancora li homini e le femine quando ànno vollia di fare
insieme la bisogna, sì facciano e non
contrastieno a la natura.
E ancora sono certe altre cose ke con gran
diligentia si debbono
fare, sì come
fregamento di denti e de le gengie e de' labri co le
scorçe de le radici e de le noci, e
gargarismi, e
starnutamento in
alcune ore, imperò ke neuna de le superfluitadi dee l'uhuomo
ritenere, imperciò ke per ritenere troppo l'orina, sì aviene difficultade
e malagevoleza d'orinare, e vengono per quella cagione l'
emfertà ke
ssogliono avenire a la vescicha e a le sue parti. E l'
egestione, cioè
l'uscita, quando si ritiene, genera ventositade e
thenasmo, cioè
una
infertà per la quale huomo ponta spesse volte per fare e
nom puote, e à melancolia, e se
distruge o perde l'appetito e 'l
disiderio del mangiare e del bere, e aviene fastidio.
L. IV, cap. 6 rubr.Capitolo sexto. Di temperare le case e le magioni.
L. IV, cap. 6Conviene attendere e guardare ke in questi luoghi non sia tale
caldo per lo quale il corpo si risolva e si distrugha in sudore, e in
humectatione, e in acqua, e ke 'l freddo non sia
tamto ke perciò il
corpo si ratragha e s'
arricci, e la terra non sia humida, né molle, né
molto seccha, e non sia
sordida e
lordosa, né molto polverosa, ma sia
mezana intra queste dispositioni, la qual cosa sarà se 'l luogho ordo e
polveroso s'innaffia e
arrossasi d'acqua, k'elli da llei riceva
temperamento; e se 'l luogo è molle, sì ssi seggha sopra i letti e ne'
palchi.
E le case e le magioni temperate, sì com'è detto, giovano e sono
buone a coloro e a quegli corpi la cui santade è perfetta e la chui
natura è temperata.
E ai corpi che ànno la dispositione contradia a
questi, cioè ke ssono magri e collerici, sì ssono buone le magioni
molli
e humide, se con questo sieno ancora fredde.
E le magioni e case
secche e calde, le quali con questo non abbiano mollezza né
humiditade, giovano e son buone ai corpi ke ànno la dispositione
contradia a questi, ai quali quelle, le quali sono diverse da queste,
fanno nocimento. E ancora si dee
diligentemente guardare k'elli non
vi si senta reo odore, il quale s'elli avenisse ke vi fosse,
(+i) sì ssi
conviene argomentare e procacciare di melliorare e di
rimuoverlo co le
suffumigationi e
suffumigi buoni e utili a ciò rimuovere.
(i-)
L. IV, cap. 7 rubr.Capitolo septimo. Di pronosticare i mali accidenti e di dirli
dinançi k'elli signoregino o k'elli creschano.
L. IV, cap. 7Questo capitolo delli elimenti di conservare la
sentade è
nobile,
e sarebbe assai convenevole cosa ke nnoi in lui
moltiplicassimo le
parole e guardassimo e ponessimo
mente a quelle cose ke i· llui sono
da considerare infino all'unghia. Ma perciò ke noi non volliamo
trapassare la 'ntentione di questo nostro libro, i· neuno de' suoi
capitoli faremo dimorança,
ponendo poche somme e agregationi, cioè
dicendo brievemente e in somma le cose che ci sono a dire.
Diciamo, dunque, ke quando il dolore del capo è forte e fermo e
stabile è dolore di capo, il qual è kiamato migranea; è da dottare ke
ll'acqua non discenda alli occhi e si dilati e
allarghi la
pupilla, cioè il
ritondo de la luce. Per la quale cosa se il dolore del capo, lungamente
perseverando,
gravemente infesta e assalisce e non si puote levare e
guerire con medicine, sì ssi dee soccorrere a la 'nfertade, traendo
fuori l'arterie ke ffanno polso e battono ne le tempie.
E 'l salto del volto, cioè il
movimento de'
lacerti, nel quale
movimento alcuna volta si muove la buccia e cotenna k'è giunta e
apiccata a quelli cotali
lacerti, se quello cotale salto, lungamente
dimorando, s'elli è molto e forte, sì mostra il torcimento de la boccha,
cioè quella infertade sì
prociana chome se incotanente
dovesse
assalire e venire. Dumque, poi ke l'huomo sentirà questo avenire e
komincerassene a avedere, sì ssi debbono dare medicine fortemente
solutive, cioè forti a ffare uscire, e vomiti, cioè cose e medicine a ffare
reddere. E 'l volto si dee fregare e
strupiciare con forte aceto ke ssia
fatto di vino, nel quale mentastro sia cotto. E 'l manicare si dee dare
piccolo e del tucto in tucto si dee ancora abstenere dal vino, e dee
usare forti medicine da purgare e forti
fricationi, e
strupicciamenti, e
gargarismi, e starnuti.
E 'l salto di tucto il corpo, molto e lungamente durando, si
pronosticha e indovina
spasmo, cioè
contratione e ritraimento di
nerbi. Dumque conviene, quando questo aviene, fortemente
evacuare, e votare, e freghare, e stropiciare il corpo, e sottilliare il
regimento, cioè dare meno cibo e più sottile e lieve. E
dovrannosi
dare le medicine
kalde, le quali noi nomineremo e diremo nel suo
capitolo.
Stupore e adormentamento de' membri si pretende e significa
parlasia a venire, cioè quella infertade. Per la qual cosa quando averrà
il
regimento si dovrà sottilliare, cioè dare meno a mangiare e cose più
lievi, e 'l corpo si converrà evacuare co le medicine acute, le quali noi
diremo nel capitolo de la parlasia.
E rosseza del volto e delli occhi, e manifestamento de le vene in
loro, e discendimento di
lagrime, e impotentia di nom potere vedere
la
kiareza e lo sprendore del lume e de la luce, tucte queste cose, s'elle
sieno con grande e forte dolore di capo, sì
ssignificha e
pronosticha
di venire
firnesia. Per la qual cosa è da soccorrere col
torre sangue e
con medicina ke faccia uscire, e 'l capo si vorrà infondere e mollare
con olio rosato mescolato con aceto, e tucto il corpo si converrae
raffreddare.
Incobus, cioè quel male nel quale pare ke di notte huomo abbia
una fantasima in sul pecto e nom possa favellare, e
vertigo, cioè quel
male quando pare ke 'l mondo si giri intorno intorno, se questi due
mali lungamente perseverranno o ssieno forti, sì dimostrano e
significhano a advenire epilensia, cioè il male maestro. No è, dumque,
da avere neghienza che a quelli cotali noi non
socorriamo con quelle
cose ke noi diremo nel capitolo de la epilensia.
Tristitia sança manofesta cagione lunghamente durante, e
malignitade di cuore, e disperamento significano malitia, per la qual
cosa è da ssoccorrere sì come noi diremo.
E quando a alcuno pare le vegha quasi
mosche volare o peli
stare dinançi
agli occhi, o elli vede intorno a quelle cose k'elli riguarda
fummo o
vapore, sì ssi dimostra
cominciamento di discendimento
d'acqua. E questo dee l'uhomo considerare
diligentemente, sì come
noi diremo nel suo capitolo, e si dee huomo afrettare di medicare.
Rema e
coriça, cioè acqua per lo naso, se spesse volte averrano,
fia da temere e da avere paura di tisichezza ke non vengha, o asma di
petto, o infertadi al polmone, per la qual cosa incontanente sia da
soccorrere.
Molto sudore e lungamente perseverante significa repletione del
corpo e de la persona, onde sarà da soccorere col
torre e scemare
sangue e col poco cibo. E se 'l sudore fie di reo odore, sì significherà
ke la febre sia vicina e procciana. Per la qual cosa si dovrà dare quelle
cose ke ànno a purgare la collera rossa.
E 'l tremore del cuore spesso e forte si protende ' singnificha la
morte subitana a avenire, per la qual cosa si de' soccorere col torre
sangue e co le medicine ke muovano il ventre
leggiermente.
E quando l'uomo è troppo ripieno, si ffa paura de la
'nfertà
emothoica (cioè de lo sputare del sangue) nel tempo ke è a venire e
de l'appoplesia e de la morte subitana, onde incontanente si conviene
soccorrere ko la flebothomia, cioè kol torre sangue.
E se elli aviene ke l'huomo abbia
turbamento de' senni e de'
sentimenti, e deboleza de' movimenti, e sieno con repletione, è da
avere paura ke non sopravegna appoplesia, cioè quella
infertà ne la
quale parendo ke huomo
dorma spesse volte muore. Dumque è da
ssoccorrere ko la flebotomia e col
gargarismo.
E se graveza fie nel lato diritto presso a le costi di sopra, overo
di dietro (cioè a ssapere ove le
coste sono meno), e
puntura e
discendimento, sì
ssegnificano male di fegato, onde sia da
ssoccorrere, sì come diremo nel suo capitolo.
L'
egestione, cioè l'uscita, più tinta ke non suole sì significa
yteritia.
E 'l volto e le palpebre e l'estremitadi se
ffieno
emfiate sì
pronostikeranno ydropisia.
E quando elli viene
puço dell'uscita, sì dimostra fastidio e
graveza k'è ne le vene. E 'l
puço k'è nell'urina sì
ssignifica
putrefatione e ke
ffebre dee venire.
Lassezza e dissolutione con distructione d'apetito sì ssignificano
febre.
E distrutione de la virtude apetitiva, e
nausca e abominatione, sì
ssignificano
kolica, cioè il male del fianco. Dunque è da soccorrere
con lungho sonno e dormire e com poco mangiare, e poi co le
medicine ke ivi noi nomineremo e diremo.
Gravitade e discendimento ne le parti del ventre di sotto e ne le
budella, com
permutamento de l'urina da la sua dispositione, sì
dimostra nocimento
kominciato ne le reni, per la qual cosa tosto si
dee soccorrere.
Ardore d'orina, lungamente perseverando, avrae
pustole, cioè
bolle, ne la vescicha e ne la
verga. Dunque fia da ssoccorrere sì come
noi diremo nel suo capitolo.
E l'uscita molle ke ffa
adustione, e
arrostiscimento, e ardura, e
pugnimento nel fondamento di
socto, sì
ssingnifica ke dee venire la
disinteria, cioè menagione con sangue. Dunque è da
ssovenire e
soccorrere.
E piççicore nel fondamento singnifica ke verranno le morici, se
quello non aviene per cagione di molti vermini piccoli ke ivi sieno e
per moltitudine de
adennenul, cioè di quelli apostemi ke ssono
kiamati
carbuncoli, sì ss'à paura ke non venga alcuno grande
apostema.
E de molti
nodi sì nasce suspictione e paura di grande
colletione
e apostema.
Morfea
bianca mostra paura de
albaras bianca, cioè di quella
infertade. Molta rossezza di volto con offuscatione, cioè torbideza di
colore, e angoscia d'alitare, e kon
rakeza di boce, fanno avere paura di
malattia e lebrosia, la quale già è cominciata a venire.
E se alcuna de le dispositioni del sano, sança quello k'è
acostumato, sarà mutata, cioè a ssapere se l'appetito è più forte o più
debole ke non suole, o ke quelle cose ke escono del corpo sieno più o
meno ke
ssolliano, o ke 'l sonno e 'l
dormire sia più lungo e più
brieve, o
agittamento, cioè gittamento di qua in là, o ke non possa
dormire, queste avengano, o sudore non acostumato di venire li esca
del corpo, o ke quelle cose ke
ssolliono uscire del corpo si ritengano,
sì come il sangue de le morici e de' mestrui, o vomito di sangue, il
quale era acostumato di venire in certi tempi, o ssangue ke solea
uscire del naso, o ss'egli si fae
disolutione di tucto 'l corpo, o pigreza
ne le ginocchia, o ne la boccha si senta
strano sapore, o che quelle
cose facciano dilettatione ke non solieno fare, o 'l contradio a questo
advengna, o ke alcuno si senta crescere o menomare la voglia de la
luxuria, o ke nel dormire
advengha
sogno tale kente avenire non
solea, o ke 'l colore del corpo si convertisca d'uno in altro o ssi muti,
o 'l
toccamento altrimenti ke
ssoglia, e a la perfine, quando alcuna
cosa ke non sia acostumata d'avenire averrà e dimori lunghamente e
comincia ad crescere, si
pronosticherà
infertà futura, cioè ke dee
venire, per la qual cosa la chagione di ciascuno de' predetti si dee
investigare, e inchiedere sottilmente, e
ffestinare, e tosto
mettervi
consiglio a la sua santade.
E se alcuna volta l'uhuomo vedrae repletione nel corpo
d'alcuno, incontanente si dee
flebbotomare, cioè torre sangue, e 'l
manicare menomare. E se la signoria e l'abondanza d'alcuno omore
aparisse incontanente, se à ' soccorrere col
purgamento di lui e co le
medicine ke quello cotale homore solliono trare fuori del corpo,
e
ancora se alcuna infertade com periodo (cioè con revolutione e
cercuito), sì come terçana e quartana e cotidiana, congnosciuta suole
avenire, sì ssi dee flebotomare ançi ke vengna l'ora del
parossismo, o
è da dare quella cosa ke faccia
assellare
. E tucte l'altre cose ke
averranno dopo l'avenimento de la 'nfertade si debbono fare
ordinatamente, sì come noi diremo ne' suoi
capitoli se dDio
piacerà.
L. IV, cap. 8 rubr.
Capitolo
.viij. De l'operatione de' pensamenti dell'anima,
cioè de l'operatione de' pensamenti animali.
L. IV, cap. 8Qualumque è quelli il quale di quelle o per quelle, cioè de'
pensamenti animali o per li pensamenti animali, faccia l'anima (cioè il
cuore e la mente) gaudere e rallegrare, o qualunque di queste
operationi fa queste cose, sì dae força e vigore a le virtudi del corpo, e
muove et excita la natura ne le sue operationi, e giova a tutti quelloro
ke ssono sani, se non se a coloro ke ànno mestiere di dimagrare,
imperciò ke ssono troppo grassi, ai quali non sono sani daché sono
troppo grassi.
E per contrario intendi e dei intendere di quelle cose e
operationi animali ke fanno atristare, imperciò ke quello che fa
tristare e dà ira e tristitia fae nocimento a tutti sani, se non se
solamente a coloro ke ànno mistiere di dimagrare.
L. IV, cap. 9 rubr.Capitolo .ix. Di conservare lo kostume e l'usança.
L. IV, cap. 9Elli vi conviene observare e guardare il costume e quello ke
l'huomo àe acostumato di fare (e secondo quella cotale regula andare
ke l'huomo àe acostumato ne la sua vita), se cosa non fosse ke quelle
cotali costume fossero pessime. E quando avenisse k'elle fossero
cotali, cioè pessime e molto ree, allora conviene ke l'huomo si parta
da lloro a poco a poco e ordinatamente.
Per la qual cosa ciascheduno si dee bene guardare k'elli non si
rechi a costuma d'alcuna cosa, la cui costuma li conviene servare, del
cui observamento elli
patischa
distretta e constrignimento, sì come
s'alcuno usasse sempre un cibo o alcuno
beveraggio solamente, o da
lloro di tucto in tucto s'
astengha e si guardi, o sse dormire o
assellare
o muovere o avere a ffare con fenmina s'
acostumi, o elli sia costretto
da alcuno di questi
gravemente, cioè ke nom possa fare secondo ke
ssuole, grande nocimento
line averrà se da questi s'astiene. Per la
quale cosa ciascuno dee sì ordinare e disporre il suo corpo k'elli possa
sofferire e chaldo e freddo, e k'elli sia aconcio a' cibi e a' movimenti e
a le
fatiche ke lli sono mestieri, e ke elli possa mutare le magioni e le
case e l'ore del dormire e del veghiare sanza nocimento, e forse a
alcuno conviene questo fare di necessitade.
L. IV, cap. 10 rubr.Capitolo .x. Di torre la maliçia de' salvatichi nodrimenti.
L. IV, cap. 10Quelli è più salvo e più sicuro de' mali cibi ke nogli usa. E s'elli
aviene cosa ke alcuno li usi, si dee prendere medicina laxativa ke
purghi quello cotale omore ke è generato di quello reo cibo, o cibi. E
molte volte alcuno scamperà del loro nocimento e ke di quelli cotali
mali cibi può venire, s'elli sae temperare e aconciare. Et elli si
possono temperare se dinançi a lloro, o dipo lloro, si manuca alcuna
cosa ke
ripriema e attuti la loro malitia o,
digerendo e cocendo nel
corpo, rechi a
temperamento; sì come se alcuno ama le cose dolci, le
quali li facciano male, sì bea dop'esse sciroppo molto acetoso, o aceto
con acqua, o elli mangi dop'esse melegrane e acetose, e a la perfine
ogne cosa acetosa, e comincisi a torre sangue e de' pilliare medicina
ke purghi la collera rossa.
Ma quelli che ama i cibi
acetosi, sì come
carne cotta con aceto, e
alkarys, e
kalmosos, e simillianti a questi, del
mangiare de' quali elli prenda nocimento e riceva, dop'essi manuchi
mele e bea vino vecchio e potente
.
E quelli ai quali nocciono le cose untuose e ' cibi
unctuosi, si
dee mangiare dipo lloro cibi stitichi, e
amari, e salsi, e agri, sì come
sono
lenti e ghiandi, e
almury, e garus, e
kauguanuch, le quali si
condiscono con sale, e cipolle, e
agli. E quelli ai quali queste
cose e queste vivande e cibi nocciono sì debbono raffrenare la loro
malitia e amendare coi cibi
unctuosi e humidi e solutivi. Ma koloro
ai quali i grossi cibi sono rei, sì come è il
frumento kotto koll'acqua
sança altra cosa, o kol lacte, e simillianti cibi, e di loro manucano, sì
debbono, dinançi loro e dipo lloro, bere um poco de almuri, e
conviene loro più muoversi e faticarsi, et è convenevol cosa di
prendere del
tricon
piperon e del
diacimino. E s'elli avenisse cosa ke
nn'avessero molto manichato, sì debbono muovere il corpo con forte
medicina ke purghi flegma. E se alcuno è acostumato di sentire e di
sofferire graveza nel fegato o pugnimento per lo mangiare de' grossi
cibi, sì bea assiduamente e spesso sciroppo acetoso, fatto con molte
radici e con molti
semi. E se ancora alcuno avesse manicato molto di
fructi ricenti dipo 'l mangiare de' dolci, sì prenda sciroppo acetoso, sì
come sono
rotab, cioè datteri molto molli, e
musa, e co melloni
dolcissimi e fichi; e dipo 'l mangiare de' cibi stitichi e
fructi stitichi e
acetosi bea
ydromel. Se cosa non fosse k'elli perciò li avesse
manichati ke ssi volesse medicare, cioè reddere o uscire, depo ' quali
s'elli facessero
emfiamento, sì ssi conviene prendere diacimino e vino
forte e possente bere ke ssia vecchio, e acqua ove sieno cotti semenzi
a cciò valevoli, e simillianti cose. E dipo i
fructi
secchi e di quelli de'
quali tanto solamente quel dentro si manuchi, i quali solliono
riscaldare coloro ke lli manucano, è
konvenevol cosa e utile di bere
sciroppo acetoso e dicotione ke ssi fanno de' sughi di
fructi
acetosi
cotti a spessitudine, e dee manicare cibi
acetosi. E dipo '
fructi ke
ssolliono emfiare e torre l'appetito, mina o
muna si dee prendere (o
muna ke ssia), et è sciroppo di sugo di mele cotongne e melegrane e
dolce e acetose.
E poscia
manuchi diacimino e
diatrithon
piperon e
gengiovo condito, e l'acqua grossa, ke tardi discende de lo stomaco,
non si dee prendere né bere sança vino
. E ancora se alcuno avrae
bevuta l'acqua troppo spesse volte, konviene ke ssì spesse volte entri
nel bagno infino k'elli
sudi e cominci a pilliare le medicine ke abbiano
ad solvere e a muovere il ventre, le quali noi nomineremo quando noi
tratteremo de l'enfertadi de'
nerbi.
L. IV, cap. 11 rubr.Capitolo .xj. Di torre via il nocimento ke proviene del vino.
L. IV, cap. 11Se 'l vino à a riscaldare il fegato e tucto il corpo, sì è da bbere
molto inacquato, dipo 'l quale sono da manicare le melegrane
acetose, e l'acetositade del cederno, e le somillianti cose (o cibi) a
questi ke ssono detti. Et elli è allotta da bere quando huomo avesse
mangiati cibi acetosi, sì come quelli cibi ke ànno mescolato seco il
sugo dell'uve acerbe e simillianti a questi.
E se alcuno per lo vino avesse grave dolore di capo, non bea
vino se non kiaro, il quale sia molto inacquato, e quando elli àe voglia
di berlo, sì manuchi mele cotongne e simillianti cibi ke abbiamo
stipticitade, cioè lazeza. E apresso poi k'elli avrà bevuto, sì usi cibi
lievi ne' quali sia stiticità e spegnimento di vapore, sì come sono cibi
raffreddati ke abbiano il sugo de l'uve acerbe e somillianti a questi.
E se alcuno àe il ventre infiato, o v'abbia dolore, sì bea vino
puro e poco mescolato, col quale elli non manuchi neuna cosa ke
abbia grosseza, né dipo llui manuchi.
L. IV, cap. 12 rubr.Capitolo .xij. De' beveragi e sciroppi ke ssi prendono i· lluogo
del vino.
L. IV, cap. 12Il vino riscalda lo stomacho e 'l fegato, e
dissolve e disfa
l'enfiamento, e 'l cibo
digere e aiuta a cuocere, e l'orina provoca, e 'l
ventre solve e fa muovere, e sanza questo letifica l'anima e fa gaudere.
E noi non troviamo ancora questo sezaio modo de la bontade del
vino in alcuno ke tenga i· lluogho del vino e ke i· lluogho del vino
compia, ma nelli altri modi alcuna volta si possono trovare alcune
cose ke possono
supplere e tenere i· lluogho del vino, advengna ke in
queste operationi sieno più deboli del vino.
Sciroppo ke riscalda lo stomaco e 'l fegato, e ke tollie e lieva
l'
emfiatione, e aiuta la digestione del cibo, e fae penetrare o passare il
nodrimento per li membri.
Recipe (cioè pillia): del mèle de api libra
.j., e acqua libre
.vj., e
queste insieme mescolate tanto lunghamente si cuocano e si
spumino
infino ke tengano e abbiano simillianza di
juleb, e apresso una libra di
questo
ydromelle ke rimase, polvere
sobtilissimo legato in panno
sottile, il quale riceve: gengiovo, pepe nero, pepe lungo, cinnamomo,
mastice, garofani, e spigo di catuno dr
. .j., e iv'entro si
spriema ko le
mani e si lasci stare e così si bea poscia.
Sciroppo il quale solve e muove il ventre.
Recipe: fichi bianchi, ai quali
.x. cotanti d'acqua vi si
gipti sopra
(e l'altra lettera dice due cotanti) e sì lunghamente si cuocano infino
k'elli si comincino a
disolvere e a disfare, e si lascino così stare per
ispatio d'una notte, e poi si coli e in quella
colatura vi si
giunga mèle
ad misura de la metade, cioè quanto è la metade de la dicotione, e si
lasci bollire tanto k'elli regha a
ssimillianza di
juleb, e si riponga
. E
sono alcuni che a ciascuna libra di questo sciroppo mescolano due dr
.
di lattificcio de la
fulcunea, cioè de l'albero
fico, acciò k'elli muova
mellio e più il ventre.
L. IV, cap. 13 rubr.Capitolo .xiij. Del giovamento e del nocimento del
torre sangue.
L. IV, cap. 13
(+i) Voi dovete sapere ke 'l torre sangue vòta li homori ke ssono dentro le
vene le quali
vanno per tucto il corpo. E tale votamento non dee neuno fare se non
per due cose: la prima sì è quando il sangue abonda troppo, acciò ke l'huomo si
possa mantenere in santade e le malatie schifare ke per sangue possono avenire.
(i-)
Ma per lo spesso torre sangue spesse volte solliono avenire mala
complexione, e ydropisia, e tostana vecchieza, e distrutione d'apetito,
e
picoleza del polso, e deboleza di stomaco e di fegato e di cuore, e
triemito, e parlasia, e ancora
applopesia, e a la perfine imbecillitade e
deboleza di tucte le virtudi naturali. E per neghienza e pigrezza di
non torre sangue, quando elli è mestiere, avengono
demenul, cioè
karbuncoli (cioè apostemi), e altri apostemi, e febri
continue, e
frenesia, e
pleuresi, cioè appostema nel costado, e vaiuolo, e
morbillo,
et è
hemothoyca, cioè sputo di sangue per boccha, e morte subitanea,
e pistilentia, e appoplesia sanguinea, cioè di sangue, de la quale il
volto appare verde o nero, e
sinantia, cioè apostema ne la gola, e
lepra, cioè malattia.
E ancora la flebotomia, cioè il torre sangue, sì è gran medicina
in conservare la santade, et è molto utile e buona a guerire l'enfertà
s'ella si fa secondo ke ssi conviene. E quelli che possono più sofferire
la flebotomia delli altri sono coloro ne' cui corpi grandi vene si
veggono e ampie, e i loro corpi sono pilosi, e
bruni, e rossi, e ricenti,
e pieni di carni, cioè
carnosi, s'elli non sieno grassi. E sono quelli ke
ssi tolgono sangue giovani o vecchi. Ne la prima vecchieza e fanciulli
o decrepiti, cioè i
travecchi, non sono da flebotomare sança
grandissima necessità. E quelli ke n'ànno grande mestiero sono
coloro ai quali avengono
pustole e grandissimi apostemi, e
ademenul,
e febbre. E a coloro è mistiere la
flobotomia, i quali ànno acostumato
di mangiare molta carne e d'usare molto vino e cose dolci. E quelli si
debbono abstenere e guardare da la flebotomia, cioè dal torre sangue,
ke ànno lo stomaco e 'l fegato deboli e a' quali fredde infertadi
solliono avenire. E perciò questi non si debbono
flobotomare, cioè
torre sangue, sança grande necessitade. E l'altre kose che ssi
convengono sapere de la flebotomia già abbiamo detto nel suo
capitolo, ma
pienamente e più
distintamente ne diremo nel septimo
libro, nel vigesimo secondo capitolo, e dêsi con grande diligentia
guardare ne la flebotomia k'ella non si faccia grande in tempo molto
caldissimo né in tempo molto fredissimo.
L. IV, cap. 14 rubr.Capitolo .xiiij. Del giovamento e nocimento del purghare il
corpo.
L. IV, cap. 14Usare muovere e disolvere lo ventre, sì come si conviene, sì è
somma medicina a conservamento de la santade
(+i) e fae schifare molte
malatie.
E prima ke noi diciamo del
purgare, sì vi conviene sapere ke quatro homori
sono dentro il corpo de l'huomo. Lo primo sì è sangue k'è caldo e humido, lo
secondo sì è flemma ch'è freddo e humido; lo terzo sì è collera rossa k'è calda e
seccha; lo quarto sì è collera nera (cioè a dire malinconia) k'è fredda e seccha. Ma
la flemma sì ssi parte ancora in cimque maniere: la prima sì è apellata flegma
salsa ke è più calda e più seccha dell'altre maniere de flemma, perciò k'è
mischiata di collera rossa. La seconda maniera sì è flemma dolce k'è
kalda e
humida, perciò k'è mischiata in sangue. Et ènne un'altra maniera, ke la
fisica
apella flegma acetosa, k'è fredda e seccha, perciò k'ella è mischiata di malinconia.
La quarta maniera sì è quella ke la
fisica apella
flemgma vitreum, ke viene di
troppo grande freddura, sì come agenti di gram tempo. La quinta maniera sì è la
naturale flemma k'è fredda e humida e non à punto di savore.
La collera rossa si divide in cimque maniere: la prima sì è la collera rossa
naturale ke viene del fegato, k'è
kalda e seccha, sì come noi avemo detto; la
seconda maniera sì è collera citrina ke à colore d'uno
fructo ke à nome cederno,
k'è facto di flemma e di collera rossa, ma non è così calda kome la prima; la terza
maniera sì è collera vitellina k'è somilliante a tuorlo d'uovo, k'è facta di flemma
ke viene di grande freddure e di collera rossa e di kiara, et è meno
kalda de
l'altre. La quarta maniera di collera sì è verde sì come sugo d'erba, ke lla fisicha
apella
pressine, e sì nasce spetialmente ne lo stomaco. La quinta maniera sì è
collera ruginosa verde k'è
ssomilliante a
schallia di rame ke viene di troppo gran
calore et è natura di vin.
Di quella nera sono due maniere: la prima sì è la naturale k'è la feccia del
sangue, e questa sì è veracemente fredda e seccha; la seconda sì viene per grande
arsura di caldo, e questa è apellata veracemente collera nera et è più calda de
l'altre. E queste sono le maniere delli homori ke nel corpo de l'huomo possono
riposare e abondare, e i quali convengono essere purgati per medicina. Ma de la
prima, sì come del sangue, noi sì n'avemo detto alcuna cosa, e più ne diremo nel
septimo libro, come huomo lo dee purgare per flebotomare e per medicina di cassia,
e di
malva, e viuole, e fiori di borana; ma il flebotomare è più propio, perciò ke 'l
seggio ove il sangue dimora sì è tuttavia dentro le vene. E li altri omori sì ànno
loro luogo di fuori de le vene. E non intendete ke di questi omori non possano
entrare, mischiare col sangue dentro le vene, ke tuttavia con esso il sangue àe di
questi tre homori ke noi avemo nomati ke ssono col sangue dentro le vene
mischiati. E sì ssi possono bene col sangue purgare per flebotomare, ma quando
elli sono fuori de le vene, si conviene ke ssieno purgati per medicina. E ançi ke noi
vi insegniamo come voi li dovete purgare quando elli abondano troppo, sì vi
conviene sapere i sengni come voi li conoscerete, li quali abondano troppo per tucto
il corpo.
Li segni di flemma, quando ella abonda troppo, sì potete conoscere ke
quando l'orina sarà
bianca e bene spessa, allotta sì abonda la naturale
flemgma.
E altra ke è verde di grande freddura quando l'orina sarà bianca, e sua
substança sarà intra spessa e kiara, allora sì sarà abondança di flemma acetosa.
E s'ella è colorata in tale substança, sì ssarae flemma salsa; e s'ella è spessa
colorata, sì sarà flemma dolce. E con questo ciò ki tale orina avrà, sì avrà dolore
ne la testa ne la sinistra parte da la terça ora de la notte e innançi, e avrae il viso
palido e dormirà fortemente, e sognerà tuttavia
piove e d'essere in riviere, e li
abonderanno tutti secondo la maniera del savore de la flemma, e li bullirà il
ventre, e cocerae male le vivande, e sarae pesante e grave e lento del corpo, e avrae
usato vivande fredde. E dovete sapere ke questi segni sono segni di flemma.
Li segni di collera ke abondi troppa per tucto il corpo sì è quando l'orina è
rossa e kiara e di sottile substança, e alcuna volta sì può essere di substanza
grossa; se la collera vitellina abonda e se collera citrina abonda, il polso sì v'à
tosto, e à dolore di
testa ne la fronte sì come dentro li occhi, e à dolore magiore da
la terça ora del dì infino al vespero, e 'l viso e 'l bianco delli occhi si trarrà in
citrinità, cioè in
gialleza, e tucto il corpo, e avrà la boccha amara, e la lingua
aspra e seccha, e piccolo apetito di mangiare, e grande talento di bere, e tuttavia
sognerà fuoco e rosse cose.
Li segni di collera nera, k'è malinchonia, sono quando l'orina è kiara e
bianca, e alcuna volta gialla, et è sottile e piena di
sschiuma. E alcuna volta,
quando la collera
spurgha, sì è l'orina spessa e persa, e 'l polso sarà tardi, e
pesante, e perso, e 'l savore del ruttare sarà sì come d'aceto, e i
songni gravi, e
strane visioni e paurose, e il dolore de la
testa, sarà pesante e grave, e piue ne la
parte sinistra di dietro che in altro luogo; e 'l dolore sarà nel corpo più verso il
vespero, e tucto il corpo sarà pesante e lento e male
colorito; e 'l ventre li bullirà. E
questi sono i sengni delli homori ke abondano per tutto il corpo.
E vi conviene ancora sapere, prima ke noi v'insegniamo purgare il corpo,
queste cose, cioè a ssapere di conoscere il tempo e la
complexsione, l'etade, la
maniera del corpo, l'usança, la virtù e s'elli è huomo o femina e 'l paese, perciò ke
ssecondo la diversitade di queste cose si conviene il
purgare diversificare sì come voi
udirete. De la prima cosa, sì come del tempo del
purgare, si conviene k'elli si
purghi ne la primavera e ne l'autunno, secondo i comandamenti d'Ypocras, ke ciò
sono le due stagioni dell'anno più temperate. E s'elli aviene ke 'l corpo si purghi
di state o di verno per bisogno, si conviene ke ll'aria de la
magione sia raffreddata
con
foglie di salci, di folglie di vigna, o di rose, o d'altre erbe, o di
junghi, e di
verno si conviene l'aiere de la
magione riscaldare e
suffumicare. E in questi tempi
si dee guardare quando è mellio a dare o di die o di notte, ke sse la primavera
tiene la natura del verno, sì come d'essere freddo, sì vale mellio a
darla di die ke di
notte, per lo freddo de la notte, se ciò non è medicina di grossa substantia, sì come
sono pillole. Se l'autunno tiene la natura de la state, sì come il caldo, sì vale
mellio a
darla di notte ke di die, per lo
calore del die.
Ora vi diremo de la complexione ke ki sarà collerico caldo, e seccho, e
magro, a costui si conviene dare legieri medicine, perciò ke i loro homori sono
legieri, sì li puote il medico co
llegieri medicine purgare, e questi si può
legiermente
purgare, sì come per vomito, salvo k'elli abbiano il petto
largo. A quelli che ssono
sanguigni si conviene legieri medicine, ma elli la sofferano più forte ke i collerici.
Flematichi e malinconici sì la sofferano più forte ke i sanguigni, e li puote huomo
legiermente purgare di sotto, perciò ke ' lloro homori sono pesanti. Ancora dee
l'uomo l'
etade guardare ki ssi vuole purgare, perciò ke ' fanciulli e quelli di gram
tempo non sofferano né micha
legiermente le medicine per la loro
fiebole
complexione, ma que' ke ssono di
.xx. anni, o di
.xl., sofferano più forti medicine
per la natura k'è i· lloro più forte. La maniera del corpo dee il fisico guardare, ké
quelli che ssono grossi e charnuti sofferano le medicine forti; e quelli che ssono
magri e
asciutti, a costoro dee il fisico donare legieri medicine. La virtù de l'homo
dee il fisico guardare s'ella è o forte o ffiebole ke ssecondamente k'ella è o forte o
fiebole dee il
fisicho la medicina donare, ké sopra tucte cose dee il corpo
fiebole
ridottare a prendere medicina. L'usanza dee il fisico
konoscere, e s'elli è usato di
prendere medicina e se 'l ventre si commuove
legiermente o a gram pena, e s'elli
vomita più volentieri ch'elli non vae di sotto, ké secondo queste
diversità si
convengono le medicine diversificare e donare. E ancora dee il fisico guardare se
ciò è huomo o femina ke ssi vollia purgare, perciò ke la natura de la femina è più
fiebole ke la natura de l'huomo, e perciò le si conviene più legieri medicine donare.
Lo paese dee il fisico conoscere, perciò che in caldi paesi si dee donare più
legieri medicine per li homori ke ssi purghano più
legiermente di sotto ke di sopra.
In freddi paesi dee il
fisicho donare più forti medicine, perciò ke lli omori
sono grossi e pesanti, e si possono mellio purgare di sotto ke di sopra. Dipo a
queste cose ke dette avemo, dee il medico guardare se la matera è piccola, o grande,
o calda, o
ffreda, e in qual luogo ella è, ké ss'ella è la matera in gran quantità sì
ssi conviene più forti medicine donare ke ss'ella è in picola. E secondo il luogo dee
il
fisicho la medicina donare e diversificare, e riguardare in prima ke le cose ke noi
avemo detto e nomate non siano contrarie, sì come la
vertù e altre cose, ché
ssança
queste cose guardare e considerare nom puote l'uomo
dirittamente operare, se non a
tastone, ke nel tempo ke ora corre lo fanno ancora i malvagi fisichi.
Ora vi conviene sapere come voi dovete la matera
maturare, ché secondo la
natura de' comandamenti d'Ipocras, sì ssi conviene la matera cruda maturare ançi
ke ssi convengna purgare. E perciò s'elli conosce ke la collera rossa abondi per
l'insegnamenti ke detti avemo, sì li conviene in questo modo operare: primeramente
konviene ch'elli si guardi di mangiare cose salate e arostite e tucte cose secche; ançi
conviene k'elli usi kose molli, sì come brodetto di pollastri o
huove molli, e
kamangiari sì come atrebici, borrana, spinaci, bietole, e altre cucine k'
amollino il
ventre, ke ssì come disse Ypocras ki vuole lo corpo purgare sì lli le conviene prima
amollare; e si guardi bene di bere vino forte e possente, e di spetie calde, e mangi
poco; e usi la sera e la matina sciroppo acetoso con acqua calda, e cioe dee fare
tanto ke la matera sia matura, e se ne puote acorgere quando il ventre li
comincerà a
bruire e l'orina a ispessare. E poi sì ssi pensi di questa medicina,
prima si faccia fare una dicotione di viuole, e di prune, e di
semi di zuche, e di
melloni e di cetriuoli, e d'erbe fredde, sì come di
politrichon,
adiendos,
citarac,
capel venero, e una radice di finocchio, e di
fabrate, e di
jemgibres; e quando queste
cose saranno cotte ne l'acqua, sì ssi deono colare e
distemperare una oncia di cassia
monda e meza oncia d'
oxi laxativo, overo di lattovaro di sugho di rose o di
silitique, o di frigido
cophonis, ké tutti questi lattovari purgano la collera e
rafreddano il corpo. Ma non dee prendere questi lattovari in sua medicina ki àe
febre o ki àe il fegato scaldato, perciò ke ssono
agessati di
scamonea. Ma elli può
prendere
.v. drame di
ribarbaro o di mirabolani citrini, e
farne polvere, e mettere
ne l'acqua de le cose ke noi v'avemo nomate, e sia
fredato, e si dee porre due sere
infino a la matina al sereno, e poi si puote prendere, e questa medicina si può
donare a coloro k'ànno febbre e k'ànno riscaldato il feghato. Ancora si può
prendere
ribarbaro kon kiaro lacte ki coll'acqua no 'l vuole prendere.
Chi vuole purgare la flemma ke troppo abonda, sì ssi conviene maturare
imprima sì come amollare il ventre con tal
cucina, sì come di bietole, di
borriana,
di spinaci, d'atrebici, pretosemoli, finocchio, kom buone spetie sì come di
kannella,
zafferano, gengiovo,
kardamone; brodetto di gallina è buona kon queste medesime
spetie
.
E poi
beia acqua calda ciascun dì la mattina e la sera
oxsimel sempice o
composto, facto di radici di finochio, o di pretosemoli, e d'appio, e di sparagi, e di
bruth. Se la flemma è più grassa poi, quand'ella sarà
matura, sì ssi puote
conoscere per l'orina k'è più colorata e non sì spessa e 'l ventre sarà più molle e
potrà prendere questa medicina; faccia primieramente una dicotione ove siano cotte
queste cose, sì come
polipodio, radici di finocchio, di petrosemoli, allume, anici,
coriandro; e quando la dicotione sarà facta e colata, sia distemp
erata ne la detta
dicotione meza oncia di benedetta, o
.v. dramme di latovario dolce. E s'elli avesse
febre di flema, si conviene k'elli prenda ne la dicotione mirabolani kebuli dr
.
.v., quando l'acqua sarà fredda e la matina sia colata.
Chi vuole la
malinconia purgare, si conviene la dieta usare ke noi avemo
detta de la flemma e ancor più chalda, e conviene usare oximele,
squilliticum,
overo oximel composto, la mattina e la sera, tanto ke la natura sia matura. E di
ciò si puote l'uhuomo acorgere quando l'orina sarà colorita e più spessa
.
E
prenda poi apresso questa medicina: elli farà cuocere ne l'acqua
polipodio,
senethine e
sepithime,
custote, agarico, radici di finocchio, pretosemoli e anici
.
E
poi quando saranno cotte si conviene
distemperare
1/2 on
. di cassia, e una
1/2 on
. di
diecimino laxativo, e
prendala la matina. Ma ki àe febre, sì dee prendere dr
. .v.
di mirabolani indi, o
lapislazali, e così sì dee purgare li homori che noi avemo
detti sança guardare a la virtù e a la complexione e all'altre cose ke ssecondo
queste cose si conviene la medicina
versificare.
De le medicine ke ssi danno im pillole e d'altre maniere
lasscieremo di dire
al presente. Dipo queste cose ke dette avemo, sì vi conviene ancora sapere in qual
maniera l'uhomo dee prendere la medicina, cioè k'elli non si travagli né fatichi
troppo, ma stea in riposo in
magione ke non sia troppo calda né troppo fredda. E
poi quand'elli l'avrae presa, se ciò sono pillole, sì
dorma sopr'esse, e se ciò è
latovario, vi si dee poco dormire; e s'ella è stemperata in dicotione et ella è forte, sì
è buono dormire di sopr'essa. E s'ella è legiere e
fiebole sì non vi si dee dormire (sì
come disse Avicenna) e sì tosto come l'huomo l'àe
presa, sì non si dee muovere
tanto k'ella sia avallata; e quand'ella
comincerà a muovere il corpo, sì de' l'uhomo
muovere per la medicina fare operare, sì come disse Ypocras. E non dee l'uhuomo
dormire tanto com'ella opera, perciò che la medicina ne perde sua virtù. Né no 'l
conviene mangiare né bere infino a ttanto ke la medicina avrà operato, se ciò non
fosse um poco d'acqua calda per la medicina confortare quando ella avrà operato
tre volte o quatro. E conviene prendere aqua fredda a quelli ke prendono
ribarbaro o mirabolani. E quando elli, sopra k'elli sarae purgato, sì 'l potrà
sapere quand'elli sarae ben noto k'elli
comincerà ad avere um poco di sete e k'elli
vedrae a sua digestione venire altri homori, ké quelli ch'elli vorrà purghare e non
si
vòterà più, sì
potrà mangiare chaponi, galline, e bere vino temperatamente, e
acqua calda, se ciò non è medicina di ribarbero o di mirabolani, ove li conviene
bere vino in acqua fredda e poi si puote dormire e riposare; e s'elli
dorme bene, si
dee sapere ke la medicina è stata buona; e 'l secondo die apresso o 'l terzo si può
bagnare in aqua
tiepida, ov'elli abbia rose per lo corpo lavare e per le superfluità
ke la medicina àe purghate fuori
kaciare
.
E perciò ke molti pericoli avengono apresso, poi ke le medicine sono donate
(o per la colpa del medico, o per la colpa di colui che la prende), sì vi aprenderemo
kome si possono amendare
.
E diremo primieramente de la menagione, ke sse
managione n'aviene, cioè k'elli escha più ke non dee, sì ssi faccia legare e fasciare
con due bende il grosso del braccio ben forte, e le mani, e le gambe, e facciasi
stropicciare bene le mani e i piedi, e faccia cuocere una gallina o una tortore in
acqua ov'elli abbia gomma, e draganti, e goma
arabica, e
sommach, e
bol'armenich. E di quella acqua berà, e conviensi fare uno bagno d'aqua tiepida
per la medicina affiebolire, ma stea un poco dentro. E tal medicina si puote
conoscere quando quelli che prende la medicina avrae troppo gran sete, e purgherà
li omori k'elli non dee purghare.
Se febre li aviene per la medicina, o per altra mala guardia, sì bea dell'aqua
de l'orço e si facia fare uno bagno d'acqua tiepida per sudare; se ciò è febbre
effimera, cioè una febbre ke dura un
giorno o infino in tre, sì come terzana
cotidiana o altra febre, e se ciò è putrida, sì ssi conviene da capo la matera
purgare
.
Se
atortione li aviene per la medicina o per freddo k'è per la medicina,
aviene k'ella non purgha l'omore che dee purgare, si prenda drappo di lino e
metteteli in acqua calda e sì siano posti sì caldi kome potrae sofferire sopra la
forcella, o avere
vesciche d'
arain piene di vino o d'aqua calda, e testi caldi
invilupati in drappi con millio arrostito in uno sachetto, o intrare im bagno
d'acqua calda
.
Se
esprasions aviene, o per grossi omori, o per freddi, o per fredde medicine,
se per grossi omori aviene, si conviene fare un cristeo d'acqua ove sia ben cotta
marcorella e sale per li omori purgare; se cioe è per freddo, sì tolliete cruscha e la
fate cuocere in vino, e poi la metete in uno sacchetto e seggha il malato di sopra; se
ciò è per la medicina, sì 'l conviene dimorare in acqua infino al
bellico, là ove sieno
cotte scorçe di
castangne di melegrane di
caucie,
ysipotiquites, scorçe di susini e di
nespoli, e di
sorbe, e di meli
cotongni, o faccia questo altro sperimento, il quale è
molto buono, sì come di prendere
fummo d'un poco di
grioise sopra i
carboni. E se
vomito li aviene per la medicina ke ssia a la substantia de lo stomacho, si bea
acqua là dove sia cotta
mastich, goma
arabica, sciroppo rosato; se ciò è per li
omori ke ssieno ne lo stomacho per l'
atratione de la medicina, sì ssi conviene
purgare per medicina vomicha
.
Se
singhiozo li aviene al
cominciamento del purgare o ne la fine, konviene,
se ciò è al
cominciamento, la forcella scaldare per
stropiaciare, o per muovere il
corpo, o per mettere testi caldi sopra la forcella, e vesciche d'
arain piene d'acqua
calda, ké questo
singhiozo adviene per la medicina ke atrae li omori a la forcella
.
Se ciò è ne la fine per troppo votare, sì ssi conviene affrectare di lui confortare,
perciò k'elli v'àe
pericolo di morte, e li si dee donare brodetto di gallina o suppa in
vino bene temperata, e ugnere lo stomaco di burro, o d'olio violato, o di
dialtea. E
s'elli aviene k'elli abbia troppo grande sete, perciò k'elli sia troppo vòto, sì prenda
goma
arabica, goma
adragant,
psilio, cotti in acqua, e di questa acqua bea
tiepida; e sì può bere sciroppo rosato con acqua tiepida o con acqua, ove sia cotto
seme, e
tengna sotto la lingua
kandi, e lavi spesso sua boccha d'acqua
kalda
fredda, ma no ne avalli giù punto.
E s'elli aviene menagione di sangue ke le
'ntestine sieno
scortichate per la
medicina ke ssia stata troppo forte, o per li omori ke sono troppo agri, sì come
collera,
pressine e
rogionsa, si bea brodetto di gallina ove sia cotto gomma
arabica, goma adragante,
sonmach, bol'armenich, sangue di dragon, e sia
n cotte
queste cose in acqua di
piova; e poi bere di questo sciroppo il quale sia facto di
balaustie di buccie di melegrane, e d'
acacie e di sugo di
plantagine, e d'acqua di
piova e di zuchero, e ancora puote usare
diacedion e
thanasie.
E s'elli aviene a colui ke prende medicina troppo grande fieboleza per li
omori ke ssieno usciti fuori troppo
abondantemente e a la forcella per la forte
medicina, si conviene il malato scaldare, e i piedi e le mani stroppiciare, e fare per
alcuna medicina rendere per la boccha, sì come
caustopoucis, noci
vomiche e acqua
tiepida. E se la
fieboleça aviene per ke ssia troppo purgato, si dee prendere
brodetto di gallina e fare suppa dentro, e polvere di
cardamone e di
cannella, e
mangiare um poco de la gallina o de la
pernice, e bere vino temperato in acqua
kalda, e fiatare, e odorare rose,
mardelees, moscado, legno, aloe.
E s'elli aviene k'elli sia
contracto per la medicina per troppo votare, sì non
à mestiere di medicho ké, ssì come disse Ypocras, questi è
mortale, se la
contrattura è per tucto il corpo. Ma sse la
contratione sia im parte del corpo, sì li
conviene ugnere la schiena di dietro, e per tucto il corpo di dialteo, di burro, e
d'olio violato, e farlo bagnare ove sian cotte
malva, viuole, e
brancorsina, e
all'uscire del bagno ugnere di lacte di femina.
(i-)
E usare il
muovere e disolvere il ventre, sì come si conviene, è
somma medicina a conservamento de la santade, dona grande aiuto,
imperciò k'elli è possibile che, per cagione di questa cotale opera, il
corpo si monda e netta da l'homore ke ssuole generare. Per l'errore
de' cibi, o per
negligentia de la dieta, o per
intemperança del corpo, e
per questo può essere e avenire che 'l corpo stea sempre mondo e
netto, e ke i· llui non si ritengnano superfluità ke ssieno aconcie a
ffare infertadi. Per la qual cosa
ciaschuno dee usare medicina ke
ssolva e muova il ventre, cioè a ssapere quella la quale suole purgare e
mettere fuori l'omore ke li suole
nuocere, o ke ssi suole generare
magiormente per la secca dispositione del corpo, o per kagione
dell'errore del suo
regimento.
E ancora conviene k'elli si guardi da la medicina che suole
purgare e votare il contrario homore al predetto che t'è nel corpo, e
che tu vuoli purgare, imperciò ke questo cotale nocimento è
grandissimo.
E noi abbiamo già detto e nominato in uno capitolo quale
homore ciascuna medicina laxativa ke ffa muovere vòti e purghi e ai
quali sia buona e ai quali no. E quelli che à magiore mestiere di
purgarsi e di prender medicina da muovere il corpo, sì come quelli
che à il corpo grande e grasso, e ch'è guloso e ghiotto, e ke manuca
molti cibi e molti
fructi, e che poco si muove e poco s'affaticha; e
quelli che à il corpo ke
llegiermente e per picola cagione si muove et
esce; e quelli il cui ventre à
ssolutione e menagione e che è tale, a cui
tosto aviene disinteria, cioè menagione con sangue, e magiormente se
la menagione fosse forte, questi cotali si deono sofferire di pilliare
medicina laxativa e che muova.
E notate ke prendere spesse volte medicine laxative e ke
facciano uscire indeboliscono il corpo e la persona, e menano e
conducono ad eticha e a
tisicheza, e magiormente se quelli cotali
ke le prendono sono secchi e magri. E dêsi l'uomo molto
guardare, sì come avemo detto, di non pilliare medicina k'abia a
purgare e a ffare uscire, s'elli primieramente il corpo non mollificha
coi brodetti
untuosi, e se dinançi che pilli la medicina no è
intrato nel
bagno per due dì, e s'elli non s'àe nel bagno molta acqua tiepida
gittata adosso et entro vi sia seduto, e se non à preso sciroppo
acetoso. E sì de' huomo bem porre
mente di non pilliare medicina ke
molto sia forte e fortemente abbia a muovere e a ffare uscire ne'
tempi caldissimi e ne' tempi
freddissimi. E ancora sì dee l'uhomo
sofferire del tucto in tucto del dormire e guardarsene da ke la
medicina à cominciato a muovere infino ke resti, sì come detto
avemo, e di non pilliare alcuno cibo infino ke l'huomo sente alcuno
sapore o odore de la medicina quando huomo ructa, e infino ke 'l
movimento non si indebolisce e non menoma, infino ke la sua
operatione si compia, sì come detto avemo di sopra.
Del quale
medicamento, s'elli sia purgato sì come si conviene, sì ssi dee cibare
di lieve
taffeda (o
steafeda ke abbia nome), de la quale non dee pilliare
troppo avidamente e
ghiottosamente, ma
meççanamente e
temperatamente
.
E nota ke la detta
taffeada è un cibo ke ssi fae in due maniere,
imperciò ke ll'una
thaffeada è bianca e l'altra verde. La biancha si fa
solamente d'aqua e di carne, la verde si fa d'acqua e di carne e di
coriandro, o kon altra verde erba. E neuno non si dee satollare il die
k'elli è purgato, ma dee manichare mezanamente. E s'elli avenisse ke
alcuno uscisse, o fosse troppo uscito o troppo purgato, sì dee pilliare
cibi facti con
sommacho o col sugo de le melegrane acetose o col
sugo de l'
uve acerbe, e de' pilliare per molto grande spaçio, ançi ke
manuchi polvere facto di
semençi.
E s'alcuno fosse molto riscaldato per cagione de la medicina, o
ch'elli avesse presa medicina da purgare la collera rossa, è mistiere ke
'l suo beveragio sia
juleb, s'elli non fosse troppo duramente purgato,
e se fortemente fosse purgato sì dee bere rob di pere o di mele
cotogne o di melegrane e di simillianti. Et è mistiere che quegli che è
troppo purgato, o molto, che egli si sofferi di pigliare iulep, e
sciroppo acetoso, o
ydromel. E s'elli aviene ke per la medicina l'uomo
non si riscaldi e che del corpo non escha e sia uscito alcuna altra cosa
se non
flemgma e collera nera, sì ssi dee prendere acqua temperata
kon vino, la qual cosa se non si puote fare, sì ssi de' temperare l'acqua
col mèle. E s'elli aviene ke la medicina
laxativa operi più ke non dee,
sì ssi dee mettere nel bagno quelli ke ll'avrà presa. E s'elli aviene cosa
che perciò non si stringa, si dee usare polvere fatto di melagrane, e
s'elli basta, bene sta, non si faccia più. E se per questo non si
ristrigne, sì li
dea polvere così fatta:
recipe, cioè tolli:
collellarum, o
tollellarum, de Syria dr
. .x.,
incenso, bolo armenich,
gummo
arabico, ghiande,
silocaratte de
Romania,
arilli, cioè le granella ke ssono dentro nell'
uve, e
semi de le
melegrane di ciascuno dr
. .x., seme di
jusquiano bianco dr
. .v.; e di
questo polvere tanto dee prendere tra tre volte quanto puote
impugnare col
pugno. E se questo non giova, sì lli si
dea trocisci di
balaustie e simillianti, i quali si diranno nel capitolo de la solutione del
ventre. E s'elli aviene cosa ke lo 'nfermo
indebolischa e ch'elli non si
possa muovere e
tramortischa, sì ssi dee sovenire e atare astivamente,
ne la maniera che noi diremo nel capitolo del male del fiancho ke si
chiama
colicha.
L. IV, cap. 15 rubr.Capitolo .xv. De· giovamento ke viene del vomire e del suo
nocimento.
L. IV, cap. 15Se 'l vomito, cioè il rigittare, si fae temperatamente kome si
conviene, lo stomaco purga e la digestione fa milliore, e rinuova il
corpo e 'l netta e monda, e 'l capo e 'l senno e 'l
sentimento fa più
lievi, e fae milliore vedere; e se 'l vomire si fae troppo grande e forte e
troppo spesso, sì diseccha e dimagra il corpo, e nuoce al fegato, e al
petto, e alli occhi, e al polmone. E alcuna volta rompe e
fende le
vene, per la quale cosa aviene la 'nfertade e 'l male k'è kiamato
hemothoicha, cioè sputare il sangue. E la santà di colui nel cui
stomaco si raguna molto flemma si guarderà e si conserverà per lo
vomito, cioè per lo rigitare, i cui
sengnali noi abbiamo già posti e
nominati, cioè quando il
flemgma abonda ne lo stomacho. E a questi
cotali è mistiere il rendere una volta o due il mese, la qual cosa si
conviene fare quando huomo è satollo, imperciò k'elli è dura cosa di
rendere se lo stomaco non è pieno e non si puote fare sanza gran
fatica e grande studio.
E 'l vomito non si dee fare spesse volte, imperciò ke lo stomaco
si corrompe e la sua virtude si
distrugge e guasta. E dee l'uhu
omo
observare che, quando alcuno vorrà rendere, k'elli
avolga imprima
intorno intorno due bende o due fasce sopra li occhi e coll'altro
panno leghi molto bene e no le lievi tanto ke 'l vomito sia compiuto.
E quando il vomito è compiuto, sì ssi de' lavare il volto coll'acqua
rosata e la boccha si dee lavare e ugnere collo
ydrimelle e collo
sciroppo acetoso. E quelli che àe il collo lungho, e 'l
gorgozule pinto
in fuori, e 'l petto
stretto e ingnudo e asciutto di carne, del tucto in
tucto si dee guardare di vomire, cioè di reddere per boccha.
L. IV, cap. 16 rubr.Capitolo .xvj. D'abitare e avere a ffare kon femina e del suo
giovamento e nocimento.
L. IV, cap. 16
(+i) Ciascuno ke à senno e discretione sì dee mettere sua
cura e intentione e
suo potere di sapere kom'elli dee usare e avere a ffare con femine, perciò ke ciò è
una cosa principale del corpo sanamente mantenere e del corpo mettere a neente ki
temperatamente no 'l sa fare e usare e perciò ne diremo il bene e 'l male k'elli può
fare.
(i-)
L'usare con
femina
allieva e fae legiere il corpo ripieno, e
l'anima fae lieta e allegra, e acresce la sua levità, e
mitica e tollie il
pensamento. La qual cosa si fae alcuna volta tanto infino ke la
malinconia per la sua cagione guerisce. E se alcuno è tanto costrecto
per l'amore d'alcuna
femina, e sì inamorato ke quasi divengha a la
morte, usi spesse volte con femina, avengna k'elli non abbia quella
femina ch'elli ama, imperciò ke mitiga el suo furioso amore, perciò ke
furioso è colui ch'è compreso d'amore, perciò ke neuno è magior
furore ke l'amore.
Ancora il coito, cioè l'avere a ffare con femina,
allieva il capo e 'l
senno e 'l
sentimento. E a la perfine se alcuno userà molto il coyto,
scamperà del male ke può avenire per troppa repletione, e questo
farae votando quella repletione delli homori. E dêsi l'uhuomo molto
guardare di non usare troppo il coyto, imperciò ke l'huomo ne
'ndebolisce molto, e perdene l'apetito del mangiare, e li occhi si fano
chavi e infossati. E quelli che ssono magri e secchi si debbono
guardare dal coyto sì come dal suo nemico
mortale, il quale se alcuno
molto userae, diverrà etico, cioè si consumerà tucto. E quelli ke ssi
lievano d'
infertà e deboli e magri, e ancora quelli k'ànno lo stomaco e
le budella sottili e magre, e i cui
nerbi sono deboli, di tucto in tucto si
debbono guardare dal coito. E imperciò ke 'l molto
koyto e spesso fa
gran nocimento ai
nerbi, e molto male fa alli occhi, e
distruge le forçe
e le virtudi del corpo, e il corpo indebolisce e corrompe, e tosto mena
a vecchieza. E questi nocimenti avengono meno a coloro ke ànno i
corpi robusti e forti e grossi. E somilliantemente neuno dee usare il
coyto ke ssia
famellico, cioè ki àe gran fame, né quando elli è ripieno
di molto cibo e di molto vino, né quando elli esce del bagno, né
quando huomo à vomito, né dopo la solutione del corpo, né dopo la
flebothomia, cioè quando s'
à tolto sangue, né dipo faticha. E s'alcuno
avrae molto usato il coito, sì si dee abstenere e guardare da la faticha
e da la flebothomia, e dêsi guardare k'elli non
sudi nel bagno, e dee
usare cibi ke abbiano a crescere la sperma, cioè quella matera k'esce e
rende la
vergella quando l'uhomo
usa co la femina, e dee bere vino
grosso e dolce, e dee
inficere e riempiere il volto e tucto il corpo co
le cose odorifere, cioè di buono odore, e questo dee spesse volte fare
e usare suffomigii odoriferi e dormire assai.
L. IV, cap. 17 rubr.Capitolo .xvij. Del giovamento del bagno e del suo
nocimento e come si dee fare.
L. IV, cap. 17Possibile cosa è de
humentare e di diseccare il corpo kol bagno,
per la qual cosa quelli che ànno i corpi magri e secchi ànno mestiere
di ricevere
humentatione del
bangno, e perciò si debbono guardare
k'elli non sudino nel bagno, ma stieno nel suo luogo temperato e
gettino molta acqua
kalda nel
pavimento, cioè nel lastricato, intorno
ad sé, acciò ke ssi levi
vapore, il quale abbia molta
humiditade; e
infondano e bangnino il corpo koll'acqua calda, la quale faccia
soavitade e dilecto, e v'entrino entro, cioè nell'acqua del bagno, ne la
quale tanto lungamente debbono dimorare infino ke 'l corpo faccia
leno e morbido e um poco
emfiato; e poi si debbon guardare k'elli
non gittino sopra ssé acqua calda, ançi si debbono infondere e
mollare koll'acqua fredda per una ora una volta, e poi si debbono
ungnere d'olio. E se alcuno entra nel bagno per volersi diseccare, dee
molto sudare, e molto
stropicciarsi, e fregarsi ko la farina de le
fave e
de' ceci, e di
baurace, e
usnen. E 'l mangiare si dee tardare dipo 'l
bagno per lungho spatio, e quando il sudore comincia a uscire si
conviene
istropicciare e fregare sanza ugnere.
E de' giovamenti del bagno sono:
humentare il corpo e
rinovellarlo, e aprire i pori, e scoprire, e lavare, e nectare d'ordura ke
v'è ragunata, e menomare la repletione, e disolvere la ventositade, e
fare vollia di dormire, e
subtigliare li homori. E ancora il bagno
riprieme e menoma le doglie, e
strigne il ventre, e tollie la
lasseza, e
fae il corpo aconcio ai cibi.
E i suoi nocimenti sono di distrugere le virtudi e le forçe e tanto
riscaldare il corpo ke alcuna volta fa tramortire, e fae alcuna volta
abominatione e vollia di reddere, e dà chagione ai rei homori di
discendere tosto. Per la qual cosa koloro ke ànno febbre e quelli che à
contusione, e apostema, o piaga, o quelli ke àe le budella scorticate
de' temere il bagno. E ciascuno si guardi d'entrarvi dopo 'l cibo se
non colui che vuole ingrassare. La qual cosa se alcuno (o alcuna) per
alcuna necessità convengna entrare nel bagno satollo, poi ch'elli ne fia
uscito, alquanti die bea sciroppo acetoso, e
astengasi da' cibi grossi, e
subtilgli il suo
regimento.
L. IV, cap. 18 rubr.Capitolo .xviij. De l'abitudine del corpo e de la sua grasseça
e magreçça.
L. IV, cap. 18Il corpo troppo grasso non è buono, né 'l troppo magro,
imperciò ke 'l corpo molto grasso è disposto e aparecchiato a molte
infertadi, imperciò ke l'huomo k'è così grasso muore alcuna volta
subitamente e
abondagli molto sputo di sangue per kagione de le
vene ke ssi fendono, e a gram pena puote alitare, et è aconcio e
disposto di pocho generare filii.
E i corpi magri sono aparecchiati ke diventino (e divenire)
ethichi e tisichi
tostamente, e ke tosto chagiano e vengano meno, e
che le loro forçe e le loro virtudi ne l'
enfermitadi tosto si dissolvano,
e distruggono e vengano meno, e che tosto ricevano
impedimento e
male dal troppo caldo e dal troppo freddo.
E quello corpo è da llodare et è bene disposto k'è temperato in
charnositade, e che aproccia e pende um poco a grassezza, imperciò
ke questo cotale corpo, kosì disposto, è
dilumgi da infermare e non
cade
leggiermente
in infermitade.
L. IV, cap. 19 rubr.Capitolo .xix. Del giovamento e del nocimento de la
fricatione de' labbri co le scorçe de le noci.
L. IV, cap. 19
(+i) Molto si dee l'uhuomo penare di forbire e stropiciare i denti, perciò
k'elli donano grande biltade al corpo e sono necessari per la vivanda masticare,
acciò k'ella si
kuocha più
legiermente a la forcella. E notate ke
(i-) questo
cotale
fregamento e stropicciamento de' denti asterge e netta e
monda i denti e
fagli forti, e duri, e rigidi, se ssi fae temperatamente, e
corrobora e fortifica, e ingrassa le gengie, e non lascia fare i· lloro
concavitade, e fa buono odore a la boccha, e fae lieve um poco il
capo e la boccha de lo stomaco. Il quale
fregamento di su detto si
conviene fare co le scorçe delli arbori ke abbiano i· lloro
lazeza e
amaritudine. E se questo cotale
fregamento e
stropiciamento se
molto si fae, leverà e torrà la biancheza de' denti. Per la qual cosa è
mistieri ke non si facia troppo spesso, imperciò ke sse ssi fa tropo
spesso, sì n'aviene moltitudine di
sordi e d'ordura, e ' denti se ne
muovono, e le gengie se ne
sottilliano e ne indeboliscono.
L. IV, cap. 20 rubr.Capitolo .xx. Del conservamento de' denti in santade.
L. IV, cap. 20
(+i) Chi vuole i denti conservare in santade, sì 'l conviene guardare dette
cose. La prima sì è di schifare vivande e beveraggi ke ne lo stomacho
legiermente si
cuocano o corrompano, sì come pesci
salati e altri piccoli pesci
freschi, e di beveraggi
sì come di
cervisgia, di vino, di pome, e di vino grosso mosto. La seconda sì è k'elli
si guardi di vomire (cioè di reddere) molto spesso, imperciò ke 'l molto reddere
corrompe e guasta i denti e le gengie e riempie d'omori ke vi si corrompono. La
terça cosa sì è di masticare cose viscose dolci spesso e lungamente, sì come sono
vivande fatte di mèle cotto e datteri e d'altre vivande somillianti a queste. La
quarta sì è di guardarsi ke cose dure non si rompano coi denti, ke sse perciò dolore
n'aviene, sì vi potrebbero discendere homori ke gravare li potrebero. La quinta
cosa sì è ke l'huomo non metta in sua boccha kose gelate, sì come ghiaccio e neve e
cose somillianti, percioe k'elli distrugono la virtù e la santade de' denti. La sexta
cosa sì è di guardare ke l'huomo nom prenda cose troppo fredde apresso cose calde,
né cose troppo
kalde, dopo kose fredde, e propiamente è
konvenevole di guardarsi
dal cibo caldo. La septima cosa sì è di purgare e di nettare la vivanda e l'ordura
k'è ne' denti, o s'elli dimorò o rimase tra denti alcuna parte del cibo; e
magiormente se quel cotale cibo ke vi rimase fue di latte, sì conviene essere solicito
i· llor lavare e
mondificare con isciroppo acetoso, o con
ydromelle, e fregarli,
forbirli,
e
stropiciarli temperatamente, non sì k'elli faccia le gengie insanguinare e i denti
muovere, né crollare e
stroppiciarli, e forbilli com polveri e con altre cose ke
confortino i denti e le gengie, sì come noi diviseremo qui apresso. L'ottava cosa sì
è ke l'huomo non mangi cose ke di loro propia natura fanno i denti distrugere e
gravare, sì come sono porri, cipolle, scalongni e molte altre cose, e ciò sono le cose
ke ssi convengono guardare per li denti conservare e mantenere in santade. E non
solamente queste cose ke noi avemo nomate, ma forbire i denti de le cose ke noi vi
diremo k'elli mantengono im biltà e fanno loro molte malatie schifare. Ma
conviene ke 'l forbire e lo stropiciare sia facto temperatamente e non sì forte ke
distrugha li homori de' denti e de le gengie, e ke faccia le gengie emfiare, e ke elle
sieno preste di ricevere i fummi ke venghono da la forcella, cioè da la boccha de lo
stomaco e d'altra parte. E sì facto stropiciare (cioè non temperatamente) fae più
male ke bene.
Per guardare i denti e
conservarli in santade, prendete del
corno del cerbio
arostito e seme di tamerici,
cipero, rose e spigo, di ciascuno di questi una oncia,
salegemmo la quarta parte d'una oncia; e tucte queste cose bene peste si
staccino, e
fatene polvere sottile, e la mettete in uno, e
forbitene e
stropicciatene i denti, e poi li
lavate di buono vino caldo, sì à virtude di guardare e di confortare le gengie e i
denti. Ancora prendete la radice del
totomallio e fatela bollire in vino, e de la
detta dicotione (cioè del vino ove sarà cotta) vi lavate la boccha due volte o tre il
mese, ke ciò è una cosa ke ffa buono odore di boccha e guarda e conserva i denti di
dolori e d'altre malatie, sì come disse Avicenna.
Ancora per le gengie confortare e per li denti imbianchare, tolliere:
marmo
biancho,
corallo biancho, osso di seppia, salegemmo, incenso, mastice, di catuno
igual peso, e fatene polvere sottile e la mettete in uno sacchetto di tovallia e
stropiciatene e
forbitene i denti, e lavate poi com buono vino, e poi li forbite
legiermente com un poco di
panno scarlatto. Ancora per le
gengie che
sanguinano,
e per li denti imbiancare, e per fare buona alena, prendete:
galla
moscata, e pome de marina, e sale arostito, e
corno di cerbio arso, di
ciascuno dr
. .iiij., e allume, e nitro, e bucce di melegrane, galle balaustie, di
ciascuno due drame, spigo, costo, ligno alloe,
cardamone, di ciascuno una drama, e
ne fate polvere sottile, e
stropicciatene e
forbitene i denti, ke tutte queste cose
valliono molto a conservare i denti. E si conviene guardare da quelle cose ke lli
allegano. E se voi volete rimuovere l'allegamento de' denti ke
spesso aviene,
masticate porcellane, o mandorle, o nocielle, o formagio arostito, e vino caldo tenere
in boccha, e sale, e tucte cose calde tolgono tale malatia.
(i-)
L. IV, cap. 21 rubr.Capitolo .xxj. Di conservare e guardare li occhi in santade.
L. IV, cap. 21
Coloro ke volliono guardare e conservare la santade delli occhi
(+i) si deono guardare da le cose ke noi nomineremo
.
E avegna ke
ssança li occhi
l'uomo possa vivere, impertanto è utile cosa a sapere kome si deono guardare per
la biltà del corpo mantenere, perciò ke per lo vedere schifa l'uomo molte cose ke 'l
corpo potrebbero gravare e mettere a neente
.
Ke lli occhi, secondo ke dice Avicenna,
fuor messi nel più alto luogho del corpo per ben vedere tucte le cose che 'l corpo
potrebbero gravare, e per loro nobilitade loro donoe la natura assai di covertura, sì
come le cillia, i palpebri per mellio guardare da le cose che avenire lor potrebbe. Et
è da notare ke ki vuole la santade delli ochi guardare, di tucti agrumi e leghumi si
dee abstenere e guardare, perciò che distrugono di loro natura e corompono la vista.
E
(i-) si debbono guardare dal sole la state, e dal fumo, e da la
polvere, e dal vento, e si debbono guardare k'elli non riguardino i
colori bianchi e molto
radiosi e splendienti,
(+i) ke ciò è una cosa ke più
distruge e tolle lo vedere, e perciò disse il filosafo ke la troppo chiarità tolle il vedere
e 'l troppo grande suono tolle l'udire. E dêsi guardare
(i-) di non riguardare
alcuna cosa picciola sempre fisamente, e ancora si debbono guardare
di non riguardare lettere troppo minute e sotili
intagli, e del tutto in
tutto si dee huomo guardare di molto piangnere e del lungho dormire
dopo mangiare. E non dee l'uhomo dimorare né stare lungamente
ove freddo vento trae e forte soffia. E dêsi guardare da' cibi molto
secchi sì come sono le
lenti e altri legumi e cose salate, e debbonsi del
tucto in tucto guardare di non avere a ffare con femmina spesse
volte,
(+i) ké ssopra tutte cose grava la veduta, e ciò potete vedere in coloro che
ll'ànno fatto troppo k'elli ànno li occhi gravati sopra tucti altri membri.
(i-) E
spessa ebreza
impedisce il vedere, e 'l vino e ' cibi grossi aguti, sì
come sono cipolle, o senape, et eruca, e
agli; e ancor quelle cose che
fanno nocimento e che fanno dolere il capo, sì come sono datteri,
porri, fieno greco, ulive mature, kavoli,
oççimo, cioè bassilico e
seme di bassilico, la cui
propietade sì è d'obscurare il vedere se di lui
si prende grande quantitade e spesse volte. E 'l molto dormire, e il
molto veghiare
(+i) impedisce il vedere.
E il reddere per boccha kon tucto ke 'l
vomito faccia bene, perciò ke purga lo stomaco delli
omori onde fumositadi si
potrebbero levare e gravare lo vedere, ma elli è reo in ciò k'elli ismuove li
omori de
la testa e fàlli alli ochi venire.
E per più brievemente parlare, sappiate ke tucte le
cose ke riempiano, overo votano troppo la testa, sì gravano la veduta.
Apresso questi insegnamenti, sì vi
insengneremo
experimenti ke vi conviene
usare per la veduta e forçare e
schiarare.
(i-)
Al vedere è da notare ke giovano i
colliri, cioè l'acque lavorate
dalli occhi, ke mandano via et
espengono le
lagrime, e che
conservano li occhi ne la sua sanitade, e che non lasciano a lloro
discendere i rei
homori, s'egli si pongono alcuna volta negli occhi. E a
questo giova molto porre e mettere il litio distemperato coll'acqua
alquante volte il mese nelli occhi, perciò ke questo non lascia i mali
omori discendere alli occhi. Anchora del numero di quelle cose ke
fanno buon vedere
(+i) è uno de' provati spermenti per lo vedere
inforçare e
schiarare: sì è di mettere la
testa ne l'acqua kiara fredda e lunghamente
tenerai
entro li occhi
aperti buona
peza,
(i-) imperciò ke questo li fa kiari e rigidi e
forti. E molte volte si
corroborano e diventano li occhi forti quando
alcuno comincia a riguardare nel libro nel quale non sono lettere
troppo sottili, e comincia a intedere ke v'è dentro e che cosa è ne le
dipinture.
E quello ke conserva la santade dell'
ochio e che 'l netta sì è la
tuçia confetta col sugo de la maiorana (overo de l'
asenço, come dice
l'altra lettera), cioè quando la tutia spesse volte si mette nel sugo de la
maiorana, overo de l'asenzo, e si diseccha poscia e s'usa. Ancora di
quelle cose ke ll'ochio
abstergono e nettano sono ke 'l sugo ricente
del finochio si metta ne l'occhio,
(+i) o fare acqua di finocchio a maniera
d'acqua rosata fae molto bene a questa medesima cosa. Ancora la tuçia
polveriçata e stemperata con sugo di
calamento, cioè di
nipitella, e poi colata
sotilmente, e riposata un
giorno, e messa nelli occhi, guarda
maravigliosamente la
veduta e non vi lascia homori venire ke lli ochi gravino.
(i-)
Ancora il collirio de le melegrane, il quale riceve queste cose:
prendi una
melagrana dolce e un'altra ke ssia acetosa, cioè agra,
e poi si tragha il sugho di ciascuna per sé, e pongasi e mettasi in due
ampolle, le quali abiano le bocche
chiuse al sole, impiccate dal primo
die di giugno infino al seççaio dì d'agosto, e ciascuno mese si vòti
quello ke ffia sottile una volta, e quello ke ffia grosso si
gitti via. Poi
di ciascuno si prenda iguali parti e si mescolino insieme e in ciascuna
libra di questo cotale mescolato si metta ana, cioè igualmente, una
drama di polvere d'alloe, pepe nero e lungo e sale armoniaco, tucti
sottilmente
pesti. E questo cotale
collirio quanto fia più vecchio tanto
fia milliore, nel quale lo stile si dee metere e torne um poco e
metterne nell'occhio, imperciò k'elli è maravillioso e di grande
efficacia ad
astergere e nettare li occhi.
E questo è un altro
collirio, il quale guarda e conserva la santade
delli ochi e guarda che non riceva nocimento.
Recipe, cioè prendi: antimonio molte volte lavato coll'acqua, il
quale si lavi poi coll'acqua piovana per una settimana, e ancora si
faccia quello medesimo lavamento de la tutia; del quale antimonio
kosì apparecchiato dr
. .xx., e de la tutia e de la
cathimia, overo
camea
aurea lavata, sì come noi dicemo, di ciascuno dr
. .xij.; e di
marchasitha
lavata dr
. .xij. (e l'altra lettera dice
.viij.), e perle piccole non
forate, e
corallo di catuno dr
. due (e l'altra lettera dice
.j.), folii indi, cioè de
foglio d'Indya, e di zafferano orientale di catuno dr
. .j.,
camphora la
terza parte d'una dr
., moscado la sexta parte di dr
. Le perle sopradette
insieme per tre dì si pestino coll'acqua piovana, poi si mescolino tutte
insieme,
(+i) e lasciate riposare tre die e apresso le colate e si ripongano, e
pongasene ne' palpebri la mattina e la sera, o volete la matina lavarvi
d'acqua di finocchio. E tutte queste cose sono buone a usare a coloro ke volliono
malatie d'occhi schifare.
(i-)
L. IV, cap. 22 rubr.Capitolo .xxij. Di conservare e guardare li orecchi in santade
Rubrica.
L. IV, cap. 22
(+i) Molto è buono di studiare di conservare li orecchi in santade. E nel
modo ke noi avemo parlato delli occhi dovete sapere delli orecchi, ké così come
l'homo può vivere sança il vedere, altressì puote huomo vivere sança l'udire. Ma
perciò ke per l'udire àe l'uhuomo perfettione di savere, sì dee ciascuno penare
tanto quant'elli puote delli orechi in santade guardare, perciò ke le cose ke noi
sapiamo noi le sapremo o percioe ke noi le troviamo di nostro ingengno o perciò ke
noi l'udiamo d'altrui. E a questo medesimo s'acordano i filosafi ke appellano li
orecchi porta di savere. E voi dovete sapere ke lli orecchi per la cagione dell'
udire
sono bene necessari, e pertanto si penò natura di fare li orechi sottilmente k'ella li
fece di tenerume, ké ss'ella li avesse fatti di
pura carne, elli nom avrebbero
potuto
lungamente ritenere loro forma, e s'ella li avesse fatti d'osso, elli sarebbero gravati
da molte cose. E fece li orechi avolte a tale usci per la voce ke
viva e mellio
risonare e per guardare ke ll'aire non vi entrasse
kaldo o freddo ke lli potesse
danegiare. Ora conviene, dumque, per li orecchi mantenere sanamente ke l'huomo
si guardi di mangiare cose grosse e d'empiere troppo lo stomacho, e di dormire sì
tosto come l'huomo àe mangiato, e di guardarli di freddo di vento, e di troppo
grande caldo, e di gran suono udire, ké ciò è una cosa ke troppo
distruge l'udire.
E si conviene, per le malatie schifare, ciascuno die li orecchi nettare di lordura e
studiare di
netarli e di purgarli, sì come noi diremo nel capitolo delli orechi.
(i-)
(+i) E dêsi prendere guardia ke acqua né altra ordura non vi possa entrare
né cadere, sì
(i-) ke nolli vi nascha entro
pustola, o bolle acute, cioè
kalda e pugnente, de la qual cosa si potrà l'huomo
(+i) acorgere, se
l'huomo se ne à da sé,
(i-) incontanente, poi che l'huomo
vedrà
nascere
acute (cioè caldi e
pugnenti)
pustole nel volto e ke sentirà
cominciamento di dolore dell'orechie, il quale dolore sia con ardore
del capo e con acute
pustole e bolle nel volto; e
distemperi un pocho
di
scief, memithe koll'aceto, cioè di quella cotale medicina ke ssi
kiama
scief, e 'l ponga nell'orecchie, cioè v'il metta entro, la qual cosa
se ssi fa quando l'orecchio è
sano, ciascuna settimana sì 'l guarda
(+i) di non correre in rema.
(i-)
(+i) E ciascuna settimana si dee mettere nelli orechi um poco d'olio di
mandorle amare. Ma nota ke ll'olio conviene ke ssia um poko tiepido, ké cose
kalde né fredde non dee huomo mettere nelli orecchi. E sappiate ke ll'acqua,
quando ella v'entra, tollie l'udire, e perciò vi affrettate di tra
rlane fuori in
questo modo: prendete uno
kannellino di
penna o d'argento e soavemente il mettete
ne l'orecchie e succiate. E ancora starnutire e tossire è molto buono salvo ke la
testa sia chinata
inverso l'orecchie dove l'acqua è entrata. E ancora vi potete
metere una
tasta di
banbasgia dentro a l'orecchie sì llungha ke nne soperchi di
fuori, e quello di fuori sia molle con olio d'
uliva e
acendetelo percioe ke 'l
calore del
fuoco trarrae a ssé l'acqua.
(i-)
E molto si dee guardare dal fastidio, cioè di non mangiare tanto
ke l'huomo abbia fastidio, e di non dormire quando àe lo stomacho
pieno.
L. IV, cap. 23 rubr.Capitolo .xxiij. Di guardarsi de l'emfermitadi e mali ke ssi
apichano.
L. IV, cap. 23La terra (e 'l paese) si dee
fugire ne la quale terra à
antrace (cioè
quello cotale reo apostema) e
pestilentia sarà.
La quale terra se alcuno
non può
fugire, e sia in
magione o è exercito, cioè oste, nel quale
queste cose saranno, allora dee dimorare in luogo più alto e de'
eligere e
segliere il
lugo, il qual è sopra il vento, dello 'nfermo
.
Le
'mfertadi e i mali che passino d'uno ad altro sono
lepra, cioè
malattia, scabbia, e tisichezza, e febbre pestilentiale, le quali allotta
avengono quando alcuni segono sotto 'l vento, o ne le case strette ko
lli
ohomini, i quali ànno queste infermitadi. E ancora il male delli
occhi passa e vae d'uno in altro, s'elli v'è insieme riguardo, cioè se 'l
sano guata lo 'nfermo e lo 'nfermo il sano fisamente. E le
pustole ree
e molte, cioè bolle e
papici, passano alcuna volta d'uno ad altro. E
ancora è molto da observare ke lli huomini sani si
dilunghino da tucte
le 'nfertadi ke ànno malo odore e ch'elli segghano o stieno sopra 'l
vento.
L. IV, cap. 24 rubr.Capitolo .xxiiij. Di guardarsi di pistolença e mortalitade e
corruttione d'aiere.
L. IV, cap. 24
(+i) Chi guardare si vuole di pistolença, cioè a ddire di malatia ke aviene
per corruptione d'aire, sì come febbri, aposteme,
pustole,
vaiuoli e altre malatie e
infermitadi assai ke fanno la gente subitamente
morire, si conviene a lloro sapere
la cagione de la corruptione de l'aiere e i segni per li quali elli la potrae conoscere e
le malatie schifare.
Or dee dunque ciascuno sapere ke la pistolenza per due cose aviene: o per lo
cambiamento de l'aiere di sua complexione o per la coruptione di sua substantia.
E questo cambiamento sì aviene ancora per due cagioni: sì come per
fummi
puzolenti de la terra ove avrae
charogne d'
uhuomini o di bestie, sì come di
battallie in hosti e in exerciti, o di stangni, o di marosi, o di laghi, o d'altri
malvagi luoghi che corrompono la natura e la sustantia dell'aiere; ké ll'aria non
corrompe sua natura sança
operamento e cagione d'altre cose. La seconda kagione
per che l'aire si corrompe sì è quando le stelle sembrano cadere, e le grandi fiame
ke apaiono in
cielo, e non cambiano queste cose ke noi avemo dette la substanza
de l'aiere, ançi la cambiano le qualità, cioè a dire ke ll'aria k'è calda e humida di
sua natura ne la primavera sarà più humida e più
kalda ke ssua natura non
apertiene, allora saranno le
qualitadi cambiate
.
E di state, quando dee esse
re
l'aiere caldo e seccho et elli sarà freddo e humido, allora sarano le
qualità
cambiate
.
E 'l somilliante intendete nell'altre stagioni de l'anno. E questo cotale
cambiamento
fae venire
pestilentia ke la fisicha apella epidem
ie, ma non è
neente cosie
perilliosa come quella ke viene de la corruptione de la substantia de
l'aiere. Ora vi diremo de' segni kome voi la potrete conoscere.
Voi dovete sapere ke le
pistolençe avengono più nell'autunno ke 'nn altra
stagione de l'anno, e
maximamente quando voi vedete ke i venti ne portano per
l'aiere la
kiarità delle stelle ke paiono
kadere e una gran fiama di fuocho ke
sembra essere nel
cielo. E quando ne la state dinançi avrae avute gram
piove e
l'aiere sarae tuctora spessa di nuvole, e ke i venti di mezo diventeranno assai, o ke
ll'aiere sia a riposo ke non si rimuovi, o ke i venti di verso mezo diventerano
tuctavia, e ke
rane e
botte
picciole apariscono sopra la terra a grande abondança, o
ke
sorici, o llupi, o altre male bestie escano di fosse, o ke
uccellaci stranii volino
per aiere, questi sono segni di pistolença ke dee venire.
Ora vi diremo kome l'huomo si dee guardare. Primieramente dovete l'aiere
rettificare e mettere a sua natura ke, ssì come disse Ysaac, pegio fae il reo aiere nel
corpo de l'huomo ke non fae il mangiare né 'l bere, perciò ke 'l mangiare e 'l bere
s'amenda di sua malitia ne lo stomacho, ma ll'aiere k'è velenoso sì sse ne va tucto
diricto al cuore e al polmone e sì mette la natura a nneente.
(i-)
La pistolenza suole il più de le volte avenire ne l'autunno e ne la
fine de la state. E sappiate ke l'autunno è quello tempo ke dura da
mezzo septembre infino a mezo dicembre. Per la qual cosa se ne la
state molte piove averanno e nebbie, e moltitudine di
piove
dureranno e sieno di notte e di die, e molti venti da la parte del mezo
die
ventino e soffino, o ke l'aria sia sì queta e im
pace ke non si
muova, e ancora con questo il vento meridionale è torbido, allora da
la carne e dal vino e da quelle cose ke ssono fatte di mèle, sì come
confectioni facte di mèle, e da'
fructi ricenti e dolci e dal bagno e da
lavacro, cioè lavamento, d'acqua calda del tutto in tucto si dee
sofferire e astenere. E in ogne manicare dee usare l'aceto e dee
mangiare tucte cose e cibi ne' quali si pone aceto; e saranno da
prendere e da usare rob de'
fructi molto
acetosi e
stitici, cioè lazzi, sì
come
robbo del sugo de l'uve acerbe, e sugho de ribes, e de le
melegrane acetose, e di mele acetose, e del sugo del
somach, e
l'
acetositade del cederno si dee prendere. E ancora è da bbere spesse
volte grande quantità di sciroppo acetoso. E s'è grande necessitade, si
sforçi di mangiare
karne, galli,
starne,
pernici maschi, e
vitello, e
kavretto,
konditi e aparecchiati ko l'aceto e col sugo dell'
uva
acerba, e col
sumacho e con somillianti cose a queste, e ancora
ulen e mesos si
debbono mangiare. E se nel corpo apare alcuno
movimento di
sangue, sì ssi tolgha sangue sança dimoranza.
E le case ne le quali si dee sedere debbono essere frede, le cui
porte e finestre sieno da la parte di tramontana, imperciò k'elli è
possibile cosa ke quelli ke
userano questi regimenti, co l'aiuto di Dio,
scampino dall'aria pestilentiale e dai
vaiuoli, e da'
morbilli, e
dall'
antrace, e dai mali e dai rei apostemi, e da la febbre
sinocha. E
ancora quando la dispositione del tempo fia cotale, i fanciulli e i
giovani e quelli ke ssono grassi e che ànno il colore rosso si debbono
guardare più delli altri. E quando ne la fine de la state fia gran caldo, e
l'autunno molto seccho e molto polveroso, e 'l freddo e la
piova
peneranno e tarderanno molto ad venire, le magioni si debbono
raffredare e
humentare koi panni grossi
inaffiati coll'acqua e impiccati
e penduti per la
magione e inaffiando lo spazo de la chasa coll'acqua.
E conviene ke ssi
guardi da
ffatica e d'avere a ffare con femina, e
dêsi ancora lavare con acqua fredda e bere l'acqua ke esce de la neve,
e dee bere la mattina
sanich (o
sanit) con molta acqua e con um poco
di çucchero, e dêsi bere acqua raffreddata co la neve. E si conviene
guardare da'
ccibi ke abbiano a riscaldare e dal vino, se non è molto
inacquato. E si dee usare l'acqua del
chokomero, del cederno, o de la
zuccha, e de la porcellana, e d'altre cose somillianti a queste. E si
conviene molto guardare di non sedere al sole. E non dee l'huomo
digiunare, né 'l mangiare non si dee tardare, né ssete non si dee
sofferire in niuna maniera. E se alcuno vuole dormire di merigge, sì
dorma e si riposi ne' luoghi freddi. E mangino i cibi tali chente noi
abbiamo detti, e se volliono mangiar pesci sono da usarli arostiti
sopra i
carboni. E prendansi
uve ne le quali sia ancora
acetositade. E
in cotali tempi giova molto bere ognendie dell'acqua dell'orzo e
magiormente a coloro ke ànno i loro corpi caldi e secchi, imperciò ke
questi cotali ànno magior mestiere di questo cotale
regimento, e per
questo cotale
regimento è possibile cosa di scampare, in questo cotale
tempo, de le febri acute e calde.
E quando la notte apaiono molte aparitioni somillianti al baleno,
e 'l colore de l'aiere è somilliante a l'yteritia, cioè al giallore, e i venti
soffiano e ventano, dipo ' quali molti huomini e animali infermano, e
la notte si vegono e appaiono radii e splendori, e lo 'mfermo molto
tosto muore, e l'aria s'atrae com pena, e de la boccha dell'
imfermi
esce reo odore, e l'
imfermi ànno grande angoscia e grande ardore e
gran
sete, e le loro stremitadi, cioè piedi e gambe, si raffredano e
redono e
agiettano di sotto homori puzolenti e di diverse maniere. E
quando queste cotali cose avengono, i
fructi e i camangiari ke
nascono in questi cotali tempi si debbono
lasciare, e si dee bere
l'acqua ke è manofesta sopra la superficie de la terra, e si dee
dimorare ne le magioni e ne le case fredde, e l'aria calda si dee
fuggire, e ciascuno die si dee inaffiare la casa con aceto e con acqua
mescolati insieme. E se con questo ancora è nell'aria
similitudine
d'odore puzolente, si debbono li homini
suffumigare con
sandali e
canfora, e con acqua rosata si debbono
arosare e inaffiare, e le case si
debbono
suffumigare kon costo, e con incenso, e com
bonch, overo
lyonch, e con sandali, e con
canfora; e i cibi sono aceto, e
lenti, e
sumacch, e sugo d'uve acerbe; e aceto temperato si dee bere, e 'l vino
si dee lasciare stare; e in questa dispositione giova di prendere in
beveraggi uno de' trocisci di
camfora, e l'acqua co la neve si dee bere,
e dee huomo usare di lavarsi con acqua fredda.
E ancora uno delli antiki filosafi disse ke ssi pigli due parti
d'alloe e di zafferano orientale (e l'altra lettera dice zafferano
ortolano) e di mirra, di ciascuno igualmente una parte. Si dea loro nel
cominciamento de la pistolenza di ciascuno il peso di
.xij. alchith
(nota che
alchith sì è uno peso il quale pesa tre granella d'orço),
ciascun die con una oncia di vino temperato, fae grande giovamento,
imperciò k'elli disse ke non vide neuno bere questa medicina nel
chominciamento de la
pestilentia e mortalitade k'elli non iscampasse.
E Galieno disse ke bolo
armenicho con aceto e con acqua bevuto a
queste dispositione è convenevole e buono, e ancora
triaca
diacignes
gli è molto convenevole, e giova ancora a la fredda dispositione se nel
tempo dell'aiere
putrefacto e fracido si fae
suffumigamento kon costo
e con incenso, e con torace, e
xilloalloes, e
buchit, e con sandali, e
kon
canfera, e con mirra.
E aviene in alcuni anni ne la primavera a molti
sinantia, cioè
quella infermitade, et è rea e mortale. Dunque conviene in questo
tempo prevenire e soccorrere a queste
infertà col torre e scemare
sangue, e col
porre le ventose ne le
gambe e con medicina ke faccia
uscire e con
gargarismi, i quali
gargarismi si debbono fare ciascuno
die e ciascuna notte con acqua rosa, ne la quale
somaccho sia
stato in molle, e con rob di
more e di noci. E aviene ancora ke in
alcuno verno molte volte avengono apoplesia e paralasia e somillianti
a queste. E ancora è mistiere ke quando cotale anno sarae spesse
volte, si vòti il corpo co le pillole, le quali noi nomineremo ne'
capitoli di queste infermitadi, e usare gargarismi e
starnutationi e
untioni di tucto il corpo colli
olii i quali ivi, in quel capitolo,
nomineremo, e 'l cibo si dovrae menomare e sottilliare.
(+i) E ki userà le sopradette cose, sì scamperà de la mortalità e de
l'enfertadi e
pistolentie k'avengono per la coruptione de l'aiere.
(i-)
L. IV, cap. 25 rubr.
Capitolo
.xxv. Del
regimento del corpo secondo i quatro
temporali de l'anno.
L. IV, cap. 25Ne la primavera konviene ke l'huomo
prevengha e avacci col
torre sangue e col muovere il ventre, e si soccorra ançi che 'l caldo
monti o
crescha
(+i) per li homori che nel verno sono ingenerati, i quali
potrebbero ingenerare febri e altre malatie per lo
calore del tempo de la state ke
ffae li homori bollire, ke con tucto sia ciò ke ne la primavera avegnano malatie
impertanto non vengono neente per sua natura, ma per lo verno ke lli homori àe
ingenerati, ké questo è il tempo più temperato per prendere medicina, e ciò
debbono fare quelli ke ssono carnuti e di grossi homori
pieni, e deono mangiare
legieri vivande ke
raffredino sì come sono
pulcini, cioè pollastri,
kavretto in
vergius, e carne di
castrone in
vergius, e
kamangiari sì come atrebici, borrana,
bietole, e brodetto di tuorla d'
uove a
vergius, e pesci a
ischallie, e bea vino
temperato ke non sia dolce, perciò ke in questo tempo da tucte cose dolci si
conviene guardare, e dorma la mattina e di die non dorma punto.
(i-) E in
questo tempo dee huomo meno bere vino, e meno mangiare carne, e
meno usare ogne cosa dolce. E magiormente deono questo observare
quelli ai quali solliono avenire infertadi di repletione. E
affiedesi ke
im questo tempo
pigli l'uhuomo cibi sottili e ke
raffredino, i quali
solea pilliare la state, e usi le cose di su dette.
D'istate (e quando la state fia venuta), sì ssi menomi il
movimento e la faticha, e meno si conviene porre al sole; e i cibi
grossi e caldi si deono lasciare,
(+i) e mangiare legieri vivande sì come
pollastri a
vergius, lattughe, porcellane, melloni, cederni, cedriuoli, çucche, prune,
mele afre, pesci ke noi avemo nomati,
molsa di pane in acqua fredda, e tucte altre
vivande ke
raffreddino. E dee l'uhuomo mangiare pocho e spesso, e dee l'uo
mo
mangiare la mattina ançi ke 'l sole monti e la sera quando elli è coricato, e si dee
guardare di cose dolci e di grasse, e usare tanto quanto elli puote tucte le sue
vivande in cose acetose, e può bere la matina sciroppo acetoso e nel mezo di çuchero
kon isciroppo violato a acqua fredda, o çucchero kon acqua bollita rafreddata; e
ciò dee fare tucte l'ore k'elli vorrà bere, salvo ke a ora di mangiare, ké a ora di
mangiare dee l'uhuomo bere vino
fiebole bruschetto mischiato con acqua tanto
k'elli senta più d'acqua ke di vino. E si dee
spesso bagnare in acqua fredda per lo
kalore
fiebole k'è nel corpo, e inforzare, e si guardi di
giacere con femina e
d'affaticarsi a oltragio, ké in questo tempo è la cosa che più
affiebolisce il corpo e
diseccha. E si lasci stare il vino forte possente e vecchio.
Nel tempo de l'autunno sì dee l'uhuomo purgare e flebotomare e temperare
li homori, ké ciò è la stagione de l'anno più inferma, e ove più perilliose malatie
avengono, e perciò si conviene mangiare buone vivande sì come capponi, polli,
huova, pipioni ke
comincino a volare, e carne di porco, e bere buono vino, e non si
dee l'uomo troppo empiere, e si dee huomo guardare di tucti
fructi, ké ciò è la cosa
ke più fae febbri ingenerare, ke ssì come disse Galieno elli non ebbe umque febbre
perciò k'elli non mangioe umque
fructi.
(i-) E dêsi observare ke neuno di
merige si
pongha al sole, e 'l capo si dee guardare il die e la notte dal
freddo; e dêsi guardare di bere acqua fredda e con essa non si
bagnino in questo tempo;
(+i) ma debonsi lavare con acqua tiepida, e
guardarsi che non giacia i· lluoghi che corpo sofferi oppilationi e
reprezi, e non
dormano dopo repretione di cibo, e non conviene ke vomito si
provochi, cioè ke
l'huomo si sforçi di reddere, imperciò ke in quel tempo fae avere la febbre; e
guardinsi ancora k'elli non sofferino né fame né
sete, e si guardino dal coyto, cioè
d'avere a ffare con femina, e non pensi troppo, e non si riempia di cibo troppo a
una volta, e 'l vino si temperi in tal maniera ke elli faccia diletto a l'anima e a lo
stomaco, né gravamento, né
distensione, e non sofferi fame né sete, ma mangi e bea
quando elli n'àe talento, ma non tanto k'elli si senta pesante e la forcella emfiare.
(i-)
E in questo tempo si guardi il corpo secondo più cose sança
intermissione, cioè sempre, e
reggasi secondo ke ne la state si solea
guardare infino a tanto ke venga la
piova, la quale
piova, poi ke fia
venuta, redde sicuro da molti mali e rei nocimenti. E s'elli adviene ke
l'autunno sia lungo et estivale, cioè somilliante a la state, allora si
converrà fare magiore guardia. E tucta la guardia de l'autumpno dee
essere in repressione, e
temperamento, e
inspegnimento de le mali
qualitadi delli homori, magiori ke nel loro votamento kon flebotomia
(cioè col torre sangue) e col muovere il ventre. E se ne l'autupno
avenisse alcuna infertade, tosto si dee sovenire e soccorrere ko la
medicina ançi ke ll'acrescimento vengna e ançi che 'l male crescha,
imperciò ke in questo tempo le
'mfertadi sono ree e pessime, e a la
perfine tutta la 'ntentione sia in
humentare il corpo, imperciò ke in
questo tempo è maggiore mestieri che non è ne l'
estate; imperciò che
questo tempo, per la grandeza e malignitade de la sua complexione,
non soffera errore di
regimento e di vita, e non lascia usare larghi cibi,
né la dieta dispregiare e mettere a non calere.
Il verno soffera errore di
regimento e largheza di cibi,
(+i) e dee
huomo mangiare carne di bue, huova, charne di porco, e di cerbio, e di daini, e di
pernici, e di fagiani, lievri,
konilgli, ucelli di riviera e altre vivande ke più li
piaciano, ké questo è il tempo nel quale la natura soffera più grande quantitade di
vivande per lo naturale
calore che dentro il corpo è forte, e dee bere buono vino, o
vino
salviato, e usare buone spetie in sue vivande, e ciò è il tempo più sano ke
l'huomo non à quasi malatie se nom per grande oltragio ke l'huomo faccia a sua
natura.
(i-) E a la perfine il verno conserva la santade acciò k'e· llui,
cioè nel verno, le 'nfertadi non vengono sança grande cagione
d'errore. Nel quale l'uhuomo si dee guardare di troppo grande
solutione di corpo, e conviensi usare se alcuna volta febbri si
muovano e vengano il verno, e tosto si sovegna e si soccora loro ko
la medicina e propiamente con votamento, imperciò ke queste cotali
febbri vengono più spesse volte per cagione di repletione, per la qual
cosa crescono e fanno più forti se nel chominciamento non si fae
evacuatione. E quelli ke è di fredda complexione si potrà nodrire con
caldi cibi, sì come sono
agli e cipolle e altre cose calde, le quali si
mescolano coi cibi per
condirgli e per dare loro savore, sì chom'è
pepe,
komino, e rucha, senape, e somillianti a questi. Ma s'elli è
giovane e di
kalda complexione, più convenevole cosa è ke di questi
cotali cibi elli
pigli meno, overo ke del tucto in tucto i· lasci stare;
imperciò ke sse queste cose non 'l fano infermare nel verno, sì 'l
faranno infermare nel
kominciamento de la primavera, o ne la sua
fine d'infertade acuta, s'elli no è sovenuto e socorso ko la flebotomia
e con solutione di corpo. E ancora quelli il quale nel tempo del verno
molto avidamente avrà mangiato e avrae ricevuto insieme ne lo
stomacho, e che moltitudine di cibi riceve col vino, sì ssi dee tosto
soccorrere co la
flobotomia, cioè col torre sangue. E colui che usa
grossi cibi e rei si dee soccorrere con solutione di ventre.
L. IV, cap. 26 rubr.
Capitolo
.xxvj. De le femine pregne come si deono
guardare.
L. IV, cap. 26
(+i) Per brievemente intendere ciò ke nnoi diremo, sì dovete sapere ke 'l
fanciullo nel corpo de la femina è altressì kome il fructo de l'albero, ke voi vedete
primieramente ke 'l fiore ove 'l
fructo viene k'elli si tiene fiebolemente all'albero e
per poco di vento o di
piova kade. E poi apresso quando il
fructo ingrossa, sì ssi
tiene ben forte all'albero e non cade volentieri. E quando il fructo è
maturo, sì
cade sì come il fiore
leggiermente. E così, per somigliante modo, dovete voi
intendere de la femina ke nel primo mese e nel secondo e nel terzo puote aneentire
sua grosseza s'ella non si sae guardare. Ma nel quarto o nel quinto non vi àe
punto sì gram perillio e la puote huomo
segnare e purgare in quel tempo s'è
mestieri e secondo ke dice Ypocras; perciò ke 'l fanciullo si tiene forte sì come il
fructo ke non è neente
maturo; ma al tempo k'ella è presso di partorire, sì v'àe
perillio, kome dinanzi sì diviseremo kome ciascuna femina
prengna si dee
guardare.
Primieramente si lor conviene guardare da (e abstenere) da tucti i cibi ne'
quali è acuitade e amarezza e di cose troppo salate, perciò ke per queste cose
mangiare potrebbe il fanciullo nascere sança unghie e sança capelli; e si dee
guardare di tucte cose ke
mestrui e loro privata malatia lor facia venire, sì come
ceci, fagiuoli, ruta, capari, appio, lupini e ulive non mature e di tucte cose ke
provocano orina; e loro conviene guardare di salti, da cruccio, da travallio, e da
pensieri, e da paure, e da cadimento, e usare cose di gioia e di
sollazo,
(i-) e
magiormente nel
cominciamento e ne la fine de la pregneza. E dêsi
del tucto in tucto levare e partire del coito, cioè de l'usare co
l'huomo, imperciò ke tucte queste cose sono molte volte cagione di
fare scipare. E somilliantemente si dee nodrire di cibi sottili, i quali
generino buoni homori e che
ripriemano e spengano la
nausca, e
l'abominatione, e che facciano forte la bocca de lo stomacho, sì
come è la carne de la gallina e del cavretto, e de la
pernice, e del vino
ke à buon odore, il quale sia inacquato temperatamente, e a digiuno
bea rob e
fructi
acetosi
laççi coi quali prenda um poco di trocisci,
xilloalloes, acciò ke ssi
ripriema la
nausca e la vollia del reddere, e
alguardas, sì come apetito di
carboni e di fango e di somillianti cose; e
usi
movimento et exercitio temperato; e si guardi ke non facia troppo
grande dimorança nel bagno, o nel sole, e dee acrescere e usare le
canzoni e i giuochi e quelle cose ke ffanno dilettationi, e odorino cose
di buono odore, e portino robe fresche e nette. E dee usare intorno al
capo e al volto cose odorifere, e
fumigationi e
fumigi dee usare. E
allievi il cibo e 'l
sonno dee acrescere, e mangi il die molte volte, e
non si riempia di cibo insieme a una volta. E se l'apetito si distrugesse
e perdesse molte, sì le si vorrà dare de le cose agre um poco, sì come
sono cipolle, e senape, e simillianti cose, le quali cose
disgregando
conmuovono e
auzano l'apetito. E conviene masticare mastice, e
oncenso, e mele cotongne, e melegrane; e ancora manuchi mele
martiane,
(+i) pome citrino, ciò sono cederni, i quali valliono molto contra lo
snaturato apetito de le femine incinte, ke mangiano
karboni e altre male cose.
(i-)
E si guardi di rei cibi, e non mescoli ne lo stomaco rei cibi e
diversi, perciò k'elli è possibil cosa ke con questo
regimento ne la
pregnezza scampi d'infertadi. E s'elli aviene ch'ella
infermi, si
conviene k'ella si medichi sança torre sangue e sança muovere il
ventre, e questo si faccia con gram paura e con gran
diligentia, acciò
ke la creatura dimori e stea e il parto si faccia e sia leggiere.
(+i) E faccia fare questo lattovario ki fare lo puote, ke conforta lo stomaco
e tucto il corpo de le femine pregne.
Tollete perle ke non sieno forate, e piratro di ciascuno dr
. .j., gengiovo,
mastice, di ciascuno dr
. .iiij.,
zetovario, cassia lignea,
cardamone, noci moscade,
mate, cinnamomo di ciascuno dr
. .ij., pepe lungo, di ciascuno tre dramme, e fare
polvere di queste cose, e poi apresso
farne
lactovario con çucchero. Ancora possono
usare quelle ke llor filliuoli non possono avere a diritto termine, usino d'una erba
a mangiare, ke la
fisica apella
bistoire, ciascuna matina, kon um poco di vino e
d'aqua, o ne faccia fare lattovaro. E di queste cose si deono guardare e usare le
femine incinte, se volliono la creatura guardare e conservare a diritto tempo.
(i-)
L. IV, cap. 27 rubr.Capitolo .xxvij. De la malagevoleza del parto e del suo
regimento e a partorire legiermente.
L. IV, cap. 27
(+i) E quando il tempo e l'ora del parto s'aprocia di
.xv. dì o di tre
setimane, sì ssi dee mettere nel bagno, e ciascuno die sedere ne la tina del bagno,
ove sian bollite
malva,
malbavischio, seme di
lino,
fieno greco, camamilla, e si de'
il ventre, e il
dosso, e le
cosce, e l'anche ugnere, e 'l
petignone e il luogo privato con
olio di camamilla e di grasso di gallina o d'anitra, o di bituro, o di dialteo; e a
l'uscire del bagno, s'ella è riccha, bea due danari peso di balsamo in vino tiepido, e
s'ella è povera si faccia cuocere in vino radici di
coste e d'
arnoise e apresso col vino
bea due danari peso di
fiele di
toro.
(i-) E le si debbono dare cibi k'abiano
buon sapore, e quelli cotali cibi sieno
lenitivi, cioè ke muovano il
ventre
bellamente, sì come
sidabogi e alma (overo alma) facto di
zucchero e d'olio di mandorle ricenti. E quando l'ora del parto fia
venuta, il
dosso si dee ugnere koll'olio di
kenty e con olio di
sambucho caldi, overo tiepidi. A la quale si dee ugnere il
pettignone e
'l corpo e sotto le costi, e si ne dee mettere nel luogho privato
dinançi, e dee andare a poco a poco. E poi k'ella fia andata a pocho a
pocho, seggha e distenda i piedi igualmente, e poi sopr'ambindue si
lievi insieme. E se 'l dolore del parto sia forte, sì ssi
expriema
prendendo il naso e la boccha. E la bailia lievi il suo
dosso e priema le
budella e 'l
mirach da la parte di sotto. E se lungamente stesse in
questo modo, a costei
darai cosa untuosa facta di polli, nel quale
grasso di grassa gallina e d'anitra si pone e mette, e
(+i) bea buono vino;
e s'elli è freddo, si faccia l'aiere scaldare de la
magione com buoni
carboni e di
state la rafreddi.
(i-) E se 'l parto è duro e non s'abbia paura che quella
che sopra il partorire muoia, sì le si dea acqua libra una, ne la quale
fieno greco e datteri sieno cotti, ne la quale acqua, ançi k'ella le si dea,
um poco d'olio di mandorle dolci si pongha, la qual non si dee bere a
una volta, ma tra due volte o tra tre, acciò k'ella non si
rigitti, o dipo
questa acqua prenda trocisci di mirra, o se ancora stea
stretta e
nom possa partorire, si prenda sugo di ruta sempice o con trefora
magna, e si pigli
atthrix,
gensith,
galbano, di tutti igualmente, de'
quali si debono dare dr
. .ij. E s'elli aviene cosa ke la femina sia dilicata
e nom possa molto sofferire l'odore de le medicine e de l'erbe, sì ssi
converrà disolvere e darle bere il peso d'uno aureo de
agalia
disolvuta
e distemperata in vino bene odorifero. E la dee huomo confortare col
sugo de la carne e col buono vino.
(+i) E se avenisse ke 'l parto fosse forte e
perillioso sì come del fanciullo ke
non venga
dirittamente sì com'elli dee venire, ke vengha i piedi inançi o 'l braccio
(ké voi dovete sapere k'elli dee venire la testa inançi
naturalmente, e le braccia
distese sopra le sue coscie, e s'elli così non viene, ma ssì come noi avemo detto), sì
non v'àe altro consillio se non d'avere savia baglia ke ss'ungha bene le mani ke 'l
rimetta a punto k'escha sì com'elli dee. E si conviene affretare de la femina di
liberare perciò ke v'à troppo gram perillio, e sì le sia dato a bere dell'aqua ove
fieno greco e dateri siano cotti, sì le sia datone a bere tre volte o quatro o più, se
mestiere è, con sugo di ruta dr
. .ij. in vino
tiepido, o con sugho di savina, o bere
kannella in vino, o trefora
magna con sugho di ruta, e questo medesimo aopera il
sugo suo solo bevuto, o
pessarizato, o le tenerità fue
fricte nell'olio e sopraposte al
luogo privato. E se la femina è grossa e grassa sì ssi corichi bocchoni, e tragha sue
ginocchia
diverso la
testa, e abbia uno
kuscino sotto il suo ventre ke ssì fattamente
dimorare fae più
legiermente tucte femine partorire.
(i-)
E se la
secondina vi sia dimorata dipoi ke 'l fanciullo fia nato
(cioè quella
pelle ne la quale il fanciullo è involto nel corpo de la
madre), sì la dee huomo isforzare k'ella
starnuta col condisi, cioè kon
quello cotale starnuto, e
prendendola per lo naso. E s'elli aviene cosa
ke per questa cotale maniera la
secondina non escha, sì ssi dee
ricorrere a le medicine ke noi avemo nominate, e dêsi fare
fumigio e
suffummigamento di sotto con mirra, kon
kima, e
gensit, e
çolfo; e di
queste cose mescolate insieme col
fiele de la vaccha si facciano
pillole, de le quali l'una dipo ll'altra si metta nel fuoco; il quale fuoco
sia in focolare, il qual si cuopra con una grande scodella di terra, la
quale abbia un foro nel miluogo. E questo cotale foro si metta di
sotto a la natura de la femina acciò k'ella riceva il
fummo nel luogo
privato. La qual cosa
allocta si dee fare quando il fanciullo è morto e
non si muove, o non si muove fortemente.
E s'elli aviene cosa ke dipo 'l parto molto sangue escha, onde la
força e 'l vigore venga meno, sì ssi dee soccorrere e sovenire con
quelle cose ke noi nomineremo e diremo nel capitolo del ritenimento
e costringnimento de'
mestrui. E sì la dee huomo riconfortare
coll'acqua de la
karne e kol buono vino o
atibii, cioè ko le cose
odorifere,
mollandolene il volto e
fumigandolane. E se ssangue non
viene dopo 'l parto, o poco ne venga, sì ssi de'
suffumigare la femina
kon
fumigi ke ssono scripti di sopra, de' quali si dee mettere ancora
nel luogho privato. E dêsi medicare ko le medicine ke noi diremo nel
capitolo del provocare e fare venire i mestrui. E questo non dee
huomo lasciare stare né avere a schifo, se non quand'ella fosse magra
e debole, imperciò ke per questo le s'ingenerano alcuna volta infertadi
ree e dure.
(+i) E poi ke la femina sarae diliberata, sì ssi dee bagnare e
riconfortare di buone vivande e legieri.
(i-)
L. IV, cap. 28 rubr.Capitolo .xxviij. Del regimento del fanciullo sì tosto
com'è nato.
L. IV, cap. 28
(+i) Dapoi ke la femina sarae diliberata del
filio, sì vi conviene sapere come
voi dovete il fanciullo nato aparechiare. Sappiate ke ssì tosto come il fanciullo è
nato, sì ssi conviene inviluppare in rose mischiate e peste con salina. E dêsi
talliare il
bellicionchio a lungheza di quatro
dita e porre di sopra polvere di sangue
di
dragone, e
sarquol, e comino, e mirra, e uno drappo di
lino molle in olio
d'
uliva, e questo è lo 'nsegnamento di molti
phylosafi. Ma elli è più sicura cosa di
prendere un filo sottile e legare il
bellicionchio, e poi porrevi drappi di sopra molli
in olio e lasciarlo infino a quatro die, e cadrae. E quando elli sarà
caduto, sì vi si
dee porre sopra salina mischiata com polvere di cose, o ddi
sommach, o di fieno
greco, o d'origamo, e di ciò potete salare tucto il corpo, salvo ke le
labra e la boccha
per lo
bellico e per tucto il corpo
adurire e corroborare, perciò ke ssì tosto come 'l
fanciullo è nato tucto il corpo è tenero e sottile, e sente
agevolmente cose calde, e
fredde, e aspre, ke troppo
legiermente il
graverebbero e potrebbero la sua naturale
forma
kambiare, e 'l puote huomo più d'una volta salare, se mestiere è, e
spetialmente quelli k'àe assai di superfluitade.
Apresso si dee lavare d'acqua tiepida e incontanente dopo 'l parto dee la
nodrice, o la madre, li orecchi del fanciullo distendere e tirare, la qual cosa si dee
ancor fare molte volte; e al bagnare dee le nari e li orecchi purgare, ma abbia sue
unghie tondute, sì ch'ella non possa il fanciullo gravare, e mettere nelli ochi um
poco d'olio d'
uliva.
(i-)
E conviensi molto guardare ke 'l lacte nolli entri nelli orecchi
quando li si dae la poppa, e ke 'l palato si tocchi col mèle, apreso si
dee lavare, e i fori del naso si nettino molto bene koll'olio e coll'acqua
tiepida, e le superfluitadi si ne
spriemano fuori. E dêsi tutto prima
fregare e stropiciare um pocho e poi ugnere, e somilliantemente i
suoi membri si debbono distendere in ciascuna parte e
strignere co la
fascia,
(+i) e 'l picolo
dito mettere dentro il
fundamento per le superfluità purgare,
e sua vescicha priemere bellamente per mellio orinare e, tanto quant'ella puote, dal
freddo guardare. E al
fasciarlo sì 'l dee savie coricare, e stendere, e dirizare, e
metterli a punto, e rettificare i suoi membri, cioè a ssapere il capo e 'l
naso e la fronte, e
donarli bella forma ke ciò è legier cosa di fare a savia
nodrice, ké tutto altressì kome la cera quand'ella è molle prende la
'mpressione e
la forma ke l'huomo le vuole donare, così tale fanciullo tenero prende la forma ke
la nodrice lor dona, onde in cioe sappiate ke bellezza e rustichezza avere tiene
gram partita a le nodrici di dare. E quando elli sarà fasciato e le braccia e le
mani in verso sue ginochie stese e la testa
legiermente fasciata e
coperta, imperciò
ke sse questo
regimento si guarda si scamperà da molte infermità.
(i-)
E in tal maniera popi ke 'l suo ventre perciò non
emfi, e che di lui
non esca molta ventosità, e ke nolli avegna dissolutione e pigreza, né
troppo lungho
sonno.
(+i) E la culla ove
dorme non vi abbia cose aspre né
dure, ma morbide e soavi ke 'l guardino dal freddo e no li rendano troppo gran
calore, e sia la testa quando
dorme più alta ke ll'alto corpo, e
dorma diricto, sì che
'l corpo non penda né d'una parte né d'altra. E la
magione ov'elli dormirà sia
obscura, ma non troppo, ke la grande chiarità a la veduta il potrebbe tosto
gravare,
(i-) e non si rivolgha di lato in lato, e non piangha e non
renda per boccha. E se aviene che alcuno di questi segni appaia, sì ssi
sforçi e si tengha del
popare più ke non è acostumato, e dorma più
ke non suole, e poscia si bagna in acqua calda, e poppi meno che non
suole.
(+i) E quando elli avrae assai dormito, sì ssi dee levare e bagnare con acqua
tiepida, calda, e si puote ciò fare due volte o tre il die. E se ciò è di state ke ssia
caldo, sì ssia l'acqua um poco
tiepida, ma di verno sia più calda. E al bagnare si
guardi ke ll'acqua nolli entri nelli orecchi, e 'l dee prendere per la mano
destra e
distenderela sopra 'l petto verso la sinistra, e la sinistra inverso la destra, e i piedi
e le
gambe piegare
legiermente di dietro inverso la testa per le giunture de' ginocchi
fare più legieri e preste al muovere. E quando elli sarà bagnato, sì sia rasciutto
kon drappi di lino asciutti, e morbidi, e soavi, e poppi um poco, e
riporrelo a
dormire prima sopra 'l ventre e poi supino.
(i-)
E la culla si dee muovere igualmente, la qual cosa si dee fare poi
ch'elli avrà
poppato. E i suoi occhi ne' primi die de la sua natività si
debbono coprire col
pano. E si dee molto guardare k'elli non sia il
luogo molto luminoso e molto risprendiente e radioso, e dinançi a llui
si debbono inpiccare margherite di vetro e panni di diversi
colori. E
dee huomo dinançi da llui usare cançoni, le quali si dicano con voci
soavi, e dilettose, e riposate, e quiete, e che faciano dilectatione e
gioia, e non cançoni kom boci aspre e
rauche. E poi k'elli verrà il
tempo e l'ora ch'elli vorrae parlare, la balia sua freghi e stropicci
spesse volte la sua lingua, cioè a ssapere la parte de la lingua di sopra
si dee fregare con
salegemma e con mèle, e questo si dee fare
magiormente a colui ke pena e tarda molto a favellare. E dinançi da
llui dee l'uhomo spesse volte favellare, e dee l'uhuomo dire parole
lievi e agevoli, e insegnarli parlare parole agevoli a dire.
(+i) E in questo modo si dee il fanciullo guardare quando la femmina l'àe
partorito, ora vi diremo in qual maniera si dee lactare. Sappiate ke il lacte ke lli
si dee dare e quello ke mellio vale sì è quello de la madre, perciò ke di quello
medesimo dentro il ventre de la madre è elli nodrito, ke
naturalmente poi k'elli è
fuori del ventre ritorna il lacte a le mamelle, e dee avere assai d'essere lactato due
volte o tre il die, ke ciò è assai. E si dee pocho lattare al
cominciamento, e sarebbe
mellio dinançi il lattare k'elli si mettesse um poco di miele im boccha, e si conviene
spriemere la mamella e lassciare um poco uscire, e poi apresso si puote lactare.
E non conviene ke quando si viene a lattare k'elli sia disteso, ma k'elli si riposi
tucto
bellamente dopo il lattare, tanto ke 'l lacte sia avallato, e poi la culla
soavemente
menare.
(i-)
E quando elli verrà il tempo ke dovrà mettere i denti, sì è buono
di stropicciare le gengie e
sfregare spesse volte col bituro e col grasso
de la gallina e la cola e li
sponduli del collo si deono spesse volte
ugnere co l'olio. E s'elli aviene cosa k'elli esca troppo,
ponghalisi
impiastro i· sul corpo di comino e di rose
inmollati in un poco d'aceto
e d'acqua, e si dee mescolare al lacte
gom'
arabico e bolo
armenicho, e
così darlisi mescolati.
E s'elli è stitico e nom può uscire, sì li si dee mettere di sotto ne
la natura sopposta facta di mèle cotto, e di sale, e di mèle, o di sterco
di topi.
E quando elli verà il tempo k'elli
comincerà a manicare, sì si
facciano kotali
bocconcelli piccoli simillianti a ghiandi o a datteri de
succula, e di lacte, e di çucchero, e diensi al fanciullo ch'elli si tengha
in mano, e che ssi giuochi con essi, e ch'elli si
sughi e si dispongha a
poco a pocho k'elli ne mandi giù alcuna cosa. E sì li si dee dare la
carne del petto del pollo tenero o de la
pernice. E poi ch'elli
incomincia ' assaporare e
cominceranne a desiderare e ad
apetire di
mangiare, sì li si de dare la poppa meno e
disusarlone a poco a ppoco,
e non si lasci poppare la notte, e apresso a pocho a pocho s'avezi e
meni a quello k'elli nom popi né 'l die né la notte. E si conviene
molto guardare ke nolli si tolgha la popa nel tempo caldo.
L. IV, cap. 29 rubr.Capitolo .xxviiij. Di scielliere la buona balia per nodrire il
fanciullo e del suo regimento.
L. IV, cap. 29
(+i) Ma perciò ke le madri nom possono tuttavia loro filliuoli nodrire, sì lor
conviene avere nodrici e perciò vi diviseremo kenti nodrici elle debbono avere. Per
nodrici buone avere sì ssi convenghono queste
infrascripte cose guardare, cioè a
ssapere l'etade, sua forma, suoi costumi, sue
manmelle, e s'ella àe buono lacte, e 'l
tempo k'ella àe avuti filii s'elli è lungo o corto. E ki troverà queste cose buone
secondamente ke noi vi diremo, sì è buona a torrela per suo filio nodrire.
E primieramente vi diremo de l'etade de la nodrice. Sapiate ke la nodrice
e balia conviene che ssia giovane da
.xxv. anni infino in
.xxxv., ké questa è
l'etade ove il naturale
calore è più forte per buoni omori ingenerare.
La forma dovete guardare, ke conviene ch'ella sia somilliante a la madre
tanto quanto ella puote, e k'ella abbia buono colore kiaro, lo quale abbia
biancheza messcolata con um poco di rosseza; e abbia il collo grosso e forte, e il
petto largo, e la carne soda, e non sia troppo grassa né troppo magra, e sia sana
tanto quanto l'uhuomo la potrà più trovare, perciò ke le 'nferme nodrici uccidono i
fanciulli, ançi ke ssieno lor die compiuti.
Suoi
kostumi dee l'uomo guardare k'ella sia ben costumata, né non
conviene k'ella sia adirosa né trista, né paurosa, né sciocha, perciò ke queste cose
rimutano la complexione de' fanciulli e li fae diventare sciocchi e
malcostumati, e
perciò i filosafi
anticamente aprendevano ai loro signori ke i loro filliuoli facessero
nodrire a ssavie e ben
chostumate nodrici, acciò ke per difetto di male nodrici i filii
loro nom potessero la loro diritta natura cambiare.
La forma de le mamelle si deono guardare ke non sieno troppo molli né
troppo dure, né non sieno né troppo grandi né troppo piccole, ké lle troppo grandi
mamelle fanno i fanciulli
camussi, quando di sopra il naso lor mettono le poppe, e
diventa il naso
schiaciato.
La quantità e la natura del latte. Si dee guardare ke il lacte sia bianco, né
troppo kiaro, né troppo spesso, né verde, né rosso, né nero, e l'odore del latte non
sia acetoso, né forte ma soave, e il savore sia dolce. E dovete guardare ke 'l lacte
non sia troppo grosso né troppo sottile. E s'elli è troppo grosso, o troppo sottile, sì
'l potete conoscere in questo modo: prendetene una gocciola e la ponete sopra
l'unghia vostra, e s'elli cade sança l'unghia rimuovere sì è troppo kiaro, e s'elli non
cade sì è troppo spesso, or lo prendete ke non sia né troppo spesso né troppo kiaro.
Lo tempo ke la nodrice àe avuti filii si dee guardare ke non sia molto
presso al tempo k'ella fece il fanciullo, né molto di lungi. E almeno conviene ke
ssia un mese o due k'ella abbia avuto filii. E s'elli è uno anno o due dall'ora
k'ella àe avuto filii, per fanciullo lattare non vale neente. E vale mellio k'ella
abbia avuto filio maschio ke femina. E vi guardate k'ella l'abbia partorito a
diricto termine e k'ella non abbia perduto suo filio e per battiture o per altra cosa.
E queste sono quelle cose ke si convengono guardare per buone nodrici avere.
(i-)
E le pope abbia grandi nel modo detto, e 'l petto ampio, e sia
mezana intra grassezza e magreza, ma penda in grasso.
(+i) E quando huomo l'avrae cotale, si conviene a la nodrice usare buone
vivande sì come
caldelli di mandorle,
karne d'agnello,
kavretto,
kastrone, e buoni
pesci,
lactughe, borrana, e dêsi guardare di non mangiare cose salate, né acute, né
acetose, né cipolle, né ruca, né senape, né appio, né menta, né bassilico, né
agli, né
scallogni, né
taguebil, cioè spetie ke ssi mescolino ai cibi ne le quali è forte caldeza,
né porri.
(i-) E magiormente l'
appio del tucto in tutto lasci, imperciò
ke non è convenevole cosa k'ella v'apressi.
(+i) E si dee guardare di tucte
altre cose che malvagio sangue fanno, e si dee fatichare temperatamente e non
tuttavia stare in riposo.
(i-) E si dee nodrire con cibi fatti di grano, cioè
di
frumento, e di riso, e di carni giovani, e buone, e ben condite.
(+i) E guardinsi d'avere a ffare con huomo, che ciò è la cosa ke più corrompe il lacte.
(i-)
(+i) E perciò k'ella non diventi incinta, ké quando ella è incinta e
dea
poppa tale latte
distruge i fanciulli. E quando la nodrice dà poppa, sì dee
spriemere la mamella e poi
lactarlo e darlile poco e spesso, ké troppo
lactarlo a
una volta fae il ventre enfiare e per la boccha del fanciullo rigitare. E quando
l'avrae lactato, sì 'l pongha a dormire, ma ssia prima um poco riposato. E sì 'l
dee la nodrice guardare di dure cose masticare, ançi li dee donare la nodrice pane
k'ella avrà
masticato, e fare pappa di midolla di pane e di mèle, e di lacte, e
d'u· poko di vino, e
darline um pocho. E se per questa cosa avenisse ke 'l
fanciullo
emfiasse o rendesse per boccha, sì 'l dee tanto raconsolare ke 'l mal
talento sia passato, e usi de'
boconcelli picoli somillianti a ghiandi ke noi
kontamo
di sopra, o tortelletti di pane e di çuchero a modo di dateri fatti.
E quando elli comincerà ad andare, si conviene ke nolli faccia tenere i piedi
sopra cose dure, ma i· lluogo morbido e soave, e non tengha l'una gamba alta e
l'altra bassa, ke ciò fae i fanciulli
sciancati, e non dee la nodrice il fanciullo fare
andare, né sopra sue gambe troppo dimorare se uno anno o più non passa, per la
tenereza de' membri ke
agevolmente si piegano e dirompono.
(i-)
E se 'l lacte de la nodrice menomasse,
polti di farina di
fave, o di
riso, o pane fatto di semola secco e fatto di çucchero le si dee dare a
bere, ai quali um poco di sugo di finochio sia mescolato. E se 'l latte
suo sia molto grosso, sì ssi dee sottilliare il cibo et ella non si dee
affaticare se non poco. E se 'l suo latte fosse molto sottile, sì le si
debbono dare cibi grossi e forti e molti, a la quale sciroppo acetoso e
vino sottile non dee dare né usare. E se 'l suo lacte è sottile molto,
grossi cibi e forti, e più in quantitade le si debon dare e 'l dormire si
dee fare più ke non suole.
E se 'l fanciullo esce troppo, sì ssi dee nodrire con quelle cose
ke
stringono il ventre, al quale non si debbono dare né cose dolci né
cose untuose. E se nel corpo del fanciullo aparisce bothor, o
apostema, sì ssi dee dare a la nodrice acqua d'orzo, la quale non
manuchi né cose dolci né cose calde, ançi si
nodrischa con
altiçiçeth,
cioè kon cose e con cibi i quali abbiano
acetositade in sé con alcuna
dolceza, sì come melegrane,
musa, cioè ke ssieno intra dolci e agre, e
ancora le si scema sangue. E se 'l fanciullo avesse passato quatro
mesi, sì ssi puote ventosare e porre coppette. E quello latte è
giudicato milliore il quale, se quando se ne prende una gocciola e
mettasi i· su ll'unghia, no è troppo sottile o
korrente, né troppo
grosso e spesso e congelato, e ke à buono odore e buono sapore
dolce. E lacte
salso e ke à reo odore in neuna maniera non è
convenevole al nodrimento del fanciullo, sì come noi avemo detto e
narrato di sopra nel presente kapitolo.
L. IV, cap. 30 rubr.Del regimento dell'altre etadi e de la vecchieza tardare.
Capitolo .xxx.
L. IV, cap. 30I fanciulli piccoli non si debbono
medikare né col torre e
scemare sangue, né con medicina ke molto abbia a muovere, ma
dêli
huomo medicare con ventose, s'è mestiere, e dare loro acqua di
fructi
ke li facciano uscire
legiermente, e
deeli huomo molto guardare k'elli
non manuchino de le
confettioni ke ssi fanno del mèle o de'
fructi,
acciò k'elli non incorrano molte infermitadi, e si debbono abstenere
dal lacte e dal cascio e da' cibi grossi, acciò ke non si ingeneri pietra
ne le loro
vesciche, ai quali si dee dare
semi di melloni mondi e
scorçati kol çucchero, acciò ke le vie e li strumenti de l'orina si
nettino e ke pietra non vi si cominci a generare. E nolli dee huomo
troppo riempire di cibo, né troppo
satollargli, e no li dee huomo
lasciare cibo infino a tanto ke 'l primaio fie cotto e digesto e k'elli non
fia disceso de lo stomaco. La qual cosa percioe si dee fare acciò ch'elli
sieno sicuri da le
scruofole e
gavine.
E lli
adoloscenti e i giovani dee huomo guardare da l'acute
infermitadi, scemando loro sangue e purgandoli, co le quali (cioè col
torre sangue e col purgare) fortemente
repremendo e spegnendo le
dette agute infermitadi incontanente, da ke la significatione de l'acute
infertadi sarae
apparita, sarae da dottare ançi ke le infertadi si
compiano e crescano.
E quelli ke ssono da trentacimque anni infino in
.Lv., o ivi
intorno, debbono essere cosie guardati ke ss'intenda più a votare i
loro corpi ko le medicine ke co la flebotomia, cioè ko lo scemare
sangue. I corpi de' quali si convengono conservare, acciò ke non
divengano a
malo stato, menomando in loro la fatica e l'usare de la
femina, acciò ke le forçe de' loro corpi lungamente durino e non si
bagnino per lungo spaçio, cioè no stieno lunghamente nel bagno.
E quelli ke ssono di
.Lx. anni in suso, o ivi intorno, si debbono
partire da la faticha e dall'uso de la femina e da lo scemare sangue, se
non in grande e per grande necessitade; i quali debbono essere nutricati
di buoni cibi, i quali abbiano buono sapore e sieno agevoli a
smaltire, e debbono spesse volte usare i
bagni, e molto dormire, e
apressare al volto e al capo cose di che vengha odore, e usare
fummigii e
fummicamenti, e riposo, e quiete. E conviensi k'elli
facciano quelle cose le quali fanno molto dilettare, e ancora beano
vino di temperata natura sottile e kiaro, lo quale sia inacquato
mezanamente, e
beanne temperatamente. E questi cotali s'elli sono
retti e guardati in questa maniera, per questo cotale
regimento è
possibile cosa k'elli penino molto a venire all'ultima vecchiezza e
consumtione, e che loro corpi non si
destrughano, né ssi consumino,
né ssi abbattano sì tosto.
L. IV, cap. 31 rubr.Capitolo .xxxj. Di considerare e provare kente è il medico.
L. IV, cap. 31Molto dee huomo
konsiderare in che il
medico avrae ispeso la
sua vita, e in ke elli avrae operato quello k'è passato del suo tempo, et
elli se pensa quando elli è solo, s'elli passoe lo spatio de la sua vita
riguardando e cercando i libri de' medici e
phylosafi, e se il suo studio
è, quando elli è solo, di riguardarli
diligentemente, buona
sospictione
e credenza si puote di lui avere e sperança. E s'elli aviene cosa k'elli
abbia trapassato lo spatio de la sua vita studiando in altre cose ke in
quelle ke noi abbiamo facto mentione, e stando solo si
diletta in
canzoni e in stormenti, e disidera d'innebriarsi e simillianti cose a
queste, mala sospiccione si puote di lui avere. E poi che l'huomo avrà
saputo k'elli riguarda spesse volte i libri, sì ssi consideri kente è la sua
astutia e
subtillieza e ingengno, e s'elli àe conversato coi parlatori e
disputatori, e se i· llui è potenzia di medicare e de riguardare o no. E
dêsi inchiedere s'elli ebbe compagnia kom quelli homini ke noi
abbiamo detti, e s'elli àe acquistato da lloro la virtude di medicare
e de riguardare e di
cerkare.
E dêsi porre
mente s'elli intende quello
k'elli legge o nno, o 'l
contrario.
E poi che ssi saprae k'elli legge e
intende i libri, si dovrae
inkiedere
diligentemente s'elli s'è travalliato e
affatichato ne la
cura e nel medicare dell'infermi, e s'elli li à
medicati, e se ne le cittadi famose e di grande nome, ove medicina e
molti infermi sono, questo abbia facto o no. E quegli ke ffie trovato
avere queste due cose in sé è savio e dee essere proposto alli altri.
E
s'elli aviene ke ' alcuno vengna meno dell'una di queste cose dette,
più convenevol cosa è k'elli
falli il magisterio d'operare (in tal maniera
tuctavia ch'elli non sia del tucto in tucto ingnorante e non sapiente
operare, ma ch'elli
sappia parte de l'operare), k'elli del tucto in tucto
ignorasse e non sapesse la sapientia e quelle cose ke ssi contengono
ne' libri delli antichi; imperciò ke quelli che ssa quello ke ssi contiene
nei libri, e
imagina, e pensa com poco conoscimento d'operatione,
perverrà a quello di che i· neuna maniera potero pervenire molti di
quelli i quali quelle cose ke ne' libri si contengano non seppero e non
imaginarono, impercioe k'elli non
sanno niuna cosa, se non quello
k'elli apresero da coloro ke ebbero lungamente compagnia e usança
con coloro i quali questo ne le cittadi famose e nominate, ove sono
molti
medici e infermi, sono insengnati e ànno apreso
.
E se alcuno abbia apreso di questa dottrina il quale non sa
lettera e,
pognamo ke ssappia lettera, non intende le parole e no è
stato coi
savi, non si dee avere fidança di lui, e non è da credere al
suo sapere. Ançi dee l'uhuomo sapere k'elli in alcuna maniera puote
perficere né fare cosa ke vallia di questa parte, imperciò k'elli è
impossibile cosa uno huomo, ancora in lungho tempo, per sé solo
aquistare e aprendere gram parte di questa dottrina, s'elli non vae
secondo la regola di quelli che sono andati dinançi, imperciò che la
quantitade di questa dotrina trapassa molto la misura de la vita de
l'homo. La quale cosa non si truova e non aviene solamente in questa
dotrina, ançi aviene in molte altre
dottrine. E coloro ke di questa
dotrina alcuna cosa infino ad aguale ànno acquistato non fuoron
pochi, né im brieve tempo l'ànno acquistato, ma fuoron mille, e
questo in mille anni l'aquistarono; i libri de' quali, se alcuno spesse
volte riguarderà, porrà k'elli in brieve tempo vegga tucti, quasi come
s'elli vivesse mille anni e portasse e sofferisse la fatica di coloro per
mille anni. Ma sse i lloro libri s'abbiano a schifo, huomo ne la sua vita
quanto potrà vedere e
perscruptare? O i suoi sperimenti e i suoi
trovamenti kente misura avranno, e ancora non di tucti li huomini,
ma de' più ricchi e più
sobtili? Per la qual cosa se alcuno non riguarda
i libri e non intende le forme de le 'nfertadi, avegna k'elli l'abbia
vedute spesse volte, lascile stare, imperciò ke no le
cognosce e passale
sança riguardarle come dee, in niuna maniera intendendo di loro
alcuna cosa.
E qui termina la sententia del quarto libro.
L. V, Index rubr.
Qui cominciano i
capitoli del quinto libro, il quale libro
tracta di
decoratione, cioè di belleza e netteza e da farsi bello.
L. V, IndexCapitolo primo. De le forfori del capo. Capitolo secondo. Di curare il
dipelamento del capo e de la barba. Capitolo terço. Di fare nascere i
peli nei luoghi ignudi e vòti. Capitolo quarto. Del conservamento de'
capelli, acciò ke non chagiano e k'elli diventino lunghi, e 'l
medicamento del
cominciamento quando huomo diventa chalvo.
Capitolo quinto. Di quelle kose ke no llasciano
kadere i capegli.
Capitolo sexto. Del
fendimento de'
kapelgli ke ssi kiama
alopiçia,
overo loppoli. Capitolo septimo. Di fare i capegli crespi. Capitolo
ottavo. Di quelle cose ke ffanno i capegli piani. Capitolo
.viiij. A ffare
i capelli neri. Capitolo
.x. Del
regimento acciò ke l'huomo non
incanutischa troppo tosto. Capitolo
.xj. De la tintura de' capelli
rossa,
overo ruffa. Capitolo
.xij. Da imbiancare i capelli. Capitolo
.xiij. Di
quelle cose ke tolgono i capelli e li
asubtilliano e ke lli divellono e che
nolli lasciano nascere. Capitolo
.xiiij. Di quelle cose ke al tutto in
tucto tolgono via i
peli. Capitolo
.xv. Di quelle cose ke distrugono e
mandano via il
puço del dipelatoio e del
silotro. Capitolo
.xvj. Di
quelle cose ke non lasciano ke 'l
silotro e 'l dipelatoio faccia arsura né
cocimento, né bolle, né
vescike. Capitolo
.xvij. De
sapha, cioè de le
pustole e de le bolle del volto e del capo. Capitolo
.xviij. Di quelle
cose ke 'l volto imbiancano, e la buccia
sottilliano, e fano il volto
lucente e kiaro. Capitolo
.xix. Di quelle cose ke fanno il colore giallo.
Capitolo
.xx. Di quelle cose ke fanno il colore nero. Capitolo
.xxj. Di
levare il panno del volto. Capitolo
.xxij. De le grandi
letigini e lordura.
Capitolo
.xxiij. Da disfare e distrugere le margini e le cicatrici de le
fedite. Capitolo
.xxiiij. Di
sapha
rossa, la quale si fae nel volto.
Capitolo
.xxv. Da curare e distrugere e rimuovere la verdeza k'aviene
per percossa. Capitolo
.xxvj. Da distrugere e disfare
algesen. Capitolo
.xxvij. Di quelle cose ke mandano via i segni de'
vaiuoli. Capitolo
.xxviij. Del piççicore, e de la
rongna, e de le
papici e bolle. Capitolo
.xxviij. De
sare. Capitolo
.xxviiij. De la
phasaf, cioè di
sudationi.
Capitolo
.xxx. De l'
empetigine, cioè volatica. Capitolo
.xxxj. De la
morphea biancha. Capitolo
.xxxij. De la morphea nera. Capitolo
.xxxiij. De l'
albaras. Capitolo
.xxxiiij. De la malattia e lebrosia.
Capitolo
.xxxv. De le
veruche e porri. Capitolo
.xxxvj. Di quelle cose
ke genera peli ne' nipitelli. Capitolo
.xxxvij. De'
pidocchi ke ssi
generano ne le
nipitella. Capitolo
.xxviij. De l'orçaiuolo. Capitolo
.xxxviiij. Di gesse, cioè quando e dopo 'l dormire non si possono
aprire li ochi. Capitolo
.xL. Delli occhi che
strabuçano in fuori per
vomire o per altre cose. Capitolo
.xLj. Del
puço del naso. Capitolo
.xLij. Del
puço de la boccha. Capitolo
.xLiij. Di quelle cose che
l'odore del vino spengono e
ripriemono. Capitolo
.xLiiij. Di quelle
cose ke
ripriemono, e spengono, e tolgono l'odore delli
agli, e de le
cipolle, e porri, e altre cose simili. Capitolo
.xLv. Di quelle cose ke
colgono il fluxo e 'l
gociolamento de la saliva o de la bava k'esce de la
boccha quando homo
dorme. Capitolo
.xLvj. Di quelle cose ke non
lasciano i denti corrodere. Capitolo
.xLvij. Di quelle cose ke non
lasciano
kadere i denti ke ssi crollano. Capitolo
.xvLiij. Di quelle cose
ke mondano e nettano le superfluitadi che sono nelli orecchi.
Capitolo
.xLviiij. Di quelle cose ke non lasciano venire puçço de le
ditella. Capitolo
.L. Di quelle cose ke no llasciano i piedi sudare.
Capitolo
.Lj. Di quelle cose ke 'l sudore di tucto 'l corpo fanno avere
buono odore. Capitolo
.Lij. Di quelle cose ke tolgono via il
puço de
l'orina e de lo stercho. Capitolo
.Liij. Di guardare i corpi morti che
nom
putischano. Capitolo
.Liiij. Di quelle cose ke i testicoli de'
fanciulli ne le mammelle de le pulcelle e fanciulle non lasciano tosto
crescere né
pendere giuso. Capitolo
.Lv. De le
rusticheze ke
addivengono nell'unghie. Capitolo
.Lvj. De le
fessure del volto, e de'
labri, e de la cotenna e buccia k'è ne la parte di fuori de la mano.
Capitolo
.Lvij. De l'
emfiamento e piççicore ke avengono ne le mani
nel verno e ne l'autumpno. Capitolo
.Lviij. Di quelle cose ke
ingrassano il corpo de l'huomo e de la femina. Capitolo
.Lviiij. Di
quelle cose ke dimagrano il corpo de l'huomo e de la femina.
Capitolo
.Lx. Di quelle cose ke
acresscono la sperma e fanno dirizare
la
verga. Capitolo
.Lxj. Di quelle cose ke riscaldano la natura de la
femina. Capitolo
.Lxij. Di quelle cose ke acrescono la dilettatione del
coito, cioè quando huomo usa co la femina. Capitolo
.Lxiij. Di coloro
ke a la fine quando ànno usato ko la femina escono a
ssella e del loro
medichamento. Capitolo
.Lxiiij. Di coloro ke per lo troppo usare kon
femina sono indeboliti. Capitolo
.Lxv. Di quelle cose ke la vergha
fanno cresciere. Capitolo
.Lxvj. Di quelle kose che costri
ngono la
natura de la femina dinanzi. Capitolo
.Lxvij. Di quelle cose ke
tolgono e mandano via l'
umidità de la natura de la femina. Capitolo
.Lxviij. Di quelle cose ke giovano a impregnare e ke riscaldano la
natura de la femmina. Capitolo
.Lxviiij. Di quelle cose ke non
lasciano
imprengnare e fanno scipare. Capitolo
.Lxx. Di quelle cose
ke giovano a bere molto vino. Capitolo
.Lxxj. Di quelle cose ke fanno
tosto venire l'ebbrezza. Capitolo
.Lxxij. Di quelle cose ke allievano
l'ebbro e che tosto il gueriscono. Capitolo
.Lxxiij. Da curare e da
guerire la
crappula, cioè il soperchio riempimento del cibo e del bere.
[L. V, Incipit]
Qui comincia il quinto libro che tracta di
decoratione, cioè da fare
bello e
addorno il corpo.
L. V, cap. 1 rubr.Capitolo primo. De le forfori del capo.
L. V, cap. 1Le forfori del capo si tolgono radendo il capo kontinuamente e
spesso, e ungnendolo ogne notte, e lavandolo poscia la mattina kon
molta acqua calda nel bagno o ne la stufa o in casa. Le quali cose se
nom bastano sì ssi lavi tre die ko la farina de' ceci e col seme de la
malva e coll'aceto. E somilliantemente coll'acqua de la dicotione de la
bietola e um pocho di sale si lavi il capo.
Lavamento forte in levare via le forfori.
Recipe: farina di ceci dr. .C., farina di fieno greco, di cruscha di
grano, sale nitro, senape di tucte queste cose ana dr. .xx., seme d'altea
dr. .x.; mescolinsi tucte queste cose kon um poco d'aceto e d'acqua e
ciascuna settimana se ne lavi il capo. E se le forfori non se ne vanno
dipo questo cotale lavamento, sì ssi de' mollare il capo ciascuna notte
coll'olio rosato mescolato con um poco d'aceto, e dêsi sempre
muovere il corpo e fare uscire.
L. V, cap. 2 rubr.Capitolo secondo. Di curare il dipelamento de' kapelli del capo
e de la barba.
L. V, cap. 2Quando i capegli del capo o de la barba
kagiono, sì ssi dee
freghare il luogho con uno panno aspro tanto k'elli diventi rosso, e
poscia si
strupicci fortemente ko le cipolle infino a tanto ke llo
'mfermo senta in quel luogho incendio e cocimento; il quale si lasci
così stare il die e la notte e la mattina si regha somilliantemente. E
se in quel luogo apariranno ampolle, sì ss'ungha col grasso de l'anitra
o de la gallina e lo stropicciare si lasci stare per alquanti die tanto k'elli
si riposi. E se allotta i peli cominciano a nascere, il luogho si rada
molte volte, e si stropicci ongne dì col panno, e ungasi coll'olio nel
quale siano cotti
keassun, e
capello venero, e
kamomilla, la qual cosa
si facia in questa maniera.
Prendasi
.j. on
. di ciascuno di queste cose, e
mettansi nell'acqua,
e
soavemente si cuocano infino che ssi disfacciano e
disolvano, e
poscia si coli l'acqua, e una libbra de quella acqua si mescoli con una
libbra d'olio di been, e si cuoca soavemente infino ke ll'acqua fia tucta
consumata, e quello ke rimane si lievi dal fuoco e si serbi per usare
quando fie huopo. E se per queste cotali medicine i
peli non vengono
e non nascono, sì ssi dee homo
inkiedere del
regimento e de la vita
dello 'nfermo, e kente
regimento e kente vita abbia usato nel tempo
passato, e sì dee investigare kente sia allotta la dispositione del corpo
(secondo ke ssi contiene nel capitolo del conoscimento delli homori
ke abondano nel corpo e nel capitolo de le virtù de' cibi); e se huomo
puote conoscere k'elli abia usato spesso cibi i quali abiano a generare
flemgma, e 'l colore de la cotenna onde i capelli
kagiono penda in
biancheza, sì ssi debbono dare queste pillole, de le quali questa è la
discriptione.
Recipe, cioè tolli: di bianco
turbitto e de la polvere de la pigra
ana, cioè di catuno, dr
. .x.,
coloquintida dr
. .iij. e terzo di dr
.; e di
queste cose trite e stacciate e
uncte coll'olio si formino pillole de le
quali si dea ogne mese tre volte o quatro infino a peso di dr
. .ij. o di
tre.
E lo 'mfermo si dee nodrire con i cibi ke generino buoni homori
e poi si dee reddire e
tornare a le medicine co le quali il luogho si dee
o suole medicare. E se lo 'mfermo avrae usato di mangiare cibi ke
abiano a generare collera
rossa, e 'l colore de la persona e la
dispositione significherà quello medesimo, queste pillole ke noi
nomineremo si dovranno dare spesse volte e 'l suo
regimento e la sua
vita si dovrà recare a quelle cose ke generano homori freddi.
La
confettione de le pillole.
Recipe: mirabolani citrini, e
rose
rosse ana dr
. 1/2, cioè di catuno
dragma meza, alloe
sucoltrino dr
. .j., schamonea la quarta parte d'una
dr
., e di tucte queste cose si facciano pillole e diensi tucte a pilliare a
una presa.
E se lo 'nfermo avrà usati cibi ke generano collera nera, e 'l
colore del luogo e l'
ofuscamento e la sua aspreçça significheranno
quel medesimo, e
'l luogho sia molto seccho, sì gl'è da dare
decoctione de epithimo, e l'epithimo col siero, e similgianti cose a
queste che soglino purgare la collera nera, sì come noi diremo nel
capitolo de la malinconia. E lo 'nfermo usi buoni cibi e poi si dee
reddire e tornare a medicare il luogho predetto.
Epithima et
empiastro ke ffa nascere i peli ne la
'nfertà
dell'alopicia e del dipelamento.
Recipe:
spuma marina dr
. .x.,
sale nitro,
çolfo, euforbio ana dr
.
.ij.,
strasisagria,
kanterelle ana dr
. .j., tucte queste cose si mescolano
kon olio vecchio e poi il luogho, quando fie
stropiciato, ko le cipolle
sì vi si
impiastrino. E se nel luogo
aparissero ampolle, sì ssi lascino
stare alquanti die e col grasso de l'anitra e coll'unguento de la
cerusa
si medichi tanto k'elle vadano via.
L. V, cap. 3 rubr.Capitolo terço. Di fare nascere i peli ne' luoghi ignudi.
L. V, cap. 3Se ' peli de la barba o de le cillia fieno subtili e molli, sì ssi dee
fregare e stropicciare ko la
spuma marina e ko la
cennere
keison
mescolate koll'olio vecchio, e ogne notte se ne dee ugnere. E lo
'nfermo bea vino forte, il cui
regimento si dee recare a quelle cose ke
temperatamente riscaldano.
A quello medesimo un'altra confetione la quale è ancora più
forte.
Recipe: de l'olio de been on
. .j., e di canterelle ke abbiano levate
i
capi e l'ale via dr
. .iij., e
conficiansi in questa maniera: le
kanterelle
trite si mettano nell'olio e apresso l'olio con esse messe in una piccola
ampolla ko llento fuocho, sempre mescolando e mestando, si
cuocha
tanto k'elli diventi spesso, e poi si lievi dal fuoco e si
ripongha kon
um pocho di moscado e d'ambra, acciò ke nne vengna buono odore;
del quale se 'l luogho se ne
fregherà tanto ke vi si faciano
vesciche,
tostamente vi
nasceranno i peli.
L. V, cap. 4 rubr.Capitolo quarto. Del conservamento de' capegli, acciò ke non
cagiano e a farli lunghi, e 'l medichamento di coloro ke kominciano a
ddiventare calvi del chapo.
L. V, cap. 4Lavamento il quale fae i capelli lunghi.
Prendasi le foglie açederage, overo azederach, con capel venero
verde, e mirra, e mirabolani emblici, e pongasi ne la lavatura, overo
lavamento, e cuoprasene il capo conn essi, poi ke 'l capo fia molle
koll'acqua ne la quale li emblici mirabolani fuor messi in molle.
L'altro lavamento da ffare i capelli lunghi.
Prendasi l'acqua ne la quale fia cotta la bietola, ne la quale si
pongha um poco di senape, e con essa si lavino i capelli e poi s'ungha
coll'olio, e cresceranno quando i capelli spesse volte se n'ungneranno
con esso.
L. V, cap. 5 rubr.Capitolo quinto. Di quelle cose ke no llasciano chadere i
chapelli. Rubrica.
L. V, cap. 5
E ancora i· conferma se
laudano si
distempera kon vino, e con
altrettanto olio di
mortini se mescoli, e
usisi spesse volte, cioè a
ssapere se la sera le radici de' capelli se ne
freghino e
strupicino la
sera, e poi la mattina s'entri nel bagno o ne la
stufa e lavisi coll'acqua
calda.
Olio ke fae ritenere i
kapelli che
caggiono.
Recipe: mirabolani emblici e
foglie di mortine si prendano e
tanto si cuocano nell'acqua infino ke ll'acqua intorbidi; e poi si pilgli
di questa cotale acqua una libra, e olio
onfacino libre
.ij., e si
mescolino insieme o si cuocano insieme, tanto ke tucta l'acqua si
consumi. E poi quello ke rrimase ne la dicotione s'
agiunga e si
mescoli
.j. on
. di
laudano distemperato e disfatto nel vino, o kol vino,
e con questo cotale olio si
freghino e
stropicino le radici de' capelli.
Olio il quale fae i capelli duri, rigidi, e aspri, e neri, se kon esso
huomo se n'ungha.
Prendi di tucte queste cose di ciascuno quanto puoi prendere
con una mano, cioè de le
foglie de le mortine, e delle folglie del
papavero rosso, e del
capello venero, e de lo spigo, e de' ciperi, e del
seme de la
sicla, cioè de la bietola, e del seme de l'appio, e de'
mirabolani emblici. E tucte queste cose si cuocano in tre libre d'acqua
tanto ke
reghano a una libra, poi si coli. E apresso questa cotale
colatura con una libra d'olio
alkera, o
alkery, si mescoli o ssi cuoca
infino ke ll'acqua sia tucta consumata. Al quale si debbono poscia
mescolare dr
. .j. d'acacia e altrettanto di
cennere di scorça di
pino, poi
si dee porre giù e ciascuno die se ne dee ugnere.
Medicamento ke non
lascia fare
kalvo e guerisce quelli ke ssono
già facti calvi.
Recipe: capello venero,
foglie di mortine, scorça di pino, incenso
per iguali parti; le quali cose si debbono arostire tanto ke ssi possano
pestare. Poi si mescolino con essi
laudano e mirra igualmente quanto
fue ciascuna de le predette cose, de le quali cose, mescolate kon vino
vecchio e con olio di seme di
rafano, il capo se ne
'mpiastri la sera e 'l
die si lavi, e questo faccia assiduamente e spesse volte, e questo
guerisce coloro ke ssono già facti calvi e ke cominciano a diventare
kalvi.
L. V, cap. 6 rubr.Capitolo .vj. Del fendimento de' capelli, overo de' loppoli.
L. V, cap. 6Se questa cotale cosa de'
kapelli averrae sì come è
alopiçia, sì ssi
dovranno lavare e ugnere spesse volte kon acqua e olio dibattuti
insieme tanto ke ssieno ben mescolate. E si converanno ancora lavare
co le
muscellagini viscose, sì come è quella ke ssi fae del seme del
lino, e del seme del
psilio, e de le
foglie del sisamo, e d'altre cose ke
ssono somillianti a queste. E se queste cose nom bastano, e ssì si
debbono acrescere la quiete e 'l riposo, e 'l manicare, e 'l bere, e ll'uso
del bagno. E s'elli aviene ke com questo nel corpo sia grasseza, e la
sua figura sia bella, e questo accidente sia piccolo e di poco tempo, sì
ssi dee lasciare stare le medicine e non
farle. E se questo accidente è
grande, sì ssi converrae dare medicina da purgare spesse volte, e torre
sangue altressì, e menomare il bere e 'l mangiare.
L. V, cap. 7 rubr.Capitolo septimo. Da fare i capelli crespi.
L. V, cap. 7I capelli si debbono spesse volte stropiciare co le foglie de la
sicla bianca e co le galle arrostite.
L'altra cosa è medicina forte a questo: farina di fieno greco, e
mirra, e seme di jusquiamo bianco trito, e sydre, e galle, e calcina, e
merdasengy si prendano, e di tucte queste cose si freghino i capelli.
L. V, cap. 8 rubr.Capitolo .viij. A ffare i capelli piani.
L. V, cap. 8In questo cotale medicamento quelle cose si volliono usare ke
ss'usano nel medicamento de' loppoli e de' capegli fessi, e si
dovranno ugnere koll'olio de sisamo, e spesse volte gittare e fare
effusione, cioè fondere, acqua tiepida sopra i capelli.
L. V, cap. 9 rubr.
Capitolo
.ix. Ad fare i capelli
kanuti neri.
L. V, cap. 9Prendasi la terça parte d'una libra di galle, e ungasi coll'olio, e
freghinsi, e
strupicino infino a tanto ke diventino neri. E poi si pilgli
del rame arso e arostito,
dragaganto ana dr
. .v.; salegemmo dr
. .ij.;
allume dr
. .j.; e tucte queste cose si pestino
sottilissimamente, e poi
s'
inaffino e bagnino con um poco d'acqua calda, e si lasciano così
infondere e stare per
.viij. ore (overo per quattro sechondo l'altra
lettera). E 'l capo e la barba si lavano prima con l'acqua calda e
poscia, rasciugati fregando co le mani, sì sse ne
imbutino e ungano de
la predetta medicina, e si pongano
foglie di sopra, acciò ke 'l
medicamento non si
disecchi. Il quale
medicamento, poi ke ffie così
stato per
.vj. ore, sì ssi dee lavare coll'acqua tiepida.
L'altra tintura.
Prendasi
merdasengy e de la
calcina ke non sia spenta,
d'ambindue iguali parti, luti (cioè fango) quanto de le predette due
cose, e de la
cerusa quanto sono tucte queste cose. E tutte queste
cose
spruçate e mollate um poco koll'acqua se n'
unghano i capelli e
ssi cuoprano di sopra co le
foglie. E poi ke ssieno kosì dimorati per
tre hore, sì ssi lavino con alcune
mucillagini: sì nn'averrà e diventerà
bella nereza.
L'altra tintura.
Merdasengi e
kalcina si prendano e sopr'essi si mettano, e si
getti sei cotanti d'acqua, e si lascino stare al sole kosì per tre die,
mescolandole spesse volte. E poi si coli questa cotale acqua, e
mettavisi entro la lana, e s'ella diviene nera sì è buona, e se non
diviene nera in questa cotale acqua, la sexta parte di
merdasengy e
calcina, sì come si fece prima, vi si mettano e lascino stare, la qual
cosa tanto lungamente si conviene fare tanto ke la lana ke vi si mette
si tingha. E poi
alchanna, ko la predetta acqua inaffiata e
mollata
um poco, si lasci fermentare e stare e poi se ne dee tingnere, imperciò
ke questo annerisce perfettamente e vale a
mysul, o
mynuful (cioè
quando le radici de'
kapelli sono bianche e le
cime nere), se co la lana
intinta in questa acqua le radici de' capelli si
strupicino.
L. V, cap. 10 rubr.Capitolo decimo. Del reggimento acciò ke l'huomo non
inkanutisca.
L. V, cap. 10
Spesse volte a alcuni huomini solliono venire e nascere i capelli
canuti troppo tosto e alli altri tardi per cagione della sua complexione.
E di quelle cose ke ffanno ritardare lo 'ncanutire sì è questo: ke
de la trifera minore spesse volte si prenda la mattina, la cui
descriptione è questa.
Recipe: mirabolani neri, kebuli, bellirici igualmente, e pestinsi e
ungansi coll'olio, e
conficiamsi col mèle. De la quale ciascuno die si
dee prendere a quantitade d'una noce, e magior parte del loro
nodrimento e del loro cibo sia
kalagie (o
balagie) e cose arostite, e
dêsi guardare dal lacte, e da' cibi ke abbiano mescolato seco
minuçoli
di pane (e per questo intendo
brode), e da le
polte molto spesse, e dal
frumento cotto, e da queste cose ke ssi
conficiono kol mèle, e da bere
acqua di neve, e da bere molta acqua, e de bere vino vecchio e puro, e
di quello poco, o
ydromelle. E quelle cose ke ssi condiscono ko la
salmurya e sono salate si debbono manicare (
salmurya sì è solcio, il
quale alcuno conde con sale ' alcuno sanza sale), e 'l pane si dee
intignere ne l'
almurii (ciò è savore ke ssi fa ne le parti di
septemtrione) e se ne dee bere um poco a digiuno, e ancora si
manuchi la
sicla co la mostarda. E s'elli aviene cosa ke quelli ke usa
questo
regimento si riscaldi troppo, sì 'l
repriema o
spengha co l'aceto
e co lo sciroppo acetoso. E 'l molto
uso del bagno kon acqua e
l'avere a ffare con fenmina si debbono menomare, e sì ssi conviene
molto guardare ke i capelli non si
mollino coll'acqua rosa, e
magiormente se con quella cotale acqua fosse
kamfora mescolata. E
se questo avenisse alcuna volta, sì ssi convengono incontanente
diseccare. E si conviene usare unguenti ne' quali si mette spetie
kalde
e odorifere e
stitiche, sì come l'olio ke noi dicemo. E se alcuno molto
intendesse, a queste cose tenda e vada ordinatamente al lattovario
delli anacardi e ne
pigli, la quale cosa si converrà
kominciare di
verno.
L. V, cap. 11 rubr.Capitolo .xj. De la tintura de' capelli rossa, overo ruffa.
L. V, cap. 11Prendasi de' lupini triti dr. .x., e de mirra dr. .v., e d'alaxinti, o
horinty, cioè fiore di sale il quale usano i tintori, e de la feccia del vino
seccata e arostita ana dr. .iij., e poi si prenda la cennere de' sermenti, e
vi si gitti suso de l'acqua, e si lasci stare così una notte e poi si coli. E
di questa cotale acqua si conficiano le predette medicine, e poi si
n'ungano i capelli e si lascino così stare per una notte, e poi si lavino.
La qual cosa si conviene fare molte volte e diventeranno imprima
ruffi e poi rossi.
L. V, cap. 12 rubr.Capitolo .xij. Di quelle cose ke fanno inbiancare i capelli.
L. V, cap. 12Prendasi lo stercho de la
rondine, et ella secca, ameos (o mes), e
semi di radici, e
semi
neris, overo
nesryn seccha, e cruscha,
solfo, e
fiori di
cappari, e 'l sugo di tucte queste cose kol fiel de la vaccha e
aceto mescolato insieme s'ungano i capelli poi k'elli fieno affumicati
col
solfo, e non si lavino, ançi si lascino così stare, e poi
s'affumichino col
zolfo, la qual cosa si conviene fare molte volte. E
poi k'elli si cominceranno a imbiancare, sì ssi convengono ugnere
spesse volte co l'olio del
sambucho.
L. V, cap. 13 rubr.Capitolo .xiij. Di quelle cose ke tolgono via i capelli, e
asottilliano, e divellono, e no li lasciano nascere.
L. V, cap. 13Prendasi de la calcina bianca molto forte e acuta, e de la cennere
de' rucchi marini parti eguali, e arsenicho citrino, cioè giallo, molto
trito, l'ottava parte d'uno de' sopradetti; e tutte queste trite nel
mortario coll'acqua si lascino stare per due ore, de le quali cose così
apparecchiate si debbono ugnere i peli, o de la spuma marina e del
gesso si faccia quello medesimo. E queste cose ke ssono dette sono
buone.
E di quelle cose ke i capelli sottilliano è ke la cennere de la vite,
e baurithyn, o baurach, si metta nel silotro, cioè nel dipelatoio, del
quale la cotenna si ne dee fregare spesse volte. E poi ke 'l silotro ne
sarà levato a terra, sì ssi dee stropiciare e fregare co la farina de l'orzo,
o de le fave, o de' semi de' melloni.
L. V, cap. 14 rubr.
Capitolo
.xiiij. Di quelle cose k'al tutto tolgono i peli.
L. V, cap. 14Prendasi
kalcina ben forte sopra la quale sei cotanti d'acqua si
gitti e metta, e si lasci stare cosie per tre dì, e poi si coli, e poi in
questa medesima acqua si ponga la sexta parte di
calcina e si lasci
stare così per tre die. E queste cose così fatte, l'altro dì si pongha e
metta ne la predetta acqua la terza parte d'
orpimento giallo trito e
pongasi al sole, e tanto vi si lasci stare ke la
penna che vi si mettesse si
dipeli quando se ne trae fuori. E poi si freghi e ungasi il corpo ke ssi
vuole
dipelare ko la bambagia, o lana, intinta in questa medicina, e
questo tosto torrae i peli. E poi si dee quel cotale luogho ugnere
koll'olio rosato.
E di quelle cose ke i capelli in questo modo distrugono è che i
capelli si
vellano, e s'ungha il luogo
pelato coll
psillio e koll'aceto
molte volte, e kol
giusquiamo, cioè dente
kavallino, e oppio e aceto, o
il luogho
pelato s'unga kol sangue de le
rane ke stanno ne l'acque ke
non si muovono, o kol sangue de la
testugine, o ungasi il luogho
pelato coll'olio, nel quale il vispistrello sia cotto tanto k'elli vi sia
tucto disfatto entro nel cuocere, o koll'olio nel quale lo spinoso sia
cotto, o s'ungha col castorio e col mèle molte volte primieramente
ciascuna volta i capelli
velti.
E di quelle cose che non lasciano nascere i peli ne la barba, e nel
petignone, e sotto le
ditella se non dipo lungo tempo, sì è ch'elli si
prendano iguali parti de
thimo, o di
thimolea, e di
cerusa, e d'allume,
la metade d'uno di questi predetti, e
mescolinsi col sugho del
jusquiamo verde o coll'acqua mescolata coll'aceto, ne la quale il seme
del
jusquiamo sia cotto. E di queste cose se ne lavino i luoghi, la qual
cosa si de' fare molte volte, imperciò ke per questo si ritarda molto il
nascimento de' peli e forse no ne lascia nascere neuno.
L. V, cap. 15 rubr.Capitolo .xv. De le cose ke tolgono il puço del dipelatoio e
silotro.
L. V, cap. 15
(+i) Per rimuovere e mandar via il
puço del
silotro, cioè del dipelatoio, si
dee sovenire in questo modo.
(i-)
Il luogho si dee
strupicciare e freghare co le
foglie del pescho, e
con
scophis del gruogo ortolano, e con
alchanna, e kolle
rose, e kon
ciperi insieme, o ciascuno per sé.
L. V, cap. 16 rubr.Capitolo .xvj. Di quelle cose ke non lasciano ke 'l dipelatoio e
'l silotro faccia ardore, né puntione, né nocimento, né bolle, né
pustole, né vesciche.
L. V, cap. 16
Psilotro non farà
adustione o arsura se 'l luogho kon esso non si
stropiccia troppo, o se tosto se ne levi a terra, e ancora se 'l corpo sia
unto d'olio rosato, ançi k'elli s'ungha del
psilotro.
E quello ke no llascia fare
pustole o
vescike nel corpo è k'elli si
lavi coll'acqua calda tanto ke nne vada a terra, e poi vi si getti suso
(cioè su quello luogho) molta acqua fredda, kosì
arosando e
inaffiando, e gettivi suso acqua molto fredda, e propiamente sopra i
luoghi ove le
pustole e le vesciche solliono nascere e arsura si suole
fare. E se vi si fa arsura e
abrusciamento,
lenti scorticate e trite, e
mescolate koll'aceto e con acqua rosa, e poste sopra le luogora arrostite
e
abrusciate, si leghino e
fascino kol panno e co la
fascia. Ma
quando l'ampolle ke nascono e la carne s'arde e
arrostisce, sì ssi curi e
medichi ko l'unguento ke ssi fae di
cerusa e con l'unguento ke ssi fa
di
merdasengy, cioè aghetta, e olio rosato, e albume d'
uhuovo,
imperciò ke questo non lascia fare le
pustole e le bolle e le
vescike nel
corpo, cioè a ssapere se quando il
silotro n'è levato e si
sstropiccia
fortemente e
fregha con olio
rosato e aceto.
L. V, cap. 17 rubr.Capitolo .xvij. De la safa, cioè de le bolle e de le pustole del
volto e del capo.
L. V, cap. 17
(+i) Sapha ke ssi fa nel volto e nel capo, cioè
pustole e
ulceragioni
(i-) e
rotture ke ànno croste, le quali nascono nel capo e nel volto, le quali
molte volte sono
sechissime, e
rughose, e crespe, e bianche, e alcuna
volta sono
humorose e humide, e gettano
marcia velenosa.
Questa si guerisce ko le ventose poste ne la nucha, cioè ne la
parte del capo e de le spalle e del collo di dietro. E per aprire alcuna
vena k'è ne la cotenna del capo e dipo lli orecchi, e aprasi la magiore
di quelle cotali vene, e s'
astengha da le cose dolci e da le
salse e da
l'acute, e si notrichi coi cibi insipidi, cioè sança sapore, e buoni. E se
lo 'nfermo il puote
sofferire, sì ssi purgha co la
dikotione de'
mirabolani e alloe; e schamonea poi s'impiastri koll'impiastri.
Epithima a
sapha quando è ricente et è nel corpo del fanciullo:
vene de curcuma,
alacanna,
aristologia,
merdasengi, scorçe di
melegrane si togliano, e, tutte queste cose trite, e coll'aceto e olio
rosato mescolate, il luogho s'epithimi '
empiastri.
E quando la
sapha sia vecchia, sì ssi prenda sale e calcanto, cioè
vetriuolo, arsi e arrostiti, e
solfo, e terra d'ariento vivo, e galle, e vene
di
cucurma,
merdasengy,
aristologia, e tucte queste cose trite e con
aceto e olio rosato mescolate vi si
'pithimino e
impiastrino. Ma
quando la
sapha sì è seccha e biancha, sì ssi converrà fregare spesse
volte kon olio, e cera, e grasso d'anitra, e si lavi con acqua
kalda colle
mucillagini.
E lo 'mfermo si converrà sempre nodrire kon cibi
humentativi e
ke abbiano a
humentare e
ramollire.
E li si dee gittare e mettere per lo
naso
kapopurgio d'olio di seme di çucche, e d'olio di mandorle dolci
e violato, e somillianti
olii a questi
. E se la
'mfertà fie grave a guerire,
il luogho si converà
scarpellare sì ke 'l sangue n'esca fuori, al quale
luogho medicina di polvere molto acuta e pugnente si vorrà fregare
infino a tanto k'ella se ne vella infino a le radici; e poi coll'unguento
rosso, il quale si
confice di
merdesengi, e aceto, e olio rosato, e
vene di
cucurma, si medichi.
E di quelle cose ke tolgono e lievano via la
sapha molle del tucto
in tucto è
fregamento coll'aceto, e sale, e
usnen verde, molte volte
facto, imperciò ke queste cose la llievano via e la distruggono del
tucto in tucto.
L. V, cap. 18 rubr.Capitolo .xviij. Di quelle cose ke 'l volto imbiancano, e
assottilliano il buccio, e fanno il viso lucente e kiaro.
L. V, cap. 18Prendasi farina di ceci e di
fave, e d'
orço, e amido, e
dragaganto,
e seme di
rafano, e col lacte s'
aspergano e
innaffino, e di queste cose
si epithimi e impiastri il volto la notte, e coll'acqua calda, ne la quale
viuole secche sieno cotte e cruscha, si lavi la matina; e questo si
conviene fare
.x. volte.
L'altra
gumera convenevole e forte.
Prendasi mandorle monde, e
amido, e draganto, e
mescolinsi
tucte queste cose koll'acqua del çafferano orientale, e di queste cose si
epithimi la notte il volto, e impiastri, e si lavi il die coll'acqua, ove le
viuole secche e la camamilla fieno cotte, o si prenda
amido e
dragaganto e mandorle dolci
schiaciate e
mondate, e s'
innaffino col
lacte, e si
epithymi con esse il volto; e quando si
comincerà a
ssecchare, sì sse ne levi l'epithima, cioè quello cotale
empiastro, la
qual cosa poi ke ffia facto per una septimana, sì ssi dee lavare il
luogho coll'acqua calda.
Gumera ke fa il colore fortemente rosso.
Prendi di senape bianco e
aurpimento rosso per igual parte, e
queste cose peste si
cospargano e
inaffino col lacte, e poi se ne
epithimi il volto per una septimana, e sia l'epithima soave, morbido e
sottile.
L'altra
gumera.
Recipe: çafferano orientale, e de la robbia ko la quale i tintori
tingono, oncenso, mirra, mastice per iguali parti, e del sugo de la
cipolla k'è kiamato
bulbus, tanto ke sse ne possano
conficere. E di
questa
confectione se ne
'mbuti la notte il volto e 'l die si lavi.
E di quelle cose ke fanno il colore rosso sì è il cece, e 'l ficho, e
le melegrane dolci; e manicare
karne, e bere vino rosso e grosso, e di
quelle cose usare ke ssi fanno del mèle, e spesse volte lavarsi
coll'acqua
kalda dolce, e mangiare tuorla d'uova, è propietade di fare
rosso di mal colore; la qual cosa si truova nelli altri somilliantemente
.
Medichamento ke ssi fa per colore rosso avere.
Recipe:
ysapo seccha dr
. .x., zafferano orientale dr
. .iij., çucchero
dr
. .xiiij.; e di queste cose si facia polvere de la quale ciascun die si
prenda dr
. .ij.
L. V, cap. 19 rubr.Capitolo .xviiij. Di quelle cose ke fanno il colore giallo e
citrino.
L. V, cap. 19Le cose ke fanno il colore citrino, cioè giallo, sono queste, cioè:
dimorare in luoghi caldi, bere acque ke non si muovano e non
corrano, e usare nel manicare spesse volte aceto, e kathaplasmare e
impiastrare il volto col komino. E azarenth fae il volto giallo e
manicare il luto, cioè il fangho, e molto veghiare, e stare tristo, e usare
cibo nel quale sia molto comino mescolato, o odorarlo spesse volte,
fanno il colore giallo. E colui che stae ne la casa ov'è molto komino
diventa giallo.
L. V, cap. 20 rubr.Capitolo .xx. Di quelle cose ke fanno il colore nero.
L. V, cap. 20
Le cose ke fanno il colore nero sono queste: stare al sole,
mangiare cibi salsi, lasciare stare il bagnare, cioè nom
bangnarsi né
lavarsi. E di quelle cose ke fanno nereza ne la superficie del corpo è:
se col
silotro e
merdasengi s'
eptimi e impiastri e ungha, e il suo colore
diventerà nero fortemente, il quale non si potrà mandare via se non
con grande pena, il quale, se ffia mestiere di torre e levare coll'aceto
nel quale sia cotto
usnen ricente, il luogo sì ssi lavi; e kol latte acetoso,
e co l'acetosità del cederno, e farina di ceci molte volte si freghi e
strupicci.
E le
gumere si convengnono fare per molti dì, tanto ke il luogo
regha a ssua dispositione. E quelle cose ke 'l colore anerano è
mangiare spesse volte l'origamo e usare i mirabolani conditi.
L. V, cap. 21 rubr.Capitolo .xxj. Di levare e rimuovere il panno del volto.
L. V, cap. 21Quello ke il panno del volto leva sì è spesse volte
epithimare il
volto kol seme del
rafano, o kol seme de la ruta, o ko la
feccia del
gruogo ortolano cotta tanto ke ingrossi e spessi, e fare epithima di
cost e di cennamomo triti e
inaffiati e
cospersi con essa; o ssi pilgli la
senape e si pesti coi fichi, e con essi il luogo con acqua
kalda
s'epithimi o panno molle, e s'infonda ne l'acqua
kalda, e si ponga in
sul volto tanto k'elli arossi e poi vi si faccia
medicamento a guardare
ke 'l volto non si rompa. E quando comincerà a dolere sì è da
llevare
il
medicamento, e 'l volto si dee lasciare riposare, e poi si dee tornare
e reddire al
medicamento.
Medicamento il quale
rimuove il panno.
Mahalel e mandorle e seme de' melloni si prendano e si
scortichino tucti, e terra d'ariento vivo per uguale mesura, e se ne
faccia epithima; e seme di
mahalel, e mandorle, e dellio molle se
pestino koll'aceto e se ne faccia epithima.
L'altro
medicamento ke llieva via il panno.
Recipe: lupini, seme del
rafano, e de la erucha, e del costo, e de
le mandorle amare, e del
baurach, e del pepe, e del dellio iguali pesi,
e
conficilo; così il dellio ne l'acqua
azedereth si disolva e disfaccia, del
quale l'altre medicine si
cospargano e s'
inaffino, de' quali poi si faccia
epithima.
L. V, cap. 22 rubr.Capitolo .xxij. De le grandi letigini e de la loro cura.
L. V, cap. 22Le cose ke tolgono e lievano le litigini grandi o piccole k'elle
sieno, quando elle avengono, sì è scemare sangue e spesse volte
purgare la collera nera del corpo, e bere il siero co l'epithimo (de
l'epithimo). La qual cosa similliantemente si convien fare quando il
panno non si puote levare kolli
empithimathi, cioè co lo 'mpiastrare e
ugnere e
imbutare, e poi ritornare a l'
empithimare.
Epithima a le litigini piccole e grandi.
Farina di lupini e mandorle amare scorticate, e
baurach, e seme
di
rafano si prendano, e di queste cose,
konfette kolla
mucillagine del
fieno greco, s'impiastri il volto. La quale com panno
infonduto e
mollato ne l'acqua
kalda si molli, o quelli che vuole
usare il
medicamento escha fuori del bagno.
L'altro
medicamento et epithima.
Recipe: farina di lupini, e mandorle amare, e seme di cavoli si
prendano, e di tucte queste cose, raunate kol lacte del
fico, si faccia
epithima o si faccia
empiastro di sapone. E quando egli
incomincerà a
pugnere, sì ssi lavi il luogo, e ungasi coll'olio de le mandorle, e poi vi
si pongha il sapone sì come dinançi, o egli si faccia epithima kon
armoniaco disoluto. O
imhabrath, o
muchluo, si disolvono kolla
mucillagine del fieno greco, e vi si epithimi e impiastri.
E ogne epithima ke è buono a'
nerbi si dee fare a le litigini
grandi e piccole e al panno, poi ke lo 'nfermo fie uscito del bagno, o il
luogho fie
humentato o bagnato col panno
infonduto coll'acqua calda
molte volte tanto ke ssi faccia rosso e sottile.
L. V, cap. 23 rubr.Capitolo .23. A disfare le margini de le fedite.
L. V, cap. 23Le cicatrici e le margini de le fedite si debbono epithimare e
'mpiastrare kon merdasengi, kon olio rosato inbiancato. E ancora in
loro dee huomo usare spesse volte il grasso de l'anitra in luogho
d'epithima, sopra le quali ancora empiastro diaquilon, o de fermento,
vi si dee porre. E ancora a lloro empiastro di pane similageno, kon
datteri mescolato, fatto, vi si dee porre suso.
L. V, cap. 24 rubr.Capitolo .xxiiij. De la safa rossa la quale si fae nel volto e
sua cura.
L. V, cap. 24
Sapha rossa ke ssi fae nel volto, la quale
infertà apare nel verno,
la quale è rosseza del volto com
pustole e bolle. A questa infermità
giova spesse volte intrare nel bagno, e coprire spesse volte il volto
suo con acqua
kalda, e torresi sangue de la fronte, e mettere le
mignatte sopra i luoghi, e fregare, e stropicciare i luoghi inançi col
panno fortemente tanto ke di loro escha sangue, e poscia con sale e
aceto e apresso ko l'unguento rosso, ke noi nominamo nel capitolo
de la
sapha, ungnere. E a questa
infertà giova se i luoghi s'
epithimino
e
'mpiastrano kol
sapone, o ssi lascino così stare tanto ke 'l
sapone
sughi e faccia
sugamento. E poi coll'acqua calda si lavi, la qual cosa è
convenevole ke si faccia molte volte.
L. V, cap. 25 rubr.Capitolo .xxv. Da curare e da distrugere e rimuovere la
verdeza k'aviene per percossa.
L. V, cap. 25Quando nel luogo non rimarrà dipo la percossa né dolore, né
ffedita, né calore in neuna maniera, e sarae mistiere di levare e di
disfare la verdeza ke ivi fosse, le foglie del cavolo o del rafano o di
mentastro verde vi si pongano suso, il quale è più forte delli altri due.
Empiastro forte a quello medesimo.
Prendasi parti iguali d'arsenicho citrino, e de la pietra alkilkil, o
alcalkal, e incenso meza parte, e di tucte queste cose si faccia epithima
et empiastro molte volte. E mellio è ke ssi epithimi col sugo del
coriandro, imperciò ke questo è l'epithima milliore; o elli si faccia di
solo arsenicho, cioè orpimento giallo, o d'armoniacho.
L. V, cap. 26 rubr.Capitolo .xxvj. Da distinguere e disfare algessen. Rubrica.
L. V, cap. 26Là ove è
algessen si dee
epithimare kol mèle anacardi infino ke
nel luogo si faccia
pustola o vescicha, la quale si dee poi medicare e
guerire, overo ke ssi faccia epitima koll'unguento
korrosivo, il quale
in cuocere e arostire tiene i· lluogo del ferro caldo, et è scripto nel
capitolo de le medicine
adurenti e ardenti. E dipo questo il luogho col
nitro (o
vetro) e coll'acqua calda si dee lavare e stropiciare, e apresso
gummo de
bithum col mèle disoluto e disfacto vi si ponga suso, e
così stea tre die ke non si
sciolgha, né disleghi, e poi se ne lievi a terra;
il luogho e si freghi e stropicci molto col sale, e poi s'epithimi e
impiastri kol
medicamento ke noi dicemo di mandare via i segni de le
percosse e de le cadute. E di questo cotale
epitimathe il luogho, due
volte il die si dovrae ugnere e
imbutare in tal maniera ke neuna cosa,
o neente, di lui si ne lievi, ma ll'una sua parte si pongha sopra ll'altra.
La qual cosa, poi che ssia facto per tre die
continuamente, il luogho
col nitro si dovrae lavare, e apresso si dee reddire a quello medesimo
regimento. E questo in questa maniera distrugge, e disfa, e manda via
la chagione.
L. V, cap. 27 rubr.Capitolo .xxvij. Di quelle cose ke curano e mandano via i
sengni e margini del vaiuolo. Rubrica.
L. V, cap. 27Se dipo 'l vaiuolo fieno rimasi segni neri e quelli cotali segni
sieno iguali co la superficie del volto, sì dovrae homo usare ne la loro
cura e nel loro
medicamento quelle cose ke noi
usamo nel
medichamento e ne la cura de le margini de le fedite, pognendovi
suso cose ke ll'abiano a imbiancare il volto. E se i luoghi paiono
chavi, sì è mestiere di
ringrassare il corpo o di
rinovarlo. E se i luoghi
sieno neri cavi, ambindue le predette cose fieno mestiere.
E ancora di quelle cose ke disfanno e mandano via i segni de'
vaiuoli è il bagno, e
usare spesse volte
senapismi, cioè
polverizarvi, e
porrevi suso cose ke ciò abbiano a ffare.
Epithima e impiastro molto forte ad mandar via i segni de'
vaiuoli.
Recipe:
merdasengi, mirabolani, radici secche di channe, farina
di ceci, ossa vecchia, farina di riso,
semi di melloni mondi,
semi di
alben, costo, tucte queste cose co la
mucillagine del fieno greco e di
seme di lino si
conficino, e se ne
senapismi, e ponga in sul volto.
L. V, cap. 28 rubr.Capitolo .xxviij. Del piçicore, e de la rongna, e de le papici
e bolle.
L. V, cap. 28La scabbia e la
rogna e le bolle avengono molto a coloro ke
mangiano spesse volte cibi ke abbiano a corrompere il sangue, sì
come sono cose salate e le cose ke ssono fatte in solcio kon sale, e
tranguobil calda (cioè spetie ke ssi mescolino coi cibi per
condimento), o
agli, o mèle, o ki bee vino vecchio; e aviene a coloro
ke spesse volte lavorano, e veghiano, e ke non usano spesse volte
bagnio, ai quali giova primieramente di scemare sangue e poi la
dicotione de' mirabolani citrini.
Prendasi dr
. .xv. di memite seccho dr
. .ij.; d'epithimo, sene, e del
seme del
fumosterno ana dr
. .v.; seme di
scaruola, antera, cioè quel
seme k'è dentro a la rosa,
polipodio e assenço ana dr
. .iij.; e tucte
queste cose si cuocano in tre libre d'acqua tanto ke
reghano a le due
parti d'una libra, fuor ke l'epitimo che vi si dee mescolare ne la fine
de la dicotione. E poi apresso tutte queste cose si
stropicino con
mano e si colino, ne la
colatura de' quali dr
. .x. di
teremabin vi si
metta, la quale si bea per molte volte.
Pillole ke molto valliono al piççicore, e a
pruza, e a scabbia, e a
rongna.
Recipe: aloe, mirabolani citrini ana dr
. .j.,
scamonea, rose
rosse
ana la quarta parte d'una
dramma, e si ne facciano pillole, e si pilglino
a una volta, le quali si debbono prendere molte volte. E poi che 'l
corpo fie evacuato e vòto ko lo scemare sangue o con
purgamento di
ventre, sì ssi dee dare ognendie questo beveragio:
prendi susine di damasco
.xv., e di
thamarindi mondi e netti de'
loro
semi, e di zucchero bianco ana dr
. .x., e sopra queste cose le
due parti d'una libbra d'acqua bolliente si geti e si lascino stare kosì
una nocte, e poi si
stropicino ko le mani, e si colino, e si dieno a bere,
e sse si cuocono, sì operano più fortemente.
Lattovario a la
rogna e al piççicore valevole e buono.
Recipe: mirabolani citrini una parte, sene,
fumusterno ana
1/2
parte, sugo d'assenço tanto quanto basta, e sia assai a
cospargerli e
mollarline. E alcuna volta a questa medicina s'agiugne assenzo quanto
è la quarta parte de' mirabolani. E tucte queste cose si
conficino col
mèle, e
pigliasene ogne die quanto è la grandeza d'una avellana, e a la
pruça seccha giova bagnarsi ne l'aqua calda, e
stropiciarsi nel bagno
d'acqua calda, e d'olio rosato, e d'aceto, e di sugo d'appio, e giova
altressì bere il siero koi mirabolani e col çucchero. E sse dipo lo
spesso purgare non seguita rimedio e non guerisca, a lo 'nfermo
cotidianamente, la mattina e la sera, dipo 'l sole tramonto, grano
infranto cotto ko
mmolta acqua, kon molto
çukero bianco si dee dare
a bere, e dee bere lacte di vaccha acetoso. E quelli che à scabbia e
rogna e
pruça si dee guardare e abstenere da ogne cosa salsa e acuta e
dolce, e dee manicare
kamangiari freddi, e cose acetose e leggieri, e
lievi carni; e s'elli bee vino, sì ssia bene inacquato.
Epithima valevole e di grande efficacia a
rogna seccha.
Recipe: de
baurach, costo, sale, de condisi ana dr
. .j., de sigia dr
.
.vij., e d'aceto e olio rosato quanto è mistiere, e acciò ke sse ne possa
epithimare nel bagno e, poi ke ne fie unto e
imbutato, dimori e stea
così e poi si lavi.
Epithima a scabia e a
rogna humida.
Recipe: argento vivo,
kathimia d'ariento,
oleandro,
kondisi,
alcali,
merdasengi. E di queste cose mescolate kon aceto e olio rosato
si faccia epithima e stea cosie tucta la notte. E la mattina entri nel
bagno, e si stropicci kon aceto e
usnen verde, e poi si lavi coll'acqua
kalda. E queste cose facte, sì li si
spargha acqua fredda adosso e
ungasi con olio rosato ' escasene fuori.
E a la scabbia e
rogna vecchia giova molto pilliare ciascuno de'
tre dì il peso d'uno aureo d'alloe, la qual cosa si conviene anche fare
intramessi altri tre die. E se per questo avenisse
scorticamento de le
budella, sì ssi converrà medicare e guerire. E questo manda via la
rogna e 'l piççicore e la
pruça.
Epithima a la
rogna ke, essendo buono e forte, non fa né
ampolle, né
adustione, né nocimento.
Recipe:
merdasengi e attramento giallo iguali pesi, e queste cose
per una septimana si pestino co l'aceto, e poi si ripongano. De le
quali cose, quando fia mestiere, se ne faccia epithima.
L. V, cap. 28 bis rubr.De sare e sua cura .xxviij.
L. V, cap. 28 bisQuando questo male aviene,
scemisi sangue. E se 'l ventre è
molle, cioè
solubile e largo, da'
ssugo di melegrane
muze, cioè
um poco acetose. E s'elli è stitico, da' i beveraggi ke ssono detti di
sopra, e metti lo 'nfermo ogne die ne l'acqua calda tre volte, e
dàlli a
mangiare cibi ne' quali sia aceto e olio di mandorle. E ancora a questa
infertade giova il latte acetoso, e aiuta
trocischo de
spodio o di
camphora col sugo de le melegrane. E se questa infertade fosse molto
grande, purga il corpo co la dicotione de' mirabolani citrini. E se con
questo
abbia grande
adustione e arsura,
pestisi la melagrana ko la
scorça sua e
priemasene fuori il sugo, nel quale si metta zucchero
biancho, e diesi a bere.
E a questo male giova prendere il siero, e bere del seme de la
porcellana kol
julep e del
psillio dr
. .ij., e usare cibi i quali si fanno ko
l'aceto e col
sommaccho, e prendere
thisana, cioè
bollitura d'orço, e
latte e aceto.
L. V, cap. 29 rubr.Capitolo .xxviiij. De fafaf, cioè sudationi. Rubrica.
L. V, cap. 29La phafaf, cioè le sudationi, non esce fuori se nom per
moltitudine di sudore, a la quale infertade giova stare ne le case
fredde, e lavarsi con acqua dolce e fredda, e ungnere le luogora ove di
sudatione suole nascere con acqua fredda e acqua rosata e olio. E
ancora a questa infertade giova, poi ch'ella è nata, atarsi col çafferano
orientale, e co le vene de la celidonia, e aceto, e olio rosato. E alcanna
e sale si prendano e si mescolino koll'aceto, di ke i luoghi nel bagno
s'epithimi tanto ke un'ora passi; si lasci così stare e poi si lavi, e
freghi, e stropicci co la cruscha.
L. V, cap. 30 rubr.
Capitolo
.xxx. De la
impetigine, cioè
volaticha.
L. V, cap. 30
Quando la
'mpetigine, cioè la
volaticha,
comincia et ella non fia
fitta ne la carne, sì ssi puote guerire kol grasso de la
ghallina, o
dell'anitra, o con cera e olio rosato, o con
dragaganti, o
gummo di
susino, o coll'olio del grano, o con bituro, cioè burro, cotto o col
crudo si freghi
. E ancora vi si gitti suso acqua dolce
tiepida e si
tengha da quelli cibi ke generano
kollera nera quelli che ll'àe. E s'ella è
profondata ne la carne, e vi sia scorçe e aspreza, sì ssi conviene
purghare e votare kol torre sangue e co la dicotione de l'epithimo, e
col siero coll'epithimo, e ancora con tutte quelle cose ke noi dicemo
nel capitolo de la
rogna, e che noi diremo nel capitolo de la
maninconia.
E le mignatte si debbono
pore ivi suso, il quale luogho si dee
lavare coll'acqua
kalda quando ne fieno levate et elle avranno
sugato, e dovrassi priemere il luogo altressì. E le
sanguisciughe vi si
debbono porre molte volte nel modo k'è detto e tanto si faccia infino
ke
ssugando si ne traghano tucte le superfluitadi k'è ivi.
E dipo questo, l'epithima di
sapha vi si pongha. E se questo
non basta, il luogho tanto si
strupicci ke 'l sangue n'escha e poi vi si
gitti suso polvere d'acuto
medicamento, la quale cosa tanto si dee fare
ke la carne appaia rossa e sana, e poi si medichi ko l'unguento tanto
ke
guerischa.
E di quelle cose ke mandano via e gueriscono la
volaticha sì è:
stropicciarla co l'
acetositade del cederno, cioè suo sugho, e
armoniacho, e aceto, o kon
massacumia mescolata coll'aceto e è
epitimatha, o kon
mugath e aceto.
E ll'olio del grano è buono a la
volaticha quando comincia, il
quale si fae in questo modo: prendasi il grano netto e mondo, e
mettasi in uno bossolo di vetro, e sia intorno intorno
inbiutato ko la
mota (o altra terra di ke ssi fanno le vasella) il volto; la cui boccha si
turi con una
palla facta di
fila di rame, la quale si costringa nel collo
del detto bossolo, acciò ke non lasci uscire fuori del bossolo il grano
quando il suo capo è tornato di sotto. E poi si prenda un
testo nel
quale huomo suole tenere il fuocho, nel mezo del quale sia uno foro
per lo quale il capo del predetto bossolo si ponga. E poi intorno lui e
di sopra si pongha sterco di vacha (o di bue) seccho, nel quale
s'acenda il fuoco a poco a poco, e sotto 'l foro k'è nel
testo si ponga
alcuno vasello nel quale si riceva quello ke esce del grano, del quale la
volaticha si conviene
epithimare e ungnere, imperciò ke questo è
maravilliosa kosa a
guerirla.
L. V, cap. 31 rubr.Capitolo .xxxj. De la morfea bianca e sua cura.
L. V, cap. 31A la morfea bianca giova se ssi fregha al sole kon seteregy, e kol
seme del rafano, e co la robbia, e kol condisi, e ko la senape trite, e
kol forte aceto mescolate. E si pigli la cipolla k'è kiamata bulbus e si
stropicci con essa al sole spesse volte ogne die; le quali cose se
nom bastano, de la trifora minore si prendano dr. .ij.; e del turbitto, e
de la polvere, de la pigra ana dr. .j.; e de la coloquintida la quarta parte
d'una dr.; e questo si dee prendere ciascuno mese tre volte o quatro.
E nelli altri dì che non userà questo medicamento, pigli
continuamente il peso di tre dramme di sola trifora e usi quello
regimento ke noi nominammo nel capitolo di quelle cose ke
rritardano la canutezza.
L. V, cap. 32 rubr.Capitolo .xxxij. De la morphea nera.
L. V, cap. 32Quegli che à la morphea nigra sì gli si dee scemare sangue, e sì
ssi dee purgare coll'epithimo e, dopo questo, col
seme del
rafano, e
col condisi, e seme dell'eruca, e coll'aceto, si dee il luogho
epithimare.
E quegli che ll'à entri nel bagno spesse volte e usi cibi
humettativi,
cioè che abbiano a umettare e ammollire, e regasi e guardasi col
regimento che ssi reggono colloro che ànno il male della
menanconia.
L. V, cap. 33 rubr.Dell'abaras.
L. V, cap. 33Nel
medicamento de l'
albaras si dee usare quello medesimo
reggimento kente s'usa nel
medicamento de la morfea
bianca, e
spesse volte si conviene fare reddere per boccha, e si debbono dare
de' cibi
diseccativi, e quello
regimento si dee usare ke ritarda lo
'ncanutire, e ordinatamente s'aparechi a prendere del lattovario delli
anacardi e usi questo epithima.
Recipe: de
seteregy d'
Ynda, e de
kebikegy, e de
saphisagria e de'
ventri de le
kanterelle (cioè
levatine i
capi) ana parti iguali. E tutte
queste cose si mescolino coll'acqua ne la quale la robbia sia cotta, e di
queste cose si freghi il luogho fortemente o stropicci col bulbo, e
pongavisi suso l'epithima. E a questa
infertà giova d'
epitimarsi col
sangue del nero serpente e de la nera serpe, imperciò ke 'l nero
serpente àe
propietade di questo adoperare. E s'elli aviene cosa ke 'l
luogho ove appare la
'mfertade sia piccolo, sì ssi vorrà cuocere col
fuoco, e poi tanto lungamente medicare infino ke ssi lievi e tolga il
fuoco e l'
arustiscimento, o elli si dee tanto lunghamente
strupiciare
col sugho delli anacardi ke vi si faccia vescicha. E la carne ov'è
l'
albaras si corroda e apresso si dovrà medicare il luogo infino k'elli
sia guerito, o il luogho si dee tignere con quelle cose ke fanno rosso o
nero.
Tintura, la quale il luogho de l'
albaras reca al colore del corpo,
sì è ke ssi prenda
aloxanth, mirra, feccia di vino, rubea, macra,
albume, e di queste cose si
strupicci il luogo molte volte tanto ke lo
'nfermo n'abbia angoscia, imperciò ke questo tigne il luogo, e la sua
tintura dura
.xx. dì. E se questa
infertà aviene ne le luoghora ove
ventose si solliono porre, sì ssi dovrà di loro primieramente trarre
sangue ko le ventose. E poi k'elle ne fieno tracte e levate, il luogho si
dovrae
epithimare: di
merdasengi
imbianchato, e robbia, e aceto
s'epithimi; o quando il sangue ne fie tracto, la
ventosa
amarath ke
abbia sugo vi si pongha suso e
lascivisi stare lunghamente, o in sul
luogo, poi ke le ventose ne fieno levate, epithima di robbia e
satharagi
mescolate koll'acqua, ne la quale
bracil sia cotto, vi si pongha. E se la
quantitade di questa infertade prenderà e occuperà il luogho de le
ventose tucto, sì ssi lascino stare le ventose e se scemi sangue de la
vena spesse volte.
L. V, cap. 34 rubr.Capitolo .xxxiiij. De la malattia e lebbrosia. Rubrica.
L. V, cap. 34Se a questa infertade si
soccorre incontanente k'ella
comincia,
possibil cosa è k'ella si
guerischa o si
ripriema e ssi menomi; ma poi
k'ella avrae i membri fediti e rossi e avrà corropte le lor figure, forse
non si potrà guerire. Poi ke l'huomo vedrae offuscare e
abrunire la
biancheza delli occhi, e la
boce diventare rocha, e 'l sudore sarà
puçolente, e 'l volto fia
emfiato kome otre con gran rosseza, e alcuni
nodi vi si cominceranno a ffare, e i peli de le cillia si
sotilieranno, sì lli
si conviene soccorrere.
Dumque conviene ch'elli si socorra a lo 'mfermo nel
cominciamento co lo scemare sangue de la vena comune del braccio
diricto, poi si lasci riposare alquanti die. E in quelli ke ssi riposa kon
carne di cavretto e di
castrone si notrichi, e vino kiaro e di buono
odore e molto temperato bea, e mettasi ogne die nel bagno. E poi li si
tolgha sangue del braccio mancho, e si lasci riposare per alquanti dì, e
notrichi sì come noi dicemo. E ogimai li si dea molte volte la
dicotione de l'epithimo, entra le quali avengha ke ll'una seguiti l'altra,
sì ssi converrae avere in mezo riposo.
E lo 'mfermo sì usi cibi ke abbiano a
humentare e
ranmollire; e
ongne die si metta nel bagno; e da la faticha, e dal veghiare, e ancora
da tucti quelli cibi, dai quali melancolia si genera e ke noi
comandiamo ke lli infermi si guardino, sì ssi
abstengano e guardino.
E 'l siero col çucchero si dee dare spesse volte et elli si dee reggere in
cotale maniera, sì come quelli che disidera d'
innumidire il suo corpo e
la sua persona, e dêsi
strupicciare nel bagno ko la farina de' ceci, e de
le
fave, e del
barac, e
usnen, e si dee spesse volte
inmollare e bagnare
coll'acqua
tiepida, e ungasi coll'olio del seme de le zucche e col
violato, e così esca fuori del bagno. E quando questa
infertà fia
apiccata ad alcuno fortemente e
dimorrae in lui quasi fixa e
ferma, sì
ssi dovrae medicare ko la carne de le vipere. E 'l corpo di colui che
usa questa medicina si
emfia e raffredda, e
stae per alquanti die sança
sentimento, e poi si viene
scortichando, et esce del suo luogo
scorticato carne tenera.
E così si cura e sana lo 'mfermo da la sua infermitade, sì come
noi abbiamo saputo e inteso per lo racontamento delli antichi, la qual
cosa noi
crediamo ke ssia vero, e sì come nel nostro tempo k'elli
aviene non molto di lungi, imperciò ke mi racontoe uno k'elli guerì
una femina con queste medicine, la quale la malattia avea già molto
assalita fortemente, e guerì.
E 'l
medicamento de la malattia colle vipere è questo.
Piglisi le vipere de' monti ove non è né palude, né fango e
luto,
e
taglinsi i loro
capi e le loro
code, e
gettisi via ciò ke ssi truovi nei
loro ventri, e si lavino, e poi si pongano ne la
pentola nuova ne la
quale sale e
aneto, e galanga, e pepe, e acqua si debbano mettere, e
tanto si debbono cuocere ke tucta la carne si disfaccia. E questo fatto,
lo 'nfermo bea quello brodetto e manuchi la carne. E s'elli averrà
scotomia, cioè ke li paia il mondo girare intorno intorno, e
caggia, già
lgli basta. La qual cosa se nolli aviene, sì lli si conviene ancora dare
quello medesimo, la qual cosa tanto si conviene fare ch'elli
emfi. E
quando elli
komincerà a emfiare e ad avere scotomia già li basta.
E io medicai uno adolescente, cioè
dintorno a
.xiiij. anni d'etade,
nel cui volto si cominciavano già a ffare nodora e peli
inchominciavano a cchadere, al quale io cominciai a ssoccorrere ko lo
scemare sangue e col purgare co la dicotione de l'epithimo e co le
pillole che purgano la collera nera, e fecilo entrare spesse volte nel
bagno e nella stufa, e dielli cibi ke avieno a
humentare e a
inhumidire,
e poi il feci riposare per alquanti die,
notricandolo con cibi ke fanno
buono nodrimento. E dipo 'l riposo sì ritornai al purgare, la quale
cosa io feci tante volte ke più di
.xL. volte il purgai in ispatio di
.v.
mesi e di pochi die. Le quali cose facte, i peli che lli erano
kaduti
kominciarono a
rinascere, e 'l volto e 'l colore melliorare, e lli occhi si
cominciarono a rischiarare, e fu interamente
prociano a la santade. E
apresso, imperciò ke da noi si dipartì, il
regimento e la vita (kon che
noi il guardavamo) lasciato stare e abandonato, dipoi
.vij. mesi il
trovai del tutto in tucto perfettamente guerito. E mi racontoe k'elli
avea quello medesimo
regimento usato quando elli era fuori k'elli
solea essere retto da me, fuori ch'elli nom prese medicina da purgare,
fuor ke siero.
L. V, cap. 35 rubr.Capitolo .xxxv. De le verruche e de' porri e loro cura.
L. V, cap. 35Le
veruche e ' porri se ne lievano e tolgono se ko le
foglie de le
mortine molte volte si strupiccino fortemente, e co le
foglie verdi de'
cappari o ko l'aceto saranno
fregate e stropicciate, e s'elle
s'
epithimano ko lo
'mpiastro ke apre li apostemi, sì come noi diremo
nel capitolo, o ss'elle sono
scorificate. Le quali cose certo sono
medicamenti acuti e
freghamento e
stropiciamento koll'aceto e col
sale, e molte facta volte il die giova, overo ke ssi faccia epithima kon
karmesich e aceto, o elle si
freghino molte volte coll'aceto, imperciò
ke l'
evella e
heradica infino a le barbe, o ssi
stropiccino co le
sirokaratte recenti de
Romania.
E le
verruche e i porri ke ànno molte radici, konviene
scarifigere
tucte le radici e i luoghi ke ssono intorno a lloro, e sopra la
scarificatione del luogo spargere polvere d'
aguto
medicamento, la
quale cosa tanto si dee fare infino a tanto ke tutta la carne si
corroda
e se
deniegri, e poi vi si pongha suso il biturio, tanto ke ssi dolgha e
lievi quello k'è annerato. Le quali cose così fatte, a quello medesimo
si conviene
tornare molte volte ponendovi suso l'una volta il bituro e
l'altra volta il
medicamento acuto. E poi che del tucto in tucto fia
corrosa, si dovrae medicare il luogo con quelle cose ke generano
karne.
E se moltitudine di
veruche o di porri sono nati ne la persona
d'alcuno, togli spesse volte sangue e purgalo kon quelle cose ke noi
diceremo nel capitolo de la malinconia. E in quel mezo coi cibi e col
bagno, mentre ke tu ffai queste cose, sì l'
humenta e
ramollisci. E nel
suo
medicamento usa quelle cose ke tu usasti nel
medicamento de la
lebbrosia e malattia.
L. V, cap. 36 rubr.
Capitolo
.xxxvj. Di quelle cose ke generano i peli ne'
nepitelli.
L. V, cap. 36Collirio il quale fae i peli spessi ne le nipitella.
Recipe: l'ossa de' mirabolani arsi e arrostiti dr. .v.; fummo
d'oncenso dr. .iiij.; spigo d'India e di carpobalsemo (cioè del seme e
del frutto), e del balsamo ana dr. .iij.; e de la pietra lazuli dr. .x.; e di
tucte queste cose fa' kollirio nel quale il radio, cioè lo stile del medico
da occhi, si metta ciascun die, si tragha e meni intra le nipitella.
E a le nipitella alcuna volta aviene dipelamento, la quale in
questa maniera si de' medicare. Il radio, cioè quello stile o istrumento,
ke ffia molte volte il die intinto nel sugo de la cipolla, si tragha e meni
per le nipitella e apresso vi si metta il collirio. E d'alcuno delli
epithimati ke noi nominamo vi si faccia epithima.
L. V, cap. 37 rubr.Capitolo .xxxvij. De' pidocchi de le nipitella.
L. V, cap. 37Le nipitella si ne nettino imprima finemente, e poi si lavino
koll'acqua ' il sale, e poi si pesti
allume iameni, del quale si metta col
radio ne le nipitella. E se ne le nipitella sarae moltitudine di
pidocchi,
sì ssi metta il volto spesse volte sopra ll'acqua calda, e si nettino le
nipitella de'
pidocchi, e vi si metta sief di queste cose.
Recipe: de la terra de l'ariento vivo, e de l'arsenico rosso, e de
staphisagria ana iguali parti, di
gommo la quarta parte d'una de le
parti, e di queste cose si faccia sief. De' quali, quando fie mistiere,
alcuna cosa si risolva e disfaccia ne l'acqua, ne la quale quel
radio
(cioè strumento) mollato si traggha e meni per la stremità de le
nipitella e per le radici di peli con grande sottiglieçça e
cautela. La
qual cosa facta, sì ssi convengono tenere le nipitella lunghamente ke
non tochino l'occhio.
L. V, cap. 38 rubr.Capitolo .xxxviij. De l'orçaiuolo.
L. V, cap. 38Quando nell'occhio fie orçaiuolo, cioè apostema lungo
somilliante all'orço o al panico, comanda a lo 'nfermo ke la mattina si
bagni spesse volte, e k'elli si tengha da la cena, e non dorma pieno il
ventre, quod si non fecerit pone de super parum de unguentum quod vocatur
diaquilon, il quale noi nomineremo nel capitolo de le scruofole, o tu
disolvi la cera, e 'l radio intinto ne l'acqua calda trai e mena sopra llui,
o i minuçi del pane mescola coll'acqua tanto ke diventi sì come la
massa, e pollovi suso. O tu ll'ugni ko la storace liquida, e lo 'nfermo
entri spesse volte, sì come detto, nel bagno, e tengha il volto sopra
ll'acqua calda.
L. V, cap. 39 rubr.Capitolo .xxxviiij. Quando dopo 'l dormire non si possono
aprire li occhi.
L. V, cap. 39S'alcuno dopo 'l dormire no à potentia d'aprire li occhi,
konviene spesse volte entrare nel bagno, l'acqua calda coll'olio
spargere i· sul capo, e porre il volto sopra 'l vapore de l'acqua calda, e
imbiutare e mollare li occhi col panno mollato nell'acqua calda, e
ancora huovo e olio rosato mescolati con grasso di gallina insieme
dibattuta e conquassata, e mettasi in su le nipitella nell'ora del
dormire; o scariola pesta con l'olio rosato vi si ponga suso.
L. V, cap. 40 rubr.Capitolo .40. Delli occhi che strabuçano in fuori per vomire.
Rubrica.
L. V, cap. 40Se per vomire o reddere ke ssia facto, o per molto
isforçarsi, o
per molto gridare, o per percossa, o per cose somillianti a queste li
occhi
strabuçino in fuori, incontanente in quella hora si scemi sangue
e diesi cosa ke faccia uscire fortemente. E gli occhi s'
epithimino
d'alloe, e di litio, e d'acacia, e col sugo
taratraich, e si
ripriemano, e
nel luogho de la
repercussione (o
repensione)
ruotola piccola de colla
si pongha, e
stringasi di sopra, e lo 'mfermo
giaccia e stea supino, e si
guardi da starnutire e dal reddere, e tenga ne la boccha alcuna cosa ke
lli faccia uscire il flemma per la boccha, e faccia
gargarismi, e menomi
i cibi, e vino in niuna maniera bea.
L. V, cap. 41 rubr.Capitolo .41. Del puçço del naso e sua cura e medicamento.
L. V, cap. 41Se nel naso sì è reo odore, allume, mirra e galla prenda, di
ciascuno igual parte, e tucte queste cose si pestino. Le quali cose
facte, lo 'nfermo
sughi kol naso vino odorifero molte volte, e apresso
si
soffi nel naso del predetto medichamento, o lucignolo vi s'intingha
entro, e mettasi nel naso.
L'altro
medicamento.
Recipe: calamo aromaticho, seme
nefin, seme di rose e di
garofani ana dr
. .j., galle e mirra ana dr
. 1/2, moscado tanto quanto
pesa un granel d'orço pestinsi, e con essi si medichi il naso.
L'altro
medicamento.
De spica inda, galla, garofani ana dr
. .j.,
kuokansi tucte queste
cose in tre libre di vino bene odorifero e buono, il quale si sughi col
naso e se ne faccia
gargarismo, e lucignolo vi si intingha entro e
mettasi nel naso.
L. V, cap. 42 rubr.Capitolo .xLij. Del puço de la boccha.
L. V, cap. 42Se ne la boccha sia dente corrotto, o ne le
gengie putrefatione,
dal quale reo odore si creda venire, procura di trare il dente. E le
gengie corrotte medicha kon
chaliditon, cioè
trocischo facto
d'
auropimento, e la
chavitade; e noi l'abbiamo già nominato e detto.
E se dal palato a la boccha fosse disceso homore ke avesse mal
sapore, imperciò ke lo 'nfermo l'à per senno e
sentimento
manifestamente
konosciuto, farai
gorgolliare lo 'nfermo
kotidianamente sciroppo acetoso ko la senape. E ancora in quel
medesimo die fae
gargarismo di vino, nel quale sieno cotti garofani, e
gallide, e spigo d'India, e
cipari. E se col
puço de la boccha non fosse
alcuna cosa de le predette ke noi abbiamo nominate, fate lo 'nfermo
rigittare, poi ch'elli avrae manicato cose salate, e senape, e bietole, e
avrae bevuto l'
ydromelle. E
donateli a pilliare spesse volte de la
gerapigra, e guardalo da' cibi grossi e
unctuosi, e non manuchi se non
le cose
fricte e quelle cose ke ssi cuocano ne la
padella. E manuchi
pane intinto ne l'
almury de
Romania, e ne bea a digiuno anzi k'elli
manuchi. E ancora il vino k'elli usa abbia seco mescolato um poco di
cipari, spigo e garofani, e pilli di queste pillole de le quali questa è la
loro descriptione.
Recipe: gallia, garofani,
cennamo, noci moscade, spigo,
cipero,
scorça di cederno, e legno aloe per iguali parti, e del moscado, de le
.xx. parti l'una de le predette cose. E di tucte queste cose, mescolate
con vino bene olliente, si facciano pillole a la grandeza di cece, de le
quali si pigli ogne dì la mattina
.iij. dr
., le quali lo 'nfermo mastichi
um poco e
traghiotischa il sugho.
Medicina provata che molto giova al
puço de la boccha, il quale
medichamento è milliore di tucti li altri et è manichare spesse volte de
l'appio, imperciò ke questo è
medicamento molto forte.
L'altro
medicamento.
Prendasi de la sommitade e de le
frondi dell'albore ke ffae le
mortine quando è verde, e insieme coll'uve passe e altretante in
quantità, de le quali sieno tratte le granella loro, o loro
semi si
prendano e si pestino insieme, e se ne facciano
mandaleoni e
pallottole a grandeza di noce, de' quali uno ne prenda la mattina e
uno la sera quando vae a dormire.
Demtifricio, cioè cose da stropiciare i denti, ke ffae venire
buono odore de la boccha.
Recipe: spigo, ciperi, rose e
foglio, gallia, scorçe di cederno,
garofani, amomo, scorça di legno alloe, mastice, sale arso e del mèle
ana iguali parti, e si mescolino e freghi con esso i denti.
L. V, cap. 43 rubr.Capitolo .xLiij. Di quelle cose ke l'odore del vino spengono.
L. V, cap. 43Se i cipari si masticano dopo 'l vino, sì ripriemono il suo odore,
e sse le kubebe fieno co lloro mescolate, sì operranno assai mellio.
L'altro medichamento.
Ciperi, cubebe, zedoario, si mastichino e si freghino i denti con
essi.
E di quelle cose ke ripriemono e spengono l'odore del vino è,
quando huomo l'ae bevuto, è manichare cose acetose (sì come sono
senape e cipolle condite e concie ko l'aceto), e bere aceto, e
mastichare del coriandro.
L. V, cap. 44 rubr.
Capitolo
.xLiv. Di quelle cose ke spengono l'odore delli
agli,
e de' porri, e de le cipolle, e dell'altre cose simili.
L. V, cap. 44Cascio talliato piccoli pezzuoli e morselli e fritto nell'olio
onfacino, cioè k'è fatto d'olive mal mature, kol quale sieno mescolati
molti garofani, si manuchi. Quando huomo avrae mangiato alkuno
de' predetti agrumi, o koriamdro verde o seccho, sì mastichi dipo essi
fortemente. E del suo sugo si mandi giuso um pocho, o ssi
manuchino dop'essi fave o lente arrostite, o ssi mastichi ruta e se ne
mandi giuso um poco; o la sumità o la stremità de alaulaich si
mastichi, dipo 'l cui mastichamento um poco di vino odorifero si bea,
o menta o mentastro si mastichi, e dop'essi si prenda um poco
d'aceto.
L. V, cap. 45 rubr.Capitolo .xLv. Di quelle cose che tolgono il fluxo e 'l
gociolamento de la saliva e de la bava.
L. V, cap. 45Quelli a cui questo aviene manuchi scaruole ricenti col sale a
digiuno per molti die, e açuech, e spesse volte faccia gorgolliamento;
e bea ogne die la trifera minore, e spesse volte redda e vomischa,
imperciò ke questo lieva e manda via di tucto in tucto. E a questo
male giova bere l'acqua calda la mattina, e almuri de Romania, e vino
cotto bere, e grano infranto arustito kosì asciutto manichare; e giova
mangiare la sera presso a la notte tortelle con almury nabati.
L. V, cap. 46 rubr.
Capitolo
.xLvj. Di quelle cose ke non lasciano i denti
corrodere e nettano i denti.
L. V, cap. 46Dentifrycio il quale netta i denti e tolle via e lieva le cave. Pestisi
il salegemma e la spuma di mare e se ne freghino i denti, imperciò ke
molto giovano.
L'altro da fregare i denti.
Ciperi, alkaly, salegemma, spiuma di mare si prendano per iguali
parti, e di queste cose trite si freghino i denti.
L'altro.
De' testi delli orciuoli verdi e del nitro de Syria, alkaly, si
prendano per iguali parti e se ne pestino e se ne freghino i denti
solamente, ma la carne de le gengie se ne guardino molto bene. E i
denti si guardino k'elli non si facciano cavi, se ciascuno die elli
s'unghono con l'olio.
L. V, cap. 47 rubr.Di quelle cose ke non lasciano corrodere i denti .xLvij.
L. V, cap. 47I luoghi de' denti
corrosi si riempiano di mastice e d'allume, e i
denti che fossero già
corrosi si medichino kon questo medesimo
medicamento, e ancora si strupicino com pepe e con ciperi triti. E le
galle del cipresso, e 'l
guscio, e 'l
fructo del
tamarici si prendano e si
pestino e facciasi con essi
dentifricio. E se la
corosione fosse grande e
avesse cominciato a ffare male a molti denti, sì ssi conviene purgare il
ventre de la collera rossa molte volte, e dare cibi ke abbiano a
humentare, e guardarsi da le cose salate e agre, e conviensi usare
quelle cose e quello
regimento kente acostuma a usare quelli che
vuole ingrassare.
L. V, cap. 48 rubr.Ancora di quelle cose ke non lasciano kadere i denti ke ssi
crollano .xLviij.
L. V, cap. 48Balaustie, allume, e galla, acacia, ypoquistidos si pestino, e con
esso si stropiccino le radici de' denti conmossi e che ssi crollano.
Mirabolani citrini, emblicy, galle, allume, si pilglino per iguali parti e
tritinsi, e si mischino coll'aceto, e se ne faccia trocisci. E quando fie
mestiere, sì sse ne freghino e stropicino le radici de' denti ke ssi
crollano. E s'elli si crollano fortemente, quelli che ssi crollano sì ssi
leghino coi sani kon katena e filo d'oro.
L. V, cap. 48 bis rubr.Capitolo .xLviij. Di quelle cose ke nettano le
superfluitadi delli orecchi.
L. V, cap. 48 bis
Quando verrae l'ora del dormire, sì ssi metta nelli orecchi olio
tiepido, e la mattina entri nel bagno e giaccia sopra l'orecchie che ssi
vuole nettare, e faccia l'orecchie procciano a lo spaço del bagno, cioè
pongha l'orecchie suso lo spazzo de la stufa, e tengalo ivi tanto k'elli
n'esca fuori ciò ke nne puote uscire, e poi quello ke vi rimane dentro
si ne metta fuori col
radio, cioè con quello cotale strumento, avolto
da
banbasgia intorno intorno.
L'altro.
Aceto e
baurach si metta nell'orecchie, e quando vi sieno
um poco stati entro, sì sse ne tragano fuori, la qual cosa si conviene
poscia fare nel bagno molte volte, e si dee tenere l'orecchie una peçça
sopra l'acqua
kalda ke riceva il
fummo e 'l
vapore, e poi si dee
l'orecchie nettare col
radio involto di bambagia dentro, e dee spesse
volte intrare nel bagno (cioè ne la stufa) e guardarsi ke quella cotale
ordura non vi cresca nell'orecchie troppo dentro.
L. V, cap. 49 rubr.Capitolo .xLix. Di quelle cose ke non lascia venire puço de
le ditella.
L. V, cap. 49
Litargiro imbiancato s'
imbiuti o ssi
spruzi koll'acqua rosa, ne la
quale sia
spruçata
kanfora. De le quali cose, fatti trocisci, si cuoprano
di sotto e di sopra ko le rose e stieno così tanto ke ssi disecchino, poi
si ripongano e con essi, quando fie mistiere, si faccia il
medicamento.
O tutia kon acqua e con sale, lavata con acqua rosata e
champhora si
comficiano e
usisi quando è mistiere; o di rose rosse libra una, o di
gallia di spico, e di ciperi, e di mirra, e d'allume ana on
. .j. si
prendano, e con essi e acqua rosa si formino
troicisci koi quali si
faccia epithima quando fia
metiere.
L. V, cap. 50 rubr.Capitolo .L. De le cose ke non lasciano i pie' sudare.
L. V, cap. 50Le cose ke non lasciano i piedi sudare sono queste.
Strupiccinsi i piedi coll'allume dissoluto ne l'acqua e disfacto, o
co le foglie del cipresso, o cho le foglie del tamerici, o ko ll'acqua de
le mortini (o del suo arbore ke le porta) expressamente sia virtù e
propietà di torre e di levare via il sudore de' piedi.
L. V, cap. 51 rubr.Capitolo .Lj. Di quelle cose ke 'l sudore no lasciano avere se
non buono odore.
L. V, cap. 51Le capita de' cardi si manuchino, e 'l seme del ginepero si bea
ogne die ko la cassia lingnea, e 'l corpo si stropicci coi trocisci de le
rose, i quali noi nominamo nel capitolo del puçço de le ditella, e
com questo si strupicci e bea vino inacquato, imperciò k'elli fa buono
odore, e manuchi de l'appio.
L. V, cap. 52 rubr.
Capitolo
.Lij. De le cose ke tolgono il puçço de l'orina e dello
stercho.
L. V, cap. 52Vino bene oloroso si dee bere, e 'l seme del ginepero si dee
manichare nel tempo freddo, e la cassia lignea si dee manicare, e 'l
cibo, il quale userà, abbia in sé molto di cennamo e di galanga. E
fieno greco, o kose arustite, overo amuden, e huova, et erucha, e agli,
e cipolle, e senape, e stagara in niuna maniera manuchi, e guardisi dal
fastidio.
L. V, cap. 53 rubr.Capitolo .Liij. Di guardare i corpi morti che no putiscano.
L. V, cap. 53
Coloquintida,
baurach rosso sì fae
suppositorio, cioè supposta o
cura, e mettete di sotto del fondamento del morto stando il capo di
sotto, e fortemente si conmuova e scossi, e poi il
diriçino e
ripriemano tanto ke la sopposta n'esca. E poi di quello medesimo si
faccia ancora l'altra supposta e cura, la qual cosa tante volte si
conviene fare che tutto lo sterco esca fuori ch'è nel ventre.
E queste
cose fatte, alloe e mirra, e
acoscia, e ramich, e ganfora se prendano, e
de tutte queste cose destemperate ne l'aqua rosa fata sopposta, overo
cura, si metta di sotto nel fondamento, e poi si
richiuda il
fondamento di sotto ko la bambagia involta in questa medicina, e se
ne turi bene; e poi che ne l'aceto e nell'acqua rosa stemperati insieme
la
soposta, overo la cura, sia facta, tucte le sue giunture s'ungano, poi
che co lloro fia mescolato um poco di sale.
E nel naso si
gitti um po'
d'ariento vivo puro. E poi tucti suoi forami del corpo, kon questo ke
noi abbiamo detto, si costringono e si
condischa con aloe, e mirra, e
gallia, e allume, e sale per igual mesura preso di ciascuno.
E ongne morto che giace sopra 'l suo volto e sopra la sua faccia
non avrae il ventre
imfiato. E quando nel suo naso si mette argento
vivo, il suo
celebro nolli
colerà per lo naso né per altra parte.
E di quelle cose ke 'l corpo del morto non lasciano infracidare è
k'elli s'
imbiuti e ungha con
alkitran, cioè pece liquida.
L. V, cap. 54 rubr.Capitolo .Liv. Di quelle cose ke i testicoli (cioè i collioni) de'
fanciulli né le mammelle de le pulcelle non lasciano crescere né
pendere giuso.
L. V, cap. 54Il comino si pesti e di lui, inaffiato coll'acqua, si faccia
empiastro, il quale con panno lino molle in acqua e in aceto si
stringha e non si disciolga infino a tre die. I quali tre die trapassati,
cipolla di biancho lillio si pesti e di loro con aceto e acqua mescolati
insieme si faccia impiastro, e vi si pongha suso e vi si leghi e, per tre
die stando, non si
sciolgha. La qual cosa si conviene fare alquante
volte il mese. E ancora due pietre di mesen insieme con acqua e aceto
si conviene
strupicciare e freghare, e di quello ke ssi risolve e cade e
gocciola da lloro s'
empithimino et
empiastrino, o ungano i testicoli e
le poppe, imperciò ke questo li conserva e guarda in suo stato. O
allume con olio rosato si pesti e le mammelle con eso ogne die
s'ungano, imperciò ke per questo cotale
medicamento la loro
piccioleza
durrae lungamente. O ssi prendano bolo armenico e galle
verdi trite parti iguali, de le quali cose,
inaffiate e
consparte kol mèle,
si faccia empiastro o epitima, il quale, poi che ffia così stato, per uno
die sì ssi lavi coll'aqua fredda, e questo si faccia il mese più volte; e la
picoleza
durrae loro lungho tempo.
E quelle cose ke i testicoli, cioè i collioni,
konservano e nolli
lasciano crescere è ke ssi prendano
timolea e cerusa per iguali parti,
de' quali col sugo del giusquiano e coll'olio de le
mortini bagnate e
comsparte si faccia
epithina, imperciò ke queste cose né i collioni
crescere, né ' peli nel pettingnone non lascia nascere, usandole nel
modo di su detto.
L. V, cap. 55 rubr.Capitolo .Lv. De le rusticheçe k'avengono ne l'unghie.
L. V, cap. 55Inperciò ke sse l'unghia è
uncinuta in entro, per tre die
impiastro di grasso sopra ssé dee avere, e poi si
disleghino. E ss'elli
aviene cosa ke poscia ke lo
'mpiastro ne fie levato l'unghie si truovino
molli, tanto si debbono freghare e stropicciare k'elle sieno iguali.
E
s'elli fia mestiere, a questo medesimo si converrà reddire e tornare
tanto ke ssieno iguali
. E se ll'unghie sono tignose o
scrignute,
coll'aceto, e
afragi, e sale, e feccia d'aceto si debbano
epithimare, o elli
si faccia empiastro de la squilla e dell'olio sisamino, cioè del sisamo. E
l'unghie ke ssi fendono, da le quali parti secche si dipartono, coloro
ke ll'àno così fatte si debbono purgare de la collera nera; e i corpi di
quelli cotali si debbono
humentare e
ranmollire. E l'unghie con cera,
e con olio, e con grasso, e midolla, si debbono
mollifichare e
ramollire. E per la
gialleza ke aviene all'unghie, sì ssi faccia epithima
del seme de la ruca e aceto molte volte. E se i· lloro
aparissero punti
bianchi, sì ssi debbono
epithymare spesse volte com pece
liquida. E
ancora l'unghie che ssono molto rustiche si debono medicare con
grande studio e con grande faticha, kon quelle cose ke noi abbiamo
detto nel
medicamento di ciascuna infertade di sopra, tanto ch'elli
ramolliscano e cagiano. E poi ke questo fie facto, quella unghia ke
comincerà a
nnascere in niuna maniera si tocchi kon mano, acciò ke
nolle incontri niuno torcimento.
L. V, cap. 56 rubr.Capitolo .Lvj. De le fessure del volto, e de' labbri, e de la
cotena e bucia k'è ne la parte di fuori de la mano.
L. V, cap. 56
Prendasi cera gialla, olio rosato,
ysopo
cerotes, grasso d'anitra
colato,
amido,
dragaganti e
mucillagine, seme di mele cotogne, e se ne
facia unguento in questa maniera: la cera e ll'olio e 'l grasso si
disolvano e
distrugano, ai quali l'altre cose s'agiungano insieme;
e nel
mortaio tanto lungamente si muovano, o ssi menino insieme, tanto
che ssi facciano un corpo, e ke sieno bene insieme incorporati, e con
essi si faccia
strupiciamento e
fregamento. E poi ke lo 'nfermo se ne
fie
strupicciato e uncto entri nel bagno. E poi ke 'l luogho
fesso fie
fregato e
strupicciato, draganti bene triti vi si ponghano suso, e poi si
lavi.
Medicamento a le
fessure de' labbri.
Se le
fessure fieno grandi,
pongansi le galle col mèle o sse ne
faccia epithima, o de la feccia dell'olio e di terbentina, e di grasso
d'anitra insieme mescolate si faccia epithima; o galle molto tritissime
si mescolino, co la
terebentina distructa nell'olio si mescolino, e si ne
faccia epithima, o si faccia epithima de la mastice e de l'
ysopo
ceroto,
e del mèle. E se le
labra avessero
fessura, la quale quando da alcuna
cosa si toccha le fa male, la buccia de l'huovo dentro vi si epithimi,
cioè vi si apicchi.
L. V, cap. 57 rubr.Capitolo .Lvij. De l'emfiamento e piççicore k'aviene ne le
mani nel verno.
L. V, cap. 57Sopra le
dita acqua salsa
kalda si dee versare e si debbono
mettere nell'acqua, ne la quale la bietola sia cotta, e si debbon ungere
coll'olio di
behen o kolli altri
olii somillianti a questi. E s'elli avenisse
cosa ke questo cotale male fosse grande, empiastro si faccia di sale e
di fichi triti d'olio, e cipolle, e vino.
L. V, cap. 58 rubr.Capitolo .Lviij. Di quelle cose ke ingrassano il corpo de
l'huomo e de la fenmina.
L. V, cap. 58Quelli che disidera d'ingrassare sì usi cibi
untuosi e dolci e che
molto nodriscono spesse volte, sì com'è grano cotto e
polte da bere e
dure. E si guardi di tutto in tutto da' cibi salsi e
acetosi e acuti, se non
fosse per savore e acciò ke l'apetito ne
melliorasse. E usi il dormire e
quiete e riposo in case fredde e humide spesse volte. E conviene
ancora dopo 'l cibo bagnarsi e ugnersi imprima coll'olio e poi acqua
tiepida gittarsi adosso, e
dêli essere comandato ke dinançi dal cibo
lungamente si muova
usando molle e subtile andamento, e si sofferi e
si tengha dal forte e
ratto
movimento. E ancora il suo letto sia molle.
E sempre dinançi da ssé abbia giuochi e canti. E 'l corpo dinançi dal
cibo si
strupicci e freghi infino a tanto ke um pocho cominci a
arossare, e manuchi il die due volte, e dipo 'l primo manichare entri
nel bagno. E 'l vino, il quale elli usa, sia rosso, e grosso, e nuovo, e
dolce. E de le granella ke ingrassano è il
frumento, e 'l riso, e
fave. E
frumento infranto cotto kol lacte dae molto nodrimento e spesso. E
ancora il brodetto ke ssi fae de le
brisce del pane secco e del fiore de
la farina, e la farina de le
fave, e 'l riso, e 'l lacte, e
baacca (cioè cibo ke
ssi fae di lacte e di grano e di zucchero) quando si manicha col
çuchero, e cascio ricente, e i
fructi de' quali si manucha tanto
solamente l'anima dentro col çucchero sì come mandorle ' avellane,
fistuchi, lacte, e uve fresche dolci, tucte queste cose ànno a ingrassare.
E ancora di quelle cose ke ànno a ingrassare son carne di
castrone, e galline, e huova arostite, e
juleb, e
meliche, e
thamy, e
chafea di
panas,
thauguebil, e usare sempre vino, e sempre essere a
giuochi, e a letitie e rade volte scemarsi sangue, e rade volte pilliare
purgatione, e non spesse volte bagnarsi, né usare con femina, né
lavorare, né stare sotto 'l
sole, né veghiare, e pocho soffrire fame e
sete fanno ingrassare.
Medicamento buono a ffare ingrassare.
Semi di çucche
scortichate e monde si pestino molto bene, e
s'
innaffino e
inmollino col lacte de la vaccha, e
facciansene trocisci
sottili de' quali,
disecchati la mattina, se ne prenda una
uncia, e trita
col lacte e con çuchero si mandi giù e si
tranghiottischa;
e
sorbinciuncole (cioè mangiari liquidi da bere) e somillianti cose di ceci,
e di riso, e di latte, e di bituro si facciano, e di tortelli e si beano e
manichino.
Sorbiciuncule, cioè
brodetti da bbere i quali ingrassano, si fanno
in questo modo.
Prendasi farina di riso, farina di
fave, e di ceci, e di
tortelle, e
mandorle
scortigate e
monde. De le quali cose si facciano i liquidi
manicari e cucine da
beere col lacte e con
çukero. E poi k'elli avrà
preso ongne die di queste cose e di questi mangiari, sì entri nel
bangno, dal quale, quando ne fia uscito, sì ssi
pascha con nodrimento
di lui proprio (cioè ke ssia propio a llui).
Cosa buona da ingrassare.
Mandorle scorticate e avellane, seme di papavero bianco, e
grano verde, e bituro di vaccha, e di zuchero si prendano. E tucte
queste cose,
uncte dinançi e prima col bituro e çucchero distructo,
s'
innaffino, de' quali la mattina e la sera elli manuchino um pocho.
Suppositorio e cura ke ingrassa.
Il capo del
castrone ben grasso e bene nettato si prenda e bene
si pesti, al quale meza libbra
caude e due di lacte, e di grano, e di riso,
e di cece, di ciascuno ana la quarta parte d'una libra s'agiungano, a le
quali tanto d'acqua vi si mescoli ke ssi possano coprire, e
kuocansi
tanto ch'elli sieno tucti disfatti. E poi de l'acqua colata on
. .iij., e del
grasso on
. .ij., e dell'olio rosato e olio di noci ana on
. .j. si prendano.
De' quali la notte, poi ch'elli avrae
assellato (cioè
ito a
ssella), se ne
faccia
suppositorio, il quale elli tengha tucta la notte nel ventre
dormendo, e questo si faccia
.v. volte o tre il mese, la quale cosa è
mellio se ssi fae più volte.
E di quelle cose ke ingrassano è di manicare le cose humide, la
qual cosa la scama del ferro àe a aoperare e a ffare. E noi in quello
che verrae apresso nel capitolo dello stomaco questo
nomineramo e
diremo.
L. V, cap. 59 rubr.Capitolo .Lviiij. Di quelle cose che dimagrano il corpo de
l'huomo e de la femina.
L. V, cap. 59Se alcuno vorrae dimagrare, sì lasci stare i cibi che molto
nodriscono e carne, e lacte, e vino, e ancora tucte le cose dolci lasci
stare, e
maggiormente nel suo nodrimento usi
chamangiari e
manuchi magiormente le cose
salse e l'acute e l'acetose. E usi
largho
movimento del corpo, cioè ke non istea stiticho, ançi largo e
solubile,
e faccia e
pigli cose ke 'l facciano orinare e sudare. E usi molto
movimento e tosto e molta fatica ançi ke manuchi, e stea molto nel
bagno, e non manuchi incontanente dopo 'l bagno, ma alcuna volta
lunghamente dinançi al manichare stea e dorma. E ancora dorma così
digiuno, e
disponghasi e ordinisi di manicare una volta il die, e molto
veghi e bea vino vecchio e sottile, e a la perfine usi il
regimento
contrario a quello ke noi dicemo.
E di quelle cose che ffanno il corpo dimagrare è prendere spesse
volte la
trifora minore, e latovari caldi ke abiano a ffare orinare (sì
come
dyatrichon
piperon e diacimino), e dipo 'l loro prendimento
tanto
lunghamenti, ançi ke manuchi, dimorare dee ke l'apetito, k'era
grande, menomi e si
spengha; e ancora sofferire fame e sete, e sudare
nel bagno, e prendere medicine ke abbiano a dimagrare, e dormire nel
letto duro, e dimorare sotto il sole e in magioni e case calde.
Medicamento ke ffae magro il corpo.
Recipe: ameos, seme d'appio, seme finocchio, e di ruta, e di
comino di tucti iguali parti; maiorana, bietola, e
baurach, ana la quarta
parte d'una de le predette cose,
laccha due parti
polverizise; de la
polvere de le quali cose
tranghiotischa ogne die, usandolo al peso
d'uno aureo, imperciò che questo medichamento diseccha il corpo. E
di quelle cose ke fortemente
disecchano è di prendere il calcanto, cioè
il vetriuolo, la qual cosa fare è timorosa e dottosa.
Medicamento ke 'l corpo diseccha.
Recipe: de la trifera minore dr
. .iij., e de la polvere de la pigra e
del
turbit ana dr
. .j.; prendasi questa medicina ciascuna septimana una
volta.
L. V, cap. 60 rubr.Capitolo .Lx. Di quelle cose ke acrescono la sperma.
L. V, cap. 60
Lactovario de l'anima de' noccioli de'
fructi.
Recipe: avellane, mandorle, noci d'India, pine nette fuori de'
noccioli, granella
kalkyl,
granella
çeilen, grani
viridis di tucti per iguali
parti; e di gengiovo, pepe lungho, seme di pionia ana la terza parte,
penniti di çucchero tanto solamente ke coprire e
distemperare si
possano, e se ne prenda la mattina ogne die a la grandeza de l'huovo,
e la sera altrettanto.
Lactovario di sementi ke acresce la sperma.
Recipe: del seme de la
pastinacha, e de' navoni (cioè del seme
de le rape lunghette subtili), e di cipolle, e di
rafano, e di sparago, e
del seme
alsafasa, e de la ruca; e di tucti questi, del seme di tucti
questi, e de la midolla dentro de le pine, e de le
granella del
kikyl, e de
le
granella
çalen,
tuderi, lingue
avis, seccacul, been bianco,
satiryon,
costo dolce, gengiovo, pepe lungho, nasturçio, di tucte queste cose
igualmente e pestinsi e col mèle si
conficiano. Del quale peso di dr
.
.iij., kon una on
. di lacte allora munto, e
penniti si prendano. E
pulmento di carne di
castrone kon cece infranto e cipolle, facto il
quale abbia seco mescolato sottile polvere di cennamo e di
galangha,
manuchi. E alcuna volta il predetto lattovario si dee bere col vino
novello.
Medicamento ke riscalda e ke giova a coloro ke ssono secchi.
Recipe: del lacte de la vaccha agual munto libre due, nel quale
terramabyn generati si mettano, e
cuocansi infino a spesseza del mèle,
e ongne die a digiuno se ne prendano dr
. .xx. quasi
sorbendo, cioè
vinando; dipo 'l quale bere pesci recenti ne lo schedone arostiti sopra
la brascia si manuchino, i quali ancora caldi co le cipolle si debbono
manichare, e ancora vino grosso e mezanamente inacquato con essi si
dee bere.
Unguento ke ffa diriçare la vergha.
Prendasi olio di
liglio e metavisi entro de l'euforbio, e del pepe,
e de la senape, e del nitro, di tucti ana dr
. .j., e del moscado la terza
parte d'una dr
. E di questo unguento le reni, e 'l
dosso, e le
sponduli,
e 'l pettignone, e la vergha, e tucte quelle parti che ssono intorno di
lui s'ungano. E ancora la scorça del
pino, e ' ciperi, e aneto si
debbono cuocere nel vino, e panno bagnatovi entro si dee mettere
nel fondamento di sotto.
Medicamento per lo quale tosto si diriça
.
Asa mescolata col mèle infino al peso d'uno aureo, con una
oncia di vino si manuchi per due hore, dinançi ke manuchi.
L. V, cap. 61 rubr.Capitolo .Lxj. Di quelle cose ke rischaldano la natura de la
femina.
L. V, cap. 61
Prendasi
cardumeni e, raso di fuori, sì si pesti. De la cui polvere
nell'olio del
sambucho si metta, tanto del quale elli possa diventare
spesso e metasi ne la natura de la femina dinançi.
Medicamento buono a la fredeza e a l'
humidità de la natura de la
femina.
Cordumeni e ciperi, pepe, bellirici, si mettano e
cuochano nel
vino, nel quale panno bagnato si metta ne la natura de la femina
dinançi.
L. V, cap. 61 bis rubr.Capitolo .Lxj. Di quelle cose k'acrescono la dilettatione
d'avere a ffare con femina.
L. V, cap. 61 bisQuelli ke disidera questo, cioè ke v'abbia grande diletto, si
mastichi a digiuno le cubebe o piretro, o prenda de l'asa fetida dr. .j.,
e olio di sambucho dr. .x., e li metta insieme e li lasci stare cosie per
alquanti die. E poi questo unguento la vergha ungha, e molte volte
lievi alte le ginocchia e le coscie de la femina fortemente, e stringha
sopr'essa le sue coscie. E così operando ciascuno avrà gran diletto.
L'altro.
Recipe: piretro, gengiovo, cennamo parti iguali, e queste cose
trite in uno poco d'acqua ove um poco di gommo sia disoluto o
distemperato s'inaffino, e facciane trocisci piccoli i quali si tengano in
bocca. E quando elli fieno disoluti e disfacti colla saliva, sì è d'avere a
ffare co la femina.
L. V, cap. 62 rubr.
Capitolo
.Lij. Di coloro ke a la ffine quando ànno usato co la
fenmina escono a
ssella. Rubrica.
L. V, cap. 62Quelli cotali ançi k'elli usino ko la femina, sì lli conviene andare
a ssella e uscire. E conviensi dare loro quelle cose ke stringono il
ventre, cioè alchache, e ancora oramich, e oncenso, e balaustie, e
gummo arabicho. Di tucte queste cose si prenda per iguali parti, de le
quali si facciano sopposte somillianti a noccioli di datteri e si mettano
di sotto nel fondamento quando si de' usare co la femina. E ll'altre
volte olio di neriden si metta di sotto e si n'ungha con esso.
L. V, cap. 63 rubr.Capitolo .Lxiij. Di coloro che per troppo usare con femina
sono indeboliti.
L. V, cap. 63Questi cotali si debbono lavare ne l'acqua fredda e sono da
nodrire coll'acqua de la carne con cocitura di carne e brodetti ov'è
cotta la carne. E beano um pocho di vino bene chiaro e bene
odorifero e olgliente. E lavisi la faccia e la barba, e s'ungha tucto il
capo di quelle cose ke ànno buono odore, e i suoi panni e tucto il
corpo affumichino co le cose odorifere e ollienti, e stieno in
riposo e quiescano nel letto ke ssia molto morbido.
L. V, cap. 64 rubr.De le cose ke la sperma e 'l diriçamento de la vergha
menomano .Lxiv.
L. V, cap. 64
Le cose ke la sperma e 'l
diriçamento de la vergha menomano
sono d'usare di mangiare cose
stitiche, cioè
laçe e acetose, sì come è
l'aceto e 'l sugo de le
uve acerbe, e ribes, e somillianti cose. E di
quelle kose ke menomano l'
arretare sono quelle cose ke
ddisolvono la
ventositade e la disfanno, sì com'è la
rutha e l'agnocasto, e 'l
mentastro, e 'l comino, e ameos.
Medicamento ke menoma l'
arettamento de la vergha.
Recipe: seme de
angnokasto dr
. .x., e de le follie, del
mentastro,
e de la ruta seccha, e del chomino, ciperi, e balaustie ana dr
. .ij.; e de
la polvere di queste cose la mattina e la sera si
notrischa.
L'altro
medicamento quando caldeza è la cagione.
Recipe: seme di lattughe, seme di porcellana dr
. .x.,
psillio, seme
di
coriandro seccho dr
. .iij., balaustie,
neufar dr
. .ij.; e di tucte queste
cose insieme mescolate dr
. .iij. colla quarta parte d'una oncia si
prendano per alquanti dì, e
usinsi cibi stitichi e
acetosi.
L. V, cap. 65 rubr.Capitolo .Lxv. Di quelle cose ke la vergha fanno crescere.
L. V, cap. 65Molte volte il die si dee tanto freghare e stropiciare k'ella si
faccia rossa, e poi si dee gittare sopr'essa l'acqua calda, e poi co la
cera disoluta e distructa ne l'olio violato si freghi e
stropiccii. E col
lacte de la pecora s'ungha
.x. volte il die, e si epithimi il die coi
lombrichi de la terra, diseccati e triti coll'olio del
sambucho.
L'altro
medicamento.
Recipe:
çolfo giallo, pepe ana parti iguali. E queste cose trite
s'
abburattino o
staccino, coll'orale o kon altro panno sottile; e con
essi e con mèle puro mescolati si faccia epithima, il quale fie così
stato per una ora, sì ssi lavi con l'acqua calda. O noccioli triti di
semi
accolti si
tritino, e col lacte di presente munto si mescolino, de' quali
la vergha, inançi ke usi co la femina, si freghi e crescerà. E se alcuno il
predetto
regimento userà, sì passerà e andrà la vergha in grandeza
non naturale, cioè si farà grande sança misura, e così rimarrà e starae
sempre.
L. V, cap. 66 rubr.Capitolo .Lxvj. De le cose che la natura dinançi de la femina
ristringono.
L. V, cap. 66
Gallie (o galle) dr
. .iij., garofani dr
. .j., moscado la sexta parte
d'una on
. si prendano, e triti in una on
. di vino si mettano, nel quale
panno molle in esso si mettano ne la natura de la femina dinançi.
L'altro medichamento ke redde quasi la corropta e la
spulcellata
vergine.
Recipe: de galle, d'allume, de squinanto,
foglie di lillio e di ciperi
ana per iguali parti, e tucte queste cose si cuocano ne l'acqua, de la
quale la femmina si metta ne la natura dinançi molte volte. E
quando la natura de la femina fie molto
stretta e l'uomo vuole avere a
ffare ko la femina, um picolo budello di colombo s'empia del sangue
del colombo, e si metta la femina quello poco del
budelluço pieno di
quello cotale sangue ne la natura dinançi quando huomo dee usare co
llei. E quando huomo
comincerà ad usare co llei, il budello si fenderà
e 'l sangue si spanderae.
L. V, cap. 67 rubr.Capitolo .Lxvij. Di quelle cose che tolgono e mandano via
l'umiditade de la natura de la femina.
L. V, cap. 67
Antimonyo, allume
iameno se prendano parti iguali e trite, si
staccino e
aburrattino e si mettano di sotto ne la natura. O
salegemmo e allume triti vi si mettano e si lavi la femina la natura
dinançi coll'acqua ove fieno cotte le galle e le coppe de le ghiande. E
balaustie, o scorçe de le pine, e allume, e ciperi si cuocano in vino, nel
quale pane mollato si metta ne la natura de la femina dinançi, e così si
tengha.
L. V, cap. 68 rubr.Capitolo .Lxviij. De le cose ke giovano a impregnare e che
riscaldano la natura de la femina.
L. V, cap. 68Le cose ke la natura de la femina riscaldano sono queste, cioè:
cordumeni
exortichato si prenda e si pesti, e se ne metta nell'olio del
sambuco tanto k'elli divengha spesso, e si metta dinançi ne la natura.
E a quelle cose ke giovano a impregnare sono queste: a questo
vale ke l'huomo e la femmina non usino insieme e non abbiano
insieme a ffare se non dipo lungo tempo, cioè ke 'l facciano rade
volte; e ch'elli non sieno ebbri quando usano insieme, e ke l'huomo si
sollaçi e giuochi tanto kolla femina k'elli vegha ke la femina n'abbia
voglia, la quale cosa si può conoscere nelli occhi de la femina e ne
l'alito.
E sia questo che l'huomo abbia a ffare co la femina dopo 'l
mondificamento de' mestrui, cioè quando la femina avrae avuto suo
tempo, e fia già
mondificata e netta di sua privata malatia.
E quando huomo avrae cominciato a usare co llei, sì lievi suso
in alto le coscie de la femina fortemente sì ke 'l kapo de la femina sia
chinato in giù e le gambe alte in suso. E l'uhuomo si sofferi e si
tengha tanto ke nom compia sua volontà ke ssappia ke la femina à
compiuto ella e allotta elli lasci andare il suo seme. E la femina giacia
poi lunghamente, e questo si conviene fare incontanente dopo 'l
bagno, ma chonviene ke, ançi ke queste cose si faciano, ke la femina
si metta dinançi ne la
vulva medicine calde.
Pessario buono a impregnare.
Prendi storace liquida, kastorio,
galbano,
opoponaco,
karpobalsamo, seme di been,
kost, spica de Inda,
bidellio, e di tucte
queste cose trite e con vino mescolate si ne facciano cotali
cure, facte
a modo di ghiandi, le quali, messe ne la natura dinançi, si tengano per
quatro ore.
L. V, cap. 69 rubr.Capitolo .Lxviiij. Di quelle cose ke non lasciano impregnare
e ke ffanno scipare.
L. V, cap. 69
Se la femina, quando l'uhuomo avrae co llei usato
karnalmente,
incontanente apresso um poco d'
alkytran si metta dinançi ne la
natura, o quando huomo vuole usare co la femina si n'ungha il capo
de la vergha, sì nom
impregnerà la femina. La quale cosa fae
somilliantemente il sugho de la ruta, o 'l pepe, se la femina si ne
mecte d'alkuno di loro dinançi ne la natura poi ke l'huomo avrae
usato
karnalmente co llei. E se la femina, abiendo i piedi aperti dipo 'l
coyto (cioè quando huomo avrà co llei usato) salti indietro (o adietro)
fortemente, la sperma k'ella àe in sé o k'ella contiene e àe ricevuto
cadrae; e ancora se l'huomo compie sua volontà prima che la femina,
non
impregnerà.
E di quelle cose ke ffanno scipare sono le medicine ke noi
nomineremo nel capitolo de l'agevole parto, e
pesario d'
alkitran, o del
sugho de la ruta, o de l'
artemisia, cioè il matricale, o de la
coloquintida, o bere il sugho de la ruta. E di quelle cose ke
fortemente mandano fuori del corpo la creatura è da dare
kotidianamente a quella k'è
prengna dr
. .iij. del seme de la savina
.x.
die continui, s'ella innançi non àe avuto febbre, la qual cosa se aviene
è da llasciare stare. Ma s'è sana prenda questo spesse volte, tanto ke
ne la sua urina e nel suo sudore si senta l'odore del seme del
kebel. E
ancora si debbono usare tucte quelle cose ke noi diremo nel capitolo
di provocare i mestrui e del legière e agevole parto; o le si dea il
lattovaro d'asa.
Lattovario molto forte nel fare scipare.
Recipe: del seme
alkebel dr
. .c.,
mentastro seccho, e de le follie
de la ruta ana dr
. .xx., e tucte queste cose
polveriçate se
conficiano
col lacte de' fichi, del quale la mattina e la sera prenda a la grandeza
d'una
uva.
L. V, cap. 70 rubr.Capitolo .Lxx. De le cose ke giovano a bere molto vino.
L. V, cap. 70Se alcuno vuole usare a bere molto vino, konviene ke quello
die nom si empia molto di cibo e non mangi cose dolci.
Canfera,
overo
kanfea, o kose untuose, vini o sughi, e i
minuçoli del pane
molli e
untuosi, nel predetto manuchi, e carne che abbia seco
mescolato grasso, temperatamente manuchi. E quello medesimo die
dinançi al mangiare lavori e s'affatichi. Ma incontanente ch'elli fie
isvelliato, sì cominci a bere s'egli non àe graveza ne lo stomaco per
cagione del cibo precedente. E di quelle cose che molto giovano al
bere è la carne coi cavoli, e kon
kanavit, e colle
lenti. E dipo 'l vino
l'
acetositade del cederno, o
rribez, o mele cotogne, e melegrane
acetose, o cose acetose o salse, giova molto.
Medicamento ke ritarda l'ebbreza.
Recipe: cavoli
nabati
selan (o semi), comino, mandorle
scorticate, mentastro, sale,
absenzo, ruta seccha, ameos, di tutte
queste cose insieme trite dr
. .ij. si prenda a digiuno coll'acqua fredda,
se quelli che la dee prendere non àe
kalore. E s'egli aviene cosa k'elli
abbia
calore, si llasci stare. E ancora a questo giova ke quelli che
vuole bere mandorle salate, o ulive condite e aconce col sale e con
cappari manuchi.
L. V, cap. 71 rubr.Capitolo .Lxxj. De le cose che fanno tosto venire l'ebbreçça.
L. V, cap. 71Mandragora, oppio, seme di
iusquiano nero, di tutti questi ana si
prenda dr
. (l'altra lettera dice dramma terza), noci moscade dr
. .j.,
gallia,
xillaloes, cioè lengno alloe, ana la terza parte di dr
. E di tucte
queste cose trite si formino trocisci, de' quali quando uno fie
distemperato col vino s'
inebrierà fortemente.
E di quelle cose ke inebriano è ke l'
iusquiano nero e scorçe di
mandragora tanto si cuocano ne l'acqua ch'ella sia rossa, la quale si
de' poscia mescolare nel vino.
L'altro
medicamento più lieve, nel quale
seilem si cuoce, se
prenda e col vino si mescoli, o l'acqua ne la quale
usneen o kosa si
dea ke ssia
mollata in cosa ke abbia
mucillagine, o si dea vino nel
quale sia stato in molle il
sillaloes, cioè il legno alloe.
L'altro
medicamento ke è molto forte.
Recipe: mirra, storace liquida,
jusquiamo, di tucte queste cose
ana la sexta parte d'una dr
., de gallia e de garofani ana
.j. terza parte
d'una dr
., e queste cose trite mescolate col vino si deano.
L. V, cap. 72 rubr.Capitolo .Lxxij. Di quelle cose k'allievano e giovano
all'ebrietade.
L. V, cap. 72L'acqua e l'aceto molte volte si debbono dare, o acqua
mescolata con latte molto acetoso, o kon siero acetoso si debbono
dare, e aceto e olio rosato fondere sopra 'l capo e spargere, e
camphora e acqua rosa li si debbono porre al naso, acciò k'elli l'odori.
E se nello stomaco fosse rimaso alcuna parte del vino, si dee isforçare
k'elli la rigitti, e le sue mani e i suoi piedi si debono mettere ne l'acqua
fredda, e si debbono fregare e stropiciare col sale. Ancora fette di
pane molli nel sugho dell'uve acerbe li si debbono dare ko le lenti
cotte, e ancora cavoli cotti o kanavit fieno a ddare.
L. V, cap. 73 rubr.Capitolo .Lxxiij. Di curare il soperchio riempimento del
mangiare e del bere.
L. V, cap. 73
Conviene questo cotale ke à tanto manicato e bevuto
lunghamente dormire e, quando fie svegliato, intrare nel bagno e
sedere nel luogho temperato. E poi che ssopra il suo capo fie
gittata
molta acqua tiepida, sì nn'escha e manuchi pollo col sugo de l'uve
acerbe, e ancora
karis, e
ulen, e somillianti cose manuchi. E poi
dorma un'altra volta. E se cosa fosse ch'elli avesse dolore di capo, ko
ll'aceto mescolato koll'olio rosato s'infonda, cioè si gittino, in sul
capo, e sieno l'aceto e l'olio rosato raffredati ne la neve, le quali cose
fatte ancora dorma un'altra volta. E se dipo queste cose non guerisse,
o tardasse di guerire, bea um poco di vino kon molta acqua. E di
quelle cose ke ssono buone a ciò sono: non molto parlare e andare
moto e soavemente, e olio violato, e fiori di salce, e rose, e acqua
rosa, e
kamfora odorare, e mollare il capo coll'acqua tiepida.
L'altro.
Seme di lattughe, seme di cavoli e
sonmach, e
lenti scorticate o
digusciate, rose e spodio ana dr
. .x. si prendano; de le quali
.iij. dr
. co
la sexta parte d'una dr
. di
kamphora, kon una oncia de l'
acetositade
del cederno cotta tanto ke ssia spessa, o con sugho di melegrane
acetose, o kol sugo di ribes si deono bere.
L'altro.
Del seme del coriandro secco e trito mescolato col çucchero
biancho a quella medesima quantitade ke è il coriandro, quanta elli
puote, ne prenda tre volte. E '
robub ke valliono a
llevare e a
mandare via la crapula, cioè questo male de riempimento di troppo
manicare e di troppo bere, sono: rob del sugo de l'uve acerbe, e 'l rob
de l'
acetositade del cederno, e 'l rob de ribes.
L'altro sì è: l'acqua ne la quale il
sommac, e
thamarindi, e
susine sieno state in molle si prenda, e col sugo de l'
acetositade del
cederno in quella medesima quantitade si mescoli, a le quali si mescoli
tanto çucchero quanto è il tucto di queste cose. Le quali cose tucte si
debbono cuocere tanto ke
diventino spesse, de le quali poi, quasi
sorbendo o
ssugando, alcuna cosa o alcuna quantitade se ne dee
prendere.
E qui si termina il quinto libro, overo tractato. A dDio ne
rendiamo grazie. Amen.
L. VI, Index rubr.
Cominciansi qui i
capitoli del sexto libro. Del
regimento
di coloro ke
kanminano.
L. VI, IndexCapitolo primo del sexto libro de Rasis. Del
regimento e de la vita di coloro ke
kamminano, e de la
kautela e de la
guardia del caldo, e kome si dee soccorrere al nocimento che di cioe
aviene. Capitolo secondo. De la guardia de' dì caniculari e del
medicamento e de la cura del nocimento ke ddi loro procede e
viene.
Capitolo terço. Da torre via la sete e di torre via la sua
rokeza e
nocimento ke ne viene. Capitolo quarto. Del
regimento di coloro i
quali nel tempo fredissimo e per molta neve konviene
kanminare.
Capitolo quinto. Del
medicamento e
guerimento di coloro ai quali
per la detta kagione
adiviene
congelamento nel camino. Capitolo
sexto. De' sincopi, cioè tramortimento k'aviene per la fame e de la
sua cura e medichamento. Capitolo septimo. De la guardia de
l'estremitadi de le
dita e de le mani, e ke tosto si soccorra a colui o a
quella parte ke ss'è già cominciata a corrompere, e de la sua cura e
medicamento di quello k'è già corrotto e
fracidato. Capitolo ottavo.
De la cagione quando l'occhio si congela e per la troppo grande
biancheza de la neve nom può vedere. Capitolo
.ix. De l'ardore e del
dolore ke aviene all'occhio per cagione del grande freddo e del grande
vento nel chamino. Capitolo
.x. D'insegnare guerire de la faticha e de
la
laseza coloro che ssono indeboliti nel chanmino. Capitolo
.xj.
D'insegnare a conciare e disporre il corpo a canminare e del
reggimento del cibo nel canmino. Capitolo
.xij. Di levare via il
nocimento ke
perviene de le
diversitadi de l'acque. Capitolo
.xiij. De
le magioni di coloro i quali sono ne le castella. Capitolo
.xiiij. Del
regimento di coloro ke volliono navichare per mare. Capitolo
.xv.
Di quelle cose ke non lasciano generare
pidocchi e ke uccidono quelli
che ssono già nati. Capitolo
.xvj. Di quelle cose ke non lasciano
mutare il colore al sole e al vento. Capitolo
.xvij. Di quelle cose ke
non lasciano fare le
fessure nel
calcagno. Capitolo
.xviij. De lo
scortichamento e
dibucciamento ke aviene per lo cavalcare o per li
calçari nel chaminare. Capitolo
.xviiij. Del cadimento e de le percosse
ke avengono nel capo o in altra parte del corpo.
[L. VI, Incipit]Qui si comincia il sexto libro di Raxis.
L. VI, cap. 1 rubr.Capitolo primo. Del regimento e de la vita di coloro ke
kanminano, e de la cautela e de la guardia del caldo, e come si dee
soccorrere al nocimento che di cioe adiviene.
L. VI, cap. 1Colui ke
kanmina nel tempo de la grande caldeza konviene k'elli
non sia troppo pieno di cibo, e ke elli non sia ebbro, e k'elli allotta, e
in quell'ora di presente, non abbia bevuto vino; ma non sia
inanito e
famelico, né del tucto in tucto vòto di cibo e di vino, se non
advenisse k'elli avesse fastidio, imperciò ke se cosa fosse k'elli
l'avesse, allora è mellio ke, del tucto in tucto, si sofferi de l'andare, e
ch'elli si riposi e ssì lunghamente dorma ke quello cotale fastidio k'elli
avea per troppo manicare e per troppo bere si diparta e vada via. E se
cosa fosse k'elli non avesse fastidio, ançi avesse um poco di buono
apetito, sì manuchi per
ragione e mezanamente e ançi pocho che
troppo. E i cibi k'elli usi sieno freddi e tali che spengano e
atutino la
sete, sì come sono
alkaris e
alkiren, e sugho de l'uve acerbe, e aceto
coll'olio, e somillianti cose di quelle cose ke ssono fredde.
E s'elli aviene cosa k'elli i· niuna maniera abbia vollia di manicare
e abbia troppo grande caldo e troppo grande sete,
frumento infranto
cotto con molta acqua kon zuchero e acqua fredda bea. Dipo 'l cui
bere non incontanente poi vada, ma stea um poco, e
maggiormente
s'egli avrae bevuto molta acqua, imperciò ke ss'elli incontanente si
movesse e andasse, il cibo ke fosse ne lo stomaco, passando e andando
dell'uno lato all'altro, si
enfierebbe lo stomacho e male lo
smaltirebbe.
E s'elli aviene cosa k'elli il pur convengha andare, sì bea
um poco e in una ora vada troppo forte e troppo tosto, e tucti i suoi
membri guardi dal sole e magiormente il capo, e magiormente s'elli
disidera e vuole andare lunghamente. Imperciò ke llunghamente
andare, quando elli fae gran caldo, e lungamente digiunare, sì nuoce
più ai corpi magri e meno ai corpi grassi. E alcuni grassi corpi si
truovano e sono ai quali le predette cose giovano, cioè l'andare e 'l
digiunare. E noi abbiamo già detto in questo nostro libro ke elli non è
nostra intentione di diterminare né di
distinguere tutte queste cose,
imperciò k'elli ci converrebe entrare in questa nostra dottrina più
profondamente, onde noi
consideriamo quelle cose ke
ssolliono
avenire più spesse volte. E ancora l'uso in questo contiene
gram parte, imperciò ke i corpi,
calore, o fatica, o fame, o altre cose
acostumati di soferire, si truovano in queste cose più forti e più
soffrenti, e meno di ciò ànno male o
danno ke quelli corpi ke queste
cose non ànno acostumati.
E poi che colui che si mise ad andare avrae compiuta la sua via,
sì ssi dee um poco riposare, e poi si dee bagnare in acqua dolce e
tiepida, e poi dee manichare
fructi k'abbiano a
inhumidire e a
raffredare, et è utile cosa di dormire i· lluogho ove i venti possano
soffiare e
ventare, e
perdoni e lasci stare l'avere a ffare kon ffemina. E
s'egli adviene cosa ch'egli senta doglia di capo, con acqua rosa e rob
d'olio e d'aceto si medichi, e usi spesse volte bagno d'acqua. E tutti i
cibi ch'egli usa sì apertengono a fredeçça e a
humiditade. E ancora
olio violato e di seme di çucche e di fiori di salici odori. E s'elli aviene
cosa k'elli non senta alcuno male, vada e faccia il suo
kammino. E
s'elli avien cosa k'elli avengha alcuno male o alcuna infertade, tanto
stea k'elli non vada ke quel male o quella cotale infertade vada via. E
s'elli non puote stare k'elli non vada, sì vada a pocho a poko
guardandosi molto bene dal sole.
E ançi ch'elli cominci ad andare, sì bea di quelli beveraggi e di
quelle cose ke molto tolghono la sete, sì come orço infranto, kotto e
mescolato kol çucchero e coll'acqua rosa, o kolla
mucillagine del
pisillio, o
julep con l'acqua de l'orço. E quando elli fie riposato, cibo e
fructi ke
raffredino e lacte, s'elli no à febbre, usi. E s'elli aviene cosa
k'elli abbia male, né
llacte, né burro, né alcuna cosa facta di lacte
presumma di tocchare, s'elli non fosse molto acetoso, imperciò ke 'l
latte acetoso, o seres, o masal, non nocciono a questa dispositione;
ma sse la febbre
perdurrae, avremo mestiere di parlare di lei per più
lungo
sermone ke non è quello ke noi volliamo
expieghare in questo
libro, imperciò ke in queste cose ci è mestiere medico, il quale sia in
cotali cose usitato acciò ke lla
sappia reggere. E noi diremo de le
cure
e de' medicamenti de le febbri, quanto elli pertiene a questo nostro
libro nel suo luogho, se Dio vorrae.
L. VI, cap. 2 rubr.Capitolo secondo. De la guardia de' die kaniculari e de la cura
del nocimento ke di loro procede e viene in quel tempo.
L. VI, cap. 2Quando a alcuno konviene andare e
kanminare nei dì
kaniculari,
dee manicare mezanamente de' cibi di cosa
unctuosa, e quando elli li
àe presi, dee guardare k'elli non bea molta acqua. E 'l capo e 'l volto
kuopra kom panno sottile lino, il quale elli
porti e sofferi
patientemente. E s'elli aviene k'elli il molesti in alcuna maniera, si
distorni il volto dal
rincontramento del sole e del vento, e si torni in
altra parte, s'elli puote (o in quanto e' puote) si
nasconda e si distorni
da lloro, e sempre
gargarizi e
gorgogli e
temgha in boccha de l'acqua
e non la mandi giuso, se non quando ella è fredda. E se il caldo elli
nuoce, molto si tengha sempre il capo sotto i panni, e sempre odori
olio di zucche e di mandorle dolci, e ne mandi giuso um poco. E 'l
pecto e 'l ventre, dinançi k'elli cominci a andare e k'elli entri in via, de
la
mucillagine del
psillio o del sugo de la porcellana coll'olio de le
zucche si dea e, mescolati coll'albume dell'uovo, s'epithimi. E s'elli
prende de' rami e de le
frondi de la porcellana, sì fie grande rimedio e
li gioverà, e magiormente se ne manucha de le cotte col latte molto
acetoso e col bituro (overo
buro) ançi k'elli manuchi. E s'elli aviene
cosa k'elli non si possa trovare de lacte acetoso, sì usi il masal col
bituro, imperciò ke questo cibo tollie il nocimento de' dì
kaniculari e
la sete.
E se alcuno ançi ke elli cominci a andare e ch'elli entri in
kanmino prenda grande quantità de l'olio de le çucche, sì lli si leverà il
nocimento de' dì
kaniculari.
E di quelle cose ke magiormente lievano il loro nocimento è ke
cipolle talliate nel latte acetoso si lascino stare per un die o più, de le
quali elli manuchi ançi ke elli entri in camino, e quando elli l'avrae
prese, sì bea di questo latte il quale, poi che ssi fie riposato, no
incontanente bea l'acqua, ma sse ne lavi sempre la boccha e de la
fredda mandi giuso um poco. E dipo questo, di quelle kose ke
raffredano mangi quanto vorrae, dipo 'l mangiare de' quali bea de
l'acqua a poco a pocho. E se alcuno userà questo cotale
regimento, sì
ssi
difenderae e
preseverae da la sete rea e mortale, se Dio vorrae.
L. VI, cap. 3 rubr.Capitolo terço. Di torre via la sete e di torre via la sua
rocheçça e nocimento ke nne adiviene.
L. VI, cap. 3Ciascuno ke teme le sete in chanmino si dee guardare di non
satollarsi ançi k'elli vada, ma manuchi um poco de' cibi freddi e
acetosi, o de
hanic e di zucchero, e molta acqua freddissima bea, e
s'astenga e sofferi di mangiare cose dolci e salse e agre, e propiamente
da' pesci sì ricenti, come salsi e conditi kon
salmuria, e da tutte le sue
spetie, imperciò k'elli fanno sete. E
cangianich e generationi di lacte
ke ssi condiscono e aparecchiano ko la
salmuria salata o acetosa lasci
stare, e propiamente
cappari e olive, imperciò ke fanno la sete venire.
E cipolle messe in aceto, e quelle cose ke loro
assomilliano, tolgono
la sete. E sì 'l conviene guardare ke non vada troppo tosto, ma
soavemente e con dimorança e riposo, imperciò ke 'l tosto andare e 'l
ratto muovere fae l'uhomo spesso alitare e fae grande sete. La quale
cosa è pigiore ke tucte l'altre in fare venire la sete. E si dee guardare
da molto parlare, imperciò che 'l molto parlare fae la
sete venire e la
genera. E se elli è mistiere k'elli favelli, parli e favelli kon sottomessa
boce e più piano ke puote, imperciò ke 'l gridare grande caldo e gran
sete suole generare e fare venire.
E ancora di quelle cose che tolgono la sete lunghamente e ke
ll'attutano sono: latte molto acetoso, e porcellana, e
latugha, e
çuccha,
e cedri, e melloni non dolci, e pere molto
homorose e um poco
laze e
non molto dolci, e pome, e melegrane, e quelle cose (overo quelli
cibi) ke ssono somillianti a'
fructi
acetosi, e l'
acetositade del cederno,
e 'l sugo de l'uve acerbe, e ribes, o susine. E se alcuno manuchi
queste cose ançi k'elli vada, non
sofferae sete.
E di quelle cose ke ssi tengono im bocca nell'ora ke l'huomo
vae e ke aducono
temperamento nel levare la sete sono: pere secche
acetose, quando uno dipo ll'altro si prende, e
tamarindi, e le granella
de le melagrane acetose, e prendere assiduamente um pocho de
massal, e tenere ne la boccha tanto che ssi disolva e si distrugha. E in
questo non vale
rechis, né
ssumach, né somillianti cose a queste. E
a questo avengna che poco giova um peço di
cristallo tenere
im boccha e
sathapha o
ariento puro pulito. E ancora
strignere
fortemente i labbri e i· neuna maniera non atrare l'aire per boccha
giova, s'elli studia di fare questo più ch'elli puote. E odori alcuna cosa
de le cose fredde odorifere ora dopo ora, e odori i camangiari freddi,
e pongha impiastro de le cose fredde sopra il ventre, o il ventre
medesimo si epithimi e impiastri delli epitimi ke ssono nominati nel
capitolo de' dì
kaniculari.
E s'elli aviene k'elli abbia poca acqua, sì vi mescoli de l'aceto
con essa, imperciò ke, pilliandone allora picola quantitade, sì spengne
la sete fortemente, e manuchi quelle cose ke spengono e
mitighano la
sete, e lasci stare quelle cose ke la fanno venire.
Trocisci, i quali spengono il
calore, e
mitigano le sete, e giovano
più che cosa ke ssia a le febbri acute e accese, se Dio vorrae, de' quali,
ançi ke elli vada, e ancora quando elli vae, alcuna cosa ne tengha
im boccha, impercioe ch'elli tolgono le sete e l'ardore spengono.
Recipe: de'
semi mondi,
scorçati de' cederni, de le çucche iguali
parti; e del seme de la porcellana e del seme de le lattughe di ciascuno
ana meza parte; del sugo de la
riquilitia la quarta parte d'una de le
parti; e tucte queste cose si pestino e col sugho de le porcellane o
colla
mucillagine del
psillio si conficiano. De le quali cose piccoli
trocisci a
similitudine di lupini si ne formino, de' quali, quand'elli vae,
tengha in boccha uno dipo ll'altro, il quale non mastichi, ma
llascigli
così stare in boccha tanto ke ssì si disfaccia a poco a poco e si disolva,
e quello ke di lui si disolve si mandi giuso. E innançi k'elli vada o
quando elli vorà con essi spegnere o
mitighare la febbre acuta, sì bea
di loro il peso di dr
. .iij. col rob d'alcuno frutto acetoso, il quale noi
abbiamo nominato. E se nel petto fosse alcuna asprezza, sì li bea col
julep o kol sciroppo violato. E ancora questi trocisci sono optimi a
l'ardore e al cocimento de l'orina.
E quando alcuno in
kanmino àe grande sete, non conviene k'elli
incontanente si satolli de l'acqua quando elli l'avrae trovata, ma
ménisene per boccha gram
peza e a poco a poco ne mandi giuso, ne
la quale elli metta ancora le sue extremitadi, sì come i piedi e le
mani, e se ne lavi il volto; e se elli vuole, sì vi entri entro e non ne bea
se non pocho, de la quale il meno ch'elli potrà, a poco a poco
sughando, prenda una volta dopo ll'altra. E poi
manuki de' cibi che
noi
nominammo e a pocho a pocho, tuctavia, crescendo più una
volta che ll'altra, bea, de la quale tuctavia non si satolli.
E quanto elli
crederà ke la sete sia più accesa, s'elli vuole, acresca il bere tanto k'elli
se ne satii.
E com questo
regimento da la
mortale sete e dai mali
accidenti ke co llei sono si potrà difendere.
L. VI, cap. 4 rubr.Capitolo quarto. Del regimento di coloro ai quali per lo
tempo freddissimo per la molte neve konviene loro kanminare.
L. VI, cap. 4Sì come per lungo andamento nel tempo del grande
kalore '
seccheza di corpo, e
tisicheza, e dolore di capo, e febbre, e anche
simillianti mali advengono, somilliantemente per l'andare e
kaminare
nel tempo del grande e molto freddo avenghono altre infermitadi, de
le quali sono:
kongelamento e
aghiacciamento, e fame, e sincopi, e
applopesia, e stupore, e
disolutione, e
lugegi, e putrefatione de
l'estremitadi, e somillianti a queste. Ma queste infertadi a coloro
propiamente advengono i quali a lloro sono
naturalmente disposti;
ma forse a coloro le complexioni de' quali repugnano e sono
contradie a queste infertadi, e a coloro i cui corpi sono acostumati
d'essere nei luoghi ove sono i grandi freddi, queste cotali infertadi
non avengono se non rade volte e quando la cagione fosse fortissima.
E noi diremo in quello somilliante cosa a quello che noi
dicemmo in quello k'è passato e detto dinanci.
Dunque diremo noi ke sse a alcuno conviene
kanminare e
andare nel tempo del grandissimo freddo, sì ssi dee riempiere prima
molto bene di cibo e bere grande quantitade di vino. E quando elli
avrae preso queste cose, sì ssi sofferi e
attengha um poco de l'andare
tanto ke 'l cibo si riscaldi, e 'l
movimento k'era fatto nel corpo si
mitighi e temperi. E i cibi i quali elli usi actualmente e
potentialmente
e, secondo la loro natura insieme, sieno caldi. E se 'l freddo fosse
fortissimo e lui incontanente dopo il manicare sia mestiere di
canminare, sì bea vino puro tiepido, o vino al quale tanta acqua calda
è mescolata ke ssi possa fare
tiepido, e 'l vino sia forte e sottile e non
stiticho, né brusco, né acetoso. E cuopra il volto con uno sottile
panno, e magiormente se 'l vento freddo li viene a la 'ncontra al suo
volto. E da queste cose si conviene guardare magiormente quelli che
ssi sente aspreza nel petto e
aspritade o ke à tossa, o colui il cui
polmone e 'l cui petto è debole, imperciò ke sse questo cotale trarrae
a ssé l'aria fredda, perverrà
tostamente a tossa o a sputare sangue.
E di quelle cose che nel tempo del gran freddo si prendono
dinançi ke l'huomo muova sono cibi fatti con noci, e con
agli, e con
cipolle, e con bituro. E all'
agli e a le noci è grande propietade di
molto giovare a queste cose, imperciò k'elli riscaldano tutto il corpo e
acrescono in tanto il
calore naturale, infino k'elli si spanda per tutto il
corpo e per tucta la persona e si multiplica ne l'estremitadi, nonché
nel mezo del corpo. E l'asa opera somilliantemente se una dr
. con
una libra di forte vino, o con
ydromelle, fie presa. E 'l pepe
somilliantemente, se di lui si mette molto ne' cibi e se bee co
l'
ydromelle, è di quello medesimo giovamento. E ancora cipolle
crude, e porri, e
thafea bianca, ne la quale molto si mette del
taguebil,
valliono a quello medesimo. E questo cotale non incontanente, poi
ch'elli avrà compiuto la via de l'andamento e ch'elli fie ristato
d'andare, non si dee riscaldare al fuocho, né intrare nel bagno, né
dormire, ma per una ora vada intorno al luogho caldo nel quale sia
fuoco da la lungha e apresso si vengha
aprociando al fuocho a poco a
pocho e a grado a grado, observando l'ordine.
E apresso, s'elli avrà avuto grande freddo nel canmino, sì entri
nel bagno, nel quale, stando lunghamente, si
strupici e freghi. E s'elli
aviene cosa k'elli non possa trovare bagno, ne la chasa riscaldata col
fuocho così lungamente si stropicci e freghi tanto ke 'l suo corpo
kominci ad arrossare, e poi dorma e si riposi in
lecto morbido. E
possibile cosa è che quelli che observerà e userà questo cotale
regimento e vita k'elli scampi e si preservi e guardi da febbre sì che
non li verrae, se a dDio piace.
L. VI, cap. 5 rubr.Capitolo quinto. Del medicamento e churamento di koloro ai
quali aviene per lo freddo kongelamento nel chanmino.
L. VI, cap. 5Quello cotale al quale
congelamento aviene per lo fredo, del
quale non è ancora da disperare, sì li de' huomo aparecchiare luogho
riscaldato al fuoco, il quale non fia sposto a' venti, nel quale, quando
elli vi sarae fortemente e tosto, sì dee stropicciare kon mani molto
calde; la qual cosa sì dee fare acciò ke tucto il corpo si riscaldi fuori
che 'l capo, e si conviene riscaldare koi panni riscaldati. E quando
tucto il corpo fie riscaldato, huomini ke abbiano i corpi caldi e lievi
debbono
giacere co llui, i corpi de' quali il suo corpo konviene
tocchare e magiormente il ventre, e 'l corpo, e 'l
dosso e 'l petto al
quale poscia um poco d'
asa e di mirra e di pepe kon forte vino e
acqua si dee dare. E poi ke 'l suo alito fia um poco ritornato, sì si
nodrischa ko la
chaphea biancha e nolli si dea vino in grande
quantitade, e li si aparecchi morbido letto, nel quale si cuopra kon
molti panni, e li si comandi k'elli dorma lungamente. E poi ch'elli fia
isvelliato e comincerà a melliorare, sì entri nel bagno caldo nel quale
elli faccia lungho
dimoro e molto vi si stropicci e freghi, e si ungha
con olio di lillio o di narcisco, o con olio ove
kastoro, o
kosto, o
euforbio, e moscado sieno mescolata.
L. VI, cap. 6 rubr.Capitolo sexto. De sincopi, cioè tramortimento k'aviene per la
fame e sua cura.
L. VI, cap. 6Alcuna volta a coloro ke
vanno per
kammino nel tempo del
grande freddo aviene fame molto grande, e poi no stanno tanto ke
quella fame si tolgha e sopraviene loro
tramortiscimento e forte
estasis, cioè ke stanno kolli occhi aperti e non possono parlare, e
forse ke sse ne muoiono. Onde quando questa fame aviene e
comincia a venire, tosto e subitamente si debbono cibare kol pane
molle in forte vino, e
dêlisi dare il brodetto de le
athafee untuose,
acciò k'elli ne
sughi e bea; e dee huomo dare loro bere vino forte, nel
quale sia posto um poko di pepe. E s'elli non sono gueriti, se la
sincope nolli assalisce innançi, sì ssi debbono inaffiare coll'acqua rosa,
e si dee soffiare nel naso loro moscado e
kalamo aromaticho, e le
labbra e i
grinoni si debbono ugnere colla gallia, e la boccha de lo
stomacho e l'estremità tanto lungamente si debbono stropicciare che
comincino ad arrossare. E apresso l'extremitadi si debbono sì legare
co le legature e sì
strignere k'elle dolliano. E poi ch'elli fia scampato
da la predetta sincopi e
tramortiscimento, sì ssi debbono reggere sì
come noi dicemo dinançi. E s'elli non sono scampati, vino e acqua di
carne li si debbono gittare in gola, e si debbono stropicciare
lunghamente ko le mani e inaffiare coll'acqua rosa, e si debbono
isvelliare o gridando o
tocandolli co le mani.
E s'elli avranno avuto
estassim, per questo
line difendi da quello quanto più si puote fare, e
leghisi le mani e i piedi che dolliano, e dà loro a
ssughare una volta
dipo ll'altra, e
muovilli e grida sopra lloro, e ancora vino caldo di
pepe, cioè com pepe, si dee loro dare a bbere.
E ancora loro de
sagazene um pocho o del latovario fatto de l'asa si dee dare. E ancora
sança questo li porai presso al fuoco e ugnerai i loro corpi di
cost, o
con olio d'euforbio.
L. VI, cap. 7 rubr.Capitolo septimo. De la guardia de l'estremitadi, cioè de le
mani e de' piedi, e come tosto si socorra a colui o a quella parte ke già
si comincia a corrompere, e de la sua cura e medichamento di quello
ke già è korrotto.
L. VI, cap. 7E ancora le
dita de' piedi primieramente co le mani sança niuno
licore, cioè sança acqua o sança vino o olio o altra cosa, si debbono
stropiciare fortemente e poi, con olio vecchio,
ungnendoli, si dee fare
freghamento e
strupiciamento, e poi si debbono coprire coi panni, e
intra lloro e sotto loro e sopra loro
ponendo i panni, e sopra tucto il
pecto e sopra llui mettendo lana molle, e poi si debbono calçare con
calze morbide e sottili. S'elli si calça di sopra '
kalçari, sì ssi conviene
molto guardare ke i calçari non s'
inmollino e k'elli non
inumidiscano
per alcuna cosa ke lloro avengha.
E di quelle cose de le quali l'estremitadi fregate o
strupiciate el
nocimento ke viene per kagione del freddo mandano via sono
olii
caldi sì come olio di sambuco, e
arazachi, e olio di
benet e debel, e del
lillio, e d'
alloro. E
alkitran opera più fortemente in queste cose ke
non fa alcuna de le sopradette cose, imperciò k'elli non lascia
solamente conrompere l'estremitadi al freddo, ma ancora quello ke
ssi cominciò a corrompere guarda ke non si
putrefaccia e infracidi.
E 'l
caminatore e 'l
viatore si dee ancora guardare ke non si
acostumi di patire sete e freddo di che l'estremitadi si guastino,
imperciò ke forse per questo si
corromperebbero. E di questo è
sengno ke 'l freddo ke lli noccia si ssente già alleviare, avengna ke la
loro copertura non sia mutata né cresciuta, né ke dall'aria il
freddo sia partito o mosso, imperciò ke questo allotta non viene se
nnom per menomamento del senno e del
sentimento; ma certo elli
conviene, quando il freddo comincia a
nuocere ke la copertura de'
piedi
incontinente si muti, e ke i· lloro si faccia molto
fregamento e
stropiciamento, e che poscia si cuoprano e, andando, si muovano,
imperciò ke niuna cosa è pigiore a rechare tosto nocimento del
freddo k'essere i piedi
penzolati. E s'egli aviene kosa ch'elli
apostemino e ke il loro
sentimento menomi, ancora si
potrannno
guerire s'elli non diventano verdi o neri, s'elli si metano ne l'acqua ne
la quale pallia e
frumento sia cotta (o ne la quale rape o cavoli
avranno bolliti, o aneto kon chamomilla, o
sticados arabico, o
sisembro, o maiorana, o
meliloto, o seme di fieno greco, o seme di
lino, o ciascuno per sé o tucti insieme), e se con alcuno delli oli ke noi
nominammo presso al fuocho spesse volte fieno
stropicciati. Ma
ss'elli si fanno verdi o neri, conviene ke incontanente huomo li scalpi,
cioè li vengha pugnendo ad poco a pocho, non troppo adentro, ko la
saetuça o altro
feruço, e sì profondamente ke ssi pervengha e si
tocchi infino a la carne, e tanto se ne lasci uscire del sangue ke per sé
stesso si
ristringha. E in questo mezo elli steano ne l'acqua calda, la
qual cosa perciò si fae acciò ke ne la boccha de le vene o ne le fedite
il sangue si
congeli e non ne possa uscire. E poi ke 'l sangue fie
ristretto e 'l suo fluxo e 'l suo uscire fie menomato, epitima di bolo
armenicho, dissoluto in acqua, e um poco d'aceto vi si dee porre suso
e vi si dee lasciare stare per un die o per una notte, e poi si dee lavare
di vino tiepido, overo d'acqua. E dipo questo si dee
epitimare due
volte o tre, e a la perfine tanto lunghamente si dee usare del predetto
epithimare, tanto ke tu
veghe ke i luoghi ke erano
annerati sono già
fatti duri. E s'elli aviene cosa ke dinançi a lo
scarpellamento si sia
pervenuto a questo che la
dureza del luogho si sia
disfacta, e redda
reo odore, e se ssia tornata in
putredine e im
puçça, già lo
scarpellamento allotta i· neuna maniera nom compierà, imperciò k'elli
è mestiere ke cagia tucto quello k'è in quelle parti e in quelle
luoghora. Per la quale cosa vi si dee dare aiuto acciò k'elle
kagiano, la
qual cosa si conviene tosto fare, acciò ke la corruptione non
pervengha infino a la sana
karne ke è vicina a quel luogho.
E molti medici meno sono
savi ke llievano la cotenna e la bucia
da quelle luoghora, e quello ke v'è fracido lievano via col ferro,
avengha ke non vi si truovi grande
concavità, ma sia il luogho sottile.
Per la quale cosa molte volte i
nerbi e le corde, molto timorose e
d'averne paura, operando in questa maniera
tragghono fuori e
distendono e talliano, onde fanno ingenerare ree infertadi. Imperciò
ke la carne putrida e fracida kol ferro dal membro non si dee levare,
ançi empiastro de le
foglie de le bietole o di cavoli cotti e mescolati
com caldo biturio, e confetti in modo di pane, si conviene fare e vi si
dee porre suso caldo, il quale si dee mutare il die molte volte. E poi
ke quello k'è
putrido e fracido ne fia caduto, e nereza o verdeza in
niuna maniera vi fia dimorata, sì dee huomo considerare e pensare se
la corrutione e la
putrefacione sia entrata ne l'osso o no. E s'elli
aviene cosa k'ella non vi sia entrata, sì ssi dee il luogo medicare kon
quelle cose che ànno a
creare e a generare la charne. E s'ella è intrata
ne l'osso, allotta fie mestiere ke ssi rada inançi inançi l'osso e levarne
alcuna parte di lui, o levare via tutto l'osso de la sua giuntura.
E questo
sermone trapassa la 'ntentione del nostro tractato,
imperciò ke trapassa quello ke puote fare colui ke non è povero di
questa
arte medicante, il sapiente pietoso.
L. VI, cap. 8 rubr.Capitolo ottavo. De la cagione quando l'occhio si congela
per la troppa grande biancheçça de la neve ke nom puote vedere.
Rubrica.
L. VI, cap. 8Colui ke à paura ke questa infertade non vengha ai suoi occhi sì
ssi
vesta di neri panni, e cuopra il capo con uno panno nero, e
pongha panno nero sopra i suoi occhi. La quale cosa perciò si dee
fare acciò ke li ochi quello kotale panno sempre riguardino, o elli
tengha in mano panno nero, il quale spesse volte riguardino. E li
huomini che
vanno intorno lui sieno vestiti di neri vestimenti. E di
quelle cose che in questo giovano più che altra cosa è di leghare sopra
lli ochi una cosa, la quale i Parti, cioè le genti di quello paese,
acostumarono di portare ne' suoi viaggi, la quale si tesse di peli neri, i
quali si divellino e si tragono de le
code delli animali.
L. VI, cap. 9 rubr.Capitolo .viiij. De l'ardore e del dolore ke aviene all'occhio nel
chanmino per kagione del grande freddo o di grande vento. Rubrica.
L. VI, cap. 9Quando in questa dispositione all'occhio aviene cocimento, e
dolore de la fronte, e malagevoleza di
movimento de le palpebre (cioè
quelle carne e buccie ove i nipitelli sono apiccati) e grasseza di loro, e
perciò forse l'occhio si fae rosso, e forse obtalma (cioè apostema
dell'occhio) forte e rea se ne smuove e viene. Per la quale cosa da
queste cose si conviene molto guardare ke ll'occhio sia coperto
quanto più è possibile, e intorno a lui panno sottile si dee avolgere
in tal maniera ke non sia fior discoperto, se non quello cotanto k'è
molto necessario. E
rimuova e lieva il volto il più ch'elli
puote da l'opponimento del vento. E ancora s'elli leghi alcuna cosa
sopra li occhi, ne la quale dinanzi a la
pupilla e luce sia un grande
foro, sì ne sentirà e avrà grande rimedio e giovamento, e s'egli è sì
grande k'elli
invironi e
acerchi tucto il volto, sì fie mellio e di magiore
utilitade. E ancora bere vino tollie e lieva questo male sempre. E fare
susorno e
vapore alli occhi in ogne hora in questa disposicione sarà
grande ardore. E quando l'occhio si riscalda per
imbrochamento, cioè
per gittare sopra lui acqua o vino o altra cosa, sarà più grande
impedimento del freddo.
E se all'occhio aviene alcuna volta quello che noi abbiamo detto,
giova ke 'l
vapore e 'l susorno de l'acqua calda, ne la quale acqua la
pallia del grano fie bollita, riceva nel volto; o 'l volto sopra 'l
vapore e
susorno ove sia cotta la maiorana o l'aneto o la chamomilla di
ciascuno per sé o ddi tucti insieme ponga.
E di queste cose ke a le predette cose valliono è ke pietre si
roventino tanto al fuocho ke diventino rosse e poi si
spruççi vino
sopra quelle cotali pietre così
roventi, sopra 'l cui
vapore il volto si
dee tenere. E ancora starnutire fae rimedio e giovamento a cciò.
E s'elli aviene cosa che ll'occhio arossi, sì ssi dee torre sangue
incontanente de la vena
cefalica, cioè de la testa, e dipo questo il
seguente dì entri nel bagno; al quale se dee dare a manicare alcuna
cosa e gli si dee dare a bere vino forte e puro. E quando avrae preso
queste cose, sì dee dormire lunghamente. E s'elli aviene cosa ke
alcuna cosa sia rimasa, allotta faccia un'altra volta quello
imbrocamento più e più compiutamente ke non avea facto dinançi, e
usi l'altro
reggimento dinançi più che non avea facto fuor ke lo
scemare sangue, e
pigli cosa ke facia fortemente uscire di sotto.
L. VI, cap. 10 rubr.Capitolo .x. D'insegnare guerire coloro ke ssono indeboliti nel
chammino.
L. VI, cap. 10Ongne huomo a cui aviene grande labore e grande
faticamento,
quand'elli verrae a rriposo, si
quescha e si riposi per una ora tanto
k'elli entri nel bagno. La qual cosa elli faccia, cioè k'elli stea tanto nel
bagno ke la sua carne diventi morbida e rossa. Il cui corpo, dipo
queste cose, si
strupicci e freghi morbidamente e lievemente, e le
giunture co le
dita grosse, quasi
comprimendo e pontando e
calcando giù, si
palpino. E poi se elli è verno, sì è da ungnere koll'olio
nel quale aneto fue cotto o
kamomilla, e magiormente le sue
giunture.
E s'elli è state, con olio violato si faccia quel medesimo, e poscia si
riposi e dorma lunghamente, e abbia il
lecto più molle che non suole,
e si cuopra più de' panni che non suole. E quand'elli fia
isvelliato, sì
ssi stropicci e faccia stropiciare ancora, kome dinançi e all'uso del
bagno e de l'ugnere, e apresso regha al suo usaggio.
L. VI, cap. 11 rubr.Capitolo .xj. Come si dee disporre il corpo ki vuole kaminare,
e del reggimento del cibo nel chammino.
L. VI, cap. 11Colui ke vuole andare grande viagio e lungo, dinançi k'elli entri
in canmino, sì ssi dee scemare sangue e prendere medicina da ffare
uscire e magiormente s'elli è gran tempo k'elli non fece né ll'uno né
ll'altro, cioè ke non si scemò sangue e che non prese medicina.
E colui che vuole
chanminare ançi ke 'l corpo sia mundificato e
purgato e netto, appena potrà scampare k'elli non
kaggia in febbre. E
s'elli aviene cosa k'elli ne scampi alcuna volta, imperciò ke 'l suo
corpo è
disuluto e la sua cotenna e buccia è rada, sì non scamperà elli
ke non abbia apostemi, e bolle, e
papici, e
katarro. E lli conviene
studiare ke la sua costuma muti in quella costuma ke lli conviene
usare nel cibo e nel dormire e nel
movimento.
E s'elli aviene cosa
k'elli
konvengha usare il veghiare nel
cammino, sì ssi dee isforçare
d'usare di veghiare ançi ke
kominci il viagio, e somilliantemente l'ora
del manicare dee mutare all'ora ne la quale elli saprà k'elli si possa
riposare nel
cammino
. Et exercitio e
movimento debbono usare più
ke non ànno acostumato e dêsi isforçare k'elli sia sanza
uso di
bangno.
E quando elli comincerà ' andare, de le medicine k'elli era
acostumato d'usare
porti seco, e l'
uso del cibo k'elli avea ne la sua vita
o ne la sua terra lasci, o non manuchi in neuna maniera di quelle cose
k'elli era acostumato di mangiare, il quale usi cibi di grande e di molto
nodrimento e di piccola quantitade, e non manuchi ançi k'elli sia
albergato e ch'elli sia riposato. E s'elli àe grande mistiere di manicare,
avengna k'elli
pigli um poco, non tucto, il cibo ke lli è mestiere; né
tucto il bere, se non quando elli sia riposato, presumma di prendere; e
'
kamangiari e i frutti magiormente in niuna maniera prenda,
imperciò ke queste queste cose riempiono il corpo sança grande
nodrimento e generano nel corpo homori crudi e grossi e rei. E se nel
tempo caldo elli n'àe mestiere, sì ne mangi, sì come noi abbiamo già
ordinato.
E s'elli è mestiere k'elli vada di notte, sì non dee cenare, ma
llasci stare e aspetti il suo intero manichare infino al tempo nel quale
elli saprà ke elli si possa riposare lungamente. E dal fastidio e da
movimento pieno il ventre del tucto in tucto si dee sofferire e
abstenere, imperciò ke queste cose generano apostemi et exiture, e
conviene usare bagno.
L. VI, cap. 12 rubr.Capitolo .xij. Da potere levare via il nocimento che puote
avenire de le diversitadi de l'acque.
L. VI, cap. 12
Di quelle cose ke tolgono e mandano via i nocimenti ke
avengono de le
diversitadi de l'acque sì è k'elle non si beano sempici,
ma l'acqua di ciascuna
magione si temperi koll'acqua de la precedente
magione, cioè de la
magione ke andò dinançi, mescolandola con essa.
E a questo vale bere l'acque mescholate col vino e coll'aceto, le quali
elli
porti seco. E lo 'mpedimento de le
diversitadi de l'acque tolle
manichare cipolle,
agli o latughe coll'aceto.
E ancora al viandante giova
portare seco de la terra de la sua
terra, de la quale, quando elli fia riposato, elli pilgli um pocho e
coll'acqua mescoli, la quale elli lasci così stare tanto ke 'l fangho sia
disoluto e disceso al
fondo, e che ll'acqua sia rischiarata, e di quella
cotale acqua bea poi.
E le ree acque, ne le quali si cognoscano manifestamente le
qualitadi, si debbono temperare sì come noi diremo.
L'acqua grossa e torbida si dee rischiarare mutandola spesso e
molte volte d'uno vasello in un altro.
La quale cosa se non si puote
fare, per lo colatoio ke ssi fae de la farina molle de le
tortelle coperto
si coli
. E di quelle cose ke ll'acqua colano è k'ella si bolla inançi inançi
e poi si raffreddi e cholisi. E di quelle cose ke la colano è ke vi si gitti
entro um poco d'allume
giameno trito, imperò ke questo la rischiara
molto tosto.
E se ll'acqua è salsa, sì ssi dee bere coll'aceto e
sirokaratte
mabatie, cioè di quello paese, vi si debbono mettere dentro o seme di
mortine o
sorbe o fangho
karasen di quello paese; o quelli che la
vogliono usare si manuchino le mele cotogne, imperciò ke le mele
cotogne lievano il nocimento da l'acqua salsa.
E se ll'acqua sarae molto spessa e convengha ke 'l viandante
l'usi, sì la metta in una
pentola di
vetro netta, e in vasello di pietra
legnie per traverso pongha; sopr'esse, sopra le quali legne, velli di
lana, o llana
karminata netta,
pongha. Le quali cose così fatte, acenda
il fuoco sotto la
pentola, e quello ke in quella lana si racollie,
spremendo, si
colgha e pigli, e si bea quello ke nn'uscirà. E l'aceto
riprieme e atuta il sapore de l'acqua salsa, e lo sciroppo acetoso è utile
a ccioe.
E se ll'acqua è
stante ke abbia mescolata seco putrefatione, sì ssi
mescoli col rob de'
fructi
acetosi, sì com'è rob ke ssi fa del sugho de
l'uve acerbe e de le melegrane e de le mele. E quando elli bee quella
cotale acqua, sì lasci stare tucti i cibi caldi e vino nom bea in neuna
maniera, s'elli non fosse
cauba, imperciò ke questa cotale acqua
stante, ke non si muove, è quello ke più tosto puote generare febbri
ke niuna altra cosa.
E se ne l'acqua fosse amareza, sì le si mescoli
julep quando
huomo la bee, overo çucchero, e manuchi cose dolci. E se ll'acqua
facesse uscire, manuchi di quelle cose ke
stringono il corpo, e per
contrario, se ll'acqua
strignerae il corpo, sì manuchi quelle cose ke
ffano uscire. E se nell'acqua fossero cose minute o erbe ne le quali è
acuitade e malitia, sì manuchi sempre cibi
untuosi e sia studioso e
solicito di
colarla, e acqua non bea se non per
alifen, cioè per quello
strumento, e magiormente se vi sono entro mignatte, overo
sanguisciughe. E se per kagione de l'acqua l'orina si ristrigne, vino
che
abbia acqua mescolata, ne la quale sia cotto il seme del finocchio
e de l'appio, sarà da bere. E se ll'acqua farà fastidio, sì ssi dovrà bere
col rob de le melegrane. E acciò k'io comprenda brievemente, sì ssi
converrae considerare ke lli aviene e allotta si converrae reggere col
suo contradio.
L. VI, cap. 13 rubr.Capitolo .xiij. Del regimento de le magioni di coloro i quali
sono ne le chastella.
L. VI, cap. 13Quelli che ssono ne le castella, se elli è di state, debbono stare
nelli alti luoghi e suso i colli. E lli usci de le tende si debbono tornare
verso la tramontana, et entra ll'una tenda e l'altra si dee lasciare
grande spatio, e le bestie s'
allunghino quanto si puote più. E nel
verno sia il loro
regimento contrario a questo, cioè ke stieno ne'
luoghi profondi, e vadano a le radici de' monti e de' colli, e
tornino li
usci de le tende a mezodie e a oriente, e le tende si tocchino insieme.
E se ll'aria è
kalda e humida, sì ssi menomi la dieta, ma
l'exercitio venga a incremento, cioè sia più che non suole. E se l'aria
fia seccha, sì ssi faccia il contrario. E s'elli aviene cosa ke molti
huomini sieno infermi, sì stieno separati lungi da le castella, in tale
maniera ke elli non steano di sopra al vento, ançi stieno di sotto. E se
ne le luogora de le castella fossero rei
rettili, cioè serpi, o altri animali
velenosi, sì ssene converrano cacciare e gittare fuori quanto più fie
possibile, e poi si converano fare medicamenti ke lli caccino via da
quelli luoghi e che lli uccidano, i quali noi diremo. E se erbe o arberi
rei vi fieno, de' quali vengono odori nocivi e acuti, si debbono
ardere
o da la loro parte si converà sedere sopra 'l vento.
E ancora il cibo o la chagione per la quale elli infermano in
molte castella si dee bene considerare e fare quelli
rimedi k'elli
possono essere
contradii, o lasciarle stare del tutto in tutto.
L. VI, cap. 14 rubr.Capitolo .xiiij. Del reggimento di coloro ke volliono
navichare per mare.
L. VI, cap. 14Conviene a colui ke vuole andare per mare ke elli
porti seco rob
de'
fructi e de le medicine k'elli
acostumoe d'usare, ma tuttavia, inançi
ke elli entri in mare per aliquanti dì, dee menomare il manichare k'elli
àe acostumato d'usare, nel quale tempo usi cibo ke ssia di quelli che
comfortano lo stomacho. E quello die k'elli entra primieramente in
mare non riguardi l'acqua, ma cominci a odorare e a manichare a
poco a poko quelle cose ke
atutano la
nauscha, cioè la vollia del
rigitare, le quali noi nomineremo nel suo luogho.
Le quali cose kosì facte, come è detto, s'elli aviene cosa ke la
vollia del reddere avengha, sì ssi dee lasciare reddere alquante volte,
imperciò ke questo nolli nocerà, ma ss'elli aviene kosa che 'l vomito si
moltiplichi, cioè ke pure crescha, si bea del rob de'
fructi quasi
succiando e
lappando, e li si
dea
summach e granella di melegrane, e
simillianti cose li si deano. E s'elli aviene cosa ke 'l reddere pur
crescha più ke mestiere no è e l'
assalgha
gravemente, sì ssi medicha
co le medicine de la
'mfertà collericha.
L. VI, cap. 15 rubr.Capitolo .xv. Di quelle cose che non lasciano generare
pidocchi e che lli uccidono.
L. VI, cap. 15
Alchuna volta per cagione del mutamento de l'acqua, e per
molta fatica e ordura, e per poco bagnare, e per pocho mutare i panni
lini, aviene ke 'l corpo e i panni s'empiono di
pidocchi. E queste cose,
cioè poco bagnare e poco mutare i panni, sono kose ke avengono
di necessitade al viandante. E di quelle cose ke questo
kontradiano è
k'elli
studi nell'uso del bagno e del lavare, e ch'elli muti i panni il più
k'elli puote, e propiamente ke 'l panno k'è presso a la carne sia lino,
imperciò ke tardi si riempie di
pidocchi.
E di quelle cose ke lli uccidono è l'
ariento vivo spento, quando
elli si mescola coll'olio e ch'elli se ne ungne un cintolino fatto di
fila
di lana, il quale alcuno appende o porta sopra ssé o ke ssi cinge, o le
foglie de l'
açederach, o de l'
oleandro, si mettano nell'olio del quale lo
'mfermo se n'ungha, o ciasche
.x. dì co l'arsenicho rosso e ko la
staphisagria, e condisi, e
baurach coll'aceto s'epithimi. La qual cosa,
poi che fia così
lasciata stare per una hora, sì ssi lavi coll'acqua calda.
E ancora i panni se
epithimino kol
kondisi, e lupini, e
baurach, e
aceto, o elli s'
affumikino con lupini o kol
çaudarach o ko l'
arbaratath;
o lo 'nfermo coll'olio, nel quale la terra de l'ariento vivo sia messa o
ne la quale il condisi sia messo, si dee ungnere.
L. VI, cap. 16 rubr.Capitolo .xvj. Di quelle chose che non lasciano mutare
colore al sole né al vento.
L. VI, cap. 16Le cose ke non lasciano mutare il colore del loro numero sì è
fare ombra e coprire il volto kom panno.
La quale cosa se ffare non
si puote,
dragaganti, e amido, e
gumo
arabico, e
mucillagine di
pisillio e de seme di mele cotogne si prendano e si mescolino
coll'albume dell'uovo, o col sugho de la porcellana, e se n'epithimi il
volto nel viagio, e quando elli fie riposato, sì ssi lavi
. E se questo si
fae, o di ciascuno per sé o di tutti insieme sì varrano a questo. E a
questo ancora giova infondere
tortelle nell'acqua, tanto ch'elle si
disolvano, de le quali il volto s'epithimi, e s'epithimi coll'albume
dell'uovo e koi
draghanti.
E s'elli aviene cosa ke il colore del volto sia mutato, sì giova
ch'elli s'epithimi la notte kol
ceroto che ssi fae de la cera e dell'olio ke
stanno al sole per tutti i die
kaniculari, e col grasso de la gallina, e co
la farina del cece. E s'elli aviene cosa ke 'l mutamento del colore del
volto sia molto, sì ssi converà medicare koi
sinapismi ke noi
nominammo nel trattato de la
decoratione, cioè di fare bello.
L. VI, cap. 17 rubr.Capitolo .xvij. Di quelle cose ke non lasciano fare le fessure
nel calcangno.
L. VI, cap. 17Le
fessure nel
calcagno e nell'altre parti de' piedi di sotto si
contradiano di fare se 'l piede si tenga ne l'acqua molto calda tanto ke
ranmollischa. E poi k'elli fia tracto de l'acqua,
dragaganti triti
sottilmente vi si
polverizino suso e poscia si freghi e stropicci
fortemente, imperciò ke le calcagna non si lasciano fendere s'elli sono
epithimati kolla pece
liquida, o panno intinto ne l'olio si pongha
sopra 'l piede e sempre sia calçato, e si guardi da la polvere. E ancora
molto giova s'elli si prende il sevo de la capra e si distruga, al quale
um poco di galle trite sottilmente vi si
polverizino suso, il quale
poscia tanto quanto è
liquido e molle si ponga.
Ne l'antiche
fessure e a le ree fenditure ke passano infino a la
carne giova ke del
merdasengi trito dr
. .v. si prendano, le quali,
mescolate con
.xx. dr
. d'olio, si cuocano in uno ramaiuolo di ferro e si
muovano allotta spesso spesso tanto k'elli si faccia
alkitran, al quale,
poi k'elli fie cotale, il peso di dr
. .iij. di
galbano ke ssi kiama
borset vi
s'agiunga e tanto si cuoca ke diventi spesso. E quando fia
raffreddato,
sì diventerà sì come
pece
liquida, del quale caldo e
liquido sopra le
fenditure si
digocioli,
kadendo a poco a pocho. E questo giova a
l'
antike fenditure ke passano infino a la carne, cioè ke
sandarach e
olio de'
semi del lino si prenda e mescolate si cuocano tanto ke
diventino spesse e vi si gettino suso a
gociola a
gociola, o elli si
prenda grasso di
pecora, al quale s'agiungha um pocho di
galbano e
poscia si
cuocha um pocho tanto ke diventi spesso e poscia
s'aministri. E conviene, ançi ke le fenditure comincino a guerire, si
mettano ne l'acqua calda tanto ch'elle
ramollischano e si nettino, e
poscia si forbano e s'asciughino, e poi si
gueriscano ko le medicine, e
poi dipo 'l
medicamento il piede si calçi.
L. VI, cap. 18 rubr.Capitolo .xviij. De lo scorticamento che aviene in
chanmino per lo cavalcare o per istretto kalçamento.
L. VI, cap. 18Quando alcuna parte del corpo per essere portato, o per altra
chagione, si
scorticherà, sì ssi richiede incontanente, poi che ffie
riposato, tanto s'arrosi e
inaffi kon molta acqua fredda tanto ke 'l
dolore si
mithighi. La quale cosa, così fatta, sì ssi discuopra il luogho
e si
ventoli; la quale cosa, se non si puote fare, panni
lini
mollati ne
l'acqua rosata raffreddata vi si pongano suso, e poi, quando il luogho
si comincerà a intiepidire, sì vi si pongano suso panni
mollati un'altra
volta. E poi quello ke vi era di caldeza e d'acuitade fie riposato e
passato via, sì si faccia epitima kon litargiro trito mescolato
coll'acqua rosa. E s'elli aviene cosa che l'arsura e 'l dolore vi sieno
ancora rimasi, sì ssi
guerischano ko l'unguento de la cerusa.
E le vesciche ke ssi fanno per la
streteza de' calçari,
primieramente si debbono fendere e poi inaffiare coll'acqua rosa, e
poi s'
eppithimino col litio e coll'
akacia, o kol bolo
armenicho, o co le
galle strupiciate coll'acqua, o balaustie bene trite vi si pongano suso.
L. VI, cap. 19 rubr.Capitolo .xviiij. Del cadimento e de le percosse ke
avenghono nel chapo o in alchuna altra parte del corpo.
L. VI, cap. 19Se per cagione di
caduta del
dosso d'alcuno animale al capo, o
altra parte del corpo, fie venuta percossa, optima cosa è ke a lo
'mfermo si scemi sangue incontanente da la parte contradia. E
s'
attengha da la carne e magiormente dal vino, e 'l luogho s'epithimi
(o ve si pongha empiastro) de le cose da confortare. E se elli aviene
cosa che per cagione di caduta sia lesione e male, sì lli si scemi sangue
de la vena del capo.
E dipo la flebotomia aceto mescolato con olio rosato, il quale
sia tre cotanti ke l'aceto, vi si pongha suso, e panno bagnato ne
l'acqua rosa vi si pongha suso. E lo 'mfermo dee bere la mattina e la
sera aqua d'orço, il quale per tre die nom prenda neuna altra cosa
tanto che ssia a ssicuro ke appostema caldo non nascha ne la parte
del cerebro. E segno ke queste cotali luoghora e 'l
celebro sono sane
è ke lo 'ntelletto non si turba, il quale s'elli aviene cosa ke dipo la
chaduta elli si turbi, si conviene ke ssi faccia
maggior traimento di
sangue e che 'l capo con acqua rosa e con olio rosato con aceto di
vino si
mollino. E dipo queste cose si mescolino a le
foglie de le
mortine e a le balaustie, e a le scorçe de le melegrane, e a l'aceto
kotte, tanto ke ssi
disolvino um poco di moscado e di
galla, e di
xillaloes, cioè di legno aloe, e calamo aromaticho, de' quali tucte
queste cose, e con aceto di vino brusco vecchio iuncte, si facia quasi
uno empiastro
conficiendo, e si ponga lo
'mpiastro in sul capo. E 'l
ventre si muova kol sugho de' frutti o kon lieve cristeo e le sue
stremitadi si strupiccino.
E ancora di quelle cose ke molto giovano al cerebro k'è
conmosso è ke lo 'mfermo manuchi le cervella de la gallina, de' quali
elli si dea primieramente dipo 'l quarto dì quanto prendere potrae, o
elli usi solamente a bere acqua d'orço, a la quale elli sia mescolato
um poco di sugho di melegrane
muze.
E questo è il mellio ke noi vogliamo qui.
E 'l magagnamento ke aviene per caduta, e s'ella è nel petto o in
quelle parti, sì ssi converrà scemare sangue de la vena del fegato e 'l
suo
regimento e la sua vita si converrà sottilliare. E s'elli aviene cosa
k'elli getti sangue per sputo col reddere o kon urina o di sotto ne
l'uscire, sì li si dea a bere alcuna de le medicine ke noi nomineremo. E
se queste cose perseverassero lungamente, la perfectione del loro
medicamento si dee prendere da le luogora ove noi nomineremo
queste infertadi.
E segno, s'elli è forte magagna per la caduta del capo, è
turbamento d'intelletto. E questo sarà
misura di forte magagnamento
nel capo. O di picola magagna, o di picola
lesione o del pecto o del
ventre per caduta, e misura d'angoscia e di
streteza di attrare l'aiere è
segno de l'uscimento del sangue.
Medicamento il quale si dae a bere a colui al quale fia advenuta
caduta o forte percossa.
Recipe:
ribarbaro, robbia,
laccha
monda, e de bolo
armenicho, o
di terra
sugillata, di tucti ana parte meza. E la dese, cioè la quantità di
questa medicina, sia due dr
. infino a
.iiij. koll'acqua ne la quale il cece
fie messo a molle. E a costui si dea a manicare ames, e riso, e
lenti, e
cece.
Medicamento a forte
kaduta e a grande sputo di sangue:
mummia, e bolo
armenicho, o terra
sugellata com picola quantità di
vino brusco si dea a bere.
Epithima a percossa e al
levamento di carne.
Recipe:
mugath, mes
excorticati parti iguali, bolo armenich parte
meza, acacia, alloes ana la quarta parte d'una de le parti. E tucte
queste cose s'
inaffino coll'acqua de le mortine, de le quali il luogo
debole si conviene
epithimare.
L'altra epithima a caduta, quando con essa fia febbre e apostema
caldo.
Recipe: rose,
lenti scorticate, bolo armenico, sief, memithe,
sandali,
fauvel, e di tucte queste cose insieme coll'acqua rosa si faccia
epithima.
Medicamento il quale li si dae a bere.
Recipe:
carabe, bolo armenico, balaustie, sangue di
dragone,
laccha parti iguali, di tucte queste cose dr
. .iij. si dieno a bere ko una
oncia d'acqua, ne la quale
summac fia stato a molle, e oppio ricente la
sexta parte d'una dr
., imperciò ke questo incontanente
ristrigne il
sangue (dal quale molto sangue esce per cagione di percossa o di
caduta). E lo 'mfermo manuchi le cose
laçe.
Medicamento a llieve
movimento di carne e deboleza, il quale
conforta e mitigha il dolore.
Il luogo s'ungha coll'olio rosato al quale la polvere de le mortine
di sopra si spanda e
leghisi meçanamente. E vestigi verdi, cioè il
lividore che rimane dopo la percossa o dopo la caduta, sì ssi
gueriscono e medicano ko le medicine ke ssono nel tractato ke noi
nominamo tractato di
dicoracione, cioè di belleza.
E qui si termina e finisce il sexto libro, overo il sexto trattato,
kolla misericordia di dDio, a dDio
remdiamo gratie.
Qui finisce il sexto tractato del
regimento di coloro ke fanno
viaggio per terra o per mare e comincia il septimo libro dell'
arte de la
cirurgia, de la ricordança de l'agregationi, de l'
arte
alchebra o
algebra,
e de le fedite e de le loro somme.
L. VII, Index rubr.
Qui cominciano i chapitoli del septimo libro. De
l'agregationi e somme dell'
arte di cirugia.
L. VII, IndexCapitolo primo. De l'agregationi e somme dell'
arte de la cirugia
e de le fedite e delli apostemi. Capitolo secondo. Di
ramollare le
dureçe ke rimanghono nei membri dipo lloro raconciamento.
Capitolo terço. De le
colletioni e dell'agregationi del
guerimento de le
fedite e delli apostemi, o agregationi e somme de l'
essiture de le
fedite. Capitolo quarto. De' medicamenti e medicine ke generano e
ristorano la charne. Capitolo
.v. De'
medikamenti ke menomano la
charne superflua. Capitolo
.vj. Di quelle cose ke saldano l'
ulceragioni
e generano
karne nelli
ulceri ke ànno molte humiditadi e lievano via la
loro
humidità superflua. Capitolo
.vij. Di quelle cose ke rompono
l'
esciture in tale maniera ke non è mestieri ke huomo le fori con ferro.
Capitolo
.viij. De le
scruofole e
gavine. Capitolo
.ix. Del cancro e sua
cura. Capitolo
.x. De'
carbuncoli e sua cura. Capitolo
.xj. De
l'apostema
kaldo e sua cura. Capitolo
.xij. De l'apostema molle e sua
cura. Capitolo
.xiij. De l'apostema duro e sua cura. Capitolo
.xiiij. De
le grandi ghiandole. Capitolo
.xv. De' nodi
ghiandolosi. Capitolo
.xvj.
De
formicha. Capitolo
.xvij. Del fuoco di Persia. Capitolo
.xviij. De
l'
arustiscimento e
adustione del fuocho o dell'acqua o de l'olio.
Capitolo
.xviiij. De'
patereccii ke ssi fanno presso all'unghie e sua
cura. Capitolo
.xx. Del fluxo del sangue. Capitolo
.xxj. De la
flebotomia, cioè de lo scemare del sangue de la vena. Capitolo
.xxij.
De le
ventose, overo
koppete. Capitolo
.xxiij. De le
sanguisciughe,
cioè mignatte e a ch'elle sono buone. Capitolo
.xxiiij. De la vena
civile. Capitolo
.xxv. Di trare le saette. Capitolo
.xxvj. De le percosse
ke ssi fanno nel capo. Capitolo
.xxvij. De' falsi e frodolenti medici
inghanatori e de' loro inghanni e frodi.
[L. VII, Incipit]Qui comincia lo septimo libro.
L. VII, cap. 1 rubr.Capitolo primo. De l'agregationi e somme de l'arte de la cirugia
e de le fedite e delli appostemi.
L. VII, cap. 1I più di coloro ke fanno questa
arte e sono kiamati
ristoratori,
cioè medici di raconciare l'ossa rotte e
dissconce, nolla fanno bene,
né
saviamente né sotto certa radice a la quale si ritorni, ançi la
maggior parte di loro operano
kasualmente, a aventura, e sì com'elli
apparano da un altro. E rade volte
troverai alcuno di loro ke
abbia
letti i libri di questa
arte o ke ll'abbia apparata da maestro ke ssappia
lettera; ançi coloro ke più la fanno sono
ydiote e foresi di villa, e matti
e stolti. E imperciò, per kagione de la loro matteza, pessime infertadi
si generano nelli huomini.
Ma nnoi le somme e le
agreghationi di questa
arte in tal maniera
raporteremo e racconteremo, le quali quando alcuno sarae astuto e
ingengnoso medico potrà, secondo questa
arte, ciò ch'elli vorrae
optimamente operare. E primieramente del
regimento de la dieta, e
poi de lo stendimento e
rettificamento, e de le legature, e de le rotture
e
speççature ke rompono, ne le quali le suptili parti de l'ossa e acute e
sottili e ancora i piccolini peççuoli divisi si veggono, e a la perfine
tratteremo de la
dislocatione.
E lli huomini stolti e matti comandano ke qualunque avrae
rompitura, o
dislocatione, o contusione e schiacciamento di carne,
k'elli si notrichi kon
alluchisat e
ashiht e co la carne arostita ne lo
spedone o sopra la brascia, e bea vino. E neuna cosa è ke più tosto
faccia venire e che più tosto generi l'apostema caldo ke questo cotale
regimento, ançi conviene ke, da che a lo 'mfermo fie advenuto
rottura, o
dislocatione, o rottura, o
calcatura, o contusione di carne,
ke 'l suo
reggimento e la sua dieta nel mangiare e nel bere si sottigli. E
s'elli àe il ventre duro e stiticho, sì ssi converrà fare kosa ke 'l facia
uscire e similliantemente li si converrae scemare sangue secondo ke
noi diremo innançi. La quale cosa perciò si conviene fare acciò k'elli
sia sicuro ke
matera d'altra parte non corra a quel luogho, la quale
matera possa generare grandi appostemi e putrefatione. E poi che
alquanti die fieno passati e sia sicuro ke non avengha caldo apostema
a lo 'mfermo, comandigli che elli torni al
regimento e a la vita k'elli
solea usare, se la sua infertade fia
dislogamento o
kontusione, o
schiaciamento, e
kalterimento di carne.
E colui che à rottura d'osso, sì dee arogere al suo sangue e
prendere cose e cibi ke ssieno grossi e viscosi, acciò ke la natura abbia
materia aparechiata, de la quale si genera il poro e quello cotale
tenerume ke rilega insieme e
kongiugne l'osso rotto. E di quelle cose
e di quelli cibi ke operano e fanno queste cose è il grano tanto cotto
ke paia quasi
polta, e
terich (o
cetherit), e ancora i chapi e ' piedi delli
animali, e ancora i cui de' cavretti e delli angnelli e de' vitelli, e i ventri
de' buoi e de le vacche, e ll'uova, e 'l riso, e i pesci ricenti, e 'l
nudrimento di queste cose e le somillianti ne le quali è grosseza e
viscositade, de' quali elli dee manichare in questo tempo, e dipo lloro
prendimento bere vino grosso, imperciò ke per questo cotale
regimento la rottura de l'osso mellio e più tosto si potrà leghare; ma
nel
cominciamento
kamangiari freddi e
musagent tanto solamente
dee manicare, e carni d'ucelli e di cavretto, ma al vino non apressi in
neuna maniera.
E quando elli fie mestiere di distendere o di
retificare e dirizzare,
sì ssi faccia in maniera ke meno dolore si senta ke ssentire si puote,
imperciò ke neuna cosa è ke più tosto faccia venire l'apostema ke ffae
il duolo. Ma molti di questi stolti e matti distendono i luoghi debili e
diriççano ov'elli si sforzano di fare gran suono, acciò ke 'l vulgo e le
genti sempici credano ke elli operi bene. Ma elli non conviene che la
giuntura, ove non àe
dislogamento, k'ella si priema né distenda in
alcuna maniera, ançi vi si dee porre suso lo 'mpiastro ke noi diremo; e
la
legatura si dee fare sì soave e sì agevole ke a le sue cagioni neuna
dollia non si senta.
E ancora le
mateze e 'l pocho senno e la pocha scienza di questi
medici molte volte ingannano il
vulgho e le genti sempici, imperciò
ke quando nel membro sarà dollia si presumano e osano dire k'elli v'è
roptura o
dislocatione. Ma le rotture e le
dislocationi sono sì
manofeste k'elle non si possono appiattare, imperciò ke di questo
aviene ke la figura del membro si torca e distorni e ke la buccia e la
cotenna dall'una de le parti sia gibbosa e colma e dell'altra sia
cava.
Per la qual cosa se alcuno considererà e penserà
diligentemente, è
impossibile ke ss'occulti o apiatti a colui che quello considererà e
penserae
diligentemente, se il
disloghamento non fosse de la giuntura
de l'
aiutorio coll'
omero, o de l'ancha co la coscia, imperciò ke quando
il capo de l'
aiutorio si
disluogha intra la
concavità k'è sotto le ditella,
el capo de la
coscia entra ne la carne
ghiandolosa k'è nella 'nguinaia
da la parte de l'ancha; onde conciosiacosaké ivi sia molta carne, la
tortione e 'l
dislogamento non v'è molto manifesto.
E segno che la giuntura de l'homero sia
dislogata è ke v'è
rilevato e
kolmo, retondo, il quale aviene e appare sotto le ditella e
quando si
tocca co le
dita si sente. E ancora somilliantemente il
disleghamento ke aviene all'ancha sì è
segno l'alteza di fuori, sì come
ne la 'nguinaia, e ke lo 'nfermo nom puote distendere la giuntura ch'è
intra la gamba e la coscia, nonché la giuntura
dislocata. E se la
roptura del membro no è molto picolina, e tu co la mano
investigherai e cercherai
diligentemente la
gibbositade o
scrignuteza e
alteza dall'una parte, e la concavitade dall'altra parte non si
oculterà e
non si
apiatterà, e sentirai altressì il suono de l'osso cigolare quando
tu merrai in qua e in qua colle mani. E quando i· lluogho non sarae
manofesta
tortione e
dislogamento, né
scrignuteza e alteza, né
koncavità, né quando il luogho si malmena co le mani e cerca, non si
sente
cigolamento, né scoppiare l'ossa, non vi sarà
disloghamento né
rottura d'osso la quale vollia forte stendimento o fforte
premimento,
imperciò ke ivi non sarà se nom contusione e
mangangnamento di
carne, o molto piccolina roptura, per la quale cosa in neuna maniera
distendendo si de' fare con
movimento, imperciò ke 'l distendimento
genera nel luogho magiore angoscia, onde in questo aviene magiore
erore. Per la qual cosa se alcuno de' matti e delli sciochi in queste
luoghora vorrae usare compressione o
instensione, cioè priemere o
distendere, sì lli si vorrae dire k'elli no 'l faccia, ma
dêlisi comandare
k'elli palpando il luogho soavemente l'ungha, e poi si leghi
soavemente, acciò ke non si ne seguiti dollia; e neuna cosa più ke
questo è qui da ffare né d'operare.
E io
vidi la matteza d'uno di questi stolti e inghannatori, ond'io
molto mi
maravilliai. Uno forse
kadde sopra il luogho k'è nel
miluogho dell'
aiutorio, cioè quella parte del braccio k'è dal gomito
infino all'omero de la spalla, onde se ne comincioe a ddolere, onde vi
si comincioe a
nascere un piccolo apostema. La qual cosa quando il
predetto scioccho vidde, disse ke 'l predetto
adiutorio era
dislocato.
Nel quale non era tanto di senno k'elli sapesse ke
dislogamento
nom potea avenire se non ne le giunture e non nel mezzo de l'osso.
Per la quale cosa elli, aparecchiato da ciascuna parte a estendere
fortemente l'osso,
noglile lasciai fare. Ançi unsi primieramente il
luogho koll'olio rosato e poi
pestai molto bene tre granella di
mortine. E apresso questo sì
lleghai soavemente e
tolsigli sangue
dall'altra parte del braccio. E poi ke 'l terço die fue venuto, sì sciolsi la
leghatura e cognobbi ke non v'era mestiere più
medicamento.
E certo a parlare di questo ke ciascuno membro del corpo de
distendimento e
rettificamento e di leghamento e dell'altro
medicamento ke à mistiere, tanto ke la sanità sia compiuta e che ssia
bene guerito, de la
misura di questo nostro libro e de la sua intentione
si truova, impercioe ke per questa cotale inquisitione di questo nostro
tractato avremo mestiere di molte cose, a le quali cose poi sarebbe
mistiere ke ll'opera si vedesse colli occhi come si fae. E noi non
intendiamo in questo nostro libro se non quelle cose ke quando li
huomini di buon ingengno legeranno e in queste cose avranno
medicato, avengna k'elli non sieno buoni medici, sì ssi potranno elli
igualliare e acompagnare ai medici.
E quando la
legatura si fae, si conviene ke 'l luogo rotto ke elli si
leghi con tre o con quatro fasce, de le quali la prima tenda e vada a la
parte di sopra, la quale sia più forte, e la cintura sia sopra 'l luogho
infermo, dal quale luogo, quando si comincerà a partire, soavemente
si cominci a alentare. E quanto più si dilungha dal luogho infermo,
tanto si faccia più lenta. E questa
leghatura in questo modo si dee
distendere tanto k'ella prenda e occupi grande quantitade de la parte
sana. E dipo questa si prenda l'altra
fascia, la quale primieramente si
pongha sopra il luogo infermo e poi distendendo tenda a la parte di
sotto, la cui
strettura e 'l cui
allarghamento, sì come noi dicemo ne
l'avolgimento de la primaia fascia, fare si conviene. E intra queste le
'stelle si debbono alloghare, acciò ke per loro il membro si
rectifichi,
acciò ke né
gibositade o alteza o
concavità non vi rimanga. E apresso
tutto questo si dee avolgere con un'altra fascia soavemente, le cui
avolte in ciascuno luogho debbono essere iguali; sopra la quale le
'stelle si debbono porre e coll'altra fascia si debbono leghare, la cui
strettura in tutte le luoghora all'altre
stretture sia eguale, e poi tutte
queste cose si leghino poi di sopra ko le fila, e questo modo dee
essere di
leghatura. Ma l'ingannatori fanno il
cominciamento de la
legatura ne le luoghora
sane, ove, leghando fortemente,
stringono e
poi,
rilaxando e allentando, discendono al luogho infermo;
il quale
modo di leghatura è pessimo e pigiore di tutti, imperciò ke 'l sangue
expremuto da le due parti a le luogora inferme si manda, ne le quali
luoghora si generano fedite e aposteme, sì come
herpes
hestinomeno e
herispilla, e
putrefationi avengono loro molte volte
. E
la
misura del legare dee essere tale ke a lo 'mfermo non faccia niuno
dolore se non molto picolino, né ancora non sia sì lenta ke lo 'nfermo
nolla senta in niuna maniera.
E se per kagione de la legatura
kominciamento d'apostema, o
forte dolore avenisse, in tal modo ke ssi faccia verde e s'empia di
sangue, incontanente si dee sciolliere la fascia e la sua
stretura si dee
menomare. E se lo 'nfermo nel luogho de la
leghatura senta forte
prurito e piçicore, sì ssi
sciolgha, e il luogho si molli coll'acqua, e
sia sì
kalda k'elli ne giovi e si ne diletti, la qual cosa tanto si conviene
fare ke 'l piçicore si parta e allenti. E poi che 'l luogho fie così stato
per una ora, sì ssi rileghi co le
fascie sue, le quali sieno bagnate con
acqua, e olio, e aceto mescolati insieme e molto bene
dibatuti.
E la
misura del tempo de la legatura è questo, imperciò ke elli
conviene ke, nel chominciamento, elli si
sciolgha ciascuno die, e
magiormente se vi fosse apostema o dolore; e s'egli aviene cosa ke
non vi sia niuno di questi, non si dovrae sciolliere se non due o tre dì
messi in mezo, salvo se alcuna cosa avenisse poi che fue sciolta, sì
come dolore o
movimento. E se alquanti dì sono già passati ne' quali
la legatura non fu disciolta e non vi appare apostema, né dolore, né
arsura, non si
sciolgha se non dopo quatro die o
.v., e quanto più
tardi si
sciollie tanto fia più aconcia a
consolidarsi. E ancora
konviene, quando il male aviene primieramente, la legatura sia lenta,
acciò ke non faccia dolore ke faccia o apporti nocimento. E poi
ke 'l quinto die o pochi più sieno passati, e luogo sicuro da
l'apostema, la legatura a poco a poco incominci a essere più stretta. E
quando molti die fieno passati, e la
fiacchatura fie consolidata, e sarà
mestiere che la carne k'è sopra la rottura si pillii, converrà ancora
allotta ke la
leghatura a ppoco a pocho s'allenti e la dieta (cioè il
regimento del
vivere) si cresca, cioè pilgli più che non suole, sì come
noi abbiamo detto. E conviene ke lle
'stelle si ponghano sopra alcuna
kosa ke abbia morbideza, e ke le loro stremitadi non tochino in niuno
luogho al membro ove non sieno cose morbide, e ke la magiore e la
più grossa di loro in quella parte s'
alluoghi a la quale l'osso
pende.
E quando ne la rottura pezi dell'ossa
punghano e
fegghano e
rompano la carne, konviene ke la fascia primaia nom si pongha sopra
la fedita ma presso al suo osso e s'
involgha con due
fascie, la cui
involutione, ascendendo, tenda e vada a la parte di sopra, e l'altra
fascia presso all'osso de la fedita a la parte di sotto si dee porre, la
quale, discendendo, tenda in giù; e l'osso de la fedita si lasci
discoperto. E ancora la legatura sia tutta più molle e um poco più
lenta, la quale ogne die si conviene sciolliere o due dì messi in mezo,
e a la boccha de la fedita si pongha un turaccio di bambagia infino a
tanto ke
virus, cioè ke la
putredine velenosa, cominci a menomare, e
il luogho sia assicurato de l'apostema. E quando quella cotale ordura
fia levata via, sì ssi pongha sopra le fedita l'unguento da generare
carne, il quale noi diremo. E se le rotture e le
fiacchature, ne le quali
sono le parti de l'ossa somillianti a le
'stelle, le quali non rompono la
buccia né la cotenna, s'elle non stimolano fortemente, sì ssi debbono
rettificare e aconciare, e
stringnere il più ke ffare si puote,
palpandole
e
malmenandole, e lievemente legandole; e s'elle
astimulano e faciano
grande duolo non si dovranno leghare, imperciò k'elle
generebbero
apostema e putrefatione in tutto l'osso, ma in luogho si converrae
fendere. E se quelle cotali
astelle e cotali peççuoli d'osso fieno
partite dall'osso, sì sse ne converano trare, de le quali, s'elle non sono
separate né divise, quella extremitade e
punta aguta ke stimula si
converrà talliare ko la segha e poi ko le medicine de le roture ke
rompono si dovranno medicare.
E konviene ke le
dislocationi, quando elle averanno, ke
incontanente si racconcino e si rechino al luogho proprio innançi ke
apostema vi si comincia a ffare, imperciò ke se 'l
dislegamento si lasci
stare nel suo
cominciamento tanto ke vi si cominci a ffare appostema,
non si fie da
ingengnare ke in tucto questo tempo elli si rechi al suo
luogo, imperciò ke sse lunghamente elli fie in questo modo e si
stenda alcuna volta, averae spasmo, cioè
contratione.
E di queste intentioni e somme le quali noi dicemo, quando non
si observano congruamente e bene, pessima malaventura averrae, al
quale niuno nom puote socorrere
. Per la qual cosa se ai
cirugiani ke
non sanno nulla tu comande ke elli si guardino da tucte queste cose,
tue sarai
libero dal loro male e le loro opere ti faranno prode e
uttilitade.
L. VII, cap. 2 rubr.Capitolo secondo. Di ramollare le dureççe che avengono dopo
'l raconciamento de' membri.
L. VII, cap. 2Alcuna volta dopo 'l racconciamento e
diriççamento de la
speçatura e de la rottura, e del
recamento de la
dislocatione al suo
luogho,
dureçça e
constrintione solliono
rimanere ne' membri, le
quali molte volte sono nocive e non lasciano muovere il membro e
tolgono il suo
movimento. E questo aviene propiamente quando le
predette cose avengono e sono presso de la giuntura. E quando tu
ffarai stropiciare o fregherai o
strupiccerai queste cotali molte volte
co le mani, e con olio, e kon acqua calda, e l'acqua
kalda
kagendo da
alti per la
fistola, cioè per quello cotale strumento, sarà gittata sopra il
luogho, e grasso e sugne kon midolle, quando di loro si fae
empiastro, si
ramorbidano e
ramolliscono.
E alcuna volta aviene ke
delle predette medicine si compone
medicamento, il cui effetto e la
cui operatione è più forte dell'operatione di quelle cose semplici, cioè
di ciascuna de predette per sé sole.
L'altro
medicamento ke à buono odore, convenevole a coloro
ke ssono dilicati, ke
ranmollisce la
streteza e la
dureza, k'è ssì come
corda ' il suo
tendimento.
Recipe: cera gialla, grasso d'anitra disoluto e
kolato ana on
. .j.,
olio di lillio on
. .vj., de la midolla de la gamba de la vaccha on
. .ij., e di
queste cose mescolate si faccia il
medicamento.
L'altro
medicamento forte il quale giova ai membri ke ssono
pressoké
rattracti.
Recipe: feccia d'olio di lillio, feccia d'olio di
semi di lino, del
dellio ana on
. .j., storace, galbano, oppoponaco, armoniaco, ana di
ciascuno on
. 1/2, grasso d'orso on
. .ij.; e se 'l grasso de l'
orso non si
truova nel suo luogo, si pongha il grasso de l'anitra o de la gallina. E
in questa intentione è mellio ke 'l grasso del porco vi si metta, e
poscia le gome con um poco di vino nel mortaio si
disolvano, e
poscia, ançi ke ssieno troppo
ranmolliti, l'altre cose si mescolino e
tanto si menino nel mortaio k'elle
divengano una cosa.
L'altro
medicamento che à buono odore et è convenevole ai
dilicati.
Recipe: cera gialla on
. .ij., olio di been on
. .vj., mastice, nitro e
storace ana on
. 1/2, e di queste cose mescolate si faccia il
medicamento.
L. VII, cap. 3 rubr.Capitolo terço. De le collectioni e de le agregationi del
guerimento de le fedite, delli apostemi e somme dell'arte di cirugia.
L. VII, cap. 3
La dispositione delli scriptori a questa
arte è procciana a la
dispositione de'
ristoratori, cioè a coloro ke
raconciano li ossi rocti e
sconci, la quale noi abbiamo già nominata in
pokeza di scienza de le
radici e dell'insegnamenti, per li quali si fae e redde
competente
rettificatione di
guerimento. Per la qual cosa ci conviene qui dire di
questi principii, o radici, e nature a ssapere queste cose, acciò ke
huomo si guardi da quello grande errore ke aviene del loro medicare.
Dumque noi diremo ke ss'elli aviene cosa ke la fedita sia picola,
possibile cosa è ke, quando la legatura il prende, ke le parti si
congiungano insieme e che tucta la sua
conchavitade si continui;
imperciò ke no à mistiere d'altro medichamento se non ke ssi
substenti e stea per l'aiuto di due
astelle, e si leghi, e la leghatura
cominci da due
capi. E lo 'mfermo si guardi del tucto in tucto da
repletione e da vino e ke non cagia intra le sue
labbra né pelo né
unguento, e di ciò si conviene guardare per kagione ke queste cose
non lasciano saldare, e molti di questi matti operano e fanno il
contradio di quello ke noi abbiamo detto, imperciò ke elli pongono
ne la fedita olio e comandano ke lo 'nfermo manuchi carne e
polte
grasse e dure, ond'elli se ne acquista e amena a lo 'nfermo reo
apostema e ordura velenosa ne la fedita, la qual cosa
durrae lungo
tempo; per la quale cosa, per l'aventura, n'averrà putrefatione e
coruptione de' membri. E magiormente ne la state avengna ke le
fedite ke noi abbiamo dette si possano
cuerire ko la sola legatura, e
non àe mestiere di neuna altra medicina da uno die infino a tre. E
quando la fedita è grande e
profonda, allora àe mestiere d'esser
medicata e guerita kolle medicine ke noi nomineremo, ke ssono
generative di carne, e ke la fedita si guardi d'apostemare in tale
maniera ke al luogho a cui aviene vi si pongha suso panno mollato in
aceto e in acqua, e s'epithimi colli epitimi freddi, e si raffreddi ogne
ora, e se vi fosse caldeza e arsura e poco sangue ne fosse uscito.
Imperciò ke in questa dispositione conviene ke lo 'nfermo si scemi
sangue da la parte contradia e tucto il suo corpo e ancora tucto il suo
regimento si converranno raffreddare.
E se la fedita è
profonda e non ampia, sì ssi converà guardare ke
l'huomo non vi metta suso
umguento ke
congiungha la sua boccha,
imperciò ke se la boccha de la fedita si continua e si
salda, ançi ke 'l
suo fondo sia saldo, molto
virus, cioè molta
putredine velenosa, vi si
ragunerà dentro, per la qual cosa e' converrae ke huomo l'apra una
volta; e forse il membro s'infraciderà dentro e vi si farà rea e pessima
fedita, per la qual cosa ne la boccha di questa fedita vi si converrae
mettere
cotu, cioè
stoppino di bambagia o di panno o d'altra cosa.
E
se ttue vedrai che la fedita saldi troppo tosto, sì si vi metti entro
um poco di
bituro o un poco d'olio.
E di questo luogho erano i
predetti folli, quando elli puosero olio ne le
fedite, la 'ncarnatione e 'l
saldamento de' quali
era possibile. E conviene poscia ke tucti i
medicamenti ke ss'
apichino a le fedite o a le
taste
uncte, o vi si gittino
entro per
aliseum, cioè con quello strumento.
E quando la fedita fia
profonda, si conviene allora, se la sua
boccha è ampia, questo observare: ke sse la legatura non
strigne bene
la
boca de la fedita, si conviene allora ke ella si
cuscia.
E questo
aviene più volte e si conviene fare quando la fedita tende in latitudine.
E la
volgitura de la legatura sia più forte, e 'l suo ritenimento al
profondo de la fedita, e sia più lieve a la boccha. E 'l membro si dee
figurare in tale maniera e in tale figura ke la fedita sia di sotto, acciò
che ll'ordura ne possa uscire. E s'elli aviene cosa ke quello non si
possa fare, converrae ke la fedita si consideri il secondo die e 'l
quarto, la cui profundità si comincerà a menomare e non vi si colga
né molta
putredine, né molta ordura, il
medicamento non vi si
converrae mutare. E se tu vedrai uscire la puça da la parte di sotto a
la parte dell'
ulcere di sopra, cioè a ssapere a la sua boccha, quando tu
premerai, più convenevol cosa è ke tue il fori in quel luogho ke ivi è
apo la fine de la profundità de l'
ulcere. La qual cosa si fae acciò ke la
putredine abbia via onde possa uscire.
E 'l
reggimento de lo 'nfermo ne' cibi s'ordini, sì come noi
dicemmo nel capitolo de l'
algebra, nel
principio, e si sottigli e dal
cominciamento de la fedita, quando ella aviene, si raffreddi. E s'elli è
troppo ripieno, sì li si conviene scemare sangue e dare medicina da
ffare uscire s'elli è lungho tempo ke non è solvuto, cioè k'elli
nom prese cosa ke 'l facesse uscire, acciò che ssi redda sicuro ke
apostema non li vengha. E da indi innançi il suo
reggimento si
converrà ingrossare a pocho ad pocho secondo il processo de' die,
accioe ke la carne crescha. E conviene, quando li apostemi sono
maturi e ànno mestiere d'aprire, k'elle si forino ne la parte di sotto ke
ssi troverà i· lloro e nel più sottile, e nel più alto, e più colmo, e più
scrignuto, s'elli è possibile cosa. E l'apertione si conviene fare ne la
lungheza del corpo quando si fae ne' membri distesi che non si
curvano, o ke non si
ratragono o
ripieghano, e si distendono. Ma
quelli che ssi
curvano e si piegano e si stendono, il talliamento dee
tendere secondo la
curvatione di quello luogho e 'l suo
distendimento. E conviene ke l'escitura, cioè l'apostema ove è
marcia
overo
putretudine, quando ella è in luogho ove sono moltitudine di
vene o intorno a le giunture, ke 'l talliamento si faccia presso,
imperciò ke sse il
talgliamento in questi cotali luoghi si tardi e non si
faccia tosto, l'osso alcuna volta apparrà in fuori e 'l legamento de la
giuntura si
discoprirae. E buona cosa è che i· luoghi
carnosi, cioè che
sono
pieni di carne, si lascino così stare tanto ke ssieno ben mature,
imperciò ke sse ançi k'elle sieno bene mature elle si forano,
puçça
n'uscirà lungamente. E quello cotale
ulco e apostema aperto avrà
grande abondança d'ordura e di
puçça. E le sue
labbra alcuna volta e
'l suo
profondo, overo infino al
fondo, fieno dura, e quella cotale
fedita
gitterà
continuamente
putredine e
puzza. E s'elli aviene cosa ke
ll'uscitura (cioè quella cotale appostema
putridosa) sia grande, non si
ne dee trare tucta la
putredine e la
puçça a una volta subitamente,
acciò ke a lo 'nfermo non avengha sincope, cioè tramortimento, ma a
poco a poco se ne dee gittare fuori, e magiormente se lo 'mfermo è
debole.
E la santade de la fedita si ritarda o per lo poco sangue k'è nel
corpo, o per la sua malitia, o imperciò ke
puçça o
karne dura cresce
sopra le sue labbra, per la cagione de' quali la
karne non vi cresce e
non vi nasce o per k'elli v'è la carne morta, o per osso e molta
putredine v'è entro, o perké il
medicamento kon che elli si medica
nolli è convenevole né buono, imperciò ke la fedita in sé medesima è
profonda e rea e
putridosa. E quando piccola rosseza de l'
ulcere vi
fosse o di quelle parti che ssono intorno lui, cioè che ll'
ulcere o quelle
parti fossero um poco rosse, e fossero secure d'apostema, e fossero
secche e um poco dure, e 'l corpo magro e di poco sangue, kagione
per ke ssi ritarda la sua santade no è se non povertà di sangue.
Dumque il luogho cotidianamente si de' molte volte infondere e
mollare col panno mollato nell'acqua calda tanto ke diventi rosso, e 'l
reggimento de lo 'nfermo, ingrossando, e dêsi medicare e curare co
l'
umguento nero, e con esso si freghi e stropicci intorno.
E se il colore del corpo fie reo e la sua forma rea, in questo sì è
la cagione: la malatia del sangue, onde li si dee primieramente
sovertire
kollo scemare sangue kon medicina ke purghi di sotto e poi
si conviene tornare a medicare la fedita. E se ssopra le
labra de
l'
ulcere sia carne dura, sì vi si dee fare
freghamento e stropicciamento
tanto k'elli n'esca sangue. E ss'ella è grossa, sì ssi dee primieramente
talliare e poi medichare. E se questo fie nel
fondo de l'
ulcere, la sua
boccha sia seccha e foscha, cioè
lividetta, alcuna cosa vi si dee
mettere e freghare e stropicciare tanto ke nne chominci a uscire
sangue, e poscia si dee medicare, o nel
fondo dell'
ulcere si fori, e poi
si freghi e
stropiccii, e si medichi col biturio, tanto ke la mala carne
del tutto in tutto si
corroda. E poscia si curi e medichi con quelle
medicine ke rimasero da la parte del guerire. E se l'
ulco
primieramente lungo tempo stea kiuso, e poi s'apra, e
virus (cioè
putredine velenosa sottile) n'escha, così disposto dimori, osso
corrotto è nel suo
fondo. Dumque co la
tenta messavi entro si tenti e,
quando elli fie trovato, sì ssi fori l'
ulco tanto ke ssi pervengha a
l'osso, il quale si converrae fregare o
sseghare tanto ke
llievi e tolgha
via, secondo che tu vedrai de la corruptione de la sua moltitudine e
poi si medichi colle polveri ke generano
karne. E s'elli è impossevole
cosa di
forare, sì lli si converrà sovenire kol
medichamine corrosivo e
col bituro, tanto ke ll'osso si discuopra, e poi si medichi con quelle
cose ke noi diremo.
E se l'
ulco fie profondo e la sua carne molle e morbida e rea, sì
vi si dee porre suso il
medicamento ke corroda tanto ke quella
karne
si
disecchi. E poi è da mettere ne la fedita bituro tanto che tutta
mondi e necti e lunghamente si medichi col biturio tanto che la
scarra
(cioè la schianza e corteccia) nata ne la fedita
kagia e poi si medichi. E
se all'
ulcere sopravengono
varici, cioè quella infertade quando
emfiano le vene de le
ghambe, sì ssi tolgha sangue a lo 'mfermo, e 'l
suo corpo si solva molte volte co la dicotione de l'epitimo, e
nodrischasi col suo cibo, e poi si curi l'
ulco, cioè quella fedita putrida
e fracida.
E se 'l medichamento è inconveniente all'
ulco, imperciò ke forse
li riscalda più che non dee, il cui
segno è ke elli reca rosseza e caldeza,
kominciamento alli apostemi con acrescimento, e allotta
coll'unguento freddo ke noi diremo si dee medicare. O forse più
raffredda ke non dee, il cui ingengno a conoscere e
segno sì è ke
ll'
ulco è allotta verde o nero, e duro o freddo, e allotta si dee
medicare coll'unguento nero. O forse deseccha meno ke non
dovrebbe, il cui
segno è ch'elli è molle e lento, e à molta puça
velenosa, cioè
virus; e allotta si dee medicare ko l'unguento molto
disecchativo, sì come è quello ke ffae venire la buccia e la cotenna ne
le fedite ke ssi fae de le balaustie, cioè fiori de le melegrane, e di galle.
O fforse meno
monda e netta ke non dee, il cui sengno è ke
moltitudine di
putredine e ree carni e molli vi sono
appicchate, per la
quale cosa colle medicine fortemente
mondificanti e
seccanti si dee
medicare, sì chome è l'unguento verde. O elli mordicha e
konsuma la
sua carne, il cui sengno è dolore e
calore e ardore e
cominciamento
d'appostema e ke l'
ulco
ongnendie si dilata e allargha. E si dee fare
mutamento a unguento ke sia più soave di lui, e questo aviene alcuna
volta, imperciò ke la complexione del medicare dichina a una de
l'extremitadi, per la qual cosa il medichamento si dee fare con cose ke
lli sieno
konvenevoli, imperciò ke i corpi più secchi richegiono ke lli
unguenti, kon che e' si
medicano quando la carne si dee generare ne'
sui
ulceragioni, k'elli abiano spetie molto fortemente
diseccative. E lli
umidi corpi ànno mestiere d'unguenti molli e
humidi.
E a le fedite del ventre, cioè del casso dentro, ke 'l rompono e
forano, è mestiere medicho savio e soavemente operante
. E noi
diremo la
colletione di questo
medicamento e onde ve se ne teme
errore. E quando le budella o 'l
çirbo uscirà per la fedita e fieno sì
emfiate ke non vi si possano rimettere dentro, panno bagnato in vino
vecchio
kaldo vi si pongha suso tanto ke l'
emfiamento si disfaccia. E
quando l'enfiamento fie disfacto, sì vi rimetano dentro. E s'elli aviene
cosa ke 'l tempo o 'l luogho sieno freddi, lo 'mfermo si
meni nel
bagno e si penda per le mani e per li piedi in tal maniera sì che 'l suo
dosso si
pieghi e curvi e 'l ventre faccia arco. E per questa cotale
dispositione le budella vi si rimettono più lievemente e più
agevolmente. E se huomo socore al
çirbo tosto, ançi ke diventi verde
o nero, sì ssi dee rimettere nel ventre. E s'elli nolli è soccorso ançi
che elli diventi verde, tucto quello ke di lui è verde facto si tagli; e poi
tucte le vene ke i· llui sono si leghino kon sottile filo; e poi vi si
rimettano e 'l ventre si ricuscia. E s'elli aviene cosa ke per quello
cotale
mollamento del panno non vi si possano rimettere dentro, sì
ssi sciampi la
fenditura e im questa maniera vi si rimetano. E quando
vi sieno rimesse, el ventre si
coscia primieramente, e poi vi si pongha
suso la polvere da ssaldare, e si comandi a lo 'mfermo k'elli giaccia
sopino in tal maniera ke 'l
dosso sia um poco
scrignuto. E 'l suo
regimento, vita e dieta si dee sottilliare, e in niuna maniera si dee
nodrire koi cibi
emfiativi, cioè ke ffaciano ventositade.
E ancora se la fedita fie facta
allato al
nerbo (o nel
nerbo), e la
fedita sia stretta, non si saldi infino ke tu ssie assicurato de l'apostema
ke non vi vengha, ançi vi si pongano suso i medicamenti
apertivi, cioè
ke abbiano a aprire le fedite, e tucto il luogo s'unga con olio tiepido,
e poi ke due die o tre fieno passati e la dollia fie allentata, e 'l luogho
fie sicuro ke apostema non vi vengha, allora
medica e guerisci la
fedita
usando le cose da ssaldare. E s'elli adviene cosa ke per la fedita
k'è nel
nerbo a alcuno
advengha spasmo, cioè
contrattione, tosto li si
dee soccorrere. E la corda ke ssi comincia a contrare, overo
rattrarre
in latitudine (cioè per lato) si tagli, e la schiena e li
sponduli con olio
palpando e
premendo ugni, e olio sia mollificativo e tiepido. E se ttu
vedi alcuna volta ke ll'
ulco, passando per lo membro, vada d'uno
luogho all'altro e corroda la carne, tosto socorri talliando o ardendo e
distrugendo la carne ke ivi fosse, ançi che molto si dilati e
allarghi, e
poscia il dei medicare e guerire colle medicine colle quali tu
ài usato
di medicare e di guerire l'altre
ulceragioni, cioè
fedite fracide e
corrotte.
E queste sono le somme e intentioni le quali, quando li homini
non le observano, fanno grande nocimento. E quando elli medicano
adtentamente e
diligentemente e vi si sforçano, fanno grande
giovamento, quando a Dio piace.
L. VII, cap. 4 rubr.Capitolo quarto. De' medichamenti ke generano la carne.
L. VII, cap. 4
Medicamento il quale genera carne e fae continuare e saldare le
fedite ricenti et è maraviglioso a cciò.
Recipe: incenso, alloe,
sarcocolla, sangue di dragone parti
iguali pestinsi e
pongansi su la fedita e vi si leghino suso, imperciò ke
questo è maravillioso.
Unguento a generare carne maravillioso.
Recipe: litargiro bene sottilmente pesto on
. .j. kol quale si
mescolino on
. .iij. d'olio e tanto si
cuochano al fuocho che si
distrugano. Poscia si prendano incenso,
sarcocolla, sangue
di dragone, calbano,
colofonie ana dr
. .ij., e queste cose mescolate a
la predetta dicotione tanto si cuocano ke ingrossino e
inspessino e si
medichino kon esso li
ulceri quando non so' sanguinose.
Unguento da generare
karne, il quale si dee usare ne le
cure e ne'
medichamenti de le fedite la state e quando ne le fedite è
kalore e
ardore e 'l tempo è caldo.
Recipe: litargiro, cioè aghetta, molto trito on
. .v. (e l'altra lettera
dr
. .v.), e
pestisi coll'aceto tanto ke ssi risolva e
ramollischa, e poi olio
rosato vi si gitti suso e si pesti tanto ke ingrossi. E quando si pesta in
questa maniera, sì ssi
ramollischa l'una volta coll'aceto e l'altra
koll'olio rosato si dee infondere e mollare, tanto che elli
emfi e
crescha e si faccia unguento, al quale poscia
.v. dr
. di
cerosa e
um pocho di camphora vi si conviene
agiungnere e pestare con essi e
usarli nel
medicamento.
Unguento nero il quale si dee usare quando la fedita è nera e
asciutta.
Prendasi per iguali parti di cera e d'olio comune e pece e si
distrugano e si ne faccia unguento nero.
L. VII, cap. 5 rubr.
Capitolo quinto. De'
medichamenti che menomano la charne
superflua.
L. VII, cap. 5
Usnen si pesti molto bene e si
polverizi sopra il luogo ov'è la
carne superflua, imperciò k'elli la
liquefae e
distruge.
L'altro k'è più forte di questo:
kaly si pesti e vi si
polveriçi suso,
o
çimar trito vi si pesti suso.
Discriptione de l'unguento verde ke corode e ke
mondifica
l'
ulceragioni putride.
Recipe, cioè prendi:
zimar (verderame), pepe, mèle ana on
. .j., e
di queste cose insieme trite si faccia il
medicamento. E sono alcuni
che a questo unguento agiungono
sarcocolla, armoniacho ana on
. .j.,
pestando tucte queste e coll'aceto e col mèle mescolando. E allotta
questo
medicamento giova a le fistole ke ssono nell'orecchie, e
mundificha tucte le fedite putride, e corrode la
karne
morta.
Medicamento il qual è kiamano
kalidicon, ke corrode la carne
morta, e a le fistole, e a le
putrefationi ke ssono ne le gengie, e ne la
boccha, e in tucto il corpo giova.
Recipe:
calcina viva parte una, arsenico citrino, cali, acacia,
arsenico rosso, di tutti ana parte meza. E tucte queste cose si pestino
koll'acqua k'è kiamata prima. E l'acqua si fae in questa maniera: di
calcina e 'l
chalis si prenda per iguali parti (e 'l
chalis si pesti
primieramente) e poi sei cotanti del loro peso dell'acqua vi si mescoli
e si lasci stare per tre dì, ogne die tre volte
menandolo e
dibatendolo.
E poi si coli e pesti tanto ke ssi faccia bene sottile e si lasci stare al
sole tanto ke ingrossi; poscia se ne faccia trocisci e si disecchino e si
riponghano i· lluogho ove nom possano essere
tocchi da verdeza; e
quando fie mestiere, sì se ne pesti uno e si ne faccia il
medicamento.
Medicamento acuto e
corrosivo,
destokenti (o
desterigy).
Recipe: arsenico
citrino trito, kali,
kalcina,
zimar (
verderame), di
tucti igualmente libra
1/2; argento vivo libra
.j., sale armoniaco la
quarta parte d'una libra, pestinsi tucte queste cose koll'acqua prima,
tanto ke l'ariento vivo sia spento. Poi si disecchino, e diseccati sì ssi
pestino un'altra volta; e poi ne lo strumento (il quale coloro che
fanno
alacina kiamano
aluchel)
faccendoli il fuoco di sotto tanto ke
levati si
subblimino. E quello ke di loro fia
soblimato si prenda e si
riponga in una ampolla di vetro, del quale le morici di fuori che
apaiono kon superflua carne, e le
scruofole e
gavine (le quali huomo
disidera ke ssi disfaciano e si
distrugano e
disolvano poi k'elle fieno
ulcerate) pulveriçate, e a la perfine in tucti quelli e quelle la distrutione
de' quali si disidera, si dee usare imperciò k'elli fia sì come
kauterio di
fuoco, sì ch'elli disecchi e
anneri, e tiene il luogo del fuoco in molte
luoghora.
L. VII, cap. 6 rubr.
Capitolo sexto. Di quelle cose che saldano l'
ulceragioni e
generano carne nelli
ulceri, cioè fedite, e lievano la loro
humidità
superflua.
L. VII, cap. 6Le cose ke saldano l'
ulceragioni e generano
karne nelli
ulceri ke
ànno molta
humidità e ke
ricavono la loro
humorosità
superflua sono
queste.
Recipe: litargiro (cioè aghetta) pesto e s'
inbea e bagni nel
mortaio d'aceto e d'acqua e d'olio insieme tanto ke elli
emfi e
imbianki, e apresso
kalkucemon e
anthimonio, e balaustie, e vene de
curcume, e galle, e sangue di dragone, seta, allume, e
kathimia
d'argento, di tucti ana quanto è la sexta parte de l'unguento si prenda.
E poi tucte queste cose, polveriçate e bene peste, vi si mettano suso e
tanto si menino nel mortaio ke ssi uniscano e facciano una cosa. E
poi di questo unguento si pongha in su la bambagia e ponghasi in su
la fedita ov'è la carne fracida nata e poi si leghi e s'
involgha col panno
soavemente. E questo cotale unguento tanto si de' usare ne la
curatione de la fedita infino ke tanta quantità di carne vi si generi
k'elli
basti e la induri e la bucia e la cotenna induri
perfectamente. E
con questo unguento tutte l'
ulceragioni ke abondano di molto
homore si debbono guerire e curare.
Polvere forte.
Prendasi: alloe, vene di
cucurma, balaustie, mirra, galle parti
iguali, de le quali si faccia polvere, il quale polvere sopra la fedita si
polverizi. E questa polvere è buona e forte.
L. VII, cap. 7 rubr.Capitolo
.vij. Di quelle cose che rompono l'
escitture, cioè
aposteme, sança ferro
.
L. VII, cap. 7Tolli: mele ancardo, pece liquida di katuno iguali parti, le quali in
una kaça (o ramaiuolo di ferro) mescolate si riscaldino tanto k'elle si
mescolino. E quando tu vorai aprire l'apostema sança ferro, il luogho
nel quale tu vuoli fare il forame konsidera, il quale luogho tu ungnerai
del predetto unguento e lascialo così stare per uno meço die,
imperciò ke 'l corroderà.
L. VII, cap. 8 rubr.Capitolo .viij. De le scruofole e gavine.
L. VII, cap. 8Le
scruofole sono più acostumate di nascere ne la 'nguinaia e
nel collo, le quali più de le volte sono insieme. Onde quando in
questa infertade, o in questa habitudine, tu vedrai il luogo
apostemato, il quale tocchando tu troverai duro e non si potrà talliare,
ma ssieno sì come ghiandi o noci, sappie k'elle sono
scruofole, le
quali avenghono per lo male smaltire e per fastidio e molte volte
crescono tanto k'elle fieno molto grandi. De le quali de la loro
guerigione è
kominciamento ke tu
ffaci ke lo 'nfermo sempre
patischa fame e lasci le cene, e no li lasci bere molta acqua, né non si
nodrisca con grossa dieta, cioè ke non usi grossi cibi e nom
pigli
troppo cibo a una volta. E se nel suo corpo sono troppi homori e
troppe superfluitadi,
scemali sangue e dàgli medicina da ffare uscire e
fagli
empiastri a queste cose nominati e lodati e utili. De' quali a
queste cose è milliore lo 'mpiastro k'è kiamato
diaquilon e se vi si
aministra pur solo, il quale sarae milliore. E più giova se nel diaquilon
si mette de la polvere de le radici de l'
yteos, cioè
ghiagiuolo, quanto
ne puote passare (overo ricevere) e con esso se ne faccia impiastro.
Diaquilon si fae in questo modo.
Recipe: litargiro, cioè aghetta, trito on
. .j., al quale nella
padella
logato e messo due on
. e mmezo d'olio vecchio vi si agiungano e si
menino, e lento fuocho si faccia sotto loro, e tanto si
cuoka infino ke
tucto si disfaccia e disolva il litargiro; e apresso de la mucellagine del
fieno greco e de la
mucillagine del seme del lino ana on
. .ij., e de la
mucillagine del
mavavischio si prenda on
. .j. e s'agiungano ai predetti.
E dipo questo si cuoca tucto tanto ke ingrossi, tuctavia menando
. E
quand'elli fia cotto, sì ssi levi dal fuoco, ma non si lasci ke non si
meni tuctavia. E poi si meni tanto tra mani k'elli diventi spesso e
viscoso e poi si
ripongha e se n'usi. O lo stercho de la capra antiqua si
prenda, e col mèle e co l'aceto insieme caldi infino a tanto ke ssi
mescolino si
consparghano, imperciò ke a cciò è molto buono. O
semi di
rafano si prendano e si pestino kon mandorle amare e se ne
faccia impiastro. O stercho di vaccha seccho si prenda e,
polverizato
e
cosparto kolla
mucillagine del
malvavischio, sì vi si pongha suso. O
fieno greco o seme di cavoli e seme di lino si prendano e si pestino e
stacino e,
cospersi e mescolati
diligentemente co la
mucillagine del
malvavischio, vi si pongha suso.
L. VII, cap. 9 rubr.Capitolo nono. Del cancro e de la sua cura e guerigione.
L. VII, cap. 9Il cancro sì è una infertade ne la quale è grande
fatigatione e
pena et è quasi
inkurabile, cioè quasi da non guerire, a la quale se
incontanente, quando comincia, li si
soccorre e si regge sì come si dee
reggere, forse per l'aventura starà in quello modo k'elli non crescerà.
E quando elli fie cresciuto sempre starà così, il quale è pigiore s'elli
s'
ulcera, imperciò ke 'l
cancro è duro apostema, il quale àe grande
radice nel corpo, la quale radice
inbeono et empiono vene verdi, ne le
quali è caldeza. E l'
ulco ke ssi fae nel cancro è
fetido e puçolente e àe
le labre grosse e verdi pinte in fuori. E 'l
cominciamento del suo
nascimento alcuna volta è
kom'uno cece o com'una
fava, il quale
poscia cresce infino a tanto k'elli si facia sì come grande
milon, cioè
come quello grande apostema, e ancor magiore. E forse questo
apostema nasce ne' luoghi e ne le parti dell'alito, o ne le parti del
tranghiotire, e forse allotta mena a reo die e molte volte uccide lo
'nfermo. E quelli che questo cotale apostema talliano kon ferro non
guadagnano più se non che lli fanno
kancro
ulcerato, s'elli non è in
tale luogho ove
talliare si possa, e
disfare, e distrugere del tucto in
tucto, e ardere, e diradicare. E ' questo cotale, quando elli comincia,
giova di scemare sangue de la vena
mediana, cioè del cuore, e
muovere spesse volte il corpo co la cura de l'epitimo.
E lo 'mfermo si dee sofferire e astenere da' cibi che generino la
collera nera, sì come sono
lenti e cavoli imperiali, e
karne di vaccha e
d'ocha, e vino grosso e nero, e simillianti a questi, i quali generano
homore molto reo. E conviene ancora ke la sua dieta sia carne di
castrone e vino sottile e ke ssi guardi da' cibi
kaldi, imperciò k'elli
fanno il sangue nero.
E poi ke elli fie cresciuto e si è
compiuto, non è mestiere k'elli si
facciano se non cose da llui lusingare, acciò ke i· llui non si faccia
ulco. E questo è a dire k'elli si guardi il mellio ke guardare si puote, ke
elli giamai non si riscaldi o ko le medicine e choll'altre cose, ançi si
raffreddi koi
kamangiari freddi
pestandolli e
ponendolivi suso.
E s'elli aviene k'elli sia alcuna volta
ulcerato, questo unguento li
giova molto. Il quale unguento, questa è la discriptione.
Recipe:
cerusa, tutia lavata parti uguali, e pestino queste coll'olio
rosato, e col sugo de la porcellana, o col sugo del
cavolo, o ko la
mucillagine del
psillio, o kol sugho de la
çuccha o del cederno,
qualumque di questi tu potrai avere, e
ponghavisi suso, imperciò ke
questo kotale unguento la carne, ov'elli non è ancor fatto e àssi paura
ke non vi si faccia, giova.
L. VII, cap. 10 rubr.Capitolo .x. De' carboncoli e sua cura.
L. VII, cap. 10Carboncoli nascono per molta
humiditade di sangue e per molta
faticha, dipo saturità e dipo troppo manichare. I quali, poi che ssono
avenuti e nati, non vi si dee avere neghiença ke non vi si soccorra,
imperciò ke per aventura tucta la lor materia si
racollierà in una parte
del corpo de la quale si farà magiore uscitura e apostema
putridoso. E
di quelle cose ke nolli lasciano generare sì sono: lo scemare sangue e le
ventose, e solutione di ventre coi mirabolani citrini, e col sene, e col
fummosterno, e con la infusione, cioè koll'acqua, ove fieno state in
molle le susine e le
giungiube e
thamarindi, e bere quella cotale acqua,
e fugire le cose dolci, e nom bere vino grosso e dolce, e manicare cibi
acetosi e
stitici e quelle cose ke ragunano queste due qualitadi (cioè
acetositade e
lazeza), manichare kotte kol sugho de l'uve acerbe e col
ribes, e colle mele, e
subchabegy, e
karis, e
hulen, e
musos, e
simillianti a questi. E s'elli fie mestiere ke lo 'nfermo ke avrae i
carbonculi bea vino puro e kiaro, vino dee prendere, imperciò k'elli
giova.
E poi che 'l
karbuncolo fia venuto, è mistiere ke huomo metta
studio di lui
maturare. E di quelle cose ke tosto maturano il
carbuncolo è ke ssi faccia impiastro de' fichi secchi molto viscosi triti,
ne' quali è molto di mèle, de la carne, de l'uve passe;
kom
baurach e pani mescolati si faccia impiastro e vi si pongha suso e vi si
metta suso lo 'mpiastro
diaquilon, imperciò ke elli è a ccioe molto
utile. E se il
karbuncolo è duro ad
maturare, senape coi fichi grassi e
con um pocho d'olio di lillio si pestino e vi si ponghano suso. E si
dipo queste cose elli si tarda ad aprire, sì ssi fori e si priema tanto ke
n'escha fuori cioe ke entro vi si contiene; e intorno intorno unguento
di
cerugia e sopr'esso unguento di mèle si pongha.
Unguento del mèle.
Recipe:
sarcocolle, mèlle per iguali parti, sarcocolla polverizata si
mescoli col mèle e si
ripongha. E sono alcuni di quelli ke cuocono
solamente il mèle tanto k'elli si spessi e poscia la sarcocolla
polverizata vi mescolano suso, imperciò ke questo cotale unguento
mondificha ongne fedita putrida e lieva tutto il veleno.
E quando il carbonculo fie
mundifichato, tosto per sé medesimo
si salderà. E se il suo saldamento alcuna volta tardasse, sì ssi medichi
co l'unguento ke àe a generare carne. E se 'l carbuncolo fia ardente e
intorno lui fie grande rossore, tosto vi si dee
rigenerare carne ko
l'unguento ke ssi fae de la
cerusa. E quello è l'unguento
kamforato ke
noi diremo.
L. VII, cap. 11 rubr.Capitolo .xj. De l'apostema caldo e sua cura.
L. VII, cap. 11Quando in alcuna parte del corpo nasce
kaldo apostema il chui
tocchare si sente caldo, il suo medichamento si dee cominciare da lo
scemare sangue, cioè a ssapere se ffosse ne la parte diritta, sì ssi
tolgha sangue del lato mancho de la vena di mezo, cioè di quella del
cuore. E, per contradio, s'è nel lato mancho, si dee fare scemare
sangue de la vena del feghato, o di quella del cuore. E s'elli aviene
cosa ke la vena del feghato non si possa trovare, sì ssi tolgha sangue
in uno de' suoi rami, e s'elli aviene cosa ke ssia nato in quelle parti ke
ssono sopra la forcella de la vena del capo, e poscia s'epithimi di
questi epithimi
raffreddati, e 'l
regimento e la dieta si
sottilgli; e da la
carne, e dal vino, e da le cose dolci, e ancora dai cibi
untuosi si guardi,
sì come
nasturtio, e usi i cibi
acetosi. E quando elli si sente
kaldo a
tocchare, sì ssi raffredda kolli epithimi. E con questo
regimento si
potrà difendere e guardare ke non vi si generi
putredine.
E s'elli aviene cosa ke im questo apostema, in alcune
dispositioni, sia forte caldo e
tempellamento, sança
fallo
putredine vi
si racollie, per la quale cosa non vi si dee allora usare se non cose ke
poco raffredano. Ma se tuctavia per queste cose tu non vedessi il
calore e l'ardore né sedare ' spegnere, né menomare, da queste cose
ad quelle cose ke generano
putredine ti conviene tramutare. La qual
cosa perciò si conviene fare ke tosto pervengha a
racoglimento di
putredine e poscia l'escitura si converà sanare e medicare sì come
noi abiamo detto. E le medicine ke fanno
putredine sono quelle ke
noi abbiamo dette ne l'apertione de' carbonculi; e le medicine ke
raffredano, ke ssono utili ad aprire, sono quelle medicine le quali noi
diremo, e 'l loro nominamento è questo.
Medichamento k'è kiamato epithima de l'
eresipila, il quale
ancora in tucti membri ne' quali è apostema
kaldo, se di lui si fae
epithima, giova.
Recipe: sandali,
sif (o
sieby), memithe, faufel, bolo armenico
parti iguali, scorça de la
mandragora, oppio, d'ambindue quanto è la
metade d'uno de' sopradetti. E di tutti questi, ragunati coll'acqua, si
faciano forme somillianti a l'avellana, de le quali, quando fia mestiere,
se ne prenda um pocho e si pesti; e di quello, e d'acqua rosa, e
d'um pocho d'aceto mollato si faccia epithima e vi si metta suso, il
quale, poi che ssì è facto tiepido e intepidito, sì sse ne levi, e l'altro
panno, ricentemente infuso e mollato nell'acqua viva, si pongha nel
luogho di lui. E questo è di grande efficacia e giovamento.
L. VII, cap. 12 rubr.Capitolo .xij. De l'apostema molle e sua cura.
L. VII, cap. 12Appostema molle il quale quando si toccha col
dito e si prieme,
dal luogho seguita alcuna volta alcuna infertade, sì come sono
l'
emfertadi ke avengono quando la complexione si corrompe o
tisicheza v'èe.
E quando elli averrae in questa maniera, non si converae tanto
kurare di quello cotale apostema, né tanto atendere a la sua
guerigione, quanto elli si dee avere studio ad guerire quella cotale
infertade e quello chotale apostema ke viene per sé medesimo, o ke
sseguita le lunghe febbri.
Quando di quelle lunghe febbre huomo guerisce, sì ssi conviene
medicare in questa cotale maniera: un pocho d'aceto koll'olio rosato,
e aqua rosata, e acqua di mortine, e acqua di che ssi fa il sapone si
mescolino insieme, e in questo si bagni il panno e
ponghavisi suso o
mettavisi suso, ma non troppo fortemente. E la leghatura sia più
fortemente stretta nel miluogho de l'apostema, la quale leghatura
tenda e vada a ciascuna parte.
E di quelle kose ke lo sparghono, cioè l'apostema, e disfanno sì
è l'acqua de la
cenere, la quale si fae in questa maniera: i sermenti
s'ardano e ne la loro
cennere si metta l'acqua, e si lascino stare per
una notte, e poi si coli e si mescoli con essa aceto, ne la quale i panni
si bagnino e poi vi si ponghano suso, giungnendo l'uno coll'altro ko
la leghatura. O se l'appostema sia molto molle, sì ssi freghi e strupicci
koll'olio, e col sale, o le fogle del tamerici, o de le mortine doppie vi si
ponghano suso, o si faccia epithima de l'
olio
armenicho e de l'aceto; e
lo 'mfermo sottigli il suo
reggimento e la sua dieta e si guardi del
fastidio e de la troppa acqua.
Epithima ke giova a la molleza e al rallentamento
ovedumque
fosse e
oveumque avenisse.
Recipe: alloe, mirra (e l'altro libro dice mortine), litio,
akatia,
sief, memithe, ciperi,
cruoco orientale, bolo
armenicho, di tucti questi
per iguali parti. E di tucte queste cose insieme mescolate si facciano
forme somillianti ad avellane, de le quali, quando fia mestiere, si ne
disolva e disfaccia um poco nell'aceto e nel sugo de' cavoli. E s'elli
aviene cosa ke la
'mfertade sia nel volto o ne le palpebre, sì sse ne
disolva um poco ne l'acqua rosa e nel sugho de l'endivia e in uno
pocho d'aceto.
L. VII, cap. 13 rubr.Capitolo .xiij. De l'apostema duro e sua cura.
L. VII, cap. 13
Quando elli avenisse ke in alcuna parte del corpo duro
appostema fosse nato, il quale quando si toccha non si sente
kaldo né
non sia
kancro, sì ssi guardi lo 'mfermo da tucti cibi ke noi dicemo ke
l'homo si dee guardare nel capitolo del cancro. E quelle cose kon ke
ssi dee medicare sono tucte quelle kose ke ànno a
ramollire, sì come
tucte midolle, e tucti grassi e sugne, e bdellio molle, e armoniacho, e
storace, e galbano, e le somillianti cose. E se il luogho ove questa
cosa è non guerisce, sì ssi converae studiare ke la matera si
traspongha e si parta da llui collo scemare sangue e kon
solvimento e
solutione di corpo, kol quale e per lo quale la collera nera si purghi e
si metta fuori del corpo, acciò ke l'apostema non crescha.
Empiastro buono a quello medesimo.
Recipe: del bdellio molle, armoniacho, galbano per iguali parti,
le quali gomme mollate nell'olio, e coll'olio si pestino nel mortaio, e
l'olio sia di lillio o di been. E poi si pigli
mucillagine di fieno greco,
seme di lino, tanto quanto fieno tucte le predette cose. E tucte queste
cose si pestino e si uniscano e si mescolino insieme.
E poi apresso di
queste cose mescolate con fichi secchi grassi, sì ssi faccia impiastro a
la
dureza in qualumque parte del corpo fie, lo quale è di grande
effichacia e
giovamento.
L. VII, cap. 14 rubr.Capitolo .xiiij. De le grandi ghiandole.
L. VII, cap. 14
Quando in alcuna parte del corpo alcuno acrescimento
(
escrescenza) apparrae, la quale, quando si toccha, si traspone d'uno
lato all'altro, non si truova essere continuata e
congiunta a la
pelle,
overo a la buccia, né duramente muoversi, ma
stae quasi in tale
maniera kome fosse divisa e separata dal corpo, né i· llui no à
cominciamento né radice, questa cotale fie
ghiandola. E le
ghiandole
si diversificano cominciando da le molto piccole e
pervengnendo
infino a la grandeza del mellone, onde la loro spetie si diversifica, ma
il loro
medicamento è pur uno, cioè a ssapere
kavarlene fuori. E se la
ghiandola si lascia stare, imperciò k'ella è piccola, e 'l suo
medikamento e la sua cura sia messa al non
chalere, si
crescerà. Onde
poi a trarlane fuori è mestiere medicho ke operi soavemente. E noi
diremo ove e ne le quali si teme erore, e questo è perciò ke la magior
parte di loro si contiene nel
pannicolo, il quale è kiamato saccho de le
ghiandole. Per la quale cosa con esse si ne dee trare fuori il saccho, in
tale maniera ke in niuna maniera di lui non vi dimori e non vi
rimangha fiore; imperciò ke sse di lui e' vi rimane fiore, avengna k'elli
sia pocho, suole e solliono reddire e
tornare spesse volte. E il luogho
ove si contengono si dee fendere, ma molto si conviene guardare ke 'l
saccho che le contiene non si fenda, ma solamente la
karne k'è
ssopr'esse. E 'l saccho coll'uncino si distenda e si vella, e si scarni e
scortichi perfettamente infino a tanto ke la ghiandola e 'l suo saccho
se ne possano trare interamente. E questo è mellio che ffare si puote
ne la sua cura. E s'elli aviene cosa ke 'l saccho alcuna volta si rompa,
sì ssi dee vellere colli uncini e levare, avengha che ssi tragha a pezzo a
pezo, e
continuamente si conviene investigare.
E poi che ne fie tracto,
koll'altro
medicamento e
kura, ke noi nominamo nel capitolo delli
ulceri, si dovrae medicare
. Ma elli si truovano alcuni inganatori i quali,
disiderando di fare frode, lasciano stare un poco del saccho, a cciò
k'elli penino a ffare più lunghamente quello cotale
medicamento. E
quelle ke non ànno saccho si debbono trare e metere lo studio
solamente nel guerire le fedite ke vi dimorano.
L. VII, cap. 15 rubr.Capitolo .xv. De' nodi ghiandolosi.
L. VII, cap. 15Alcuna volta in alcune parti del corpo appare alcuna grosseza
iguale a la grandeza d'una avellana, o poco magiore o poco minore,
la quale, somilliata a le ghiandole, si genera spesse volte nel dosso de
la mano o ne le luoghora ove è moltitudine di vene. La quale, quando
ella fia fortemente stretta e premuta e stropiciata, si voterà e
leverassine incontanente del tucto in tutto. E alcuna volta poscia
riede, e alcuna volta non torna in niuna maniera, per la quale cosa il
luogho si converrae priemere e stropiciare tanto ke ssi vòti e si faccia
iguale. E poi si prenda uno pezuolo di piombo rotundo e, posto in su
luogo, si stringha fortemente e così si lasci stare per tre dì, e poi,
epithimato ko l'epitima de la calcina, si leghi. E se dipo 'l votamento il
luogho fie costretto, sì non ritornerà. Ma ss'elli non fie stretto, spesse
volte suole ritornare.
L. VII, cap. 16 rubr.
Capitolo
.xvj. De
formicha apostema.
L. VII, cap. 16In alcuni luoghi del corpo com picolo apostema piccole pustole
com puça, e piçicore, e arsura, e con forte kalore nel tocamento, si
solliono fare alcuna volta; le quali molto tosto s'ulcerano, le quali, poi
ke ssieno ulcerate, si cominciano a comprendere i luoghi ke ssono
vicini e prociani e si dilatano. E 'l ventre si dee solvere e fare uscire
com quelle cose ke spenghono e mandano fuori la collera rossa, sì
come sono mirabolani e scamonea koll'acqua de' fructi. E il luogho
ch'è ulcerato intorno intorno si dee epitimare ko l'epithima che noi
nominamo nel capitolo del caldo appostema e su l'ulcere si dee porre
dell'unguento de la cerusa. E se elli aviene cosa che elli non sia
ulcerato, tucto il luogho si dovrae epithymare di questo epithima. E
s'elli aviene cosa ke in questo apostema sia superfluo kalore e rosseza,
il suo medicamento comincerai da la flebotomia, cioè da lo scemare
sangue. Poi fa' fare l'altro regimento ke noi abbiamo detto e tucto il
suo reggimento e 'l suo cibo reca all'altre cose che àno a raffreddare.
L. VII, cap. 17 rubr.Capitolo .xvij. Del fuoco di Persia.
L. VII, cap. 17Ad alcuni membri aviene alcuna volta puça e bollimento
intollerabile, ove poi apresso ampolle piene d'acqua sottile si
generano. Dumque si conviene, quando in alcuno membro alcuna
cotale cosa si sente, li si soccorra incontanente ko la flebotomia. E
s'elli aviene cosa ke l'ampolle non vi sono ancora nate, sì ssi
soccorerà e l'ampolle se debbono rompere e aprire, e tucto il
viro,
cioè quella cotale
putredine ke v'è dentro, si nne
debbia cacciare et
espriemere fuori. E poi vi si pongha suso impiastro facto de
l'unguento di cerusa ke noi nominamo nel capitolo de l'arsura del
fuocho. E l'
ampolle non vi si debbono lasciare stare tanto ke acqua vi
si raghuni dentro in alcuna maniera, ma intorno intorno vi si dee fare
epithyma del bolio
armenicho e d'acqua, d'aceto e d'olio, e co l'aiuto
di Dio per questo modo si guerrae.
L. VII, cap. 18 rubr.Capitolo .xviij. De l'arostiscimento e adustione del fuoko
di Persia.
L. VII, cap. 18S'elli aviene cosa ke, quando alcuno di questi aviene, quelli che 'l
dee medicare sia presente, panno in acqua fredda, o in acqua rosata
sopra la neve raffreddata si molli e si bagni e vi si pongha suso. I quali
panni, poi che
ffieno diseccati, sì sse ne debbono levare e vi si
debbono porre suso li altri somilliantemente aparecchiati. E s'elli
aviene cosa ke l'arsura o
cottura sia molto grande, sì ssi dee fare la
flebotomia dell'altro lato. E se vi fie il duolo
fortissimo, tuorla d'uova
dibatute coll'olio rosato ko la bambagia vi si deono porre suso; ma
sse la dollia non vi fie molto forte,
lenti scorticate o cerusa si pestino,
e si mescolino insieme koll'aceto, e vi si ponghano suso, e poi vi si
pongha suso panno molle ne l'acqua rosa raffreddata sopra la neve. E
se vi si fanno vesciche, sì ssi medichi coll'unguento de la cerusa, il
quale si fae in questa maniera: cera colata e quatro doppi di lei d'olio
rosato si prendano, i quali distrutti, tanto di cerusa quanto possono
ricevere vi s'agiungha e si muova intorno intorno.
E apresso poi che
fie
kominciato a raffreddare, uno albume d'uovo si mescoli ai predetti
tanto k'elli sia spessato; e poscia sança interponimento si dibatta, e
meni tanto k'elli sia spesso, e si
ripongha.
E alcuni vi mescolano
um poco di
canfora.
E se vi si fae
ulco il quale se fia grande, ko l'unguento de la
calcina si dovrae medicare, il quale si fae in questo modo.
Prendasi
calcina biancha ' netta, e tanta acqua vi si gitti suso
k'ella se ne cuopra, e poi si coli e si parta da la
calcina. E poscia a
l'altra acqua si gitti sopra la
calcina, la qual cosa, poi che ssi è fatto
quatro volte, si lasci stare tanto ke ssia um poco raffreddata. E poi si
dibatta nel vasello coll'olio rosato tanto ke ssia mescolato e unito e si
ne faccia epithima.
L. VII, cap. 19 rubr.Capitolo .xviiij. De' patereccii ke ssi fanno presso all'unghia.
L. VII, cap. 19
Alchuna volta intorno all'unghie si suole fare apostema
kaldo,
rosso, et
emfiato, e doloroso, e ke fortemente batte, per lo quale
spesse volte aviene febbre;
e aviene e si scende la dollia infino a le
luogora ke ssono sotto le
titella e nella 'nguinaia
. E s'elli aviene cosa
ke ssia lungo tempo ke lo infermo non si scemò sangue, sì lli si
conviene scemare. E di quelle cose ke ssono molto buone a cciò è ke
il luogho s'
umgha e s'
embiuti sempre ko l'aceto e coll'oppio, tanto ke
ssopra il luogho sia grosso epithima, e poi vi si pongha suso
psillio
conquassato e
dibatuto kon aceto. E sopra tutto questo si pongha
suso panno bagnato ne l'acqua de la neve, il quale si ne lievi poi che
ffie passato una ora e l'altro vi si pongha in luogho di lui, la quale
kosa tu ffarai molte volte. E s'elli aviene ke in questo luogho sia forte
polso o batimento, questo
medicamento, o
similliante a llui per uno,
cura di fare.
La quale cosa fatta, se tu non vedrai sedare e menomare i
predetti accidenti, epithima il luogho, o tu metti suso impiastro
d'alcuna di quelle cose ke noi abbiamo nominate nel capitolo de'
karbuncoli, imperciò k'elli perverrà a
maturagione e a apertione e
quello che v'è dentro n'uscirà fuori.
E poi medicha e cura il luogo
com quelle cose e con quello unguento kolle quali tu suoli medicare
le fedite.
E s'elli aviene piçicore all'origine e a la radice dell'unghia,
l'unghia chadrae, per la qual cosa dipo 'l suo chadimento non si
converrae giuchare co· llui, né in niuna maniera non si dovrae
muovere, acciò ke ll'unghia ke si rinuova non nascha et escha torto e
aspro.
L. VII, cap. 20 rubr.Capitolo .xx. Del fluxo del sangue e del suo medichamento e
chura.
L. VII, cap. 20S'elli aviene cosa che de la fedita tanto sangue escha ke perciò
huomo abbia paura ke la virtù ne
indebolischa, sì ssi dee il membro
fedito ond'esce il sangue diriçare in suso e legare in tale maniera che
'n llui non si senta dolore. E dipo questo i peli de la lievre mescolati
co l'albume de l'huovo e involti nell'aloe, e incenso, e sangue di
dragone pesti, si debbono mettere ne la fedita. O fila di lino sottile,
talliata minutamente e involta di quelle cose ke noi abbiamo detto, vi
si debbono somilliantemente mettere, overo ke la fedita si riempia di
tela di
rangnatelo. E se 'l sangue esce con salto e poi ritorna un'altra
volta, o più volte incontanente, sappie ke quello cotale sangue esce de
l'arteria talliata, cioè di quella vena ov'è il polso, de le quali noi
tochiamo quando noi volliamo tocchare il polso.
E s'elli aviene cosa ke 'l sangue esca pur in una maniera e
sança salto, allotta esce pur de la vena talliata e non de l'arteria, le
quali si debbono leghare e guerire kon quelle cose ke noi abbiamo
detto. E s'è in questa maniera, il sangue
rista e bene è. E s'elli aviene
cosa che perciò il sangue non ristea, quella cotale vena, o arteria, si
dee talliare, il cui talliamento sì è che quella cotale vena, o quella
cotale arteria, leva in su kon uno uncino, s'ella si puote vedere, e se
penda in alto e si ne tragha, e poi si tagli, e poi si riempia il luogho
con quelle cose ke noi abbiamo detto. E s'elli aviene cosa ke questo
non si possa fare, o ke le medicine non giovino, sì ssi
incenda il
luogo. E conviene ke il
kauterio, cioè quello kotale strumento kon
che ssi fae lo
'ncendimento, sia molto ardente e molto rosso, e sì ssi
conviene molto guardare ke non si pongha in sul
nerbo.
E quelle kose ke
ristringono il sangue sì è che la fedita si riempia
di
calcina o di
açegi e si leghi.
Medicina forte a cciò.
Recipe:
calcina,
kolchatar, sangue di dragone, alloe,
gesso,
ypoquistidus, pesti bene sottilmente, si prendano per iguali parti, e
poi si prendano le
fila talliate ' mescolate ko l'albume de l'huovo, e
s'involgano co le predette medicine. De le quali cose così
aparecchiate la fedita si riempia, e intorno intorno a la fedita si getti e
aspergha de la predetta polvere, e si leghi il luogho.
L. VII, cap. 21 rubr.Capitolo .xxj. De la flebotomia, cioè del torre sangue kome
si de' fare.
L. VII, cap. 21
(+i) Voi dovete sapere ke la flebotomia, cioè lo scemare sangue, vòta li
homori ke ssono dentro le vene ke
vanno per tucto il corpo, e questo votamento non
dee neuno huomo fare se non per due cose: la prima sì è quando il sangue li
abonda troppo, acciò ke l'huomo si possa mantenere in sanitade e le malatie e
infermitadi schifare ke per sangue possono avenire; la seconda è poi che l'huomo è
malato per le malatie rimuovere.
(i-)
Le vene de le quali acostumatamente si suole scemare sangue
sono queste: la vena
cephalicha, cioè la vena del capo, e
matrix, cioè
la vena comune la qual è kiamata
funis
bracchii, e la vena del feghato,
e la
salvatella (cioè la vena del
dito k'è allato al
dito grosso ne la
mano), e la vena
sophena (cioè la vena de la
kavillia del piede dentro,
la qual è apellata
safena), e la vena de la
pieghatura del
polplete di
sotto, e la
sciaticha (cioè la vena k'è ne la
chavillia del piede da la
parte di fuori), e la vena k'è ne la testa, e le vene ke ssono ne le
tempie da ciascuna parte, e le due vene ke ssono
kiamate
algudegy e
sono ne la gola, e le vene ke ssono ne'
kanti dell'occhi presso al
lagrimale allato al naso, e quelle che ssono nel collo da ciascuna parte,
e le vene ke ssono sotto la lingua, e quelle che ssono in ciascuno
labro.
Et è da notare che la vena del capo, e la comune, e quella del
feghato si truovano ne la
pieghatura del gomito da la parte dentro. E
la vena del feghato è quella vena ke ssi vede e si truova da la parte
dentro dal braccio, la qual viene dal luogho k'è sotto il titello. E la
vena del capo è da la parte di fuori e vienvi da la parte de la spalla. E
la vena comune sì è composta d'uno ramo de la vena del capo e
d'uno di quella del feghato, la qual è posta in mezo di queste due. E la
vena ch'è kiamata fune del brachio si sta di sopra all'ossa di sopra de
le bracia, i quali ossi sono chiamati
focili. E sappie ke 'l luogo de la
vena
salvatella è nel
dosso de la mano, nel luogho ch'è intra 'l
dito
mignolo e quello ke lli è al lato; e 'l luogho de la
saphena sì è nel
chalcagno da la parte dentro, sì come il luogho de la
sciaticha, o nel
calcangno da la parte di fuori. E la vena de la fronte sì è quella
ch'è in miluogho de la testa; ma le vene de le tempie sono due vene
ke ss'
avolgono e si truovano sopra le tempie. E quelle due vene ke
ssono ne le cantora delli occhi sono molto e le più de le volte
manofeste ne le cantora, e all'una volta non appaiono se la gola de
l'huomo non si strigne molto fortemente. E la vena del naso no è
manofesta, ma
iscemasene sangue, quando il luogho è palpato o
tentato si truova
fesso e poi vi si fiede ko la lancetta. E 'l luogho de le
vene ke ssono
kiamate
guidei è nel collo e di quelle che ssono
chiamate
algeberi è ne le
labbra.
E la flebotomia ne la
conservatione de la santade e nel
guerimento de le
'mfertadi è grande parte de l'operatione di medicina,
s'ella si fae kente fare si conviene. E i corpi ke possono
sofferire più
la flebotomia sono quelli corpi ke ànno pilose le braccia, e ànno le
vene ampie e manofeste, e sono bruni, colorati d'uno kolore mescolato
di rosso e di fosco, e sono giovani e adolescenti, e ke non
abbiano passati
.L. anni o ivi intorno.
(+i) Altre genti sì come i fanciulli e i giovani di meno di
.xiij. anni, e
l'
imfermi ke ssi lievano di malatia, e huomini vecchi, e femmine pregne, e ki àe
duro ventre et è stiticho, e homo ebbro, e ki àe abominatione e
nauscha, e ki àe
troppo giaciuto kon femina, e ki àe menagione, e ki àe per faticha troppo il corpo
travalliato,
(i-) non si debono scemare sangue se non in grande
necessità
(+i) o per gran bisogno, perciò ke ki ssi fae flebotomare, cioè scemare
sangue, e non àe mestiere, elli pegiora molto sua natura e sua complexione, e
invecchia più tosto, e fae venire ydropisia, e tolle l'apetito del mangiare, e
affiebolisce la vertù del corpo, e del fegato, e de lo stomaco, e di tucto il corpo, e fae
i membri tremare, e fae l'uhuomo divenire
paraliticho e
aplopeticho. Ma quando
l'uhuomo lo fae quando n'àe mestiere, si guarda tutto il corpo e
rimuove le malatie
ke avenghono per pestilentie et
esquinantia e malattia e altre assai.
(i-)
E sì ssi konviene guardare più che l'homo puote ke non si scemi
sangue nel tempo
kaldissimo, né nel tempo freddissimo, né in coloro
ke ànno li stomachi distemperati a fredezza. E certo quando la vena
del capo s'apre e si tallia o fiede, il sangue ke v'è di soperkio tosto ne
viene fuori per quella vena. Per la qual cosa quando la
'mfertade è in
quelle parti, la flebothomia si de' fare di quella vena. E quando si
fiede o si tallia la vena basilicha, cioè quella del feghato, il sangue k'è
nel petto o in tucto il ventre tosto passa per lei entro. Dumque,
quando elli si dee torre sangue di queste luogora, sì ssi dee torre
sangue di questa vena. E s'ella non si puote trovare, sì ssi dee torre
sangue d'alcuno de' suoi rami. E la vena comune sì com'ella si
compone di quelle due vene, kosì trae il sangue insieme insieme di
queste due luoghora e si dee aprire quando l'
enfermitadi advengono a
queste due luogora, o quando tucto il corpo si dee votare e alleviare, e
quando le predette due vene non si possono trovare. E la diferentia è
'ntra 'l torre sangue quando la
'mfertade è nel capo o no, imperciò ke
la vena komune, avengna k'ella traggha del sangue ke è nel capo, si ne
trae ella meno ke non fa la vena del capo e del sangue k'è nel ventre
meno ke non fae la vena del fegato, ma tuctavia elli è mellio ke se
ne scemi sangue quando la
'mfertade è nel ventre ke de la vena del
capo. E impercioe quando la 'nfertade è nel capo, è mellio ke se ne
scemi sangue k'è de la vena del fegato.
Dunque, quando tolliendo sangue tu vorai talliare la vena del
capo e non la puoi trovare, è forse mellio ke tue ne scemi d'alcuno
de' suoi rami ch'è de la vena comune; e quelli cotali rami tu troverai
molto ne la parte del bracio di fuori. E quando tu vorai scemare
sangue de la vena del feghato e no la truove, alcuno de' suoi rami è
mellio d'aprire k'è la vena comune. E questi cotali rami tu troverai ne
la parte del braccio dentro più de le volte, e se tu nolli puoi trovare, si
ne scema de la vena komune. E le vene ke ne la pieghatura de'
poplici
di sotto si truovano e la vena k'è kiamata
saphena si debbono aprire o
flebotomare quando il sangue si dee trare a la parte di sotto del
corpo, e quando le
'mfertadi che avengono a queste parti sono
croniche, cioè lunghe e di grande
durata, et è dollia ne le reni e ne la
matrice, e quando huomo vuole provocare e fare venire i mestrui. E
la
sciaticha si dee flebotomare quando la dollia si stende dall'ancha
infino al piede. E la
salvatella dritta si tallia e apre per la
'mfertade del
feghato e la mancha si dee flebotomare per la
'mfertà de la milza. Ma
le due vene ke ssono
kiamate
jugedi si debbono flebotomare quando
l'alito è molto
stretto e àssi a gram pena nel
cominciamento de la
lebrosia. De le vene ke ssono sotto la lingua si fae flebotomia quando
huomo àe
squinantia, cioè quando la gola si richiude per apostema ke
vi si fa dentro, ma prima si dee fare flebotomia de la vena del capo. E
la vena de la fronte si tallia e apre per l'antiche infertadi ke sono nel
volto o nelli occhi, primeramente
flebotomata la vena del capo.
E le
vene ke ssono ne le labra s'aprono quando in alcuno si moltiplica
alcolla,
cioè quella infertade, e lli
ulceri sono ne la bocha e ne le gengie,
la vena del capo prima
flebotomata.
E le vene che ssono ne le tempie
si
talliano e aprono per chagione de l'emigranea, o per grande dollia
di capo, e si tragono e tagliano per lo male delli occhi (cioè per
l'
otalmya, male così kiamato, cioè appostemi d'occhi), quando molto
dura. E le vene ke ssono nel capo si talliano per lo male del capo ke
tiene tucto il capo e per li mali
ulceri ke ssi fanno nel capo.
E il grande errore ke aviene molte volte per lo scemare sangue
de le vene è sì come io ti dirò, imperciò ke de la vena del capo,
quando ella si fiede e apre, non solamente kon una percossa ma con
più percosse, e quando il foro e la
punctura è troppo stretta, e poi si
salda e
consolida e se
flecte a la
secondatione
(cioè quando huomo
vuole fare uscire sangue d'una medesima
puntura quello medesimo
die più volte o più volte im più dì), o quando fortemente si muove e
fassi alcuna cosa kon mano, o k'elli sia isforzato e lli convengha
durare alcuna faticha, sì vi si suole generare appostema.
La quale,
s'ella si tallia o apre a una sola percossa e
puntura, è più sicura di tutte
l'altre vene ne lo scemare del sangue. E si conviene guardare ke non
si faccia la percossa nel
cominciamento del
lacerto, ma
tastisi e
cerchisi del luogho più molle e più morbido e ivi si faccia la percossa.
E conciosiacosaké sotto la vena comune elli sia un
nerbo, se la
punta
de la lancetta
perviene infino a llui e 'l pungha, dopo la flebotomia
averae stupore e adormentamento perdurabile, il quale forse durerà
sempremai.
Per le quali cose ciascuno sì dee guardare ke la puncta de
la lancetta non a quello luogho ove il
nerbo si sente essere, ma a la
parte di lungi da llui si meni e a llui non discenda, e s'ella è intra due
nerbi, sì si dee fendere la vena per lungheza
. E in questo modo si
conviene guardare dal
nerbo ke è procciano e vicino de la vena
quando homo il puote sentire e vedere. E s'elli aviene cose ke
sottilissimo
nerbo sia sott'essa, il quale nom appare e non si puote
manifestare al
sentimento, e se tallii, sì ssi
ditrugge e guasta il senso di
quello
nerbo del tucto in tucto. Se la lancetta, quando si fae la
flebotomia, viene infino al
fondo e nel braccio, sì farae stupore e
adormentamento, il quale
durae lungho tempo. E ne la sua guardia
no è milliore kosa che la fedita de la flebotomia non pervenga
infino al
fondo. E s'egli adviene alcuna volta che alcuno piccolo
nerbo si tagli del tucto in tucto, non sarà loro nocimento ne'
nerbi ke
per
sentimento si possono comprendere. E quello ke i ladici e li
sciocchi ' stolti dicono ke per questo cotale facto si seguiti ariditade e
ratraimento e
dureza di mano, è busgia e
falso, imperciò ke sse
alcuno di sua buona volontà talliasse tucto questo
nerbo, non
averrebbe più che quello ke noi abbiamo detto.
E sotto la basilica, cioè la vena del fegato, è allocata una grande
arteria, la quale l'è presso. Per la quale cosa in lei si dee fare la
flebotomia con gran
kautela e con grande guardia observando tucte le
cose, e magiormente s'ella no è grossa e manifesta. E la sua guardia è
sì come noi diremo. Quando tu vedrai la vena del feghato e fie
mistieri che di lei, trovata e congnosciuta per lo toccho, si scemi
sangue, mellio sarae ke tue la lasci stare e un'altra ne tagli e
punghi e
apri. Onde konviene ke tu
inchezi e
cerchi alcuno de' suoi rami, sì
come è la vena
ascellata e le somillianti a llei. E se tu vuoli pur di lei, e
non d'altra, trare il sangue, il luogho del braccio ko
lleghatura si dee
strignere. E poi che 'l luogho del polso e del
baptimento fie
conosciuto, sì ssi dee
sengnare, e poscia si leghi, e s'osservi il più, e
guardisi ke l'huomo puote ke dal luogho
sengnato huomo s'allunghi
più che l'huomo puote co la percossa e fedita, e si faccia la percosa a
la parte, e verso la parte de la mano discendendo, imperciò ke
ll'arteria discende verso la parte de la mano, tanto più si
profonda e si
parte da la basilica, cioè da la vena del feghato, il quale separamento e
partimento comincia ne la pieghatura del gomito. E quando tu
avrai
leghato il braccio, se 'l luogho del polso ke tu avrai votato tu vedrai
levare in alto et enfiare, sì ti guarda molto bene ke tu non tocchi
quella vena, imperciò ke questo
emfiamento non è se non
emfiamento de l'arteria e suo riempimento. Onde se tue tagli o ffiedi
la vena e tu vedrai il sangue uscire kon salto, il quale sia sottile e
rosso, sappie k'elli escie da l'arteria. Dumque conviene allotta ke tue
faccie uno lucignolo di bambagia incontenente e,
bangnatolo e
involto nell'albume de l'huovo, sì lo
'nvolgi ne la polvere dell'aloe e
de lo
'ncenso, e del sangue del
dragone, e
póllovi suso, impercioe che
questo
medicamento fortemente ristringne il sangue. E dipo questo si
llegha il luogho, il quale tue no
sciollierai infino ai tre dì, ma
ssopr'esso assiduamente vi spruça suso de l'acqua inaffiando, acciò ke
'l luogho non si riscaldi. E tucto questo non fare se nom poi ke tu
avrai leghata fortemente quella parte k'è ssul luogho. La quale cosa
perciò si conviene fare accioe ke 'l sangue si
ristringha e si rifreni e
salgha, imperciò ke poi che tu avrai questo fatto, sì potrai fare quello
ke tu vorai. E quando elli fie venuto il terzo die,
sciolgli il luogho
soavemente. E se tu vedrai il
medicamento esservi bene apicchato,
nolne levare, ma del predetto medichamento vi poni intorno intorno
e rilegha. E se tu vedrai ke del
medicamento ne sia fiore spiccato,
poni incontanente il
dito tuo sopra il luogho. E quello ke n'è spiccato
si nne lieva soavemente e poi vi riponi suso del
medicamento e
rilegha sì come tue facesti dinançi; imperciò ke im questo modo si
ristrignerae il sangue de l'arteria, e l'arteria fia sicura e guardata da la
diruptione e rompimento ke vi suole avenire, e
guirae per lo
comandamento di Dio.
E s'elli si tolle sangue de la vena del feghato, e l'alteza che col
toccho e kol tasto si sente sia molle e morbido, e quando tu priemi
sopr'essa si discende o si bassa, mala e rea, e imperciò k'ella è alteza
de l'arteria. Onde quelli ke avrà questo, sì ssi
dotti e si guardi ch'elli
non tochi alcuna cosa che la rompa, imperciò ke 'l sangue uscirà
incontanente de l'arteria, ma
pongavisi suso impiastro de le cose
stitiche e
laççe sempre, la qual cosa perciò si fa accioe che il luogho
induri e così fie sicuro da la rottura. E quando elli si fae flebotomia ne
l'arterie ke ssono ne le tempie, non ne seguita paura, imperciò ke sse
astelle vi sieno suposte e leghate, il sangue si
ristrignerà.
E quando de la vena
saphena e di quella k'è ne la pieghatura del
poplite dentro si dee torre sangue, co la corda ne la parte di sopra del
braccio si dee leghare, e poi il
piè sopra un pezo di
lacertolo, sopra il
manicho del mortaio, si dovrà porre e
strignere, e così si dovrà fare la
flebotomia.
E ne la
sciaticha, ciò ch'è dall'ancha infino a le parti che ssono
sopra il
calcagno, per spatio di largheza d'una de le sue mani si dee
leghare e in altra maniera non si manofesta in niuno modo. E se con
questo non appare, sì ssi metta nel bagno lo 'mfermo e molta acqua
calda si gitti i· sul piede tanto ke ssi manofesti. E se ancora così non
appare nel suo luogho, alcuno de' rami che tu puo' conoscere, i quali
si protendono ne la parte di fuori, flebotomia è milliore di quelli rami:
e quello k'è intra 'l
dito mignolo e quello ke lli è al lato.
E la flebotomia de la
salvatella si dee fare in questa maniera ke la
mano si tenga ne l'acqua
kalda tanto ke il luogho ke ssi dee
flebotomare
emfii e molto si manofesti, e poi si
flebotomi, e poi si
metta ancora ne l'acqua calda infino a tanto k'elli
emfii, aciò ke il
sangue ne la boccha de la vena
flebotomata non si
congeli e si pigli e
non ne possa uscire. E quando elli ne fie uscito, quanto tu
vorrai
um pocho d'olio e di sale vi poni suso, acciò ke la fedita non si saldi
troppo tosto. La quale cosa in ongne debole ramo e ne la flebotomia
stretta ti conviene fare, e se la
secundatione fie da ffare, sì ssi
converae ke nel forte più tosto e nel debole più tardi si faccia; e non
conviene quando l'uscire del sangue è malagevole, cioè quando escie
malagevolmente, ke nel
ristrignimento del sangue si priema e si pieghi
per força il luogho, ma ssi lasci stare così kom'elli è,
konciosiacosaké
di ciò non si seguiti neuno male o ke quello ke del sangue è congelato
sopra la fedita si lievi via col lato de la lancetta. E questo è mellio ke
llevarlone via o stropicciandolo o koll'unghia
freghandolo, sì come
stolti ànno acostumato di fare.
E se 'l luogho de la percossa de la lancetta sia apostemato per la
flebotomia del luogho k'è ssopra llui, s'elli è mestiere di scemare
sangue,
flebotoma. E si dee observare ke dopo la flebotomia il
luogho non si leghi troppo
strettamente, imperciò ke questo à
acostumato di fare venire apostema, né molti panni vi si ponghano
suso, né sopra quel luogho alcuna di quelle cose vi si
linischa o
v'ungha, le quali alcuni, per chagione di
farne venire buono odore,
sempre acostumarono d'ungnere. E se il luogho è
kaldo e ardente,
niuna ora sia leghato, ma dêsi lasciare stare tanto ke sia alleviato, e
acciò ke ssi raffreddi sì ssi dee inaffiare d'acqua
rosata o d'acqua
dolce raffreddata sopra le neve.
E quelli a cui è scemato sangue in niuna maniera dee intrare
im bagno, e magiormente se il luogho è
kaldo e ardente, infino a
tanto ke la fedita fia salda e che il caldo e l'apostema sia sedato e
quietato. E quello cotale che ss'avrà in questa maniera, non
presumma di bere vino in niuno modo, né il membro nel quale è la
flebotomia muova, né niuna opera faccia con esso. E quelli ke ss'
à
scemato sangue, né 'l die de la flebotomia né 'l secondo die non si
riempia di molto cibo, ançi moderatamente e più temperatamente,
cioè a ssapere kon lieve cibo, il quale
atuti la collera rossa e la
ripriema e
spengha, sia nodrito, sì come è
sucaberegi molto acetoso,
s'elli non àe aspreza nel peto ke questo non lasci a ffare o dimetti ad
fare. La quale aspreza s'elli avesse, sì manuchi
cibrabegi facto di carne
d'agnello e huova molli.
E ancora si dee observare ke niuno ebro, o k'abbia fastidio, non
si scemi sangue infino a tanto ke tucte queste kose fieno andate via,
se non fosse cosa ke per lo
ritardamento de la flebotomia
gram
pericolo fosse, sì come quando l'
atratione dell'aria è molto
stretta, cioè quando homo nom puote avere l'alito, o quando il
triemito del cuore è molto forte e spesso, il quale aviene con rosseza
delli occhi del volto, o
aplopesia, ne la quale il volto è rosso o nero, o
squinantia e forte fluxo di sangue e repentino, cioè ke viene subito e
repentemente, imperciò ke quando queste cose avenissero, sì ssi dee
fare la flebotomia in ciascuna hora del dì e de la notte.
E quando neuna necessitade non vi fie, sì come ne le sopradette
cose, buona cosa è ke la flebotomia si facia poi che due ore del die o
tre fieno passate, e poi che la digestiva avrae compiuto la sua
operatione, cioè ke avrae bene
ismaltito, e la superfluità de la fecia fia
messa fuori del corpo, cioè fia uscito.
E se alcuno àe acostumato di
tramortire per la flebotomia, konviene che dinançi a la flebotomia elli
manuchi um pocho di pane molle nel sugho de le melegrane, o nel
sugho dell'uve acerbe, o mollato e intinto ne le cose somillianti a
queste; e conviensi torre sangue quello cotale non a una volta, ma tra
tre volte o quatro si tragha. E la sincope e 'l tramortimento si fae più
de le volte per lo scemare troppo sangue nell'ora ne la quale esce
troppo sangue im picolo tempo, imperciò ke queste cose allotta
quando per forte
flobotomia, cioè a ssapere quando dopo la
flebotomia, piccolo spatio interposto (cioè posto in mezo) molto
sangue si trae e alcuna volta aviene. La qual cosa se questo aviene,
converassi che la sua uscita si contradi l'una ora dopo ll'altra.
E noi nomineremo aguale i medicamenti de la sincopi, cioè del
tramortimento, ke aviene per la
flobotomia. E guardisi ke alcuno
non si
flebotomi in neuna maniera dopo la
passione
kollericha, e
vomito, e fluxo di ventre, né dipo 'l coito (cioè ke àe avuto a ffare
kon femina), né dipo molta faticha, e dipo molto veghiare, e a la
perfine dipo tucte queste cose ke il corpo disolvono, o indeboliscono,
o che fortemente riscaldano.
E la
misura del sangue ke ssi dee trare konviene ke ssia secondo
l'uso e secondo la dispositione di quello per chagione del quale la
flebotomia si fae e secondo la virtude. E colui ch'àe il
kaldo
apostema, sì come è
pleuresi (cioè appostema nel costado) o ll'altre
ke lli sono somillianti infertadi, quando si tolgono sangue, la
mutatione del colore del sangue da la propia dispositione dee
atendere.
Ma colui che non à apostema quando si scema sangue, non
dee questo observare nel suo sangue, conciosiacosaké tucto il suo
sangue sia iguale.
In coloro ke ànno apostema caldo, quando si scemano sangue,
se 'l sangue tarderà il mutamento e la paura de la distrutione de la
virtude sia presente, il sangue è da
ristrignere, né non si dee aspettare
tanto ke 'l sangue si muti.
E s'elli aviene cosa che nel die de la flebotomia bea tanto k'elli
inebbrii, il suo braccio si leghi con due leghature, al quale si dieno
guardie ke veghino e 'l guardino. In molti, imperciò, el sangue in tale
maniera
korre infino ke alcuni muoiano e alcuni
aproximino e
aprocino a la morte. Per la quale cosa quando alcuna di queste cose
avenisse, e a la perfine quando del sangue onde umque elli uscisse in
grande quantitade tanto ke elli abatta la virtù, de l'acqua de la carne e
'l vino sottile e bene olliente nel quale sia forteza e possança
subitamente li si dea e cosa bene olliente li si dea. E se elli è già
pervenuto a quello ke nom possa già neuna cosa mandare giuso, i
denti de lo 'mfermo s'aprano, e l'acqua de la carne com pocha miva
moscata e vino bene olliente si metta ne la sua boccha, e a tucto il
corpo kose ke reddano buono odore, e magiormente al petto e al
ventre, si dieno, e 'l naso dentro s'ungha di ghallia. E lo 'mfermo una
hora dipo ll'altra si
fumichi, dinançi al volto
di cui polli arostiti se
speççino, e al suo naso cibi bene
ollienti, i quali sollion conmuovere
et excitare l'apetito, si pongano presso.
E la sincope, cioè il tramortimento il quale aviene insieme
quando si tollie sangue, seguitare e fare quelle cose ke noi abiamo
detto la contradiano più di volte.
E s'elli aviene cosa ke ko la flebotomia avengna vollia di
reddere, sì ssi dee mettere una penna ne la boccha de lo 'nfermo
acciò k'elli renda. E poi li si dee spargere sopra lui acqua rosa o acqua
fredda, e vi si dee mettere entro, e dêsi
chiamare a gran grida, e dêsi
muovere. E s'elli aviene cosa ke per questo nolli rivengha la memoria,
sì li si dee soffiare nel naso del moscado e ne la sua boccha si dee
mettere de la gallia, cioè di quella confettione odorifera, e li si de dare
vino temperato kon um pocho d'acqua, e li si dee
strupiciare la
boccha de lo stomacho e tucto l'altro suo corpo, e poi si dee tornare
a
metterli la penna ne la boccha, e a tutto l'altro suo
regimento. E
quella sincopi, co la quale è
nauscha e abominatione e vollia di
reddere, è rea. Per la quale cosa non si dee huomo allotta
ingengnare
di fare reddere, ma nel suo
medicamento e ne la sua cura sì dee molto
studiare e, più ke l'homo puote fare, ke lli si dea subitamente sugho di
carne e vino e 'l dee huomo muovere e kiamare fortemente e sopra
llui gitare acqua,
inaffiandolne.
E spesse volte quelli k'è tramortito
riede a memoria e nel suo senno per lo suono del tamburo, e del
cembalo, e per le sampogne, e per le
garricité, e romori, e grida
.
L. VII, cap. 22 rubr.Capitolo .xxij. De le ventose, overo koppette.
L. VII, cap. 22Le ventose (coppette) non tragono sangue se non de le piccole
vene ke ssono sparte per la carne. Per la qual cosa non indeboliscono
sì come la flebotomia, cioè quando si scema sangue de la vena;
avegna k'elle menimino la
ripletione del corpo.
(+i) Le ventose
spurghano il sangue k'è ne le vene picole intra 'l
cuoio e la
carne, e perciò non si debbono ventosare quelli k'ànno grosso sangue s'elli non si
bagnano primamente, e poi k'elli sarà bagnato d'una ora si faccia ventosare; ma
coloro ke ànno il sangue sottile non si deono bagnare, perciò ke le ventose operano
diversamente nel corpo de l'homo secondo la
diversità de' lluoghi ov'elle sono messe,
sì vi ne diremo k'elle fanno. E 'l tempo e l'ora del ventosare sì è quando la luna
è piena a meçço il mese ke, ssì come alcune genti dicono, i membri sono allora più
pieni d'omori. L'ora la quale l'uhuomo si dee ventosare sì è a terça o intra terça e
prima.
E sapiate ke le ventose
(i-) e i luoghi ove le ventose si solliono
porre sono questi, sì come il luogho k'è intra le due corna del
çucolo
del capo di dietro, e ne le due corna del detto
çucolo, e nel luogho k'è
sotto il mento, e l'altro luogho k'è intra le due spalle, e i luoghi ke
ssono ne le polpe de le ghambe dentro. E la
ventosa ke ssi pone nel
luogho intra i predetti corni del
çucolo del capo giova molto a la
graveza e a la vanitade k'è nel capo
(+i) a coloro ke
divenghono folli per
malvagio cervello.
(i-) Ma il sangue ke ssi trae ko le coppette ke ssi
ponghono ne le due
korna ke ssono dette
sifaliche e
allieva il volto e
'l capo e lli occhi e giova a la graveza k'è nel capo e al dolore de'
denti. E per l'aventura a queste cose giovano altrettanto quanto la
flebotomia. E la ventosa ke ssi pone sotto 'l mento a le piccole
pustole e bolle ke ssi fanno ne la boccha e al nocimento de' denti
fanno rimedio, e a la coruptione de le gengie, e ancora a tucti quelli
mali ke ssi fanno ne la boccha e al nocimento de' denti fanno rimedio
e giovano. E la coppetta ke ssi mette intra le spalle vale al triemito del
cuore k'è con riempimento e con repletione e
kalore. Ma quella ke ssi
pone ne la polpa de la ghamba fortemente menoma la repletione, e '
li antichi dolori ke ssono ne le reni o ne la matrice e ne la vescicha
giova e provoca e fae venire i mestrui, ma alcuna volta fae dimagrare
il corpo, e suole fare tramortire alcuna volta, e giovano a coloro ai
quali solliono avenire
pustole, e
papici, e
karbuncoli.
L. VII, cap. 23 rubr.Capitolo .xxiij. De le sanguisciughe overo mignatte.
L. VII, cap. 23
(+i) Voi dovete sapere ke una maniera di
sanguisciughe sono le quali ànno
veleno e sono velenose, sì come testimoniano li autori di fisicha. E per
konoscere
quali sono buone e quali sono ree, sì le v'insegneremo conoscere. Avicenna dice ke
quelle ke ssono grosse il kapo (e ànno grosse le teste), e ke ànno kolore intra nero
e verde vaiolate d'indaco, e ke dimorino in stagni putridi, di quelle si dee huomo
guardare per lo veleno k'elle portano, ké apostemi e febbri n'avenghono e male
piaghe,
spasmo e fieboleza di membri. Quelle ke ssono buone sono quelle ke
dimorano in acqua
korrente, ove ranochi sono, e ke ànno colore rosso obscuro, e
ke ànno la testa piccola, e sono somillianti a coda di topi. Ma quelle ke mellio
valliono sono quelle ke ànno il ventre rosso e sono verdi sopra 'l
dosso, ma ch'elle
sieno in acqua
korrente, e queste sono le milliori. E poi ke voi sapete quali sono le
buone, sì vi diroe a ch'elle valliono. Elle valliono a quelli che ssono litiginosi, a
quelli che ànno
gotta, robbia, e mal colore rosse del viso, e a
piaghe facte di lungho
tempo ke nom possano saldare, ma ch'elli sieno di prima
segnati de la vena. E 'l
sangue che le
sanguisciughe purgano si viene più di profondo che non fae quello de
le ventose.
E si dee observare quando le mignatte si prendono che ssi guardino un
giorno o uno mezo die poi k'elle saranno prese, e le mettete in acqua kiara per
purghare ciò k'elle avranno nel ventre, e sarebbe buono di nodrire di sangue
d'agnello e d'altra cosa, dinançi ke l'huomo le si pongha. E apresso si conviene
i· lluogho ov'elle si dee mettere stropiciare quel kotale membro, e bagnare
koll'acqua calda tanto ke diventi rosso, e poi vi si debbono
apicchare, e s'elle non
vi si volliono apicate, sì ssi ungha il luogho kon sangue ricente, o con malmetta per
più tosto prendere
(i-).
E quando le mignatte si pongono ne le luogora ove è
volaticha,
o
safa, o fedita antica, primieramente tolto e scemato sangue, sì
giovano molto.
(+i) E quando elle saranno piene, e voi le ne vorete levare,
prenderete um poco di cennere, o um poco di sale, o seta arsa, o lino arso, o spugna
arsa, o lana arsa, e la gittate di sopra, sì
kadranno incontanente. E poi ke ella
sarà
caduta, si conviene ke l'huomo lavi il luogho di buona acqua calda, e
i· rimanente del sangue sia purgato per ventose, se 'l luogo
(i-) è tale ke vi
possano porre su
coppete, acciò ke
ssughino quello cotale sangue k'è
rimaso presso a la buccia. E dêsi quello cotale luogho lavare con
molta acqua
kalda e strupicciare e priemere, quando elli è possibile.
Quello ke noi abbiamo detto è mellio, e sì chome noi dicemo
ke, poi ke le ventose vi sieno poste, ke vi si lavi. E s'elli aviene cosa
che poi ke le
mignate sieno cadute il sangue
risudi o giema,
(+i) et
escha più ke non dee e voi il volete stagnare,
(i-) panni
lini molli in aceto vi
si ponga suso. E se in questa maniera perseverasse, terra
sigillata o
tegholi ricenti triti molto bene, e balaustie arse trite poste suso,
(+i) e
polvere di cennere ben
soctile ke
maravigliosamente queste polveri
stringono e
stagnano il sangue.
(i-)
L. VII, cap. 24 rubr.De la vena civile. Capitolo .xxiiij.
L. VII, cap. 24Questa infertade aviene ai corpi caldi e secchi, e asciuti, e ai
membri ne' quali è picola
humiditade; la quale,
advengha ke ne le
ghambe esca alcuna volta, alcuna volta appare nelli altri luoghi. E ançi
k'ella cominci ad aparire nel membro, al membro aviene bollimento,
poi che alcuno de le sue luogora
komincia a
vescichare, del quale poi
comincia vena a uscire. E di quelle cose ke contrariano ke questa
infertà non vengha è ke ss'
umenti e
ramollischa il ventre e 'l corpo
kol bagno e con dieta e
regimento nel bere e nel mangiare e
comandare ke 'l paese, ove questa
infertà suole avenire, non si
manuchi né camangiari né fructa. E queste cose ke noi abbiamo
aguale nominate generano la predetta infertade. Ma quando nel
luogho si cominciano a ffare ampolle e vesciche e la vena comincia a
uscire, giova ke 'l primaio die dr
. 1/2 d'alloe, e nel secondo die dr
. .j., e
nel terzo dr
. .ij. bea. E ancora il luogho s'epithimi d'alloe, imperciò ke
la
distruge e disfae del tucto in tucto. E poi k'ella fie uscita fuori,
quello ke di lei appare fuori sopra una piccola kanna fatta di piombo,
il cui peso sia d'una dr
., si dee avolgere e co la predetta kanna leghare
e si lasci stare ke penda, imperciò ke per la sua graveza
komincia a
discendere e
prolungharsi (o dilungharsi) e piutosto n'esce. E quando
alcuna parte di lei elli ne fie uscita, sì ssi
avolgha e leghi intorno al
piombo. E quello che nn'è gia uscito sì ssi tagli, e quello che ffie
rimaso s'
avolgha e non se ne chavi la radice. Di questo si conviene
guardare, imperciò ke sse ssi facesse, sì ssi
ratrarebbe ne la carne e
genererebbe apostema puçolente e
ulceragione maligna. Per la qual
cosa a questa infertade si dee sovenire
lusinghadola e a poco a poco si
dee trare fuori la vena tanto k'ella ne sia tucta fuori e fior di lei non ne
rimangha nel corpo. E s'elli aviene cosa ke la radice se ne tagli, nel
suo foro si pongha e si metta
radius, quello cotale istrumento, e si
fenda per lungho, e aprasi finemente tanto ke ciò ke vi si contiene
de la sua materia si vòti; e poi vi si pongha il bituro per alquanti die
tanto ke ssi fracidi e la sua
materia si consumi e po' si medichi con
quelle cose ke generano carne.
L. VII, cap. 25 rubr.
Capitolo
.xxv. Di trarre le saette.
L. VII, cap. 25Quando la saetta fie fortemente passata et entrata im profondo
non si dee fortemente crollare acciò ke non si rompa. E s'elli è
possibil cosa, ke lo strumento il quale è kiamato
forfici si metta ne la
fedita e tanto vi si metta ke vengha all'asta. E se questo non si può
fare, la fedita si dee prima
allarghare, e poscia lo strumento vi si dee
mettere, e tanto vi si dee pignere entro k'elli morda e prenda l'asta; e
poi ke ffie così facto lo strumento ne le sue extremitadi ke ssono di
fuori si dee
strignere, e poi si dee crollare alquante volte, acciò ke
perciò si pruovi quanto v'è entro fitta e poi se ne tragha, imperciò ke,
poi che il predetto strumento avrae morso la saetta, appena si partirà
da llei, imperciò ke la sua boccha è sì come lima. Per la quale cosa per
poco
kostrignimento facto ne la parte di fuori, fortemente si strigne la
saetta. E se la saetta avrà passato nel
lacerto in tale maniera ke il
luogho, poi che ffie entrata, al suo uscire sia duro e malagevole e il
luogho dell'altra parte a trarla sia agevole, sì ssi fenda l'altra parte e se
ne tragha indi.
E le parti de le spine e l'
astelle e i
ciçeçii e l'altre cose ke entrano
nel corpo si debbono trare ko lo 'mpiastro fatto e posto ko le cose e
de le cose ke ànno a rilaxare, e aprire, e
ranmollire. E quando il
luogho fia
ranmollito, quello ke ffie entrato nel corpo si n'uscirae e
verrae a llui. Onde sono alcuni i quali queste medicine kiamano
extractive, e di quelle kose ke aoperano in questa maniera sono
l'armoniaco, quando si mescola kol mèle, e se ne fae impiastro, e
pollovi suso, e quando de le cipolle narcisci vi si ponghano suso, o
quando di tucte queste cose mescolate insieme si fae empiastro e vi si
pone suso, o quando le radici de le kanne trite col mèle vi si pongano
suso, o quando di tucte le predette cose vi si ponghano suso
mescolate insieme e fattone impiastro, imperciò ke iguale la loro
operatione fie più forte.
L. VII, cap. 26 rubr.Capitolo .xxvj. De le percosse ke ssi fanno nel capo.
L. VII, cap. 26Quando per la percossa del capo l'osso non fie rotto, polvere
d'alloe, e di mirra, e di sangue di dragone, e d'incenso, e di
corallo vi
si dee spandere, e per questo cotale medichamento
guirrae molto
tosto. Ma sse ll'osso fie così rotto k'elli discenda giuso e si tagli il
craneo, non vi si dee avere neghienza, imperciò ke di questo averebbe
turbamento d'intelletto e spasmo, cioè
contrattione, e poscia
seguiterebbe morte
prociana. Per la qual cosa quello cotale osso si
dee trarne incontanente, e conviensi guardare ke 'l
pannicolo k'è
sotto l'osso non si rompa. E a queste cose operare e fare è mistiere
medico savio e soavemente operante.
E quello per ke noi abbiamo facto mentione in questo luogho,
non facemo per altra cosa se non acciò ke noi mostriamo kom'elli è
gram paura in questa infertade, e subitamente si metta in studio nel
trare l'osso innanzi ke i predetti accidenti
avengnano, i quali sono rei
e non si possono schifare. E 'l medicho si guardi in tucti modi k'elli
puote ke 'l
pannicolo k'è sotto l'osso non si rompa.
L. VII, cap. 27 rubr.Capitolo .xxvij. De' falsi e frodolenti medici e de' loro
inganni e frodi.
L. VII, cap. 27Le frode e le falsitadi de' medici ingannatori sono tante
e di tante
diversitadi ke tucto questo nostro libro no le potrebbe
comprendere, imperciò ke il loro ardire e il loro
isvergognamento e la
loro concessione per la quale elli
congnoscono k'elli, per niuna cosa,
affligono li homini, e in ultimo de fine più ch'essere possa poi ke
altro non si truova, imperciò ke ssono alcuni di loro che dicono k'elli
gueriscono l'epilensia, cioè del male maestro, per la qual cosa il
cominciamento del capo da la parte di dietro fendono in modo di
croce, e traghono de la fedita alcuna cosa ch'elli tenghono ne le loro
mani, e fanno
fede alli homini ch'elli la tragghano di quella talliatura.
Altri sono ke fanno ke ssi creda k'elli traghano del naso una
piccola lucertola, mettendo nel naso dello 'mfermo
tasta aguta o
fferro aguto, kol quale elli radono tanto ke 'l sangue n'esce. Poi fanno
ke la cosa ch'elli tengono in mano, cosa
similliante a
llucertola, paia
che escha del naso, la quale cosa elli fanno de le vene del feghato.
E sono alcuni che fanno ke ssi creda k'elli tragghano l'albugine
dell'occhio, i quali, poi k'elli misero il ferro nell'ochio, cominciano
primieramente a
ffreghare con esso e poi mettono nell'occhio uno
sottile
pannicolo, il quale,
traendolo col ferro, dicono k'elli il
tragghono dell'occhio.
E sono alcuni ke dicono k'elli tragono,
sughando, l'acqua
dell'orecchie, i quali tenghono l'acqua ne la boccha, e uno kapo di
kanna tengono ne la sua boccha e l'altro pongono ne l'orecchie de lo
'mfermo, e
sughano, e poscia gitano l'acqua per la
canna, la quale
teneano im boccha e dicono ke de l'orecchie l'ànno tracta.
E alcuni altri sono i quali di piatto mettono i vermini nelli
orecchi e ne le radici de' denti, e dicono ke di quelli luoghi li
traghono.
E sono alcuni ke ffanno credere ke elli traghano uno
ranocchio di sotto la lingua, onde ivi talliano e fanovi una
fenditura, e
pilliano la ghiandola ke v'è apicchata e la ne traghono, per ke
nominerò io quello ke mettono ne le fedite e nelli
ulceri, sì come
l'ossa e, quando le v'ànno lasciate stare per alquanti die, sì lli ne
traghono, e questo fanno spesse volte.
E sono alcuni i quali, quando de la vescicha traghono la pietra,
dicono ke v'è ancora un'altra pietra, e quello fanno aciò ke ssi creda
k'elli traghano indi l'altra pietra, e alcuna volta tocchano la vescicha e,
non sappiendo per certo ke ivi sia pietra, sì la talgliano, e se non vi
truovano pietra, sì la vi mettono, e poi la ne traghono. Ché apertiene
di dire ke lla carne
talliano e le morici, e dicono ke elli l'àe, e questo
fanno spesse volte, e a le
moreci e a le rei fedite ke non erano inançi
perduchano e menano.
E sono alcuni ke affermano di trare flemma vitrea de la coscia o
del membro, cioè de la vergha, o di qualumque luogho del corpo elli
vuole, per la qual cosa il luogho
scarifichano e ivi
talliano. E con
l'ambulla, la quale elli vi
ponghono suso, o sopra 'l capo de la vergha,
molte volte
sughando alcuno homore, il quale alcuna volta elli
tengono
nascoso ne la boccha per
embula, cioè per quello kotale
strumento, gettano nel bacino.
E sono alcuni ke dichono ke tucte le 'nfertadi ke sono nel corpo
e ne la persona di ragunarle in uno luogho e di trarle indi. E questi
cotali kon
eliengi
kominciano a
strupiciare, onde ivi si fae piçicore e
grande arsura. La quale cosa, poi ke ll'ànno fatto, sì domandano
d'esserne
rimunerati, acciò k'al predetto luogo elli traghano la
'mfertade. E quando elli sono paghati, sì
unghono il luogho kon olio
e vae via il piçicore.
E sono altri ke ffanno credere ke o peli o vetro li sia dato,
ond'elli prendono la penna e li le mettono im boccha, e 'l fanno
reddere, e co la penna li mettono quello in boccha, poi ne traghono
kose molte di questa generatione le quali elli fanno. Onde
agli uomini
fanno molti e grandi nocimenti e forse alcuna volta li uccidono.
E tucte queste cose non sono ai
savi occulte, né
piatte, né
nascose, se nom perk'elli si comettono in loro e si fidano di loro, non
estimando né presumendo ke i· lloro sia male, né inghanno, né frode,
né di loro
dottandosi. Ma quando ne' loro
kuori è alcuna
sospetione
et elli ànno
kominciato a riguardare e a
ppor
mente ai loro fatti, e
molti occhi abbiendo sospecione di quello medesimo, le loro busgie
e le loro frode e inghanni, sì proveranno e le loro falsitadi. Per la
quale cosa i
savi non si debbono mettere ne le loro mani, né
nom debbono pilliare alcuna de le medicine k'elli danno, perciò ke
elli n'ànno già molti distrutti e morti.
E qui si termina la sententia del septimo libro. A dDio, il quale
ci àe atato, sieno infinite gratie. Amen.
L. VIII, Index rubr.
Qui apresso cominciano i chapitoli de l'ottavo libro di
Rasis, i quali sono in
somma
cimquanta e due
capitoli.
L. VIII, IndexCapitolo primo de l'ottavo libro, overo tractato. De le somme e
agregationi da medichare i veleni e i morsi de' velenosi animali e
come l'huomo si dee guardare. Capitolo secondo. Del morso de la
vipera. Capitolo terzo. De le punture de li scorpioni. Capitolo quarto.
De le punture de'
saraceti, o
albarathen, cioè di scorpioni piccoli.
Capitolo quinto. Del morso de la rutela e del
ragnalo. Capitolo sexto.
De la
puntura de l'api e de le vespe.
Capitolo septimo. Del morso de
lo
scellone e de la rutela.
Capitolo
.viij. Di quelle cose ke
kacciano via
li animali velenosi, e i serpenti, e i lupi, e le
bellve e l'altre fiere rapaci.
Capitolo
.viiij. De' morsi de' cani non rabbiosi, e de le bestie, e de'
furoni, e delli homini. Capitolo
.x. De' morsi de' cani rabbiosi.
Capitolo
.xj. Di coloro ai quali i
napelli si danno. Capitolo
.xij. Di
coloro a' quali sono dati a bere i
cornispice. Capitolo
.xiij. Di coloro
ai quali il fiele del leopardo fu dato a bere. Capitolo
.xiiij. Di coloro ai
quali fu dato a bere il fiele de la vipera. Capitolo
.xv. Di coloro ai
quali fu data la sumitade de la coda del cerbio. Capitolo
.xvj. Di
coloro ai quali il sudore de le bestie fu dato a bere. Capitolo
.xvij. Di
coloro ai quali fu dato a bere le canterelle e la stafisagria. Capitolo
.xviij. Di coloro ai quali fu dato a bere l'oppio. Capitolo
.xviiij. Di
coloro ai quali fue dato a bere il
jusquiamo nero. Capitolo
.xx. Di
coloro ai quali fue dato a bere la
mandraghora, cioè l'erba luccia.
Capitolo
.xxj. Di coloro a cui fuorono date a bere le noci
kastaneole.
Capitolo
.xxij. Di coloro ai quali fue dato a bere i
semi de iusquami
albi. Capitolo
.xxiij. Di coloro ai quali le
foglie del coriandro verde
fuorono date. Capitolo
.xxiiij. Di coloro ai quali fuoron date il sugho
de le
foglie del
psillio. Capitolo
.xxv. De' funghi e
trumbis mortali.
Capitolo
.xxvj. Del sangue e del lacte ke si prende nel corpo. Capitolo
.xxvij. Delli arostiti ke ssi cuoprono sì che 'l
fungho non ne puote
uscire fuori. Capitolo
.xxviij. Di coloro ke manucano i pesci freddi.
Capitolo
.xxviiij. Di coloro ke avessero manichato il lacte corrotto.
Capitolo
.xxx. De'
nocioli
muffati e corrotti de' quali viene reo odore
e delli
olii
spessati di reo odore. Capitolo
.xxxj. Di coloro ai quali
fossero date le rane de:lagho o del fiume. Capitolo
.xxxij. Di coloro ai
quali fie dato la
lievre del mare. Capitolo
.xxxiij. Di coloro ai quali fue
dato il reo
kastoro. Capitolo
.xxxiiij. Di coloro ai quali fue dato
l'anacardo. Capitolo
.xxxv. Di coloro ai quali fue dato l'
oleandro.
Capitolo
.xxxvj. Di coloro ai quali fue dato a bere la cipolla squilla.
Capitolo
.xxxvij. Di coloro ke avessero bevuto o fosse dato bere il
seme de l'
orticha. Capitolo
.xxxviij. Di coloro ai quali l'acqua fredda
fece nocimento. Capitolo
.xxxviiij. Di coloro ai quali fu dato a bere il
gesso. Capitolo
.xL. Di coloro ke
bevero lo
litargiro, cioè l'aghetta.
Capitolo
.xLj. Di coloro ke
bevero l'
ariento vivo. Capitolo
.xLij. Di
coloro ke
bevero la
biaca. Capitolo
.xLiij. Di coloro ai quali fosse
dato
kalcina insieme, o arsenicho
sobblimato, o grasso di
sapone, o
ne la cui gola la polvere de l'arsenicho, o
kalcina, fosse entrata.
Capitolo
.xLiiij. Di coloro ai quali nocque la ferrugine del ferro o la
sua
limatura data a bere. Capitolo
.xLv. Di coloro ai quali fue dato a
bere
çimar, cioè
verderame. Capitolo
.xLvj. Di coloro ai quali fue
dato a bere molto allume o vetriuolo. Capitolo
.xLvij. Di coloro ai
quali fosse dato a bere
totomalgli o altre velenose erbe. Capitolo
.xLviij. Di coloro ke
bevero l'
eleboro biancho, e la noce vomicha, e 'l
condisi o
archaitha. Capitolo
.xLviiij. Di coloro ke
bevero l'
eleboro
nero. Capitolo
.L. Di coloro ai quali fue dato a bere l'euforbio.
Capitolo. Ai quali fue dato a bere il
mezeron. Capitolo
.Lj. Del
mellioramento de le medicine ke ffanno uscire, nel quale si nomina le
loro virtudi e la quantità ke ssi ne dee dare loro. Capitolo
.Lij. De
l'exempro da comporre le medicine.
[L. VIII, Incipit]Qui comincia l'ottavo tractato, overo l'ottavo libro coll'aiuto di Dio.
L. VIII, cap. 1 rubr.
Capitolo primo. De le somme e de le
agreghationi di
medichare i veleni e i morsi de' velenosi animali e a guardarsi
schalteritamente da lloro.
L. VIII, cap. 1Colui il quale àe alcuno cibo o alcuno nodrimento a
ssospetto,
conviene ke 'l cibo nel quale è troppa dolceza, o troppa
acetositade, e
a la perfine ciò ke àe superhabundante e forte, in niuna maniera
manuchi, imperciò ke le medicine
perniciose e mortali e velenose in
niuna maniera si possono mescolare, se non a cotali nodrimenti e a
cotali cibi kente detti sono. E se 'l cibo àe reo olore, sì ssi dee lasciare
stare e nom prendere.
E se alcuno teme ke alcuno veleno li sia dato, sì dee pilliare
continuamente alcuna de le medicine ke l'
operatione del veleno suole
torre o indebolire, s'elli la puote bere ançi k'eli prenda il veleno; le
quali medicine noi nomineremo e conteremo ne la fine di questo
tractato. E s'elli adviene cosa ke, ançi k'elli abbia preso quelle kotali
medicine contra il veleno, pilgli il veleno o li sia dato, si conviene ke,
incontanente k'elli avrà cominciato a ssentire mutamento in sé e
ambascia e riscaldamento o altra cosa, sì li si dea a bere acqua
tiepida con olio de sisamo, de le quali due cose tanto bea infino ke 'l
ventre ne sia ben pieno e poi li si dee dire che
vomischa. E se tu vedi
ch'elli è pigro a reddere e non redde sì tosto, cuoci l'aneto ne l'acqua,
a la quale acqua tu mescola mèle e
baurach (cioè salsume) o sale. E
quando tu l'avrai facto redere molte volte,
attendi se ne le parti di
sotto del ventre elli senta arsura o cocimento. E s'elli aviene ke così
sia,
fagli cura o
ssopposta e faglile mettere di sotto o tu lli fae fare
cristere sì che escha. E s'elli aviene cosa ch'elli senta ai predetti
accidenti (o predetti mutamenti) ne lo stomacho, sì li si dee dare
medicina tale che, quando elli l'avrae presa o bevuta, elli escha a
ssella; e mellio è che tu faccie l'uno e l'altro insieme. E s'elli aviene
cosa ke dipo queste cose lo 'mfermo si riposi e non senta neente de le
predette cose e de' predetti accidenti, è utile cosa e buona; e se non,
considera ke accidenti e chenti novitadi à in sé in alcuna parte del
corpo:
stimulamento o talliamento e
corrodimento, e s'elli à
bollimento e sudore e rosseza del volto, et enfiamento di vene, e
angoscia, e sete, e
puço di boccha, e
gialleza d'occhi, e
congelatione e
raffredamento, e
leçençi, e stupore (cioè
sciabordimento), e
subbeth (cioè vollia di dormire), o k'elli apaia i· llui
alcuna de le cose somillianti a le predette cose, et elli ancora comincia
a pegiorare, e a cui aviene spesse volte sincope, cioè tramortimento e
disolutione di virtude, imperciò ke lli acidenti ke noi nominamo
primieramente sono accidenti di veleni
kaldi e
corrosivi.
E i secondi accidenti ke noi abiamo contati aguale da
ssezo sono
accidenti di veleni ke con tucta la sua substantia e tucta sua natura si
truovano contradi a la complexione delli homini. E s'elli aviene cosa
ke tu lli truovi i primai accidenti, da' a bere a lo 'nfermo acqua co la
neve, e
sanith coll'acqua co la neve, e col çuchero, e acqua rosata,
lacte, e bituro, e olio di mandorle, imperciò ke questo cotale
medicamento rompe l'acuitade del veleno e
riprime e spengne il suo
mordicamento. E quando noi ci saremo aveduti e intenduti i secondi
accidenti, sì lli dae a bere l'acqua co la neve, e 'l
sanith coll'acqua e co
la neve, e col zuchero, e olio rosato, e
falli prendere trocisci di
camphora, e
konfortalo k'elli bea olio rosato raffreddato.
E ancora atendi in quale luogho del corpo elli senta magiore
infiammamento e magiore arsura, al quale luogo tu
sopraponi
impiastro facto di
lenti
raffredate in acqua di neve; il quale empiastro
tue
rinovellerai tante volte mutando infino ke il luogho per lo troppo
grande freddo diventi stupido e adormentato, e poi li da'
psillio, e
lacte di vaccha del quale il bituro sia stato tratto, e 'l sugo de'
fructi
freddi. Nel quale infermo se tu vedrai sengni di repletione, sì lli fa'
scemare sangue, e s'elli è stiticho, sì li dae medicina da ffare uscire di
sotto e poi li da'
a manichare cose ke abbiano a rafreddare e a
spegnere.
E se vedrai le
terçe significationi, sì dae a lo 'nfermo
agli, e
senape, e de la medicina che ssi fae de l'asa, e
fagli bere vino vecchio,
forte, e potente, e puro, e no 'l lasciare dormire, ma
fagli
sofferire
sete, e stropiccia il suo corpo, e riscalda il capo e 'l pecto kol panno
caldo.
E quando le quarte significationi
aparranno, soccorri
incontenente, imperciò ke queste significationi de' veleni sono pigiori
di tucte l'altre, sì come quelle ke più tosto danno la morte. Dunque li
dae tue incontanente triaca di vipere, o mitridato, e
dàlli a bere vino, e
'l conforta col sugho de la carne e co le cose odorifere, e fàllo sedere
in luogho ventoso e freddo, il quale tu dei vestire co le camisce molto
sottili, bagnate e molli prima nell'acqua rosata, ne la quale sieno
infonduti e messi in molle
sandali rossi. E 'l luogo k'è ne la boccha
dello stomacho si conviene stropiciare e fàllo rigitare e starnutire
alcune volte. E s'elli è molto debole, soffia vento ne la sua boccha, o
tu vi fa' entrare il vento per forza
ventolando. Al quale s'elli aviene
spesse volte tramortimento e sincope forte, e la luce delli occhi
s'
appiati sì che non si vegha e 'l polso e l'alito e a la perfine pervengha
a
grandissima deboleça, e s'elli sopraviene piccolo sudore e freddo,
sança dotta elli ne morrae.
E se la
punctura e 'l morso delli animali velenosi non si sae cui si
sia, né di chente animale, incontanente, poi ke lo 'nfermo avrae
sentito il morso, quella parte k'è di sopra al morso si dee leghare e il
luogho si dee
sughare, e ventosa (cioè
koppecta) molto ardente o con
scarificatione vi si dee porre. E sopra il luogho infermo si dee porre
impiastro di polli fenduti per mezo tucti caldi caldi. E poi che lo
'nfermo sentirà che 'l dolore sia andato via e ch'elli nom passa dentro
nel profondo del corpo già v'è buona sperança. E se così non è,
sì vi si pongha suso empiastro facto di sterco di colombo, e di
mentastro, e di
çolfo, e d'orina, e vi si pongha suso di questo
empiastro, il quale riceva:
di castorio, serapino, asa,
solfo, sterco di colombo, mentastro,
pulegio cervino, di tucti per iguali parti; e di pece e d'olio vecchio
tanto ke basti a llor
conficiere; e di tucte queste cose conquassate e
peste nel mortaio, tanto k'elle sieno bene mescolate e fate una cosa,
se ne facia empiastro. E se
conciofossecosaké lo 'nfermo avesse
innançi freddeza nel membro per lo ponimento di questo impiastro e
senta rimedio, sì lo studia di medicare ko le cose calde, e 'l contradio
ko le cose fredde.
E s'elli è pervenuto a quello ke llo 'nfermo nel luogo del morso
elli senta alcuno delli accidenti ke noi abbiamo nominati, sì ssi
medichi e
guerischa co le medicine ke noi
kontammo ivi. Per la qual
cosa e' conviene ke neuno non giuochi ko ll'animale ke non
konosce
e che non si metta cosa im boccha k'elli non conoscha, né 'l suo
corpo non si faccia stropiciare con essa; e le finestre si chiudano de le
case ove questi cotali animali usano e ove huomo n'àe paura. E
guardisi sì come noi diremo poscia, apresso se Dio
piacerà.
De la discriptione del
medicamento e de la medicina.
Descriptione del medichamento de l'asa, la quale vale ai veleni
freddi e a le punture e percosse di scorpioni e ai morsi de la rutela, e
ancora è di grande
giovamento a le 'nfertadi fredde.
Recipe:
foglie di ruta seccha, costo, mentastro seccho,
piretro,
cordumeni, di tutti iguali parti, e de l'asa quanto è la quarta parte di
tucte queste cose, e tanto mèle ke basti; e la dose, cioè la quantitade
ke sse ne pillia, sia a la grandeza d'una avellana, il meno e 'l più, infino
a la grandeza d'una
noce.
Medicamento di noci e di fichi, il quale tucti modi de' veleni e
de' velenosi animali contradice ke non nocciano.
Recipe: noci scorticate e nette de le due scorçe parti una, sale
grandinoso, cioè fatto come gragnuola,
foglie di ruta di ciascuna ana
la sexta parte d'una parte e de' fichi bianchi tanti che ssieno assai ad
mescolare le predette cose. De le quali cose, quando fieno mescolate,
sì sse ne facia
palloctole a
somilliança di noci e ssi manuchino, le quali
cominci a usare
kiumque à paura di perire e di
morire di veleno, e
ne pigli dinançi al suo cibo, impercioe ke questo è il
medicamento e
medicina ke manda fuori il veleno.
Triacha di terra
sigillata, la quale è provata, imperciò ke sse
alcuna persona la berà ke abbia preso veleno, non finerà di rigitare
infino k'elli avrae vomito tucto il veleno.
Recipe: terra
sigillata, orbache per iguali parti e si pestino, e si
giungano com bituro di vaccha, e conficiano col mèle, e si
riponghano;
medicamento del quale dinançi al cibo, nel quale huomo
àe mala sospectione, dinançi di lui o dipo llui alquanto se ne pigli, o
quando e' sopravenisse alcuno reo accidente, imperò ke sse alcuno
avelenato la pillierà, il farà reddere.
E se non avrà preso veleno, in
neuna maniera il farà reddere.
Per la quale cosa tanto chom'elli
rigiterà, si converae pilliare e ssi converrà bere. E poi si convengono
atendere le significationi ke apaiono e si dee fare il medichamento co
le medicine ke noi abbiamo dette.
Medicamento, il qual è
medicamento
nobile, il quale se alcuna
persona l'usa assiduamente e
continuamente, a cui poscia si dea cosa
o spetia alcuna
pernitiosa e mortale, no li nocerà. E con tucto questo
conforta l'apetito del cibo e dae vollia di mangiare, e conmuove, e dà
vollia d'avere a ffare con femina, e fa bello colore, e tollie i rei
pensieri ke avengono per la collera nera, e tollie le
fabulationi e 'l
soperchio favellamento ke viene dall'anima, e tollie la malagevoleza
de l'
orinare, e giova a l'anticha menagione e fluxo di ventre, e 'l
vedere e tucti li altri sensi e sentimenti
sottillia.
Recipe:
mirre, zafferano orientale, agarico, gengiovo, cennamo,
di ciascuno ana dr
. .x.; incenso,
mace,
spicanardi,
nasturço, squinanto,
eleboro,
xillobalsamo,
sticados,
siseleos, costo dolce, galbano,
terebentina, pepe lungho, castorio,
ypoquistidos,
storace liquida,
oppoponaco, folio, di tutti ana dr
. .viij.; cassia ligna, pepe nero, pepe
bianco, meliloto, polio,
scorgione, dauco,
opobalsamo, carpobalsamo;
del
medicamento del sugho del
deblio
indayco ana dr
. .vij.; spica
celtica, armoniacho, mastice,
gummo
arabico, seme di finocchio, rose
secche,
olixantri,
cordumeni, gentiana romana,
pulegio cervino, di
tucti ana dr
. .v.; anici, men,
acasie, faufel,
ypericon,
inquinis stinci,
cioè de la 'nguinaia de lo
stinco, di tucti ana dr
. .iij.;
assari, serapino,
ana dr
. .iij.; oppio dr
. .ij. e
1/2; e
conficiansi in questa maniera:
le
gomme si metano in molle in vino vecchio e nel mortaio si pestino e
menino tanto ke
ramollischano, e poi si conficiano kol mèle
dispumato.
E di questo cotale medichamento quanto è una avellana,
o poco più o pocho meno, si dee dare. E quando sopraverrà alcuno
accidente, e fie mestiere di bere questa medicina i· lluogho di triacha,
sì sse ne bea quanto è una noce.
De
fusione de la triacha ke ssi truova nel mitridato e riceve et
entra.
Recipe: de l'uve passe monde dr
. .iiij., terbentina dr
. .xxiiij.;
mirra, squinanto ana dr
. .xij.; cennamo,
deblio,
blaccha
bisanza, spica
celtica,
silocassia, meliloto,
cipero,
orbache ana dr
. .iij.; calamo
aromaticho dr
. .viiij.; çafferano orientale, aspalto ana dr
. .ij. 1/2.
Conficiansi in questa maniera: quelle cose ke ssi possono
mollifichare
si mettano in vino vecchio e vi si risolvano e disfacciano tanto ke
diventino liquidi; e tucte l'altre cose trite, e
cribellate, e stacciate, si
giungano
conn esse, e col mèle
dispumato
confette e mescolate si
riponghano.
E questo è la
somma del
medicamento de' veleni, i quali
l'uhomo non conosce, e quelli che ssi possono sapere per li loro
segni, sì come noi diremo, sì ssi medichino e
gueriscano ko le lor
propie medicine.
L. VIII, cap. 2 rubr.Capitolo secondo. Del morso de la vipera.
L. VIII, cap. 2Quando la vipera avrae morso alcuna persona, il luogho k'è di
sopra al morso de la vipera sì si dee leghare
fortissimamente. E se il
morso fie in picolo membro, e 'l morso fie grave de le vipere ke ssi
cognoscono d'essere pessime, de' quali non s'à sperança di potere
scampare, incontanente il membro di sotto a la leghatura si tagli. E se
la vipera non sia cotale, a lo 'nfermo incontanente si dea triacha fatta
de le vipere, imperò che nnoi infino al nostro tempo non abbiamo
trovato medicina che potesse meglio guerire da' morsi de le vipere e
propiamente quella k'è ricente. E se questa triaca non è presente, sì
ssi deano de la triaca del mitridato e i trocisci de l'
herbo.
E questa è la descriptione de' trocisci de l'
herbo.
Recipe: del seme, de l'
andacoke,
aristorlogia rotunda, pigamo,
farina de
herbo ana. E di queste cose trite e coll'aceto mescolate si
faciano trocisci de' quali si deano il peso d'uno aureo kon una on
. di
vino vecchio; e la virtude di questa medicina è vicina all'operazione
de la magiore triaca in questo capitolo. O si dea allo 'nfermo il peso
di duo aurei d'asa con una onc
. di vino; e manuchi molte volte biturio
di vaccha, e mèle, e cibi
untuosi, e molti
agli, e noci, e bea vino
vecchio. E li si aparechi cibi fatti di noci e d'
agli e dipo quello cotale
manichare si bea vino forte e potente e vecchio. E al luogho ov'è il
morso vi si tengha la
copetta con
scarificatione e vi si facia e pongha
lo 'mpiastro ke noi dicemo nel capitolo delli
ulceri. E le luoghora ke
ssono intorno a la putrefatione s'
epithimino di bolo
armenicho e co
le
lenti
scortichate e co l'aceto del vino. E lo 'nfermo si scemi sangue.
E poi si considera quale de le due cose li faccia magior paura, cioè a
ssapere li accidenti ke avengono a lluogho ov'è il morso, o lli acidenti
ke avengono a tucto 'l corpo, imperciò ke ss'elli avenghono sincope o
tramortimento, e cadimento, e sudore freddo, allora la
tua
sollicitudine e 'l tuo studio sia più a contrastare a questi acidenti ke
alli acidenti ke ssono nel luogho ov'è il morso. Per la qual cosa il
luogo ove è il morso non si dee medicare se non con quelle medicine
ke ssolamente atraghono. E da ke tutti questi accidenti fieno andati
via, e fieno tutti levati, e non si avrà paura de lo 'mfermo se non del
luogho del morso, cioè a ssapere ke non vi si faciano rei
ulceragioni e
putrefatione, allora né triacha, né vino, né medicine
kalde non si
dieno a lo 'nfermo, ma certo elli si de' scemare sangue, e la sua vita e
'l suo
regimento dee essere tale che rafreddi, e il luogho si dee
medicare col
medicamento e co le medicine kom che ssi medicano i
pessimi
ulceri, e si dee ancora talliare e
ardere del tucto in tucto
quando elli è mestiere, cioè a ssapere quando tu vedrai la
putrefactione passare di luogho a lluogho. E di quelle cose ke ssono
propie ai morsi de le vipere sì è che i
kancri (o granchi) arostiti si
dieno molte volte a lo 'nfermo.
Et
eccho l'ultima triacha, per la quale grande setta di questi
fisichi e medici à testimoniato ke al morso de le vipere vale quanto la
grande e la magior triacha; la cui discriptione è questa.
Recipe: anisi dr
. .x., pepe dr
. .iij.,
aristorlogia rotunda, castoro
ana dr
. .ij. e
1/2, e si conficiano kol careno, de la quale si dea a bere
quanto è grande una noce. E quelli k'è morso da la vipera, o quelli
k'avrà bevuto il napello, si dee guardare k'elli non dorma quello die.
Triacha de le vipere et ella è la magiore triacha.
Recipe: de' trocisci de le vipere il peso di
.xxiiij. aurei e de'
trocisci
squillitichi il peso di
.xlviij. aurey, de' trocisci
andarakardi o
andaracharo aurey
.24., pepe nero, pepe lungho ana aurey
.xxiiij.,
oppio, cennamomo, rose rosse trite, seme di rapa salvaticha,
scorgione,
ghiagiuolo, agarico, sugo di requilitia, balsamo puro ana a
peso di
.xij. aurey, mirra, gruogho orientale, seme di radici
cimquefollio, mentastro montano, prassio (cioè marobio),
ollisatro,
sticados arabicho, costo amaro, pepe bianco,
pulegio cervino,
oncenso, squinanto, fiore di
terebentina,
kassia lignea nigra, spico
d'India, polio ana dr
. .vj. aurey,
storace liquida, seme d'appio,
sermontano,
nasturcio di Babillonia, ameos, calamandrea,
camepiteos,
ypoquistides, spiga celtica, follio d'India, gentiana romana, seme di
finochio, terra
sigillata,
colcathar, amomo,
nasturço bianco, acoro,
karpobalsamo,
ypericon, valeriana,
gummo
arabico,
cordumoni, anisi,
acacie, serapino ana
.iiij., aurey; dauco, galbano, aspalto, oppoponaco,
centaura minore,
aristorlogia rotunda,
kastoro ana aurey
.ij.; mèle
dispumato libre
.x.; vino bene olliente e kiaro e puro libre
.iij.; l'oppio
e la mirra, e l'
epoquistidos, e 'l serapino, e 'l sugo de la requilitia, e la
storace liquida, e l'acacia, e l'oppoponaco si prendano e si pestino, e
si metano nel mortaio kon um poco di mèle dispumato, e si
muovano e menino tanto ke diventino molli, e poi s'infondano e si
bangnino kol vino, e tre die si lascino stare in uno vasello invetriato.
E poscia lo spico, e 'l cennamomo, e 'l
gruogo, e la cassia lignea, e 'l
nasturçio, e 'l castorio, e 'l folio, e la terra
sigillata, e 'l
cocathar, e
l'aspalto, e l'amomo, tutte queste cose trite nel mortaio si mescolino e
s'infondano e imbagnino kol vino tanto k'elle si mescolino, e apresso
il mèle, e 'l
gummo
arabico, e la terbentina, e 'l galbano, e 'l balsamo
si prendano e si metano ne la
caza, e tanto si menino ke ssieno bene
mescolate e, quando fieno kosì aparechiate e conce, sì ssi agiungano
all'altre medicine ke ssono nel mortaio. E quanto tucte queste cose
fieno insieme, sì ssi pestino e si menino tanto ke ssieno ben
mescolate, e apresso quello k'è fatto di queste cose sì ssi
ripongha in
uno bossolo di stangno o d'ariento sì grande ke possa tenere questa
medicina ne le due parti di lui, acciò ke questo cotale bossolo, o
vasello, non sia pieno, la cui boccha si leghi molto bene kon uno
chuoio, e ogne die si scuopra una volta e si lasci stare così scoperto
per una hora. E di questa cotale medicina non si pigli fiore se non
dipo i sei mesi.
Trocisci de le vipere.
Prendasi le vipere femine le quali si
congnoscono a questo:
imperciò k'elle ànno più denti di due, imperciò ke i maschi non ànno
se non due denti solamente. De le quali si pillino tanto solamente
quelle ke
aprociano a kolore rosso, e ke tosto si muovono e menano
il capo e muovono spesso, e che ssono di buono essere, e ke ànno li
occhi rossi e i chapi ànno lati, il
culo e 'l forame de le quali si truova
presso de la coda, le quali si
kolliono ne la primavera, cioè nel mezo
de la primavera. E quelle ke ssi truovano ne' rivagi de l'acque del
mare, e nell'isole del mare, e ne' laghi, e ne' luoghi che ssono vicini
all'acque salse, in neuna maniera non si prendano. E quando elle
fieno prese, incontanente si tallii di loro i
capi e de le loro code
quatro
dita. E s'elli aviene kosa ke, dapoi ch'elle fieno così talliate, elle
si muovano e si
dibatano e di loro escha molto sangue, sì ssono
dimestiche e buone. E s'elli aviene il contrario a questo, in neuna
maniera non si debbono porre ne la medicina e poscia si prendano i
loro cuoi e si gettino via. E quello ch'è nei loro ventri se ne tragha
fuori e si gitti via e il rimanente si lavi coll'acqua dolce e si netti e,
talliati per peçi, ne la
kaldaia netta coll'acqua e col sale e co l'aneto si
cuocha tanto ke la carne si divida dall'ossa, e poi si gittino via l'ossa, e
la
cocitura si coli da la carne. E 'l fuocho kon che si
cuokono sì ssia
forte, il quale si faccia di
carboni di quercia e la charne si
spriema
acciò ke nn'escha fuori l'omore ke v'è dentro. E apresso si prenda
quella cotale carne a peso, a la quale si mescoli la quarta parte de'
tortellis, le quali
tortelle abbiano poco di
fermento, ançi sieno vicine e
prociane a pane açimo e ke non abbiano in sé fiore d'
acetositade, cioè
ke non sieno fior acetose e si disecchino molto bene e si pestino, e si
mollino um poco d'una picola quantitade di brodetto o de la
cocitura.
De le quali, quando molte volte fieno peste e mescolate, molto bene
sì sse ne informino trocisci sottili. E quelli che lli farà e li
conficerà sì
abbia le mani e le
dita unte di balsamo, i quali elli disecchi all'ombra,
risolvendogli e volgendogli ogne hora. I quali quando si
disecchano
debbono essere in vasello seccho e asciutto, il quale non sia fiore
omoroso. E quando elli fieno bene secchi, sì ssi
riponghano in uno
vasello invetriato, o di vetro.
Trocisci
squillitichi.
La cipolla la qual è chiamata squilla nel tempo ke ssi miete il
grano si pigli. Le quali
cipolle non sieno molto grandi né molto
piccole e, coperte di pasta, si mettano nel
forno e si lascino arostire.
E quando la pasta di ch'elle fuorono
coperte fie arostita, sì ssi
traghano del
forno e la
pasta si gitti via, e quello ch'è apicchato a la
pasta e ke è dentro sì ssi prenda, a la quale, quanto è la metade di lei,
si
giungha de la farina de l'
herbo ben trito e bene staciato si mescoli
.
E quando fieno così mescolati, sì ssi pestino e si mescolino, e
alquante volte si bagnino col vino
tamto ke ssieno bene mescolate e
se ne formino i trocisci, i quali, ançi ke ll'informi, si ungha le sue mani
coll'olio rosato e informi i trocisci, e faccia sì come noi abbiamo
detto, e li
ripongha in uno vasello di vetro.
Trocisci
andaracharon.
Recipe:
darsaham o
darsesesahan,
kalamo aromaticho, costo,
silobalsamo, assaro, polio, amomo, mastice, e del fiore de la cocula
biancha, valeriana ana peso di
.v. aurey; e di fiore di squinanto il peso
di
.xx. aurei;
laudesem,
xillocassia, cinnamomo ana
.xx. aurei;
spigho
de India, folio, ana aurey
.xvj.; mirra aurey
.xxiiij.;
gruogo orientale
aurei
.xij.; e tucte queste cose si pestino e si
stacino e con vino
olliente si conficiano, de le quali cose s'informino i trocisci e si
secchino nell'ombra (o all'ombra).
Provamento de la triacha.
A un
pollo o a uno kane si dea um pocho di napello, o una
vipera si faccia andare e conmuovere contra lui la quale il morde, ne
la boccha del quale si metta incontanente um poco di triacha e sia
guardato koll'aiuto di Dio sança alcuno perillio. O li si dea a bere la
schamonea, a la quale, poi ch'elli comincerae a uscire, sì li si dea la
triacha a la quantitade d'una avellana e
ristringasi il ventre. E
somilliantemente fa a colui k'è à grande vomito. E de le sue magiori
utilitadi ke ella àe sì è k'ella guerisce e guarda sança male quelli che
sono morsi da le vipere e dai veleni mortali e ke giova a la lebrosia e
malatia e a molte altre cose fa rimedio sança queste.
L. VIII, cap. 3 rubr.Capitolo .iij. De le punture de li scorpioni.
L. VIII, cap. 3Di quelle cose ke giovano a le punture delli scorpioni sì è: bere il
peso d'uno aureo de le radici secche de la
koloquintida kon acqua o
kon vino, o il peso d'uno aureo del
medicamento de l'
asa kon una
on
. di vino, o
istrignere il luogho k'è sopra la
puntura e
'mbroncarlo
koll'olio di been, e acqua calda e col
sambacino, nel quale kastorio et
euforbio fossero
stropiciati e
freghati, ungnere o freghare e
strupiciare con esso il luogho fortemente.
Triacha che giova molto a le punture delli scorpioni.
Recipe: de le scorçe de le radici,
kappari, assenzo, nabathi,
aristologia rotunda, gençiana per iguali parti. E di questo si dea a bere
a la volta dr
. .iij., imperciò ke n'è buona e convenevole.
Triacha
diatesseron la quale a le punture delli scorpioni e ai
veleni mortali delli altri
reptili, cioè di serpi e di somillianti animali,
giova et è vicina in bontade a la grande triacha.
Recipe: gentiana,
aristorlogia,
orbache d'
alloro, mirra per iguali
parti, e queste cose confette col mèle si
riponghano nel vasello. E di
questa medicina, quando fie mestiere, sì ssi bea da uno aureo infino a
due ' mmezo kon una oncia di vino vecchio.
Triacha ke a le punture delli scorpioni giova.
Recipe: genciana,
aristologia, mirra, costo, castorio, ruta,
mentastro seccho, piretro, gengiovo, pepe,
neella, asa, di tucti per
iguali parti e si conficiano col mèle e se ne dea infino a la quantitade
d'una noce kol vino.
E s'elli aviene cosa ke tu non abbia alcuna de le predette
medicine, sì li dae a pilliare vino vecchio e
agli, e ancora fae di loro
impiastro e pôllo in sul luogho, e riscalda il luogho assiduamente kol
fuoco e co le medicine calde ke tu
potrai avere. E quando tue
avrai
data la triacha e 'l dolore fia sedato e menomato, se lla febbre
sopraviene il
seguente die, bem per tempo scema sangue a lo
'nfermo, e dàgli acqua d'orço e cibi che ssieno molto humidi, e studia
ne la sua guardia k'elli non cagia in infertade a cura e comando ke
ogne huomo si guardi di manicare l'appio k'è ne' luoghi ove sono
molti scorpioni, e ke l'huomo non giacia in quelli cotali luoghi.
L. VIII, cap. 4 rubr.Capitolo quarto. De le punture de' saraceti, o albateren, cioè
scorpioni piccioli.
L. VIII, cap. 4Questi cotali scorpioni sono molto piccoli i quali
tranano la
coda depo lloro dietro e sono ne la terra di
Coz, cioè così è kiamata,
gli abitatori de la quale terra
trovareno optima triacha, la quale è
kiamata triaca
exercituale, la cui descriptione è questa.
Triacha
exercituale.
Recipe: de le scorçe de'
cappari, de la coloquintida, absenço
romano,
aristologia rotunda,
herba la quale è kiamata (ne la lingua de'
Caldey)
hezez, o
anezez,
troximel seccha e di tucte queste cose, fatto
polvere sottile, si deano dr
. .ij.
E ancora quello che i medici usano nel
medicamento di questo
male sì è ke elli danno a colui ch'è punto da lo scorpione de la
troximul
salvatica seccha, tanto quanto si puote tenere con una mano;
e che danno a mangiare pome (mele) acetose e ke
sanith de mèle
danno coll'acqua fredda o kol
juleph. E s'elli aviene cosa ke molto
caldo i·
sopravengha, dàgli a bere acqua d'orço. E s'elli sente dolore di
corpo kon
incendimento e chalore grande,
dàlli a bere olio rosato con
acqua d'orço e cederni o
çuccha, e dàgli lacte acetoso, e nel luogho de
la
puntura sì ssi pongha la coppetta, e incontanente si sughi il luogho,
e ancora s'arda, e
arrostischa e
abrusci, e vi si pongano suso medicine
caldissime.
E acora non si dee avere neghiença nel medichamento di queste
punture, avengha che il dolore ke i· lloro si sente sia debile, imperciò
ke in queste punture non aviene e non si sente gran dolore nel
cominciamento, ma dipo un die o di più dì si
sseguitano pessimi
accidenti, imperciò ke la lingua s'
empie d'apostemi; e ancora aviene
loro ke elli pisciano sangue, e sincopi e
tramortiscimento, e triemito
del cuore. E s'elli aviene cosa che 'l ventre di colui k'è punto sia
stretto, cioè sia stitico, sì lli si faccia cristere del sugho de la bietola, o di
sale, e d'olio violato. E s'elli aviene cosa k'elli avengha grande
anghoscia, sì li si dea el sugho de le melegrane acetose o de altre
mele
acetose, e olio rosato, e l'acqua de l'orço, e latte novellamente munto.
E s'egli aviene cosa che lo 'nfermo pisci il sangue, primieramente li
scema sangue e poi li dae a bere de le medicine ke ssono a cciò
nominate, e dàgli a bere brodetto di grassi polli. E s'elli aviene cosa ke
la lingua sia piena d'apostemi, sì si tagli la vena k'è sotto la lingua e si
faccia
gargharismo del sugho de l'endivia e del siroppo acetoso. E se
il triemito del cuore aviene forte,
sanith di mele kol sciroppo de le
mele e
llacte acetoso koi trocisci di camphora dae a lo 'nfermo.
E queste medicine, o somillianti a queste, usino i medici quando
elli volliono guerire i morsi de
jarares. E la triaca
exercituale non si
pone qui per altra cosa se nom per la fama k'è apo 'l
vulgho, cioè apo
lle genti
volgari, cioè k'ella giovi a le punture delli scorpioni.
La triacha che è buona ai morsi de
jararet.
Recipe:
trosimel
salvatica secca, e de le
foglie de le mele acetose,
e del coriandro seccho, di tucti per iguali parti; e se ne bea quanto se
ne puote pilliare colla boccha a tre volte.
E s'elli aviene cosa che nel luogho del morso sia corrosione e
manicamento, sì ssi medichi col medichamento acuto e le parti che
ssono intorno sì ssi
epithimino col bolo
armenicho, o kol forte aceto,
e colli altri medicamenti che ssono ne le medicine de' pessimi
ulceri e
ke
corrodono, ke noi abiamo nominati, si medichi e si
guerischa.
L. VIII, cap. 5 rubr.Capitolo quinto de l'ottavo libro di Rasis. Del morso e
puntura de la rutela e ragnolo.
L. VIII, cap. 5La rutela è uno animale il quale è assomilliato a picolo
ragnatelo,
il quale è kiamato
phylphit, il quale suole chaciare e prendere le
mosche. Ma il
siphen
assomillia il grande
ragnolo ke àe lunghi i piedi.
E de le
rutele sono molte spezie. La spezie
egiptiacha, cioè
d'Egipto, si giudica e dice la pigiore. E di loro sono alcune ke pocho
nocciono. E del mordimento di quella ch'è rossa, seguitano queste
cose, cioè forte dolore e
dureza di potere uscire. Ma del morso di
quella ch'è verde avengono queste cose, cioè picola dollia e piçicore
ke tosto va via. E del morso di quella che pare dipinta sì sse ne
seguitano questi accidenti: forte dollia e nel corpo fredeza o triemito.
E del morso de la rutela biancha piccolo dolore e piççicore e
movimento di corpo aviene. Ma del morso di quella ch'àe in sul
dosso ligne lucenti, ' è kiamata stellata, piccolo dolore, e piççicore, o
stupore (cioè adormentamento), e relaxamento del corpo si
seguitano. E del morso di quella ch'è gialla, e che àe sopra ssé
velli o peli, aviene forte dolore, e tremito, e sudore, et enfiamento
di corpo, e forse se ne seguita la morte.
E 'l
medicamento di tutti è comune: ke l'infermi si lascino
tanto stare ne l'acqua calda, infino ke 'l duolo si parta da lloro,
inperciò ke quando elli vi fieno seduti per una hora, sì ssi
riposeranno, e quando elli usciranno dell'acqua, il duolo sì tornerà. E
conciosiacosaché tue vedrai andare via il dolore poi che ffia uscito
dell'acqua, molla e
imbiuta il luogho coll'acqua ne la quale molto sale
sia distructo e disfacto. E ' lor corpi riscalda e quello medesimo die
i· fa entrare nel bagno e
fagli sudare. E poscia per alquanti die poni in
sul luogho empiastro ke ssi fae de la cennere del legno del
fico e de la
calcina e de'
chali
ennaffiati con acqua calda, e a lo 'nfermo dae la
quantitade di due on
. di
neella.
E quelli il quale
siptu avrae morso (cioè quella cotale
generatione), sì ssi
guerischa e medichi con tale
medicamento kente è
questo.
Altra triaca utile al morso de la rutela et è provata.
Recipe: de la
neella dr
. .x., dauco, comino ana dr
. .v.; seme di
badel e galle di cipresso ana dr
. .iij.;
spigho de India e de orbache,
aristorlogia rotunda,
karpobalsamo, cennamomo, gentiana, seme
anadacoche e seme d'appio ana dr
. .ij. conficiansi col mèle e se ne dea
a la grandeza d'una noce kon vino vecchio. E a questo giova ancora
ke le medicine delli scorpioni si deano. E alcuni sono che del morso
de'
ragnoli si seguitano pessimi accidenti, cioè ke l'estremitadi si
raffredino, e la cotenna abbia
oripilatione e ss'
aricti, e la vergha si
dirizi e si distenda, e 'l ventre si riempia di ventositade, e a
costoro si
debbono dare ruta seccha o ciperi kon vino, e fare ke elli sudino nel
bagno, e pocho di vino li si dee dare tutto quel die a poccho a pocho.
L. VIII, cap. 6 rubr.Capitolo .vj. De la puntura de l'api, e de le vespe, e de le
formiche ke volano.
L. VIII, cap. 6A le punture de l'api e de le vespe e de le
formiche ke volano è
da sovenire e fare linire, e ungnere, e
imbiutare il luogho ko ll'aceto
o col fangho una volta ko ll'uno e una volta coll'altro, or questo or
quello. E panno molle coll'aceto e raffredato sopra la neve porrevi
suso giova molto et empiastro de la lenticula dell'acqua delli stagni
molle coll'aceto
postavi suso. E gittarvi l'acqua de la neve
tamto
infino ke il luogo paia stupido e adormentato giova molto. E dipo
questo s'ungha il luogho co la
kamphora e coll'acqua rosa, la qual
cosa non si conviene fare pur una volta ma molte volte. E ' panni
molli ne l'acqua rosa e ne la neve vi si debono porre suso, e del
ghiaccio vi si dee porre suso um poco ogne die, e de l'acqua co la
neve ancora molta bea tanta ke ssi ne satii, e poscia si dee stropiciare
co le
foglie del bassilico o col moscado. E s'elli aviene cosa ke ssia
forte chalore nel corpo, sì li si dea a bere
robbo del sugo de l'uve
acerbe e pisilio. E lo 'nfermo manuchi de' cederni, e de l'endivia, e de
le lattughe, e acqua, e aceto; e ancor bea sciroppo molto acetoso kol
sugho de le melegrane e col
psillio e il luogho si sughi incontanente
molte volte. E ancora con questo giova ke vi si pongha suso cederni,
o porcellana, o
kavolo, o
sopravivolo, o
ssomillianti cose a queste. E
ancora giova k'elli si dea a bere del coriandro seccho
pulverizato,
tanto quanto tra tre volte si puote pilliare con mano, kol çuchero e
coll'acqua fredda e il luogo si strupicci co le
foglie de l'
embuch.
L. VIII, cap. 7 rubr.
Capitolo
.vij. Del morso de lo
scellone e de la rutela e loro
cura.
L. VIII, cap. 7Quando questi cotali animali avranno dato alcuno morso, sì
llasciano i denti nel luogho del morso, per la quale chosa la doglia vi
dura infino a tanto ke i denti si ne traggano fuori. E di quelle cose
ch'elli ne fanno uscire è ke 'l luogho coll'olio e co la cennere
mescolati insieme si strupicci tanto ke nn'escano e poi koll'olio e co la
cennere mescolati insieme si faccia impiastro e vi si pongha suso. E
se la dollia persevera, sì ssi sughi il luogho, e poi si metta lo 'nfermo
ne l'acqua calda, e li si dea de la triacha facta al morso de la rutela.
L. VIII, cap. 8 rubr.Capitolo .viij. Di quelle cose ke cacciano li animali
velenosi.
L. VIII, cap. 8
E i serpenti, e i lupi, e l'altre fiere rapaci, i gatti, e i furoni, e '
paroni (o paoni), e ' grui, e lli ucelli ke stanno in acqua e simillianti a
questi, la natura de' quali è di prendere li animali velenosi, sì ssi
debbono tenere e nodrire ne le torri, e ne' luoghi molto paurosi e
puzolenti si debono nodrire i cerbi e i furoni, e si dee tenere il
milliore ismeraldo ke avere si puote, e una lampana luminosa accesa
di lungi dal letto si dee porre, presso de la quale sieno homini i quali
dormano a parte or l'uno or l'altro, i quali giaciano i· su' letti e
leghano e favellino non troppo alto né troppo
basso, imperciò ke lli
animali velenosi andranno a lloro.
E di quelle cose ke più che altre cose mandano via le serpi e i
serpenti è ke ssi
soffumichi la chasa ko le
korna del cerbio, e
coll'unghie de la capra, e com capelli humani; e se
hasseth se ssi
mette ne' forami de' serpenti e de le serpi, e se la chasa si
soffumicha
kon galbano, i serpenti
fugerano. E se la chasa si innaffia koll'acqua
ne la quale sale armoniacho fie disoluto, in niuna maniera
v'
aproceranno i serpenti, né le serpi. E si di questa cotale acqua si
gitterà ne' loro fori, sì morranno. E se alcuno terrae tanto il sale
armoniacho k'elli si disolva e
disfacia in boccha, e poscia sputi ne la
bocha del serpente, si morrà il serpente. E se la casa fia affumicata de
la pece e del
bidellio, si fugiranno i serpenti e le serpi. E
somilliantemente fugono se ssi
sufumicha col serapino. E i panni unti
d'
alkitran, o messi ne' lor forami, sì ssi scacciano. E se il luogho fia
coperto d'
abruotino, o ove l'
abruotino fie gittato, si fugiranno via le
serpi e i serpenti, per la qual cosa se ne fia molto nell'
orto, sì ssi
fugeranno via da quello cotale
orto le serpi e i serpenti. E il
fummo
ke ssi fae de le legne de' meligrani
kaccia e fa fugire le serpi e molti
delli altri animali velenosi. E ancora la senape trita e messa ne' fori de
le serpi e de' serpenti sì li chaccia via.
E ancora si dice ke sse la vipera riguarda il buon ismeraldo, sì le
distrughono incontanente li occhi in capo. E se molti scorpioni si
pilliano, e di loro si
soffumicha la chasa, tutti li altri
fughono. E se la
chasa fie
affumichata col
çolfo o koll'unghia dell'
asino e col galbano
si fugiranno tucti. E se ll'olio fia sparto nei loro fori, nonn usciranno
fuori poscia, ançi fugiranno. E ancora le
formiche
manuchano li
scorpioni e propiamente quelli ke ssono kiamati
gerareth. E se l'asa si
disolve e disfae ne l'acqua, e poscia di quella cotale acqua s'innaffia il
luogho, non vi
aproceranno. E se le
penne s'
unghano d'
alkitrano o
d'asa resoluta e distrutta e
disfacta, e poi si n'
unghano i fori intorno
intorno, non usciranno poscia fuori.
E quando l'erba k'è kiamata
kancar, o
karcar, si metterà nel
letto, sì sse ne stupefanno le pulci e inebriano e nom possono saltare
né muoversi, ançi si prendono molto
legiermente e
agevolmente. E se
la casa s'innaffia de l'acqua ove sia stato in molle o cotto assenzo, e
neella, e coloquintida, si morranno. E alcuni dicono ke in miluogho
de la casa si faccia una
fossa,
kavando ne la quale um poco di sangue
si metta, e tucte le pulci si raguneranno in quella
fossa. E se la casa
s'
inaffi de l'acqua ne la quale sia cotta
assech, tucte le pulci si
distrugeranno e similliantemente l'acqua ne la quale fia cotta la ruta
o l'oleander l'uccide tucte.
E se le
cimici e li
scarabeci s'
affumicano del fumo de la pallia, o
del fumo de lo sterco de la vaccha, e molto magiormente del
fummo
de
gizeci e de la
neella, fugono. E se 'l volto si
fummica de le
predette, e avengha che poscia mordano, non fanno molto grande
nocimento né molto grande male. E la
saphea unta d'olio e posta
presso al luogho giova molto a cciò. E alcuni dicono ke 'l fumo de le
follie del
dulp
fugge e chaccia via li
scharabei, o
scharafagi ke ssieno.
E l'acqua ove fia cotto l'
eleboro nero uccide le
mosche, e
l'odore de l'
orpimento giallo e ancora il
fummicamento coll'oncenso
l'uccide. E ' topi s'uccidono se d'aghetta, cioè litargiro, e
schallia di
ferro insieme mescolato, e gallia di metallo e d'
eleboro (ciascuno di
questi preso e con farina insieme mescolato) ne manuchino, si
fugiranno o morranno. E ancora fugono se la casa s'
affumica co
l'
azegi. E alcuni dicono ke sse alcuno
topo si
chastra e si lasci andare,
tucti li altri topi ucciderà e li chaccia del tutto in tucto. E se ssi pillia
uno de' topi e si leghi con una sottile corda in miluogho de la chasa,
tucti li altri fugiranno e non
uscirano de' suoi forami. E dicono
ancora: se alcuno pillia um
topo e li scortichi il volto (o la faccia),
tucti li altri fugiranno.
E somilliantemente le
formiche si cacciano ko l'
achitran, e col
solfo, e co l'asa, o se di queste cose si mette, ne' loro fori si
morranno. E se di queste cose si fae epithima intorno ai lor fori, non
usciranno fuori.
E de le
bellule dicono ke il
leone
fugge per lo gallo bianco e per
lo
topo e nom aproxima al luogho ove è la squilla, cioè la cipolla
squilla. E dicono ancora ke il leopardo àe paura de l'albore k'è
kiamato arbore del leopardo, e che il
leone à paura del legno k'è
kiamato
sirdan (o
simdami). E le
ghatte salvatiche e
dalac
fughono
per lo sugho de la ruta e de le mandorle amare. E la cipolla ch'è
kiamata squilla e lo
eleboro uccide i
porci e i chani, o i leoni, e molte
dell'altre
bellule. E l'erba k'è kiamata
strangulatore del leopardo tosto
uccide il leopardo.
L. VIII, cap. 9 rubr.Capitolo nono. De' morsi de' cani non rabbiosi, e de' furoni,
e delli huomini.
L. VIII, cap. 9Il morso di questi cotali animali allora è pigiore quando elli sono
affamati; ai morsi de' quali giova molto di porrevi suso cipolle e sale e
mèle per uno die e per una notte. E poscia si medichino ko
l'unguento nero, il quale si dae di cera e di sevo, e di pece, e di
galbano, imperciò ke questo unguento giova più di tucti li altri
unguenti ai morsi e ai fori che ssi fanno coll'unghie delli ucelli; e a
tucte le fedite colle quali è
atritione, cioè
schiaciamento e tagliamento,
molto giova. E ancora è utile cosa ke 'l morso del cane o de l'huomo
si medichi dal
cominciamento kon questo unguento. E a' morsi de'
leoni o de' leopardi, nel
cominciamento si debbono porre suso le
medicine che ànno ' atrarre, e poscia si debbono lavare quelli cotali
luoghi koll'aceto e col sale, e a la perfine si debbono medichare e
guerire con questo unguento, se Dio
piacerà.
L. VIII, cap. 10 rubr.Capitolo .x. De' morsi del chane rabbioso e del suo
conoscimento.
L. VIII, cap. 10Il nocimento ke si seguita del morso di questo cotale cane è
giudicato grandissimo e
fortissimo, per lo quale ci conviene
amplificare e
multiplicare le parole, nominando i
segnali perké questo
cotale cane si possa conoscere, acciò ke tosto l'uhuomo il fugga o
tosto homo l'uccida. E noi diciamo ke questo cotal cane più spesse
volte à rabbia ne' dì caniculari e alcuna volta di verno. Il quale, poi
che fie arrabbiato, nom puote manichare e s'elli vede l'acqua, sì lla
fugge, e alcuna volta muore da ch'elli riguarda l'acqua, e apre la sua
boccha e mette fuora la lingua, e de la sua boccha gocciola
spuma e
dal suo naso
humiditade. E li occhi suoi sono rossi come sangue. E 'l
capo suo inchina e porta chino a terra. E la coda bassa giuso e la
porta intra le coscie. E per diversi movimenti vacilla (cioè in qua
e in là) kome fa l'uhomo ebbro. E a tucti vae ch'elli vede e li vuole
tucti mordere, e ancora non conosce il suo signore, e li altri cani il
fugono tucti. Elli non latra se nom poco e quando elli
chomincia a
llatrare, la sua boce s'ode
raucha (o rocha). Onde quando huomo
vedrà questi cotali segni nel cane, incontanente si dee uccidere, o
alcuno di questi segni, il dee huomo fugire. E quello cotale il quale
questo cotale cane morderà, no estima nel
cominciamento ke 'l suo
morso li faccia molto di male, ma i rei accidenti vegnono um poco
poscia, imperciò k'elli àe paura de l'acqua e no la bee, ançi quando elli
la vede triema e àe angoscia e forse li si fiede
spasmo e si muore. E
ancora quando elli à rabbia, et elli pillia, e morde, e
strigne li homini,
sì nne avengono que' cotali accidenti chente avengono del
morso del
cane rabioso. Onde da che tu conoscerai il chane ch'avrae
morso
questo cotale huomo, cioè che in lui sia alcuno di questi cotali segni,
tosto soccorri e metti e poni la ventosa sul morso, e molto
lunghamente si
sughi e
scarifichisi, e molto sangue se ne traggha.
E
poscia vi metti suso
medichamenti ke ll'
alarghino e che non lascino
saldare, sì come sono bietola, erucha e cipolle confette com bituro, e
vi si dee porre suso unguento che abbia a ulcerare il luogho, il quale si
fa del liquore delli anacardi e del loro sugho e de la pece, sì come nel
suo capitolo è nominato. E se tu
ardi e cuoci il luogho dal
cominciamento, sì tosto kom'è morso, molto giova.
E tu non dei porre
le copette e fare le
coture, se non sono infino a tre dì tanto
solamente. E poi ch'elli fieno passati i tre dì, non dare faticha a lo
'nfermo, imperciò ke 'l veleno è già sparto per tucto il corpo, ma in
neuna maniera non lasciare saldare la fedita, en tale maniera che lo
'mpiastro de l'erucha e del biturio, o alcuno di quelli ke noi dicemo, vi
poni suso. E poscia
torna al perfetto medichamento ançi ch'elli
cominci ad avere paura de l'acqua, imperciò ke poi ch'elli comincerà
ad avere paura de l'acqua nom potrà scampare. E di questi cotali
sono ke per una septimana ànno paura dell'acqua, e ssono altri ke
dipo le due septimane, e altri dipo i
.xL. die, e alcuni che ssono dipo i
sei
mesi n'ànno paura. E questi sono quelli che ànno la complexione
humidissima.
Nel chominciamento del
medicamento
komincia ad muoverlo e
a ffarlo uscire e andare a
ssella colle pillole o ko le medicine nominate
nel capitolo de la meninconia. E li guarda e reggi con quello
medesimo
regimento de' cibi e del bagno, e da' loro a bere lacte e
vino temperato co l'acqua, e studia ch'elli ingrassino sì come noi
diremo nel capitolo de la malinconia. E fa più ampia e più largha la
loro vita e la loro dieta colla charne e col vino e co le
confetioni facte
col mèle. E ancora
komanda loro k'elli dormano assai e si rallegrino e
stieno in riposo. E a la perfine li guarda e reggi kol
reggimento di
coloro ke ànno maninconia e da' loro a bere la medicina di Galieno.
Descriptione del medichamento di Galieno.
Piglia i granchi del fiume e
mettilgli ne la
pentola nel
forno, e
tanto s'ardano che ssi possono pestare, e guarda che egli nom si
pestino troppo. De' quali, poi che tue li avrai pesti, prendi
.x. parti e
d'incenso parte
.j., e poscia li pesta insieme, e poscia li riponi. E
quando elli fia mestiere, ogne die ne dae a lo 'nfermo dr
. .ij. la mattina
e due altre la sera con acqua fredda a bere que' dì che tu non dai
medicina da muovere lo corpo e da ffare uscire, e questo dee fare
molti dì. E Galieno raconta k'elli non vide anche neuno ke elli avesse
paura dell'acqua, poi ch'elli avesse preso alcuna cosa di questa
medicina e, poi ch'elli fia spaventato de l'acqua, apena ke elli
guerischa giamai. E avengha ke noi abbiamo i· llui picola speranza, sì
'l mettiamo in un luogho freddo, e
ingengna kome ne la sua boccha
tu metti lungho chonio, e poscia il luogho scuro ke no la possa
vedere, sì li vi metti de l'acqua. E 'l suo capo e tucto il corpo infondi
d'olio rosato e inmolla, e poi li fa' cristere d'acqua d'orzo, e d'olio
rosato, e di sugho di
psillio, e di porcellana, e di somillianti cose acciò
ke la sua sete si mitichi.
E noi in un ospedale avemo uno il quale il cane rabbioso avea
morso, il quale la notte latrava. E
vidi k'elli non avea paura de
l'acqua ke lli si dava, ançi la domandava e si lamentava de la forte
sete. E quando noi i· davamo l'acqua elli l'abominava e diceva che vi
era entro ordura e fracidume. E quando noi il domandavamo ke
ordura vi fosse entro, diceva ke vi era entro budella di cani e di
ghatte
e ci preghava che noi li portassimo altra acqua. E quando noi li
avemo portata altra acqua, diceva kome dinançi e litigava con noi, e si
crucciava, e preghavaci e adoravaci per Dio ke noi i· dessimo buona
acqua e netta.
E i medici d'una setta dissero ke se cane morderà
alcuno, et elli non saprà s'elli è arabiato o nno, prenda uno pezo di
pane e intingalo nel sangue ke uscì del morso e
dealo a un altro cane.
E s'elli avien cosa k'elli il manuchi, sappiate ke 'l chane ke 'l morse
non era rabbioso; e s'egli aviene cosa che egli no 'l manuchi, sappi
ch'egli era rabbioso. O elli faccia uno impiastro di noci trite e
ponghalvi suso, e lasci stare suso per una notte, e poi si gitti al gallo o
a la gallina molto affamata, imperciò che se 'l cane fu
arabioso no 'l
beccherà, e s'elli il beccha la matina si troverà morto. Onde quando
questi segni
apparanno, allotta incontanente la fedita e 'l morso si dee
allarghare kolla medicina ke noi nominamo, e se nom sì 'l dobbiamo
kiudere e saldare.
L. VIII, cap. 11 rubr.Capitolo .xj. Di coloro ai quali i nappelli si danno.
L. VIII, cap. 11Quelli ai quali i
napelli si danno incorrono in vertigine, cioè ke
pare ke 'l mondo si giri intorno, e 'l male maestro, e poscia l'assalisce
spesse volte sincope, cioè tramortimento, la cui lingua apostema e li
ochi
strabuçano in fuori, questo kotale dee homo fare rigittare spesse
volte, poi k'elli avrae molte volte acqua cotidianamente ove il seme de
le rape fia cotto kol biturio vecchio de la vaccha. E poi ch'elli avrà
redduto molte volte, sì li si dea a bere de le ghiandi cotte nel vino
.iiij.
on., kol peso d'una meza dr
. di lattovario moschato, overo
elatterio,
al quale la sexta parte d'una dr
. di buono moschado sia mescolato. E
di quelle cose che valliono molto a cciò sono biturio di vaccha, e
pietra gialla o rossa, k'è kiamata
bezar puro e
provato, e triaca de le
vipere e metridato. Dumque conviene ke, sse s'à alcuna di queste
quatro medicine, ke tosto se soccorra
dandoline un poco a bere, e se
non se n'à alguna di queste, questo che noi abiamo detto si faccia
molte volte. E ancora una de le sette delli antichi disse che la radice
del
cappare in tal maniera opera contra il napello, sì come
baçahar
del nappello, imperciò ch'elli è forte veleno e perciò pochi ne
scampano.
L. VIII, cap. 12 rubr.Capitolo .xij. Di coloro a chui son dati a bere i cornispice.
L. VIII, cap. 12Se a alcuno sono dati a bere i cornispice, sì piscia il sangue e la
sua lingua diviene nera. E più de le volte àe li accidenti de pleuresi,
cioè di colui ch'àe apostema nel costado. E questo cotale si dee
reggere in questa maniera: il peso d'uno aureo di kamphora kon una
on. d'acqua rosa li si dee dare e sul fegato si dee porre impiastro di
camphora trita kon acqua rosa. E poscia li si dee dare sanith d'orço
con molta acqua di neve, e julep, e ne' suoi cibi si debbono
moltiplicare le melegrane acetose, e bea lacte acetoso, e acqua d'orço,
e sugho di cavolo.
L. VIII, cap. 13 rubr.Capitolo .xiij. Di coloro ai quali fue dato a bere il fiele del
leopardo.
L. VIII, cap. 13Quelli al quale fu dato a bere il fiele del leopardo sì rrigitta
subitamente la collera verde e sente ne la sua bocca subitamente
sapore d'aloe. E se alcuno odora il fiato de la sua boccha, sì sentirae
quello medesimo e i suoi occhi sono gialli. E a costui dumque si dee
dare di questa medicina ke ssi fa in questa maniera.
Recipe: bolo armenicho, orbache d'alloro ana parte .j.; e del
coagolo, zeçel parti .iiij.; e de le foglie de la ruta e de la mirra ana
parte meza.
L. VIII, cap. 14 rubr.Capitolo .xiiij. Di coloro ai quali fue dato a bere il fiele de
la vipera.
L. VIII, cap. 14Quelli al quale fue dato a bere il fiele de la vipera, apena potrà
scampare se nom per la virtude di Dio. Ma tuctavia s'elli è alcuna
cosa ke acciò vaglia sì è la triacha de le vipere e 'l mitridato, se tosto li
è socorso. E di quelle cose ke a cciò molto valliono sì è beazar se
trovare si puote, e se trovare non si puote sì ssi dea biturio kaldo a
bere più volte, ora um poco ora un altro, o lo 'nfermo si facia reddere
kon esso. E se sincopi li aviene, cioè ke elli tramortischa spesse volte,
sì li si metta im boccha vino e brodo di carne di polli com piccola
quantitade di lattovario moscadato e del suo moscado.
L. VIII, cap. 15 rubr.Capitolo .xv. Di coloro ai quali fue data la coda del cerbio.
L. VIII, cap. 15Se ad alcuno è data la sumitade de la coda del cerbio, sì ssi dee
fare reddere molte volte kon molto biturio vecchio e mèle um poco
facto tiepido e acqua rosa e a ffare questa cosa si conviene tornare
molte volte. E poscia si prendano avellane e festughi e bezahar, e di
tucte queste cose mescolate quanto è una avellana se ne dea il die a
quatro stagioni.
L. VIII, cap. 16 rubr.Capitolo .xvj. Di coloro ai quali fue dato a bere il sudore
de le bestie.
L. VIII, cap. 16Quelli al quale fia dato a bere il sudore de le bestie, sì lli si
apostema il volto e diviene verde e sì ll'assalisce la squinantia, cioè
quello male, e del suo corpo li esce molto sudore e puzolente, per la
qual cosa fàllo reddere molte volte coll'acqua e col mèle e poscia sì li
si debbono dare spesse volte rob di mosto e olio rosato. Al quale si
dee dare ancora meza dr. d'aristologia e altretanto di salegemmo
koll'acqua tiepida, e de la triaca de la terra sugellata li si dea altressì.
L. VIII, cap. 17 rubr.
Capitolo
.xvij. Di coloro ai quali fue dato a bere le
canterelle.
L. VIII, cap. 17Quelli al quale furono date le canterelle e la stafisagria a bere, sì
lo
assarrae dolore nel pettignone e punzione, e tagliamento, e ardore
de l'orina, e piscerae il sangue con gran dolore, e alcuna volta
nom puote pisciare, e poscia esce con sangue e mordimento e con
forte arsura, e la
vergella e 'l
petignone e quelle parti che ssono
intorno si
appostemano, e sì lli avenghono arsura di boccha, e di gola,
e forte
infiamamento, e febbre, e si turba il suo intellecto e 'l suo
senno. Dunque conviene ke ssi faccia rigittare molte volte ko l'acqua
kalda e co l'olio del sisamo e co l'acqua ne la quale fichi sieno cotti. E
poscia li si dea a bere lacte molte volte in grande quantitade e
mucillagine di
psillio con
julep, o li si dea sugho di porcellane, e
manuchi molto biturio ricente,
e li si faccia cristere coll'acqua de
l'orço e del malvavischio, e coll'albume de l'huovo e olio rosato li si
gitti ne la
vergella per la
sc
irigna, cioè con quello strumento, e li si
dea bere brodetto di polli grassi e olio di mandorle, e segha ne la
tina da bagnare, e mangi fichi, e bea l'acqua ne la quale i fichi sieno
cotti con sciroppo violato, e bea spesse volte il latte tanto quanto elli
sentirà
puntura e talliamento.
E se ne le parti del pettignone elli
sentirà grande gravezza o s'elli è gram tempo ke no li fu scemato
sangue, sì lli si scemi sangue de la vena del feghato, e quello ke noi
dicemo ke ssi doveva mettere per la vergha nom per
mettitoio ma per
istrumento, il quale è somilliante a la somitade d'una picola rosa ove
sta il seme poi ke ' fiori ne sono levati, e sia una penna
forata fatta di
cera, la quale abbia di sotto il foro onde si dee mettere.
L. VIII, cap. 18 rubr.Capitolo .xviij. Di coloro ai quali fue dato a bere l'oppio.
L. VIII, cap. 18Colui al quale sarà dato l'oppio a bere, a cui ne sia dato dr
. .ij. o
più, sì ll'uccidrà. E a quelli che 'l berà sì aviene
subbeth, cioè vollia di
dormire, e alcuna volta nel suo corpo aviene molto piççicore, e ne la
sua boccha si sente odore d'oppio, e quando in tucto il suo corpo si
fregha, si sente alcuna volta l'odore de l'oppio.
E alcuna volta li occhi
diventano profondi, e la lingua si ritiene, e 'l colore dell'unghie sì
diventa
fusco, e lli esce sudore freddo di
dosso, e a la perfine, quando
elli apressa a la morte, si spasma, cioè si contrae: e 'l più proprio
segno di questa infertade sì è
subbeth e odore d'oppio ch'escie del
corpo.
E nel
medicamento di questa infertade comincia a ffare
regittare
ko l'
ydromelle e ko l'aneto e 'l sale indo, sì come noi dicemo. E
poscia li si faccia cristere kolle cose de cristere ke noi dicemo nel
capitolo de la
colica, cioè del male del fianco. E
dièlisi spesse volte a
bere vino vecchio e puro nel quale cennamo
polverizato sia posto e si
faccia starnutire kol condisi e col
chastorio; e 'l suo capo si
rischaldi
ko
imbrocatione, cioè gittandovi suso da alti
decotione di cose ke 'l
riscaldino. E ancora non si lasci dormire, al quale si dea tre volte il die
di questa triaca da la grandeza d'un'avellana infino a la grandeza d'una
noce, cioè secondo che lli acidenti fieno più forti o più deboli.
Triaca ke vale a colui al quale fu dato a bere l'oppio.
Recipe: castorio, asa, pepe, seme di
junepero, di tucti per iguali
parti. E
conficiansi col mèle de l'api, o li si dea a mangiare de
sagzena
e ancora i·
darai noci e
agli de le quali si faccia
polta condita kol bituro
crudo, e
daràli vino forte e puro nel quale sia posto cennamo, e
ugnerai tucto il suo capo d'olio di costo e di lillio
scaldati, e sempre
i·
darai a bere il castorio. E s'elli aviene cosa ke elli abbia grande
pizicore,
mettilo ne l'acqua calda. E a questo vale molto di bere aceto
fortissimo caldo.
L. VIII, cap. 19 rubr.Capitolo .xviiij. Di coloro ai quali fue dato a bere il
giusquiamo.
L. VIII, cap. 19A cui questo è dato sì lli avengono offuscatione e tenebrositade
del viso e stimulatione e fredeza de l'estremitadi e prostendimenti.
Questo cotale si dee fare rigittare, e poi li si dee fare cristere con
quelle cose ke noi dicemo, e poi li si dee dare a bere ogne hora vino
forte, e li si dee dare molte volte de la triacha fatta de le vipere, o de
la triaca che ssi fae contra l'oppio, al quale giova somilliantemente di
dare una dramma di pepe con una dr. di vino.
L. VIII, cap. 20 rubr.
Capitolo
.xx. Di coloro a kui fu dato la
mandragora.
L. VIII, cap. 20Quelli a cui fu questo dato primieramente, quando huomo l'àe
bevuta, sì emfia e apostema il suo volto, e poscia li aviene vertigine,
cioè ke pare ke ssi giri il mondo intorno, e inebriamento, e i suoi
occhi diventano rossi, e poi a la fine li aviene subbet forte tale ke 'l
vince. Questo kotale si dee fare rigittare e si dee cristerizare e in sul
capo li si dee porre de l'oxirodino, al quale si dea a bere aceto
fortissimo, nel quale sia messo aloe e assenzo. E poi ke il rossore del
volto e delli occhi fia andato via e 'l subet fie rimaso, sì li si dea
triacha contra l'oppio a bere col vino e vi si facciano tucte quelle cose
ke noi dicemo nel capitolo de l'oppio e com quelle cose si medichi.
L. VIII, cap. 21 rubr.Capitolo .xxj. Di coloro ai quali fue dato a bere le noci
chastaneole.
L. VIII, cap. 21Quelli al quale fia dato le noci
castaneole da tre dr
. infino a la
metade d'una on
. tanto solamente, sì ssi n'
ebbria fortemente; e se ne
fia data grande quantitade, si dae la morte, e questo cotale si dee
medicare kon quelle medesime cose kolle quali si medicha quelli che
prese la mandragora, ma tuctavia è mistieri ke elli mandi giuso biturio
caldo cotto e crudo, e le sue extremitadi si debbono mettere ne
l'acqua
kalda, e dêsi fare com'elli
rigitti molte volte, e poi si dee curare
con quelle cose ke noi dicemmo.
L. VIII, cap. 22 rubr.
Capitolo
.xxij. Di coloro a cui fu dato bere il
giusquiamo
bianco.
L. VIII, cap. 22
(+i) Quelli a cui fue dato i
semi de
jusquiami
albi.
(i-)
Quelli a cui fie dato questo a bbere, sì lli adviene forte
ebbrietade e relaxamento e
ramollamento de' membri, e la
spuma li
gociola e li cola de la boccha, e lli occhi
arossano; a questo cotale sì si
dee dunque soccorrere nel
cominciamento kol rigittare ko l'
ydromelle
nel quale e fichi e 'l
baurach sieno cotti e poscia li si dee dare lacte
ricentemente munto molte volte. E se questo basta, non fare più, e se
nom basta, sì ssi dee medicare kolle medicine de l'oppio.
L. VIII, cap. 23 rubr.Capitolo .xxiij. Di coloro a chui fue dato a bere le foglie
del coriandro.
L. VIII, cap. 23Quelli al quale fia dato le
foglie del coriandro verde secondo la
quantità d'una meza libra, o di lui ricente molto avrà mangiato, sì li
avengono forte vertigine e turbamenti d'intellecto, e poscia
subbet, e
poi in tucto 'l suo corpo si sente l'odore del coriandro, e la sua voce si
fa rauca. E primieramente si dee fare ke elli renda e poscia li si
debbono dare tuorla d'uova molli kom pepe e con sale, li si dee dare
brodetto di galline grasse, dipo 'l quale si de' dare vino forte e puro,
cioè finissimo vino, ben kiaro, a poco a poco. E se queste cose
nom bastano, sì li si dea vino con cennamo e com pepe.
L. VIII, cap. 24 rubr.Capitolo .xxiiij. Di coloro a chui fu dato a bere il sugo del
psillio.
L. VIII, cap. 24Quelli al quale fu dato a bere il sugo de le follie del psillio e bee
molto del suo sugo, sì lli avengono angoscia, pianto e cadimento di
polso, e strettura de l'alito, e kadimento di virtude, e sincopi. E quelli
ke 'l bee muore spesse volte. E a questo cotale si dee soccorrere e
dêsi fare k'elli rigitti koll'aceto, e co l'ydromelle caldo, e baurach, e
sale yndo, e poi li si debbono dare tuorla d'uhuova molli col sale e col
pepe, e asa si dee dare e vino puro e forte a bere.
L. VIII, cap. 25 rubr.Capitolo .xxv. De le speçie de' mortali funghi.
L. VIII, cap. 25Di questi cotali alcune male speçie si truovano e propiamente
funghi, e da questi si dee homo del tucto in tucto guardare se non
fieno
kolti in luoghi conosciuti, imperciò ke quelli cotali non fanno
quasi neuno nocimento. Ancora se ssono buoni, impertanto non si ne
conviene molto manichare. E di quelli ne' quali è
nereça, o verdeza, o
colore di paone, o dai quali viene reo odore, o quelli che nascono
presso de' fori dell'animali velenosi e non si sa se elli son buoni o rei,
o presso a arbori ke abiano male qualitadi, sì sse ne conviene
abstenere e guardare.
E di grande mangiare di funghi, avengha ke elli sieno buoni, sì
n'aviene
squinantia e male di fianco. E quando huomo manuca i rei,
sì n'aviene
stretteza de l'alito, e sincopi, e sudore freddo, e alcuna
volta si ne muoiono. E quando questo averrae, si dea a bere
incontanente
almury col sale, il quale si pone nel sale o chol sale indo,
e li si dea il sugho del
rafano kol
baurach, o sciroppo acetoso fatto di
mèle kon um pocho di
baurach; o il legno del ficho s'arda, e ne la sua
cennere si metta ne l'acqua e poscia si
coli, e de l'aqua si dea alcuna
cosa poi ke avrà rigittato ko l'
ydromele.
Al quale si dee dare
lactovario
diatriton
pyperon, o diacimino, e a poco a pocho si dee
prendere vino vecchio, puro e forte, cioè il milliore vino ke puoi
trovare
.
L. VIII, cap. 26 rubr.Capitolo .xxvj. Del sangue e del lacte il quale si raprende
ne lo stomaco.
L. VIII, cap. 26Quando il lacte novellamente munto si bee, molte volte si suole
prendere ne lo stomaco e magiormente se i· llui è
ispessezza e
grosseza, per la quale da ch'elli è preso avengono ne lo stomacho
sincopi, cioè tramortimento, e freddo sudore, e rigore, e alcuna volta
uccide se non si
soccorre. E di quelle cose ke a cciò valliono sì è ke
ssi soccorra e li si dea del
coagholo de la
lievre a peso d'uno aureo
kon una on
. di
fortissimo aceto, o ke ssi dea de l'asa a la grandeza
d'una
fava; o li si dea del latte del ficho
secchato la quantità d'una dr
.,
e si bea con um poco di
nasturzo, e con acqua calda si bea; o li si dea
il sugho del mentastro; o sciroppo acetoso facto di mèle, il quale sia
molto agro, li si
dea. E poi che il lacte per boccha per rigitare o di
sotto fie
mandato fuori, dàgli a bbere di quello
ydromelle koll'acqua
ne la quale l'appio sia cotto, e l'acqua calda li si dee dare a bere molte
volte. E in questi accidenti spesse volte adviene ke il lacte si prende
nello stomacho, kon questi medicamenti si dovrà
medikare. Ma sse 'l
sangue è congelato ne la vescica, sì ssi dovrà medichare kolle
medicine ko le quali la pietra si purgha.
L. VIII, cap. 27 rubr.Capitolo .xxvij. Delli arostiti ke ssi cuoprono sì che 'l
fummo non ne puote uscire.
L. VIII, cap. 27Se quello che ssi
arrostisce incontanente ke ssi lieva dal fuocho
si cuopre e s'avolge per molte
envolutioni o
involgimenti, ançi che 'l
fumo e 'l
vapore possa isfiatare per una hora, quando huomo l'avrà
mangiato, sì n'averrae fluxo e menagione di ventre, e vomito, e
accidenti kenti solliono avenire a coloro ke ànno il male del fiancho e
vollia di reddere, e forse alcuna volta uccide, e lo 'ntelletto alcuna
volta per uno die, o per due,
falla e viene meno. E poi apresso tucto
questo per sé va via e si diparte. E quelli al quale per kagione di
mangiare li arosti averrae tristitia e vertigine, e tu domanderai per lui e
fieti detto perké questo fia avenuto,
socorrilli incontanente e fàllo
reddere molte volte. E quando tue l'avrai purghato,
dàlli miva e
meisos, cioè quelli cotali
manichari, e vino bene olliente col sugho de
le mele cotogne e dell'altre mele. E s'elli aviene vomito e grande
menagione di ventre, sì 'l medicha colle medicine del male del
fiancho.
L. VIII, cap. 28 rubr.Capitolo .xxviij. Di coloro ke manucano i pesci freddi.
L. VIII, cap. 28Quando i pesci s'arostiscono e, raffredati, sieno stati i· lluogho
homoroso, e 'l seguente die si manuchino, pessimi accidenti vengono
kente solliono avenire a coloro ke manucano i mali funghi. Onde,
quando a costoro averrano questi cotali accidenti, sì li dee huomo
fare rigittare, e apresso si dee loro dare vino col pepe, e a la perfine si
deono medicare kon quelle cose ko le quali si medichano koloro ke
àno presi e manichati i rei funghi.
L. VIII, cap. 29 rubr.Capitolo .xxviiij. Di coloro k'avessero preso latte corrotto.
L. VIII, cap. 29Il lacte alcuna volta si convertisce i· mala qualitade. E da
l'acetositade ne la quale si suole spesse volte mutare, sì ssi trasmuta a
dispositione di putrefatione e di malignitade, del cui manicare forte
infertà collericha n'aviene, cioè che gitta di sotto e di sopra con
grande pena e con grande dollia di corpo. E se alcuno, per kagione
k'elli abbia manichato latte di reo odore, voglia di redere e vertigine e
dollia de la boccha de lo stomacho asalgano, incontanente si faccia
rigittare coll'idromele, e poi li si dea vino puro e triton piperon, e lo
stomacho s'imbrochi coll'olio de neriden.
L. VIII, cap. 30 rubr.Capitolo .xxx. De' noccioli muffati e corrotti, de' quali
viene reo odore e delli oli di reo odore.
L. VIII, cap. 30Se alcuno di questi noccioli fie corrotto per la muffa, del tucto
in tucto è reo, sì come sono noci, e noci d'India, e simillianti a questi,
sì come olio de le granella de kerva e di grisomule, humiliache, e di
pesche, imperciò ke tucte queste sono pessime e magiormente se
alcuno di questi cotali ne manicherae molto. E s'elli aviene cosa ke
quelli che ll'userà a manicare avrae mistiere di medichamento, sì ssi
pensi di fare reddere, e poi li si dea a bere rob d'uve acerbe, e di mele
matiane, e ribes, e simillianti a questi, e si nodrischa di cibi lievi ke
abbiano a ffare buono appetito e vollia e talento di mangiare.
L. VIII, cap. 31 rubr.Capitolo .xxxj. Di coloro a' quali fosse dato le rane del
lago o de' fiumi.
L. VIII, cap. 31Se ad alcuno queste cotali rane di laghi o di fiume fieno date, sì
lli averanno
ramollimento e
mollitie di tucto il corpo, e
tenebrositade
di colore, e ancora sì lli uscirà la sperma; e s'elli aviene ke la cosa
ingrossi, e i denti e i peli li chagiono, allotta si conviene fare ke
ll'infermi
rigittino molte volte tanto k'elli sieno ben netti. E quando
elli avranno redduto e fieno assai usciti, sì entrino nel bagno nel quale
elli stieno tanto ke 'l corpo si risolva bene in sudore. E poi si dieno
loro i lattovari, cioè
diacurcuma maiore e
dialaccha, ma se quello
i· mena a corruptione di complexione, sì ssi medichino kon quelle
cose ke ssono scripte nel suo capitolo.
L. VIII, cap. 32 rubr.Capitolo .xxxij. Di coloro ai quali fie dato la lievre del
mare.
L. VIII, cap. 32Quelli al quale fie dato la lievre di mare, sì lli averrae grande
dolore di stomaco, e solutione di ventre, e costrintione d'orina, e
stretteza d'alito, e asma, e sputo di sangue, e puzzolente sudore, e
molto vomito, il quale se cosa è k'elli non muoia, molto tosto sì
diventerà tisico, s'elli non è soccorso com buona medicina e
competente, e se né lli sono dati molte volte lacte e vino mescolati
insieme, o ciascuno per sé; ma dinançi a questo si conviene dare a
bere sugho di mele cotogne e sugho di foglie di malvavischio verde, e
'l secondo die, poi ke lli accidenti fieno menomati, pillole.
Recipe: scamonea, heleboro nero, agaricho, sugho di liquiritia e
dragaganti per iguali parti, de' quali confetti si dea al peso d'una dr.
col julep. E s'elli aviene cosa ke quello perducha a tossa e
sopravengna asma, prendasi il loro medicamento dal suo capitolo, ma
innançi si scemi sangue e si medichi co le medicine di coloro ch'è
apostema nel polmone.
L. VIII, cap. 33 rubr.Capitolo .xxxiij. Di coloro a cui fu dato il reo kastoro.
L. VIII, cap. 33
S'elli aviene cosa ke alcuni abiano molto mangiato del reo
kastoro e del pessimo avrà presa rea cosa, sì lli averranno accidenti di
calda frenesia, e forse ke costoro tosto morranno. E poi ke huomo li
avrà fatti reddere, sì dee prendere il sugho de l'erba acetosa o aceto di
vino, e lacte di vaccha acetoso, o elli dee prendere sugho di mele
acetoso, imperciò ke la propietade del sugho de le mele acetose sì è di
giovare a coloro ai quali fia dato il reo castorio. E ancora il lacte de
l'asina vale et è di grande eficacia a questo.
L. VIII, cap. 34 rubr.Capitolo .xxxiiij. Di coloro a cui fue dato la gomma de
la ruta.
L. VIII, cap. 34
(+i) Quelli al quale fia dato la gomma de la ruta.
(i-)
Di questo si aviene ne lo stomaco e ne la gola arsura molto
grande, e li ochi
strabuçano fuori, e 'l volto arossa, e nascono nel
corpo
sare, cioè quel male. Quel kotale si dee imprima fare reddere,
poscia li si dee dare a bere lacte, e biturio cotto e crudo, e olio di
sisamo, e si conviene prendere l'acqua de l'orço infino a tanto ke lli
accidenti fieno menomati, e poi si debono fare
gargarismi molte volte
di lacte e d'olio rosato
.
L. VIII, cap. 35 rubr.Capitolo .xxxv. Di coloro a chui fue dato bere
l'anachardo.
L. VIII, cap. 35
(+i) Quelli al quale fue dato l'anacardo.
(i-)
Questo kotale beveragio è pessimo e n'avengono acute infertadi,
e forse
alguesugues li aviene per ciò. Nel
cominciamento si debono
dare biturio cotto e crudo e olio de sisamo infino a tanto ke nel corpo
si sente alcuna cosa di mordicamento e ne la gola vada via. E poscia
bea acqua d'orço e latte di vaccha acetoso e odori olio violato, e 'l
capo s'
epitimi de le medicine che ssono nominate nel capitolo de
alguesesi, e bea la
mucillagine del
psillio col
julep e col sugho de le
melegrane, con quelle cose ke ànno a raffredare si debbono sempre
raffredare e
humentare. E di quelle cose ke, ko la propietade k'è
i· lloro, valliono contra l'anacardo sono le noci, le quali a cciò sono
utili.
L. VIII, cap. 36 rubr.Di coloro a chui fue dato a bere l'oleandro. Capitolo
.xxxvj.
L. VIII, cap. 36La propietade de l'
oleandro sì è d'uccidere li
asini, e li animali
dimestichi, e molti animali salvatichi, e lli huomini. E al suo
nocimento fa rimedio ke dipo 'l vomito si prenda
decotione di dateri
e di fieno greco. E 'l seme de l'
agnokasto, per la propietade e per la
virtude k'è i· llui, imperciò k'è per lo manicare di lui, se nel mangiare e
nel bere elli si dae, sì fa rimedio non solamente alli homini, ma alli
animali magiormente manda via il nocimento ke aviene da l'
oleandro,
ko la propietà k'elli àe e ch'è i· llui, imperciò ke per lo manichare
dell'
oleandro sì avenghono
imfiamento di ventre e tristitia
et
enfia
mamento. E se incontanente quando huomo l'avrae bevuto
huomo redda e 'l sugho de l'erbe
mucillaginose si dea, sì come del
malvavischio e de sisamo, sì fa rimedio. E a questo giova di fare
clistere col mèle e col
baurach primieramente, e poscia ko le
mucillagini e co le cose
unctuose. E sì aiutano a mangiare fichi, e
mèle, e çuchero, e rob di mosto, e tutte le cose dolci e
unctuose. E
del tutto in tucto si dee huomo guardare dall'acqua ne la quale elli
nasce, e i· neuno modo si dee bere se in lei non si raguna moltitudine
d'acque, la quale se per grande necessitade si
debbia prendere, co le
cose dolci, sì come
julep o simillianti cose, si dee mescolare.
L. VIII, cap. 37 rubr.Capitolo .xxxvij. Di coloro a cui fue dato a bere la
cipolla squilla.
L. VIII, cap. 37Quando alcuno avrà preso grande quantitade di squilla, sì ssi
fanno
ulceragioni ne le budella e ne le vene del fegato. Dumque
conciosiacosaké per lo suo beveragio pugnimento e talliamento
avengha, si conviene ke ssi dea lacte cotto koi
pezzi del ferro
rovente.
E la polvere de' sementi si dee dare bere, e dêsi nodrire co le tuorla
dell'uova, e si dee medichare koll'altre medicine ke ssono nominate
nel capitolo del
medicamento delli
ulceri de le budella.
L. VIII, cap. 38 rubr.
Capitolo
.xxxviij. Di coloro a chui fue dato bere il
seme de l'
orticha.
L. VIII, cap. 38Quelli ke avrae bevuto il seme de l'urticha per aventura
incorrerà quello accidente kente incorre quelli che avesse bevuto la
squilla. Dunque si dovrà medicare koi suoi medichamenti e forse
n'aviene tossa ke ffa male per questo, onde si conviene fare
medicamento de l'acqua de l'orço kol julep e de le medicine che ànno
a llenire la tossa e giovare.
L. VIII, cap. 39 rubr.Capitolo .xxxviiij. Di coloro a chui fu dato bere acqua di
neve.
L. VIII, cap. 39Per lo bere dell'acqua de la neve fredda, quando huomo ne
prende quando huomo è uscito del bagno, o dopo faticha, o a
digiuno, o quando huomo è molto pieno di cibo, forse aviene subita
dollia nel feghato, per la quale se perviene a malicia di complexione e
a idropisi. E quando quello che noi abbiamo detto aviene, si dee bere
vino forte e buono e possente e si dee abstenere per alquanti dì da'
cibi freddi, bevendo diversi vini: e sopra 'l feghato dee porre
impiastro caldo, il quale noi nominamo nel suo capitolo.
L. VIII, cap. 40 rubr.Capitolo .xL. Di coloro a chui fue dato bere il gesso.
L. VIII, cap. 40Nel bere del gesso forse aviene male di fianco molto forte, e
strangolamento de la gola, e seccheza di gola. Dunque a lo 'mfermo sì
si debbono dare acqua di mele o kose mucillaginose (cioè muschiose)
primieramente, e poscia di psilio dr. .iiij&., e di scamonea la terça parte
d'una dr. si dea col julep. E quando per questo lo 'nfermo fia mosso e
uscito, sì ssi conviene atendere se lli acidenti k'elli avea sono andati
via o menomati, imperciò ke allora fia utile; e se non sono sedati,
un'altra volta si dee muovere e fare uscire. E se perciò disenteria
avenisse, cioè scorticamento di budella, sì ssi medichi kol
medichamento della dissinteria.
L. VIII, cap. 41 rubr.
Capitolo
.xLj. Di coloro a' quali fue dato bere il litargiro.
L. VIII, cap. 41Nel bere del litargiro sì si seguita ritenimento d'urina e di sterco,
e graveza di lingua, e apostema del corpo, sì lli si dee dare la dicotione
de' datteri, e dell'aneto, e del nitro. E se
llievemente il vomito si fa e il
rigitare, sì ssi faccia un'altra volta. E se 'l vomito è picolo e lli acidenti
si faciano più forti, la schamonea si dee dare, sì come noi dicemo, a
bere. E quando l'opera del muovere fia ristata, sì ssi conviene dare
questo
medicamento ke noi diremo, la cui confettione:
recipe: seme d'appio e d'assenzo per iguali parti e si ne dea a
peso di due aurey kon una on
. di vino e con una on
. di dicotione
d'appio. E poi ke ll'orina fia provocata e 'l ventre fia vòto, cioè fie
uscito e mosso, sì sarae la santade
ristituita.
L. VIII, cap. 42 rubr.
Capitolo
.xLij. Di coloro a chui fue dato bere l'ariento
vivo.
L. VIII, cap. 42Io non extimo de l'ariento vivo, quando elli si bee sano, ke
grande nocimento si seguiti se non ne le budella e in ventre forte
dolore, poi ch'elli esce del corpo sì com'elli è, e magiormente se
l'huomo ke ll'avrà preso si muova. E io il diedi a bere a una scimia ke
io avea e non
vidi k'ella perciò avesse altro accidente se non quello
che io
dissi, la qual cosa io
kongnobbi perciò k'ella si torcea, e
dibatea, e
mordeasi il corpo co la boccha, e si tirava e traeva ko le
mani. Ma alcuni delli antichi dissero ke di lui aviene certo accidente
ke
sseguita del litargiro, cioè de l'aghetta, e ke lo 'mfermo di quelle
medesime medicine si dee medicare. E quando elli si mette
nell'orecchie, sì fa molto crudel nocimento. Ma quando elli è trito e
sotilliato sì è molto reo e mortale, imperciò ke elli fa conmuovere nel
corpo grande dolore, e grande
puntione, e uscita con sangue.
Medichi, dunque,
dandogli spesse volte de l'
ydromelle e
facendoli
spesse volte cristere kol
baurach, infino ad tanto ke alquante volte il
corpo si vòti, e li si deano a bere medicine
konvenienti ke ssono
buone ne la disinteria, sì come fichi cotti e
semi lievi, e
mucillagini, e
sevo di beccho o di capra, e si faccia cristere di queste cose e de le
somillianti che noi nominamo nel capitolo de la disinteria.
E di quello ke getta ne l'orecchie sì n'aviene
fortissimo dolore, e
perturbamento d'intellecto, e
spasmo, e pungnimento con grande
graveza di quella parte ove sia gittato e messo. Onde quelli che à
questo male si dee inchinare il capo a quella parte e, molte volte
tornato a alcuna cosa, salire e saltare sopra uno piede. E si dee fare
starnutire per força kol condisi, del quale elli dee tenere alcuna cosa
im boccha, e ne l'orecchie dee mettere l'olio sì caldo chome elli puote
sofferire e, quando fie raffredato, gittarlone fuori, e i· lluogho di
quello sì vi dee mettere dell'altro caldo. E lo 'nfermo dee
giacere
sopra quel lato, ma il capo non tengha sul piumaccio, ma più oltra il
tengha. E alcuna volta si fae uno
radio, cioè uno strumento di
piombo, e si mette nell'orecchie, e si muove e mena per l'orecchie; e
quando n'escie, sì li si truova intorno lui de l'ariento vivo appicchato
ke vi era. E poscia si dee forbire e stropiciare e metterlovi un'altra
volta, e questo si conviene fare molte volte. E forse alcuna volta
aviene de l'
ariento ke ssi mette ne l'orecchie non si seguita reo
accidente a colui di cui elli esce, e alcuna volta vi rimane dentro, e
alcuna cosa di lui ne
perviene al
bucino dell'orecchie, e vi si
appiccha,
e poscia n'avengono pessimi accidenti. E uno medico mi disse k'elli
vide uno a cui perciò n'avenne il male maestro e poscia l'
apoplepsia.
Et
ezufur e de
zincar, quando huomo li prende, n'avengono
quello ke aviene de l'ariento vivo spento, ma
cincar, o
zincar, è
pigiore, imperciò ke molti dicono ke di lui neuno non si scampa, il cui
medicamento è somilliante a quello de l'ariento vivo e de
l'
aurpimento.
L. VIII, cap. 43 rubr.Capitolo .xLii&[j&]. Di coloro che bevero la biaccha e del
suo nocimento e de la sua cura.
L. VIII, cap. 43
La lingua di colui ke beve la biaccha imbiancha, al quale viene
grande
singhiozzo e tossa, e i suoi membri si
mollificano e
ramolliscono. A costui si dee dare dicotione di fichi o
ydromelle kon
olio, e si faccia reddere, e molte volte li si dea a bere al peso d'uno
aureo del sugo dell'asenzo koll'
idromelle. La quale cosa tante volte si
facia infino ke ll'orina si
provochi. La quale cosa si conviene fare poi
ch'elli avrà preso la quarta parte d'una on
. di schamonea
koll'
idromelle. E poi che ll'orina fia provocata e li accidenti sederanno
e andranno via, e s'elli nom puote urinare, sì li si dee dare cosa da
ffare urinare, le quali cose sono nominate nel suo capitolo.
L. VIII, cap. 44 rubr.Capitolo .xLiii&[j&]. Di coloro ai quali fosse dato kalcina
insieme, o arsenico soblimato, o grasso di sapone, o ne la cui gola
polvere d'arsenico o calcina fosse entrata.
L. VIII, cap. 44Se ad alcuno fosse dato kalcina insieme o arsenico soblimato, o
grasso di sapone, o ne la cui gola de la polvere de l'arsenico o calcina
fosse entrata, di queste cose aviene ne le budella pugnimento e
ulceragioni. Dumque si conviene dare acqua calda kon julep molte
volte tanto che ssi lavi molto bene, e poscia li si dea l'acqua del riso o
de l'orço, o ssomilianti a queste ke giovano a le fedite de le budella,
de le quali cose si conviene altressì fare clistere. E se tossa aparisse, sì
ssi medichi co le cose lenitive ke amolliscono e puliscono.
L. VIII, cap. 45 rubr.
Capitolo
.xLv. Di coloro ai quali fue dato a bere la
fferrugine, o la limatura del ferro, e de la sua cura.
L. VIII, cap. 45Se ad alcuno fia data a bere la ferugine del ferro o la sua
limatura, a questi cotali aviene nel corpo forte dolore, e ne la boccha
seccheza e infiamento, e nel capo forte dolore. Ai quali conviene dare
lacte kon cose ke abbiano molto a ffare uscire, e poscia li si dea a bere
biturio cotto e crudo, tanto ke li accidenti e i sintomi sieno sedati e
andati via. E 'l capo si dee infondere e mollare koll'oxirodino e
coll'acqua rosa, imperciò ke li farà grande giovamento.
L. VIII, cap. 46 rubr.Capitolo .xLvj. Di coloro ai quali fue dato a bere çimar.
L. VIII, cap. 46
Se ad alcuno fia dato a bere
zimar, cioè
verderame, a questi
cotali aviene forte dolore e rigittamento, e ne le budella
ulceri e ne la
boccha seccheza e
scorticamento.
E questi si debono medicare
kome quelli che
bevero l'
aurpimento.
L. VIII, cap. 47 rubr.Capitolo .xLvij. Di coloro ai quali fue dato a bere allume
o vetriuolo.
L. VIII, cap. 47
Se alcuno avese bevuto molto allume o vetriuolo, di queste due
cose, si seguita tossa nocevole e seccha sì ch'ella mena altrui al
tisicho, onde si dee dare a lo 'nfermo lacte kon çucchero e
kom biturio
crudo, e questo è milliore di tutte l'altre medicine.
L. VIII, cap. 48 rubr.Capitolo .xLviij. Di coloro a cui fosse dato il totomallio.
L. VIII, cap. 48Tintimallio è ogne erba che àe il latte kaldo ke il corpo ulcera sì
come schamonea, e sabran, e astro, e letigia, e le somillianti a queste,
imperciò ke sse di questi molto si bea, sì ànno a uccidere, e se sse ne
prende temperatamente, sì ssono medicine. E il loro nocimento
comunemente lievano il lacte e 'l biturio crudo e cotto, imperciò ke
queste cose indeboliscono la loro forteza e operatione. E queste cose
date sì ssi convengono medicare li accidenti ke avengono a le loro
cagioni, imperciò ke di questi sono alcuni onde viene forte
menagione di corpo e grande. E alcune di loro sono de' quali
proviene l'orinare del sangue e vomito, e il loro medichamento si
conviene fare secondo ke noi ponemo nel capitolo del medicamento
de l'enfertadi singulari.
L. VIII, cap. 49 rubr.
Capitolo
.xLviii&[j&]. Di coloro ai quali fosse dato a bere
l'
eleboro biancho e la noce vomica e 'l condisi.
L. VIII, cap. 49Quelli al quale fosse dato l'
eleboro bianco, o la noce
vomicha, e
'l condisi, e
arkaytha, quando d'alcuno di questi si prende grande
quantitade, si provoca forte vomito e, forse, per la moltitudine delli
homori ke lle atraghono all'
isoffagho, si seguita
soffocamento, cioè
affoghano, perciò che quelli cotali homori volliono uscire fuori
subitamente, e forse per l'aventura ne proviene forte tramortimento.
E quando non si provocha il vomito, sì cagiono per quello tramortire
il polso e la virtude. E 'l tramortimento aviene spesse volte, e 'l
sudore freddo esce fuori, e se tosto non si socorre, sì sse ne seguita la
morte. E alcuna volta se ne seguiterà tramortimento e vomito di
lungho tempo e di grande quantitade, e
inanitione, e consumamento
del corpo tanto ke ne viene
spasmo e
contratione. Dumque quando il
primaio
sinthoma e accidente fie venuto a lo 'nfermo, sì ssi dee
cristerizare kolla
colloquintida e col sale, e alcuni homori si trarranno
giuso. E se 'l vomito verrae
grandemente e a pocho e a pocho kon
forte faticha e nociva, sì lli si dee dare spesse volte l'acqua tiepida, e
dêsi fare che ne pilgli molta tanto ke 'l vomito si faccia venire
soavemente. E quando avrae redduto, ancora li si dee dare, imperciò
ke allora lievemente si provocha il vomito, e spesse volte sarae la
trestitia più lieve e la vollia del reddere. E dipo queste cose si medichi
co le medicine della collericha infertade. E se spasmo sopraviene,
latte e bituro cotto si dee dare spesse volte, e 'l collo, e 'l petto, e le
ghambe, e le coscie, e le braccia si debbono freghare e stropicciare, e
vino molto inacquato si dee bere. E se lo spasmo si comincerà, sì ssi
dee mettere ne la tina de l'acqua calda, e de l'olio tiepido ke non sia di
calda virtude si dee ungnere. E si driçi in ungnere e stropicciare e
mollificare l'operatione del membro
spasmato, e a quello membro,
secondo che noi nominamo nel capitolo de lo spasmo, è da sovenire.
L. VIII, cap. 50 rubr.Capitolo .L. Di coloro ke bevero lo eloboro nero e del suo
nocimento e cura.
L. VIII, cap. 50Se alcuno homo avrae preso e bevuto molto dell'eleboro nero, sì
lli averrà fortissimo fluxo di ventre e movimento. Questa cotale
virtude si conviene indebolire dandolli del lacte, e farlo entrare ne
l'acqua fredda e gittandoline in sul capo lunghamente e per lungho
spatio di tempo; e li si debbono dare quelle cose ke ssi fanno del rob
de' fructi acetosi a costrignere il corpo.
L. VIII, cap. 51 rubr.Capitolo .Lj. Di coloro a chui fue dato a bere l'euforbio e del
suo nocimento e cura.
L. VIII, cap. 51
Se ad alcuno fie dato l'euforbio a bere, questa speçie fortemente
muove il corpo kon
rinfianmamento, e riscaldamento, e angoscia
grande, la cui força si dee debilitare col biturio kotto e
crudo, e poi li
si dee dare l'olio rosato. E quando i
sinthomi e li accidenti
kominceranno a menomare, il grano cotto kon molta acqua con
julep
e con acqua li si dee dare. E lo 'nfermo segha in acqua fredda e sughi
de l'acqua rosa, e spesse volte bea del sugho de le melegrane e
martiane ke ànno il sapore um poco acetoso.
L. VIII, cap. 52 rubr.Capitolo .Lij. Di coloro ai quali fue dato a bere il mezeron e
de la sua cura.
L. VIII, cap. 52
(+i) Choloro ai quali fue dato il
mezeron e ne presero più ke non fue
mestiere.
(i-)
Di questo si ne seguita vomito e
fortissimo fluxo, e
managione
di corpo, onde la virtude di questo nocimento si dee indebolire kol
bituro e col lacte ricentemente munto, e
julep, e koll'acqua, e colla
neve si dee dare a bere, dandola spesse volte a bbere. La chui virtude
si
riprime coll'aceto quando huomo il darà spesse volte a bere. E
quando per alquanti die il vomito e 'l fluxo del ventre fie cessato, sì
ssi dovrà dare sciroppo acetoso e 'l sugho de l'endivia.
L. VIII, cap. 53 rubr.Capitolo .Liij. Del mellioramento de le medicine ke fanno
uscire, nel quale si nominano e diterminano le lor virtudi.
L. VIII, cap. 53La schamonea purgha la collera rossa fortemente, e 'l meno che
di lei si dae sì è la sexta parte d'una drama, e 'l più ke sse ne dea sì
è li due terzi d'una dr
. E quando noi avremo paura del suo
nocimento e 'l vorremo fugire e levare via, allotta la dobbiamo
conficere e mescolare col sugho de la mela cotongna acetosa o
matiana, o con acqua rosata ko la quale sia mescolato il
somaccho in
tanta quantitade ke ssi possa
conficere. De la quale così mescolata e
malaxata, cioè menata per mano, si facciano pezuoli ritondi sottili e
piccoli a modo di trocisci, e secchisi ne l'ombra (o all'ombra), e si
sappia di quanto peso sia ançi ke si
conficia, e si ne dea de la quarta
parte d'una dr
. infino a una
1/2 drama.
E la polpa de la coloquintida purgha fortemente il flegma. E
s'ella si dee dare ad alcuno ke abbia disinteria o ke per picola kagione
la sollia avere, sì le si converrà mescolare
draghaghanti di quella
quantità ch'ella sarà. E li mescoleremo nel mortaio abindue insieme
pestando tanto che ssieno fatti una cosa e se ne facciano trocisci
sottili, e si secchino all'
ombra, de' quali si dea da la quarta d'una dr
.
infino a una
1/2 dr
.
Turbith manda fuori l'umiditadi ke ssono ne la boccha de lo
stomacho e ne le budella, e non à mestieri che ssi aconci altrimenti se
non ke ssi scortichi, e quello si
scelgha di lui ch'è buono e si pesta e
rompe, del quale si dee pilliare da una dr
. infino a
.ij.; e se ssi dee
mettere in dicotione, sì ssia da
.iij. dr
. infino a
.iiij.; e quando homo
intende di
rettificarlo, sì ssi conviene mescolare quando huomo il
vuole usare allotta allotta kon olio di mandorle dolci ke ssia buono.
L'
agaricho purgha diversi homori del quale si dee dare de le due
parti d'una dr
. infino a due; e non aè mestiere di
conciliarlo o
mescolarlo con altro, altrimenti se non ke l'huomo il dee scielliere
buono e bianco, cioè a ssapere ricente; ma sse alcuno da llui si
vuole guardare, sì 'l mescoli con isciroppo acetoso.
Alloe purgha la collera rossa e l'umiditadi del quale si dee pilliare
da uno aureo infino a due aurei. E se alcuno àe male di sotto nel
fondamento, se no è di calda complexione e 'l vollia prendere, sì 'l
mescolli col dellio. E quelli ke fia di calda complexione, sì lli mescoli
dragaganti. E quelli ke à male ne lo stomacho o nel fegato, ko la
mastice e rose prenda l'alloe mescolato.
E la centaura in sua operatione e in suo aparecchiamento si
truova somilliante a questo e di lei si dee più prendere.
Sebron e
mezeron sono calde, l'acume de le quali riprieme e
spengne l'aceto quando elle fieno i· llui
infondute e messe a molle, e
di loro si prende misuratamente; e si dee di loro prendere di una
1/2
drama infino a una dr
. E somilliantemente si faccia de'
totimagli ke
ssomilliano loro.
Del lacte
sebra non diremo altra cosa se non quello che noi
dicemmo de la
scamonea, imperciò k'elli e li altri
titimagli purghano la
collera rossa e ll'acqua fortemente.
L'euforbio è
kaldo e manda fuori l'acqua e li homori spessi, del
quale si dee prendere da la sexta parte d'una dr
. infino a la terza dr
., la
cui acuitade si riprieme koll'olio de le mandorle e con
dragaganti,
quando si mescola con esso e si ne
gitta suso.
Albecul, o
zibenil, manda fuori lo flegma adusto, e quando si
prende, sì genera fortemente tristitia e
nausca, cioè vollia di reddere e
abominatione, del quale si dee prendere da
.iij. dr
. infino a una on.,
poi k'elli fie
scorticato.
Latterides menano fuori del corpo acqua e collera rossa, le quali
sono somillianti ai
titimagli.
Almezera è uno de'
titimalgli, il quale giova tanto solamente a le
gotte e alli homori spessi e freddi.
Sticados
mena fuori la collera nera lievemente e
agevolmente,
del quale si dee prendere da
.ij. drame infino a tre; né non à mestiere
d'altro aconciamento ma, tuctavia, s'ella è presa kol sciroppo acetoso,
sì fie milliore.
Epithimo vòta la collera nera, del quale è
konvenevole cosa di
prenderne da
.iiij. dr
. infino a
.vj. dr
., e no à mistire d'altro
mellioramento o aparecchiamento. E se alcuno il vuole altrimenti
melliorare, sì 'l mescoli coll'olio de le mandorle dolci.
Il sene e 'l
fumosterno mandano fuori li omori adusti, e giovano
a la scabbia e
rongna e piçicore, de' quali si dee dare da
.iiij. dr
.
infino a
.vij.
Mirabolani citrini menano fuori la collera rossa e lli homori de'
quali si danno alcuna volta da dr
. .x. a
.xx.
De la manna, e de la cassia
fistola, e de le viuole secche, e susine
secche non ci è mistiere di parlare, imperciò che pocha pena fanno e
tucte purghano la collera rossa soavemente.
E quelle cose ke fanno discendere a le budella molte volte
bastano quelle ke noi nominamo nel capitolo de lo stomacho,
imperciò ke in questo libro noi nomineremo i movimenti di tucti i
luoghi nei quali noi avremo mestiere di nominamento. La quale cosa
noi faremo in tal maniera acciò ke in loro non ci convenga alcuna
cosa
revochare.
L. VIII, cap. 54 rubr.
Capitolo
.Lii&[ij&]. De l'exempro da
chomporre le medicine
da muovere.
L. VIII, cap. 54Di ciascuna spetie de le quali la medicina si dee comporre tanto
se ne prenda quanto basti a una dose a una volta al purgare. E poscia
se quello tucto ke ssi confice si compongha di .x. erbe, sì ssi prenda la
quarta parte, e se di .v., la quinta. E se noi vorremo comporre la
medicina da muovere di scamonea e d'alloe, e d'agarico, e di
coloquintida, prenderemo de l'aloe dr. .iij., e de la coloquintida dr. 1/2,
e de la scamonea la sexta parte d'una dr., e de l'agarico dr. .j.; e
quando fie mestiere, sì ssi prenderà di questo composto dr. .j., e la
quarta parte d'una dr. E se ad alcuno è grave cosa di bere la
dicotione, sì prenda de le pillole e de le confetioni ke quello homore
ke vuole mettere fuori (solea mettere fuori) quella decotione.
Compiuta è la parte ottava e a Dio, il quale ci àe atato, sieno
grazie infinite.
Explicit liber octavus. Laus deo patri atque unigenito Christo et
Spiritui Sancto per omnia secula seculorum. Amen.
L. IX, Index rubr.
Qui comincia la nona
particola e il nono libro ke contiene
in tucto
novanta kapitoli. E sono questi essi.
L. IX, IndexCapitolo primo del male del capo, de la migranea, cioè quando
la dollia è pur nell'una metade del chapo. Capitolo secondo. De la
vertigine e de la scotomia, cioè quando pare ke ogne cosa si giri
intorno et elli àe
tenebrositade e vuole
kadere. Capitolo terzo. De la
frenesia. Capitolo quarto. De l'apoplexia. Capitolo quinto. Del
subet,
cioè di grave sonno. Capitolo sexto. Del
congelamento, quando
alcuno giace quasi sì com'elli dormisse. Capitolo septimo. De la
parlasia. Capitolo
.viij. De l'adormentamento de' membri e del
triemito e
ratraimento de' membri. Capitolo
.viiij. Del
travolgimento
de la boccha. Capitolo
.x. De lo spasmo e
contratione. Capitolo
.xj.
De l'epilensia, cioè del mal maestro. Capitolo
.xij. De l'
incubo, cioè la
nocte quando
dorme si sente
kadere adosso una cosa grave. Capitolo
.xiij. De la malinconia. Capitolo
.xiiij. Di catarro e rema. Capitolo
.xv.
de
obtalomia, cioè d'apostema dell'occhio. Capitolo
.xvj. Delli
ulceri
delli occhi. Capitolo
.xvij. Di quelle cose ke chagiono nelli occhi, o
pelo, o pallia, o altro ke ssia, e de la biancheza ke ssi fa nell'ochio.
Capitolo
.xviij. De la scabbia e del
sebel ke apaiono nelli occhi.
Capitolo
.xviiij. De' lacrimali com pizicore. Capitolo
.xx. De l'ungula
o unghiella de l'ochio. Capitolo
.xxj. De la
macula rossa o d'altra cosa
com percossa. Capitolo
.xxij. Del vedere debole. Capitolo
.xxiij. De
l'enfiamento de le palpebra e de' pele de le palpebra ke tornano
inn entro più che non debbono e pungono l'occhio. Capitolo
.xxiiij.
De l'acqua ke kade ne l'ochio. Capitolo
.xxv. Di coloro ke non
vegono dopo il sole tramonto. Capitolo
.xxvj. De l'alargamento de la
pupilla. Capitolo
.xxvij. De le fistole ke ssono ne le cantora de'
lacrimali delli occhi. Capitolo
.xxviij. De' medicamenti delli ochi.
Capitolo
.xxviiij. De la dollia dell'orechie. Capitolo
.xxx. Del
tonamento delli orecchi. Capitolo
.xxxj. Dell'
ulceragione de l'orechie.
Capitolo
.xxxij. Del suono e del tuono de l'orechie e de la sua cura.
Capitolo
.xxxiij. De la graveza de l'udire. Capitolo
.xxxiiij. De'
vermini delli
orechii e del panno delli animali che v'entrano entro.
Capitolo
.xxxv. Di quelle cose ke di fuori sono entrate nell'orecchie.
Capitolo
.xxxvj. Quando elli esce troppo sangue del naso. Capitolo
.xxxvij. Dell'
ulceragioni del naso. Capitolo
.xxxviij. De le morici ke
nascono nel naso, cioè del
polippo. Capitolo
.xxxviiij. Del
perdimento de l'
odorato, cioè quando huomo non sente né
puço né
odore. Capitolo
.xL. Del dolore de' denti. Capitolo
.xLj. D'insengnare
trare i denti. Capitolo
.xLij. De l'adormentamento e allegamento de'
denti, e di coloro ai quali dolliono i denti per kagione dell'aire freddo.
Capitolo
.xLiij. De le gengie sanguinose. Capitolo
.xLiiij. Del
cadimento de l'uvola. Capitolo
.xLv. De le mignatte k'entrano ne la
gola. Capitolo
.xLvj. Di quelle cose ke entrano ne la gola, o
spina e
osso ke ssia. Capitolo
.xLvij. De la graveza de la lingua. Capitolo
.xLviij. De la lingua ke ingrossa sì k'ella non cape ne la boccha, ançi
n'esce fuori. Capitolo
.xLviiij. De la ghiandola k'è
anodata sotto la
lingua e delli apostemi ke ssi fanno ne la lingua. Capitolo
.L. De la
squinantia, cioè de l'apostema de la gola, overo colta. Capitolo
.Lj. De
la tossa aspra e seccha. Capitolo
.Lij. De l'
asma del petto. Capitolo
.Liij. De
pleuresi, cioè quando alcuno si sente sopra le costi dolore
pugnente. Capitolo
.Liiij. De la
pleriponia, cioè apostema del
polmone. Capitolo
.Lv. di coloro ke gittano il sangue kol vomito e
collo sputo o kon
rascatione dal palato. Capitolo
.Lvj. Del tisico e
tisicheza. Capitolo
.Lvij. Del triemito del cuore. Capitolo
.Lviij. De la
collerica infertade. Capitolo
.Lviiij. Di quelle cose ke confortano lo
stomaco e aiutano bene ismaltire e digerere il cibo. Capitolo
.Lx. Del
dolore de l'apostema de lo stomacho. Capitolo
.Lxj. Del
singhioçço.
Capitolo
.Lxij. De l'apetito
chanino. Capitolo
.Lxiij. Del dolore del
fegato. Capitolo
.Lxiiij. De la
yteriçia, cioè quando huomo diventa
giallo o nero. Capitolo
.Lxv. De la ydropisia. Capitolo
.Lxvj. De la
dollia de la
spiena, cioè milza. Capitolo
.Lxvij. De la
colica, cioè del
male del fiancho. Capitolo
.Lxviij. Del fluxo del ventre. Capitolo
.Lxviiij. De la malagevoleza de l'orina. Capitolo
.Lxx. De la
malagevoleza del male de la pietra. Capitolo
.Lxxj. De l'apostema ke
ssi fae ne le reni, overo ne la vescicha. Capitolo
.Lxxij. De l'ardore de
l'orina. Capitolo
.Lxxiij. Quando huomo orina sangue. Capitolo
.Lxxxiij. Del fluxo de l'orina. Capitolo
.Lxxv. De' vermini ke ssi
generano nel ventre e nel fondamento de la natura. Capitolo
.Lxxvj.
De le morici e de le fistole e de le
rogadie ke ssi fanno ne la natura,
nel fondamento di sotto. Capitolo
.Lxxvij. Del budello del
fondamento di sotto o la matrice k'esce fuori. Capitolo
.Lxxviij. Di
ristrignere i mestrui. Capitolo
.Lxxviiij. Di provocare i mestrui.
Capitolo
.Lxxx. De le
ragadie, o crepaccie, o fenditure, e aspreza de la
natura de la femina. Capitolo
.Lxxxj. De l'apostema ke ssi fa ne la
matrice de la femina. Capitolo
.Lxxxij. De l'
ulceragioni ke ssi fanno
ne la matrice e del cancro. Capitolo
.Lxxxiij. De la putrefatione de la
matrice, cioè quando la matrice
enfia e sale in su, e pare ke la femina
tramortischa e vada via di questo mondo. Capitolo
.Lxxxiiij. De la
'nfertà k'è kiamata
mola, la quale è una
infertà k'aviene a le femmine
alcuna volta ke paiono prengne e sono
discolorite e ritengono i
mestrui. Capitolo
.Lxxxv. De' crepati et erniosi. Capitolo
.Lxxxvj. De
le
gotte e de le dollie. Capitolo
.Lxxxvij. De la
scrignuteza. Capitolo
.Lxxxviij. De le vene grosse ke apaiono per le ghambe piene di
sangue. Capitolo
.Lxxxviiij. De l'
helefantia, cioè quando i piedi e le
gambe diventano grosse molto et
emfiate kon
ischianze. Capitolo
.Lxxxx. De la dollia ke ssi fae manifesta ne' membri.
[L. IX, Incipit]Qui comincia la nona parte, overo particula, o il nono libro di
Raxis. Del medicamento de le 'nfertadi ke advengnono nel corpo
dentro dal capo infino ai piedi. E contiene questo nono libro in
somma novanta capitoli.
L. IX, cap. 1 rubr.Capitolo primo. Del male del capo e de la migranea, cioè
quando la dollia è pur solamente nell'una metade del capo.
L. IX, cap. 1Quando ko la doglia del capo saranno rossore nel volto e nelli
occhi, e
tensione e graveça, e 'l
toccamento si sente caldo, e 'l polso è
grande, sì ssi dee scemare sangue de la vena del capo da quella parte
ove è la dollia, o da quella parte ove la dollia è magiore, e poi si
prendano acqua rosa, aceto e olio rosato, e tucti insieme si
dibatano
tanto ke diventino spessi, e poscia si
raffredino in su la neve e si
spargano in sul capo. E lo 'nfermo s'astenga e sofferi da la carne e dal
vino, e manuchi
adefian citrina, e
rapsel, e i camangiari freddi, e i
frutti freddi, e 'l ventre si faccia muovere e uscire coi mirabolani
citrini, e ko le susine, e koi tamarindi, e kol çuchero bianchissimo. E
se queste kose nom bastano, i
semi del
malvaviskio si mettano ne
l'aceto, e si dibatano tanto ke diventino spesse, de' quali si faccia
impiastro al capo. Ancora è utile di fare empiastro di
psillio e d'aceto.
E se con queste cose il polso corre tosto e nel toccare si sente
kaldeza, ma nel volto né nelli occhi no è rossore né distendimento,
nel
cominciamento si muova il ventre, e poi si facciano quelle cose ke
noi dicemo. E nel naso si gitti de l'olio violato, o olio di
çuccha dolce,
o olio di
neufar, o olio di fiori di salci, de' quali ciascuno, rafreddato
sopra la neve, si spanda in sul capo. E si
nodrischa sì come noi
dicemmo e lo 'nfermo odori
kamphora, e acqua rosa, e salci, e viuole
e simillianti cose. E s'elli adviene cosa ke 'l male molto rinforzi e
cresca, sì ssi prenda de l'oppio e de la camphora, di ciascuno quanto
pesano due granella d'orço, i quali si
disolvano e si disfaciano in olio
di salce, e si mettano nel naso e nelli orechi.
E s'elli aviene kosa ke ko la dollia del capo non è neuna de le
predette cose ke noi dicemo del rossore del volto, e 'l male è antiquo,
nel
kominciamento si solva e muova il ventre ko le pillole coçie, le
quali io feci:
recipe: de la polvere de la pigra dr
. .x.; coloquintida dr
. .iij.; e la
terza parte d'una dr
.; di
scamonea dr
. .ij. e
1/2; e de
turbit e
sticados
ana dr
. .v.; e di queste cose si faciano pillole, e sono
.x. dose, cioè
sono
.x. prese.
Poi ke 'l ventre è soluto e k'elli è uscito, sì ssi ungha il
capo koll'olio del sanbucho e koll'olio di been e se ne metta nel naso.
E lo 'nfermo si odori
algaliam (o
algaviam) e li si
soffi il moscado nel
naso.
E se 'l male fosse molto forte e molto gravasse e
inforçasse,
prendasi de l'euforbio e del castorio ana di ciascuno la sexta parte
d'una dr
., e
disolvano e disfacciano in uno poco d'olio di sambuco, e
si metano nel naso e nell'orecchie.
E ne la
ceffalea calda (cioè nel male del capo) k'è per
kalda
kagione, questo empiastro si dee porre a le tempie e a la testa.
Recipe: del seme de le latughe, e sief, memithe,
sandali bianchi, e
rossi,
fauvel (o faufel) rose e oppio. Di queste cose si faccia impiastro
poi ke
ffieno
bangnati coll'aceto e coll'acqua rosa, e si pongano su la
fronte, sopra 'l quale si pongha il panno molle d'aceto e d'acqua rosa,
il quale, poi ke fie rasciutto, sì ssi molli l'altra volta e vi si pongha
suso.
Ugnimento a la
cefalea freda, cioè al male del capo ke è per
fredda kagione.
Recipe:
castoro, euforbio, pepe, senape, storace, ruta,
marobbio,
le quali cose si secchino, e si pestino, e si
stacino e mescolino, e
s'
inaffino con vino vecchio, o kon olio di
cost, o di
kamomilla, e
disolvutevi dentro, e disfacte, sì sse ne unga e
inaffii la fronte spesse
volte. E questo cotale
lenimento e
ungnimento e
imbiutamento a
ogne antiquo male di capo giova non solamente
postovi suso, ma
ancora gittato e messo nell'orecchie, poi ke queste cose fieno disolute
e disfacte in alcuno de' predetti
olii. E a questo cotale infermo si dee
dare vino forte vecchio finissimo.
E quando elli aviene cosa ke 'l male del capo
perseverrae per
una septimana, lo 'nfermo si dee mettere nel bagno, e sopra il loro
capo si dee gittare e spargere acqua, ne la qual sian cotte
kamamilla,
maiorana,
sticados arabico insieme, o ciascuna per sé. E s'elli aviene
ke 'l male del capo
assalga ogne die dinançi al mangiare e dipo 'l
mangiare si diparta, sì ssi dee soccorrere a lo 'nfermo
dandoli ongne
die, dinançi l'ora k'elli suole venire, fette di pane mollate in sugho di
melegrane, o d'uve acerbe, o di somillianti. E se 'l male del capo
avengha per kagione di troppo
dimoro al sole, sì ssi potrà bene
medicare e guerire koll'olio rosato e aceto raffreddati.
E s'elli advien cosa ke per queste medicine non vada via e non
guerischa, sì ssi dee medicare koll'altre ke ànno a raffreddare. E s'elli
aviene cosa che 'l male del capo ancora perseveri, e si faccia magiore,
e per niuna maniera non si diparta, e sia temenza ke lo 'nfermo
nom perda il vedere, e l'acqua discenda alli ochi, l'arterie de le tempie
si debbono talliare e
trarlene fuori. Ma tuctavia quel ke noi diciamo
aguale non è de la intentione di questo libro.
L. IX, cap. 2 rubr.
Capitolo secondo. De la vertigine e de la
schotomia, cioè
quando pare a l'huomo ke ogne cosa si giri intorno lui et elli àe
tenebrositade e vuole chadere.
L. IX, cap. 2Quando alcuno vede quello ke è dinançi da llui muovere intorno
intorno, e li occhi ànno
tenebrositade, e vuole cadere, e in quella hora
il volto e lli occhi diventano rossi, e le vene ke ssono dopo li orecchi
sono e paiono grosse, di quelle vene si vuole scemare sangue, e le
coppette si debbono porre nel collo e ne le tempie e ne le gambe. E
se le predette vene non apaiono e 'l volto fie rosso, sì ssi dee scemare
sangue della vena del feghato, e le coppette si volliono porre ne le
ghambe. E in questa spetie di scotomia, e in quella ke noi dicemmo
dinançi, sì ssi dee bagnare e mollare il capo koll'olio rosato e
koll'aceto, e lo 'nfermo dee fugire e schifare ' caldi cibi, e 'l ventre si
dee solvere e muovere kolla dicotione de' mirabolani citrini ke noi
dicemo nel capitolo del male del capo.
E quando kolla scotomia no è rossore di volto né febbre, sì dee
huomo atendere s'elli àe subversione di stomacho e avolgimento e
vollia di reddere. La quale cosa se elli l'àe, primieramente si dee fare
reddere e rigittare, e poscia prenda una presa di pillole coçie e
s'astengna da' freddi cibi.
E s'elli non v'è avolgimento di stomaco, né vollia di rigittare, né
non apaiono segni di chaldeza, sì ssi muova il ventre molte volte kolle
pillole coçie, e
schifisi in quanto puote del tutto in tucto i cibi freddi;
e
gorgoglisi gargarismo kol quale si faccia gittare fuori il flegma; e nel
naso si metta alcuna cosa di quelle cose ke noi dicemmo ke riscaldi il
capo.
L. IX, cap. 3 rubr.Capitolo terço. De la frenesia.
L. IX, cap. 3Quando la febbre continua assalisce alcuno kon forte gravitade
del capo e delli occhi, e nel volto e nelli ochi grande rosseza, e dolore
di chapo, e 'l polso è spesso e
ratto più che non dee, sì ssi manofesta
e si mostra certo
segno di frenesia. E s'elli aviene cosa ke la lingua
aneri o diventi gialla, e lo 'ntelletto si mescoli e si vari e travagli, et è
molto alienato e fuori di suo senno, e veghi molto, già frenesia è
perfecta e compiuta. Dunque si dee sovenire a lo 'nfermo ançi ke
questi rei accidenti si compiano,
tolliendoli sangue e faccendolo
uscire kol sugo de'
fructi. E 'l suo nodrimento sia acqua d'orço
pilliare una volta o due il die, secondo la costuma k'elli avea quando
era sano; e 'l capo si dee bagnare koll'
oxirodino. E s'elli aviene cosa
k'elli veghi molto, prendasi viuole secche, e scorça di papavero
bianco, orço
scorticato (cioè mondo), seme di latughe, radici di
mandragora ana uno manipolo (cioè una manata), le quali ne la
cucurma piena d'acqua si cuocano sì llungamente ke ll'acqua diventi
rossa. E poscia quella cotale acqua, infino k'ella è calda, da alti si getti
in sul capo e fia sopra uno bacino, o sopra uno vasello, nel quale si
riceva l'acqua ke kade da alto, e si rimetta ne la
chucurma, cioè in
quello cotale vasello, e poscia si
rigitti l'altra volta. E questo si dee
fare il die molte volte e 'l capo si dee ugnere koll'olio violato
mescolato kon latte de la femina, del quale si dee ancora
ungnere la bambagia e mettere suso. E quando nel
cominciamento
del male huomo truova lo 'nfermo stare ne le sue forze e virtudi, sì lli
si dee torre sangue se tu non
ài paura de lo 'nfermo. Ma poi che la
sua
infertà
komincia a menomare, no li si dee scemare sangue. E s'elli
aviene cosa ke la sua virtude sia già disoluta e andata via, koll'altro
regimento si conservi e difenda tanto k'elli scampi.
L. IX, cap. 4 rubr.Capitolo .iiij. De l'apoplexia.
L. IX, cap. 4Quando alcuno giace quasi sì com'elli dormisse e sança
sonno
romfia, e quando si pugne non sente, allora àe già l'appoplesia. E la
quantitade di questa infertade sì è secondo ke fortemente e
debolmente
romfia, overo russa. E s'elli aviene cosa ke lli escha
spuma de la boccha, no 'l dee homo più medicare. E quando elli
romfia poco, allotta il male è minore e più lieve. E questo male o
tosto uccide o
passa im parlasia. E quando huomo
vedrà ke queste
cose avengnono, sì dee huomo attendere se 'l volto de lo 'nfermo
arossa, o anera fortemente, o verd'è, secondo ke alcuna volta aviene
quando il sangue stretto si tiene in alcuno membro. E allotta il
sangue si de' trare incontanente de le due
guidegi (o de le due vene
del capo). E s'elli aviene cosa ke così non sia, ançi quando elli atrae
l'aria, sì ss'ode nel petto un suono, sì ssi dee
cristerizare di questo
cristere.
Recipe:
koloquintida, pane tereno, centaura minore,
arcamite,
helebor biancho
ana
m
. .j., e si cuocano tutti in libre tre d'acqua tanto
ke
reghano a una, e poi si colino. E d'una libra di questa dicotione si
faccia il cristere. E se elli esce troppo, sì ssi faccia un'altra volta tanto
ke la moltitudine delli omori n'esca fuori chol
cristero, e ssi soffi nel
naso soavemente condisi et
heleboro bianco,
e conviensi
ingengnare
ke lli
anacardino ko l'
ydromele per la boccha a lo stomaco discenda
molte volte, ciascun die una volta, del quale il peso d'uno aureo si ne
dee bere
; la cui descriptione è nel capitolo de la parlasia.
E ancora la
padella del ferro si dee scaldare e poresi presso al
capo ke quasi i capelli s'
abruscino, e questo si faccia molte volte. E se
in questo modo non
guarisce, non ci affatichiamo più i· llui medicare;
e 'l capo
ungneremo co la senape trita, e ko l'euforbio, e kastorio
koll'aceto
fortissimo.
E ne la prima spetie di questo male, dipo la flebotomia,
stringneremo fortemente li
aiutorii, cioè le braccia, legando um poco
suso sotto la loro congiuntione colle spalle, e somilliantemente
strigneremo le gambe, e sopra 'l kapo si dee fondere e gittare olio
rosato e aceto di vino, e dêsi torre sangue prima de' piedi e poscia ne
l'estremitadi del naso.
L. IX, cap. 5 rubr.Capitolo .v. Del subbet, cioè del grave sonno.
L. IX, cap. 5Quando alcuno giace quasi sì com'elli dormisse, ma tuttavia elli
si sente o ssi muove, ma illi occhi secondo più de le volte àe kiusi, i
quali elli apre quando huomo il kiama ad alta voce, avengna che elli li
richiuda incontanente, questo cotale àe già il subet, il quale si dee
medicare choi clisteri acuti, i quali noi nominamo um poco dinançi. E
li meteremo im boccha ydromelle e meteremo pena ke elli discenda e
vada giuso, imperciò ke elli è suo nodrimento. E ancora il capo infino
ne' tre dì sì molleremo e bangneremo koll'oxirodino. E dipo 'l terço
die sì 'l faremo starnutire con quelle cose ke noi abbiamo nominate, e
raderemgli il capo, e poi lo 'mbiuteremo kolla senape e kol castorio
e coll'aceto.
L. IX, cap. 6 rubr.Capitolo sexto. Del congelamento, quando alcuno giace quasi
sì come dormisse.
L. IX, cap. 6Quando alcuno giace quasi sì com'elli dormisse e non si muove,
e avengna ke lli occhi sieno
aperti, elli non muove le palpebre, questo
cotale è congelato, overo rigido. E questo cotale si dee medicare ko le
medicine del
subbet, questo agiunto: ke lli si
spargha sul capo de
l'olio del
sambucho, e la libra del quale in ciascuna sia una on
.
d'euforbio e di castorio, e si ungha e
imbiuti il capo de l'olio del
sambuco e de l'euforbio.
L. IX, cap. 7 rubr.Capitolo septimo. De la parlasia.
L. IX, cap. 7Quando alcuno non si puote muovere, o elli nom puote
muovere uno o più de' suoi membri, e à perduto il loro
sentimento, e noi diciamo e pronunciamo k'elli è
paraliticho di quel
membro, o di quelli membri. La cui cura e
medicamento noi
cominciamo
dandogli le pillole
fetide ke noi facemo, le quali:
recipe: polvere di pigra dr
. .x.; polpa de la coloquintida dr
. .v.;
euforbio dr
. .ij. e
1/2; castorio, pepe, asa, serapino,
oppoponacho,
setaragi d'India, senape
ana dr
. .j.; centaura minore,
elatterio ana dr
.
.v.; e le gomme si
disolvano nel sugho de la ruta, e l'altre cose si
conficiono con esse e se ne facciano pillole, e se ne facciano
.x. prese.
De le quali poi che l'huomo n'avrà presa una, sì ssi riposi per tre dì, e
si
nodrischa e cibi ko l'acqua del cece, e olio, e senape. E poi bea
l'altra, la qual cosa poi che ll'avrà facto per alquanti dì, sì ssi riposi e si
notrichi co la carne talliata minutamente e
fricta ne la
padella e col
mutagenat, ne' quali sono le spetie
kalde sì come è il pepe e
somillianti a questo. E bea l'
ydromel e i suoi membri coll'olio del
costo s'ungano, k'è:
recipe: costo dr
. .j., e l'altra on
. .j., pepe, piretro, euforbio la
terza parte d'una on., castorio on
. 1/2. E tucte queste cose si
disolvano
in una
1/2 libra d'olio di
kery e di narcisco, e ll'usa. E ne dì che elli si
riposa, si debbono dare ciascuno die dr
. .ij. d'
anakardino, il quale
riceve: piretro, gengiovo,
neella, costo, pepe nero, lungo,
oççi (o
aggi)
ana dr
. .x., mirra, ruta seccha, asa,
aristologia, orbache,
kastoreo,
setaraci, senape, gentiana ana dr
. .v.; e del mele anacardi dr
. .v., e
s'ungano ko l'olio de le noci e si conficiano kol mele cotto. E
questo
medicamento giova molto a la parlasia, e a triemito, e a
l'
albaras, e a' morsi delli scorpioni, e a tucte le 'nfermitadi fredde, e
allo spasmo humido, imperciò ke
incontamente ke ssi pillia, sì ffa
sudare e fa venire la febbre. E se, quando huomo l'àe preso, e' non
guerisce, lo 'nfermo si tengha da ogne
medicamento per
.x. dì, fuor
ke la dieta, e poscia torni al suo
medicamento.
E s'elli aviene cosa ke parlasia avengha per kagione di caduta o
di percossa, e aviene subitamente, in tal maniera si
dimorrae,
imperciò ke giamai non
guirrae. E s'elli aviene cosa ke non
repentemente, ma a poco a pocho, per le predette cagioni sia avenuto
nel luogho de la percossa, questo empiastro si dee porre, il qual è:
recipe: farina di fieno greco, seme di been, seme di
mahaleph,
seme di rosin (o
risen),
bidellio, armoniacho, grasso d'anitra, cera e
olio di lillio, e si ne faccia empiastro e vi si pongha suso.
L. IX, cap. 8 rubr.
Capitolo
.viij. De l'adormentamento de' membri.
L. IX, cap. 8Quando alcuno sente alcuno de' suo' membri sì come è la
dispositione del piede quando è adormetato, noi diremo ke in quello
membro è stupore e adormentamento. Per la qual cosa il suo
medicamento n'è ' aspettare né prolunghare, imperciò ke quando il
tempo si prolunga e non si medica incontanente, si dispone e mena lo
'mfermo a parlasia. E questa infertade si medicha kon alcuna parte de
le medicine de la parlasia, e con dieta, e ungnimento koll'ollio di
costo. E s'elli aviene cosa ke infertade invecchi, sì ssi dee purghare
kolle pillole fetide, e si dee la sua complesione adequare e rechare a
temperamento koll'anacardino e colla dieta.
E 'l triemito si medicha kon quelle medesime medicine ke ssi
medicha l'adormentamento de' membri. E s'elli aviene cosa ke questo
avengna per cagione di bere troppo vino, sì ssi dee abstenere e
guardare dal vino. E s'elli aviene cosa ch'elli sia avenuto per cagione
di bere acqua ke ssi disolve de la neve, sì sse ne astengha e no ne bea,
et entri in bagno molto caldissimo, nel quale tanto stea ke elli sudi e
stea al sole assiduamente.
L. IX, cap. 9 rubr.Capitolo nono. Del travolgimento de la boccha.
L. IX, cap. 9Quando la boccha de l'huomo si travolge e nom puote
kiudere
uno de' suoi occhi, e s'elli è comandato ke elli
soffi, sì pare ke pur
dall'una parte escha il
fiato, noi diciamo allotta ke elli àe la boccha
travolta. Il cui
medicamento noi cominciamo faccendolo
assellare
kolle pillole fedite (e 'l suo nodrimento e 'l suo beveragio noi ponemo
e dicemmo nel capitolo de la parlasia). E faremo
gargarizare lo
'nfermo ongne die, ançi ch'elli manuchi, senape col sciroppo acetoso,
e
metterêllo in una casa obscura, e
comanderêlli k'elli tenga una noce
moscada in quella parte de la boccha k'è torta, e li
soffieremo nel
naso condisi acciò k'elli starnuti. E conviene ke l'homo ungha li
sponduli del collo e 'l volto e la fronte coll'olio del costo. Et è da
prendere ogne die de l'
anacardino il peso d'uno aureo. E s'elli aviene
cosa ke per questo non guerisca, sì dee huomo
tornare a ffare
muovere il ventre e a perseverarvi nel suo
regimento.
E noi favelliamo del
travolgimento de la boccha che aviene a
poco a poco e non subitamente, imperciò ke quella ke avien
subitamente no aviene se non ne la frenesia mortale ' la morte è già
prociana.
L. IX, cap. 10 rubr.Capitolo .x. De lo spasmo e contrattione.
L. IX, cap. 10Quando il membro d'alcuno si
ratrahe e torna verso la parte
ond'elli nasce, o più de' membri si dispongono in questa maniera, noi
diciamo allora che quelli cotali membri sono
spasmati. E lo spasmo
assalisci a poco a poco, o subitamente.
Ma a lo
sspasmo ke aviene subitamente si dee fare quello
medesimo
medicamento ke noi dicemmo ke era buono a la parlasia,
ma noi usiamo più
strupiciamento ko le mani e ungnere koll'olio di
costo. Ma lo spasmo ke non aviene repentemente ma a poco a ppoco
dipo la febbre, o dipo grande solutione di ventre, o dipo molto
vomito, o dipo molto fluxo di sangue, è reo e apena da
guarire. Ma
keké avengha, sì 'l cominciamo a medicare. E
aministriamo a lo
'nfermo d'acqua d'orço, e brodetti
untuosi e molli, e il
metteremo ne
l'acqua dolce tiepida, e
ugnerello coll'olio violato tiepido e coll'olio
de'
semi de la
çuccha, e magiormente le radici de'
nerbi ne' quali è lo
spasmo. E lunghamente stea ne la tina de l'acqua, e ungasi coll'olio
violato, e del vino bea um poco, il quale sia bene inacquato, e si
notrichi de' cibi humidi.
L. IX, cap. 11 rubr.Capitolo .xj. De la epilensia, cioè mal maestro.
L. IX, cap. 11Quando alcuno chade in terra e si torce, e dibatte, e si muove, e
perde lo 'ntendimento, noi diciamo k'elli àe l'epilensia, cioè il mal
maestro. E s'elli aviene cosa che elli li escha la
spuma per la boccha, o
elli si
scompisci, o elli li escha la sperma o lo stercho, la 'nfertade e 'l
male allora è piggiore e più forte.
E se lo 'nfermo, dinançi ke elli caggia, sente quasi alcuna cosa
levarsi da alcuno de' suoi membri e muoversi e andare e salire al
capo, e poscia chade, allotta conviene ke, ançi che elli
caggia, ke
quello cotale membro, onde quello cotale
movimento si muove, si
leghi fortemente, imperciò ke questo cotale leghamento non lascerà
cadere, e nel tempo del riposo e de la quieta si converà il corpo molte
volte votare colle pillole coçie. E il luogho onde nasce il male si
vorrae
epitimare di senape, e di
pepe, e di mele anacardi, e vi si dee
lasciare stare quello epithima tanto ke 'l luogo
vescichi, e che le
vesciche si rompano, e che ll'acqua ch'è i· lloro ne coli e goccioli. E
quelle cotali vesciche non si debbono tosto saldare, ançi si debono
lasciare, acciò ke quello ke v'è raccolto dentro ne coli et esca fuori, e
poscia si saldino, imperciò ke questo di tucto in tucto è certa salute e
certa guerigione di questa infertade. E a la perfine è utile cosa di
porrevi suso coppette com poca
scharificatione.
E s'elli aviene cosa ke lo 'nfermo dinançi a l'acessione, e dinançi
k'elli caggia, sente abominatione e vollia di rigittare, e tristitia, e
triemito al cuore, e poscia seguisca l'acessione e kade, questo cotale
dee huomo fare reddere molte volte kon alcuna di quelle cose ke
fanno reddere. E poscia dee prendere spesse volte la gerapigra. E
poscia de' porre a lo stomaco empiastro fatto de spigo, e di rose, e di
mastice, e di scorça d'incenso, in sé con vino bene odorifero e buono.
E tucto il suo nodrimento si dee in tale maniera ordinare e stabilire ke
elli sia di poche superfluitadi, sì come carne
fricta ne la
padella e
carne cotta in tegame o in
istufa, e 'l cibo che ssi fae d'uno uccello ke
à ' denti nel palato et è kiamato
tanguit, e carne d'ucelli e
karne di
cavretto.
E s'egli aviene cosa ke la epilensia, cioè col mal maestro sia
tenebrositade e debilitade di
.v. sensi, o d'alcuno di loro, sì come del
vedere, e dell'udire, e de l'odorare, e del gustare, e del tocare, e non si
truovi alcuna de le predette significationi, sì lli si debbono dare molte
pillole
cotie. E la sua guardia e 'l suo
regimento si dee sottilliare, e
debbôllisi dare i cibi che noi abbiamo detti, e dêsi fare
gorgolliare e
fare starnutire kon quelle cose ke noi dicemmo, e
dêlisi soffiare nel
naso la polvere de la pionia molto sottile polverizata.
E se alcuno kol male maestro avrae rosseza nel volto, e nelli
occhi avrae le vene grosse, sì lli si dee scemare sangue de la vena
saphena, cioè de la vena del tallone dentro dal piede; e li si dee
scemare sangue de le polpe de le gambe kolle coppette, e 'n sul capo
li si
aspergha aceto e olio rosato, e
astengasi dal vino, e da ogne
agrume, e da senape, e da oppio, e da
fave, e
kanavit; e a la perfine di
tutte quelle cose ke generano
fummo ke
ssalgha e
monti al capo e 'l
riempia.
E questo è uno lattovario ke ffa rimedio a tucte le spetie '
maniere del mal maestro.
Recipe: piretro,
silermontano,
sticados, ana dr
. .x., agarico dr
. .v.,
cordumeni recente e acuto, asa optima,
aristorlogia rotunda ana dr
. .j.
e
1/2, e poscia si traggha il sugho de la cipolla squilla, e si mescoli con
una picola quantitade di mèle e si
cuocha. E poscia se ne conficiano
le spetie e se ne faccia il
lactovario, del quale lo 'nfermo
pigli ogne
die, e si guardi dai grossi cibi. E questo lattovario giova a tucte le
spetie del mal maestro fuora ke a una sola k'è per kagione di sangue,
la quale Galieno nominò e disse, e de la quale noi abbiamo già fatta
mentione, al quale noi vedemo scemare sangue primieramente de la
saphena, e poscia di quella del feghato. E poscia il suo
regimento è
con quelle cose ke 'l sangue menomano nel corpo e che 'l
raffreddano. E ancora s'
attengha da la carne e dal vino, e bea il rob
de'
fructi
acetosi, e in sul capo si pongano quelle cose ke ll'abiano a
rafredare.
L. IX, cap. 12 rubr.Capitolo .xij. De l'incubo, cioè quando alcuno dormendo si
sente kadere adosso cosa grave.
L. IX, cap. 12Quando alcuno dormendo si sente kadere adosso una cosa
grave, noi diciamo allotta ke elli àe l'incubo, per la quale cosa nel suo
medicamento non si dee tardare, imperciò ke questo cotal male è
via al male maestro, imperciò ch'egli va dinanti al mal maestro. E
s'elli aviene cosa che llo 'nfermo nel colore sia rosso e abbia le vene
piene, sì lli converrà torre sangue de la saphena, e le coppette li si
debbono porre ne le polpe de le gambe. E ancora lo 'nfermo si dee
guardare da bere vino, e di tucte le cose dolci, e magiormente da ogne
cosa ke genera molto sangue. E se a costui adviene il contrario di
questo, sì ssi dee fare uscire molte volte kolle pillole coçie, e 'l suo
reggimento e la sua vita si dee sotilliare, e dovrae usare exercitio e
faticha, e dêsi fare stropicciare i membri da piede e da valle.
L. IX, cap. 13 rubr.Capitolo .xiij. De la malinconia.
L. IX, cap. 13
Quando ' alcuno rei pensamenti averranno sanza cagione e
segnoregieranno i· llui paura e tristitia, sì ssarae i· llui il
cominciamento
di meninconia. E quando la cosa verrae a tanto ke elli dicha quella
cosa kolla boccha ch'elli penserà, e mescoli le sue parole e i suoi fatti,
già la meninconia è perfecta. E quando i
pensieri e la tristitia, e 'l
tribulamento
comincerano a venire, ançi ke
comincino a
ssegnoregiare, si conviene soccorrere, inperciò ke, sse queste cose
segnoregeranno, il
medicamento è malagevole e grave a guerire.
E s'elli aviene kosa che co la meninconia sia dolore di ventre et
enfiamento, e reo colore, e corruptione di digestione e dello smaltire
male, e vomito acetoso, e moltitudine di sputo, sì ssi dee cominciare a
scemare sangue de la vena bassilica, overo de la
salvatella, dal lato
manco. E se l'huomo vede ke 'l sangue n'escha nero, sì ssi lasci uscire
in grande quantitade. E se huomo vede ke 'l sangue esca sottile e
rosso, incontanente si dee ristrignere, e lo 'nfermo si dee nodrire koi
cibi lievi, sì come sono
alesidabigi ke ssi fanno de la carne del
chavretto e di quella del
castrone, e si de' mettere nel bagno nel quale
non si dee troppo stare. E poscia usi lo 'nfermo la
decotione de
l'epithimo ke io compuosi.
E questa è la dicotione de l'epithimo.
Recipe: mirabolani indi dr
. .x.,
polipodio dr
. .v., sene dr
. .viiij.,
turbit dr
. .viiij.,
sticados dr
. .x., e dell'uve passe nette e monde
dall'ossa, overo granella, dr
. .x., epithimo d'
orto dr
. .x., e tucte
queste cose, fuor ke l'epithimo, si volliono cuocere in tre libre
d'acqua tanto ke regano a una libra e mezo. E quando questo sia
facto, sì vi si agiungha l'epithimo, e incotanente si lievino dal fuocho
e si lascino stare tanto k'elli
comincino a raffreddare. E quando fieno
raffreddati, sì ssi
stropicino chon mano e si colino, e poi si prenda de
l'agarico le due parti d'una dr
., alloe dr
. .j., e sale d'India dr
. 1/2,
heleboro nero la quarta parte d'una dr
., e si conficiano con mèle o
kon
juleph, e se ne facciano pillole, le quali si debbono prendere per
tre hore ançi ke ssi pigli la dicotione. E poscia si pigli la
decoctione, e
poscia si riposi tre die, e si notrichi con quelle cose ke noi dicemo e
comandamo, e bea vino
sottile e bene olliente. E dipo questo si dee
fare uscire come dinançi, e dipo questo, sì come noi dicemo dinançi,
la terza volta si dee fare e 'l quarto beveragio li si dee dare. E
lo 'mfermo si dee abstenere di tutte quelle cose che generano
kollera
nera, sì come sono le
karne salvatiche tutte, e quelle del bue, e del
beccho, e de le
maggior capre, e
fave, e
karne salata, e cascio vecchio,
e
lenti propiamente, e ongne
kamangiare, se non quelli ke ànno ad
ahumentare e a rammollire. E ancora schifi il vino grosso e la faticha
del veghiare, e non soferi né fame né sete, e usi di bere vino
soctile. E
dêglisi comandare k'elli dorma. E dêsi avere studio di medicare la
milza kon quelle cose che noi diremo innançi nel capitolo del
medichamento de la milza grossa. E la boccha de lo stomacho si dee
confortare, e propiamente kon quelle cose e medicine ke noi diremo
inançi, quando noi nomeneremo le enfertadi de lo stomacho.
E se elli avien cosa ke co la meninconia non sieno quelle cose ke
noi abbiamo nominate, e avengna dipo la frenesia e dipo llungha
dimoranza al sole, o per percossa del capo, nel
cominciamento si dee
torre sangue de la vena del capo e si dee avere studio al capo kon
quelle cose ke noi dicemo. E propiamente l'acqua tiepida li si dee
gitare sul capo da alti, e poscia si gitti i· sul capo olio rosato kon aceto
di vino e vi si
mungha suso (o
spruççi suso) del lacte de la fenmina, e
lli si gitti nel naso dell'olio del seme de le zuche dolci e lacte di
femina, e si dee metere nel bagno spesse volte e molta acqua tiepida li
si dee gittare sul capo. E ancora odori lo 'nfermo odor freddi di cose
frede.
E se co la meninconia non è niuna de le cose ke noi abbiamo
dette nel
cominciamento, la vena ch'è chiamata vena
matrix del
braccio diritto si dee aprire, e si de' il sangue considerare e fare, sì
come noi abiamo detto dinançi, e reggere. E poi ke lo 'nfermo avrae
facto questo cotale
reggimento, sì ssi dee lasciare riposare per alquanti
die, e poi il medicha sì come dinançi tanto k'elli
guerischa. E tucto lo
studio ke ssi dee observare intorno al
menanconicho sì è di lui
ingrassare e ke ssi empia di charni, imperciò ke, da ke elli fie grasso e
pieno di carne, incontanente fia sano. E i cibi che ssono buoni a
questi cotali sì sono carne di
castrone, e di chavretto, e di gallina, e
pane di farina, e 'l pane ke non è netto ' è azimo, i· neuna maniera è
loro buono. E vino subtile e kiaro è loro
konvenevole e buono, e
vino grosso non è loro buono, né 'l nero; e il lacte recentemente
tracto da le poppe ch'è anchora
kaldo è loro buono; e ' pesci ricenti e
'
sisami facti di zuchero e olio di mandorle, e ancora udire cançoni, e
godere, e sollazare, e avere dinançi a ssé cose dilettose, e dormire
giova loro. E per contradio pensare e stare solo e veghiare nuoce
molto loro.
Pillole le quali mandano fuori del corpo la collera nera, de le
quali si danno a coloro ke nom possono prendere la dicotione.
Recipe: epithimo d'
orto dr
. .xx.,
pollipodio, agarico ana dr
. .x.,
heleboro nero, sale indo ana dr
. .v.,
sticados dr
. .vij., polvere di
gerapigra dr
. .xv., e ne prenda dr
. .iij.
E ne' die ne' quali lo 'nfermo si riposa dee pilliare del
lactovario
k'è kiamato
lectificans, il quale è questo:
recipe:
mellisa, scorça di cederno, garofani, gallia muscata,
mastice,
gruocho orientale, cennamo, noce moscada,
kardamone,
vehernich (o
vehermich),
ben biancho e rosso,
zedoarie,
deronici,
seme di bassilico magiore, seme di bassilico
garofilato ana per igual
parte, e di moscado quanto è la
.x. parte de l'uno. E poscia si
prendano
.xx. mirabolani kebuli, et emblici
.xxx., e si pestino e si
cuocano in tre libre d'acqua, tanto ke regano a una libra, e si colino.
E
ne la
colatura si metta una libra di mèle, e poscia bolla tanto
ke ll'acqua sia consumata, e poscia con questo mèle si conficiano le
predette spetie, il quale mèle sia a peso tre
cotanti ke le spetie, del
quale, quando è mestiere, si dee prendere quanto è una avellana.
E
questo cotale
medicamento opera e fa letitia, e bello colore, e bene
ismaltire e digerere, e ritarda lo
'nkanutire.
L. IX, cap. 14 rubr.
Capitolo
.xiiij. Di catarro e rema di chatarro
.
L. IX, cap. 14Quando il capo d'alcuno fie discoperto all'uscire del bagno o
dipo fatica, o dipo altro, e ll'aria sia fredda e 'l vento de la
tramontana, e avengna nel naso e nel palato
plurito e piççicore e con
movimento e
starnutamento, sì ssi dovrà scaldare il panno e porre al
capo, il quale tanto vi stea infino ke lo 'nfermo senta il caldo essere
passato infino al profondo del capo, e poscia cominci a odorare la
neella e si faccia starnutire. E si guardi k'elli non giaccia supino, e
manuchi pocho, e del tucto in tucto s'
astengha dal vino. E s'elli
aviene cosa che 'l male non sia alleviato per lo ponimento del panno,
né perciò non menomi, sì ssi scemi sangue de la vena del capo, e si
solva il ventre e faccia uscire kon quelle cose ke non fanno aspreza sì
come questa dicotione, la quale dee bere quelli che à tossa e aspreza
nel
pecto, e à mestiere di muoversi il ventre, la qual è:
recipe:
jugiube
.xx.,
sebestien
.xxx., uve passe monde dr
. .x.,
viuole secche dr
. .iiij., radice di requilitia dr
. .v., fichi gialli, e
cuocansi
in tre libre d'acqua tanto che regha a una e si coli, e ne la
colatura si
disolva cassia fistula dr
. .vj., tamarindi dr
. .x.
E se né 'l
torre sangue e né 'l
muovere il corpo non fie giovato,
e la materia sia discesa al petto, e si sia conmossa tossa o febbre,
incontanente si scemi sangue, e lo 'mfermo s'
astengha da la carne e
dal vino, e bea acqua d'orço e
miraba violato, tanto quanto il
calore
starae fermo e perseverrà, e la tossa fia seccha e aspra. Ma poi che 'l
chaldo fia andato via, e la tossa fia
mollificata, et elli comincerae a
sputare questa dicotione, ogne die con
miraba violato si dovrà dare
tanto ke 'l petto sia mundificato, e la tossa andata via, e la boce sia
facta kiara, la qual è:
recipe: fichi gialli
.xv.,
jugiube
.x.,
sebestien
.xx., uve passe,
bianche, monde e
snociolate dr
. .x., liquiritia scorticata dr
. .v.,
cuocansi tanto ke ssieno tucte disfatte, e si colino, e si ne dea ongne
die dr
. .iiij. a bere kon
miraba violato dr
. .x. E se la tossa
invechierà e
dimorà lunghamente, allotta mostreremo kome si
debbia medicare
quando noi tracteremo del medichamento de la tossa.
E s'elli aviene cosa ke 'l corrimento de la rema al naso
lunghamente perseveri e non sia caldo, quello fluxo si dovrà
ristrignere
suffumigando il naso per lo
tragitorio, cioè con quello
strumento. E se per lo naso esce sottil cosa e acuta e calda, e sia
gialla, sì si faccia
suffumichamento kol
solfo ke sia stato prima in
molle ne l'aceto e posscia secco, o kolle
fave, o coll'orço state prima
molle ne l'aceto, e poscia secche, o kol çucchero biancho, o kol
sandalo biancho. E se nel volto no è caldeza né rosseza, sì ssi facia il
fumicamento kol costo o ko lo
'ncenso, imperciò ke questo cotale
fumichamento
ristrigne il fluxu.
L. IX, cap. 15 rubr.Capitolo .xv. De la obtalmia, cioè de l'apostema de l'occhio.
L. IX, cap. 15
Quando quello ke è biancho nell'occhio si muta in rosseza, e
gociolino
lagrime, e sia racolta
lippa e ordura ne le cantora delli occhi,
noi diciamo allotta ke llo 'nfermo àe obtalmia. E quanto fie la
grandeza o la
picoleza de'
sinthomi o delli accidenti, tanto sarà la
forteza e la
picoleza e deboleza dell'
obtalamia.
E la pigiore
optalamia sarae quando il biancho delli occhi
paiono
emfiati e sì levati in alto k'elli cuoprano il nero delli occhi e le
palpebre si
scerpellino. E nel
cominciamento del
medicamento de
l'
obtalamia sì ssi conviene scemare sangue de la vena del capo ne la
mano o nel braccio de la parte
contraria, ne la quale è l'occhio
infermo, ov'è l'
obtalamia. E quanto è più forte l'
obtalamia, tanto si
dee più torre del sangue, e poscia si dee muovere il corpo kon
mirabolani citrini, e col
tereneneabin, e kol sugho de'
fructi; e lo
'mfermo si dee abstenere da la
karne, e dal vino, e da le cose dolci,
e menomare il cibo. E se queste kose non bastano, sief biancho kol
lacte di femina ke
allattasse fanciulla femina si converrae strupicciare
e nell'occhio distillare. E se molta
lippitudine fie raccolta ne l'occhio,
radius (cioè quello cotale strumento) sì ss'
avolgha ne la bambagia e si
molli nell'acqua, e con esso si netti l'occhio da quella
lippitudine e
ordura. E poscia vi si
polveriçi e getti entro polvere
biancha,
pongnendo sopra i loro occhi alcuna cosa soavemente, acciò che
quella cotale bambagia sia
sostentata e
sostenuta, e se leghi. E lo
'mfermo si metta in kasa schura, e si dee
ingnegnare quanto puote ke
elli dorma; e si guardi, quanto puote, k'elli nom dorma sopra l'occhio
infermo. E 'l capo no stea kinato e
basso, ma stea levato in suso, né i
capezali de' suoi vestimenti sieno stretti, e non si getti troppo
lungamente sopra la faccia. E se ll'ochio se n'allievi e melliori, e la
doglia menomi, e le
lagrime menomino, già fatta la
flobotomia (cioè
scemato il sangue) e mosso il ventre, entri nel bagno molte volte e
spesso, imperciò ke per questo
vanno via quelle
remanenze che ssono
soperkiate e dimorate dipo la 'nfertade e dipo 'l male de l'
obtalamia.
E se nell'occhio sia rimaso
humiditade e gravezza, sì vi si dovrà
mettere la polvere citrina, e di quelle cose ke molto giovano a colui
che à l'
obtolamia è ke le palpebre delli occhi s'ungano di questo
epithimare k'è:
recipe: sief, memithe, ro
se, alloe, licio, sandali rossi,
faufer,
gruogo orientale, di tucti per igual parte, e se ne facciano di queste
cose pillole. E quando fie mestiere, sì se ne risolva una nel sugho del
coriandro, o nel sugho de l'endivia, o ne l'acqua rosa, e si nn'
umgha
con esso, e
guirae co l'aiuto del sommo medico.
Sief biancho.
Recipe: de cerusa lavata dr
. .x.,
sarcocolla grossa dr
. .iij., draganti
dr
. .j., oppio dr
. 1/2, e se ne facciano forme somillianti a
lenti.
Polvere gialla.
Recipe:
sarcocolla dr
. .x., alloe dr
. .ij., mirra dr
. .j., litio dr
. .ij., e
di queste cose molto bene trite vi si ne metta la polvere quando fie
mestiere.
Polvere biancha.
Recipe:
sarcocolla
biancha e grassa, la quale si metta nel lacte de
la femina, il quale fia migliore quando elli fia d'alcuna giovane
fenmina e ssi lasci stare a l'ombra tanto ke sia bene seccho e si pesti
molto bene, e a
.x. dr
. di tucte queste cose s'agiungano dr
. .ij. di sief,
memite, le quali cose ancora
optimamente trite si ripongano e,
quando mestiere fie, si mettano nell'occhio.
L. IX, cap. 16 rubr.Capitolo .xvj. Delli ulceri dell'occhio e tempellamento.
L. IX, cap. 16Quando nell'occhio si sentono forte dolore e pugnimento
nocivo, e battimento e
tempellamento, e molte
lagrime ne gocciolano,
e quando huomo lieva le palpebra e lli occhi s'aprono, le luogora ke
ssono ne' bianchi si truovano rossi. E se elli è tucto rosso, e ll'uno
ochio è più rosso, e se nel nero alkuno luogho apare biancho, già è
pustola, overo
bolla, nata in quello luogho. E a medicare questo male
sì è mestiere ke cci sia medicho molto savio nel
medicamento delli
occhi.
E noi diremo le some e i ragunamenti del loro
medicamento, e
diremo ke lli
ulceri che nascono ne la
congiuntiva, cioè nel
biancho
delli occhi, non sono così da dottare come quelli ke ssi fanno ne la
cornea, cioè nel nero delli occhi. E la pigiore dell'
ulceragioni sì è
quella k'è nel nero sotto la
pupilla, cioè sotto la luce.
E 'l
medicamento di questi cotali
ulceri.
Noi dobiamo
kominciare al torre sangue e trarene molto del
sangue, secondo ke possibile fosse. E poi apresso si dee
muovere il ventre e 'l corpo, e lo 'mfermo si de' guardare da vino
dolce e da carne, et essere contento dell'herbe fredde, e bere pur
acqua, e nell'ochio si dee mettere molte volte sief biancho kol lacte di
femina. E sse 'l batimento e 'l
tempellamento pare ke menomi e si
rallievi, puote avere huomo sperança di guerigione sança
racolglimento di
putredine. E se 'l
tempellamento non va via dipo 'l
scemare del sangue e dipo 'l muovere del corpo, e poi ke 'l sief
biancho v'è messo, piccola fidança si puote avere in quelle cose ke
noi abiamo dette. Dumque, allotta, si dee mettere ne l'occhio sief de
lo
'ncenso, e alcuna palla si dee porre sopra ll'occhio, e co la legatura
si dee
strignere. E ançi ke questo avenga, l'occhio si dee legare
soavemente e sanza ponimento di
palla, e non
cessare di distillare
spesse volte del sief nell'occhio infino a tanto ke ne la palla si vedrà
putredine. E poi ke l'huomo avrà questo veduto, sì fie mestiere
d'usare sief di piombo infino ad tanto ke la profunditade si faccia
piana e piena e tucta la carne si generi. Ma, tuttavia, quelle cose ke noi
abbiamo dette si debbono fare quando la
pustola, overo bolla, no è
grande, imperciò ke quando ella fia grande e fie di sotto a la luce,
allotta fie mestiere ke ssi medichi con
helysir. Accioe ke ll'ochio no
strabuççi in fuori, sì ssi conviene tornare a
rriporrevi la
palla suso e
allegarvi. E ancora lo 'nfermo dee sempre
giacere supino e dêsi
guardare di forte vino. E quando la carne fie perfettamente
rigenerata
nel luogho dell'
ulceragione, sì dimorrà ivi nell'occhio biancheza. E se
l'
ulceragione fie
profonda, sì fie la biancheza grossa. E s'ella fia tanto
solamente ne la superficie de la cornea, sì fie sottile. E se l'
ulco fie
dilungi da la luce, e sarae per sé separato e diviso quello cotale
vestigio, e margine ke dimorrà non farae alcuno male. E s'elli è allato
a la luce alcuna volta poi ke ffie guerito l'
ulco, il vestigio e la margine
ke dimorrae no
llascerà vedere. Per la quale cosa dobbiamo usare le
medicine kolle quali noi dicemo ke 'l vestigio s'asterge, e si netta, e si
manda via.
Sief d'incenso.
Recipe: armoniaco,
sarcocolla ana dr
. .v., incenso dr
. .x.,
zafferano dr
. .ij., e si conficiano colla
mucillagine del fieno greco, e se
ne faccia sief.
Sief di piombo arso.
Antimonium,
tutie lavata,
kalcucemenon,
gummi
arabico ana dr
.
.viiij., oppio dr
. 1/2, e si pestino molto bene e si
stacino com panno
molto sottile di
seta, e si molli coll'acqua piovana, e se ne facia sief.
Sief per lo quale la carne nasce nelli
ulceragioni delli occhi, e
guarda ke l'
uvâ non esca fuori, e la margine si
sottillia.
Recipe: tutia lavata, e
limia lavata,
ceusa (cioè biacca),
antimomio, incenso ana dr
. .iij., mirra dr
. .j., sarcocolla grossa dr
. .j. e
1/2, sangue di
dragone, alloe, oppio ana dr
. .j., e facciasi di loro sief.
Ellessir il quale si dee usare quando elli s'àe paura ke per cagione
de l'
ulcere non escha fuori l'
uvâ, cioè quello ov'è la luce dell'occhio.
Recipe: antimonio,
ematithis ana dr
. .x.,
acatie dr
. .iij., alloe dr
.
.j., pestinsi e si ne facia sief, e s'
anministrino quando fie mestiere.
L. IX, cap. 17 rubr.Capitolo .xvij. Di quelle cose ke kagiono nelli occhi, o pelo,
o pallia, o altra cosa.
L. IX, cap. 17
(+i) Le cose
kagiono nelli occhi o
pelo o pallia altro che ssia.
(i-)
Prendasi la
ragia, cioè la
goma del
pino, e si tragha per l'occhio,
e trane fuori quello k'è caduto nell'occhio.
E 'l bianco ke ssi fae nell'occhio sì è vestigio e rimanente,
il quale dipo 'l
medicamento dell'
ulceri dimora e rimane, quando
saldano. La quale, quando si fae nelli occhi de' fanciulli, è più lieve a
guerire ke quando si fae a coloro ke ànno più anni, imperciò ke forse
in quelli cotali è impossibile a guerire, s'ella no è molto subtilissima. E
questo male si dee medicare kon questi medicamenti, poi che lo
'nfermo fie uscito fuori del bagno, o elli abbia tenuto il volto sopra 'l
vapore de l'aqua calda tanto ke il volto sia arrossato. E se per questo
medicamento ne le vene delli occhi verrae rossore e dolore per
alquanti die, il dee huomo lasciare stare tanto ke ll'occhio si riposi. E
poi dee huomo
tornare a quello medesimo
medicamento molto utile
a mandare via la biancheza delli occhi e mandarla tosto via. E io non
vidi ke neuno fosse milliore di lui o eguale a mandare via la biancheza
predetta.
Recipe:
massecumie,
spuma di mare, sterco del grande
lucertolo,
baurach,
çuçis
yrei, per iguali parti, e poscia si prendano acori,
celidonie, seni ana dr
. .x., e
cuocansi in una libra d'acqua tanto che
recgha a una quarta, e si coli, e con questa acqua si
mollino le spetie
ke noi abbiamo dette, in maniera che ssi conficiano kon essa e si
secchino all'
ombra, e poscia si pestino un'altra volta e ancora, come
dinançi, si
cospargano koll'acqua e si disecchino. La qual cosa poi che
ffie facto quatro volte, sì si
epithimino e si pestino e si mettano
nell'ochio. E a questa medicina niuna è pare a mandare via la
biancheza, imperciò ke questo
medikamento manda via la grossa
biancheza, e ancora delli occhi delli animali.
L. IX, cap. 18 rubr.Capitolo .xviij. De la scabbia e del sebel k'apare nell'ochio.
L. IX, cap. 18Quando le palpebra si rovescia e appare dentro rossa e aspra, ivi
è scabbia. E quando sopra i bianchi delli occhi e sopra 'l nero appare
simillianza d'uno
panicolo di vene grosse e rosse tessuto, sì v'èe una
infertade la quale è chiamata sebel. E queste due infertadi sono gravi
e lunghe e apena si gueriscono. E lo 'mfermo, quando è sano, sì dee
usare di scemarsi sangue del braccio e de la fronte, e dee pilliare
medicina da muovere il corpo, e dee schifare di mangiare datteri e
sisami di mèle, e fugha l'ebreza. E quando no è troppo pieno e
satollo, sì è utile d'entrare spesse volte nel bagno, e spesse volte
mettere nell'ochio sief rosso similliantemente giova.
Sief rosso.
Recipe:
hematitis,
kolcatar arso ana dr
. .iij., rame arso dr
. .ij.,
mirre, gruogho ana dr
. .j.,
pepe lungo dr
. 1/2, e si
scompargano di vino
vecchio e se ne faccia sief. E ancora a queste infertadi giova il sief
verde, la cui discriptione si contiene nel capitolo de l'ungola.
E s'elli aviene cosa ke queste infertadi sieno vecchie, la schabbia
sì è mistiere che ssi stropicci e sebel
[]. Ma la
misura di questo libro non
richiede ke
tratiamo di queste cose.
L. IX, cap. 19 rubr.Capitolo .xviiij. De' lacrimali com piççicore.
L. IX, cap. 19Endivia tenera si prenda e si pesti, e si ne faciano
maddaleoni
piccoli, e
ungansi con l'olio violato, e si ponghano in sulli occhi, e
quando vae a dormire sì ssi leghino. Ma l'olio rosato è milliore e più
tosto giova. E se queste cose non giovano e nom bastano, sì ssi
pilliano
lenti sança le scorçe, e
sommach, e rose rosse, e la
carnositade o la midolla de le melegrane. E queste cose peste sì ssi
cospargano kol careno, in modo d'impiastro vi si ponga suso. E se
queste cose nom bastano, sì ssi scemi sangue de la vena del capo
primieramente, e poi de la vena de la fronte e de le vene ke ssono ne
le cantora de' lagrimali delli occhi. E 'l ventre spesse volte si muova e
molte volte entri nel bagno.
L. IX, cap. 20 rubr.Capitolo .xx. De l'unghiella de l'occhio.
L. IX, cap. 20Quando alcuna cosa
similliante a
ppannicolo del canto de
l'occhio k'è da la parte del naso pare ke nascha, e cuopre il bianco, e
perviene infino a la nereza, sì ssi genera una infertade la quale è
kiamata ungola, il cui nocimento allora è pigiore quando
perviene
infino a la parte del nero dell'occhio k'è presso de la luce. E questa
infertade, tanto quanto ella è sottile, si dee medicare col sief verde de
calcantho. E s'ella è vecchia e grossa, col ferro se ne dee trare e
spolliare e kol sief verde, il quale giova al
sebel, e a la scabia, e a
l'ungula e a la biancheza. La cui discriptione è questa:
recipe:
çimar (cioè
verderame), dr
. .iij.,
kolcathar arso dr
. .vj.,
arsenicho rosso,
baurach,
spuma di mare ana dr
. .j.; sale armoniacho
dr
. .ij.; armoniaco nel sugho de la ruta si disolva, e le spetie si
cosparghano e mescolino con esso e si faccia con esso sief, imperciò
k'è maravillioso.
Sief di
calkantho il quale giova all'ungula.
Recipe: rame arostito,
calkanto ana dr
. .v.,
zimar dr
. .ij.; sale
armoniaco,
baurach, arsenico sublimato ana dr
. .j.; e si pestino e si
lascino stare per una septimana, e poscia se ne faccia sief, e se ne
strupicci l'ungola.
L. IX, cap. 21 rubr.Capitolo .xxj. De la macola rossa o d'altra cosa con percossa.
Rubrica.
L. IX, cap. 21Quando elli aviene cosa ke nell'occhio si faccia punto rosso per
kagione di percossa o per altra cosa, al sangue che v'è si dee disolvere,
poi ke 'l bollimento e ll'estuamento fie rimaso. Dumque si pigli
d'aurpimento rosso, incenso e mirra, armoniaco per iguali parti, e si
ne faccia sief, il quale si freghi nel sugho del choriandro e si distilli
nell'occhio, ma tanto quanto il dolore perseverrà l'albume de l'huovo
si de' prendere e si dee mescolare koll'olio rosato, e bambagia
involtavi dentro si dee porre in sull'occhio.
L. IX, cap. 22 rubr.Capitolo .xxij. Delle lacrime.
L. IX, cap. 22Quando i lacrimali delli occhi paiono sempre humidi, lo 'nfermo
cotidianamente
digiuno entri nel bagno e ne l'occhio metta questa
polvere.
Tutie dr
. .x.,
coralli rossi, mirabolani citrini fregati, alloe ana dr
.
.ij., pepe dr
. 1/2,
fiat ex eis pulvis, il quale assiduamente si metta ne
l'ochio.
L. IX, cap. 23 rubr.Capitolo .xxiij. Del vedere debole.
L. IX, cap. 23Se co la deboleza del viso e del vedere apparranno segni
d'
umiditade manifesti, le quali humiditadi si
disolvano e si
distrugano
um poco nel tempo de la fame e de la fatica, pillole
cotie molte volte
e assiduamente si debbono dare.
E 'l nudrimento de lo 'nfermo sì dee essere
disseccativo, e lo
'nfermo dee rigittare spesse volte, e nelli occhi si debbono mettere le
polveri ke abiano a diseccare. E se co la detta infertade sarà seccheza
e offuscamento del corpo e torbideza, il nodrimento si converrà
crescere, e
vorraglisi dare a bere vino, e sopra 'l suo corpo si dee
fondere acqua tiepida, e si dee chinare sopr'essa. E ancora entri nel
bagno nel quale non sudi molto, e nel naso e nelli orecchi sì dee
mettere olio di mandorle dolci; e nelli occhi sì dee mettere ongne die
lacte di femina giovane, la qual cosa si conviene fare spesse volte. E
questa spetie di deboleza di viso aviene più spesse volte e più forte
nel tempo de la fame e quando il ventre è vòto.
La
confectione de l'
alcol, cioè polvere ke ffa buono vedere, il
quale vedere è
dibilitato per cagione d'omori.
Recipe:
tuthie lavata e seccata dr
. .xx., e poi si tragha il sugho de
la maiorana verde, e si lasci così stare e
resedare per una nocte, e si
coli, col quale la tutia
kospersa e bagnata si lasci stare tanto ke ssi
secchi, e poi si pesti, e apresso si prendano gengiovo, pepe nero, pepe
lungho,
celidonya ana dr
. .ij., sale armoniaco dr
. .j., quando la tutia fia
dr
. .xx., e poscia tucte queste cose si pestino, e col sugho del tenero
finocchio si
conspargano e
inaffino, e seccati un'altra volta si pestino
e si
riponghano; e quando fie mestiere si mettano nelli occhi. E
ancora a questo vale molto il sief de' fieli.
L. IX, cap. 23 bis rubr.Ancora de l'enfiamento de le palpebra e de' peli ke
tornano inn entro.
L. IX, cap. 23 bis
(+i) Colui al quale
emfiano le palpebra, sì
(i-) ssi epithimi co la
epithima ke noi nominamo nel capitolo de l'
obtalamia.
E de' peli e de le palpebre ke tornano in entro più ke non
debbono e pungono l'occhio.
Se uno
pelo o due de le palpebre fieno tornati dentro e
pungono, sì ssi debbono pilliare ko la mastice o kol suo olio, accioe
ke ssi possano vellere kon tucte le radici; e le luoghora onde si
vellono con ferro
aguto, sì com'è l'agho, s'ardano e incendano. E
s'elli sono molti, mistiere è ke la carne de le palpebre si
tallie. Ma
parlare di queste cose trapassa la
misura del nostro libro.
L. IX, cap. 24 rubr.Capitolo .xxiiij. De l'acqua ke kade nelli occhi.
L. IX, cap. 24Quando a alcuno appare k'elli abbia dinançi da ssé
cimici o altri
corpi, e cose piccole subtili e risplendienti, la qual cosa aviene alcuna
volta per cagione de lo stomacho, alcuna volta per proprio nocimento
e male dell'occhio, per la quale cosa la diferentia intra questi due si
dee considerare e non si dee questo avere a schifo, allora, questo
accidente. Imperciò ke quando per cagione de lo stomaco aviene, non
è molto da
curarne ke faccia nocimento a lo stomaco, e quando
quello aviene per propia cagione e vitio dell'occhio, sì n'è molto da
doctare, imperciò che questo è
cominciamento d'acqua. E questo
male tanto quanto ella è ricente e nel
cominciamento sì ssi puote
guerire, ma quando ella è già venuta a perfettione non, se no col
talliare e con ferro, e forse il talliare varrae pocho. Per la quale cosa la
diferentia intra queste due maniere si dee
diligentemente investigare e
inkiedere. La qual cosa è sì come noi diremo. Quando le ymaginationi
ke ssi veggono apaiono a ciascuno occhio, sì dee huomo extimare ke
quello avengha allotta per viçio de lo stomacho, e se non, no. E
quando quelle cotali
emaginationi apaiono più ke non solliono
quando huomo àe fastidio e abominatione, et è pieno e satollo, e àe
male smaltito il cibo, e quando huomo àe sofferto fame e faticha
meno e più pocho apaiono, allora dee huomo extimare ke quello sia
da lo stomacho. E da ch'elli sono già passati due mesi ke queste
ymaginationi
cominciarono ad aparire, o più, e ne la
pupilla e luce no
ne àe huomo veduto conturbatione, sì dee huomo extimare che
quello sia da lo stomaco.
Quando queste
extimationi fieno ragunate,
dae a bere le pillole
cotie. E se 'l male va via di tuto in tucto, extima
già ke le predette cose sono certificate.
E s'elle apaiono tanto
solamente all'uno occhio e sono a ogne hora in uno modo, è da
extimare il vitio de la predetta acqua essere presso a venire. E quando
questo male sia propiamente nell'occhio, sì ssi dee comandare a lo
'nfermo k'elli non si scemi sangue co le ventose, cioè coppette, né del
collo né del braccio, e non manuchi
pesi né altre cose ke abbiano a
umentare e a
ramollire.
E 'l corpo si dee spesse volte solvere e
muovere colle pillole
cotie, e lo 'mfermo si dee notricare ko le cose ke
abbiano a disecchare e a riscaldare, e lli è a dare bere
ydromelle e da
meterli nelli occhi sief di fieli.
La cui discritione è
questa.
Sief di fieli che giova all'acqua ke scende all'occhio nel
cominciamento e alla dilatione e allargamento de la
pupilla, e a coloro
ke non vegono dipo 'l sole tramonto, e a la
tenebrositade del viso k'è
per kagione d'omore.
Recipe:
fiele di grue,
sabot, di beccho, de lo sparviere, de l'
agullia, de la
pernice, di tutti questi secchi, vino, o più, si piglino e per
ogne
.x. dr
.; di questi secchi: d'euforbio,
koloquintida, serapino ana
dr
. .j., triti si ragunino, e col sugo del finochio tenero si mettano
nell'ochio
.
L. IX, cap. 25 rubr.Capitolo .xxv. Di quelli che non vegiono dopo il sole
tramonto.
L. IX, cap. 25Quelli che non vegono dopo 'l sole tramonto è utile cosa a
ssovenire loro in questo modo, cioè fendere il fegato de la capra e
porre sopra l'uno talliamento e fendimento pepe lungho, e coprire
quello talliamento e fendimento coll'altro fendimento, rimanendo e
stando in mezo il pepe lungho, e poscia metterlo nel forno e
lasciarlovi stare tanto ke ssia arostito, e non si disecchi. E quando
questo è fatto, il pepe lungho che era in mezo si prenda e si pesti
molto bene com poko moscado, e poscia di quello liquore e
humiditade ke uscirà del feghato arostito e ke sse ne potrà fuori
priemere, sì si spargha o ssi secchi, e si metta nell'ochio. O il fiele de
la capra mescolato col mèle ne la caza (o nel vasello) sopra 'l fuoco si
mescoli, e poscia il radio (cioè quello strumento) si n'ungha e si metta
nell'occhio. E quello ke più vale a questo è ke 'l sief de' fieli si metta
nell'occhio. E se queste cose nom bastano, sì ssi solva e muova il
ventre, e il sangue si scemi de le due vene del capo e de la fronte, e 'l
regimento e la vita si sottigli.
L. IX, cap. 26 rubr.
Capitolo
.xxvj. De l'alargamento de la
pupilla.
L. IX, cap. 26Quando la pupilla, cioè il forame k'è nel nero dell'occhio,
a tanto appare ke ssi allarghi ke ssia mestiere ke d'ongne parte
pervengha infino al bianco, e questo avengha con grande dolore di
capo, picciola fidança puote huomo avere nel suo guerimento. Ma sse
l'alargamento e 'l dilatamento fia picolo, sì ssi dee muovere il ventre
assiduamente e spesse volte colle pillole cotie, e si metta nell'occhio
sief di fieli. E s'elli aviene kosa ke la pupilla s'allarghi dipo percossa o
ffedita, non è da avere paura, imperciò ke sse ne manderà via.
Facciasi, dunque, empiastro co la farina de le fave, e kamomilla, e
malvavischio, e vino, e acqua.
L. IX, cap. 27 rubr.Capitolo .xxvij. De le fistole ke ssono ne' kanti de'
lacrimali delli occhi. Rubrica.
L. IX, cap. 27Quando il canto del lagrimale dell'ochio
resuda e quando si
prieme, si n'escie
putredine e fracidume, sì ssi intende k'elli v'abbia
fistola, la quale si medicha kol
kauterio.
Ma parlare di queste cose è più che non apertiene a questo
nostro libro, e noi v'abiamo già trovato medicina, la quale, se l'huomo
la farae, farà tardare in tale maniera per molti
mesi ke quasi lo
'mfermo paia sano.
E l'altra medicina.
Recipe: alloe, incenso, sarcocolla, sangue di dragone, balaustie,
antimonio, allume per iguali parti,
çimar (cioè verderame) quanto una
quarta parte dell'uno, e se ne faccia sief. E quando elli fia mestiere, la
fistola si priema tanto che tucto quello che v'è dentro n'escha fuori, e
poi giaccia di sotto nell'altro lato, ove no è la fistola.
E del predetto sief si disolva alcuna cosa ne l'acqua, de la quale
tre
gocciole, o quatro, si mettano nel canto lacrimale, mettendo in
mezo grande peza tra ll'una gocciola e l'altra. E quando questo fie
facto, lo 'nfermo giaccia così per tre hore, e la mattina del sequente
die priema molto bene la fistola, e faccia quello medesimo
medicamento.
La quale cosa si conviene fare per una septimana, e
ancora sì llunghamente che de la fistola niuna cosa escha quando si
prieme, e per questo cotale medichamento il luogho starà seccho e
asciutto per molti mesi, e ciò è cosa provata
.
De' medicamenti delli occhi quanto noi
crediamo ke ssia
mestiere in questo luogo,
crediamo ke ssia già assai detto. Ma ll'altre
cose ke ssono de le
cure ke ssi fanno con ferro
lasciamo stare,
imperciò ke ànno mestiere di molti
medichamenti, ma elli sono certe
cose di queste ke noi abbiamo tractato ne le luoghora ne le quali noi
tractamo de la
dicoratione e nel libro di guardare la santitade. E
averne ivi diterminato, sì ne passeremo più brievemente.
L. IX, cap. 28 rubr.Capitolo .xxviij. De li medicamenti delli orechi.
L. IX, cap. 28
Se co la doglia ke ssi fae ne l'orecchie sia
emfiamamento nel
volto e
tempellamento, sì ssi converrà scemare sangue de la vena del
capo, e olio rosato e olio di fiori di salci tiepido com poco aceto si
dee mettere nell'orecchie, e 'l lacte così caldo com'elli esce de la
poppa vi si dovrae gittare e mugnere dentro molte volte. E 'l ventre
molte volte si conviene muovere koi mirabolani citrini, e cum la
scamonia, e cum lo aloe fortemente, la quale chosa se facia im questa
maniera: de' mirabolani citrini si prendano dr
. .xx., e
polverizati in
due libre d'acqua si cuocano tanto ke reggano a' due terçi d'una libra,
e si colino. E apresso si prenda aloe dr
. .j., e
scamonea la sexta parte
d'una dr
., e si ragunino kol rob de le mele cotogne, e se ne facciano
pillole, le quali si prendano per due hore ançi ke
pigli la dicotione; e
poscia si bea la dicotione. E s'egli
adiviene cosa ke la doglia non si
diparta, um poco d'op
io in olio rosato risoluto si gitti ne l'
orekie. E
se 'l battimento torna e persevera per tre die, olio sisamino, nel quale
grasso d'anitra o di gallina sia
risolvuto, si metta ne l'orecchie spesse
volte, imperciò ke allotta v'è entro
pustola, la quale à mestiere di
maturarsi. E quando la dollia comincia a
ccessarsi, et è quasi andata
via, la
putredine è già racolta. Per la qual cosa la
putredine
subitamente esce de l'orecchie. E quando 'l duolo si fa ne l'orecchie
dipo fastidiosa satietade, cioè dipo 'l fastidio per troppo manichare, o
dipo venti freddi, olio nel quale ruta e cipolle sieno cotte si
distilli
nell'orecchie. E se queste cose nom bastano, olio nel quale turbitti sia
cotto vi si distilli, e si prenda olio di lillio, e a ciascuna sua on
. vi si
mescoli euforbio ricente dr
. .j., e castoro dr
. .j. E se ancora queste
cose nom bastano, il ventre si solva ko le pillole
cotie, e lo 'nfermo
entri nel bagno, nel quale sudi, e li si dea vino forte a bbere o vecchio,
cioè possente e buono.
E se col dolore dell'orecchie è suono e tuono e ventositade,
panicho (overo millio arostito ne la
padella) caldo molte volte si
ponga sull'orecchie e 'l tengha sopra 'l
vapore de l'acqua, ne la quale
siano cotte mentastro, e
maiorana (persa), e
sticados. E si metta
ancora nell'orecchie del
castoro e dell'euforbio
disollvuti nell'olio del
sambuco, de' quali ciascuno pesi
.iiij. granella d'orço.
L. IX, cap. 29 rubr.Capitolo .xxviiij. De la doglia e del dolore delli orecchi.
L. IX, cap. 29Al dolore e al tuono dell'orecchie.
Recipe: castorio, mirra, sale nitro ana drama .j., heleboro
biancho dr. 1/2, zafferano la quarta parte d'una dr., bollano co la
metade de' capi de' porri e coll'altra metade d'aceto, e si guardino, e
tiepido si metta nell'orecchie.
L. IX, cap. 30 rubr.Capitolo .xxx. Del tonamento delli orecchi.
L. IX, cap. 30
Quando elli esce la
putredine e 'l fastidio dell'orecchie molte
volte in uno die, si dee
distillare
ydromele tiepido nell'orecchie, e
apresso vi si dee mettere la medicina ch'è molto buona a cciò,
la cui descriptione è questa.
Recipe: sarcocolla, alloe, sangue di dragone, incenso, scama di
ferro, verderame e di questo si disolva nell'aceto e nelle orecchie si
metta. E il lucignolo uncto nel mèle s'intingha ne le predette cose e si
metta nell'orecchie. E in questa maniera si medichi con questa
medicina e co l'
ydromelle tanto che ssia sano.
L. IX, cap. 31 rubr.Capitolo .xxxj. Di quel medesimo tuono de l'orechie.
L. IX, cap. 31Lo suono e tuono de l'orechie forse avengono alcuna volta per
la sottilitade del senno e del
sentimento de l'udire e de la sua
kiaritade, il cui
segno è che elli cresce nel tempo de la fame, e nell'ora
de l'ebrietade e de la
satolleza menoma. Le quali cose non ànno
mestiere di proprio
medicamento, se cosa non fosse ke troppo
soperkiassero e fossero forti, e allotta vi si dee mettere de l'oppio ke
ssia disoluto nell'olio, tanto quanto due
granella d'orço pesano.
E se queste cose avenissero kon graveza di capo e com deboleza
de l'udire, olio di seme di
rafano, e olio di mandorle amare, e olio
rosato, nel quale castorio sia dissoluto, vi si debbono mettere. E
l'orecchie, si dee porre sopra il
vapore de l'acqua ne la quale sieno
cotte
maiorana, e
sticados arabico, e absenço, e mentastro, e origano.
E 'l ventre si dee solvere molte volte kolle pillole
cotie, e menomare i
cibi, e lasciare stare il vino.
L. IX, cap. 32 rubr.Capitolo .xxxij. De la gravezza dell'udire, quando
l'uhuomo ode male.
L. IX, cap. 32Quando nell'udire aviene gravitade, cioè ke huomo oda male, sì
dee uomo considerare k'elli non vi sia ordura, la quale è kiamata cera
dell'orecchie. E s'ella v'è, sì sse ne netti o ko le medicine, sì come noi
dicemo, o con mano. E se non v'è ordura, e questo avengha dopo
satietade kon fastidio, la quale andoe dinançi o dipo
enfertade acuta,
l'orecchie si dee porre sopra il
vapore dell'acqua nella quale sieno
cotte quelle cose ke noi dicemmo,
postovi in mezo il
tragietorio (cioè
canna
forata, o altra cosa, per la quale passi all'orecchie il
vapore), la
qual cosa si conviene fare in questa maniera.
Queste cose si mettano in uno vasello ke abbia la boccha
stretta,
e iv'entro si cuocano. E poscia quello cotale
tragitatoio, cioè kanna o
similliante cosa forata, si metta in quello cotale vasello e, acciò ke 'l
vapore no ne possa uscire, sì si volga kon uno panno e l'orecchie si
pongha sopra la boccha del
tragietoio.
E ancora questo sief si metta nell'orecchie. La cui descriptione è
questa.
Recipe: coloquintida dr
. .j.,
baurach la terça parte d'una dr
.,
castorio,
aristologia rotunda, sugo d'assenço ana dr
. 1/2, costo la
quarta parte d'una dr
., euforbio la sexta parte d'una dr
., fiele bovino
quanto basta a le predette cose fare; e si faccia di queste cose sief. E
quando fie mestiere, uno
resolvuto ne l'olio de le mandorle amare si
metta nell'orecchie, e questo è molto utile al dolore flematicho, cioè
k'è per kagione di flemma e di ventositade, e al suono e al tuono ke
fosse per kagione di grosso vento, e a la
sordeza che fosse per
cagione di grossi homori.
E s'elli aviene cosa ke la deboleza dell'udire avengha dopo 'l
digiuno, o dipo troppo veghiare, e 'l volto sia
sottilliato, e gli occhi
conchavati, sì entri lo 'nfermo spesse volte nel bagno, e più bea e più
manuchi che non suole, e più dorma; sopra 'l capo si getti dell'acqua
tiepida tanto che elli guerisca.
E s'elli aviene cosa ke questo avengha dipo la frenesia, sì ssi
medichi co le medicine primaie.
L. IX, cap. 34 rubr.Capitolo .xxxiiij. De' vermini delli orechi.
L. IX, cap. 34Quando nell'orecchie sarae
tintillamento, e
plurito, e dolore, e
poscia ne
caggiano fuori vermini, mettasi nell'orecchie del sugho del
mentastro, o di
foglie del pesco, o d'olio di noccioli di pescho, o aloe
si disolva ne l'acqua e si metta nell'
orekie; imperciò che queste cose i
vermini dell'orecchie, e i piccoli animali ke v'entrano dentro, e i detti
animali, quando saranno nell'orecchie e quando nascono nelli
ulceri,
uccidono.
L. IX, cap. 35 rubr.Capitolo .&[x&]xxv. Di quelle cose ke di fuori entri nelli
orecchi.
L. IX, cap. 35Quando alcuna cosa si
ficcha nell'orecchie, sì vi si dee mettere
olio tiepido, e dee lo 'mfermo entrare nel bagno ov'elli dimori,
tamto
ke il suo corpo si
ramollischa. E poi si
soffii nel naso lo
nasturzo e
tengasi l'alito acciò k'elli starnuti, e forse in questo modo e maniera
n'uscirà fuori; e se non n'escie fie mestiere ke con ferro ke ssi metta
nell'orecchie se ne tragha fuori. La quale cosa si dee altressì fare nel
naso, se alcuna cosa vi fosse entrata ke no ne potesse uscire fuori.
E se ne l'orecchie fosse entrata acqua,
inchini il capo da quella
parte dell'orecchie e salti lo 'mfermo; e se così non uscisse, si faccia
(sì come noi dicemo) starnutire, e poscia vi si metta l'olio tiepido
molte volte. E questo non si dee avere per picola cosa, e
maximamente se v'è entrata cosa che abbia mala qualitade, imperciò
ke perciò se ne seguiterebbe grave dolore e doglia.
L. IX, cap. 36 rubr.Capitolo .xxxvj. Di quelle cose ke ristangnano il sangue
del naso.
L. IX, cap. 36Di quelle cose ke ritengono ke 'l sangue non escha fuori del
naso sì è il sugho
abideregy, quando la camphora vi sarà
disolvuta
dentro e messo del naso. Imperciò ke giova a colui k'è acostumato
d'avere questo male a esservi
gittato ançi ke ll'avengha, o in quella ora
ke 'l male è; o si prenda
gesso, e
cenere di carta di panno, e galla, e
sangue di dragone,
kalcina, çegi, e si ne faccia polvere, e
soffisine nel
naso; o lucingnolo in loro intinto si metta nel naso; o si
polveriçi
l'
alume, overo
alcahol, con anello della sua quantitade si soffino nel
naso.
E s'elli aviene cosa che ancora esca fortemente, le parti di sopra
delle braccia presso a le ditella kon una benda, e le coscie presso a la
'nguinaia si leghino, e i collioni si debbono legare similliantemente. E
s'elli avien cosa ke 'l male crescha troppo, tolghasi sangue de la vena
del capo di quella medesima parte onde il sangue esce. E s'elli aviene
cosa ke perciò non si
ristringha, grandi coppette si ponghano sul
ventre col fuoco da quella parte onde esce il sangue.
Medicamento k'è molto forte a
ristrignere il sangue.
Prendasi la
calcina bianca e lieve, la quale usano li orafi, e spesse
volte se ne
soffi nel naso sança interponimento di tempo, e
lucingnolo unto ne l'albume de l'huovo se ne
involgha e si ne metta
nel naso.
L. IX, cap. 37 rubr.Capitolo .xxxvi&[j&]. De l'ulceragioni del naso.
L. IX, cap. 37Quando nel naso sarano ascare, cioè cotali schianze, sì vi si dee
mettere cera e olio e grasso di gallina dentro, e sughi e atragha acqua
calda molte volte la mattina per alquanti die. E quando le bolle
comincerano a gittare, sì ssi metta nel naso uno lucignolo bagnato in
forte aceto, nel quale aceto ' sale sia messo, e se ne pongha ancora
sopra il naso ké, ciò operando e facendo, sì ssi seccheranno e non si
prolungherà la loro dimorança. E s'elli aviene cosa ke ivi sieno ulceri,
sì ssi medichino coll'unguento di cerusa (cerusa, cioè biaccha).
L. IX, cap. 38 rubr.Capitolo .xxxviij. Del polippo del naso.
L. IX, cap. 38Quando nel naso fia nata
karne molle, e ssì come disoluta e
disfacta, rossa o
biancha, e 'l naso comincerà a ingrossare o a
empiersi di questa cotale carne, primieramente si dee scemare sangue
de la vena del capo, e poscia si dee uno lucignolo ugnere de
l'unguento verde da corrodere, ke noi contamo e facemo mentione
nel capitolo di quelle cose ke ànno a corrodere, e si dee mettere nel
naso. E se questo nom basta, sì vi si pongha il
medicamento acuto ke
noi scrivemo quivi, tanto ke del tucto in tucto sia mundificato. E
alcuna volta questo kotale male si cura e sana con ferro, talliando del
tucto in tucto la radice; ma i medici alcuna volta errano in questo,
onde per lo loro
medicamento lo 'nfermo incorre in grande
nocimento, imperciò ke in questo luogo
kancro nasce molte volte.
Ma certo quando cancro nasce in questo luogho, né ssofferire puote
le medicine acute, né con ferro vi si tagli, ançi àe mestiere ke
soavemente vi si adoperi e con medicamenti lievi, e se
guerischa collo
scemare del sangue e con medicina da ffare uscire. E s'elli conosce se
quello accidente è
kancro, imperciò k'elli è duro e
perviene alcuna
volta infino al palato (ma quando il naso è duro e seccho e no è in lui
humiditade alcuna), sì ssi conviene molto guardare ke questa cotale
infertade, e
similliante a llei, non si tocchi con ferro né con
medichamento acuto.
E se quello ke nel naso è nato è
karne molle e ne
digocciolano
homori, e quando il naso si strigne, si truova molto molle, e quando
elli si toccha non si truova sodo al toccho, non conviene avere paura
k'elli non si possa medicare con ferro e con medicine.
L. IX, cap. 39 rubr.
Capitolo
.xxxviiij. Del
perdimento de l'
odorato, quando
huomo non sente
puço né odore.
L. IX, cap. 39Quando il senno e 'l
sentimento, kol quale le cose ke ssi
odorano e fiatano si
congnoscono, sarà perduto, e nel naso fia
cresciuta
superflua carne, e ll'aere se attrae altressì lievemente kome
dinançi, e li occhi e li altri sensi stanno
naturalmente nel naso, si
converrà soffiare polvere sottile come
alcol, il quale si faccia di
condisi, e d'
archanitha, e sale armoniaco; e a lo 'nfermo si comandi
ch'elli ponga il naso molte volte al
vapore ffatto d'aceto caldo. E se
queste cose non bastassero, sì ssi
soffi nel naso quelle cose ke noi
nomineremo, la cui descriptione è questa.
Recipe:
neella, fiele di grue,
kolloquintida,
eleboro bianco ana
parti iguali,
polveriçinsi e pongansi ne l'urina del canmello
arabico, in
tanta quantitade ke ssi possa choprire, e ponghasi al sole tanto che ssi
secchino e poi apresso se ne faccia sief. E quando fie mestiere uno di
loro ke ffia grande come una lenta, posto nell'olio del sambuco, e' si
metta nel naso, imperciò k'elli è molto buono a cciò; e se per questo
ke si mette nel naso forte doglia se ne seguiti, sì vi si dee mettere
dell'olio del seme de le çucche, e si gitti i· sul capo de l'acqua calda, e
sughi quelle cose ke ànno a
humentare e a
ramollire sì come tisana,
cioè ad orzo, e quello manicare ke ssi fae de l'acqua de la cruscha e de
la farina e somillianti cose.
E questo sì è il
medicamento a coloro che ànno perduto l'odore,
et è molto provato, il quale si
confice e fae in questa maniera:
neela si
polverizi e pesti tanto ke ssia bene sottile, e si mescoli
coll'olio vecchio. E poi lo 'nfermo empia la boccha d'acqua e
imkini il
capo adietro quanto egli puote il più, e allotta del predetto
medicamento alquante
gocciole si
distillino nel naso. E a lo 'nfermo si
comandi ke, quanto elli puote, il più si sforzi d'attrare a ssé l'aria, la
quale cosa si convien fare in tre dì tre volte.
L. IX, cap. 40 rubr.Capitolo .xL. Del dolore de' denti.
L. IX, cap. 40Se la
gengia kol dolore de' denti è sanguinosa, e
apostemosa, e
rossa, ' è
apostematione com batimento e
tempellamento, traghasi
sangue co le coppette, scemato sangue innançi de la vena del capo, e
poscia tengha ne la boccha alquanto aceto e olio rosato. E se per
questo non guerisce e sia il
tempellamento forte e con
emfiamento, sì
ssi pesti
kanfora e piretro, e si mettano ne le radici de' denti. E
quando fieno disolute e disfacte, sì vi si mettano un'altra volta, e di
sopra sì vi si metta bambagia molle con olio rosato. E se la dollia
alcuna volta cresca e diventi più forte, la sexta parte d'una dr
. d'oppio
si disolva e disfaccia ne l'olio ro
sato, del quale bambagia o panno
lino se ne
molli et
embiuti, e si metta ne la radice del dente. E se per
questo il duolo non si diparte, il luogho si dee
scarpellare colla
lancetta o kon altro ferro, e le mignatte vi si debbono porre suso.
E se la
cingia no è
apostemosa, né piena di sangue, né la doglia
v'è con
tempellamento, né nel volto è
enfiamamento, overo ke la
dollia avengha dipo fastidio per troppa
satolleza e riempimento di
cibo e dipo cena, e abbia manicato di cibo freddo molto, il ventre si
dee disolvere ko le pillole
cotie, e freghare e stropicciare le radici de'
denti dolliosi kon questa medicina.
Recipe: senape, piretro,
sataragi,
baurach, gengiovo, pepe e di
queste cose
polveriççate le radici de' denti si
stropicino, e la bambagia
uncta e
imbiutata con essi si ponga sopra le radici de' denti, poi che lo
'nfermo avrae lavata la boccha coll'aceto, nel quale fieno cotte
piretro, mentastro e
origamo. E sopra la mascella di fuori si dee porre
panico, overo millio arostito ne la
padella, o il dente e la sua radice si
stropicci ko la polvere del pepe mescolata col mèle.
E se queste cose nom bastassero questa triacha si metta ne le
radici de' denti, la quale si fa in questa maniera.
Recipe: castorio, asa, pepe, gengiovo, storace ana per iguali parti,
e si conficiano col mèle, e s'
anministrino, e lo 'mfermo ancora per
alquanto tempo si sofferi e si tengha ke no manuchi e stea affamato,
et entri nel bagno, e usi il
movimento e la faticha.
E colui ke per queste medicine non guerisce, sì ssi metta il ferro
ardente e imbrasciato molte volte ne la radice del dente e si
'radichi e
metta fuori de la boccha. E s'elli è corroso, sì ssi riempia co le
medicine ke noi abiamo nominate ke ssono
corrosive, e si ne tragha
fuori.
L. IX, cap. 41 rubr.Capitolo .xLj. D'insegnare trare i denti e di 'radicharli.
L. IX, cap. 41
Medicamento di grande efficacia il quale, quando si mette ne la
radice del dente, sì 'l costrigne e rompe e mitiga il suo dolore.
Prendasi
kebikegi et erba, pepe e trita, e ko l'
alcatrano (o kon
alcaterno) si
scompargano e
inmollino, e se n'empia.
Medicamento il quale i denti deboli e quelli che dogliono ke ssi
voliono trare
eradicha.
Prendasi de le scorçe de le radici del
moro, e de le radici del
cappare, e piretro, e 'l latte di
tottomallio, e lacte d'ana bula, e
aurpimento rosso, e radice di coloquintida, e trite con tanto aceto si
scompercano e si
ramollino ke basti.
E l'aceto per una settimana una
volta il die, sì come dinançi, vi s'agiungha. E dipo questo i denti
intorno si
scalçino, e de le predette cose
.x. volte il die s'
epitimi tanto
k'elli sieno agevoli a muovere, e cosie si traghano, o si faccia epithima
colla feccia de l'aceto molto acuto per molti die, e poscia se ne
traghano fuori, o le rane de' fiumi si cuocano ne l'olio tanto ke ssi
disolvano. E quando fie mestiere, le radici de' denti si
scalcino, e di
questo olio s'ungano molte volte tanto ke ssi possano muovere
agevolmente e poscia si tragano
kollo strumento d'atrare i denti.
L. IX, cap. 42 rubr.Capitolo .xLij. Da torre via l'allegamento de' denti.
L. IX, cap. 42
(+i) Per torre via l'
aleghamento de' denti e de la loro
kongelatione, e
adormentamento de' denti
(i-): porcellane e mandorle amare si
mastichino o con simillianti a questi; o elli si faccia
stropiciamento kol
sale e si mastichi la cera,
(+i) o faccia altre kose ke noi dicemo quando
tractamo de la propietà de la porcellana.
(i-)
L. IX, cap. 42 bis rubr.
Di coloro ai quali
duole i denti per chagione dell'aire
freddo e sua cura. Rubrica.
L. IX, cap. 42 bis
(+i) Quelli al quale duole i denti per kagione dell'aire freddo, sì vi si dee
porre suso
(i-): olio caldo nel panno vi si dee porre suso, o tuorla
d'uova arostite calde mastichi molte volte, o elli morda il pane caldo
molte volte, o elli si faccia
stropiciamento coll'olio del
gillio
salvatico,
o di balsamo.
E quando
cola, cioè bolla, apare ne la lingua, se le bolle sono
rosse, prendasi:
anthera, cioè quello cotale fiore k'è dentro a la rosa quando le
foglie ne sono levate,
amido, spodio,
lenti scorticate, seme di
porcellane, coriandro seccho, seme di
fave, o
scierie de
matho ana
parti iguali, e uno poco di
camphora, e di queste cose polveriçate si
facia
stropiciamento, e mescolate con aceto, e con olio rosato, e
acqua rosata, si tengano in boccha, e si scemi sangue co le coppette.
E se le
pustole fossero bianche, sì ssi
stropiccino kol sale e col mèle, e
sciroppo acetoso si tengha in boccha, o
almury (sì è uno savore ke ssi
fae).
(+i) E queste cose sono di grande efficacia a la detta dollia.
(i-)
L. IX, cap. 43 rubr.Capitolo .xLiij. De le gengie sanguinose, come si debbono
curare.
L. IX, cap. 43Quando de le gengie sangue sottile esce assiduamente, sì ssi
prenda di ciascuno arsenicho, cioè rosso e giallo, e de la
kalcina, e de
le galle per iguali parti, de le quali, polveriçate e mescolate con aceto,
sì ssi formino piccoli trocisci. E quando fosse mestiere, di loro
pulverizati si prenda quanto è la sexta parte d'una dr
., e si
stropicino
kon esso le
gingie molto bene.
E così dimori um poco e poscia
tengha l'olio rosato im boccha, imperciò ke questo è maravilliosa
cosa a questa infertade guerire, e a la
putredine e a l'
erpete
estinomeno ke à la boccha.
L. IX, cap. 44 rubr.Capitolo .xLiiij. Del cadimento de l'uvola.
L. IX, cap. 44
Quando lo 'mfermo sente alcuna cosa essere ne la radice de la
lingua, o ne la gola, e quando huomo li comanda ch'elli apra la
boccha e traggha fuori la lingua, apare l'uvola sua ke ssia già
fluxa e
distesa e
alumgata, sì ssi prendano
raumech, e sale armoniacho e,
bene
polverizati co lo strumento da
insoffiare, sì ssi soffino sopra
ll'uvola e di loro si pongha um pocho in sulla somitade di quello
stromento, e con esso si
diriçi a la radice dell'uvola, et ella si tragga
um poco in fuori co lo strumento, o melagrana acetosa sì ssi pesti co
la sua polpa e si faccia con esso gargarismo. E s'ella dimora
lungamente in questa maniera così dilungata, e la sua parte di sopra
sia
sottilliata, e 'l suo capo sia ritondo, sì ssi dee talliare infino a la
radice. Ma ssì ssi conviene guardare ke ançi che così (chome noi
dicemo)
disposita si tagli, imperciò ke per questo si seguita alcuna
volta fluxo di sangue, il quale non si puote costrignere.
L. IX, cap. 45 rubr.Capitolo .xLv. De le mignatte ch'entrano ne la ghola.
L. IX, cap. 45Quando alcuno sente ne la sua gola
titillatione, et elli n'esce
fuori sangue sotile, sì dee huomo allora extimare e credere k'elli àe
mingnatta ne la sua boccha, e magiormente s'elli àe bevuta acqua
i· lluogo ove sono
sanguisciughe, cioè mingnatte. Onde la boccha de
lo 'nfermo si dee aprire, e la lingua se ne dee fare trare fuori e
priemere in giù, e porre
mente la gola al sole.
E se l'huomo vedrae la
mingnatta
pendere in luogho
prociano,
sì sse ne dee trare fuori ko le
forpici, ko le quali le saette si traggono
fuori de le carni; il quale si fa in questa maniera: il kapo dal quale
pende si dee
strignere, e in questa maniera se ne tragha. E s'ella no è
manofesta o non si veghia, lo 'nfermo molte volte
gargariççi senape
con aceto, imperciò k'ella si partirà del luogo ov'ella è, o si faccia
gorgolliamento d'aceto e di sale e d'asa. E ancora
neella o senape trite
vi s'
insoffino dentro e si faccia ancora gargarismo del sugo de la
cipolla.
E se po' 'l suo
kadimento rimarrae a lo 'mfermo
resudamento di
sangue, facciasi gargarismo de la dicotione, ne la quale la scorça de la
melagrana e balaustie e sumach sien cotte, e s'
insoffi ne la gola
polvere di balaustie, e d'incenso, e di sangue di dragone, e amido. E
se la mignatta è apicchata a lo stomaco, sì si dea medicina per la quale
i vermini si mandano fuori. E di quelle cose ke le mignatte fanno
uscire fuori, sì è che lo 'mfermo entri nel bagno, e tanto vi stea ke elli
abbia grande sete, e allotta tengha im boccha acqua raffreddata ne la
neve. E quando ella si comincerà a riscaldare, sì la sputi e
pigli
dell'altra, imperciò ke la mignatta alcuna volta viene a la boccha
cercando del freddo e andandolo chaendo.
L. IX, cap. 46 rubr.Capitolo .xLvj. Di quelle cose k'entrano ne la gola, o spina
o osso.
L. IX, cap. 46
Quando quello che emtra ne la gola e vi si
ficcha dentro, o nel
meri, fosse grande boccone (o altra cosa a llui somilliante, di quelle
cose che non ànno peççi fenduti contenuti i· llor, o aguti), giova, e
molte volte,
perkuotere lo 'mfermo nel collo, molte volte di dietro, e
spesse volte
tramghiotire acqua; forse
discenderae giuso e lo 'mfermo
entri nel bagno e
tranghiotischa molte volte de l'olio. La quale cosa,
poi ch'elli l'avrae facto, sì ssi
tranghiotisca grandi boconi. E s'elli
aviene cosa che non discenda, instrumento, il quale è somilliante a
quello ke ssi suole dire qui di sotto, si metta ne la boccha. E quello
cotale strumento è di piombo, il quale conciosiacosaké elli sia
somilliante a la rete è lungho, il quale à in sé
gibositade e
kolmeza,
overo
scrignuteza.
L. IX, cap. 47 rubr.Capitolo .xLvij. De la graveza de la lingua. Rubrica.
L. IX, cap. 47Quando la lingua fia grave sanza li altri membri, e lo 'mfermo
non avrae avuta né febre né acuta infertade, sì ssi prendano sale
armoniaco, pepe, gengiovo, senape biancha, e piretro, e
staphisagria,
e
baurach (cioè salsume), e origano, sale
yndo,
neella, maiorana
(cioè persa) seccha, e si
cuokano in acqua o sse ne faccia
gargharismo, o
gorgolliamento, ma si guardi molto bene lo 'nfermo
k'elli non ne mandi fiore giuso puncto, o lo 'nfermo a
ddigiuno per
molti die
gargarizi, o
gorgogli, almuri
nabati, o e' si faccia gargarismo
d'aceto o di piretro. E poi ch'elli avrae lasciato di
gargharizare, sì ssi
prenda il sale armoniaco, pepe, piretro e senape per iguali parti; e
quando fieno bene pesti, sì ssi strupicci la lingua lunghamente. E se
colla graveza della lingua e' vi sia graveza de l'udire e delli altri sensi,
sì come male vedere e male udire e similliantemente delli altri, sì ssi
medichi lo 'mfermo secondo la dottrina, la quale la parlasia si
medicha.
E se 'l parlare fia agravato nelle febbri acute, e tu lla vedrai in
quella graveza del parlare
sottilliata e abreviata, cioè
acorciata,
spasmata e
contracta, sì ssi gitti l'acqua
kalda sopra i principi delli
sponduli del collo, cioè sul capo di dietro, o delli orecchi, e ungasi
coll'olio; e lo 'mfermo dee tenere olio tiepido in boccha. E s'egli è
gram tempo ke 'l parlare non finoe di menomare, o ancora sempre si
dee huomo considerare se 'l leghamento di sotto, kol quale la lingua
si lega, sia magiore ke non dee, e se così è, sì sse ne dee talliare
um poco, e
dêvisi mettere dentro del zegi
polverizato.
L. IX, cap. 48 rubr.Capitolo .xlviij. De la lingua che ingrossa che nom kape
ne la boccha.
L. IX, cap. 48
Quando elli aviene cosa ke la lingua
emfi sì ke per la troppa
grandeza ella escha fuor de la boccha, sì ssi dee stropiciare ko le
cipolle e co la
acetositade del cederno, cioè kol suo sugho, e kol ribes,
e col sugo de le
mèlegrane acetose, tanto ke molta saliva escha e coli
de la boccha, e in questa maniera
disemfia e torna a la primaia
misura.
E se questo nom basta, sì ssi stropicci con sale e con aceto, e se
questo non giova, sì ssi scemi sangue d'ambindue le vene del capo
primieramente e poscia de la vena k'è sotto la lingua.
L. IX, cap. 49 rubr.Capitolo .xLviiij. De la ghiandola k'è anodata sotto la lingua
e de la sua cura.
L. IX, cap. 49Quando sotto la lingua è una ghiandola nociva, cioè ke ffaccia
male, nel chominciamento kol sale armoniacho e co le galle si dee
stropicciare. E se cosa è k'ella sia vecchia, sì ssi dee stropicciare col
medicamento de le gengie sanguinose, il quale è medicamento acuto,
e lo 'mfermo tengha im bocca aceto e sale.
E lli apostemi che ssi fanno ne la lingua si debbono medicare
con quelle cose kolle quali si medicano quelli ke noi abiamo detto di
sopra.
L. IX, cap. 50 rubr.Capitolo .L. De la squinantia, cioè de l'apostema de la ghola.
L. IX, cap. 50
Quando nel
tramghiottire si sente angoscia, sì è presente quello
male il quale è kiamato
squinançia, la cui gravitade e la cui leveza si
puote cognoscere secondo la
stretteza de la gola e la sua quantitade.
Quando elli è
streteza e angoscia di mandare giù il manichare e 'l
bere, e nel volto e nelli occhi è rosseza e repretione, nel
cominciamento del
medicamento sì si scemi sangue de la vena del
capo, e si faccia gargarismo kol sugho de le melegrane acetose, ko la
sua midolla, o kol rob de le mele
matiane acetose, o kol rob de le
more, de' seni; e poscia si faccia gargarismo de l'acqua rosa, ne la
quale il
somacho sia
infonduto, cioè stato in molle. E poi ch'elli fia
così facto per tre die, e 'l ventre fia solvuto col sugho de'
fructi, sì
come di susine, e di
thamarindi, e di cassia fistola, e di
terianabyn, sì
ssi faccia gargarismo kolla dicotione de' fichi gialli, e d'uve passe, e co
la midolla de la cassia fistola, ko l'
ydromelle. E se 'l male invecchia, sì
ssi medichi koi
gargarismi e colle
'msoffiationi dentro de'
medicamenti forti che noi diremo. E se nel volto no è rosseza e molta
saliva gocioli de la boccha, e lo 'mfermo sia humido, nel
cominciamento si muova il ventre e solva ko le pillole
cotie, e facciasi
il cristere acuto ke noi nominamo nel capitolo de l'appoplesia.
E quando il male comincerà, facciasi gargarismo
kollo sciroppo
acetoso, o ko l'
ydromelle, pepe e
oximelle, e poscia co l'
almury
nabati. E si faccia ancora gargarismo kon
ydromelle, e con senape, e
di quelle cose ke giovano a la rea
squinantia, e che si tolgha sangue de
le vene ke ssono sotto la lingua, e che ssi pongano sul collo ventose
sança
scarificatione (cioè sança
scarpellamento) kon ferro, e si faccia
epitima sul collo kol mele d'anacardi, tanto ke vi si facciano suso le
vesciche; e si faccia gargarismo kolla senape, e di questa medicina li si
soffi ne la gola, la quale si fae in questa maniera: senape e sale
armoniaco, piretro, nitro, asa, pepe, mentastro si prendano, e di
queste cose col mèle si faccia gargarismo.
L. IX, cap. 51 rubr.Capitolo .Lj. De la tossa aspra e seccha.
L. IX, cap. 51Quando alcuno avrae la tossa et ella è aspra e seccha, e con
rosseza e con chalore, sì ssi dee dare a lo 'nfermo
miraba di viuole, e
acqua d'orzo, e farinata d'orzo, e manuchi
fava infranta, e spinaci
conditi coll'olio e co le mandorle dolci, e ne la boccha tengha
bichike
ke ssi fanno in questa maniera.
Recipe: sugho de la requilitia, zuchero bianco ana dr
. .x.; amido
draghaganti, mandorle dolci scorticate e
monde ana dr
. .v.; e kon
queste kose,
intrise kolla
mucillagine de la granella de le mele
cotogne, si facciano pillole. E se ko la
tossa fia molto sputo, il quale
quando non si puote mandare fuori fae nocimento, e con questa
cotale tossa no è febri né grande menagione di ventre, sì li si dee dare
di questi cotali trocisci.
Recipe: seme di finochio, seme d'appio, sugho di requilitia,
kapello venero, mandorle ana iguali parti, e di queste cose
intrise kolla
mucillagine del seme del lino se
'nformino trocisci (cioè cotali
panellini picoli fatti ne la forma di dadi grossi o piccoli kome ti piace),
de' quali si dea per volta dr
. .iij.; e la dicotione ke ssi dee usare in
questa infertade sì è quella ke noi abiamo già scripta nel kapitolo del
catarro, a la quale si debbono
agiungnere dr
. .v. di capello venero.
E se la tossa è antiqua, e nocevole, e rea, sì ch'ella non lasci
dormire di notte kolui che ll'à, le pillole de storace li si debbono dare
le quali ricevono mirra e storace e oppio per iguali parti. E di queste
cose s'informino pillole a la grandeza de' lupini, de le quali si deano a
lo 'nfermo
.j. o
.ij. a la volta, e bea del sciroppo del papavero, e
manuchi il seme del papavero bianco kol zucchero. E quelli che àe
questa cotale infertade si guardi k'elli non manuchi kose acetose, né
cose salate, né kose
laçe, né agre, né amare.
Fummicamento a la tossa anticha e al puzolente sputo.
Recipe:
aristorlogia lungha, mirra, storace,
gal
. per iguali parti,
e
orpimento rosso tanto quanto tucte l'altre cose, e tucte queste cose
polverizate se
'ntridano kol bituro de la vaccha, de le quali cose si
facciano madaleoni a la quantitade di picole pallottole. E quando
fosse mestiere, sì sse ne facia
fumigio d'uno di loro a
digiuno a lo
'nfermo per lo
tragetorio, cioè per quello strumento
forato come
kanna, ke noi dicemmo.
L. IX, cap. 52 rubr.Capitolo .Lij. De la tossa aspra e seccha e sua chura.
L. IX, cap. 52Quando alcuno assiduamente àe la tossa e nom puote trare a ssé
l'aria se non con grande ambascia, e quando elli giace supino sì è
pegio, e quando elli siede, sì lli è mellio, quella dicotione sì lli si dee
dare, la cui discriptione è questa.
Recipe: fichi gialli dr
. .x.; datteri bene humidi e bene grossi,
seme d'appio, seme di finocchio,
kapello venero, liquiritia, ysopo,
marobbio ana dr
. .v.; e si cuocano in tre libre d'acqua dolce tanto ke
reghano a una libra e si coli. E di questa dicotione sì ssi dea a lo
'nfermo tre die kol peso di tre aurey di questa
confectione, la qual è:
recipe:
suco di requilitia, ysopo,
kapello venero ana dr
. .x.;
kordumeni, pepe, mandorle amare,
aristorlogia lunga e
retunda, seme
d'
orticha ana dr
. .v.; mèle dispumato quanto è mistiere, imperciò ke
questa confettione le superfluitadi ke ssono nel petto manda fuori
maravigliosamente et è molto buona, sì ch'ella è da dare per una
septimana
continuamente. E poi lo 'nfermo, poscia k'elli avrae
manichato senape e mèle, sì ssi dee fare rendere. E 'l ventre si dee
solvere e muovere kon quelle pillole, k'è:
recipe: agarico, polpa di coloquintida ana granella d'orço, a peso
.vj.;
elacterio granella
.iiij.; sugo di requilitia dr
. 1/2; e se ne faciano
pillole, le quali sono assai a una presa. E dipo a queste cose si torni
ancora a bere la dicotione predetta, e a prendere la
confeçione, e a la
perfine a muovere il ventre, e al rigittare, e questo si conviene fare
spesse volte tanto ke lo 'mfermo
guerischa, e in questo mezo
s'
astengha de' cibi grossi, e
stitici, e
acetosi.
L. IX, cap. 53 rubr.Capitolo .Liij. Di pleurisi, cioè quando alcuno sente sotto le
costi dolore pugnente. Rubrica.
L. IX, cap. 53Quando alcuno sente sotto le costi dolore pugnente, e
propiamente quando alcuno à con esso tossa seccha e
asciutta e à
febbre, sì è buono se la doglia sale sopra le costi in su ke lli si scemi
sangue de la vena del capo da quella parte ov'è la dollia, se 'l corpo
tucto non fosse tucto ripieno di sangue, imperciò ke sse così fosse,
konverrebbesi scemare sangue de la parte
kontraria. E s'elli aviene
cosa ke 'l male sia già durato per alquanti die, sì ssi dee scemare
sangue a lo 'mfermo da quella parte ov'è la dollia. E se la dollia tenda
in giù a la parte de le costi di dietro, sì ssi dee solvere il ventre e fare
uscire ko la dicotione ke noi abiamo scripta nel capitolo de la rema.
Ma ancora è mellio ke lli si faccia la flebotomia, cioè ke ssi scemi il
sangue, e poscia li si dea l'acqua dell'orço
kontinuamente col çuchero.
E se tu vedi ke la tossa sua sia molto seccha e molto
asciutta, dàgli
ogne mattina per tempo del
julep, e poscia li dae a bere de l'acqua de
l'orço. E se lo 'mfermo è debole, sì ssi notrichi col pane e col
çuchero. E s'elli è forte, sì lli basterà infino al quarto die k'elli si dea
pur de l'acqua de l'orço. E quando elli
chomincerà a sputare, sì li si
dea
continuamente la dicotione a bere (ke noi contamo e scrivemo
nel capitolo de la rema), e bea acqua d'orço tanto ke ssia guerito. E se
la febre, e l'acuitade, e la forteza del male perseveri, e lo 'mfermo
sofferi pena nello sputare, sì lli si dea la dicotione ke noi nominamo
nel capitolo de l'asma. La qual cosa si conviene fare similliantemente
quando elli
sputa la
putredine. E s'elli aviene cosa ke nel
kominciamento del male quello ke
sputa è molto nero, o molto giallo,
e dimori in quella maniera, e la febbre non si diparte nel
calore infino
al septimo die, paurosa cosa è e da dottare. E se con questo tucto
nom puote melliorare d'atrare l'aire k'è dinançi, e nel petto è
rantalo
o ne le
mascelle, rossore è nelli occhi, presso è de la morte. E se di
fuori nel costato aparisse rossore o
apostemamento, e quando vi si
prieme suso si
duole, sì vi si pongha suso la coppetta o empiastro di
senape, o di fichi, e tanto vi si lasci stare ke vi si facia
ulceragioni.
E di quelle cose ke, per lo errore de' matti, i nocimenti ke
avengono acrescono a coloro ke ànno questa infertade, e stimano ke,
quando il duolo si sente sotto le costi nel
cominciamento, extimano
ke quella sia grossa ventositade, per la quale cosa elli danno il
lactovario diecimino, o altri
lactovarii somillianti a llui, e così
l'uccidono. E questa infertade è kiamata
busen, la cui chagione sì è
apostema ke nasce dentro sotto le costi.
L. IX, cap. 54 rubr.Capitolo .Liiij. De l'apostema del polmone e de la sua cura.
L. IX, cap. 54Quando ad alcuno sopraviene febbre e à tanta
costrintione ne
l'alito k'elli creda affoghare, e ne le mascelle sia tanta rosseza e sì
grande ke quasi paiano tinte, e la parte del petto dinançi duole, e à
grande tossa, e quello ke si
sputa è
spiumo, e nel petto si sente
graveza sança
puntione e sança
calore, quelli al quale avengono tutte
queste cose sia acuto apostema nel polmone. E questo male è
kiamato
peripleumania. Nel
cominciamento del suo medichamento sì
ssi scemi sangue de la vena del feghato, e poscia si medichi con quelle
medicine ko le quali si medicha la
pleuresi.
L. IX, cap. 55 rubr.Capitolo .Lv. Di coloro che gittano il sangue col vomito e co
lo sputo o kon raschatione dal palato.
L. IX, cap. 55Quando il sangue esce con
rascatione o kon picolo suono, il
quale si fa sança tossa, non ne conviene avere perciò paura a lo
'mfermo, imperciò ke potrà guerire
gorgolliando quelle cose ke noi
nominamo nel capitolo de la
squinantia e
sottilliando il
regimento e la
vita del manicare e del bere. E se 'l sangue esce kol vomito non fa
perciò grande nocimento né paura, e imperciò ke questo male si
guerisce tolliendo sangue a lo 'mfermo, e s'elli manucha le cose
stitice
e
laçe, sì come il sumach e 'l sugo de l'uve acerbe, e bea ancora del
bolo
armenicho,
gummo
arabico, balaustie, sangue di dragone,
oncenso per iguali parti, e se ne dea dr
. .iij. kol rob sempice, cioè
schietto, di mele cotogne.
A alcuni suole uscire sangue ko
interpollatione, cioè per certe
stagioni acostumatamente, de la qual cosa non sente neuno
nocimento ançi rimedio, per la quale cosa si dee così lasciare stare.
E s'elli esce il sangue colla tossa, sì è da dottare e da averne
paura. Sì si conviene, dumque,
kominciare nel
medicamento
scemandoli sangue de la vena del feghato, e poscia li si dee dare a
bere di questi trocisci, la cui descriptione è questa.
Recipe: incenso, sangue di dragone ana dr
. .v.;
karabe dr
. .v.;
hematatis, terra
sigillata ana dr
. .x.; allume dr
. .ij. 1/2; balaustie dr
. .iij.;
oppio dr
. .ij.;
ravendeseni dr
. []; e di tucte queste cose si faciano
trocisci
.x.; de' quali tucti si pigli uno ogne die col sugho del bassilico
maiore e de la porcellana. E se 'l male è molto forte, sì ssi de' dare un
altro la sera. E le parti delle braccia de sopra e lle parti trite delle
cosce delle parti di sopra si debbono leghare, e l'estremitadi si
debbono
strupicciare, e 'l petto magiormente, se i· llui fie il luogo ove
è la doglia. E i predetti trocisci koll'aceto e coll'acqua s'
epitimi. E i
suoi cibi abiano seco mescolati sugho d'uva
acerba, e
summach, e
somillianti a questi, e lo 'mfermo giacendo supino manuchi alcuna
cosa de la terra
sigillata l'una volta dopo ll'altra a poco a pocho.
L. IX, cap. 56 rubr.Capitolo .Lvj. Del tisicho e de la sua chura e medicamento.
L. IX, cap. 56Quando alcuno pare ke dimagri dipo la tossa per lunga infertade
e per sputo di sangue o di
putredine, sì li si dea a bere lacte d'asina il
qual se trovare non si puote, sì li si dee dare quello de la capra kon
um poco di çuchero, kol qual elli manuchi spesse volte pane. E
quanto elli il puote più prendere sì 'l prenda e bea i· lluogho
dell'acqua. E alcuna volta li è da dare vino sottile e temperato, e 'l
nodrimento de lo 'mfermo sì ssia di carne d'ucelli e di cavretto. E
ancora lo 'nfermo, dinançi ke manuchi e dipo mangiare, entri nel
bagno il quale non sia caldo, ançi sia tiepido, e faccia
dimoro
ne· bigoncio assai. E si conviene guardare quanto huomo puote k'elli
non abbia il corpo troppo
solubile, e quando elli fosse troppo
solubile, sì lli si dee soccorrere
dandogli a bere di questa polvere.
Recipe:
gummo
arabico, spodio, bolo armenico, seme di
mortine ana dr
. .j., e se ne faccia polvere, del quale si dea
.iij. dr
. il die
col sciroppo del papavero bianco, o kol rob de le mortine. E di
questa cotale polvere si dea a bere ad tucti coloro ke ànno mestiere di
costringnere il corpo, e fae rimedio a coloro ke ànno tossa, al quale
s'agiugne alcuna volta
xilocaracte di Siria e
bidellio de Maccha.
E se il lacte generasse febre a lo 'mfermo, sì lli si dee torre il
lacte, e
dêllisi dare la
tisania, cioè manicare facto d'orço cotto alcuna
volta più spesso e alcuna volta meno, e più kiaro li si dee dare a
manicare e a bere tanto ke la febre vada via, e poscia li si dee dare il
lacte. E se la febre tornasse ancora quando il lacte fosse ancora
redduto, sì ssi dee dare ancora la
tipgiana. E ancora poi ke la febre fia
andata via, sì ssi dee ritornare al lacte, la quale cosa si dee fare sempre
quando elli è mestiere, e sì ssi conviene molto guardare ke 'l ventre
non sia
solubile.
L. IX, cap. 57 rubr.Capitolo .Lvij. Del triemito del cuore e sua cura.
L. IX, cap. 57Se col triemito del cuore è il polso racto o febbre, sì lli si dee
scemare sangue de la vena del fegato, e si debbono dare a bere i
trocisci di camphora col sugho de le mele acetose, i quali ricevono
spodio, seme di cocomero, e di cederni, e di endivia, e di porcellana, e
di lattugha, rose, sandali bianchi, di tucti per iguali parti e per
ciascuno peso d'uno aureo. Di queste cose sì ssi prenda di camphora
il peso di tre granella d'orço, de le quali cose, confette kol sugho de le
mele
matiane, si faciano trocisci de' quali si dea a bere ogne die a peso
d'uno aureo. La quale cosa si conviene fare per due septimane. E se
queste cose nom bastano, sì ssi dea a bere lacte di che il bituro sia
tracto, et elli si
nodrischa koi polli, e coll'aceto, e col sugho de l'uve
acerbe e di cose acetose; e ancora bea sciroppo acetoso facto con
çukero.
E se col triemito del
kuore no è febbre, sì ssi deano a bere
trocisci
moscadati, i quali ricevono mastice,
spigho e
xillaloe (cioè
legno alloe), cennamo, garofani, gallia
moscata, noci
moscate,
kubebe,
kardamone maiore, scorza di cederno, di tucti a peso d'uno aureo
moscado la sexta parte d'una dr
., e di tucte queste cose
kosparte e
intrise con vino bene olliente si facciano trocisci. E questi cotali
trocisci sono buoni a la sincopi (cioè al tramortimento) e al triemito
del cuore.
Lactovario.
Dyamoscado
pretioso ke fae rimedio a la sincope, e
a la tristitia, e al triemito del cuore.
Recipe:
mastice, cennamomo, seme di bassilicho, garofani, seme
di
mellisa, seme di sisembro, seme di maiorana, pepe lungho ana per
iguali parti, de le quali tucte cose
polverizate si prendano dr
. .x.,
margarite minute,
coralli rossi,
karabe, seta cruda,
bem bianco e
rosso, folio ana dr
. .x., muscado,
kubaciaki puro dr
. 1/2,
comficiansi
kol mèle de' mirabolani kebuli.
Questo cotale
lactovario è optimo a la
fredeza de lo stomacho e a male di crudeza.
L. IX, cap. 58 rubr.Capitolo .Lviij. De la colericha infertade.
L. IX, cap. 58Quando a alcuno averrà
punctione e tristitia, e con essi e
dop'essi vomito e solutione di ventre, sì ssi dea acqua calda
incontanente a bere molte volte. E se 'l vomito e 'l fluxo del ventre
perseverrà,
diellisi ancora l'aqua calda, imperciò ke 'l male s'atuterà. E
quando il male fia andato via, sì entri lo 'nfermo nel bagno nel quale
elli stea per ispatio d'una ora. E quando elli fia uscito del bagno, sì ssi
cibi di lieve nodrimento e poscia dorma. E avegna ke 'l vomito e 'l
fluxo del ventre sieno molto forti e accidenti paurosi
sopravengano,
no è da doctare, ançi si dee soccorrere ko le medicine ke io narreroe.
Nel
cominciamento sì si dea una volta i trocisci de lo
'ncenso ko
l'acqua, e co la neve, e col rob de le melegrane, i quali si convengono
ancora dare se 'l vomito non cessasse, e si leghino le due
aiutoria de le
braccia e le due coscie ne le parti di sopra; e l'acqua raffreddata ne la
neve si gitti sopra le ginocchie e sopra i piedi e vi si metta dentro. E 'l
ventre s'
epitimi di
sandali, e di rose, e di camphora, e di galla
inaffiati
co l'acqua rosa, e vi si metta suso panno molle in acqua rosa
rafreddata ne la neve, il quale, poi ke ffia cominciato a riscaldarsi, se
ne dee levare, e l'altro vi si dee mettere suso, sì come il primaio. E a
bere li si dea a poco a pocho vino vecchio temperato e inacquato col
rob de le melegrane, e si dee fare manicare pane molle col vino, il
quale s'elli reddesse, li si dee dare ancora l'altra volta tanto ke ssi
riposi. E se la sincopi sopravenisse, sì è
konvenevol cosa k'elli si dea il
moscado col rob de le melegrane, col vino e 'l sugo de le carni de'
polli e de cavretto, kon uno poco di sugo di mele cotogne e vino
mescolati insieme li si dea. E ciò ke noi abbiamo detto del
medicamento di questa infertade infino a aguale si conviene fare
infino a tanto ke 'l vomito si riposi e resti, e ke lo stomaco riceva il
cibo. E poi che lo stomaco potrae ricevere il cibo, sì ssi dee lo
'nfermo nodrire e bea um poco di vino vecchio bene olliente, e
cominci a dormire.
Trocisci d'incenso detti al vomito.
Recipe: bolo
korasteni (cioè di quello paese), oncenso ana dr
. .x.;
kubebe,
kardamone ana dr
. .j. e
1/2; camphora, gallia, garofani ana la
sexta parte d'una dr
.; e se ne facciano trocisci del peso d'uno aureo,
imperciò ke questi sono di grande eficacia al vomito.
Rob de le melegrane.
Prendasi il sugo de le melegrane acetose e si lasci stare per una
nocte o più, tanto ke quello k'è più grosso
riseggha e si riposi nel
fondo, e poscia si
cuocha e si
spumi e
ischiumi tanto ke abbia
somillianza di
juleph. Nel quale, levato dal fuocho ma ancora caldo, si
mettano
gambi di menta verde e vi si lascino stare dentro tanto ke ssi
raffreddino. E quando fia raffreddato, sì sse ne tragano fuori, a la cui
sembiança e
similitudine si conviene fare il sciroppo de le mele
cotogne e 'l sciroppo de le mele
matiane. E se 'l vomito per alcuna
ora paia minore e soprabondi, pongasi su lo stomacho una grande
coppetta.
L. IX, cap. 59 rubr.Capitolo .Lviiij. Di quelle cose ke confortano lo stomacho e
ke aiutano bene a ismaltire. Rubrica.
L. IX, cap. 59Quando la deboleza de lo stomacho fia con pocha sete e con
tardo discendimento di cibo da lo stomaco e con acetoso ructo, e
tucti li accidenti sieno piccoli, e non sia anticha né vecchia, lo
stomaco si dovrae medicare koi trocisci de le rose, de le quali lo
'nfermo ogne die la mattina prenda il peso d'uno aureo e mezo kon
.ij. on
. de la dicotione de' sementi.
E questa è la dicotione de' sementi.
Prendasi: comino, nabathi, ameos, e bollano nell'acqua tanto ke
ll'acqua si faccia rossa, de la quale poscia coi trocisci de le rose se ne
deano a bere.
Trocisci di rose sono questi ke ricevono:
polvere di rose vermillie dr
. .iij.; legno aloe, spico, cassia lignea,
squinanti,
cinamomo, absenço ana dr
. .j.;
inaffinsi con vino vecchio e
si ne formano i trocisci, e si
nodrischa kon quelli cibi ke tosto si
smaltischano e ke ssono di pochi homori e di poche superfluitadi, i
quali cibi sono ancora conditi koi sementi e cose
ollienti, sì come
sono
galligie e
mutagenat. E ancora dinançi al manichare usi
d'affaticarsi assai, e de l'acqua bea meno ke non suole, e molto dorma
dopo manicare, e del vino vecchio e puro bea um pocho, e tucto il
suo nodrimento menomi. E se questi accidenti e mali sieno vecchi,
prenda e bea lactovari,
dyacimino,
diaolibano d'ambendue ana il peso
d'uno aureo, kon
.j. on
. di vino vecchio puro; e 'l
regimento suo e la
sua vita sia sì come noi abbiamo detto.
Lactovario
dyacimino.
Recipe: comino,
karmeny dr
. .C.; gengiovo dr
. .xx.; pepe dr
. .x.;
foglie di ruta e
baurach ana dr
. .x.; tucte queste cose con mele
dispumato si
conficiano, e
beasi di questo
lactovario se 'l ventre è
troppo stitico; e se 'l ventre è troppo
solubile, sì lli si dee dare
lactovario
diaolibano, la cui discriptione kontiene nel capitolo de la
solutione e del fluxo del ventre. E se questo nom basta, sì lli si dea la
schama del ferro kol vino, la cui
confectione è questa.
Recipe: seme di finochio e d'appio, anisi,
komino, ameos,
amiden, origano,
kessyn,
karvy, seme di coriandro, pepe nero, pepe
lungho, cennamomo, oncenso, spigo, garofani, noci
moscate, ciperi,
gengiovo ana il peso d'uno aureo, scoria di ferro dr
. .x., a tucti questi
s'agiungha
.vj. cotanti di vino, e tanto si cuoca k'elli torni a la metade
e si coli. E dipo questo lo 'nfermo di questo sciroppo, poi che ffia
colato, sì ne bea ogne die a peso di
.xxx. dr
., e bea meno e manuchi
ke non suole, la quale cosa elli faccia per tre septimane. E si guardi da
le cose acetose e dai frutti ricenti, e da l'acqua fredda, e 'l vino bea
amisuratamente.
Empiastro il quale conforta lo stomaco e rischalda.
Recipe:
storace, spico, squinanto, absenço,
kalamo aromaticho,
mastice, e di queste cose kon vino vecchio e con sugho di mele
cotogne
comsparti si faccia empiastro sopra lo stomaco.
E a questo giova ancora ke lo stomaco, stropicciando, s'ungha
coll'olio ke ssi fa
kollo
spicanardi, e kol
cipero, e ke lana
karminata,
involta nel predetto olio, si pongha sopra lo stomaco, e vi si leghi col
panno. E lo 'nfermo bea vino vecchio, o miva, o
ydromelle. E la miva
si faccia in questa maniera: il sugho de le mele cotogne
muze si
prendano e si lasci stare per uno die e per una notte, acciò ke possa
resedere a
ffondo, e si coli. E poscia di quello k'è kiaro si prendano
due parti, e di zuchero parte
.j., e di vino vecchio una. E poscia si
cuocha e si
spiumi soavemente tanto k'elli divengha in
similitudine
di
julep. E poscia per ciascuna libra di questo cotale si prenda
gengiovo, e spico, e cennamo, e garofani ana dr
. .j., mastice dr
. .ij.; e
tucte queste cose
polverizate si leghino nel panno e vi si mettano
entro tanto quanto è caldo. E quando si comincerà a raffreddare, il
panno se ne tragha e si
spriema, e poscia si
ripongha il sciroppo.
E se la deboleza de la digestiva sia con molta sete e com poco
apetito di cibi e com puzolente ructo, si bea sciroppo acetoso di mele
cotongne, il qual è:
recipe: del sugo de le mele cotogne parte
.j., çuchero bianco
parte una, aceto kiaro la quarta parte d'una, e tucte queste cose si
cuocano tanto ke
spessino, imperciò ke questo sciroppo sì è
confortativo de lo stomacho, e giova a ffare le sue operationi, e
manda via lo
'nfiamamento e lo
'ncendimento ke ssono in lui.
E 'l nudrimento de lo 'nfermo sia cosa ne la quale si ragunino
insieme
acetositade e
sticitade, cioè
laçeça, sì come è la carne cotta col
sugo de l'uva
acerba e ko le mele
matiane, similliantemente cotta, e
con ribes, e facta da l'
ulen, e d'
almososi, e somillianti a questi. E
ancora si dea di questo polvere ke ne
tranghiotischa, il qual è:
recipe: rose rosse dr
. .x., spodio dr
. .iij., seme di coriandro dr
. .v.,
e sia la sua dose (cioè presa) sia dr
. .ij., col sugo de le melegrane
muze, e col sciroppo acetoso de le mele cotogne. E se con questo che
noi abbiamo nel corpo sia
risscaldamento e infiammamento, sì li si
dee dare lacte e acqua d'orço, e dêsi notricare ko l'erbe ke abbiano a
humentare e a
ranmollire, sì come sono lattughe, e malve, e zucche, e
cederni, e carni di cavretti, e agnelli di lacte, e pesci ricenti. E ogne die
dinançi mangiare e dipo mangiare entri nel bagno dell'acqua del
bigoncio o de la tina, e bea vino molto temperato e chiaro, e ogne die
stea in riposo e in quiete, e fugha la faticha e 'l
movimento, e sia tucto
il suo
regimento kome di colui ke vuole ingrassare. E se con questa
dispositione sia forte
incendimento et enfiamento, sì ssi converrà lo
stomacho
ranmollire e lenire ko le cose fredde, e
dêllisi dare acqua
d'orço, e sia il suo
regimento kome di colui che àe l'eticha.
(+i) E per
sì facto modo e
regimento è da medichare e da regere koloro che ànno difetto e
deboleza di stomacho.
(i-)
L. IX, cap. 60 rubr.Capitolo .Lx. Del dolore e de l'apostema de lo stomacho.
L. IX, cap. 60Se col dolore de lo stomacho sia angoscia, e tribolamento, e
voglia di reddere, e abbominatione, sì ssi dee dare a lo 'nfermo a bere
acqua tiepida, e
dêlisi comandare k'elli
rigitti.
E se questo no li basta,
sì lli si solva il ventre kolla gerapigra, la quale
riceve:
de la polvere de le rose vermillie, spico, mastice, xilobalsamo,
karpobalsamo, cennamomo, kassa lignea,
assari ana dr
. .v., alloe
sucoltrino il doppio di tucti, il quale bene trito koll'altre medicine trite
si mescoli e com panno di seta subtilmente stacciati.
E poi si
ripestino ancora insieme coll'aloe, la cui presa sia da due aurey infino
a due dr
. E a lo 'nfermo si dea ogne die pane
infonduto in vino, e in
sugho di melegrane, e in sciroppo acetoso di mele cotogne.
E se co la dollia fieno molti rupti, e
temsione, e
singhiozo, sì ssi
converrae dare a lo 'nfermo
lactovarii
dyatimino,
dyacalamento, e
l'altre
comfetioni ke
ssolliono mandare via e disolvere le ventositadi
ke noi
nominanmo nel capitolo de la
collica (cioè del male del fianco).
E i suoi cibi sieno
kalagine e
mutaginat koi
semi, e bea um pocho di
vino vecchio, e usi il
movimento e la faticha, et entri nel bagno. E lo
stomaco s'
evapori sì come noi dicemo koll'olio de
neriden involto nel
panno.
E se co la dollia de lo stomacho sia febre e apostema manofesto,
e quando vi si toccha lo 'nfermo sì vi si sente più caldo, lo 'nfermo
primieramente si scemi sangue de la vena del feghato e i· su la dollia sì
vi si pongano i due sandali, rose e
kamphora kon acqua rosata e col
sugho de le mele cotogne. E 'l suo nodrimento non sia se non
solamente acqua d'orço, e si guardi de la carne e da vino e da le
confettioni ke ssi fanno kol mèle. E bea sugo di melegrane
muze e
rob di frutti freddi. E quando li accidenti del
calore fieno andati via, sì
ssi dea a lo 'nfermo
cassa fistola dissoluta nel sugho de l'endivia e
bollita e
dispumata.
E quando i dì de la 'nfertade fieno allungati, e 'l caldo fie tucto
andato via, se l'apostema dimorrà con
dureza, kon questo empiastro
s'
eptimi il luogo.
Recipe: viuole secche dr
. .x.; rose vermillie dr
. .v.; spico
odorifero, mastice ana dr
. .iij.; ciperi, squinanti, calami aromatici ana
dr
. .ij.; farina di fieno
greco dr
. .xx.; fiori di
kamomilla seme di
malvavischio bianco, farina d'orço ana dr
. .x.; tucte queste cose
s'
intridano co la
mucillagine del seme del lino, e poscia il luogo uncto
koll'olio de
neriden tiepido s'impiastri de le predette cose per quatro
hore anzi k'elli manuchi. E poi che 'l cibo fie
exmaltito, e quando lo
stomaco fie vòto, sì ssi vapori coll'olio di
neriden, sì come noi
dicemmo, kolla lana.
Confetione de l'olio
nardino sempice.
Recipe: olio di been libra
.j., spico on
. .j., mastice, costo, pepe,
squinanto,
kalamo aromaticho, di tucti ana l'ottava parte d'una on.,
tucte queste cose
polverizate, poste nel predetto olio, al sole per una
settimana, il vasello molto bene kiuso, si lascino stare, e poscia si
colino e si ne
spriema fuori la fecia. E le cose ke rimasero ne le mani
si mescolino koll'impiastri, imperciò ke
ffieno molto buone.
E quando l'apostema fia invecchiata ne lo stomaco, i trocisci de
lo spigo fieno da dare, la cui descritione è questa.
Recipe:
fiori di squinanto,
kassia lignea,
ravendeseni, calamo
aromaticho, spico ana dr
. .iij.; zafferano, mirra,
anysi, costo, pepe ana
dr
. .j.;
bidellio,
narry ana dr
. .iij.; mastice dr
. .ij.; armoniaco dr
. .j.; e
s'informino i trocisci, de' quali ciascuno
pesi uno aureo, de' quali
ciascuno die se ne dea uno col vino cotto, e questo empiastro si
faccia ke riceve:
recipe: bdellio molle dr
. .x.; armoniaco dr
. .v.; seme di been,
seme d'appio ana dr
. .x.; spigo,
mace nero ana dr
. .v.; cera
.iij.; olio di
neriden dr
. .xx.; le gomme si
disolvano nel vino, e poscia ogne cosa si
congiungha insieme e se ne faccia empiastro.
A guerire la dollia dello stomacho e del feghato medico molto
savio v'è mestiere, il quale attenda
diligentemente le loro dispositioni.
E noi abbiamo già detto l'agregationi e le somme ke a cciò valliono,
avengna ke noi in questo abbiamo abreviato il
sermone quanto
abbiamo
potuto.
L. IX, cap. 61 rubr.Capitolo .Lxj. Del singhioçço.
L. IX, cap. 61
Quando il
singhiozo verrà, quando huomo avrae manicati grossi
cibi o quando l'uomo avrà bevuto vino troppo temperato, sì dovrae
bere molte volte acqua calda, ne la quale comino e menta, e
mentastro, e um poco d'incenso sieno bollite.
E dêsi comandare a lo
'nfermo ke dorma, e si dee il corpo suo evaporare, e dee
digiunare. E
quando elli si fie sofferto di manichare per molti die, sì ssi dee fare
entrare nel bagno spesse volte, e poscia si dee cibare di pochi cibi, i
quali abiano a diseccare sì come sono
calagie e
mutagenath coi
semi,
e sì lli è da dare un poco di vino puro a bere. E se queste cose
nom bastano, questi trocisci si debbono dare, i quali sono kiamati
trocisci de ture, cioè d'incenso.
Recipe: oncenso dr
. .v.,
ella dr
. .iij., mentastro, foglia di ruta
seccha ana dr
. .ij., seme di
nemen dr
. .iij. e
1/2, e se ne
'nformino e
faciano trocisci di peso d'uno aureo, de' quali si dea uno il die co la
dicotione del comino.
E se 'l
singhiozo avenisse dipo febbre e sia con esso tribulatione
e abominatione, o sete, o seccheza ne la boccha, sì ssi de' dare a lo
'nfermo acqua
kalda molte volte, ma non repentemente e
subitamente, ma a poco a poco. E se 'l
singhiozo no è riposato e
achetato, sì lli si dea acqua d'orço kon olio di mandorle dolci, e li
sponduli del collo e del
dosso sì ssi ungano con olio tiepido e si
strupicino, e sì li dea a bere le
mucillagine del
psillio kol
julep e col
sugo de le melegrane. E al
singhiozzo e a lo
starnutamento giova
ancora ritenere l'alito.
L. IX, cap. 62 rubr.Capitolo .Lxij. De l'apetito chanino.
L. IX, cap. 62
Quando alcuno soffera fame assiduamente e 'l cibo dipo 'l
manicare il grava tanto k'elli le convengha o rredere o mandare di
sotto, sì lli si dee dare
riso il quale, mentre ke ssi cuoce, si dee
ingrassare e condire del grasso ke cola e gocciola de l'agnello quando
s'
arostisce al
forno.
E coda, e somillianti cibi
unctuosi e grassi, e vino
vecchio li si dee dare a poco a pocho, e ne bea quanto potrae, e poi li
si dee comandare ke lli
rigitti. E con questo
regimento e vita si
conviene medicare e regere tanto ke ssia guerito. E se 'l cibo no 'l
grava, e no 'l redde, né no 'l manda fuori di sotto, sì li si debbono
dare charni di vaccha e grano cotto, sì come
polta e riso kol lacte, e
bea acqua fredda e stea ne l'aria fredda.
E quelli che à questo male non manuchi neuna cosa acetosa né
llaza, né acuta, ma usi solamente cibi dolci e
untuosi.
L. IX, cap. 63 rubr.Capitolo .Lxiij. Del dolore del feghato.
L. IX, cap. 63Quando alcuno è male colorato, e con questo avrae mala forma,
e avrae dollia nel lato
ritto da le costi di dietro, e il suo colore sia reo
giallo, e con questo avrae seccheza e
asciuteza ne la boccha e forte
sete, sì li si dea a bere acqua d'orço e sughi d'erbe, sì come di
endivia, e di
cavolo, e di cuscute
kollo sciroppo acetoso facto col
zucchero biancho. E 'n su· luogho si pongha empiastro facto de le
due generationi de' sandali, e di camphora, e di rose, e d'acqua rosa, il
quale si faccia in questa maniera:
panno involto ne le predette cose vi si pongha suso, e quando
elli si comincerà a riscaldare sì sse ne lievi, e l'altro vi si pongha
i· lluogo di lui, e bea il sugo de le melegrane, e il rob di quelli ke
ssolliono raffreddare.
E questo cotale si guardi dal vino, e da le
confetioni che ssi
fanno di mèle, e da tucti i cibi che ànno a rischaldare.
E prenda
trocisci di
berberi i quali ricevono:
del sugo de'
berberi dr
. .x.; seme d'endivia e di
cidrioni, e seme
di
porcellana dr
. .iij.; rose dr
. .ij.;
rautsemi dr
. .j.; spico dr
. 1/2; e si ne
'nformino i trocisci di peso d'uno aureo, de' quali si dea uno col
sciroppo acetoso e col sugo de le melegrane.
E s'è mistiere, e sì ssi
solva e muova il ventre kol sugho de' frutti, sì come sono susine, e
çucchero biancho, e
thamarindi.
E se 'l male colore ke è col dolore del fegato è biancho, e con
esso abbia solutione di corpo et
emfiamento de l'estremitadi e de le
palpebre, sì li si dee dare a bere trocisci de'
rautstemi col sciroppo
acetoso di mèle, il qual è:
recipe: spigo, mastice, sugo d'eupatorio, sugho d'assenzo, seme
di finocchio e d'aniso ana dr
. .ij.;
rautsemi dr
. .x.; e si ne
'nformino i
trocisci di peso d'uno aureo, de' quali si dae a bere ogne die uno. E
ancora si prendano spigo, mastice, ciperi, squinanti,
kalamo
aromatico, gruogo e mirra, e la mastice disoluta nel vino si mescoli
coll'altre cose. E di queste cose si faccia empiastro al fegato, e lo
'mfermo s'
astengha da' cibi grossi e freddi.
E sse queste cose nom bastano, trocisci di
laccha ko la dicotione
de le radici si debbono dare, la chui descritione è questa.
Recipe:
laccha,
rautsemi, ana dr
. .iij., spigo, seme d'appio, ameos,
mastice, squinanto, seme di ginepro, mandorle amare,
kosto amaro,
rubbia,
sugu d'eupatorio, assara bachera,
aristorlogia rotunda,
gentiana ana dr
. .j. e
1/2, e se ne informino i trocisci di peso d'uno
aureo.
Dicotione de le radici.
Recipe: de la scorça de la radice e de l'appio ana dr
. .x., seme
d'appio, seme di finochio, fiore di squinanto, ameos ana dr
. .v., rose
rosse, spigo odorifero ana dr
. .iij., e si
cuochano in una libra d'acqua
tanto ke
reghano a la terça parte d'una libra, e si dea a bere koi
predetti trocisci. E se nel feghato si fae apostema, il
medicamento
sarà sì chome delli apostemi che ssi generano nello stomaco.
L. IX, cap. 64 rubr.Capitolo .Lxiiij. De la iteriçia, cioè colore giallo o nero.
L. IX, cap. 64Se colla
yteriçia fia febbre, diesi a lo 'nfermo a bere sugo de
endivia e di
cavolo e acqua d'orço. Et elli si dee notricare colla
zuccha
e colla
grisolocanna, e con
citrini, e co le somillianti erbe
frigidissime,
e bea sciroppo acetoso facto di
fortissimo aceto, e 'n sul feghato si
dee porre impiastro di sandali, e 'l corpo si dee solvere e muovere col
sugho de le susine e col çucchero. Le quali cose se nom bastano,
trocisci di
champhora si debbano dare kol sugho de le melegrane.
Trocisci di
champhora.
Recipe: çucchero, rose rosse, spodio ana dr
. .iij., seme d'endivia,
seme di cederni, e di
cucche, e di latughe, e di porcellane, sandali rossi
ana dr
. .j., e di queste cose s'informino i trocisci di peso di due dr
., de'
quali ongne die uno kon la sexta parte di dr
. di camphora si dea. E se
lo 'mfermo avrae le vene piene et è lungho tempo ke no li fu scemato
sangue, sì li scemi sangue. E se lla yteritia è sança febbre, sì li solva il
ventre con queste pillole. La cui descriptione è questa.
Recipe: alloe dr
. .j.,
scamonea la quarta parte d'una dr
., agarico
due parti d'una dr
., del sugho de l'eupatorio la terza parte d'una dr
. E
di queste cose, confette col sugho dell'endivia, si facciano pillole, e
fieno assai a una presa, e poscia li si
diano trocisci di
laccha kolla
dicotione di radici.
E se lla
ytiritia e 'l giallore rimanesse nelli occhi, lo 'nfermo a
poco a pocho odori
fortissimo aceto et entri nel bagno. E quelli che
àe
ytiritia con febbre, metta ne' suoi occhi acqua rosa. E molto giova
a l'yteritia ke lo 'mfermo per tre settimane bea il siero.
L. IX, cap. 65 rubr.Capitolo .Lxv. De la ydropisia.
L. IX, cap. 65Quando il ventre comincia a crescere, e dal
bellico infino al
petingnone è rilevato in fuori, e la cotenna ch'è ivi e la buccia pare ke
imbianchi e
subtigli, e quando il ventre si muove, sì ss'ode il suono sì
come fae il vasello dell'acqua ke no è pieno quando si muove. E ss'è
con queste cose l'orina crossa, picola fidança vi si puote avere, e
propiamente se la virtude non è forte; ma se lla virtude è forte e 'l
ventre è molto seccho e molto stitico, sì ssi debbono dare pillole de
rauvendsemy, le quali ricevono
mezereon, la cui discriptione è questa.
Recipe:
rautseny,
suco d'eupatorio, seme d'endivia ana dr
. .iij.;
agarico dr
. .v.; meçereon dr
. .x.; e si facciano di queste cose pillole, la
cui dose (cioè presa) sia dr
. .ij., e
1/2, de le quali ogne septimana se ne
prenda una presa. E se la virtude fia debole, sì ssi dieno i trocisci di
mezeron, i quali sono di seme d'endivia dr
. .x.,
mezeron dr
. .j., e due
terzi d'una dr
., agarico, sugo d'eupatorio, altrettanto rose, seme di
cedrini ana dr
. .ij. e
1/2; e di tucte queste cose si faciano
.x. trocisci, de'
quali si dea
.j. il die kol sciroppo acetoso di çuchero. E se 'l ventre
fosse troppo soluto, cioè ke uscisse troppo fuori, sì ssi dieno trocisci
di
berberi col siroppo acetoso, e lo 'mfermo si notrichi de
zibiegy, e
bea sciroppo acetoso di mele cotogne. E s'elli à grande solutione di
ventre, solamente dee dare rob di mele cotogne.
E se com questa infertade l'orina non è rossa, né no à
calore,
queste pillole si debbono dare le quali sono queste.
Recipe: meçereon (cioè l'
oriuola), serapino ana la sexta parte
d'una dr
., imperciò ke queste pillole fanno l'acqua de la ydropisia
discendere fortemente e la vòtano. E ancora i trocisci de
laccha si
debbono dare ko la dicotione de le radici.
Empiastro ch'è buono e convenevole '
alchithy, cioè a quella
spetie d'
idropisya.
Recipe: farina d'orço, ciperi, storace, e de lo stercho vecchio del
bue,
baurach, bolo armenico per iguali parti. Di tucte queste cose trite
si facia epithima sopra 'l ventre, imperciò ke la propietade di costui sì
è da secchare grande parte de l'acqua del corpo.
E se ne le palpebre e ne l'estremitadi fie apostema molle, e i
testicoli sono
apostemati, e se 'l volto e tucto il corpo àe alcuna
mollitie (overo molleza), sarà allotta la ydropisia la qual è kiamata
yposarcha. E a lo 'nfermo ke à questa spetie d'ydropisia sì ssi
debbono dare i trocisci di
laccha co la dicotione de le radici, e 'l
ventre ciascuna septimana si dee solvere e muovere co le pillole del
ribarbaro. E lo 'nfermo si dee voltare ne l'
arena calda nell'isola, e
farvisi sotterrare dentro, e
dêllisi comandare k'elli s'affatichi e usi
exsercitio e sofferi spesse volte fame e sete. E se 'l ventre è
infiato, e
quando si percuote suona come tamburo, sì ssi significa k'elli è
idropico ne la spetie k'è kiamata
tempanite, la quale quelli che ll'àe, sì
ssi dee abstenere da manichare d'olio.
E di tutte quelle ke generano ventositade, e 'l corpo si dee ogne
die evaporare col panicho, e le ventose si debbono porre sopra il
ventre, e dêsi dare
medicamento ke
disolva l'
emfiamento, sì come il
diecimino e il
lactovario de l'orbache, ke noi contamo e scrivemmo
nel capitolo del male del fianco. E lo 'nfermo ancora s'
acostumi
d'affatichare e di
patire fame, e si metta di sotto de le
sopposte e de le
cure ke disolvono la ventositade, de' quali noi faremo mentione; e 'l
ventre si
stropici col mantile tanto k'elli cominci a arrossare e si faccia
cristero koll'olio de la ruta.
L. IX, cap. 66 rubr.Capitolo .Lxvj. De la doglia de la milça.
L. IX, cap. 66
Se co la doglia de la milza sia
calore e rosseza d'orina e febbre,
lo 'nfermo
pigli di questi trocisci.
Trocisci d'agnocasto la cui descriptione è questa.
Recipe: seme d'agnocasto, seme di
thamerici ana dr
. .x., seme
d'endivia, seme di porcellane ana dr
. .v., e di questi si faciano trocisci,
de' quali ciascuno die se ne dea uno co lo sciroppo acetoso di
çucchero, il cui peso sia dr
. .iij., e se lo 'mfermo fosse ripieno, sì ssi
scemi sangue de la
salvatella de la mano mancha, e la milza
s'
embrochi col
feltro intinto e bagnato ne l'aceto caldo; e si guardi da'
cibi grossi e de le cose dolci.
E se ne la predetta infertade non fosse
calore, a lo 'nfermo si
debbono dare trocisci de'
cappari, i quali sono questi.
Recipe: scorça di radice di capari, seme d'
agnokasto ana dr
. .x.;
scoloprendria dr
. .vij.;
aristologia lungha,
foglie di ruta, seme di
nasturçio, acoro,
neella ana dr
. .iij.; armoniacho dr
. .iij.; l'armoniaco
nell'aceto si disolva, col quale tutte l'altre cose se confaccino e se
'nformino i trocisci, i quali pesino dr
. .ij., de' quali uno kol sciroppo
acetoso de mèle e co la dicotione de le radici si bea. E se la milza fie
tesa, e quando si prieme si sente di sotto
rughiamento, sì ssi de' dare
de' predetti trocisci co la dicotione di radici, e dee bere vino
vecchio, e bea meno acqua ke non suole e meno ne bea ke puote.
Empiastro a la
dureza e a la ventositade ke è ne la milza.
Recipe: de le
foglie de la ruta dr
. .x.,
baurach e mentastro secco
ana dr
. .iij., e l'armoniaco si disolva in vino vecchio, kol quale tutte
l'altre cose si
conficiano, e se ne faccia empiastro, il quale si pongha
suso il luogho.
L. IX, cap. 67 rubr.Capitolo .Lxvij. De la colicha, cioè del male del fiancho.
L. IX, cap. 67Se col dolore del ventre sarà
constrintione, cioè
stiticheza, e
abominatione, e non vi sia febre né
calore, quelle cose si debono dare
a lo 'nfermo ke
ssolvano il ventre e muovano sança vollia di reddere,
sì come è il
lactovario de la ghallia ke riceve:
mastice, garofani, gengiovo, pepe nero, pepe lungho, cennamo,
noci moscade, gallia ana dr
. .x.;
scamonea dr
. .x.; e poscia si
spriemano le mele cotogne acetose ricenti, e il loro sugho con
altrettanto mèle si mescoli, e si
cuocha tanto ke diventi spesso a poco
a pocho, e si
conficia kon esso il
medicamento, il quale sia tanto
quanto sono le spetie, la cui presa sia da una dr
. infino a
.ij. dr
. e
1/2.
E sse l'abominatione e la vollia del reddere nom sia troppo forte
e non rigetti le medicine, queste pillole, ke ssi chiamano pillole
yliace,
si debbono dare. Le quali
recipe: coloquintida, serapino ana dr
. .x.;
scamonea dr
. .iij. e una
terza dr
.; e se
'nformino le pillole de le quali si dea il peso d'uno
aureo, imperciò ke tosto mandano via il male del fianco. E s'elli
aviene cosa ke 'l male del fianco sia grave a guerire, né no li vaglia
medicina ke 'l corpo muova, sì lli si fae una cura di queste cose.
Recipe: sale di pane dr
. .x.; polpa coloquintida e
scamonea dr
.
.iij. e
1/2; e se ne faciano cure lunghe, e si mettano di sotto nel
fondamento.
E sse queste cose non giovano, sì si faccia il cristere
lenitivo, il
qual è questo.
Recipe: fichi gialli
.v., e cruscha quanto si puote pilliare con una
mano, e del malvavischio una manata. E queste cose leghate in uno
panno, o
.x. foglie di bietole, si cuocano in due libre d'acqua tanto
che
reghano a una libra, e poscia si colino, e ssi pongha sopr'esso
baurach a peso d'uno aureo e d'olio di sisamo on
. .j., e se ne faccia
cristere. E se alcuno il vuole più forte e più acuto, il peso d'uno aureo
del
collirio ke noi dicemo vi si mescoli.
Cristere ch'è molto forte, il quale si dee fare quando l'altre
medicine non giovano, né non muovono il corpo.
Recipe: de la coloquintida entro dr
. .x.; centaurea dr
. .v.; pane
terreno,
archamita ana dr
. .ij.; mentastro, origano, ruta ana una
manata; e tutte queste cose si
cuochino in tre libre d'acqua tanto ke
reghano a due terze d'una libra, e si colino, e poscia vi si disolva
dentro
alkitran (cioè pece
liquida), e mèle ana dr
. .iij., castorio,
opoponaco,
serapyno, e de la cura ke noi abiamo già detto ana dr
..iij.,
e si mescolino tutte queste cose insieme. E quando fieno
tiepide, sì
sse ne faccia cristere, e se n'escono fuori
schibale, cioè cotali noccioli
duri, sì ssi faccia un'altra volta, o più volte, tanto ke 'l cristere n'escha
puro. E questo cotale cristere si de'
aminestrare quando il male è
forte e reo, e nel male del fianco reo, nel quale v'abia abominatione e
vollia di reddere grande, e di sotto non esce neente. E a questa
infertade e male alcuna volta sopraviene
ruptamento, e alcuna volta
esce lo sterco per la boccha, la qual cosa quando aviene spesse volte
significa morte.
E s'elli aviene ke ko la dollia del ventre il ventre non sia stitico
né
strecto, ma
infiamento e
rughiamento e
distensione sieno nel
corpo, sì lli si dee dare la confetione de l'orbache, la quale
riceve:
foglie di ruta secche dr
. .x., ameos, comino,
neella,
kessyn,
origano, carvi, seme d'
alexandri, overo
olixatri, mandorle amare, pepe
lungho e pepe nero, mentastro, dauco, acoro, orbache, kastorio ana
dr
. .ij., serapino dr
. .iiij., oppoponaco dr
. .iij., e si
conficiano kon
altretante mele a peso quanto elle sono. La cui presa sia quanto una
avellana, o quanto è una
orbacha, molte volte kon una on
. di vino
caldo, o colla dicotione de le radici. A questa confetione a disolvere la
ventositade e a
mandarla via non si truova pare. E ancora li si metta
di sotto il
suppositorio, overo cura,
konciosiacosak'elli sia
disolutivo
di ventositade.
Recipe:
foglie di ruta verdi e comino ana piena mano, pane
terreno,
arcanithe ana dr
. .ij.;
baurach dr
. .j.;
conficiansi col mèle e li si
metta di sotto co la spugna, overo ko la lana, imperciò ke questo
disolve la ventositade e la manda di sotto fuori, e 'l ventre si dee
assiduamente evaporare kom panico caldo. E lo 'mfermo si dee
mettere ne la tina de l'acqua a bagnare. E se queste cose
nom bastano, sì vi si dee porre la
copetta kol fuoco, e si dee
stropiciare il luogho tanto ke cominci ad arossare, e poscia vi si dee
ugnere coll'olio de la ruta e delli altri
olii caldi, o se ne dee fare
cristere a lo 'mfermo, poi che con essi fieno mescolati
kastoro,
euforbio ana dr
. 1/2.
E quelli ch'è acostumato d'avere questa infertade e male sì si
guardi k'elli non bea il vino inacquato quando è sano, e nom bea vino
se non puro e forte, e nom bea molta acqua, e ssi
abstenga dal latte, e
dall'erbe, e da tutte le cose
emfiative.
Phylono ke è buono ad coloro ke ànno il male del
fianco,
quando elli ànno grande dolglia, et è dotta ke perciò non
tramortiscano, il quale carmina la ventositade e fae venire il sonno e
la voglia di dormire.
Recipe: pepe, ameos,
foglie di ruta, mentastro, kastorio, bacche
d'alloro e comino di catuno ana on
. .j.; oppio, mandragora, seme di
jusquiamo ana on
. 1/2; e se conficiano con altretanto mèle, e si ne dea
a peso d'uno aureo. E a questo lattovario s'agiungne alcuna volta la
terza parte d'una on
. e ffassi allotta la medicina ke muove.
E se col dolore del ventre sia febbre, sì ssi dee dare a lo 'nfermo
cassa
fistola dissoluta nel sugo de l'endivia bollito e dispumato, e ssi
dee dare a bere il sciroppo violato, e dêsi nodrire colla
staphea
condita coll'olio de le mandorle dolci, e dêsi
clisteriçare ko llieve
cristere e agevole. E quando il luogho là ov'è la dollia apparrae nel
ventre grosso et
emfiato che vi sia apostema, nel chominciamento si
scemi sangue a lo 'nfermo, e poscia si dee dare la cassia fistola spesse
volte col sugho dell'erbe. E sia il cibo di colui al quale questo cotale
dolore suole per costuma advenire:
taphea untuosa col çuchero e
coll'olio del sisamo, e si
abstengha da le cose
stitiche e da l'acetose e
dai cibi grossi e che
stringono il corpo.
E quelli che è acostumato con questo dolore avere ventositade,
sì ssi cibi con
calagie e
mutagenat
konditi coi
semi, e si sofferi e si
abstengha dai camangiari e dal latte e da tutte quelle cose ke
emfiano,
e bea il vino forte e non viçiato, overo
ydromelle kolle spetie, le quali
si pongono per condimento, sì come pepe. Le quali noi diremo.
La confectione de l'
ydromelle.
Prendi
melle necto libra
.j., acqua libre
.vj., e si mescolino, e si
cuocano lungamente, e si
spumino bene tanto che diventi a la
sembiança del
juleph. E quando questo sarà facto in ciascuna sua
libra, sì si metta dr
. .j., overo due, di pepe
polverizato, legato in una
pezuola tanto che elli sia presso dicotto. E quando fie raffreddato, sì
sse ne tragha fuori il panno e si
spriema. E quando fie mestiere, sì ssi
dea a usare.
E giova ancora a colui a cui questo male suole
adivenire per
cagione di grossa ventositade prendere olio di kerva ricente colla
dicotione de'
semi.
E questa è la dicotione de'
semi.
Recipe: ameos,
kesim, karvi, origano,
neella, ana una pugnata. E
' queste cose s'aministri
.iij. libre d'acqua, e tanto si cuocano ke
regano a una libra e
1/2. E di questa dicotione si prendano on
. .ij., a le
quali s'agiungano dr
. .iij. d'olio di kerva, e si beano per molti dì. E se
ad alcuno questa dollia adviene con caldo, susine
.xx., e fichi gialli
.v.,
e uve passe
snociolate e nette de' noccioli dr
. .v. si prendano, e si
cuocano, e si colino, e poscia de la cassia fistola
dissolutavi dentro si
coli, al quale si mescoli olio di mandorle; e si prenda de la dicotione
ke noi dicemo nel capitolo de la rema, si dea a bere. E se 'l corpo è
troppo secco e troppo stitico, a la predetta dicotione s'agiungha
pollipodio e turbit ana dr
. .ij., e si cuocano kon esso, e se ne dea tanto
ke 'l corpo si muova et escha fuori. E quando elli fie solvuto e uscito,
sì sse ne tragano il turbit e 'l
polipodio.
Lactovario il quale muove il ventre e manda via la ventositade, e
l'
emfiagione, e la graveza.
Recipe:
turbit bianco
fregato e
stropiciato e pulveriçato dr
. .xx.;
gengiovo dr
. .x.; çucchero dr
. .xxx.; e di questa polvere si dieno a bere
dr
. .iij.
Pillole ko le quali quando alcuno vorrae solvere il corpo ne dee
prendere una, le quali fanno buono appetito, e l'
emfiamento
mandano via e la graveça, e aiutano a cuocere il cibo.
Recipe: mastice, gengiovo, cennamo, garofani,
veheremisk, pepe
lungho e pepe nero,
scamonea e viuole, çuchero ana on
. .j., e se ne
faciano pillole a la grandeza del pepe, o di cece, e se ne prenda una e
moverae una volta o due.
L. IX, cap. 68 rubr.Capitolo .Lxviij. Del fluxo del ventre. Rubrica.
L. IX, cap. 68
Quando il cibo ne lo stomacho non dimora secondo k'è
acostumato, ançi n'esce più tosto ke non dee e non si muta nello
stomacho se non poco, e con questo è nel ventre mordicatione e
dolore e sete, kol quale più volte è fluxo di ventre e menagione, ne la
quale uscita dinançi al manichare si truova ordura e quasi
putredine '
marcia,
diasi a lo 'nfermo rob del sugho de l'uve acerbe, o del sugo de ribes, o
del sugo de le melegrane kom spodio e con rose ana dr
. .j.; e poscia si
deeno trocisci di spodio
kostrictivi, e ssi
notrischa koll'
adeffia gialla
(o
adesia), e coi polli cotti coll'aceto, e arostiti, e posti nel sugo de
l'uve acerbe; e bea sumach con acqua rosa, e poscia si notrichi col
cibo al quale si mescoli il
sonmaccho, il quale è kiamato
sumachia. E
tucto il suo
regimento si
perducha a quello che possa raffreddare e
costrignere, e se con esso no è mordicamento nel ventre, né quello ke
escie di sotto no à
marcia mescolata, ma è viscoso, e àvi piccolo
infiamamento, e pocha sete e ructo acetoso, a lo 'mfermo si deano
bietole e senape, e pesci
salati, e poscia si faccia reddere prendendo
sale, e mèle, e aneto cotto. Le quali cose se nom bastano, sì ssi dea il
medicamento ke manda fuori il flegma, li omori freddi s
cemi, e
dêlisi dare un poco di vino puro a bere. E se queste cose non
bastano, sì li si volliono dare queste pillole.
Recipe: alloe dr
. .j., de la midolla, de la coloquintida dr
. .iiij., sale
yndo dr
. .iiij., turbit dr
. .j., e se ne facciano pillole, e sieno assai a una
presa, e usi spesse volte il rigittare. E i cibi i quali userà, sì ssi
intingano per sé ne l'almuri, e manuchi le cose facte in solcio, ke ssi
condiscono col sale, e ke ànno
agreza, ke
ssolliono provocare
l'apetito. E sse con questo ke noi abiamo detto non esce neente ke
ssia di soperchio, e quello ke escie del corpo no à alcuna seco
mescolata fracida o
marciosa, o flematicha, a lo 'nfermo si dee dare
vino forte e puro, e li si dee dare
diolibano, il quale riceve:
olibano (cioè
oncenso grosso) dr
. .x.; pepe, ameos, spico,
kessin,
anesi,
neella ana dr
. .ij.; balaustie dr
. .x.; mélle
dispiumato quanto
basta a lloro
conficere, e di questo si dea a bere.
E questa spetie aviene per la deboleza del fegato ke non puote
trarre a ssé la
succositade da lo stomaco, e per l'opilatione, no
essendo apostema nel feghato ne la quale molto si menoma, la quale
spesse volte aviene ai vecchi, imperciò ke llo stomaco riscalda e
fortemente diseccha. E deasi la dicotione de'
semi ke noi nominamo
nel capitolo del male del fianco, e
acostumi di bere vino puro. E se 'l
cibo non esce, ma cosa sottile e bianca e acquosa ko la quale sono
quelle cose ke ssignificano deboleza del fegato, a lo 'nfermo si dea
quello ke ssi fa da la scoria e
diaolibano.
E i trocisci ke riscaldano il
fegato, i quali noi nominamo, e il
lactovario
diacalamento, il qual è:
recipe: de le
foglie di
calameno e di mentastro, e
foglie di ruta
secche, ameos, carvi,
keysin, gengiovo, cennamo, pepe lungho per
iguali parti, e si conficiano con mèle cotto e si dieno li altri
medicamenti ke noi nominamo nel capitolo del fegato, ke è di quelle
cose ke 'l riscaldano e 'l confortano. E se co la detta
infertà non fie
significatione di deboleza di fegato, ançi quello che esce kol fluxo è
sottile e biancho, et è ne lo stomaco graveza, sì li dee dare polvere di
melegrane a tranghiottire. Il quale riceve:
l'ossa (overo i noccioli) de le melegrane acetose, arostiti e triti
come polvere dr
. .C., carvi, seme di coriandro, ambindue infusi e
messi a molle in aceto ben forte e poscia arostiti ana dr
. .xx.,
xillocaratte,
sumal, balaustie ana dr
. .x., e si
polverizano molto bene, e
si mescolino insieme e
deasine la polvere a
tranghiotire.
E il
lactovario, il quale è detto e kiamato
ekauçi si dea, il quale
riceve:
li
arilli (cioè i
nocciolini de l'uve passe) molto ben triti libre
.j.,
mortine (cioè il frutto), secchi e polveriçati molto bene, libra meza,
xilocharatte nabathi, balaustie, seme di
thamarizi, ameos ana dr
. .x., e
si conficiano col mèle de la cana del mèle, o col mèle de l'api molto
bene dispumato, e del
lactovario si prenda.
E se l'uscita fia gialla, e mordicha il fondamento de la natura e
pugne, e lo 'nfermo abbia sete e febre, sì ssi debbono dare i trocisci
costrictivi de spodio. I quali ricevono:
rose vermillie, spodio ana dr
. .x.; seme d'acetosa, e sumach, e
balaustie, e
gumm'
arabico ana dr
. .v.; e
'nforminsi i trocisci di peso di
.ij. dr
.; de' quali uno si prenda con on
. .j. di rob di mele cotogne e
l'acqua del
sanith de l'orço ke noi dicemo si fae in questa maniera.
Recipe: l'orço infranto in tanta acqua ke 'l cuopra
bolla tanto ke
ll'acqua spessi, e poscia si coli, e si ne bea on
. .iij. kon
.iij. dr
. di
spodio e con altretanto
gummo
arabico.
E se col fluxo del ventre
advengha
scorticamento ne le budella,
polvere di bolo si dea a
tranghiotire, la cui descriptione è questa:
recipe:
psillio dr
. .xx., sene de
petaciuola dr
. .x.,
gummo, bolo
armenico ana dr
. .iiij., il
psillio s'
arotischa, e 'l
gummo e
boli si
polverizino e si mescolino, e si ne beano dr
. .iij. la mattina kol rob di
mele cotongne, e la sera altrettanto.
E 'l suo cibo sia
pulmento facto co le granella de le melegrane, e
colle granella de l'uve passe ko l'acqua, e coll'aceto, e cibo fatto col
sugho de l'uve acerbe, e
sumachia, e
taphea, al quale si mescola il
sugo del sumach e i somillianti cibi.
Trocisci di balaustie i quali si debbono dare nel fluxo del ventre,
quando ne vengono pur homori, quando la menagione è troppo
grande o ke ssia con sangue o sança sangue.
Recipe: galle, liquiritia,
nabati, seme di tamarindi (overo
tamerigi), oncenso, balaustie per iguali parti, oppio,
gummi
arabico
ana parte meza. Informinsi i trocisci di peso di dr
. .ij., de' quali si
prenda uno col vino da colui che non à né caldo né febbre; ma se elli
àe febbre, sì ssi prenda kol rob de le mele cotogne acetose, i quali
allotta si debon dare quando il fluxo del ventre soprabonda.
Trocisci che sono buoni al
tenasmon (cioè ai pondi), i quali
allotta si debbono dare quando homo no à caldo, e la ventositade sì è
nocevole e rea, e 'l
rughiamento e 'l suono del corpo. Al quale si
prenda:
seme di
jusquiano biancho, seme di finocchio ana dr
. .v.; ameos
dr
. .ij. e
1/2; oppio dr
. .iij.; seme d'appio dr
. .x.; e si ne faccino trocisci,
de' quali a peso d'uno aureo se ne pigli a la volta.
Confetione di
storace k'è molto buona a l'antica menagione e a'
pondi, quando e' non è né troppo
kaldo, né febre, ma quando v'è
ventositade nociva si dee dare.
Recipe: castorio, oppio,
asara bacchera,
storace liquida, mirra,
seme di
jusquiamo nero, e incenso per iguali parti, e mèle tanto che
basti a
conficere la spetie. La cui presa sia
.ij. dr
. o
.iij., e se poi che
ffieno passati
.x. dì ke i pondi fieno essuti, e nom parà che le
medicine giovino neente, e lo 'mfermo sente dollia sopra al
pettignone, tornare si conviene al cristere.
Clistere da
costringnere.
Recipe: panico
scortichato,
lenti scorticate, rose secche,
balaustie, capelli di ghiandi ana
m
. .j. (cioè ana una manata), e tucte
queste cose si cuocano in tre libre d'acqua tanto ke
reghano a meza
libra e ssi colino. Poscia si prendano cerusia (cioè biaccha), cennere di
papiro di Babillonia ana dr
. .j.; bolo armenico dr
. 1/2; tuorlo d'uovo
arostito duro, olio rosato on
. 1/2; e di tucte queste cose disolute,
strupiciando ne la detta dicotione, se ne faccia cristere a lo 'nfermo
una volta o due.
E se i pondi fieno lungho tempo col quale non esce sangue ma
russura bianca somilliante a
mucillagine, sì ssi dee dare il
medicamento contra la
putredine e del fracidume che noi dicemo nel
capitolo del
medicamento de le
gengie puçolenti e corrotte, del quale,
ne la dicotione di quelle cose che noi
nominammo,
strupiciato e
dissolvuto, se ne faccia cristere una volta o due. E se per lo fluxo e
menagione del ventre forte mordicamento nel ventre se ne seguiti, sì
ssi faccia cristere koll'olio rosato tiepido; e se i· neuna maniera
mordica, sì si agiungha cristere di quella medicina tanto ke guerisca.
Epithima col quale si dee ungnere quando la menagione e 'l
fluxo del ventre soprabonda e la virtude è indebolita.
Recipe:
galla, acacia, ciperi, mirra, galle di cipresso, incenso per
iguali parti, di tucte queste kose con vino vecchio o con sugho di
mele cotogne
inaffiati se n'ungha il ventre, e alcuna volta s'agiugne a
questo pane
bisscotto di Syria. E se con questo male fia
calore, sì sse
ne conviene fare epithima di due sandali e rose, e
boly
armenichy, e
fausel, e galle, e pane biscotto kol sugho de le mele
matiane, e
kotogne, e di mortine. E se lo 'mfermo fortemente abbia pondi, e
spesse volte vada a
ssella e non faccia neente, questo
suppositorio e
cura li si metta di sotto, imperciò k'è molto maravillioso a guerire i
pondi, k'è:
recipe: incenso, litio, gruogho,
gummo
arabicho ana dr
..j.,
oppio dr
. .ij., e se
'nformino le cure e si mettano di sotto per lo
fondamento de la natura.
L. IX, cap. 69 rubr.Capitolo .Lxviiij. De la malagevoleza de l'orina.
L. IX, cap. 69Quando l'orina menoma o del tucto si niega (cioè ke non esce
neente e si ritiene del tucto) e nel
petignone non apare enfiamento, né
non si sente ne le reni né
gravità, né dolore, sì è da
ssocorrere co le
medicine ke
provochino l'orina, le quali noi nomineremo, una de le
quali è:
recipe: seme d'appio, nitro, robbia da tignere, seme d'allexandri,
seme di
junipero, assara bachera, seme di finocchio, ameos, spigo,
mandorle amare ana dr
. .xx.; seme di mellone,
ollixatri ana dr
. .x.;
cantarelle (i
capi de le quali e ll'ale sieno talliate) dr
. .j.; armoniaco dr
.
.iij.; l'armoniaco si disolva nel vino, e l'altre spetie nel vino si
conficiano, de' quali si facciano forme somillianti ad avellane, de'
quali se ne pillii da
.j. dr
. infino a tre, imperciò ke questo
medicamento molto giova al corpo quando elli àe
disolutione, e
laxeza, e a mandare via ogne accidente, e quando huomo vuole
disecchare il corpo. E se la malagevoleza e la dificultade del pisciare
aviene per caduta o per percossa nel
petignone, o nel fondamento, o
intorno loro, si scemi sangue de la vena del feghato, e poscia si gitti e
infonda molta acqua
kalda sul luogho spesse volte, e infino a spatio
d'uno mezo die si stropicci coll'olio o colgli ogli. E a lo 'mfermo si
comandi ke ssi sforçi d'orinare.
E sse la malagevoleza de l'orinare aviene, essendo la vescica
piena e distesa, e questo sia dopo l'orinare del sangue o de la
putredine, medicamenti si sogliono dare i quali solgliono disfare e
disolvere i trombi ne la vescicha.
Medicamento ke disolve i trombi e le pallotte del sangue, de la
putredine ke ssi fae ne la vescicha.
Recipe:
cordumeni, mirra, robbia de la quale si
tingne, seme di
junepero, armoniacho, asa per iguali parti. E l'armoniaco si disolva (o
si risolva) e se
'nformino con esso le pillole dell'altre spetie con esso
konfecte, de le quali se ne piglino quatro volte il die colla dicotione
de'
semi ke noi abbiamo nominata, e si dea sciroppo acetoso facto di
fortissimo aceto molte volte. E ancora si metta per la
sciringha (cioè
con quello strumento facto come uno bucciuolo d'ariento o di
metallo) ne la vescicha acqua ne la quale sia
disolvuto sale o acqua di
cennere. E questa è la
confettione dell'acqua ke ssi fae de la
cenere.
Recipe: cennere de
ylice, e de le viti, e a tucte queste cose si
mescoli tanto d'acqua ke ssi possano coprire, e si lasci stare così per
tre die, e poscia si colino, e per la
sciringha sì ssi metta ne la vescicha.
E ll'erba del gruogho ortolano e la
sulla cotta vi si pongano suso.
E
assiduamente entri ne la tina del bagno, ne la quale sia acqua ne la
quale sia cotta camomilla, e
sticados arabico, e maiorana (cioè persa),
e
ssinsembro, o ne la quale l'estremitadi de' cavoli,
esulla e sterco
colombino sieno cotte, e lo 'mfermo seggha ne la dicotione loro. E di
queste cotali erbe kosì cotte faccia empiastro sopra 'l petingnone e le
parti ivi intorno. E quando elli dimora ne la tina, bea quelle cose
che ànno a provocare l'orina, e se queste cose non giovassero, sì dee
huomo correre a lo strumento ke à ' provocare l'urina.
E se la malagevoleza sia dipo i
sengnii de la pietra, lo 'nfermo
giaccia supino e i suoi piedi lunghamente muova, e in diversi modi e
fortemente distorni e dibatta in quà e in là. E se l'orina no escha,
konviene ke co lo strumento si medichi, ma guarda tuttavia ke non si
metta ne la vergha quando v'è apostema. E al nom potere orinare
giova molto intrare nel bagno, e ugnere i luoghi colli oli, e
pilliare del beveragio, cioè bere i medicamenti ke ànno a
provocare orina, e astenersi dai nodrimenti
acetosi e pontici e
grossi.
L. IX, cap. 70 rubr.Capitolo .Lxx. De la malagevoleça del male de la pietra.
L. IX, cap. 70
Quando lo 'nfermo stropicia spesse volte la vergha e la si mena
tra mano, e alcuna volta si diriça e
'nasprisce, e l'urina con dolore e
con malagevoleza esce, ne la quale infertade il
logaone (cioè il budello
di sotto) esce alcuna volta, allotta sì significa ke la pietra è ne la
vescicha
.
E se ko la malagevoleza de l'orinare lo 'nfermo sente grande
dollia ne le reni e ne le vie de l'urina, e
nauscha e abominatione, e 'l
ventre
stretto (cioè stitico), sì ssi dimostra essere pietra ne le reni. E a
la pietra k'è ne la vescicha questa dicotione è utile, et è optima a
rompere la pietra quando ella è vecchia. E io ruppi giae grande pietra
im più piccolo spatio di
.xL. dì, la cui confectione è questa.
Recipe: carpobalsamo, seme di
rafano, dauco,
oxilatro, seme,
scorça di radice,
oppoponacho, scorça di radice di
cappari, mandorle
amare,
dampnocotidi, squinanti, ciperi, spigo, cassia lignea, sacculo,
fundorion,
harmel, gentiana,
aristorlogia rotunda, asari,
kordumeny,
armoniacho, serapino, bdellio, pepe, acoro per iguali parti. E le
gomme disolute im balsamo tanto ke basti, se
mallaxino (cioè
menino) tra mano (o per mano), e con essi si conficiano l'altre spetie,
de le quali si faciano pillole, e se ne pigli il die dr
. .j. co la dicotione
de'
semi, quando si dae con esse la sexta parte di una dr
. de la
cennere de li scorpioni.
E la
cenere de li scorpioni si fae in questa maniera.
Prendasi li scorpioni e, posti in una pentola nuova ke abbia la
bocha chiusa, sì ssi metta nel
forno nel quale non sia troppo grande
calore; e sieno ivi per ispatio di
sei ore, e poscia se ne traggano e
polveriçinsi e si
riponghano.
E lo 'nfermo si notrichi co l'acqua del cece, e
calagie, e
mutagenath, e si
abstengha dal lacte e dal cascio, e dalli altri cibi
grossi, et entri ne la tina ne la quale sia acqua, ne la quale sieno le
foglie de' cavoli cotte,
essulla, e
berengesit (o
bereguasif), e
mentastro, e sterco di colombo, e midolla di seme di
gruogo
ortolano.
E 'l
petignone s'ungha altressì coll'olio delli scorpioni, e si distilli
ne la
verga de l'olio delli scorpioni, il qual è:
recipe:
aristologia rotunda, gentiana, ciperi,
cortice di radice di
cappari ana on
. .j.; tucte queste cose in una libra d'olio di mandorle
amare, posta al sole, si lasci stare per una septimana, e si coli, e si
spriema, e per ciascuna sua libra vi si
agiunga
scorpioni
.x.; e tucto
questo messo in vasello, la cui boccha sia chiusa, al sole per due
septimane stea; e poscia si coli e si riponga, impercioe k'è optimo e
maravigloso, del quale ogne die a
gociola a
gociola vi si ne dee
infondere.
E poscia ke lo 'nfermo esce de la tina, e se la pietra sia magiore,
non si truova altro remedio se non che se ne talgli e gitti fuori. Ma
parlare di questo passa il modo di questo nostro libro.
E quando la pietra è ne le reni, lo 'nfermo entri ne la tina. E le
reni, e 'l corpo, e tucte quelle parti, s'ungano coll'olio. E quelle cose
ke ànno a riscaldare il luogho vi si pongano suso col panno, sì come
sono quelle cose ke noi abbiamo nominate. E a bere
pigli quelle cose
ke rompono la pietra. E se la pietra sia caduta e ne la vergha abbia
fatta
kiusa, l'acqua calda
distillando da alti vi si gitti suso tanto ke paia
ke arossi, e poscia olio tiepido ad
gociola a
gociola vi si metta suso e
si strupicci.
E s'elli è mestiere, sì ssi
sughi da la parte di fuori,
imperciò ke per questo si muoverà la pietra e n'uscirà
.
Ma s'elli è
grande e malagevole, mistiere è ke la vergha si talgli di sotto
schalteritamente e se ne traggha fuori.
L. IX, cap. 71 rubr.Capitolo .Lxxj. De l'apostema che ssi fae ne le reni.
L. IX, cap. 71L'apostema ke ssi fae ne le reni o ne la vescicha acompagna
febbre mescolata ke no è di molto grande
calore, kolla qual è
aricciamento di peli, e
repriçi, e rigore, e spesse volte urinare, e dollia
ne le parti del
dosso di sotto, e gravitade; e quando si sospigne pare a
lo 'mfermo ke vi sia alcuna cosa
impicata. Dumque quando huomo
avrae veduti questi cotali segni, lo 'nfermo si scemi sangue de la
vena del fegato da quella parte ove il dolore si sente e la graveza, e in
sul luogo si ponghano l'impiastri ke abiano a raffreddare. E se la
'mfertade sia andata via bene è. E se la doglia e la febbre, e la graveza,
perseverranno e l'orina esce troppo spesso, sì
ssignifica ke vi si
racolgha
putredine, dêsi dumque mettere in sul
dosso impiastro di
camomilla, e di seme di lino, e di crusca,
intrisi coll'olio del sisamo. E
se lo 'nfermo
piscerà
putredine, sì si debono dare i sementi ke noi
nominamo nel capitolo de l'ardore e arsura de l'urina, tanto ke la
putredine menomi. E poscia si dieno i trocisci, i quali noi nominamo
nel capitolo de l'orinare del sangue e de l'orina noi
nominammo.
E l'apostema ke ssi fa ne la vescicha dee acompagnare febre
continua, e malagevoleza di pisciare, e doglia ne la
verga e nel
pettingnone, e allotta lo 'mfermo sì dee scemare sangue de la vena del
feghato, e facciasi il
medicamento di questa infertade secondo ke noi
dicemo dinançi. E aviene alcuna volta ke l'apostema de le reni non fa
putredine, ançi passa in durezza quando graveza ne le reni persevera
sança febbre. Dumque si dee fare
clistere a lo 'mfermo kolla
mucillagine del fieno greco, e seme di lino, e dicotione di camomilla,
e di cavoli, e di meliloto, e di malvavischio, e di cruscha, e rigetti
spesse volte, e sopra le reni si metta empiastro di quelle cose ke noi
nominamo. E s'elli pare ke ll'orina menomi, sì ssi dieno con quello
quelle cose ke ànno a provocare l'orina, e questo non si dee avere per
pocho, imperciò ke per questo si perviene all'
idropisia.
L. IX, cap. 72 rubr.Capitolo .Lxxij. De l'ardore e puntione de l'orinare e sua
cura.
L. IX, cap. 72
Quando lo 'nfermo orina e ne l'orinare sente ardore e
punctione
ne la vergha, sì ssi dee abstenere da le cose salate e dall'acetose e dalle
acute, e si dee nodrire coi
taffeis leni, e
cibrebegi, e co le somillianti
cose, e questo
medicamento li è da dare, il qual è:
recipe: seme di melloni scorticati e mondi dr
. .xxx.; seme di
cederni, seme di
çuccha, seme di porcellana, seme di papavero
biancho ana dr
. .iij.; seme di
jusquiamo bianco dr
. .ij.; çuchero
bianchissimo al peso di tucti. E de la polvere di queste cose prenda
ogne die im beveragio la mattina dr
. .iij. e l'altre
.iij. dr
. la sera con
una on
. di sciroppo violato, e di
juleph. E questa infertade non si dee
avere a schifo ke, conciosiacosak'ella sia
mansiva e perseverante, di lei
si provengono ne la vescicha e nelli strumenti dell'urina
ulceri.
L. IX, cap. 73 rubr.Capitolo .Lxiij. Quando huomo orina sangue.
L. IX, cap. 73Quando alcuno per cagione di caduta o di percossa
piscerà il
sangue, sì lli si scemi sangue de la vena del feghato, e li si dieno a bere
i trocisci ke ssono kiamati trocisci di
carabe.
Trocisci di
carabe.
Recipe:
carabe, e de la gumma de l'arbore tremula ana dr
. .v.;
balaustie,
ypoquistides ana
.ij. e
1/2; incenso, seme d'appio ana dr
. .j.; e
se
'nformino i trocisci a peso d'uno aureo, de' quali si dea ogne die
una co la dicotione del
somach.
E a mangiare li si dea carne cotta col
sumacch e carne cotta col
sugho de l'uve acerbe, e s'
astengha da' cibi acuti e salsi, e sopra il
luogho de la percossa sì ssi pongha impiastro di bolo armenico,
acacia, alloe e litio
konfetti coll'aceto e coll'acqua.
E se l'orinare del sangue averrae dipo 'l manicare de' cibi acuti, o
dipo 'l bere del vino acuto, sì ssi scemi sangue a lo 'nfermo e bea i
trocisci di
carabe, e ssi governi kon quello medesimo
regimento ke
noi dicemmo.
E s'elli orina
putredine, a lo 'mfermo si debono dare questi
trocisci, i quali:
recipe: seme di melloni, di cederni, di çucche, tucti sança le
scorçe ana dr
. .xx.; bolo armenich, oncenso, grasso, sangue di
dragone ana dr
. .x.; oppio dr
. .iij.; seme d'appio dr
. .ij.; e se
'nformino
i trocisci di peso di due dr
., de' quali ogne die uno kon
.j. on
. di
sciroppo di papavero si dea a bere, e ne la vergha si metta di questo
collirio di cerusa.
Collirio di cerusa.
Recipe: cerusa,
sarcocolla, oncenso,
gummo
arabico, oppio
sangue di dragone per iguali parti. E di queste cose si facciano
colliri e
primieramente si gitti per la
sciringha de l'
ydromelle, e
orini lo
'mfermo; e poi che ne fie uscito, sì vi si gitti entro questo
kollirio
disoluto nel
late de l'asina.
L. IX, cap. 74 rubr.
Capitolo
.Lxxiiij. Del fluxo de l'orina.
L. IX, cap. 74Quando lo 'nfermo à molta orina, e quando elli la fae non sente
arsura, o elli orina quando
dorme e no à sete, né per ciò non dimagra,
sì ssi debbono dare quelle cose ke costringhono l'orina.
Medicamento il quale ritiene l'orina.
Recipe: ghiandi dr
. .j.; oncenso dr
. .xxx.; seme di coriandro
secco, bolo armenico,
gummo
arabico ana dr
. .x.; e se ne faccia
polvere de la quale si dea la matina a
tranghiotire dr
. .iij. e la sera
altretante.
E se con questa infertade la
sete fosse forte e grande, e l'acqua
ke ssi bee tosto s'
orina, l'acqua de l'orço si dea kol pisilio e si notrichi
col sugo de l'uva
acerba e col sumach, e koi somillianti nodrimenti, e
kol cibo ke ssi fa co la
similla de l'orço, e masal, e rob acetoso li dea
bere, e non si
affatichi, e non usi con femina, e bea questi trocisci, li
quali:
recipe: spodio dr
. .x.; seme di
lactughe e di porcellane ana dr
.
.xv.; coriandro seccho, rose vermillie, bolo armenico ana dr
. .v.;
balaustie dr
. .ij.;
kamphora dr
. 1/2; e si beano col sugho de le
melegrane acetose.
E ancora si pestino l'erbe fredde e si pongano in su le reni; e
guardisi dai cibi caldi e dal vino, e da tucte quelle cose ke ànno a ffare
orinare. E questo ke aviene del grande errore delli stolti e de' matti è
ke elli danno in questo male a lo 'mfermo le medicine calde onde,
incontanente, li mena a
tisicheza.
L. IX, cap. 75 rubr.Capitolo .Lxxv. De' vermini che ss'ingenerano nel ventre.
L. IX, cap. 75Quelli ke àe acostumato d'avere questo nocimento ke lli
s'ingeneri vermi nel ventre e nel fondamento, sì ssi dee guardare da'
cibi grossi
unctuosi, e ogne die, ançi k'elli manuchi, si prenda alquante
fette di pane colla senape e con
almury, imperciò ke questo nolli
lascia generare. E s'elli aviene cosa ke elli si generino, non si conviene
fare altro se non
mandarli fuori.
Medicamento il quale manda fuori li
ascaridi (cioè quella
generatione di vermini):
burangy
escortichato, cioè quando lo
'mfermo è molto affamato, si ne prenda dr
. .vij.
Medicamento ke manda fuori i grandi
lombrici.
Recipe:
burengi
scorticato, turbit, seme di
nil parti iguali; lupini,
nasturço,
kanape ana parte meza, e se ne bea dr
. .vj.; ma
primieramente bea lo 'mfermo incontanente sì com'elli è munto per
.iij. die, e apresso in ciascuna quarta die sì ssi
dieti, e del predetto
medicamento ancora
kaldo, sì com'elli è munto e
disolvuto, è preso;
e quando elli è ancora affamato, molto bea.
E i vermini minuti ke si fanno ne la natura di sotto, i quali
sonno minuti, per li quali v'aviene entro piçicore, per la quale cosa si
stropicia di sotto il fondamento, si mandano via quando bambagia
involta ne l'olio lavato vi si mette dentro, o involto nell'olio di
grisomule e col sugho del mentastro, e s'involga con uno poco d'alloe
e di fiele di vaccha e vi si metta dentro.
L. IX, cap. 76 rubr.Capitolo .Lxxvj. De le morici e de le fistole.
L. IX, cap. 76
Moreci avengono quando sangue ricente sança doglia esce di
sotto per la natura
interpolatamente (cioè in certi tempi
acostumatamente), non è da
ristringnere se lo 'nfermo perciò non
indebolisse, imperciò ke per quello è l'uhuomo
libero e sicuro di
molte infertadi e di molte guerisce. E perciò s'elli indeboliscie, è
mistiere ke ssi
costringha, trocisci di
karabe kol sumach si dieno, e
manuchi
sumachia e 'l cibo il quale si fa col sugho de l'uve acerbe e
simillianti, o di quelli ke ànno a nodrire. E s'elli
indobolisse molto, sì
ssi notrichi col sugho de la carne a la quale si mescola alcuna volta
sugo di mele cotongne e vino, e bea vino laço e stitico, e ssopra il
feghato pongha impiastro di
spigho ke noi nominamo nel capitolo
del feghato. E se queste cose nom bastassero, sì li si dea la confetione
de la scoria del ferro, la qual è:
recipe: mirabolani neri, bellirici, emblici ana dr
. .v.; spigo,
squinanti, ciperi, gengiovo, pepe, ameos, incenso ana dr
. .ij.; scoria
stata a molle nell'aceto per una septimana e poscia arostita dr
. .xv.; e
tucte queste cose si conficiano col mèle dispumato, il quale fu cotto
ko la dicotione delli emblici, sì come noi nominamo nel capitolo de la
malinconia, del quale si prenda ogne die a la grandeçça d'una noce.
Imperciò ke questo costringne il sangue de le morici e de' mestrui e
fa rimedio al fluxo e a la menagione del ventre di lungho tempo.
E se nel fondamento di sotto nasce alcuna cosa ke apaia in
fuori, per lo quale avenga grande dollia e non esce alcuna cosa, il
sugho de la cipolla con um poco di lana, o il fiele de la vaccha, vi si
pongha suso, e vi si metta dentro una lungha
kura (o
ssuppositorio)
di pane terreno, il quale lo 'nfermo tengha tucta notte. E se elli n'esce,
sì vi si rimetta dentro tanto ke ssi rompa e n'escha sangue. E quando
il dolore fosse molto grande e forte, e l'apostema grande di sotto, sì
ssi tolgha
sangue a lo 'mfermo, e questo empiastro vi si pongha suso,
imperciò k'elli manda via il duolo de le morici quando con esse è
appostema.
Recipe: meliloto e
kamomilla, le quali tanto si cuocano ne
l'acqua tanto ke ssi
disolvano; poscia si prenda de l'acqua de la loro
dicotione quanto a una mano si puote tenere, e uno tuorlo d'uovo
arostito, e una dr
. di gruogho, oppio dr
. .ij., seme di lino trito, fieno
greco, e malvavischio ana piem
pugno. E tutte queste cose si
conficiano col rob nel quale
.iij. dr
. di bdellio sieno
disolvute e poste
in su la
foglia, poiché la loro superficie sarà
unta koll'olio
sissamino,
nel quale grasso di gallina fie risoluta o d'anitra, in modo d'empiastro
vi si pongha suso quando elle sono ancora
tiepide.
L'altra
confettione ke mitigha il duolo e l'apostema.
La cipolla biancha bene cotta si pesti molto bene, kol bituro de
la vaccha si mescoli ke ssi faccia sì chome mèle e um poco tiepido, se
ponga sul fondamento ov'è l'apostema, imperciò ke questo mitigha
molto il duolo. E quando lo 'nfermo avrae nel fondamento le
raghadde, cioè fenditure '
crepature kon aspreza, le quali li fanno
male quando elli è stitico, sì usi le pillole del
bidellio, le quali:
recipe: mirabolani, neri, kebuli ana dr
. .x., serapino dr
. .iij.
nasturtio bianco dr
. .iiij.,
bidellio molle e grasso dr
. .xv., e si disolva il
bidellio nel sugho de'
porri, e di lui si
conficino l'altre cose, o se ne
'nformino le pillole, e se ne prendano spesse volte da una dr
. infino a
.iij.
E se nel luogho sia
adustione, sì ssi ungha co l'unguento de la
cerusa; se non vi si senta
adustione, sì ssi ungha koll'unguento ke si fa
di grasso ke ssi truova ne lo scrigno del canmello e
bidellio, il quale si
fa in questa maniera, cioè a ssapere unguento di sene.
Recipe: cera gialla, olio di sisamo, grasso d'anitra, midolla di
gamba di vaccha, e del grasso k'è ne lo scrigno del
kanmello, e
dellio per iguali parti; e
bidellio si disolva primieramente ne la
mucillagine del seme del lino, e poscia si mescolino tucte queste cose
insieme, imperciò ke questo è optima cosa.
E se lo 'mfermo àe
ragadie profonde nel fondamento, da le quali
puçolente
putredine o ordura escha, sì vi si sottopongha
medicamento acuto ke noi scrivemmo nel capitolo dell'
ulceragioni, il
quale lo 'mfermo sofferi per due dì. E se vi rimane neente ke
risudi,
pongavi ancora il
medicamento, la quale cosa tanto si faccia ke il
luogho si disecchi e asciughi, e non
risudi s'elli è profondo. E se
quelle
eminentie e alteze, ke ivi sono, pendano in fuori in tanto ch'elle
s'
arustiscano e diventino nere, sì vi si metta e pongha spesse volte il
biturio tiepido tanto ke la nereza se ne lievi. E se il
resudamento
ritorna, sì vi si ponga ancora il
medicamento acuto, e se non
risudi
koll'unguento de la cerusa si medichi. E quando le
moroide sono
molto pinte e protesi in fuori, sì ssi medichino
kauteriçando kol ferro.
Ma parlare di questo è più ke questo nostro libro non richiede.
E le fistole si generano di sotto nel fondamento
agevolmente,
imperciò ke la sua figura fa quel luogho essere necessario. Le quali
alcuna volta sono penetranti e passanti, e alcuna volta no, imperciò ke
quando elle sono
forate l'orina e lo sterco n'esce fuori; e se non
n'esce lo sterco e la ventositade non è trapassante. Ma parlare di
questa cura perfettamente è più ke non richiede questo nostro libro.
Ma imperciò ke quasi tutti li homini incorrono grande errore ne
la cura e nel
medicamento di questo male, onde si seguita grande
nocimento, noi l'
inciteremo a quello ke è congruo e utile a questa
infertade, e mostreremo in kente maniera huomo si
debbia guardare
di questo errore. E diremo ke quando la fistola da ongne lato forata,
quando ella è di lungi da la natura, in niuna maniera si dee tochare
kon ferro, imperciò ke per lo talliamento del ferro aviene ke lo
stercho n'esce fuori sança
volontade. E ancora è altro, perké la
fistola
perforata da ogne parte non si dee tocchare kon ferro,
imperciò ke per tucto il tempo de la vita de lo 'nfermo potrà
dimorare e stare in quella maniera non faciendo grande nocimento, e
non ne verrae altro male se non
resudamento e fluxo.
E se quello ke
n'esce fuori è acuto e mordicativo e à puçolente odore, la cui
quantitade
ongnendie cresce, sarà fistola putrida e kon
erpete
estinomeno, al quale si dee socorrere kol
medicamento acuto, e di
quello ke compie ogne kosa si dee soccorrere, ançi che ssi dilati e si
faccia molto grande.
E quando non
resuda se nom poco, se la sua
quantitade non cresce ogne die e reo odore non vi sia cresciuto, non
v'è in lei alcuna cosa ke ssia da dottare, se non
resudamento e fluxo
ke ssi puote medicare, tanto ke ssi disecchi e
disenfi, e ke non
resudi
per lungo tempo. E se il
resudamento ritornasse, sì vi si faccia il
predetto
medicamento e in questa maniera si potrà lusingare per
tucto il tempo de la sua vita e non nocerà.
E 'l modo di medicare questa infertade: si prenda del collirio ke
noi
nominammo nel capitolo de la fistola de l'occhio, e bene si
priema la fistola tanto ke n'escha fuori ciò ke vi si contiene dentro. E
se il
radio, cioè quello strumento, vi puote entrare entro, sì ssi
involgha co la bambagia e poi con quella medicina, e poi k'elli fia
doventato per la bambagia e uncto, sì ssi metta ne la fistola. E se
quello
radio non vi puote entrare, la medicina si disolva ne l'acqua e si
sollieva la coscia de lo 'mfermo
postovi di sotto uno cuscino, e lui
giacente supino, il predetto
medicamento,
distillando, si gitti sopra la
fistola. E si faccia questo la mattina e la sera per tre die, e seggha ne
l'acqua de la cucurma, e se ne lavi.
L. IX, cap. 77 rubr.
Capitolo
.Lxxvij. Del budello del fondamento k'esce
fuori de la matrice.
L. IX, cap. 77Quando il budello del fondamento di sotto esce fuori de la
natura e non vi è apostema, in tale maniera si dispongha ke elli si
ripingha dentro. E si pigli:
cerusa, balaustie, galle, allume, antimonio per iguali parti, e se ne
faciano polvere e, unto il fondamento primieramente koll'olio rosato
e kaldo, e quella polvere vi si gitti suso, e poscia si rimetta quello
budello dentro e si ristringha, la quale cosa si conviene fare poi che lo
'nfermo fie tornato da ssella, accioe ke no li sia mestiere d'andare
tosto a ssella. E piglinsi ancora: galle, e balaustie, e coperchi di
ghiandi, e foglie di mortine, e si kuocano ne l'acqua tanto ke ll'acqua
diventi rossa, e vi segha dentro e se ne lavi. E se quello budello non
vi puote entrare dentro, perciò k'è apostemato, entri spesse volte ne
l'acqua calda, e vi segha dentro e unga il fondamento co la cera e
coll'olio de la camomilla, o d'aneto, tanto ke vi rientri dentro. E
quando elli vi fie rimesso dentro, sì ssi medichi con quelle cose ke noi
abbiamo dette.
E se la natura de la femina similliantemente fie uscita fuora,
similliantemente si dee medicare, ma è mestiere ke fortemente si leghi
e ke la 'nferma sempre giaccia supina e tengha le coscie levate.
L. IX, cap. 78 rubr.
Capitolo
.Lxxviij. Per
costringnere i mestrui.
L. IX, cap. 78Per costrignere i mestrui de le femine quando vengono troppo, i
trocisci di carabe si debbono dare per una septimana, i quali se non
giovano, la confectione de la scoria del ferro si dea, e si scemi sangue
de la vena del fegato, e si pongano ventose a le poppe, e quando
manucha si usi cose stitiche e laççi cibi. E questo medichamento si
metta di sotto, il qual è:
recipe: incenso, balaustie, galle, antimonio, acacia, e allume ana
parti iguali, e la polvere di queste cose molto ben trite si metta di
sotto kon uno poco di lana molto bene.
E 'l pettingnone e 'l dosso s'epitimi con quelle cose ke noi
nominamo nel capitolo del fluxo del ventre e segga ne l'acqua de la
cucurma. E se queste cose non giovano, sì vi si metta l'altro passario
acuto e stea ne la natura.
L. IX, cap. 79 rubr.Capitolo .Lxxviiij. Di provocare i mestrui.
L. IX, cap. 79Conciosiacosaché per lo ritenere de' mestrui grande male se ne
seguiti, i trocisci de la mirra si deano.
Trocisci di mirra.
Recipe: mirra dr
. .iij., lupini bene triti dr
. .v.;
foglie di ruta,
mentastro,
pulegio cervino, robbia de ke se
tingne, asa, serapino,
oppoponaco dr
. .ij.; de' quali si dea uno il die, coll'acqua ne la quale il
seme di
junepri sieno cotti, imperciò ke questo
medicamento è sì
forte in provocare i mestrui ke ancora la creatura mandi fuori. Se
alcuna spesse volte l'userà, e le ventose si debbono porre giù ne le
polpe de le gambe e la
flobotomia si dee fare de la
safena (cioè de la
vena del tallone dentro del piede), e poscia le ventose si debbono
porre nel
petignone.
L. IX, cap. 80 rubr.Capitolo .Lxxx. De le ragadie, o crepacie, e aspreza de la
natura.
L. IX, cap. 80Queste si debono medicare kol
medicamento de le
ragadie del
fondamento di sotto. E si metta di sotto
passario fatto di grasso
d'anitra e dell'
isopo
ceroto kolla midolla de la gamba del
cervio,
mescolati colla cera e
disolvuti coll'olio del lillio o di narcisco, se cosa
è che non vi sia né febbre né altra acuitade. E se quello e kom febbre
e acuitade fosse, sì vi si pongha olio rosato e ssi facia
somilliantemente
pessario ko l'unguento de la
cerusa. E se 'l caldo fia
molto più forte, sì ssi pigli il sugho de le porcellane, o de le latughe, o
mucillagine di
psillio, e si faccia tavola di piombo somilliante al
marmo, nel quale si
pestano i colori, la quale abbia intorno uno
labbro piccolo; e pongasi iv'entro alcuna cosa de' predetti sughi, e col
pestello del
piombo si muova in tale maniera ke del predetto piombo,
nel detto liquore, si mescoli assai; e si spessi il sugho del quale si
faccia il
pessario, poi che ll'olio rosato fie mescolato con esso e si
metta di sotto, imperciò ke questo
medicamento è molto buono al
kancro vulnerato k'è ne la matrice e a l'altre cose a llui somillianti.
L. IX, cap. 81 rubr.Capitolo .Lxxxj. De l'apostema ke ssi fae ne la matrice de
la femina.
L. IX, cap. 81Se con questi apostemi è kalore e febre, sì ssi faccia flebotomia
de la vena del fegato, e la 'nferma sì ssi notrichi koll'acqua de l'orço,
cioè ove ll'orço è kotto, e si ungano le reni e 'l pettingnone e quelle
parti colla dicotione delgli apostemi caldi, e ssi rafreddi il luogho
quanto è possibile. E si dipo la febbre e dipo la forteza del male
rimarrà alcuna cosa de l'apostema, sì ssi medichi coll'untioni liquide e
mollificative, e la femina segha in queste cose liquide infino a tanto ke
ssi ranmollischa e si maturi.
Il passario ke mollificha e ramollisce i duri apostemi e la matrice,
e ke giova ai dolori ke vi si fanno dentro, e a pocho a pocho li fae
andare via.
Recipe: del grasso de l'anitra e de la midolla de la gamba del
cerbio, e de la midolla de la gamba de la vaccha, e del bdelio molle,
gruogo, e tuorlo d'uovo arostito, e feccia de l'olio de' semi, di tucti
per iguali parti; e ssi disolvano in vino e in rob, e se ne facia pessario,
imperciò k'è molto buono a disolvere il dolore e a mollificare la
dureza de la matrice. E la 'mferma seggha ne l'acqua ne la quale sia
cotto il fieno greco, e 'l seme del lino, e la kamomilla, e 'l meliloto, e
l'estremitadi de' kavoli, ciascuno per sé o tutti insieme.
L. IX, cap. 82 rubr.
Capitolo
.Lxxxij. Dell'
ulceragioni ke ssi fanno nella
matricie.
L. IX, cap. 82Quando de la natura de la femina kola e discende putredine
spessa o altro fracidume suttile, e ssi discendano dal luogo prociano,
e non vi sia profunditade puçolente o fracida, sì ssi debbono
prendere alloe, e mirra, e sangue di dragone, e sarcocolla, e oncenso,
e vi si debbono porre suso tanto ke ssaldi. E s'elli aviene che
discendano dal luogho rimoto e dilungi del pessario ke noi
nominamo nel capitolo del sangue e de la putredine, si faccia sopra
untione e vi si ponga suso. E se quello ke nn'esce fuori è puçolente e
àe reo odore, sì vi si gitti entro del pessario secondo acuto, poi ke 'l
luogho fie mondificato koll'acqua e col mèle gittativi entro dinançi. E
se con quello ke n'esce fuori v'è puntione e dolore, o apostema duro,
il quale si discerne e si sente al tocchare, sì ssi conviene molto
guardare ke non si tocchi kon alcuno acuto medicamento, ma vi si
faccia gitamento entro con quella confricatione del piombo, ke noi
dicemo ko l'unguento de la cerusa, e si scemi sangue de la vena del
fegato, e si guardi di tucte quelle cose ke generano la collera nera e de'
semi, i quali per condimento si mescolino coi cibi.
L. IX, cap. 83 rubr.Capitolo .Lxxxiij. De la putrefatione de la matrice, e
quando la matrice emfia e sale in su e pare ke tramortischa.
L. IX, cap. 83Quando i mestrui sono ritenuti per lungho tempo, overo ch'elli
è lungho tempo ke la femina non ebbe a ffare kon uomo, avengna
ch'ella n'abbia avuto grande volontade, e le sia venuto gravitade e
dolore ne la parte del pettingnone di sotto, e senta quasi alcuna cosa
ke ssi tragha suso da la parte del pettingnone, forse dipo questo ella
tramortirà o cadrà quasi morta, e apena potrà huomo congnoscere
k'ella tragha l'aria ad sé e l'alito, o k'ella abbia polso, e forse cadrà e
morrà, e forse
guerirà, ma con grande pena, e perciò incontanente
quando questo male viene, sì ssi conviene medicare, il cui
medicamento è ke i suoi piedi fortemente si
strupicino e si leghino, e
una grande ventosa si pongha in sul pettingnone. E a una fenmina di
quelle ke guardano le donne si comandi ke l'ungha molto bene il
dito
suo koll'olio di buono odore e bene ogliente, e metta il
dito dinançi
ne la natura de la femina e 'l meni intorno molto bene in qua e i· llà
intorno a la boccha de la natura. E ancora nel naso si
sofi de lo
nasturzo, e intorno ai suoi orecchi si gridi ad alta voce, e non odori
neuna cosa di buono odore; ançi le cose di buono odore si ponghano
e si mettano di sotto, e s'
epitimino al pettingnone e a quelle parti, e le
cose di reo odore si pongha al naso, sì come lo sterco, e 'l castorio, e
'l
solfo. E quando ella fia rivenuta e guerita, con questa medicina si
medichi e
guerischa acciò ke 'l male non ritorni più.
E se questo male venisse dipo 'l ritenimento de' mestrui, sì ssi
dieno quelle cose che fanno venire i mestrui o ke lli provocano, e si
tolgha sangue de' piedi e vi si pongha ventose. E se questo aviene per
grande e lungha costumanza d'uhuomo ke
ssolea avere e noll'àe,
perké questa cosa suole avenire più spesse volte, sì ssi ricominci a
usare co l'huomo; o la femina ke guarda e custode le femine im parte
le faccia col
dito quello ke noi dicemmo spesse volte, o ssi dieno
quelle medicine ke menomano la sperma ke noi abbiamo già dette, e
si dieno i trocisci de la mirra, i quali noi
nominammo nel capitolo
d'insengnare provocare i mestrui.
L. IX, cap. 84 rubr.Capitolo .Lxxxiiij. De la infertà ke è kiamata mola, la
quale aviene a le femine ke paiono pregne e sono discolorite e
ritengono i mestrui.
L. IX, cap. 84A le femine aviene alcuna volta uno male per lo quale elle ànno
dispositione e sembiança kom'elle fossero pregne, imperciò ke il loro
corpo cresce e sono
discolorate, e si ritengono in loro i mestrui (cioè
il loro tempo e
purghamento ke no ll'ànno). Ma il
movimento k'è in
questa infertade no è sì come il
movimento del fanciullo, ançi alcuna
volta si muove del suo luogho, quando huomo il toccha duramente o
ponta, e a la perfine kon angoscia e con dolore fae um pezo di carne
sança forma, quasi com'ella partorisse, e alcuna volta fae solamente
moltitudine d'omori e ventositade, e poscia menoma il ventre e
vanno via gli acidenti. E poi che 'l tempo è passato nel quale si sente
ke 'l fanciullo si dee muovere se vi fosse, sì ssi debbono dare i trocisci
di mira, e la dicotione de'
semi, e l'olio di
resin, e 'l
pessario de la ruta
e di mentastro. E lli altri
pessarii predetti vi si debbono mettere ke ssi
debbono mettere nel capitolo dell'
aleviamento del parto, e spesse
volte si debbono dare le prese de le pillole
fetide, e com questo
scamperae tosto.
L. IX, cap. 85 rubr.Capitolo .Lxxxv. De' crepati et erniosi.
L. IX, cap. 85Quando alcuno huomo avrae nel ventre ateza in alcuna parte, la
quale, quando elli giace supino e huomo vi ponta suso le
dita, si
diparte e va via e dispare, e quando siede ritorna quel cotale, àe allotta
il male il qual è kiamato
crepatura, overo roptura. E colui che à
questo male, sì ssi dee guardare ke dipo manichare elli non si muova
né
affatiki, e k'elli non manuchi
fave magiormente, né fagiuoli, né
lenti, né
kamangiari, né alcuno cibo
emfiativo, e dee studiare ke 'l suo
ventre sia sempre molle. E per questo cotale
regimento è possibile
cosa k'elli scampi del dolore. E sopra il luogho si dee porre alcuna
cosa contraposta, e vi si dee stringnere, e propiamente quando si de'
muovere. E s'elli è grosso e àe il ventre grave, non si dee muovere se
primieramente il ventre non si cinge e
fascia con una
fascia bene
lata
sotto il
bellico.
Empiastro ai crepati.
Recipe: galle di cipresso parti
.ij., mirra, ciperi,
sansuco, galle,
acacie, oncenso,
gummo
arabico ana parte
.j.; e le
gumme
primieramente si risolvano nel vino e si ragunino con essi l'altre cose,
e sopra la roptura vi si pongha lo 'nfermo giacente supino, e 'l
luogho si
stringha e non si sciolga infino a tre o
.vij. die, e poscia lo
'nfermo, giacente supino, si
sciolgha, e quello empiastro gittato via, di
quello empiastro vi si pongha. E con questo cotale medichamento sì
non si lasci ampiare né dilatare la roptura, e ne la
roputura de la borsa
de le granella la
pelle cresce, la qual cosa viene o per la ventositade, o
per l'acqua ke vi si raguna, o ke le budella discendono a quel luogho.
E se quello aviene per lo discendimento de le budella, sarà
grave e
doloroso e sentirà dolore quando vi si tocchasse. E lo 'nfermo si dee
reggere sì come noi dicemmo, e 'l predetto empiastro vi si dee porre
suso, e il luogho si dee ongne die
strignere ko la legatura, imperciò
quando la roptura non si strigne, sì ssi dilata e cresce sempre.
E se quello è per kagione d'acqua ke vi sia dentro, il luogo apare
lucente, e pulito, e teso, e a costui giova de
epitimarsi de l'epithima ke
noi nominamo nel capitolo de l'ydropisi, imperciò ke l'acqua in
questa infertade discende molto giù di sotto e corre, onde lo 'nfermo
per alquanto tempo diventa sano, ma poscia ritorna la
'mfertade. E
poi che l'acqua ne uscirà fuori, sì ssi dee lo 'mfermo
medicare kol
cauterio e col
medicamento acuto, e per questo
guerirà sança dotta
incontanente, né la 'nfertade non ritornerà. Ma di questo è mistiere di
parlare più ke questo nostro libro non richiede.
E quando questa
infertà aviene per kagione di
ventositade, il
luogho si dee strupiciare e koll'olio del
sanbuco, nel quale sia
disolvuto castorio et euforbio, si dee ungnere e si dee distillare dentro
ne la vergha.
L. IX, cap. 86 rubr.Capitolo .Lxxxvj. De le gotte e de le doglie. Rubrica.
L. IX, cap. 86Quando ne le
giunture è dolore e apostema, e quando il luogho
si toccha si truova caldo a tocchare e 'l colore rosso, e se lo 'nfermo si
duole nel piede diritto e ne la mano diritta e la manca, nel mancho si
dee scemare sangue e il luogo si dee ungnere di questo
medicamento.
Epithima.
Recipe: rose vermiglie, sandali,
fausel, sief,
memitte,
boli
armenicho ana per iguali parti. E di queste cose,
disolvute in acqua e
in aceto, se ne faccia epithima, e 'l
psillio
infonduto e messo
nell'aceto, e messo nella carta vi si ponga suso, e quando si
comincia a rafredare sì ssi muti, e in luogho di quello vi si ponga su
l'altro, e 'l ventre si solva de la dicotione de' mirabolani e delli
ermodattili.
La dicotione delli
ermodattili e de' mirabolani.
Recipe: mirabolani citrini dr
. .xx.; polvere di turbith
strupicciato,
pollipodio, ana dr
. .iij.; sene, seme di
fummosterno ana dr
. .iiij.;
hermodatili bianchi, seme d'endivia, seme d'appio, rose ana dr
. .ij.; e
si cuocano in tre libre d'acqua tanto ke reggha a una, e poscia si
strupicino colle mani e si colino e si beano kol çuchero
tabarçet dr
.
.x.; e se alcuno non puote bere la dicotione, si pigli queste pillole ke
fanno levare colui che non si potea levar e fanno andare, e andare coi
piedi.
Pillole che fanno levare colui che nom puote andare.
Recipe: alloe dr
. .j.;
scamonea, la quarta parte d'una dr
.; rose
rosse trite la sexta parte d'una dr
.;
hermodatili bianchi dr
.1/2; e se
'nformimo le pillole, le quali fieno
.j. presa, e lo 'mfermo si
nodrischa
coi cibi freddi ' stitichi, e s'
astengha dal vino e da le
confectioni che
ssi fanno del mèle e de le carni. E quando il
calore de l'apostema e 'l
suo
infianmamento fie andato via, sì ssi medichi con quelle cose ke
risolvono quello ke rimane dipo i caldi apostemi, de' quali questo è
uno:
recipe: cera resoluta in olio di
liglio a la quale si mescoli la
mucillagine del fieno greco e del seme del lino, e poscia si
pestino
insieme tanto che ssi
unghano e se ne faccia epithima.
E nel tempo de la sua sanitade, e propiamente intorno quello
tempo ke 'l male il suole assalire, e magiormente nel
vere (cioè
nell'
aprile o quindi intorno), sì ssi
acostumi di scemare sangue e di
solvere il ventre con quelle cose ke
ssolliono purghare la collera rossa,
e si
abstenghano di bere vino e di quelle cose manicare ke ssi fanno di
mèle e da la carne, e sieno i suoi cibi
acetosi e stiptici e simillianti a
questi di quelli che raffredano.
E i membri che solliono avere questa infertade sì
ss'accostumino di sofferire meno fatica ke non solliono, e
magiormente quando elli ànno paura ke in quel tempo li
assalga. E
quando il corpo è pieno e le vene piene, e sia lungho tempo ke nolli
fue scemato sangue e che non fue purgato, e quando nel dolore de le
giuncture non fie né
calore, né rosseza, e lo 'nfermo fie di fredda
complexione, e il luogo si sente al toccare freddo, nel
cominciamento
del
medicamento li si dieno le pillole magiori delli
ermodatili.
Pillole maiori d'
ermodactali.
Recipe:
hermodatili,
sathirion,
meytakara ana dr
. .v.; yerapigra
dr
. .x.;
kolloquintida, centaura minore ana dr
. .v.; euforbio dr
. .ij.;
turbit dr
. .x.;
seytheragy indo, gengiovo, senape, pepe, kastorio ana dr
.
.j.; e di loro s'informino pillole de le quali si prenda da due dr
. in
mezo infino a
.iij.; e queste pillole molto giovano, imperciò ke colui
ke non si puote levare fanno andare.
Epithima a la
podagra e
gotte fredde.
Recipe: storace liquida, kastorio, euforbio, mirra, aloe, acacia per
iguali parti, de le quali cose, mescolate kon vino vecchio e
intrise, si
facia epithima. E quando questa dollia fia andata via, sì ssi socorra a
lo 'nfermo
gittandolivi suso molta acqua calda, da alti distillando, e si
faccia unctione koll'olio del lillio et empiastro col bdellio molle, e
colla storace, e fieno greco, e seme di lino, e armoniacho, e vi si
pongha suso, il quale si
confice in questa maniera: l'armoniacho e 'l
bidellio si risolvano in vino vecchio e tucte l'altre cose kon essi si
mescolino, de' quali si faccia empiastro e vi si pongha suso. E questa
spetie di
'mfertade è quella ke passa in
dureza di pietra, e redde i
membri e le giunture simillianti a
ffunghi, per la quale cosa quelli che
à questa infertade, sì ssi guardi dal fastidio e da l'acqua fredda e da'
grossi cibi, e da spessa ebbrietade, e
dêllisi comandare ke, quando elli
è sano, ke elli usi
movimento e faticha, e si guardi d'usare kon
fenmina, e magiormente quando elli è satollo. E dipo manicare non
entri nel bagno, e non si affatichi, e bea vino vecchio e puro. E
quando elli è sano usi quelle cose ke
ssolliono provocare l'orina.
E 'l dolore ke è kiamato
sciaticho è quello che dall'ancha per
tucta la coscia infino al ginochio si discende per lungheza. E alcuna
volta per lungheza, ad
similitudine d'una vergha disceso, discende per
la gamba infino al piede. E allotta se ne la complexione fie segnoria di
calore e l'orina sia tinta, sì ssi dee scemare sangue de la bassilica del
braccio di quella parte primieramente, e poscia della
sciaticha.
E se la complexione de lo 'nfermo fie fredda, e 'l cholore sia
fosco, spesse volte si dee fare rigittare ko la dicotione del
rafano kol
sciroppo acetoso, e la coscia, e 'l piede, e la gamba, e 'l ginocchio sì
ss'ungano assiduamente koll'olio nel quale sieno resoluti
costorio, et
euforbio, e storace. E se la dollia si fae ne la coscia
mansiva, cioè ke
non si diparta, sì ssi faccia
clistere a lo 'mfermo de l'almuri nabathi, e
baurach, e kol cristere acuto ke noi nominamo nel capitolo de
l'apoplesia; e si faccia e metta sopposta o cura di pane terreno e di
coloquintida, la quale cosa tanto si conviene fare ke lo 'nfermo si
scortichi di sotto, imperciò k'ella aviene spesse volte, se ne seguita
santade.
E se la
'mfertade invecchia, sì ssi prenda senape e si pesti con
altrettanto sterco
colombino, e si conficiano kolla dicotione de' fichi,
de' quali si faccia impiastro a le coscie, il quale tanto vi si lasci stare ke
vi si facciano vesciche e s'empiano d'acqua o ssi rompano, e l'acqua
ne gocioli ke v'è dentro, e ssi vapori il luogho koll'acqua calda, e
poscia si lasci lo 'mfermo riposare per alquanti die. E sse per questo
elli non guerisce, ancora si torni a questa medesima cura e
medicamento.
E se la 'nfertade è molto durata e di lungho tempo, e si dotta
ke ll'osso ritondo de l'ancha non vada fuori di quella concavitade o
v'esca, o ke ne sia già fuori, il luogho si dee
cauterizare
kollo
strumento ke
assomillia a la
ruota, e s'
incenda kolla
cottura il capo
dell'anca ov'è il capo de la coscia.
E 'l
parlamento di queste cose si trapassa il termino di questo
nostro libro. E quelli ke ànno questo male sono acostumati di
rigittare quando elli sono sani, e disolvere il ventre, e di sottilliare il
loro
reggimento e vita, e d'astenersi da' cibi grossi e da spessa
ebbreza.
L. IX, cap. 87 rubr.Capitolo .Lxxxvij. De la scrignuteza.
L. IX, cap. 87Quando lo scrigno si comincia a ffare, sì ssi debbono dare le
magiori pillole de l'
hermodatili, e dêsi spesse volte prendere olio di
resin colla dicotione de'
semi, e il luogho si dee spesse volte ugnere
coll'olio del
sambucho ove castorio et euforbio e storace liquida sono
disolvute; e si dee astenere dai cibi grossi e freddi, e l'acqua calda si
dee distillare sopra 'l luogho da alto, ne la quale sieno cotte maiorana,
e
sticados, e mentastro, e poscia si dee fare spesso
untione e
strupiciamento
kogli oli caldi. E se quelli che à questo male è
fanciullo, il predetto bagno e l'untioni con quelle cose ke noi dicemo
si debbono fare. E se con quella cotale
scrignuteza fie febbre, sì ssi
dee abstenere di tucto in tucto da quello
regimento, ançi si dee dare a
bere la dicotione fatta co l'erbe colla cassia fistola, e dêsi scemare
sangue de la vena del feghato, e vi si debbono porre suso forti
empiastri.
L. IX, cap. 88 rubr.Capitolo .Lxxxviij. De le vene grosse ke appaiono per
le gambe in diversi modi.
L. IX, cap. 88Quando vene grosse, piene e pieghate in diverse maniere, e
verdi, appaiono ne la ghamba, sì
ssignifica ke v'è quella infertade la
quale è kiamata
varici, o vite, e questa infertade aviene più spesse
volte a coloro ke ànno acostumato d'
affaticharsi molto coi piedi e a
coloro ke pilliano spesse volte cibi ke generano collera nera.
Nel
cominciamento del
medicamento di questa infertade sì ssi
conviene scemare sangue de la vena del fegato e dare medicina che
abbia a purghare la collera nera, de' quali noi facemo mentione nel
capitolo de la
menincomia. E queste cose si debbono fare ispesse
volte, e si conviene guardare da tutte quelle cose da le quali si
conviene ke ssi
abstengano e si guardino quelli che ànno il male de la
maninconia. E poi che l'huomo avrae facto questo
regimento
lungamente, sì ssi tolgha sangue di quelle vene ke noi dicemmo ke
erano aparite ne le gambe, de le quali si lascia uscire il sangue sì
lunghamente ke n'escha ciò ke i· lloro è. E poi lo 'nfermo usi quelle
cose ke ànno ad mandare fuori la collera nera, e si scemi sangue de la
vena del feghato, e si guardi da tucte quelle cose ke generano la
collera nera.
L. IX, cap. 89 rubr.Capitolo .Lxxxviiij. De la helefantia, cioè quando i piedi
e le gambe enfiano kon ischiançe.
L. IX, cap. 89
(+i) Helefantia sì è una malatia ke ffae diventare i piedi e le gambe grosse
e molto enfiate kon
ischiançe.
(i-)
Questa infertade, poi ke ella è facta
mansiva e perdurabile, sì è
da non guerire, ma quando ella comincia et ella è medicata sì come si
conviene, o ella guerisce del tucto o ella dimora così kome è e non
cresce. E quando huomo vedrae ke 'l piede
ingrosserà e 'l colore
diventerà fosco, e le vene ke ssono
kiamate viti
kominceranno ad
aparire, sì ssi dee fare lo 'nfermo rigittare assiduamente e spesso, e
dêsi guardare k'elli non vada troppo e k'elli no stea troppo diritto.
E 'l ventre si dee muovere ko le pillole magiori delli
ermodatili,
abbiendo rigittato dinançi, e poscia dee reddire al rigitare. E quello si
conviene fare molte volte dipo questo, e lo 'nfermo si dee abstenere
da' cibi grossi. E la gamba,
cominciando al
calcagno infino suso al
ginochio, si dee stringnere, ma dinançi k'ella si
stringha, sì ssi dee
epithimare koll'aloe, e kolla mirra, e kolla acacia, e koll'
ipoastidos, e
ko l'
allume,
disolvuti coll'aceto forte. E si dee scemare sangue de la
vena del feghato de la contradia parte, e no stea diritto se 'l piede no è
primieramente leghato bene strecto, e non lasci l'epithima in neuna
maniera, e usi spesse volte a rigittare. E s'elli è picolo tempo o spatio
k'elli àe rigittato e disidera di riposarsi,
vaporalo kol seme de' kavoli, e
ko lo
sticados arabico, e ko la cennere de le viti, e lupini, e nitro, e
sterco d'epa, e farina di fieno greco; e si
lenischa e ungha koll'acqua
de la
cenere de le viti per spatio d'uno die o di due, imperciò k'ella
risolve grande parte di questa infertade e la fae più lieve.
L. IX, cap. 89 bis rubr.De' mali ulceri ke ssi fanno ne le reni per troppo
giacere supino.
L. IX, cap. 89 bisQuando alcuno giace supino lungho tempo sopra 'l dosso, i
luoghi de le reni si arrossano molto e fannovisi mali ulceri. Dumque
quando huomo vede ke questi luoghi arossano, sì ssi dee spargere
suso loro millio, o panicho, o foglie di salci. Et elli si dee molte volte
solvere il die, e i luoghi che ssono rossi si debbono inaffiare e mollare
molte volte il die coll'acqua rosata, raffreddata sopra la neve, e le dee
homo altressì ventolare. E se il caldo pur perseverà, sì vi si pongha
l'epithima de l'alhurabuti ke noi nominamo nel capitolo de
l'apostema; e se vi sono nate vesciche e ulceri, sì ssi medichi
koll'unguento della cerusa, cioè la biacha.
L. IX, cap. 90 rubr.Capitolo .Lxxxx. De la dollia ke ssi fae manofesta ne'
membri.
L. IX, cap. 90
Quando la doglia si fae ne la mano o nel piede, sì 'l dee il fisico
dimandare lo 'nfermo se quello li è advenuto per percossa, o ss'elli
cadde sopra quello membro alcuna cosa, o ss'elli giacque sopr'esso
lunghamente, o s'elli li avenne per altra cagione di fuori. E s'elli
adviene cosa ke non sia avenuto per cagione de fuori del corpo, si dee
huomo considerare se 'l luogho dollioso è più rosso ke ll'altre parti
del corpo o no. E s'egli è più rosso di tucto l'altro corpo, sì si dee
medicare kol
medicamento del caldo apostema; e se 'l membro non è
né caldo né rosso, ma ogne die adviene fosco o diseccha, sì lli si dee
distillare e gitare da alto acqua
kalda sopr'esso, e si dee ungnere con
olio e con cera
disolvuti insieme, e lasciarsi stare tanto ke la dollia sia
mitighata. E se il luogho pare quasi più grosso e a tocchare pare
freddo, spesse volte si dee stropiciare e acqua
kalda si dee sopr'esso
distillare da alto; ne l'acqua calda ne la quale sieno cotte maiorana e
kamomilla, e
sticados arabico, e de l'olio giallo di
kery si dee ungnere,
e 'l suo
regimento si dee sottilliare, et elli usi molto exercitio e faticha,
e sudi nel bagno. E se queste cose nom bastano, sì ssi muova il
ventre kon quelle cose ke menano fuori l'
uhumiditadi.
E se 'l membro quando si toccha si sente freddo, primieramente
si
strupici e poscia s'ungha coll'olio del costo e di
sambucho, e d'olio
di been tiepidi, e de' somillianti a questi. E se queste cose
nom bastano, sì ssi dee ungnere co l'unguento ke noi dicemmo nel
kapitolo de la parlasia tanto ch'elli sia guerito.
Qui finisce lo libro nono di
Rasys, de la
curatione e
guerimento
de l'enfertadi e mali, i quali avengono dal capo infino ai piedi. A Dio,
per lo benificio del quale e per lo cui aiuto noi l'avemo tracto a
questo fine, sieno sempre sança fine gratie infinite. Amen.
(+i) Acqua la quale fae molto pretiosa e
bella la faccia de la femina sança
alcuna altra
umtura, la quale compuose la reina Sobilia.
Tolli litargiro una parte, e
pestalo bene sottilmente, e
mettilo in aceto bianco
forte, e fae bollire in
pentola nuova
tamto ke scemi la terça parte. Poi tolli salgemo
sexta parte, canfora sexta parte,
borace una parte, incenso due parti, olio una
parte, acqua rosa due
cotanti ke ll'olio. Queste cose pesta e
polveriça e mescola in
acqua rosata, e col predetto olio e in vasello netto fa' bollire poco. Poi cola quella
acqua, e quando l'
ài colata
distillala con
feltro, e poi la
serba in ampolla di vetro,
e poi cola l'acqua de la
pentola dov'è il litargiro con felltro e ripolla per sé in una
altra
ampolla, e serbala.
E quando tue vorai usare le dette acque, tolli una gocciola dell'una acqua
e una de l'altra acqua, e pòlla ne la palma de la mano manca, e incontanente
diventerà come lacte e molto olorosa, de la quale
rifregha a la faccia, e a la gola, e
al collo, e al petto, e a le mani, e
faràlle molto bianche e olorose. Queste acque
tieni in ampolle di vetro e sono molto di grande virtude a imbianchare la facia, e
kiamasi acqua
vergine.
(i-)
L. X, Index rubr.
Qui cominciano i
kapitoli del decimo libro di Raxis, i
quali sono in somma
capitoli trentatré per conto, sì come di sotto
sono infrascripti.
L. X, IndexCapitolo primo. De la febbre la quale dai medici è kiamata
effimera. Capitolo secondo. De la febre eticha. Capitolo terço. De la
febre terçana. Capitolo quarto. De la febre causon. Capitolo quinto
De la febre k'è dentro a le vene, la quale continua per cagione di
molto sangue et è kiamata febbre
almathicha. Capitolo
.vj. De la febre
ke pillia ogne die, k'è kiamata
flenmaticha. Capitolo
.vij. De la febbre
quartana. Capitolo
.vij. De la febre ne la quale la caldeza e la fredeza
si truovano in una dispositione. Capitolo
.viij. De le febri
continue.
Capitolo
.ix. De le febri mescolate o
eratice ke nel quinto die, o nel
sexto, o per più tempo, fanno parosismo, cioè vengono. Capitolo
.xj.
Del triemito ke non si riscalda. Capitolo
.xij. De la febre ne la quale
no è
tramortiscimento, la quale si genera d'omori rei e acuti. Capitolo
.xiij. De la febre co la quale huomo tramortisce e àe deboleza, la quale
viene per moltitudine di crudi homori. Capitolo
.xiiij. Delle febri ke
avengono per kagione d'appostemi. Capitolo
.xiiij. De le febri ke
avengono per pistolentia o per coruptione de l'aria. Capitolo
.xvj. De
le febbri
chomposte. Capitolo
.xvij. De'
vaiuoli e
morbilli, overo
rosolia, e de la loro cura. Capitolo
.xviij. Di quelle cose ke ssono
necessarie a ssapere reggere le 'nfertadi agute. Capitolo
.xviiij. De'
sengni che significano bene ne lo 'mfermo. Capitolo
.xix. De' segni
rei ne lo 'nfermo. Capitolo
.xx. Di conoscere il tempo de la febbre e
de la
'mfertade. Capitolo
.xxj. De' sengni de la digestione de la febre.
Capitolo
.xxij. De la congnitione, overo
konoscimento, de la
digestione de la febre. Capitolo
.xxiij. Del termine e in quanti modi
huomo puote terminare. Capitolo
.xxiiij. De' segni i quali dimostrano
e giudicano il termine. Capitolo
.xxv. Del mutamento de la
materia
ançi 'l termine. Capitolo
.xxvj. Del buono termine. Capitolo
.xxvij.
De' die e de usamenti ne' die ke ssono die ne' quali si fann'i termini.
Capitolo
.xxviij. Chome si puote congnoscere l'orina. Capitolo
.xxx.
Dell'uscita di sotto. Capitolo
.xxxj. De' polsi. Capitolo
.xxxij. Del
regimento di coloro ke ànno agute infertadi. Capitolo
.xxxiij. Del
regimento de'
convalescenti, cioè delli
scampaticii.
[L. X, Incipit]
(+i) Qui comincia lo decimo tractato, overo decimo libro di Raxis, de le
febbri e di quelle cose ke le febbri seguitano e di quelle cose ke ssono necessarie di
loro. E ponsi il prolago prima.
[L. X, Prologo]Non solamente è mestiere ke 'l medico vegha spesse volte koloro ke ànno
febbre, e magiormente febbre acuta, ançi è mestiere ke ssempre sia co lloro
presentialmente, ma noi
porremo in questa ultima parte le somme e l'
agreghationi
ke terrano il luogho de' punti e de l'estremitadi, le quali saranno
utili al savio e al
veghiante, avengna ke in questa dottrina non abia studiato né operato secondo lei,
imperciò ke in più kose non avrà mestiere di consiglio di medico, e
congnoscerà per
loro koloro ke
erreranno o non faranno bene in quello ke dovranno in questa
arte
el loro errore, e
congnoscerae la perfectione del perfecto e 'l difetto e la menomança
del menomo. E questo
pillieremo in poche parole distinctamente e brievemente
secondo ke facemo nell'altre parti di questo nostro libro, e lasceremo di cercare le
cose molto sottili e profonde di questa dottrina, imperciò ke di questo à mestiere
colui ke vuole molte cose
investighare e
inkiedere e pervenire a la perfine e
perfectione di questa dottrina. E a compiere queste cose noi saremo aitati
dall'aiuto de l'altissimo e sommo medicho vero,
Idio. E faciamo
kominciamento
imprima de la febre la quale è kiamata e apellata dai fisici febbre
effimera.
(i-)
L. X, cap. 1 rubr.Capitolo primo. De la febbre efimera e sua cura e
medicina.
L. X, cap. 1
(+i) Voi dovete sapere k'elli sono tre maniere di febri. L'una maniera
aviene quando li omori sono corrotti, e questa maniera apellano i fisichi
febris
putrida. L'altra sì aviene ai membri, la quale apellano
ethicha. E la terza sì
viene da li
spiriti, la quale s'apella effimera, de la quale parleremo e faremo
cominciamento primieramente, poi apresso di quelle cose ke lle febbri seguitano e
di quelle cose ke ssono necessarie a ssapere a perfecto chonoscimento de le febri e la
loro cura. Sappiate ke
(i-) la febbre effimera no à
periodi e revolutioni,
cioè ke vada e vengha sì come la terzana e la cotidiana, ma tanto
solamente à uno periodo, la cui propia significatione è k'ella comincia
né con
ripriçi e kon cotali
pugnimenti per le carni, né con
oripilationi
(cioè quando si
diriçano i peli altrui adosso nel
cominciamento de le
febri), e che, ançi ch'ella vengha, sì v'à dinançi cagione diversa sì
come corre la costuma, sì come troppa faticha e troppa ira, o
angoscia, o
ssolicitudine, o bere troppo vino puro, o k'elli stette
troppo lunghamente al sole, o sotto aria fredda, o in acqua fredda, o
ke
kaldo apostema andoe dinançi (il quale advenne per caduta o per
percossa), o per dollia che adviene in alcuni membri, o per essere
troppo pieno di cibo di molto nodrimento, o per cibi grossi ke
abbiano a opilare (cioè chiudere le vie del corpo e i pori), o cibi di
grande caldeza, o per forte
fastidio o per grande e forte menagione,
per troppo
dimoro nel bagno, o perk'egli si bagnò in acqua no
convenevole (sì come sono acque
naturalmente calde), o k'elli non si
bagnò sì com'elli era acostumato, o ké elli prese medicine molto
calde, o ké elli molto manicoe, o per kagione di rema, o perk'elli àe
molto digiunato.
L'orina in questa infertade né in colore, né secondo la sua
substantia, cioè in spesseçça o in chiareza, o secondo odore, non si
muta molto da quello ch'ella è
adcostumata d'essere. Quando huomo
tocha, il caldo del corpo non si truova troppo forte né mordente. E
quando il male comincia a menomare, sì viene molto
sudore, o
almeno cotale humidore kome di
rugiada, o
resudamento, e poscia va
via perfettamente. E ancora in questa febre né grande v'è paura, né
rea no è. Ma alcuna volta passa e si muta in altre rei febri, quando elli
aviene errore nel suo
reggimento o nel suo
medicamento.
Quando alcuno cade in questa febbre per cagione di fatica
conviene ke, quando la sua febbre comincerà a menomare, ke lo
'nfermo entri nel bagno e seggha ne la casa mezana (ciò ke ssieno tre
luogora del bagno, overo de la stufa: il primaio meno
kaldo si chiama
la prima casa, e 'l secondo um poco più caldo la seconda casa, e 'l
terzo più caldo la terza casa), onde, dice, segga ne la mezana casa al
lato a la porta per la quale si torna a la prima casa, la quale si dee
aprire dinançi a la sua faccia. E a la perfine il luogo sia tale nel quale
elli si diletti e i· neuna maniera non sudi, né non
imfianmi, né non
abia ambascia e che no 'l convengha spesse volte atrare l'alito
fortemente; e sia il luogho tale nel quale elli possa stare lunghamente,
ove sia il tinello (overo bigoncia) pien d'acqua tiepida, nel quale
entrandovi elli vi si diletti. E ssopra la sua persona si gitti molta acqua
tiepida (e magiormente nel luogho de le mani e de' piedi e de le
giunture), e si
stropici e freghi soavemente e si priema mollemente, e
poscia si prieme molto bene, e poscia s'unga d'olio violato tiepido, e
s'abia grande sollicitudine e magiormente intorno a le giunture, e lli
sponduli del collo e del
dosso. E poi ke questo fia facto per alquante
ore, ancora da capo si dee mettere ne l'acqua tiepida, e se ne dee
gittare alcuna volta sopra llui, e poscia si dee ritornare a lui ugnere. E
la lungheza di gittarli l'acqua adosso e d'ugnerlo coll'olio e la loro
brevitade sono secondo la forteza del male e la sua deboleza. E
poscia esca fuori del bangno e si notrichi coi camangiari, e coi frutti
ricenti, e co la carne de' polli e del chavretto, e coi pesci i quali sono
chiamati
ezye, et elgli sono boke, e s'
astengha da' cibi ke riscaldano. E
s'elli non solea bere vino, sì bea
juleph facto di
cuchero
tabarçeth e
d'acqua rosa; e s'elli l'àe acostumato, sì bea vino ma meno ke non
suole, il quale sia più innacquato che non suole e 'l letto sia più
morbido che
dinanti e più dorma che non suole. E se dipo queste
cose rimane alcuna cosa de la fatica o de la
lasseza, sì ssi dee
ritornare al bagno e a tucto il
regimento ke noi dicemmo dinançi,
tanto k'elli sia come solea essere.
E se questa febbre aviene per molto veghiare o per molta
solicitudine, da che 'l male comincerà a menomare, si entri nel bagno.
E sia il luogo del bangno kente noi dicemo di sopra e nolli si dea ad
manichare, ma acqua tiepida propiamente sopra 'l suo capo si gitti e si
notrichi coi cibi somillianti a quelli ke noi abbiamo detti. E s'elli è
acostumato di bere vino, sì ssi prenda kon
misura e si diparta di
questa solicitudine mettendo in altre parole d'alcuna letitia o d'alcuno
giuocho, odori olio violato e dorma in luoghi ove sieno buoni odori e
in letto morbido.
E se questa febbre si fae per cagione di molta ira e di molta
tristitia, quando ella comincerà a menomare, sì entri nel bagno et
entri ne la tina piena d'acqua calda, ne la quale si diletti, e a llui,
stando ne la casa del bagnio, se ne gitti con grande abondanza. Et elli
stea nel luogho del bagno, ove freddo né vento no 'l tocchi, o elli stea
ne la prima casa del bagno ne la quale elli sia lunghamente ke la
cotenna e la buccia
ramolischa e arossi um pocho, e poscia entri
subitamente ne l'acqua fredda e n'esca fuori incontanente. E quando
elli ne fie uscito, sì lli si gitti in sul capo de l'acqua rosa e 'l pecto si
lenisca e ungha coi sandali, ko la camphora e co l'acqua rosa. E bea il
sugo de le melegrane
muze, cioè acetose e dolci, e simillianti beveragi,
sì come il beveragio (overo rob) ke ssi fa de ribes e di mele
matiane e
de l'acetosità del cederno, e si notrichi coi
kamangiari freddi e
coll'aceto, e olio confetto con çuchero, e olio di mandorle. E dal vino
s'
astengha di tucto in tucto se non avesse troppo grande nocimento, e
se 'l n'avesse, sì ssi mescoli col sugho de le melegrane e si rafreddi
sopra la neve, o de l'acqua fredda bea spesse volte. E quando elli avrà
bevuto il vino, si manuchi le melegrane dolci lavate ne l'acqua fredda,
e poscia li s'
inaffi adosso l'acqua rosa, e si ingengni, quanto huomo
puote, il più ke la sua ira s'apacifichi e si mitighi.
E quando questa febbre sopravenisse per molto vino o perk'elli
fosse potente e puro, sì ssi debbono dare a lo 'nfermo alcuna cosa
de' beveragi sempici ke noi nominamo, cioè sanç'altro mescolamento
o sança mescolamento d'altra cosa, mescolati con acqua freddissima,
de' quali nom bea impetuosamente ma a poco a pocho. E quando
questa febre fie alentata, entri nel bagno nel qual faccia dimoranza
stando in casa temperata, sì come noi mostrammo, e molta acqua si
gitti sopra 'l suo capo; e si notrichi col
capsil, e
adesya gialla
rafreddati, e ko le somillianti cose fredde, mescolati col sugo de le
melegrane e de ribes e sugho d'uve acerbe e coi pesci, i quali sono
kiamati
ezie, cotti coll'aceto; e odori l'olio violato e dorma
lungamente. E quando elli fie
isvelliato, sì rientri nel bagno e regha al
predetto
regimento e dal vino s'
astengha del tucto e bea rob di frutti.
E se nel capo è graveza e nelli occhi rossore e stendimento, sangue si
scemi de vena e con ventose, e 'l suo
reggimento sia tucto kente noi
abiamo detto, e 'l ventre si solva coi sughi de' frutti.
E quando alcuno àe questa febbre per cagione di fare (o andare)
troppo lungo
dimoro al sole e al caldo, sì ssi prenda d'acqua rosa una
parte, e olio rosato parte meza, e aceto la quarta d'una parte, e
mettano in una ampolla di vetro, e tanto si dibatano insieme ke
diventino spessi. E di queste cose
raffredate ne la neve se ne gitti sul
capo a poco a poco, e panno molle in queste cose si rafreddi poscia
ne la neve, e dal
cominciamento de l'acessione infino a la quiete e
riposo si pongha in sul capo. E poi ke la febbre fia andata via, lo
'nfermo entri nel bagno e sia i· lluogho temperato, sì come noi
abbiamo detto, ove l'acqua tiepida sopra tucta la sua persona e
magiormente sopra 'l capo si gitti, e bea il grano infranto kotto ne
l'acqua, il quale sia molte volte lavato coll'aqua calda, il quale poi che
ffie molto cotto, sì ssi mescoli con molta acqua raffredata ne la neve,
de la quale lo 'mfermo prenda tanto ke ssi satolli. E quando la febre
fie andata via, sì ssi notrichi coi cibi che noi abbiamo detti.
E quando alcuno àe questa febbre per kagione k'elli è molto
stato all'aria fredda, tutto il suo corpo si dee stropicciare dal
cominciamento de la febbre infino k'ella fia andata via, ma non
troppo aspramente. E quando la febre fia andata via, sì ssi notrichi
koi cibi ke noi abiamo detti et entri ne la casa del bagno
kalda, ne la
quale dimori lunghamente tanto ke 'l sudore escha fuori; e poi ke 'l
sudore fie uscito fuori, sì ssi ungha coll'olio tiepido sança
strupiciare,
tanto ke molto sudore escha fuori; e poscia si lavi coll'acqua calda, e
si
vesta, e si n'esca fuori, e tanto dorma k'elli sudi un'altra volta; e poi
manuchi e prenda cibi subtili, de' quali elli prenda kon
misura di
quelli che ssono lievi e agevoli a smaltire, e bea vino possente e forte.
E s'elli rimarrà o ritornerà alcuna cosa de la febbre e del rompimento,
sì dee ritornare al bagno e in tucto il
regimento ke noi abbiamo detto.
E se alcuno avrae questa febbre per kagione d'acque
naturalmente
kalde, se quelle acque sono cotali per mescolamento
d'
açeçi, o di sale, o di ferro, o d'altre cose, le quali solliono inasprire la
superficie del corpo e,
kontrahendo,
rughare e increspare, con
similliante
regimento si dee reggere kol quale si regono koloro ke
ll'ànno per freddo. Ma conviene ke il luogo del bagno ne la casa
calda, ne la quale questi sta, sia temperata a la sua porta, e sia la porta
de la casa seconda dinançi a la sua faccia aperta, e sopra llui si gitti
acqua calda, et entrivi entro, e ungasi koll'olio, e si gitti dell'acqua
calda ancora sopra lui, et entrivi ancora dentro, e
stropicisi molto per
partire, tanto ke i pori s'aprano e 'l corpo e la carne
kominci a enfiare
e a ingrossare, e la febbre vada via, e la carne diventi rossa. E poi che
questo fie facto, sì n'escha fuori, dorma vestito coi panni suoi, e
poscia si notrichi con quelle cose ke noi dicemo.
E quando a alcuno aviene questa febbre per kagione di mangiare
cibi troppo
kaldi, konviene, poi che la febbre sia andata via, k'elli bea
molto de l'acqua de l'orço, il cui nodrimento sia cibo
kondito kon
aceto da ke la febbre fia andata via, nel quale non sia carne. E
conviensi
ingengnare kome 'l suo ventre si possa solvere colle susine,
e coi tamarindi, e kon zuchero
tabarçet, e bea sciroppo acetoso
semplice di zuchero, e manuchi le melegrane muçe e acetose, e
tucte l'altre mele somillianti a queste, e si
abstenga da tutti li altri cibi
ke riscaldano il corpo. E propiamente questa febbre è quella ke
aviene per bere forte vino. Ambendue queste si mutano tosto in
febbre putrida.
E quando alcuno à questa febbre, impercioe k'elli mangioe più
che non solea e perciò ch'elli prese cibo di grande nodrimento e di
grosso
notrimento, imperciò ke questa spetie d'
effimera e· più di volte
è di sì grande
durata k'ella paia ke ssia
sinocchus (cioè quella spetie
putrida di sangue), non si dee aspettare tanto ke la febbre si diparta,
ançi il corpo de lo 'nfermo
incontanente, sì come noi dicemmo, si
dee solvere kol sugho de'
fructi, e si dea a bere il sciroppo acetoso, e
si dee nodrire lo 'mfermo tanto solamente de la tipsana de l'acqua de
l'orço. Ma poi che la febbre si comincia ad alleviare, sì ssi dee lo
'nfermo mettere um poco nel bagno, nel quale non dimori molto
lungamente, e sia ne l'acqua tiepida e li si ne gitti adosso, il cui corpo
si conviene strupiciare lunghamente kolla cruscha; e poscia si dee
lavare ko l'acqua, e così torni al suo
regimento, e poscia entri lo
'nfermo nel bagno nel quale stea lunghamente più che non fece
dinançi, e più si bagni secondo ke l'huomo vedrà ke la febbre sia
menomata. Ma nel
cominciamento di questa febbre non si dee
entrare nel bagno sança grande senno e grande riguardo e dee
guardare ke quando elli v'è dentro, elli non vi duri faticha e ke non vi
si riscaldi dentro. E s'elli aviene cosa k'elli v'abbia dentro
oripilatione
o
riprezi,
incontanente se ne conviene trare fuori, la quale cosa si dee
observare in tucti coloro ne' quali, dipo la febbre effimera, nel bagno
aviene questa cotale
oripilatione o
ripreçi, imperciò ke questo cotale
accidente mostra che no à effimera, ançi putrida.
E di quelle cose, per le quali, sança neuna dottança,
singularmente si puote cognoscere le febbre effimera ko ll'altre
significationi ke noi dicemo dinançi, sì è che quando lo 'nfermo si
bagna nolli
sopravengha
oripilaitone o
ripreçi.
E quando la spetie di questa cotale
effimera fie congnosciuta, e
'l ventre fie solvuto, e l'orina fia provocata, e 'l notricamento fia
subtilliato, e l'ordine d'entrare nel bagno secondo il menomamento
de la febbre fie observato in tal maniera, e sì bene si sederà e andrà
via ke in neuna maniera non si muterae in febbre putrida. E se nel
regimento si farà errore, si passerà e si muterà in febbre putrida, la
quale fie aguta, cioè in febre di sangue continua.
E se alcuno àe questa febre per kagione di mangiare o d'avere
mangiato in uno manichare alcuna cosa per la quale elli si cominci ad
agravare, se quella cotale graveza si senta ne le parti de lo stomacho
di sopra, si renda per boccha, e se ssi sente quella graveza ne le parti
dello stomacho di sotto, sì lli si metta una cura di sotto (overo
sopposta). E quando 'l male
komincerae a menomare, sì ssi bagni e
faciasi dormire più ke non suole, e 'l notricamento si sotigli, e
s'
astengha per alquanti die da la faticha, e si faccia muovere kon
alcuni cibi ke fanno um poco uscire, cioè di quelli cotali ke noi
nominammo in questo libro quando noi
tractammo del
regimento e
de la guardia de la santade.
E colui al quale aviene questa febbre per cagione d'apostema
che ssi fa inn alcuno de' membri, sì gli si dee iscemare sangue della
parte contradia e quello apostema sì ssi dee raffreddare secondo ke
noi dicemmo nel capitolo del caldo apostema. E i· neuna maniera non
entri in bagno, e nom bea vino infino a tanto ke quello apostema fia
sedato e 'l suo fuoco e ardore sia spento, e 'l ventre si solva e 'l
calore
si
spengha sì come noi
insegnammo, e si notrichi coi cibi che
raffreddino.
E quando alcuno àe questa febbre per kagione di dollia ke
avengha in alcuno de' membri, sì ssi conviene considerare ke ssia la
cagione della dollia. S'elli è apostema caldo o grossa
ventositade o
homore
mordichativo, overo perk'elli abbia molto manicato, o
seckeza che
segnoregia a quello cotale membro o in quello cotale
luogho, o mala complexione
kalda o fredda semplice, o ko materia, a
quella cotale cagione a
levarla e
mandarla via si dee di tucto in tucto
intendere secondo ke noi insegnamo nel capitolo de le cagioni de'
dolori e de le dollie e de' loro medicamenti, imperciò ke la febbre
immantanente andrae via quando la cagione fie levata. E quando la
febbre si fia dipartita, lo 'nfermo si bagni
legiermente e
agevolmente
e si nodrisca koi cibi de' quali noi facemmo mentione.
E colui a cui aviene questa febbre imperciò k'elli àe lasciato l'uso
di bagnarsi secondo k'era acostumato, sì ssi dee mettere nel bagno
tanto ke la febbre allenti o
vada via, ove molta acqua dolce tiepida li si
dee gittare adosso e si de' fregare e stropiciare lungamente kolla
cruscha e col seme de' melloni e con um pocho di nitro, e poscia
n'escha fuori, e si notrichi koi cibi che ànno a spegnere il
calore, e bea
vino kiaro biancho molto inacquato, e poscia la mattina vada al
bagno, e poi n'esca fuori, e poi ritorni a la sua costuma e a le cose
usate e acostumate.
E quelli che à questa febbre imperciò k'elli àe sofferto grande
fame o sete, e s'elli l'àe assalito solamente dollia e
lasseza e
rompimento, ançi ke la febbre sia
comfirmata in lui sì lli è da dare
grano infranto lavato in molta acqua e cotto e raffreddato ne la neve
e çuchero
tabarzet. E s'elli non si truova se nom poi ch'ella febbre è
in lui
confermata, si lli dee comandare di bere spesse volte de l'acqua
fredda a poco a pocho, tanto ke la febbre allenti. E poscia per
alquanto tempo si dee mettere ne l'acqua tiepida e acqua li si dee
gittare adosso tale ke per la sua fredeza non n'abia neuno male. E
poscia abbia la tipsana e se notrichi coi cibi ke abbiano a
humentare e
ramollire, e bea vino bianco kiaro, e si guardi da la faticha tanto k'elli
sia bene guerito.
E quando alcuno àe questa febbre per kagione di rema ke lli
adviene, sì lli si dee scemare sangue, advenga ke ssia picolo tempo ke
lli si sia scemato sangue; e ancora se elgli nom puote sofferire ke lli si
scemi sangue di vena, sì gli si scemi sangue ko le ventose, e sì
s'
astengha da la carne e dal vino, e bea l'acqua de l'orço, e 'l ventre si
solva kon quelle cose ke noi
nominanmo nel capitolo de la
coriza,
cioè de la rema ke esce per lo naso, e 'l suo petto si
mollifichi e la
tossa sedi o si quieti, secondo ke noi
insengnamo ivi. E quando elli fie
guerito e la rema fie digesta e matura, e la tossa fie
sedata e riposata, e
la febbre fie andata via, sì ssi dee mettere nel bagno e ordinatamente a
le cose adcostumate a pocho a pocho si dee seminare. E 'l
medicamento di questa febre non si dee mettere al non
chalere,
imperciò ke per lei spesse volte diviene huomo
pleuretico, cioè li
aviene apostema nel costado o nel diafragma.
Ma colui che à questa febbre per kagione di
fastidio, e queste
febbri solliono assalire quando i ructi fieno fumosi e puçolenti, e
apena avengono quando i ructi sono
acetosi, e se 'l ventre poscia si
muove per sé, non àe mistiere d'altro
medicamento se non k'elli,
sugando, mandi giuso um pocho d'acqua
kalda, e si bagni, e si
notrichi koi cibi che rafredano, i quali né troppo tosto non si
corrompono, né non si convertiscono, sì come sono quelle cose ke
ssi fanno e si aparechiano kol sugo de l'uve acerbe, e kol sumach, e
co le granella de le melegrane, e co le somillianti cose, e bea quelle
cose ke ssi truovano somillianti, e s'
astengha da la faticha e da stare
troppo al sole e da avere uso con femina. E se il ventre per sé non si
movesse, sì ssi dee solvere e muovere kolle medicine ke noi
nominamo nel capitolo de la guardia de la
sentade.
E se questa febbre sopraviene ad alcuno nel cui stomacho si
contiene alcuna cosa ke ssi possa
regittare, sì bea de l'acqua calda e 'l
rigipti con essa. E se ssi sente graveza ne le parti del ventre di sotto, sì
lli si metta di sotto alcuna cura o
ssoposta. E quando il ventre fia
mundificato secondo ke ssi conviene, e con questo non sente nel
ventre né fumosi rutti, né gravitade, né
mordicatione e rodimento, né
nausca e abominatione, sì ssi dee lo 'mfermo bagnare e nodrire e
reggere con quello medesimo
regimento ke noi abbiamo detto.
E a colui a cui adviene febbre per cagione ke ssia troppo andato
ad
sella, sì ssi dee medicare kon quelle cose ke noi nominamo nel suo
capitolo. E quando questa febbre fia andata via o menomata, sì ssi
dee mettere nel bagno e si dee nodrire kon quelle cose ke noi
abbiamo nominate in questo luogho. E sono ancora delli homini ke
spesse volte manucano cibi di molto nodrimento, sì come sono carni
grosse e gravi, e
polte molto spesse, e
frumento molto cotto, e vino
grosso, perké elli cagiono in questa febbre. Per la quale cosa questi
cotali si debbon guardare dai grossi cibi e da lloro troppo uso, e si
debbono nodrire ko la carne de' polli e de' cavretti, e debbono bere
sciroppo acetoso e del vino k'è bianco, e subtile, e kiaro, e ke puote
passare im profondo. E colui che à male de le predette cose, sì dee
usare exercitio e faticha ançi k'elli manuchi e dee
assiduare la
solutione del ventre e la flebotomia. E s'elli queste cose metterà in
neghienza, sì cadrà in febri acute e pessime.
E sono ancora di quelli huomini i quali quando sofferano faticha
o veghiano troppo, o ke 'l manicare tarda più ke non suole, o si
nodrisce di nodrimenti sottili e secchi, sì divengono a questa febbre.
Per la quale cosa l'uhuomo di questa cotale generatione di queste
cose si dee abstenere. E quando la febre l'avesse assalito, sì lli si dee
soccorrere incontanente kon quelle cose ke ànno il corpo a
humentare, imperciò ke sse queste cose fieno messe i·
negligentia
quello cotale o quelli cotali cadranno in eticha.
L. X, cap. 2 rubr.Capitolo secondo. De la febbre eticha.
L. X, cap. 2Quando la febre dimora altrui adosso tre die o più, e non si
moverà, né 'l suo
calore né 'l suo ardore fie forte, né lli acidenti ke
ssolliono acompagnare le febri acute fieno co llei (sì com'è grandeza
di polso o caldeza, e grande afa e angoscia, e seccheza e
asciuteza di
lingua e nerezza); e s'ella persevera in questa maniera e non si puote
cognoscere i· llei k'ella lasci neuna volta né
interpolamento o rriposo,
e ancora sanza questo ella si truova lenta e quasi tiepida, sì ssi
giudicha d'essere febbre ethica. E questo si puote sapere in questa
maniera:
komandisi a lo 'nfermo k'elli manuchi in diverse hore, e se
elli si truova ke sempre dipo manichare la febbre sia più forte, sança
dotta ella è febbre ethica. E se con questo la facia sua pare già crespa
e viçça, e li occhi
concavati in capo, e dimagrato molto, e la buccia e
la
pelle sua
disecchata, l'etica già non è solamente nel
cominciamento,
ançi è gia in lui
confermata, e àe giae operato in lui, et è già grande
peza k'elli l'à avuta. E questa cotale
febre nel suo
cominciamento, e
ançi k'ella sia pervenuta a quella seccheza o a
tisicheza, è da guerire. E
huomo dee cognoscere i
segnali de la
tisicheza, e se l'huomo àe
fidança di potere guerire lo 'nfermo sì se ne trametta.
E noi diciamo che colui che passa de l'eticha ne la
tisicheçça le
tempie sue diventano molto piane, e li occhi
diventano
kavi, e li
orecchi si
sotilliano, e la faccia isfigurata, e li orecchi menomano e si
sottilliano, e la buccia e la
chotenna del volto e de la fronte si fa tesa,
sì kome fosse
kuoio seccato sopra l'ossa de la faccia, e tucto il corpo
è somilliantemente ignudo di carne, e ancora il collo diventa sottile, e
'l
nodo de la gola tende in fuori; e quando huomo puote vedere o
tocchare l'ossa del pecto, e ciascuno di quelle cotali ossa si puote
discernere e notare ko le sue stremitadi, e a la perfine né 'l suo corpo
non pare se non un
cuoio e le sue ossa; e àe la boce sottile e debole; e
la virtude pare tucta
distructa; e 'l polso subtile e debole e con questo
ancora duro; e le corde apaiono manofestamente, imperciò ke la
carne è tucta distructa e 'l ventre somilliantemente, e con questo le
vene vòte di sangue, e la loro
voteza non potrebbe tenere molto; e la
belleza e la
kiarezza del tucto in tucto è andata via, overo ke la carne è
disecchata e la sua buccia è somiliante a quella di coloro ke ssono
molto vechi, e 'l suo corpo è
sotilliato e dilatato, tanto ke pare k'elli
sia apiccato kolle costi e co le reni, e che non vi sia entro neente; e 'l
mirach del ventre diviene sì subtile ke nom paia ke ssia se non un
cuoio, e sança questo si spasma e contrae, e l'ossa de le giunture de le
mani appaiono molto; e quando ' alcuno di questi cotali i capelli
cagiono e solutione di corpo li viene, allotta la morte li è presso. E
quando il corpo fie venuto al termine di questa seccheça e deboleza,
giamai non potrae né guerire né milliorare.
Ma quando le relique e rimanenti di carne e di sangue e di
belleça e di virtude in lui si truovano ancora, e quello ke in lui aparrà
de le predette rei significationi no è molto forte né
confermato, sì ssi
puote guerire, e a la sua dispositione tornare se elli è sovenuto sì
come si conviene quando troppa magreza, né troppa deboleza non vi
fie, né non sia troppo grande spazio k'elli ebbe male, e ke de' segni de
l'etica non apare altra cosa se non k'elli àe febbre lenta ke à già
perseverato per
alquanti dì, e ke con essa è um pocho di secheza e di
magreza, imperciò ke questo cotale infermo tosto guerisce, se piace a
Dio.
E ' colui che à questa cotale febbre nel chominciamento li si
dee dare l'acqua de l'orço, e poi k'ella fie discesa de lo stomacho, sì
ssi dee notricare coi pesci ke ssono kiamati
ezie, arostiti sopra la
brascia e ne lo schedone e coi
kamangiari freddi, sì come di
porcellana, e di
latugha, e di
çuccha, e di cocomeri, e di cederni. E
questo cotale infermo ogne die, ançi k'elli manuchi, dee entrare nel
bagno ov'elli stea in luogho ke
kaldo nolli possa
nuocere. E per
alquanto spatio si dee mettere ne l'acqua tiepida, e poscia si dee
ugnere coll'olio violato, e la casa ne la quale elli
starà sia tale ne la
quale l'aria sia fredda e humida, e 'l suo spaço sia coperto d'erbe
fredde e humide, e 'n sul petto suo sì ssi pongano panni
mollati
nell'acqua rosa raffreddata ne la neve, ne la quale sandali e
champhora sieno
disolvuti. La quale cosa tanto si conviene fare ke llo
'nfermo senta ke la fredeza sia passata a la profunditade de la magior
parte del suo corpo. E se per questa cagione li vengha
oripilatione e
riprezi, e poscia si riscaldi, sì ssi faciano um poco tiepidi, e poscia li si
pongano sul petto. La quale cosa allotta si conviene fare quando lo
stomacho fie alleviato e 'l cibo fie disceso giuso. E ancora ançi k'elli
manuchi, e quando quelli panni fieno um poco fatti tiepidi, sì ssi
volliono mutare, la quale cosa si vuole tanto fare e non si ne lievino
infino ke elli fieno molto
disecchati o riscaldati. E li si debbono dare
a bere l'olio violato e l'olio del seme delle zucche, e 'l lecto sia più
morbido ke non suole, e dorma il più lunghamente ke puote; e dal
veghiare e da la sollicitudine e pensieri, e dal
movimento e faticha, e
dall'uso de la femina, e da stare ne' luoghi caldi e secchi, e da la fame
s'
astengha.
E se con questa
febre fie nocimento e acuitade e ardore, sì lli
dèno a bere ongne die, all'ora di matutino, i trocisci de la camphora, e
quando il sole fie levato, sì bea de l'acqua de l'orço. E ne l'acqua ke
dovrae bere la notte sì ssi mescoli
juleph co la
mucillagine del
psillio,
e non si conviene
cessare ançi importunamente si dee rafreddare, e 'l
pecto si dee raffreddare kolli epithimi freddi e coi camangiari freddi
eppithimandolne. E 'l suo cibo nolli si dee dare a una volta tanto
quanto àe mestiere, ançi si conviene partire o
trapermolte volte e
maggiormente s'egli è state, del quale cibo lo 'nfermo non dee
prendere a una volta tanto quanto à mistiere, e si guardi ke non
manuchi tanto a una volta quanto elli à mistiere. E de l'acqua fredda
prenda e bea a poco a pocho, e i· neuna maniera non sofferi né fame
né sete, e si sceveri di tucto in tucto da tucte quelle cose ke riscaldano
e
disecano.
E quando l'eticha fia già giudicata, e la seccheza e 'l
menomamento de la carne già aparrà manofestamente, ma non
ancora al termine (secondo il quale noi dicemo k'ella no era da
guerire) pervenuto, lo 'mfermo si dee regere con quello medesimo
regimento kol quale il predetto fue
recto; e conviene ke ssopr'essa
huomo v'intenda assiduamente ' spesse volte, e si metta nel bagno e
ne la tina il die due volte o tre, ov'elli disponga d'essere in tale luogo
ove
kaldo in neuna maniera no 'l possa tocchare e nolli possa
nuocere, né
oripilatione assalire o riprezo di freddo, e non volliamo
i· neuna maniera k'elli entri ne la stufa, o nel
bangno, se non quando
noi nom possiamo trovare tina (o bigoncia) da bagnare o acqua
gittare sopra llui, sì che
oripilatione o
reprezi non l'
asaliscano. E
sudare e atrare l'aria calda li è pigiore ke neuna cosa.
E quelli ke à questa febbre sì ssi metta nel bagno e ne la tina. E
poi che ffie passato lo spatio di due hore k'elli avrae bevuto l'acqua e
la dicotione de l'orço, e quando elli esce fuori de la tina, overo de la
biconcia, sì ssi ungha coll'olio violato. E quando il ventre fie alleviato
dall'acqua de l'orço e nel rupto non fie rimaso neuno sapore, sì ssi
meni ancora al bagno in tale maniera ke, in andando, elli non si
affatichi. E poscia si metta ne la tina e si
gitti sopra llui dell'aqua
tiepida, tanto ke la carne sua
cominci uno poco a ingrossare e ad
arossare. E poscia entri a una volta ne l'acqua fredda, da la cui
freddeza tuctavia non ricevi male né nocimento. E poscia il suo
corpo koll'olio violato e simillianti
olii s'ungha, e tuctavia si bagni più
l'un die ke ll'altro. E quando elli n'è fuori uscito kon quelle cose e cibi
ke noi dicemo, e secondo quella mesura che noi dicemmo, si cibi e
giacia ne le cose bene oglienti, ne le quali sia l'aria fredda. E dinançi
da llui sì ssi pongano panni
mollati ne l'acqua fredda e grandi scodella
o vasella ne sieno piene, e dinançi da llui si spandano le
foglie de le
viti, e de' salci, e de le rose, e de le viuole, e del sisembro, e di
somillianti erbe. E nel tempo del verno non sia ne la sua casa fuocho
né
fummo, ançi
atragha l'aria fredda, imperciò ke questo è il suo
magiore
medicamento, imperciò ke per questo e' si conserva, sì che
non si conviene
empiastri né epitimi, i quali noi dicemmo porre di
fuori a conservare o ab
substentare il cuore. E koi panni
kaldi e lievi
si cuopra e magiormente il capo, acciò ke rema non li sopravengna, e
l'estremitadi si stendano o si
priemano lievemente, e lo 'nfermo odori
olio di çucche mescolato coll'olio di
neufar, e dorma lungamente. E
se lo spatio del die fie grande et elli si vollia anche bagnare, ançi
ch'elli manuchi e ceni, sì 'l faccia imperciò che lli giova. E se non si
manuchi, e non entri nel bagno e dorma lungamente, e s'egli è molto
magro e molto seccho, sì lli si
mungha adosso il lacte de la capra, e si
ungha coll'olio, e um poco de l'acqua ke è ne la tina (overo ne la
bigoncia) si mescoli con esso. E quando elli fia uscito de la tina (o de
la bigoncia) koll'olio de le viuole de le çuche o del
neufar s'ungha. E
se l'acuitade ne la caldeza no è forte, sì bea vino bianco e sottile
molto inacquato ko l'acqua fredda, ma sse l'acuitade è manofesta, sì li
si dea
juleph di çuchero koll'acqua fredda. E si conviene molto
guardare ke 'l suo ventre non si muova troppo, e se ssi movesse
troppo, sì ssi conviene incontanente ristrignere. E a questo cotale
giova molto il lacte de le vacche giovani (del quale il bituro è tracto
novellamente) s'elli fie acetoso. E se 'l caldo fie forte, sì li si dee dare
a bere l'acqua de l'orço. E s'elli uscisse troppo, sì la prenda co le
tortelle e con quello ke noi abbiamo detto, sì è ancora mestiere ke
ss'abbia grande studio in raffredare il
calore e in ispegnerlo. E quando
l'orina di questo cotale fie di colore d'olio, o ne le parti di sopra
dell'orina
aparranno kotali granelle macinate
unctuose o pezuoli di
carne simillianti a' peli, quasi fosser sì come cruscha, allora dee
l'uhuomo intendere il più che l'huomo puote nel suo
reggimento.
E se alcuno ke avesse questa infertade fosse molto magro, né in
lui non fosse molto
kalore, sì lli dea a bere il lacte caldo, sì com'elli
si trae de le poppe incontanente, e s'elli manucha kon esso
minuçoli o
brisce di pane, sì lli giova. E a questo il lacte dell'asina è milliore di
tucti li altri
lacti, e dipo questo quello de la vaccha e de la capra. E nel
lacte ricente si debbono observare due cose, cioè a ssapere k'elli ne lo
stomacho non diventi kascio e non si convertischa. E il lacte ke noi
abiamo detto, quando fie ne lo stomacho, non si farà cascio se non
molto rade volte, il quale giamai non si farà cascio nello stomacho, se
ssi mescola con esso um poco di çuchero. E quando huomo vuole
guardare lo 'nfermo ke 'l lacte non si
konvertischa,
konsideri la sua
dispositione in caldeza
tocchandolo ogne die, e com'elli atrae l'aria
attenda, e riguardi il suo polso, e l'orina, e la quantitade de la sua sete.
E s'elli truova tucte queste cose magiori ke non erano dinançi, ançi
k'elli bevesse il lacte, e sia molto cresciuta, sì ssi conviene abstenere
dal predetto lacte, e li si dovrà dare il lacte acetoso sanza biturio, e
l'acqua de l'orzo a bere, e i trocisci de spodio, o somillianti cose. E se
'l ventre è troppo
stretto, sì ssi dovrà solvere ko la dicotione de le
susine e co la manna, la qual cosa si conviene tanto fare ke i predetti
accidenti si dipartano; e quando elli fieno andati via, sì lli si dee
komandare k'elli torni a prendere il lacte. E questa è la cura e 'l
medicamento ke ssi conviene fare a coloro ke ànno ethica.
E dapoi che quelli che
ffieno
ethichi fieno a questo venuti ke
ll'ossa de le mani manofestamente apaiono, e 'l polso
difalli, e 'l
mirach del ventre sia quasi apicato co le costi, e tucti i suoi ossi
manofestamente si veghano e subtili, non si conviene affaticare il loro
guerire, ma che elli si
substentino in
qualeke maniera, cioè koi
nodrimenti ke tosto passano, e di buoni odori. E la carne de' polli si
vuole prendere e dêsi talliare in picoli
morselli e se ne dee trare fuori
il sugo kon poco sale, secondo ke ss'è usato di trare il sugho dall'altra
carne, o elli si faccia de la carne del cavretto, cioè de la carne rossa ke
ssi truova nel collo del cavretto. E poscia a questo cotale sugho sì ssi
mescoli um poco del sugho de le mele cotogne, e um poco di vino, o
li si mescoli la
tortella bene trita, e così si bea e sughi. E le
kamisce,
vesta ancora tinte di sandali o col moscado s'elli non li fanno dollia
di capo. E dinançi da lloro sì ssi facia
suffomigio kol legno alloe, e
dinançi da lloro e intorno loro si ponghano le cose
ollienti e le
confetioni odorifere, e s'
inaffi sopra lloro dell'acqua rosa, e odorino i
cibi ke abbiano li odori dilettevoli e disiderevoli, sì com'è il cibo facto
de la carne del feghato e del polmone minutamente talgliata e poscia
cotta ne la
padella koll'olio, e coll'aceto, e col gruogo, e coll'uova, e
budella piene di carne talliata minutamente e
rusaboc. E i polli si
debbono arostire, e dinançi a la loro faccia si debbono talliare de le
pettora, de' quali la carne, masticando solamente il sugho, mandino
giuso, e la carne
sputino fuori, e somilliantemente se fieno deboli. E
se alcuno di loro fie um poco più forte, i polli si cuocano koll'acqua e
col sale, i petti de' quali primieramente pesti e spremuti insieme col
brodetto, e quello sugho condito kol coriandro, e con um poco di
cennamo, e col vino, e co le
tortelle mescolato li si dea.
E uno de' vecchi medici
rakontoe k'elli avea veduto un giovane
e molti fanciulli i quali, poi ch'elli in ethica febbre ierano venuti a
questa dispositione, guerirono; ma io questo no
vidi anke e non credo
ke ssia, e magiormente poi k'elli avesse passato l'etade puerile.
Confectione di trocisci di
champhora, i quali conciosiacosak'elli
abbiano a rafreddare il cuore, e 'l fegato, e 'l petto, sì giova molto a
l'eticha ke è con ardore.
Recipe: rose vermillie dr
. .x., spodio biancho ke ssia gran pezo e
seme di
cokomero ana dr
. .v., seme di lattugha dr
. .viiij., seme di
porcellana dr
. .vj., seme di
scariuola dr
. .ij., seme di
zuccha dolce dr
.
.vj., manna dr
. .x., camphora dr
. 1/2; e di tucte queste cose
kosparte
kolla
mucillagine del
psillio s'informino trocisci de' quali ciascuno
pesi dr
. .ij.
E se 'l ventre è troppo
solubile, sì lli si dea di questi altri trocisci
di spodio ke ssono
kostrettivi, de' quali questa è la confectione.
Recipe: la polvere de le rose rosse e spodio bianco ana dr
. .v.;
bolo
armenicho,
gumo
arabico ana dr
. .ij.; sugho di
berberi e
sunmach ana dr
. .iij.; seme d'acetosa
scortichata dr
. .iij.; balaustie dr
.
.j. e
1/2; seme di coriandro infuso in aceto e poscia arostito dr
. .ij.; e se
ne faciano trocisci de' quali ciascuno pesi dr
. .ij., de' quali si pigli la
mattina uno e l'altro quando il sole fie tramonto kon rob semplice di
mele cotongne, o di granate, o de ribes.
L. X, cap. 3 rubr.Capitolo .iij. De la febbre terçana.
L. X, cap. 3
Il
cominciamento di questa febbre aviene con forte rigore e
quasi pugnimento per le carni, e com poco freddo, e non dura quello
cotale freddo sì come nell'altre febbri; e questo aviene imperciò ke llo
'nfermo si rischalda molto tosto, e si riscalda sì fortemente ke sse 'l
corpo de lo 'nfermo si toccha, la mano sente la
puntura del
calore. E
aviene molte volte ke lo 'mfermo, nello stato di questa
febbre e ne la
sua fine, parli vanamente, e magiormente se elli fia di calda
complexione. E più di volte in questa febbre sopraviene a lo 'mfermo
nauscha e vollia di reddere, e ambascia, e vomito collerico. E 'l polso
ne lo stato di questa
febbre si truova grande e racto e spesso, ma
igualmente. E l'urina in colore à colore di fuocho, ma secondo
substantia no è spessa, ma ella àe reo odore per cagione de la
putrefatione.
E questa
febre sopraviene a coloro ke ànno la complexione
kalda e seccha, ke abbiano sofferto molta faticha, e molto veghiato, e
digiunato, overo k'elli abbiano preso di quelle cose ke nodriscono ke
ànno a
risscaldare, e ke abbiano bevuto vino forte e vechio, e se le regioni o i
tempi sieno distemperati in caldeza. E ancora questa febbre non tiene
lo 'mfermo oltra
.xij. ore, ançi va via e si parte im più revolutioni
(
paroxismi) dipo lle
.viij. ore. E quando viene l'ora ch'ella si dee
dipartire, sì ssi parte con sudore e 'l polso dimora tucto netto de la
febbre.
Dunque, quando questi cotali accidenti si truovano colla febbre,
o più di questi, sì è da ssapere ke quella cotale febbre è
febbre
terzana, quasi sì come tue l'avessi un die venire e ll'altra noe. E
quando lo 'mfermo cosie disposto si truova forte e sia lungho tempo
k'elli non fue purghato, dr
. .x. di mirabolani citrini steano in molle
nell'acqua bolliente uno die e una notte, e poscia si
stropiccino kolle
mani e si colino, ai quali si mescolino dr
. .xx. di manna, e si dieno a
bere la mattina, e di
scamonea ricente d'Antioccia buona la quarta
parte d'una dr
. si disolva in tanto
julepp e acqua ke ssi
possano bere a una volta, e sì gli si
dia a bere tanto ke ssi muova
fortemente. E quando questo fia facto o lla
febbre non tornerà più,
o ella fia più lieve e più debole, e poscia si dee reggere di tucto quello
regimento che noi dicemmo. E se lo 'mfermo fie dilicato o debole, e
'l tempo sia state, sì ssi pillino ongne sera dr
. .x. di tamerindi e
.xx.
susine grosse e secche, e si cuocano in tre libre d'acqua tanto k'elle si
disfaciano, e poscia
strupiciate con mano si colino, e com questa
colatura si mescoli dr
. .x. di çuchero
tabarzet, e 'l
pigli e bea ançi che
dorma; e quando elli fie facto die e 'l sole si comincerà a
llevare, sì
bea de l'acqua de l'orço in grande quantitade, e stea in luogo bene
quieto, tanto ke 'l cibo si
cuocha, e poi si
nodrischa koi camangiari
freddi e
musagarach, ne' quali è amaro sapore, e s'
astengha da' cibi
ne' quali è carne, e manucha la midolla del cocomero e del cederno; e
del sugho de la
çuccha nel suo tempo bea, e del sugho del mellone
saracinesco, cioè popone, e bea l'acqua col
julep, e 'l siroppo acetoso
bene temperato kon acqua. E 'l modo di raffreddare e di spegnere
s'oservi, secondo ke 'l caldo de la febbre fie grande. E se 'l corpo si
muove il die una volta o due o tre per sé medesimo, la dicotione de le
susine non si dee dare, ma coll'altre cose si dee reggere. E i· lluogo de
la dicotione de le susine il sugho de le melegrane
muze si dee dare
colla
mucillagine del
psillio; e in sul fegato la notte, quando il ventre è
vòto
dai cibi, si dee porre panno bagnato con sandali e acqua rosa. E
sia lungho tempo entra il tempo ke lla febbre pillia e 'l manicare, cioè
a ssapere ke manuchi per due o per tre ore ançi ke lla febbre
pigli, o
poi ch'ella fie partita. E questo cotale infermo da tucte le cose calde si
dee abstenere e la sua dimorança sia sempre in luogho freddo.
E s'elli pare ke lla febbre sia con grande
calore e con grande
ardore, sì lli si dovrae dare del sugho del popone, de la
çuccha e de'
cederni colla
mucillagine del
psillio e colle melegrane e kol
julep, e de
l'acqua de l'orço si dovrae più bere. E se 'l die è lungho non
nocerae
se ttue li
dai ancora de l'acqua de l'orço quando il sole fie tramontato.
E lli si debbono dare a bbere ogne die de' trocisci di camphora col
sciroppo acetoso la mattina ançi che elli prenda l'acqua de l'orço
per due hore, o almeno per una hora. E quando la febbre l'avrà
lasciato, né non ne fie fior rimaso, ancora per tre dì si conviene regere
kon quello medesimo
regimento ke facea dinançi ko la febbre, e
quando quelli tre die fieno passati, sì li si dee dare
karne di polli o di
chavretto, e ancora si dee guardare da bagno, e da sole e vino, e
poscia si dee recare a le cose acostumate ne la sua santade.
L. X, cap. 4 rubr.Capitolo .iiij. De la febbre causon.
L. X, cap. 4Questa cotale febbre è de la generatione de la terzana, ma ella è
più forte ke la terçana e di magiore
kalore, la quale è più forte l'uno
die che ll'altro. Ma tuttavia non si diparte fiore, né in questa febre
non aviene
oripilaitone, né
riprezi, né sudore se non quando ella si
departe del tucto. Ma li altri accidenti de la terzana sono con essa, ma
più forti e più
vehementi, e la lingua e le labre
diventano gialle o nere
e aspre, e se la febre no è molto forte.
E nel
medicamento di questa febbre
similliante
regimento si
conviene avere kente ne la terzana dicemmo ke ssi facesse, ma in
questa febbre si conviene più studiare e magior cura avere, secondo
k'ella è più forte e di magiore incendio.
E a lo 'nfermo si dee dare
ogne notte della dicotione de le susine e de' tamarindi ke noi
dicemmo, tanto ke il ventre si muova ogne die una volta o due. E
sempre li si dea la mattina trocisci di
champhora, e sugho di cederni,
o di cocomero
saracinescho, o d'India, o tipsana, e il die
absiduamente li si dea il sugho de la
çuccha o de' cederni, e de la
midolla del pane lavata e mescolata kol lacte dal quale il siero sia
tracto kol
çukero. E s'elli aviene cosa ke elli abbia poco manicato, si
pilgli ancora de l'acqua de l'orço, sì come noi
amaestrammo; e
koll'acqua ke lli si dà, sì ssi mescoli um poco di
psillio, e di quella
muscillagine kol
julep o col sugo de le melegrane bea. E l'aspreza
della lingua si
strupicci col panno lino, e poi sughi del
julep kolla
mucillagine del psilio, e li si dea a tenere in bocca il nocciolo de le
susine, nel quale sia ancora alcuna cosa de la
carnositade de la susina.
E sopra 'l cuore e sopra 'l feghato si pongano panni
mollati in acqua
rosa in più volte. E se lo 'nfermo non avrae apostema nel corpo o
ne le parti dentro, né lo stomacho, né 'l fegato non erano deboli
quando elli era sano, sì bea molta acqua fredda raffredata sopra la
neve. Quando il caldo è molto aceso tanto bea de l'acqua infino ke la
sua faccia si faccia e diventi verde e k'elli triemi, imperciò ke 'l
kalore
febrile per questo si spegnerà incontanente, e poi
suderae e scamperà,
o elli fie pressoké guerito. E se 'l ventre si muove fortemente et escha
troppo, sì li si dea l'orço infranto e lavato koll'acqua, kotto koi
trocis
costrettivi di spodio. E fugha il sciroppo acetoso e 'l
julep di çuchero
e li si dea rob sempice de le melegrane o de le mele cotongne acetose.
E si dee reggere con tucte quelle cose ke noi dicemmo nel capitolo de
la
costrintione del ventre. E s'elli riceve lesione o male dal veghiare, o
dal dolore del capo (sì com'elli si contiene ne'
capitoli di questa
infertade), si dee medicare.
E noi in questo libro non pongnamo se no i medicamenti de le
'nfertadi sempici, per la quale cosa quando l'enfertadi fieno
composte, sì ssi debbono i loro medicamenti prendere de' propii
capitoli. E ancora in questa infertade e in tucte l'altre si debbono
nodrire e cibare
allocta quando lo 'nfermo sente alcuna
alleviatione, e
s'elli non sente alcuna
alleviatione, si manuchi allotta quando elli solea
mangiare quando egli era sano, o nell'ora quando il die è più freddo o
più temperato. E ne le febbri
interpolate, ke prendono e lasciano, sì è
buono ch'elli manuchino più lungi da l'acessione ch'elli possono, cioè
dinançi o quando la febbre fie andata via. E noi mosterremo kome il
reggimento del suo nodrimento si dee observare quando noi
parleremo de le
'mfertadi acute.
L. X, cap. 5 rubr.
Capitolo
.v. De la febre k'è dentro a le vene la quale
continua per kagione di molto sangue et è detta febre
almaticha.
L. X, cap. 5Quando questa febbre
almaticha
chomincia, sì aviene sança
triemito e sança
oripilatione, ma ella comincia con caldo. E con essa
sono il naso e li occhi e la faccia rossi, e ambascia, e tristitia, e
inquietudine, e incendio forte, e grande alito e spesso. E questi segni
vanno dinançi a questa febbre ançi k'ella vengha nel corpo de lo
'nfermo: e graveça, e
distensione, e pigreza, e dispositione ke
risembra a
llaxeza, e troppo dormire o superfluo sompno, e paçia, e
stupore, e graveça di capo, e magiormente ne la fronte e ne le tempie.
E le vene de la gola appaiono humide e
piene, e si sente piççicore nel
naso e ne le luogora ov'elli si suole porre ventose. E questa febbre
aviene alli
adoloscenti e giovani corpi ke ssono di buona habitudine,
cioè né troppo grassi né troppo magri, e a coloro ke
achostumarono
di manicare molta carne o
konfettioni fatte di mele, o di bere molto
vino, e aviene più spesse volte di verno e ne la primavera. E quando
elli si toccha il corpo di coloro ke ànno questa infertade, sì pare ke
ssia somilliante a colui ke esce del bagno, o ssì come s'elli fosse molta
acqua calda gittata adosso. E in questa febbre si sente il polso grande
e spesso, e l'urina rossa e spessa. E quando a lo 'nfermo ne la febre
questi segni
aparranno, o più di loro, sì ssi conviene studiare di torre
loro sangue, e
dêllisene trare assai, e per questo si spegnerà questa
febbre. E se nolli si
soccorre ançi ke lla lingua diventi nera e
sopravenghano gli accidenti, sì ssi reggha secondo ke noi dicemo ne
la febbre causon. Ma in questa febre si debbono più dare quelle cose
che
ripriemono e
atutino il
sangue, cioè a ssapere il rob del sugho de
l'uva
acerba e de la
acetositade del cederno, e ribes, e dell'aceto co le
melegrane, e ancora il
regimento de lo 'nfermo si de' sottilliare, e a
questo si conviene intendere, e 'l molto manichare si dee lasciare
stare. E se ancora alcuno infermo nel
cominciamento de la 'nfertade
si truova e si abbia facto torre sangue, queste cose ke noi abbiamo
detto mescoli coi suoi cibi e bea acqua fredda e i trocisci di
camphora. E s'elli è mestiere, sì ssi solva il ventre co la dicotione de le
susine, e de' tamarindi, e çuchero, o kol sugho de le grane acetose, e
ko la sua polpa, e kol çuchero trite. E poi ke la febbre fia andata via,
sì ssi
abstengha da la carne e da le
confectioni ke ssi fanno del mèle e
del vino, tanto ke lla sua santade sia
confermata.
E questa febbre è
kontinua e non
interpulata, e no è kiamata
terzana, né con essa non è neuna cosa del
fuoco e de l'arsura, e
incendio, e acuitade, ke ssi sente ne la febbre
causon, e spesse volte si
muta nel
causonide s'ella non si spegne nel
cominciamento. E questa
febbre sì àe tre spetie: l'una la quale dal suo
cominciamento la sua
malitia non
cessa di crescere tanto ke vengha il termine, o ke lo
'nfermo muoia; e l'altra sì è ke sempre sta in una dispositione; e la
terza sì è che dal suo
cominciamento ogne die menoma. E quella ke
cresce ogne die àe più mestiere di scemare sangue ke ll'altre. E poscia
quella ke è d'uno tenore e ke sta sempre in uno modo
secundariamente à mestiere di scemare sangue, advegna ke ancora ne
la terza spetie se ne vollia torre, ma tuctavia quelle n'ànno magiore
mestiere e magiormente quella che ssempre cresce.
L. X, cap. 6 rubr.Capitolo sexto. De la febbre ke pillia ogne die k'è kiamata
flematicha.
L. X, cap. 6Questa febbre flematicha aviene con
oripilatione e com puro
freddo e ne le costi, e nel
dosso, e ne l'estremitadi, e 'l tempo del
freddo dura molto, e apena si riscalda, e apena viene a ardore e a
caldo, sì com'è la terzana; ançi 'l caldo del corpo in questa febbre,
secondo rateza o spesseza, viene kom prolixitade o prolungamento e
faticha, imperciò ke alcuna volta si riscalda e poscia si raffredda e
poscia si riscalda un'altra volta. La quale cosa, poi ke ffie facto molte
volte, sì ssi manofesta il caldo, o ssi fae in tucto il corpo iguale,
tuctavia, dipo grande faticha. E quando il caldo si comincia a spargere
per tucto il corpo, no è né forte, né puro, né nel corpo de lo 'nfermo
si sente incendio, né pugnimento sì come ne la terçana e nel
causonide, né sete è kon essa, né molto forte inspiramento e
atraimento d'aria. E se con essa fie vomito o
ssolutione di ventre, sì
ssi metono fuori li homori bianchi, e puri flematici, o con poca
collera
rossa. E in questa febbre pare ke la faccia sia um pocho
emfiata, e 'l corpo dimagra, e la virtude apetitiva (o ke disidera)
menoma. E 'l polso in questa febre, secondo ratteza e spesseza, si
truova molto minore ke non fae ne la terzana; e ancora sança questo
sì è diverso.
E questa febbre aviene più spesse volte ai fanciulli, e a le femine,
e alli
enuchi, e a coloro ke ànno i corpi humidi, cioè ke ssono
d'humida e di molle natura, e a coloro ke molto
manuchano e pocho
si vòtano e ke pocho s'
affatichano e ne le regioni fredde e humide e
ne' tempi humidi.
E l'orina in questa febre è biancha e sottile, o rossa o spessa o
torbida, e secondo più de le volte nel
cominciamento e ne la prima
dispositione; ma poscia tempo precedente si muta nell'altra
dispositione, e il suo
interpolamento né più aviene ne la fine del die
presso a la nocte, e non si parte con sudore, e magiormente ne'
primi
die del suo
cominciamento; e s'elli adviene ke ve ne sia, sì ssarà poco
e viscoso.
E quando la febbre si diparte le vene non si purificano del tucto
in tucto dalla diversitade, né 'l corpo dall'ordura e
neutralitade, ançi
dimora alcuno
rimasullio de la febre infino a tanto ke ll'altra
adcessione sia venuta.
E ancor questa febre viene ongne die, ne la
quale il tempo de la molestatione è più lungho ke quello de la
'nterpolatione e quiete e fassi lungha e
mansiva. La quale più di volte
dimora e dura per più mesi, e sança questo ella è rea e à in sé
sospetione e dottanza di morte.
Dumque quando ne la febre questi segni si truovano, o i più di
loro, si sappie k'ella è flematicha, e se in quello tempo e' si truova ke
molti ànno questa febbre, già si puote mellio credere k'ella è
flemmatica. Dunque si conviene studiare, e da la prima acessione di
questa febbre si dee dare sciroppo acetoso di mèle coll'acqua tiepida a
bere, e si dee confortare ke ss'elli il puote rigittare k'elli il
rigitti, ma
non se ne dee molto isforçare; per la quale cosa elli ne dee bere
molto. E del vomito, sì come la cosa s'à, non si dee lo 'nfermo
affatichare k'elli si mundifichi del tucto. E questo ke noi abbiamo
detto sì ssi investighi kolla medicina ke se fae kol turbit ke ciascuna
notte li si dea, la cui
confeççione è questa.
Recipe:
turbit
polverizato e staciato kol panno de la seta ke ssi
kiama orale dr
. .x.; mastice, gengiovo ana dr
. .j.; çuchero quanto di
tucte l'altre cose. E di questo li si dea a bere ciascuna notte a peso
d'uno aureo, se 'l ventre intra die e notte non si muove una volta o
due o più, e quando e' fia fatto die, sì lli si debbono dare dr
. .v.
di mirabolani, di zuchero, e incontanente dipo questo sì lli si dee dare
del sciroppo acetoso di mèle colato on
. .j. E ll'ora del manikare
dall'ora de l'acessione si dee allungare quanto più si puote fare. E lo
'nfermo si dee nodrire koll'aceto, e coll'olio
lavato, e col zuchero, e
kon um pocho di menta, e koi
chamangiari somillianti a questi; e si
dee abstenere; e usi di manicare cose salate, le quali si fanno d'aceto e
d'almuri; e usi le radici de la
sicla e le sue extremitadi condite
koll'aceto, e koll'olio, e koll'almuri, e senape, e coll'altre cose
somillianti a queste. E così si regha lo 'mfermo per una septimana, e
se la lungheza de la febbre e i suoi accidenti paiano ke menimino, e
ll'ora ch'ella suole venire si ritardi, così si dee reggere. E s'ella si
truova crescere e stare
ferma, lo 'mfermo si muova con questo
lactovario, del quale questa è la sua confectione.
Recipe:
turbit sano dr
. .j.; sugho d'assenzo la quarta parte d'una
dr
.; e lla sexta parte d'una dr
. de la coloquintida, agarico dr
. 1/2;
gerapigra dr
. 1/2; e lla sexta parte d'una dr
. di mastice, e si
conficia kol
sciroppo acetoso di mèle e si dea a lo 'mfermo, e poscia si dee tornare
al
regimento dello 'nfermo. E se la virtude de lo 'mfermo fie
indebolita, sì lli si dèno polli arostiti e aconci, e aparecchiati ne la
padella, e si dipartano e sceverino da la broda, e dal pane molle
im brodetto. E se a lo stomaco sopravengono alcuni accidenti o forte
nauscha e voglia di rendere, sì ssi medichino kon quelle co se ke noi
dicemo e abiamo nominate ne' suoi
capitoli. E s'elli advenisse mala
complexione, somilliantemente sì lli sovengha e soccorra kome noi
dicemo. E se lla febbre avrae passato quatro septimane, sì lli si dea
de' trocisci perfetti de le rose a bere.
E questa è la confettione de' trocisci perfetti de le rose.
Recipe: de la polvere de le rose rosse dr
. .x.; e del sugho de
l'eupatorio dr
. .vj.; e del sugho de l'
absenzo dr
. .iij.; mastice dr
. .j. 1/2;
spico e assara bacchera e fiore di squinanto ana dr
. .j.; e se
'nformino
i trocisci, de' quali ciascuno sia dr
. .iij., de' quali uno con una oncia
con questa cotale dicotione si dea de la quale questa è la confectione.
Recipe: la scorza de la radice del finocchio dr
. .x.; e de la
radice de l'appio ana dr
. .x.; e del seme di ciascuno, ameos, cuscute,
aniso,
bedagar,
suhach ana dr
. .v.; e si cuocano kon una libra d'acqua,
tanto ke reggha a la metade, e si mescoli con una on
. di sciroppo
acetoso, e si dea kol predetto
trocisco, e a lo 'mfermo si dea d'ongne
due
notti l'una de la medicina de turbit, acciò ke 'l ventre si muova.
E se la febbre fie forte con altro lattovario, si solva e muova, e
carni,
calagie e
mutagenat si deano acciò ke la virtude non vada via, e
ssi guardi da le noci e da le cose untuose e
confectioni facte di mèle
.
E quando huomo avrae veduto il menomamento di questa febbre,
manifestamente lo 'mfermo si metta spesse volte nel bagno la
mattina, e
sudivi entro, e si dee guardare e observare ke lo 'nfermo in
questa febbre non bea acqua fredda raffreddata sopra la neve, né
neuna cosa somilliante de le cose fredde, imperciò ke s'elli queste
cose avrae a disdengno e non abbia cura, la febbre si farà lunghissima.
L. X, cap. 7 rubr.Capitolo .vij. De la febbre quartana e sua cura.
L. X, cap. 7Questa febbre
komincia con sì forte triemito k'ella fa i denti
strignere e percuotere insieme, e le giunture e l'ossa dolliono quasi sì
come alcuna cosa sopr'esse fosse apicchato ke le gravasse e le
percotesse; e la dispositione di questo triemito basta a
'nsegnarla '
conoscere, imperciò ke nell'altre febbri no è questo cotale triemito. E
'l polso in questa cotale febbre nel
cominciamento in
picoleza, e in
deboleza, e in raditade, e in tarditade,
perviene a maravilliosa
dispositione. E se tu tti ricorderai del polso de lo 'mfermo kente elli
era quando era sano, non avrai mestiere d'altro
segno a conoscere ke
lla febre k'è cominciata sia quartana, se non quello ke lli si
manofesterà del
tochamento de la vena di molta
picoleza, e tardeza, e
raditade, e menomamento, e ke molto sia contradio al polso de la
febbre
flegmaticha. E questa, quando ella s'accende o ssi riscalda, è
molto più calda ke lla febbre flematica, ma nom
perviene a· caldo de
la terzana; e né la sete, né tanta accessione né tanto caldo e ambascia,
né tanta pigritia, né tanto dolore di capo, né tanta alienatione si truova
in questa febbre quanto ne la terzana. E questa aviene spesse volte
dipo lunga febbre disordinata, e ne l'autumpno, e ne la fine de la
state, e in coloro ke ànno le complexione
secche.
E l'orina in questa febbre appare biancha o subtile, e apartiene
um pocho a rosseza, e più de le volte è molto kiara, e cruda, e grossa,
e nera, o rossa. E sança questo ancora, se molte febbri quartane
avengono a molte genti, si sappie k'ela è febbre quartana. E quando
in questa febbre l'orina è grossa e spessa, e 'l corpo rosso, e le vene
piene, sì ssi scemi sangue a lo 'nfermo de la vena del feghato, e
apresso li si faccia tucto il
regimento ke lli si conviene; e sse questo in
lui non si vede, si dieno alcune medicine di quelle che mandano fuori
e purgano la collera nera di quelle che noi nominamo nel capitolo de
la maninconia.
E la medicina da muovere si dee dare il
seguente die dipo lla
febbre ke avrà avuta. E quando l'acessione comincerà, sciroppo
acetoso kon molta acqua li si de dare, e ssi dee comandare a lo
'mfermo k'elli
rigitti. E s'elli no 'l puote rigitare, bietola, e senape, e
cose salate, e somillianti cose li si debbono dare, e quando l'avrae
prese sì bea vino bene inacquato sopra loro e poi bea sciroppo
acetoso nel quale
rafano sia stato in molle. E lli altri dì
rigitti, e 'l
regimento li si dea più
largamente, e de le carni de' polli e delli
eghietti manuchi temperatamente, ma dinançi manuchi
kamangiari
konditi kon almuri e olio, e getti sopra ssé de l'acqua calda, e vi si
seggha entro inançi k'elli manuchi. E si dee mettere nel bagno, nel
quale elli non
sudi, e faticha e vigilie sofferi meno ke non suole, e usi
di più dormire, e di più riposarsi, e di più stare im quiete. E vino
sottile e molto temperato bea, e dee solvere e muovere il ventre
assiduamente per uno die, ançi k'elli
debbia venire la febre, ma il
vomito il die de l'acessione si de' dare e fare reddere. E nelli altri dì
com'elli si regha e 'l suo corpo s'
uhumenti e si
inhumidischa, si dee
pensare e considerare se lla febbre e lli accedenti e la lungheza de la
sua accessione menoma e quelle cose ke corrono in lei, perciò ke
quello fie buono. E se elli pare k'ella non menomi molto, lo 'nfermo
si dee fortemente votare, la quale cosa, quando fie facta spesse
volte, non dimorrà la febbre. E s'egli aviene cosa k'ella sia
prolunghata oltra
.xL. die, sança tucto quello ke noi abbiamo detto, sì
ssi dea a lo 'mfermo
kotidianamente, ongne matina, del
diatrithon
piperon a la quantitade d'una noce; e de la medicina de l'asa
fetida si
dee dare a la grandeza d'una avellana. E questa è la confettione.
Recipe: asa fetida,
foglie di ruta seccha, pepe, di tucti
igualmente, e del mèle quanto basta a
conficere, e di questa medicina
si prenda quanto è una avellana quando si vae a dormire, e lo
'mfermo dorma poscia, e ancora entri nel bagno, e
sudivi entro, ma
non nel die dell'acessione, e bea vino vecchio e puro. E s'elli è tempo
di state, e 'l corpo è magro e
kaldo, sì fie mellio ke nolli si dea alcuna
de le medicine
kalde, ma il siero li si dea spesse volte col
çuckero
tabarzet, e alcuna volta li si dea la dicotione de l'epithimo e de'
mirabolani
yndi. E si nodrisca koi nudrimenti ke abbiano a
humentare e a
innumidire, e 'l vomito si facia venire nel
cominciamento de l'acessione, nel die de l'acessione, col sciroppo
acetoso e co l'acqua tiepida.
L. X, cap. 8 rubr.Capitolo .viij. De le febbri continue e loro chure.
L. X, cap. 8Se co la febbre
kauson ne la lingua fie nereza, e grande
espiratione e alito, e grande sete, e grande afa, e la superficie e le parti
del corpo di fuori fredde, sarae la significatione rea; e
ssimilliantemente se ll'estremitadi e la superficie del corpo fieno
molto fredde, e la febbre sia per cagione d'apostema ke ssia ne le
parti dentro.
E io in questo
sermone non vollio tanto solamente parlare di
questa spetie ançi d'ongne febbre, ko la quale la superficie del corpo è
fredda, ko la quale lo 'mfermo sente
fatigatione e
graveçça, e
prostendimenti, e febri, e
sbadilliamenti, e 'l polso è
ratto e ll'alito
somilliantemente, e 'l
calore si sente
kontinuamente ne le parti
dentro, e non
interpolato (ke vada e ke vengha). Questo cotale
infermo si dovrae regere col
regimento de la febbre flematicha.
E se ne la superficie del corpo fie caldo, sì chome caldo di colui
che à febbre, e nel polso nom sia velocitade, e ratteza ne la spiratione,
e l'alitare non sia spesso né grande, né lo 'nfermo dal
calore febrile
non sentirae alcuna cosa di male dentro, ma sentirae tutto il
calore e
lo 'ncendio e la graveza ne la superficie del corpo, e questa sia con
interpolatione (cioè ke vada e che vengha e ke
pigli e lasci), sì ssi dea
a lo 'mfermo sciroppo acetoso e
mirabach di çucchero, e si
nodrischa
koll'aceto, e coll'olio de le mandorle, e ciascuno die entri nel bagno
nel quale elli sudi um pocho, e li si gitti adosso molta acqua calda. Le
quali cose se bastano bene è, e se non, sì ssi dee muovere e fare uscire
co la dicotione de' mirabolani, e dee tornare al
regimento. E se lo
'mfermo sentirà
oripilatione (o
ripriçi) mescolata con ardore, e sança
questo avrà passato aria calda, e avrae avuto
prostendimenti di
braccia, e avrae primieramente sentito il caldo e poscia il freddo
incontanente e poi incontanente il caldo, sì ssi dee solvere e muovere
kolla dicotione de' mirabolani citrini e
yndi, e turbit, e zuchero. E
ciascuno die li si debbono dare i trocisci
dyaradon piccoli, e i trocisci
di spodio a peso di due aurey col sciroppo acetoso, e çucchero, e
sugho di melegrane acetose.
La confetione de' trocisci de le rose, i quali sono kiamati picoli,
è questa.
Recipe: polvere di rose dr
. .x.;
spiconardi, sugo di requilitia ana
dr
. .j.; seme di cederni, seme di
scariuole ana dr
. .ij.; e di queste cose
confette col
julep s'informino i trocisci e si beano.
Confetione di trocisci de spodio.
Recipe: spodio dr
. .x.; rose rosse dr
. .iij.; seme di cederno, seme
di lattughe, seme di çucche ana dr
. 1/2; sugo di
riquilitia ana dr
. .v.; e
s'
innaffino e
conspargano kolla
muscillagine del psilio e se ne
facciano trocisci e si beano.
L. X, cap. 9 rubr.Capitolo nono. De le febri mescolate ke 'l quinto die o 'l
sexto vegnono. Rubrica.
L. X, cap. 9La terzana e la cotidiana e la quartana più de le volte non si
partono ma dimorano sempre, ma nell'ora dell'acessione
rinforçano e
sono più forti, e poscia menomano, ma non
vanno via in tale maniera
ke la persona sia tucta
libera di loro, e poi appresso nell'ora
dell'acessione
rimforçano. E lli accidenti di queste febbri sono quelli
medesimi ke de le predette, salvo k'elle non cominciano kon triemito
e sudore, non èe in tucto il corpo kon queste se non quando elle si
dipartono del tucto. Ma tuctavia è una medesima materia di queste,
ma è magiore in quantitade e in qualitade pigiore e più temorosa,
onde con uno medesimo
medicamento a queste e a quelle si
dee sovenire e socorrere. Ma il medicho a medichare queste dee
essere più studioso e più spesso essere solicitato e attento ke ne le
predette febri.
L. X, cap. 9 bis rubr.Cura a quelli ch'ànno le dette febbri e come si deono
solvere e fare muovere a ssella in ogne acessione.
L. X, cap. 9 bisColoro ke ànno queste febbri si debbono solvere e fare muovere
a
ssella in ogne acessione per uno die dinançi l'acessione (cioè il die
dinançi l'acessione), e dêsi fare k'elli reddano il die de l'acessione, e
ancora sanza questo si dee intorno loro observare il
regimento k'è
nominato nel capitolo de la febbre flematicha. E se lo 'mfermo è
grosso e volontaroso di manicare e goloso, e s'elli è seccho e magro,
sì ssi dee solvere kon quelle medicine ke purgano la collera nera. E
sança questo il
regimento si vuole in lui observare ke è decto nel
capitolo de la febbre quartana.
Ma le febbri mescolate ke non observano né non tenghono
certe revolutioni e certi
parossismi, e si fanno per kagione d'apostemi
ke ssi fanno in alcune parti de la persona e de' membri e
magiormente ne le reni, o perciò ke elle passano e tornano in
quartana, e diferentia sì è intra lloro, imperciò ke kolla prima sì è
dollia in alcuna parte del corpo e in alcuno de' membri e ne le costi di
sotto, o ne le sue operationi à lexione e magagna; ma coll'altra non si
truova alcuna di queste cose.
E propio
medicamento sì è di
sanare e guerire il membro
infermo, la quale cosa si farà observando quelle cose ke noi dicemmo
e
dikiarammo ne' luoghi ove noi trattamo di queste cose; e l'altra si
medikerà e
guerirà l'una volta
votandolo e l'altra volta reprimendo il
calore e
spengnandolo, la qual cosa perciò si conviene acciò ke lli
omori non si
arostischano del tucto in tucto.
L. X, cap. 10 rubr.Capitolo .x. Del triemito ke non risscalda.
L. X, cap. 10Quando a alcuno acostumatamente sopraviene triemito kon
interpolatione, cioè pillia e lascia, e non si riscalda, ançi il corpo
ritorna poscia a la prima sua dispositione dipo alcuno tempo dal
suo
cominciamento, e dipo quello cotale triemito non seguita febbre,
lo 'nfermo si dee votare kon quelle medicine e cose ke noi dicemmo
nel capitolo de la febbre flematicha. E 'l suo
regimento si dee
sotilliare, cioè nel
manicare e nel bere, e non li si dee lasciare usare
niuna di quelle cose ke ànno a generare
flemgma. E ancora lo
'nfermo dorma poco, e nell'ora del triemito si usi ad andare. E se
questa infertade
perseverrae lunghamente, sì lli si dee dare de la
medicina de l'asa
fetida a la quantitade d'una avellana dinançi l'ora ke
elli suole avere il triemito, e poi si dee molto bene coprire di panni, e
dêlisi comandare ke elli stea molto
coperto e k'elli non si volgha spese
volte di lato in lato. La quale cosa perciò si conviene fare ke 'l
triemito vada via, e dêsi ancora ungnere koll'olio del costo, e dee bere
de l'acqua calda molte volte. E lo 'mfermo,
coperto il
dosso e 'l capo
d'alcuna cosa sì come di grosso panno, ponga il volto sopra l'acqua
calda, e 'l suo
vapore riceva nel volto acciò ke 'l
sudore si
provochi e
'l triemito vada via, e li si dea altressì vino puro e forte a bere col
pepe.
L. X, cap. 11 rubr.Capitolo .xj. De la febre ne la quale non è tramortimento,
la quale si genera d'omori rei e aguti.
L. X, cap. 11Quando la febbre sopraviene a alcuno, la quale secondo magior
parte fae
parossismo e
affrictione nel terzo die, co la quale il volto
dello 'mfermo tosto si sfa e diventa
isfigurato, e 'l corpo dimagra, e la
virtude ke ss'atende nel polso cade dopo una o due
acessioni, e sse
l'acessione dura più, si
tramortirà dipo essa o forse ne morrà, e questa
febre si genera più spesse volte ne' corpi ke ssono molto
kaldi e
secchi e di
kalda e seccha complexione; e quando questo fie veduto,
sì ssi dee socorrere a lo 'mfermo
dandoli de l'acqua de l'orço, kolla
quale um pocho di
melagrana muça si dee temperare. E lo 'mfermo
giaccia in luogho ventoso e si vesta kamiscia ke ssia inaffiata di
sandali e d'acqua rosa. E 'l ventre e ' lati se
epithimino di sandali e
d'acqua rosa, e assiduamente pillii um pocho di nodrimento di
midolla di pane di grano e di sugho di melegrane
muççe e di
simillianti
fructi, e si notrichi coi polli conditi col sugho de l'uve
acerbe e de'
kokomeri, e de' cederni, e di zucche e
fructi raffreddati
ne la neve, e ancora bea acqua fredda; e dinançi al
cominciamento de
l'acessione sì bea il sugho de le melegrane, nel quale pane biancho sia
stato a molle o kol quale acqua d'orço sia mescolata. E se l'acessione
comincerà e, ançi ke lli si dea alcuna cosa, elli tramortisce, allotta si
vorrà aprire la boccha de lo 'mfermo, e
converassi fare k'elli mandi
giuso dell'acqua ove la polvere de le
tortelle sia stata a molle, o acqua
d'orzo. E se 'l tramortimento sia molto forte, sì ssi dee fare k'elli
mandi giuso un poco di
tortelle
polverizate con vino subtile ke abbia
altrettanta acqua fredda
seco mescolata; e si dee guardare dall'aria
caldo e da bagno, e da
ffaticha, e dal veghiare, e da tutte quelle cose
ke ànno a votare; e si dee bagnare ko l'acqua fredda, e d'ongne tempo
si dee nodrire. E s'elli fosse ancora ne l'acessione, e se quando la
febbre comincia la caldeçça sia molto forte kon seccheza, il lacte,
onde il biturio fosse tracto, bea coi trocisci di
kanfora.
L. X, cap. 12 rubr.Capitolo .xij. De la febre co la quale l'uomo tramortisce e
àe deboleza, la quale viene per moltitudine d'omori.
L. X, cap. 12Spesse volte febbre assalisce alcuno, la quale secondo il più fa
paroxismo sì come la flematica, ne la quale il corpo si mollificha e 'l
volto
komincia a emfiare. E sse questo cotale infermo nom pillia del
nodrimento, ma si vòta, si
tramortirà lo 'mfermo. E s'elli
piglia del
nodrimento, sì lli averrà
mollitie e la febre diventerà più forte e
diverrà molto lungha. E di questa cotale il
cominciamento de la sua
cura è ke lle gambe dello 'mfermo, dalle ginocchia infino ai piedi, si
strupicino koi panni ke ssieno mezani intra aspreza e morbidezza e
tanto ke paia ch'elli arossino um pocho. E poscia vada huomo a le
coscie ne le quali si dee fare similliantemente
stropiciamento
kominciando di sopra e discendendo infino a le
ginokia, tanto k'elle
comincino a arossare e sia lo
stropiciamento in forteza iguali; e dipo
questo le braccia dalle ditella infino a le mani si debbono stropiciare a
la
similitudine de' predetti, e poscia il petto e le costi. E poscia si
conviene tornare, sì come noi dicemo, al
medicamento de' piedi e
delli altri membri. E quando questo cotale infermo avrae sete, sì bea
de l'
oximelle. E quando elli avrae fame, acqua d'orzo, e pane, e
ydromel mescolato con çuchero prenda, e si conviene guardare ch'elli
nom bea acqua fredda. E 'l tempo del dormire e de lo stropiciare si
dee partire, sì che 'l mezo sia diputato a lo
strupiciare e 'l mezo al
sonno e riposo. E questo infermo, s'elli pillia sola tipsana o aqua
d'orzo, non indebolirà, e altra chosa nolli è da dare se non tipsana e
pane kon
ydromelle. E s'elli aviene cosa k'elli sia indebolito, sì ssi dee
notricare koi nodrimenti ke noi dicemmo ne la febbre flematica ke ssi
dovea nodrire. E s'elli è stitico, sì lli si faccia cura kol sugo de la
bietola e kol nitro. E sança le cose ke ssono dette, a lo 'mfermo si dee
dare il peso di due aurey del seme de l'appio col sciroppo acetoso, il
quale si dee reggere in questo modo tanto ke ssia guerito.
L. X, cap. 13 rubr.Capitolo .xiij. De le febri ch'avegnono per kagione
d'apostemi.
L. X, cap. 13La febbre ke
sseguita apostema ke aviene per perchossa, o per
kaduta, o per somillianti cose, è delle generationi dell'
effimera,
imperciò k'ella no è putrida e no à in sé nocimento né malitia. E
quella ke acompangna alcuno appostema ke cominciando nasce in
alcuno membro è rea. E la grandeçça de la paura e la sua
picoleza ke
l'huomo àe poscia è secondo quello membro, e la febbre ke 'l seguita
è ssecondo la grandeza de l'apostema e la sua qualitade.
E la febre ke acompagna l'apostema ke è nel
pannicolo del
cerebro è rea, imperciò k'ella si fae per la frenesia, la cui significatione
e 'l cui
medicamento noi abbiamo già detto. E quella che aviene per
l'apostema ke nasce ne la gola e ne le sue parti noi abbiamo già detta
e nominata, il quale apostema è kiamato
squinantia. E la febbre ke ssi
fae per l'apostema ke nasce ne le vie dell'alito, o ke ssi fa ne la
karne
k'è intra le costi e i pannicoli (ke ivi sono), e 'l diafragma, e per
l'apostema del lato e ke nasce nel
panicolo che divide il petto in
lungitudine, e per la
periplemonia (cioè apostema del pulmone) già
abbiamo dimostrato ne' predetti. E de l'apostema ke
principalmente
si genera nel pulmone deviene
anelito e ll'alito magiore, e più spesso è
rosseza delle
gote. E con essa aviene tossa kolla quale si fa sputo
spiumoso, la quale noi abiamo già nominata. Colla febbre ke ssi fa
per l'apostema ke ssi fae nel
meri (cioè ne la via onde scende il cibo a
lo stomacho per la boccha) è dolore con graveza delle spalle, la quale
dollia si sente più grave quando huomo tranghiottisce. E la febbre ke
adiviene per kagione de l'apostema dello stomacho è dolore e
incendio ne le parti del ventre dinançi sotto l'ampieçça del pecto, ov'è
grande dolore. E apostema quando è grande si sente, e se no è
grande, sì si sente dolore in quel luogho quando elli vi si prieme. E
ancora sono con questa apostema sete e malavollia di manichare, cioè
perdimento d'apetito. Similliantemente se apostema è in alcuno de le
budella, il luogho nel quale è sì ssi sente e si truova molto caldo. E
quando elli aviene ke apostema si generi nel feghato, sì ssi seguita
febbre fortissima e si sente
turbamento e
chostringnimento d'orina. E
se ne la matrice fie caldo apostema, sì ll'acompagna febbre acutissima,
cioè
causon, e
perturbamento di senni. E ogne febbri ke ssi generano
per kagione d'apostemi si debbono
medikare e guerire guerendo
l'apostema, la quale cosa si fae per scemare sangue o per porrevi suso
impiastro e, sança questo, kol
medicamento che noi scrivemo ne'
propii
capitoli. E la febbre seguita quello apostema tanto quanto è
caldo e ardente, e si diparte quando il suo
calore è sedato e apaciato o
quando la
putredine si raguna.
L. X, cap. 14 rubr.Capitolo quartodecimo. De le febbri ke adivenghono
per pistolença o per corruptione di malvagitade de l'aiere.
L. X, cap. 14Le febbri ke ssi generano per corruptione de l'aria, nom pare ke
nel
cominciamento vi sia molta acuitade, né molta caldezza quando lo
'mfermo si toccha, ma ssono di magior nocimento nel fondo del
corpo ne le parti dentro e sono false e
inganatrici e di tosta
operatione. E sono febbri
lenti ma ssono
continue, e dentro a le vene
è la loro materia, kolle quali l'alito e ciò ke esce del corpo si sentono
molto puçolenti. E coloro ke ànno questa febbre, sì ànno grande afa
e ambascia e chaldo e sete molto forte, e 'l loro alito cresce e diventa
spesso; de' corpi de quali kon vomito e con uscita di sotto vien cosa
molto puçolente e non acostumata, e poscia
kominciano a
tramortire e muoiono. E in questa febbre si conviene procedere
diritamente
dandoli a bere acqua fredda e rob di
fructi
acetosi e
stitici,
e 'l rob ke ssi fae de le melegrane e del sugho de l'uve acerbe, e de le
pere e de le mele e de l'
acetositade del cederno; e se niuna di queste
cose non si puote avere, sì ssi dee dare a lo 'nfermo aceto koll'acqua e
lacte acetoso colla farina acetosa dell'orço e 'l
late molto acetoso di ke
ssi notrichi. E coloro ke ànno questa febre e questo male, sì lli dee
huomo isforzare k'elli manuchino alcuna cosa, imperciò ke più di
questi cotali non volliono pilliare neuna cosa. E
mettilgli in casa
fredda e si debbono regere kon tucte quelle cose ke noi dicemmo nel
capitolo de l'eticha, salvo ke elli non entrino nel bagno né non beano
acqua
kalda né
llacte ricente. E le case, ne le quali elli debbono stare,
sieno fredde e
ventose, le quali s'
innaffino ancora coll'aceto e co
l'acqua; e lli
'mfermi odorino l'erbe fredde e bene oglienti, e '
ciascuno si deano loro trocisci di
kamfora kon rob di frutti, e si
pongha loro sul petto empiastro di sandali e di
kamphora e d'aqua
rosata, e sieno le case loro piene di
foglie di salci, e di viti, e ddi meli
matiani, e di tucte l'altre cose ne le quali è freddeza e
stipticitade, e ssi
soffumichino koi sandali e colla camphora, e molte volte il die
s'
innaffino koll'acqua rosa.
L. X, cap. 15 rubr.Capitolo .xv. De le febri composte.
L. X, cap. 15
Alcuna volta sopravengono a lo 'mfermo due o tre febbri, le
quali alcuna volta sono d'una generatione, sì come terzana, e alcuna
volta sono di diversi generationi sì come a lo 'mfermo sopraviene
quartana, o
flegmaticha,
kollerica, spetie è ancora quando l'una di loro
è
kontinua e l'altra
interpolata. E spesse volte i cominciamenti
dell'
acessioni sono vicini e
prociani, sì che sieno in una hora, e spesse
volte s'allungano, per la quale cosa l'ordine de le loro revolutioni e de'
loro
periodi si confondono insieme, e questi accidenti si mescolano
insieme, sì che non si possano congnoscere se non da colui ke àe la
dottrina e ll'uso di cognoscere le spetie delle semplici. Per la quale
cosa la generatione de le febbri non dee congnoscere e sapere
solamente per la sua
interpolatione, e per lo suo prendere e llasciare
che fae, ma per li accidenti che ll'acompagnano ke ssono suoi
proprii, imperciò k'elli aviene ke colui ke à due terzane àe ogne die
interpolatione. Onde se la febbre di questo cotale non si cognosce se
nom per la
'nterpolatione, sì ssi
giudikerae d'essere febbre flematicha,
il
reggimento del quale, se ssi farà secondo questo, sì ssi ucciderà lo
'mfermo. Per la quale cosa la spetie della febbre si dee congnoscere
per li acidenti che lli sono propii e nom per la
'mterpolatione. E ssia
la cura e 'l
medicamento ke ssi fa a queste febbri secondo la forteza
delli accidenti e deboleza, e la loro deboleza, e 'l loro mescolamento e
permistione, e non s'atenda l'ordine de la
interpolatione quando il
testimonio delli acidenti fie diverso dalla
interpolatione. E avengna ke
quando alcuno àe due terzane ongne die abbia febbre, non si dee
perciò
medicare al modo de la cotidiana, ma al modo de la terzana. E
ancora sança questo ch'è detto si dee huomo del tucto guardare e vi
dee huomo studiosamente lavorare. E se la febbre viene e pillia un
die e l'altro noe, e lli acidenti de la terzana non sono più forti, ançi
sono deboli, non si dee medicare kolla sola cura de la terzana, ançi il
medicamento e la cura si dee temperare secondo la deboleza delli
acidenti.
E noi diciamo universalmente ke lla cura delle febbri composte
dee essere composta delle cure de le semplici e ke 'l mescolamento de
le due dee essere e si dee fare secondo il mescolamento de le due
febbri. Ma elli aviene molte volte ke konviene ke noi intendiamo pur
a la cura dell'una febre tanto solamente quando ella è più da dottare.
Il cui assempro è ke sse alcuno àe febbre quartana e li sopraviene
un'altra febbre per kagione d'apostema nel feghato o nello stomacho
o in alcuno de' membri delli strumenti de l'alito, dico k'è, quando
questo aviene, a medicare quella febbre ke aviene in questa maniera
per la sua grande paura,
advengha ke ne le medicine si contengha
alcuna cosa ke ll'altra febre faccia più forte. E s'elli avenisse ke la
febbre pilliasse l'uno die e l'altro no e lli acidenti di questa terzana
non apaiono né
puri né forti, né 'l suo
kalore no è pugnente né caldo,
non ss'accende tosto n'è molta sete, né molta afa e angoscia, né dollia
di capo, né vano parlare, né sudore, ma forse tucte queste cose
deboli, quando queste cose si comparano a quelle cose che ssi
solliono vedere ne la
pura terzana. E poniamo ancora, sança questo,
ke ll'acessione si prolungasse tanto k'ella pervenisse a le
.xiiij. hore,
diceremo ke questa febbre non si dovrebbe
kurare per la cura de la
terzana, ma questa cura si dovrebbe temperare kolla cura della febbre
flemgmaticha, e dovremo
iscelliere la nostra intentione da quello ke
potesse trare dal corpo dello 'nfermo
kollera e
flemgma, e 'l suo
nodrimento sarebbe da ordinare ad tucto il
regimento secondo
questo.
E noi nom possiamo nominare tucte le febbri composte, né
mettere propie cagioni di ciascuna di quelle, ma lo
'mtepretatore di
questa disciplina conviene ch'elli conoscha molto bene le forme de le
semplici febbri, e le loro
cure, e medicamenti, e poi misurare bene la
congnitione delle composte, e ch'elli
sappia temperare le loro
cure e
medicamenti per le cure delle semplici.
L. X, cap. 16 rubr.Capitolo .xvj. De' vaiuoli, e de la rosolia, e de la loro
cura quando è con febbre aguta ne' giovani e fanciulli.
L. X, cap. 16Quando febbre aguta dentro alle vene '
kontinua
komincerà a
venire, magiormente a' fanciulli e a' giovani, e con essa fie dollia del
costado, e piççicore di naso, e nel sonno paura, e graveza di capo, e
rosseza delli occhi, e nel corpo si sente pugnimento, sì puote
l'uhuomo bene sapere ke a questo infermo molto tosto verranno
vaiuoli, o
morbilli, o
rosolie. Per la quale cosa, se ançi k'elle
komincino a aparere il medico li faccia scemare sangue, o kolle
ventose si scemi sangue e si menomi la moltitudine del sangue, e
poscia li si dieno i trocisci di spodio a bere col sugho delle melegrane
acetose, e lo 'mfermo non si notrichi se non colla tipsana de l'orço, e
questo si faccia la mattina e la sera. E ss'elli disidera magior
nodrimento e la sua virtude sia debole, non lli si dieno se nom
lenti
scorticate
kondite kon um poco d'aceto, o brodetti; o
sorbitioni ke ssi
fanno di
poltilglie, ut pulli, cum çuchero e olio di mandorle o di
camangiari freddi ke si possono avere s'aparechi, e rob che ssi fa di
fructi
acetosi o stiptici si dea a bere. E se 'l ventre fie
stretto, ogne die
li si dea dicotione a bere da muovere; e per questo o di tucto in tucto
le bolle non usciranno fuori, o sse alcuna cosa n'esce fuori, quello fia
piccola cosa.
E se lo 'nfermo non fie veduto dal medicho ançi ke 'l vaiuolo
kominci a uscire fuori, nolli si dovrà allora scemare sangue, né trocisci
di spodio nolli si dovranno dare, ma dêsi molto bene coprire acciò
k'elli sudi, e per questo fie la matera agevole a uscire fuori. E s'elli
parae ke 'l male sia duro a uscire fuori, e paia ke lo 'mfermo sia molto
affastidiato per molta ambascia e per molto
kaldo, e dimori così per
alquanti die, sì bea la dicotione de' fichi e d'uve passe, e di
lenti sança
scorça, e di seme di finochio, e di fusti di
lacca, ke ssi fae in questa
maniera:
prendasi di ciascuno di questi piena mano e poi si
cuokano tucti
in acqua e si coli, la quale dicotione si prenda molte volte il die e lli
occhi si lavino koll'acqua rosa, ne la quale il
sumacch sia stato in
molle, o col sugho de le melegrane; e a bere si dea acqua fredda kon
um poko d'aceto, e ancor si faccia kon essa gargarismo. La quale cosa
si conviene del tucto in tucto fare e al
postutto acciò ke nelli occhi, né
nel naso, né ne la gola non n'escha fiore, e ll'antimonio si freghi col
sugho del coriandro e si metta nelli occhi il die molte volte. E quando
il male fie tucto uscito fuori o
maturo, sì ssi dee lo 'mfermo porre a
dormire sopra le fogle de' salci e vi si dee gittare suso il letto de la
polvere de le rose. E s'elli è di verno, sì ssi debbono
ardere dinançi a
lo 'mfermo lengne di
tamarigi. E s'elli è tempo di state, sì ssi dee
affumicare ko le rose e koi sandali e mortine. E tucte queste cose si
debbono cuocere ne l'acqua, e questo si dee fare se quelle bolle sì
penano a
ssecchare; e quando elle fieno
disecchate e vi fie rimaso
suso la scorza
rusticha, sì ssi ungha molte volte il die koll'olio tiepido,
ungnendo ko la bambagia. E quando tucte le scorçe fieno
kadute e llo
'mfermo fie del tucto guerito e ssi debbono guerire i segni che ssono
rimasi, sì ssi epithimi com quelle cose ke noi dicemo nel capitolo del
levare quelli cotali segni e usi il bagno e quelle cose ke valliono al suo
medichamento.
E se il vaiuolo e la
rosolia escano fuori e non sia scemato
sangue, sì ssi dea il sugho di due melegrane coi
trocis di
spodio, e si
regga kon convenevole
regimento ke possa raffreddare, e polli non
manuchi se non quando tucte le scorze del vaiuolo fieno cadute e la
febbre e ongne
kaldo fie
andato via. E conviensi guardare ke non si
dea neuna cosa a lo 'mfermo ke
ffacia uscire da ke 'l vaiuolo o la
rosolia
komincerà a uscire. E se il corpo è molto
solubile e largo, sì lli
si dea a bbere tipsana d'orço kon ispodio, e con
gummo
arabico, e
bolo armenico, e rose, sì come noi dicemmo nel capitolo del fluxo del
ventre.
E di tucte le maniere de'
viaiuoli quella è pigiore ke è di colore
di viuola, e sono piccole e dure, e non fanno
putredine. E
somilliantemente la
rosolia di colore di viuole è rea. E s'elli pare ke 'l
vaiuolo esca com pena e non si maturino, e né la febre e né
l'ambascia non menoma né ssi diparte. E s'elli aviene triemito di
cuore e
tramortiscimento al
postutto, lo 'mfermo ne morrà. E se 'l
vaiuolo esce tosto fuori e tosto si
matura, e la febbre e 'l caldo tosto
vanno via e si dipartono, nom fia dotta dello 'mfermo, imperciò ke
non n'avrae neuno male.
L. X, cap. 17 rubr.Capitolo .xvij. Di quelle cose che ssono necessarie a
reggere le 'mfertadi agute a considerare se sono da curare o noe.
L. X, cap. 17Chiumque vorrae kongruamente e bene reggere le 'mfertadi
agute, primieramente dee congnoscere s'elle sono da guerire o
mortali, e ss'elle sono brievi o lunghe, e se lla loro fine fie con
termine o no, e qual die fie il termine, o ke termine e di che spetie fie
(cioè per sudore o per sangue di naso o altrimenti). E come lo
'mfermo si dee reggere dinançi al termine, e nel termine, e dipo 'l
termine, dee sapere dinançi. E noi in questo nostro libro tractaremo
siccome abiamo achostumato, pongnendo solamente le somme e
l'agregationi brievemente.
L. X, cap. 18 rubr.Capitolo .xviij. De' segni buoni ne lo 'mfermo.
L. X, cap. 18Bello colore de lo 'mfermo e legereza ad muoversi, e ke elli
sofferi
legiermente il suo male, e forte polso, e buono alito, e buono
intelletto, e buono apetito, e che dorma sì come sano, e faccia buono
dormire e stare
akonciamente nel letto, tucti questi sono buoni segni
e segni manofesti di
matureza e perfetti segni e significano bene.
L. X, cap. 19 rubr.Capitolo .xviiij. De' sengni rei ne lo 'mfermo. Rubrica.
L. X, cap. 19Questi segni sono molti, li ordini de' quali, secondo ke diverse
cose significhano, si diversificano. Per la qual cosa, col
segno di
ciascuno di quelli
porremo parola o
nome ke dimostri la quantitade
de la forteza de' segni. E noi
kiameremo il
segno k'è debole
segno
nom buono, e quello k'è più forte
segno reo, e quello k'è pessimo
segno mortale o molto mortale.
Diversitade di colore trovata nel corpo de lo 'mfermo, o ke uno
de' membri sia caldo, e magiormente s'elli è ne la parte del ventre, e
lli altri membri fieno freddi, no è buono
segno.
La faccia ke molto s'
allungha e si divisa da la dispositione la
quale avea quando era sano, e diventa rea, e magra, e sfigurata, e
seccha, è reo sengno. Ma se lo 'nfermo avesse molto veghiato e
lunghamente fosse andato, o elli avesse sofferto e avuto grande
constrintione di corpo, o grande menagione, o altro modo di
votamento, il male è minore. E sse la faccia dello 'mfermo pare ke sia
piena, né no è passato grande spatio ke quello infermo fue molto
ripieno di cibo e di beveragio, o molto ripieno di cibo, di molti
nodrimenti, il male somilliantemente è minore ke sse la faccia fosse
mutata in colore
straneo e questo fosse per kagione de l'aria ke è
cotale, al quale a poko a poco è mutata, o imperciò ke prima elli avea
usato di mangiare cibi generativi d'omori. Colui che è di questo cotale
colore il suo
segno è meno reo, s'elli è cotale per alcuna de le predette
cagioni.
E ancora l'orina nera e llo sputo nero, e lo sterco nero, questi
kotali sono de' segni mortali. E se co le predette febbri l'orina fie
nera, i segni dello 'ncendio e del grande ardore sono molto mortali.
Il
puço dell'alito e
distorcimento di bocha ne le febbri acute è
sengno mortale.
Spesso tornamento e rivolgimento per lo lecto e diverso
mutamento d'una figura in altra e d'un modo in un altro, e lli altri
accidenti de' quali li homini solliono avere vergongna, sì come
quando alcuno mostra le cose da
verghognarsi, o quando elli fae le
peta, la significatione è nom buona, imperciò ke
ssignifica grande
ambascia e
perturbamento di
mente e d'intellecto.
E quando la faccia dello 'nfermo diviene molto magra e seccha,
e lli ochi sono
kavi in emtro, e le tempie si dilatano, e lli orecchi sono
freddi e mutati in giallezza, e lle loro stremitadi ke pendono in giù
sono
contratte, e la buccia del volto
parrà tesa, e sanza questo il
colore parrae giallo o verde o nero, e lo 'mfermo no avrà prima
soferto molto votamento o vacuatione, tucte queste cose sono
mortali. E sse ko le predette cose lo 'mfermo non veggha e non oda,
o ke alkuno de'
ssegni appaia che ssono più forti ne le significatione
della morte, già significha la morte essere presso.
Piccholeza dell'uno delli occhi, o torcimento di boccha, o
manifestamento de' bianchi ke ssi veghono nelli occhi quando si
chiudono oltre quello k'è acostumato, e dormire in tale maniera ke lla
boccha non si chiuda, tucte queste cose sono segni molto mortali.
Ancora stridire coi denti sança acostumanza è reo sengno, se con
acuta infertade aviene.
E quando lo 'nfermo àe acute infertadi, et elli fuge di vedere il
lume, e
fugge a le tenebre, e lli occhi
lagrimano sança
volontade, né
queste cose non seguiterà fluxo di sangue, questi segni sono
nom buoni.
Rosseza ne'
bianchi delli occhi, o vene rosse, o nere, ke entro
v'apaiano, sono due mali segni. Li occhi stupidi che non si muovono
e lli occhi tremanti che non si riposano, ma poco meno per lo molto
triemito pare che ssi girino in qua e in lae, sono de' segni mortali.
Strabuçare li occhi in fuori o la loro concavitade in entro nell'acute
infertadi e
lappitudine ke vi sia dentro sono segni nom buoni.
Quando lo 'nfermo nom si puote riposare sopr'alcuno de' lati, ma
giace supino e,
ssança queste, discende e
kola e si gitta verso la parte
de' piedi, questo sengno è mortale.
Caldo appostema nel ventre e grande, kom forte febre e acuta,
sengno è reo. E sse la
debboleza de la virtude e 'l
calore de la febbre
ancora è perseverante de l'apostema e della febre,
segno è molto reo.
E quando nell'agute infertadi l'estremitadi sono fredde sì è
segno nom buono. E se la fredeza cresce e diventa più forte, è
segno
reo; e sse con questo è grande caldo nel ventre e sete è mortale, e sse
com questo l'alito è spesso e lo polso spesso e picolo e debole, la
morte è presso.
Quando l'extremitadi e ll'unghie si mutano in
fusco colore, o le
mani o i piedi del tucto sieno di quello colore medesimo, e la virtude
non sia debole ançi cresce, e questo sia in die di termine, questo no è
reo
segno, ançi è buono, imperciò ke significa lo 'mfermo scampare,
impercioe ke sse questi luoghi si corrompono e s'infracidano, non
vi si debbono porre suso medicamenti ke le faccia forte e che le
difenda, imperciò ke sse questo si facesse, la
'mfertade tornerebbe a
lo 'mfermo dentro e lo 'nfermo morrà.
Somilliantemente se a lo 'nfermo nasce apostema al lato
all'orecchie, o rosseza n'apaia, e questo sia ne la passione ke è kiamata
frenesi, o sse lli occhi ne la
squinantia pare ke arossino, o alcuno
luogho ne la
peripleumonia, ove l'apostema sia sotto le ditella o ne le
poppe, non si dovrae il luogho raffredare, né no vi si debbono porre
kose ke lo confortino, ma vi si dee porre suso empiastro, e acqua
calda vi si dee gittare distillando da alti, e le ventose vi si debbono
porre suso. E se l'huomo vede venire la materia a digestione
a modo d'adormentato, allotta guirrà lo 'mfermo.
Contratione de'
coglioni e de la
verga nell'aguta infertade è male.
I sengni ke col termine solliono venire se appaiono dinançi a la
digestione e nel die non
creticho e in die di non termine, e 'l termine
non seguiti, sono segni di mala significatione. E quando lo 'mfermo la
notte veghia, e 'l die
dorme
laboriosamente e kon faticha e non
continuatamente, sengno è nom buono. E sse quando elli si svellia la
sua deboleza e la malitia della sua dispositione cresce è mortale.
E le 'nfertadi
acutissime ne' vecchi e in coloro ke ànno le
complexioni fredde e ne le regioni e ne' tempi freddi sono pigiori ke
ne' contradi di questi. La
squinantia con febre è mortale. Quando a lo
'nfermo ke à la febbre
causon sopraviene triemito una volta e più non
suderà, né la 'nfertade non fie alleviata, ma la debolezza e la mala
dispositione cresciuta,
segno è mortale. Quando le labbra si torcono
o 'l naso, o lle cillia ne l'agute infertadi, dipo molta deboleza e poi ke
llo 'nfermo à perduto il senno, già significha ke la morte è presso.
Triemito di cuore ke persevera nell'agute infertadi è reo sengno. E del
singhiozo diremo somilliantemente, e se con questo l'alito è troppo
stretto e 'l
calore febrile cresciuto, somilliantemente è reo.
Calore forte com febbre acutissima è reo sengno e mortale, e
magiormente s'elli è nell'orecchie o nel ventre o nel capo.
Quando nel corpo dello 'mfermo fia fedita, o
ulco, e fie verde,
o giallo, o nero, è sengno mortale.
Stupore e adormentamento d'occhi, le palpebri de' quali non si
congiungono, è sengno reo e mortale.
Enfertade in huomo k'è stato sempre sano, e che non ebbe
anche quasi male, è paurosa. Quando i testicoli e la vergha ne l'agute
infertadi si distendono e 'l budello è disteso e disceso è reo
segno. E
no è bene ke 'l
sangue esca del naso a gocciola a gocciola e a poco a
poco; e se sança questo è nero, sì è pegio; e se questo aviene in die di
termine, sì è mortale. E quando in alcuno membro nasce apostema o
dolore, e poscia seguita ambascia e incendio e sete, sì è reo. E se con
questo aviene triemito del cuore, sì è mortale. Vomito
livido e fluxo
di ventre somilliante è reo. Quando il volto è palido, e pare ke vi sia
quasi polvere nell'enfertadi agute, sì è reo
segno. Profferere e
kontare
i nomi delli huomini morti è reo sengno. Quando nell'aguta infertade
è grande fluxo di ventre, o grande vomito, è male sengno. E se
ssinghiozo li seguita apresso, sì è mortale. E se ll'ochio diventa
subitamente giallo, o nero, o elli vengha subitamente ambascia che
quasi non possa tranghiottire la
ssaliva, sì è sengno mortale.
Fiato
freddo kon deboleza di
vertude singnificha che llo 'nfermo è presso a
la morte. E quando nella lingua
apparrano granella somillianti in
grandeza a granella di ceci e la febbre fia acutissima, lo 'mfermo
morrà nel
cominciamento del sequente die. E quando il sudore fie nel
capo solamente è mortale. Quando spasmo ne la febbre aguta verrà,
dopo alquanti die ke la febre è
'ssuta, è sengno mortale. E quando lo
'nfermo
rigiterà cosa somilliante a rugine di rame è sengno reo. E le
febbri agute, le quali questi accidenti le quali queste febri
acompagnano, sono dottose.
Triemito nel
cominciamento sança sudore, o ke 'l seguita
piccolo sudore, e magiormente nel capo e ne la fronte, o molte vigilie
e ambascia, o
nasca e abominatione, e
perturbamento di senni, o
fredezza de l'estremitadi, e maggiormente s'elle sono
stropiciate e
riscaldate, o
ffredeza di fuori con grande incendio dentro, o alito
spesso, o rosseza dell'estremitadi, o orina nera o poca verde e spessa
sì come mèle, o ke la sete vada via sança quiete e riposo della
febbre, o ke apostema sia nato nello stomaco, o nel feghato, o
costrignimento d'orina, o fluxo di ventre nero, o verde, o ke gociole
di sangue nere escano del naso, o rivolgimento de lo 'nfermo d'uno
lato all'altro, o se 'l suo sito sia in diverse dispositioni (cioè ke ora stea
supino, ora bocchone ora in uno lato ora in un altro), o
emfiamento
di ventre, o apostema nello stomacho, o sse lo 'mfermo a ongne cosa
k'elli truova s'
apiccha e vi si penda e
aergha, tucte queste cose
significano male.
E quando elli li esce del corpo cosa nera e acetosa, per la quale
la terra ov'ella cade bolle, è mortale, e se questo aviene con debole
virtude, già la morte è pressimana. E quando del naso dello 'mfermo
gocciola collera gialla o verde è reo sengno. E quando lo 'mfermo
suderà um poco e 'l suo corpo sia quasi um pocho humido e
propiamente il capo e 'l collo dipo l'alito freddo, sì
ssignificha ke la
morte è presso. E se lla deboleça del polso è molta, la morte è già
presso. E quando lo 'nfermo lieva i piedi suso infino al pecto e poscia
li
gitta adietro è
segno mortale. E quando la febre è acutissima, la
quale subitamente s'alleggia, e 'l
calore si riposa, e non abbia ancora
terminato e non sieno andate dinançi quelle cose ke spengono il
calore, e lo 'nfermo non sia stato sotto aria fredda, e 'l polso
subitamente si sia riposato, e i movimenti sieno indeboliti, e sia
venuta dispositione somilliante a quiete e a riposo, sengno è ke tosto
morrà. Quando la boccha si travolge ne la frenesia, ne lo 'mfermo no
è percioe più lieve, né 'l suo senno e
sentimento nolli è ritornato, sì è
segno mortale; e se con questo ella si faccia più lieve e ritorni al suo
senno e
sentimento, sì è buono sengno.
Quando a lo 'mfermo sopraviene yteritia, cioè giallore, per la
quale la sua virtude non sia alleviata, ançi magiormente cresce la
malitia, sì è sengno mortale.
E ongne sudore ke non tiene e pillia il corpo è non buono. E
somilliantemente quello ke viene il die ke no è da terminare, né ke no
è tale del quale lo 'nfermo prenda alleviamento, no è buono. E ss'elli
è freddo, no è buono. E ss'elli è freddo e pocho solamente nel capo
sì è mortale. E 'l sudore freddo kon febre aguta è mortale. E quando
triemito viene dipo 'l sudore, sì è reo sengno e le virtudi de' sengni si
debbono intra lloro comparare e fare
comparationi, cioè a ssapere
uno kolli altri, imperciò quando elli fie uno sengno buono fermo si
contrapesa ad molti rei sengni.
E molte volte ai buoni segni molti sengni non buoni si
congiungono, ma i pessimi sengni quasi non giamai si congiungono ai
sengni molto buoni. E quando la virtude ke ffae il polso fie sana e 'l
movimento del corpo sia agevole, e la volontade del mangiare e del
bere forte e buona, e non si distrugono e non si perdono, non è
d'avere paura per cagione delli accidenti molto paurosi. E se con
questo la digestione de la materia sia già andata dinançi, in neuna
maniera v'è da ffare força, ma
confidança dee huomo tenere ch'elle
saranno kagione di termine, e magiormente se quelli accidenti
aparrano in die ke vae dinançi al die del termine.
L. X, cap. 20 rubr.Capitolo .xx. Di conoscere il tempo de la febbre e de la
infertade.
L. X, cap. 20
La brevitade de la 'nfertade si puote
kongnoscere per la forteza
del suo nocimento e de l'ambascia ke ffa, imperciò ke impossibile
cosa è alcune infertadi ke molto nocciono e fanno molto
trambasciare, dimorare lungamente, ma o tosto uccidono o ttosto si
mandano via con termine. E questa è la 'ntentione a la quale l'uomo
si dee acostare, cioè ke la 'nfertade di grande nocimento non puote
molto
durare.
E ancora è infertade la quale, avengna che ssia di piccolo
nocimento e piccola angoscia faccia, no è perciò di grande
durata sì
come l'
effimera. E acciò ke lla 'nfertade sia brieve, sì giova il tempo e
lla
regione
kalda, e 'l poco nodrimento, e che 'l corpo abbia pocha
carne e molle, e la cotenna e la buccia sia
lenta e non piena, e a la
perfine tucte quelle cose ke riscaldano. E a prolungare il tempo
giovano le contradie cose a queste.
Grande incendio di febbre e forteza delli acidenti e loro
continuitade significano brieve tempo; ma picolo ardore e deboleça
d'accidenti significano suo
prolunghamento, quando verrà sança
manofesta digestione e non fie effimera. E quando elli aviene ke co la
digestione l'acessione, correndo, crescono molto, significa che la
febbre e la
'mfertade fia brieve. E se l'
acessioni soprabondano molto,
la primaia in forteza e grandeza di chalore e in fortitudine
d'accidenti sì ssi singnificha brevitade. E se 'l sormontamento fie
piccolo, o ssia l'acessione eguale, la
'nfertà si dimostra d'essere
lungha.
E le spetie de la febre significano la quantitade de la sua
dimorança, emperciò ke ll'effimera dura da uno die infino a
.iiij.; e la
vera terzana non passa i
.xiiij. dì, e ssecondo più si diparte in
.vij. dì, o
poco più o poco meno, et è sicura. E la febbre
nota, cioè terçana
bastarda, ai cui accidenti si mescola li accidenti del
flemgma, è sì
mansiva e di sì grande
durata ke più di volte duri per
.iiij. tempi
dell'anno, cioè per lo verno e primavera,
estate e autupno, e più
perduri, et è rea e non si cura, imperciò ke co llei è l'acuitade e la
tarditade de la digestione e lesione e male del corpo dentro. E tucte le
febbri ke ssono
continue sono più brievi ke le
'nterpulate, cioè ke
quelle che pilliano e lasciano, salvo ke la febbre ethica, ke quanto ella
è di magiore
kalore tanto è più lungha et èe converso, cioè il
contradio. E le febbri
continue sono di più forte
calore e di più forte
incendio, sì come la terzana continua e la sanguinea, le quali i medici
kiamano infertadi e febbri
continue. E
ffebri agute non passano
.xiiij.
dì, la quale cosa aviene quando elle non sono nel più forte incendio e,
chaldeza ch'essere possa, si dipartono, imperciò che quando elle
divengono all'ultimo a più forte incendio che essere possa, si
dipartano nel terzo die o nel quarto, ma ss'elli è nel mezo di loro nel
septimo. E in queste febbri il minore è magiore, cioè il minore
termine è magiore incendio. E la febbre flematicha e la quartana sono
lunghe, ma la quartana è molto secura, ma la
flegmaticha no è sicura.
E le febbri ke avengono nelli anni di mortalitade sono brievi, e le
febbri composte sono lunghe.
L. X, cap. 21 rubr.
Capitolo
.xxj. De' segni de la digestione de la febbre.
L. X, cap. 21Il
cominciamento de la
'mfertade sì è dell'ora ne la quale lo
'mfermo sente ne la sua persona convertimento e mutamento, e
kaldo e ambascia, e quando elli si conosce manifestamente mutato e
diverso da sanitade. E da questo tempo infino a tanto che alcuno
segno di digestione appaia, avengha k'elli sia molto oculto e piatto,
sì è il tempo del
cominciamento. E da che il sengno de la digestione
comincia a aparere infino ke la digestione si compia, sì è il tempo de
l'augmento e de l'acrescimento; e la fine del tempo dell'augmento e
de l'acrescimento è llo stato della 'nfertade. E poi che tutti questi
fieno apariti se
sseguita il tempo de la
diclinatione (o
dikinamento). E
quello k'è magiore mestiere di congnoscere a ssapere medicare le
'nfertadi agute, e a ssapere ke
debbia divenire la dispositione de lo
'mfermo, sì è di conoscere lo stato della 'nfertade, imperciò ke lla
paura no è se non infino a questo tempo, né 'l
nudricamento non si
misura se non secondo questo tempo. E lo 'mfermo in neuna
maniera non muore dipo llo stato se nolli sopraviene alcuno male
depo llo stato che 'l faccia
morire. Per la quale cosa la scientia de'
sapere a che la dispositione de lo 'nfermo
debbia divenire, sança dotta
sae
certamente ki ssa lo stato de la 'nfertade.
E lo stato de la
'mfertade si vede e conosce quando apaiono i
segni de la digestione compiutamente. E i sengni de' tempi delle
'nfertadi
interpolate, ke
vanno e che vengono, il più
sanno e
congnoscono per le sue
açioni e
accessioni, imperciò ke quando la
seconda acessione viene innançi o più dura che non fae la prima, e '
suoi accidenti sono più forti, sì mostra ke la febbre è in acrescimento,
e 'l suo contrario significha allentamento e dichinamento e
abbassamento. Ma a questo non
basta l'acrescimento de le loro
acessioni o la loro
pospositione e
ritardamento solamente, imperciò
ke ssono alcune febri l'
accesioni de le quali la loro natura sempre
anticipano, e pillia più tosto la seconda ke la primaia, o ke quella ke va
dinançi. E sono altre le quali di loro natura le loro
acessioni si
pospongono, cioè ke lla seconda pillia più tardi ke quelle ke va
dinançi, ne le quali quando homo farà comparatione intra lloro e
troverae ke lla terça pillierà più tosto ke non fece la seconda, e più
l'andrà innanti che non fece la seconda la prima, questo è sengno ke
la 'nfertade è in augmento e in acrescimento, e 'l contrario significa il
contrario. E ne la febbre che à l'actioni e
acessioni e 'l prendimento
kon tarditade è somilliante dispositione; e la prolixitade e 'l
prolungamento de l'acessione e de' suoi accidenti, dispositione sono
due
sengnificationi ke molto valliono a conoscere i tempi de la
febre, e magiormente la dispositione delli accidenti, imperciò ke poi
che ll'ora dell'acessione ritardata sarà brieve e lli acidenti sono più
forti,
ferma significatione sarà e vera ke la 'nfertade tende ancora a
augmento e a acrescimento. Ma poi ke tucte queste cose fieno
congiunte, la dotta è già levata via. E quando l'
acessioni della
'nfertade fieno iguali, la 'nfertade fie in istato. E de la lungha infertade
i tempi sono lunghi, e i tempi sono brievi de la brieve infertade. E ne
la quartana febbre e ne la flematicha si truovano più de le volte più
acessioni eguali e molte. E ne la vera terzana più de le volte apaiono i
segni dell'acrescimento e dell'augmento in una accessione. E segni del
menomamento apaiono manifestamente nell'acessione ke lla seguita e
vae apresso. E de le febri, la cui materia è dentro a le vene e sono
continue, si cognoscono i loro tempi per l'acrescimento delli acidenti,
e per lo loro menomamento. Ma più si dee credere a' segni della
digestione. Ma nel cognoscimento de' tempi delle febri più si dee
huomo affatichare quando elle sono più
'gute e più brievi, e i tempi
de la febbre sono più brievi e minori secondo la sua acuitade. E le
febbri secure in ongne tempo sono iguali, ma le mortali alcuna volta
uccidono nell'acrescimento o nell'augmento, alcuna volta nello stato.
L. X, cap. 22 rubr.Ancora de' sengni de la cognitione de la digestione de
la febbre.
L. X, cap. 22Quando la febbre fie sança apostema, la digestione non si dee
atendere se non in sola l'orina. E noi diremo prima questo nel primo
kapitolo. Ma quando la febbre fie per kagione d'apostema sì è
mestiere di riguardare l'orina, e ancora di riguardare le superfluitadi ke
escono del membro ov'è il male. E
consideriamo ne la 'nfertade del
petto e del pulmone la matera ke lo 'mfermo sputa, e tanto quanto lo
'nfermo no sputa neente e lla febre no è fiore alleviata, non v'è
ancora niuna digestione. E quando lo 'mfermo àe cominciato a
sputare alcuna poca cosa e sottile, la quale con faticha esce, advenga
ke poco la digestione comincia già; e quando alcuna cosa grossa e
molto e
legieramente
komincia a sputare, la digestione à giae
compiuta. E delle ree spetie dello sputo e che non
vanno secondo la
via de la
digetione è di sputare sputo puramente rosso; e pigiore di
lui sì è puro citrino e 'l nero è più malingno di tucti li altri, imperciò
ke, avengha ke questi tosto apaiano, neuna cosa significano se non
male, imperciò ke ssignificano superfluitadi le quali nom pervengono
a
matureza, ma di quelle cose ke
fracidando e
putrescendo fanno
male e nocimento, le quali cose sono somillianti all'urina nera e a
l'urina ke somillia al fiele.
E lo sputo del quale huomo à sperança ke vengha a maturitade
sì è il bianco sputo, o quello nel quale è tanto di rosseza o di gialleza
del quale elli non si possa coprire intorno intorno. E quello sputo k'è
perfettamente
maturo sì è il bianco e quello nel quale si vede parte
biancha quando elli si muta di
sottillieza in
ispesseza, e quando si
muta et è fatichevole e angoscioso uscimento in leggière.
L. X, cap. 23 rubr.Capitolo
.xxiij. Del termine e in quante maniere si può
terminare
.
L. X, cap. 23In molte maniere puote huomo guerire o melliorare, imperciò
k'elli è alcuna volta ke lla dispositione a poco a poco va a meglio
infino che guarisca; e ancora quando alla disposizione dello 'nfermo
subitamente aviene alcuna cosa ke 'l mena a la morte, è quando
subitamente li aviene
evacuatione ke in lui compie santade e
perfectione di bontade, e ancora quando kol votamento et
evacuatione subitamente li aviene l'altra
disspositione, la quale
subitamente il mena a la morte.
E le dispositioni, per le quali subitamente e grande aviene
conversione e mutamento, noi kiamamo buono termine; e perfetta è
quella ke
mena a mellioramento (kiamamo buon termine e
giovativo).
E questa conversione ke aviene subitamente suole avenire nell'agute
infertadi. E quando la
'mfertade è più aguta, tanto si faranno i· llei
queste cotali
conversioni magiori e più forti. E le dispositioni che ssi
atendino ne le prolixe e lunghe infertadi a pocho a pocho tendono e
vanno a
sentade, overo a la morte.
L. X, cap. 24 rubr.Capitolo .xxiiij. De' segni che dimostrano il termine.
L. X, cap. 24Ançi ke 'l termine venga, sì vae dinançi grande
estuamento, e
angoscia, e ambascia, e spesso rivolgimento, e l'altre dispositioni ke
ffanno
paura, e 'l vulgo e ' medici nom perfetti ànno allotta paura e
diffidano dello 'mfermo. E l'acessione de la febbre sì viene più tosto
ke nell'ora k'ella solea venire e infestare, e quando solea più gravare,
sì crescono le forteze e le pene delli accidenti. E se lla febbre è
continua, li accidenti dinançi al termine fieno più forti e pigiori.
E de' sengni ke
vanno dinançi al termine e 'l significano sì è
distrutione d'intellecto, e scotomia, e vertigine (cioè ke pare ke 'l
mondo si giri intorno intorno), e ambascia e caldo a lo 'nfermo, e
ll'alito si costrigne, e dolore di kapo e del collo, e forte
nausca e vollia
di reddere e abominatione, e rossore del volto, e
ymaginatoni apaiono
dinançi alli occhi, e
lagrime
kolano sança
volontade, e triemito delle
labbra, e dollia ne lo stomaco o in abasso nel ventre o sotto le costi, e
triemito, e malagevoleza d'urina e d'uscita, e sete fortissima, e salto,
cioè quando si muovono i
lacerti e la carne discendendo, e ritraendo
secondo ke vedi alcuna volta fare nel costado del
cavallo, cioè
piçicore e triemito e
contratione e
contraimento de la
pelle k'è sopra
le costi in suso. Tutte queste cose
vanno dinançi al termine. E se con
questi accidenti
strani e paurosi la
'mfertade fie aguta e alcuno de'
predetti segni appaia, e con questo il polso in forteza sia cresciuto, e
la digestione sia già andata dinançi sança neuna dottança, puote
huomo già dire che ll'
evacuatione con termine verrà o con fluxo di
sangue kon vomito o kon somillianti termini, e ke la dispositione de
lo 'mfermo si muterà a bene o a mellioramento, e magiormente se
questo bollimento si fa nel die o nella notte ke ssi continua al die da
termine e nel quale si suole terminare. E se questi sengni appaiono
dinançi a la digestione, e 'l polso sia con essi debilitato, sì ssi puote
bene sapere ke lla dispositione si muterà im pigiore.
L. X, cap. 25 rubr.Capitolo .xxv. Del mutamento de la materia inançi il
termine.
L. X, cap. 25Crisis, cioè termine, sì è mutamento per lo quale la materia si
muta d'uno membro a un altro, sì come l'apostema ke ssi genera al
lato all'orecchie di sotto, quando il cerebro manda e sospigne alcuna
superfluità o materia k'è in lui a quella parte. E l'apostema ke ssi fa
nel collo, ke ssi solve e disfa ko
squinantia, è ssì come l'apostema ke
ssi genera ne la mano o nel piede, o nereza che ssia ivi nata in
alcuna de l'acute infertadi quando la materia si manda ' quelli cotali
luoghi e sospigne, e ssì come con
evacuatione manifesta, sì come
fluxo di sangue per lo naso o con fluxo e menagione di ventre, o
sudore, o con orina.
E per apostemi si fanno termini de le febbri che non sono
agute. E molte volte aviene termine delle
'mfertadi del cerebro e
k'entro vi si generano per apostemi di sotto la radice dell'orecchie,
quando quella cotale infertade no è di molto
kalore, né di molta
acuitade. E de le febri ke acompagnano li apostemi rei ke ssono
dentro al corpo, sì ssi fa termine per apostemi rei e paurosi e dottosi,
koi quali la lingua anerisce e 'l membro quando la virtude de la natura
non fie in quelli membri e
korpi perfetta, ançi debole, e quando il
dolore dell'orecchie solea andare dinançi.
E kon voitamento et
evacuatione manofesta e aperta viene e ssi
fae il termine delle febbri molto agute e
traagute e che ssono di molta
caldeza, e magiormente quando la natura in quelli cotali infermi è
forte e vigorosa. E lle spetie dell'
evacuationi si fanno più de le volte
secondo la materia della febbre ke è fine de le febri
incensive e
ardenti.
Dumque sarà consumamento de le febbri molto accese per
sudore il loro termine e molte volte si fa per fluxo di sangue per lo
naso.
L'
evacuatione e 'l termine de la frenesia sì fa fluxo di sangue per
lo naso e alcuna volta si fa con sudore nel capo molto.
E de le febbri ke ssono per kagione di sangue sì ssi fa il termine
per fluxo di sangue. E 'l termine della febbre ke acompagna
l'apostema del fegato si fae alcuna volta per fluxo di sangue
da la
narillia del naso dritta, alcuna volta per fluxo d'urina, alcuna
volta per fluxo di ventre, o kon molto sudore. E 'l termine delle febri
terzane si fae più de le volte con sudore, alcuna volta viene con
vomito
kollerico e alcuna volta con fluxo di ventre. E le quartane più
de le volte sì fanno loro termine con fluxo di ventre nero o per fluxo
d'orina nera. E delle febri note, cioè ke non sono pure di neuna
materia ma di più materie diverse sì come di collera e di flemma, il
termine si fae o con fluxo di ventre collerico e flematicho o con
sudore.
E di quelle cose che con grande fidanza ke fanno credere ke 'l
termine
debbia venire per appostema in alcuno de' membri sì è che
lla febbre non sia molto aguta, e che llo 'nfermo abbia doglia in
alcuno de' membri primieramente, e l'urina sia subtile, e fermeza ke 'l
termine sia per fluxo di sangue di naso, e rosseza del volto e delli
occhi, e grosseza de le vene ke ssono nel collo e sono
kiamate
guidegi,
e razi e splendore ke apaiono dinançi alli occhi e ke le
lagrime
gociolano, e
tenebrositade delli occhi, e piççicore del naso e lloro
rosseza, et elevamento e
contraimento in su de la buccia k'è sotto il
costado, e
constrinctione dell'alito
.
Certitudine ke 'l termine è kon reddere e vomito sì è
abominatione, e subversione di stomacho, e
movimento del labro di
sotto, e fluxo di saliva della boccha. E confermamento ke 'l termine
debbia essere kon sudore è ke ll'orina si ritengha poi ke i sengni del
termine fieno apariti e 'l ventre si
costringha, e 'l polso sia morbido e
pieno, e 'l corpo al toccho si senta caldo e
humoroso, essendo i· llui
puntione e acuitade. E fermeza ke il termine è con
fluxo di ventre sì è
ke, dipo queste cose, significatione sì ssia ne le parti di sotto del
ventre gravitade sotto il
bellicho.
L. X, cap. 26 rubr.Capitolo .xxvj. Del buon termine.
L. X, cap. 26Lo buono termine sì è quello ke ssi fae dipo 'l compimento de la
digestione. E quello termine ke ssi fa ançi che i sengni de la
digestione sieno compiuti à meno di bontade secondo questo; ma
quello termine ke viene ançi ke alcuno sengno di digestione apaia è
reo termine. E quello termine è milliore ke ssi fae dopo la manifesta e
perfetta aparitione de' segni di digestione e in alcuno de' die ne' quali
si fanno ' buoni termini; nel quale termine si vòta lo homore ke ffece
la 'nfertade; e ancora il cui votamento si fae per la parte ke à male e
ke quello kotale termine no è diminuto in sua quantitade ma perfetto;
e dipo 'l quale termine lo 'mfermo sente molta levitade e molta quiete
e riposo, e tucte quelle cose ke dinançi sentia sono in quiete e in
riposo in tale maniera ke quasi neuna cosa rimangha, se non sola
deboleza.
E 'l pegiore termine di tucti sì è quello ke ssi truova contradio a
questo, imperciò o buono termine o reo ke ssia e non fie compiuto,
ma ffie diminuto.
L. X, cap. 27 rubr.Capitolo .xxvij. De' die e de' votamenti ne' quali si
fanno i termini. Rubrica.
L. X, cap. 27Questi
votamenti ke noi dicemmo, ke ssi fanno ne le
'mfertadi
agute per le quali grande mutamento aviene nelle 'nfermitadi, aviene
più spesse volte in certi die, per la quale cosa quelli cotali die sono
kiamati die cretici, cioè die
terminabili, ne' quali si fanno termini. E
quello die k'è primaio entra i dì de la
'mfertade no è
creticho, cioè no
è dì da terminare, né ancora il secondo, ma il terço die è
creticho,
imperciò ke in lui molte volte si solvono e si dipartono le febbri ke
ssono
peracute, cioè
traacute.
E 'l quarto die è
creticho, imperciò k'elli
pronosticha (cioè
dimostra) ke
debbia avenire nel die septimo, o nel
.vj., imperciò ke
sse in lui
aparae buono
segno, sì come è digestione e
decotione
d'orina, o votamento, avengha ke diminuto e nom perfetto si verrae
co llui levitade, e si compierà nel die
.vij. E se l'huomo vedrà in lui
mal segno, la dispositione dello 'mfermo in alcuna maniera pegiora, il
quale pegioramento si compierà nel septimo die.
E 'l quinto die è die
creticho, cioè di termine, imperciò ke i· llui
spesse volte si fae buono termine.
E 'l sexto die no è minore del quarto né del quinto, ma spesse
volte i· llui si fa termine, ma in lui non si fa quasi giamai buono
termine, imperciò ke impossibile cosa è ke a lo 'nfermo giovi,
imperciò ke poscia seguita forte labore e
ffatica e grande
paura, né lo
'mfermo no è sicuro ke alcuna cosa de la materia de la infertade non
sia rimaso, per la quale cosa lo 'mfermo ricadrà.
E 'l septimo die è milliore di tucti li altri dì cretici, cioè dì ne'
quali si fa termine, e dipo questo la crisi e 'l termine k'è optimo si fa
ispesse volte in lui, cioè nel
.vij.; il quale è quasi contradio al die
.vij.,
imperciò che lla crisi in lui si fa, cioè nel septimo die, e legiere e lieve
e di picola paura, colla quale crisi tutta la materia in tale maniera si
vòta ké di lei neuna cosa rimangha perké e' possa essere ricadimento
ne la 'nfertade.
E nel die ottavo quasi non si fae giamai, nel quale se cosa è ke
avengha questo, e molto rade volte e quando aviene sì è mal crisi e
mal termine.
E 'l nono die è
creticho, nel quale spesse volte si fae crisi e
termine sì come nel terzo; onde nel quinto la crisi è termine ke i· llui si
fae è buono et elli, cioè il quinto die, mostra e
dinuncia quello che dee
avenire nel
.xj.
Nel decimo dì nom puote venire crisi, la quale ancora se
aviene è
rea.
Ma il die
.xj. è cretico et è die di termine et è sì come il terzo, e 'l
.v., e 'l nono, significha ke
debbia avenire nel die
.xiiij.
Nel
.xij. non aviene crisi, il quale è altretale kent'è
.viij.
E 'l
.xiij. sì è mezano intra ' dì ke ssono cretici e quelli che non
sono cretici, imperciò ke in lui si fa crisi, ma non spesso.
E 'l
.xiiij. die sì è
creticho et è secondo al septimo, secondo ke in
lui si fae crisi spesse volte, la qual è buona crisi, cioè termine.
E 'l
.xv. sì è sì come il
.xiij., ma nel
.xvj. non aviene crisi, il quale
è di quella medesima generatione kente il
.xij.
E 'l
.xvij. die, il qual è intra i cretici dì, il quale è d'una medesima
generatione kol
.viiij. e mostra quello ke
debbia
avenire nel
.xx.
Nel
.xviij. die si fa meno ke nel
.xvij., la quale, se ssi fa, è pigiore.
E nel
.xviiij. quasi non si fa giamai crisi, la quale, se verrà, non
fie
rea.
E ancora il
.xx. die è cretico, il quale si truova secondo dal
.xiiij.,
per la buona crisi ke in lui aviene e participa in bontà kol
.xiiij.
E nel
.xxj. alcuna volta si fa crisi, avengna ke molto meno ke nel
.xx.
E 'l
.xxiiij. die è cretico e fassi i· llui spesse volte crisi, il quale è
secondo in bontade del vigesimo.
E dipo questi dì,
.xxvij., e
.xxxj., e
.xxxiiij., e
.xxxvij., e 'l
.xL.
sono cretici. E nelli altri die ke noi nominiamo quasi non giamai
aviene crisi e kon
vehemente e forte expulsione e manofesta ne la
'mfertade non si disolve e non si disfa e manda via, se non con oculta
e
piatta dissolutione.
E la crisi più spesse volte e più frequente aviene nel
.xL. die e in
quelli che ssono dinançi da llui o molto e più spesso in quelli dì ke
ssono infino ai
.xx. dì, imperciò ke i die
septimi sì come il
.vij., e 'l
.xiiij., e 'l
.xx., e quelli che ssi truovano contando intra questi, sì come
il terço, e 'l quinto, e 'l nono, e l'undecimo, e 'l
.xvij. sono fortissimi
dì; e ' dì
septimi propiamente sono più forti ke i quarti.
E se lla
'mfertade passa il
.xx. die, ' segni e i significati de' dì ke
kagiono in mezo
indeboliranno, onde quasi in loro non fia giamai
crisi. E le virtudi de' quarti dì menomano e non dimora forteza se
non ne'
septimi, i quali sono
.xxvij., e
.xxiiij., e 'l
.xL.; ma i quarti, sì
come
.xxiiij., e
.xxviiij., e
.xxxj., e
.xxxv. sono deboli. E poi che la
'mfertade avrae passati i
.xL. die, la virtude expulsiva ke manda fuori
del tutto indebolisce e non si fa crisi se non per apostema o con
disolutione, cioè ke va via a poco a poco.
E quando i segni de la crisi, cioè del termine, apaiono la notte o
'l die ke ssi continuano al die cretico, confidentemente puote huomo
credere e
fermamente tenere ke quelli cotali sengni non avengono per
la malitia de la
'mfertade, ma per la crisi (cioè per lo termine), e puote
homo avere fidança ke quel die fia la crisi (cioè il termine), e
magiormente se 'l die indicativo e
giudicativo già abbia questo
significato, sì come il quarto è indicativo del
.vij. e l'undecimo del
.xiiij. E se i
predetti sengni
apparanno in die o notte ke non si
continuano al die
creticho, meno puote huomo avere fidanza ke la
crisi vengha, e più è da tenere e credere ke quelli sengni sieno pur
apariti per la malitia della 'nfertade, e magiormente se i sengni de la
digestione non sieno apariti.
E quando e' pare ke lla febbre sì è pervenuta a
ultimitade di
malignitade e di forteza, cioè a pegio ke puote, e i sengni de la morte
kon questo apaiono, lo 'nfermo morrà dinançi il quarto die o nel
quarto medesimo; e se l'acuitade appaia minore ke quella ch'è detta,
sarà kagione ke
ssignificherà salute e verrae il termine dinançi al
quarto die o nel quarto; e se ancora fie minore sarà nel septimo il
termine, e magiormente se nel quarto die
segno di buona digestione o
d'alcuna
alleviatione fie veduto. Ma ne' dì
.vj. o ne la notte del
septimo se verrà questa cotale acuitade, e ' sengni del termine già
manofestamente sieno appariti, sì ssi puote avere fidança ke in lei fia
crisi.
Et è da ssapere ke la 'nfertade del buono termine è di salute piue
ferma e piue certa ke de la mala crisi. E similliantemente quando la
'mfertade è di minore acuitade, sì è da avere sperança d'avere crisi, e
ancora dee huomo attendere che avenga ne' dì
indicativi, e deesi
avere isperança ke ssi compia nel die
creticho, il quale si truova più
presso se lla febbre fie aguta; e se è meno aguta, sì ss'abbia sperança
ke ssi compia ne' die
septimi.
L. X, cap. 28 rubr.Capitolo .xxviij. Come si puote conoscere l'orina de
l'huomo e de' colori de l'orina.
L. X, cap. 28Ne l'urina s'attendono e si considerano la substantia e 'l colore e
l'olore, e apellasi qui substantia grossa, o spessa, o torbida, o kiara,
o subtile, o
ssomillianti cose, e ssi considera ancora quello ke
riposa e risiede nel fondo, o ke
pende nel mezo, o quello ke apare
di sopra. Imperciò ke 'l colore bianco kolla substantia subtile, il quale
assomillia al colore dell'acqua, spesse volte appare in una infertade ke
ssi kiama
diabete, ke aviene quando le reni sono riscaldate, e sì tosto
kome huomo àe bevuto le reni atragono quella
humiditade e huomo
sì piscia; e questa è una infertade per la quale lo 'mfermo bee molta
acqua, né perciò la sete non va via. E
ssimilliantemente questa orina
così kiara appare dipo molto mangiare e dipo molto bere ançi ke ssi
smaltiscano, onde quando questo cotale kolore apare nelle
'mfemitadi, e non vi sia quella infertade ke è kiamata
diabete, né
molto bere né molto mangiare sieno andati dinançi, sì mostra questa
cotale orina tragrande crudeza d'omori e niuno
segno di digestione e
freddeza di fegato. E quello colore nel quale si contiene um poko di
gialleza, sì come appare nell'acqua ne la quale è
kotta la
palglia,
significha pocha digestione e debolezza. E 'l terzo colore sì è il colore
del cederno, il quale dimostra
temperamento di
calore nel feghato, il
quale non è né magiore né minore ke
debbia essere. E 'l quarto
colore sì è igneo, cioè di colore di fuocho, e significha superfluo
kalore ' infiammato.
E 'l quinto colore sì è colore di gruogho, il quale
non mostra più di colore ke l'ingneo, ma
ssignifica molto sangue
habondare nel corpo e di lui essere alcuna cosa mescolato koll'orina
.
E 'l sexto colore sì è rubicondo, non
tratroppo kiaro, il quale
singnifica
kollera rossa e sangue. E ss'elli aviene cosa ke ne la parte di
sopra de l'urinale di colui ke à questa cotale orina kon kotale colore e'
sia
spiuma gialla, sì
ssignifica
yteriçia, cioè quella infertade ne la quale
homo diventa giallo. E 'l septimo kolore sì è il nero, e se questo
cotale kolore
apparae nell'orina dipo 'l
citrino o dipo 'l rosso, sì
ssignificha tragrande infiammamento e arsura, la quale è ancora
pigiore di tucte l'altre urine nelle febbri agute, e magiormente s'ella
fie molto spessa, e poki se ne truovano di quelli ke ffaciano kotale
orina k'elli scampino. E ancora l'orina nera appare dipo 'l
purghamento de le femine, o dipo 'l ritenimento de lor tempo, cioè
quando non ànno loro
purgatione, o ne la fine delle
'mfertadi ke ssi
generano di
kollera nera, sì com'è la febbre quartana, o grosseza di
milza, o meninconia, o
ssomillianti di queste; né allora non mostra
male neuno, ançi significa bene, imperciò k'ella aviene ne la fine delle
'mfertadi ke ssi generano de la collera nera. E ancora l'urina nera
apare dipo l'orina biancha o verde, e allotta significa tragrande
freddeza di fegato e ke 'l suo caldo è molto spento; né la
'mfertade ke
questa kotale orina mostra è minore ke quella ke mostra la primaia
che va dinançi a questa, ma maggiore.
E ll'urina si
tingne per l'
alcanna e diviene molto rossa, e alcuna
volta per bere la cassia fistola, o alloe, o gruogho, o per alcuna cosa
che abbia a tignere. E la verdeza alcuna volta v'apare per manicare
kamangiari. E la nereza alcuna volta v'appare per cagione di manicare
almuri, o per kagione di bere vino nero, sì come noi dicemmo. E
ancora l'urina è poco tinta, alcuna volta quando homo bevesse molta
acqua, e k'elli abia molto mangiato o bevuto um poco dinançi k'elli
orinasse. E tucte queste cose dee huomo atendere e
konsiderare nello
'mfermo e poscia giudicare e sententiare. E alcuna volta si
tingne
l'orina per forteza di dollie e, avengna che lla materia e la cagione sia
homore freddo, secondo ke noi dicemmo nel capitolo del male del
fianco o nel dolore de' denti o delli orecchi, per la qual cosa tucti
questi sengni si convengono atendere e
konsiderare.
E alcuna volta l'orina appare puçolente e permutata per kagione
delli apostemi che n'escono ne le vie dell'urina, la quale esce
perturbata, imperciò ke quella cotale
putredine si mescola co l'orina,
né allotta lo 'mfermo no à com questo febbre aguta e incensiva e
nell'uscire dell'orina si sente ardore e arsura; per la quale cosa il suo
puçço non s'asomillia al
puço de l'orina, quando la putrefatione è ne
le vene.
E la substantia dell'orina subtile, ke
assomillia alla
sobtillieza de
l'acqua, sì
ssignificha deboleza de la digestiva e de lo smaltire. E
ll'urina spessa, la cui spesseza somillia alla spesseza del rob o a la
grosseza o spesseza del liquore ke ssi contiene nel fiele, significa
superfluitade de la digestiva e non humore habundare nel corpo, ançi
significa sua
diminutione, e maggiormente se con questo ella è pocha.
E quella k'è
meççana intra queste significha buona digestione e ke
lla dispositione del feghato o delli omori ke ssi contengono ne le vene
è temperata. E quella ke è turbata sì
ssignifica
cruditade delli omori ke
ssono ne le vene e indigestione kon
perturbatione, la quale fae il
caldo k'è ne le vene. E ll'urina torbida ke tosto si divide, e la grosseza
ke v'è dentro tosto discende al fondo, significa k'ella è presso a
matureza, e quello è secondo k'ella si divide più tosto o più tardi.
E l'olore ke esce da l'orina k'è
ssomilliante a l'odore ke viene de
la cosa secchissima e aguta singnifica superfluitade di
matureza, la
quale si sente alcuna volta ne le febri agute e ne l'apostema del fegato.
E alcuna volta
adiviene kolli apostemi nelle
vie dell'urina, sì come noi
abbiamo detto dinançi, ma noi abiamo già fatta divisione intra quella
e questa. E l'orina ke no à neuno odore è molto cruda et è di tarda
digestione, e quella ke ssi truova in mezo di queste significha
equalitade di digestione.
E ancora si prendono significacioni da quello ke discende giù di
sotto nel fondo de l'orinale, o da quelli ke ssi lieva in suso e che
appare ne la parte di sopra dell'urinale, e da quello ke
pende nel
miluogho, imperciò ke da questi sì
ssignifica la digestione che ssi fae
ne le vene, la qual cosa noi
insegnammo trattando ne la congnitione
de la
matureza delle febbri. E questo è quello a ke noi ci acostiamo,
ke noi seguitiamo. E la substantia di questa cotale cosa ke apare
nell'urinale somillia alla
distillatione ke ssi fa nell'aqua rosa. E di
quello ke discende nel fondo quello è milliore ke è bianco, e morbido,
e polito, e ke risiede nel fondo del vasello, la cui disposicione rimane
e dura per più die de la
'mfertade
continuamente. E quella cotale
buona residenza, ke noi abbiamo aguale detta, sì è kol milliore kolore
ke ssia (cioè citrino), e cco la milliore substantia (cioè mezana entra
subtile e grossa), e kol milliore odore ke ssia, il quale né molto non
pute né del tucto è sanza odore. Dunque quella urina ke apare con
questa cosa è milliore di tucte l'altre, la cui significatione è perfecta,
imperciò k'ella
signifika perfettione della digestiva e redde securi da la
malitia della
'mfertade e dalla sua niquitade. E questo cotale sedime e
residentia seguita in bontade quello sedime e residentia ke pende nel
mezo de l'orinale, quando elli si truova secondo questo modo e
deposta; e quello ke
nuota ne la parte di sopra de l'orinale e questi
due non sono accidenti, ançi in loro, quando apaiono ne le 'nfertadi
agute, si mostra significatione di perfetta maturitade e
ssicurtade dalla
malitia della
imfertade, la qual è proximana a la perfetta significatione.
E quando quello cotale sedime (o
residença) si troverà ke ssia nel
miluogho e ke penda, e a lo 'mfermo non
sopraverae neuno reo
accidente, dipo piccolo tempo si muterà a le parti di sotto al fondo. E
quello ke
nuota quand'elli s'avrà in questa maniera,
consequentemente
discenderà al luogo di quello ke pende.
E 'l colore ke ne la residencia, overo sedime, è
millliore sì è il
bianco kon longitudine di forma, cioè ke sia lungho molto kome una
fiama e che duri lunghamente.
Dipo 'l quale è il rosso, impercioe che
il rosso significa salute ko lungha infermitade. E 'l glauco, cioè ke
um pocho è tinto di gialleza, quanto à meno di gialleza tanto è
pigiore; e quello k'è puramente glauco è pigiore. E 'l verde è pigiore
di questo. E 'l nero è pigiore di questo, imperciò ke questo cotale
sedime significha che elli passi il termine della
matureza, né collui non
si puote pervenire se non al termine di coruptione e di putrefactione.
E la dispositione del sedime e
residença nera secondo il luogho del
sedime bianco è
contraria; e quello ke
nuota di sopra nel vasello è
minore in malitia ke quello ke è nel mezo e pigiore di questo, e
quando
stae nel fondo sì è nero. E 'l biancho è il milliore. E cosie il
livido è mezano entra bontade e malitia, la cui disposicione si muta
secondo k'elli aproccia all'uno di loro. E la residentia ke è kome
grano infranto è reo, il quale s'è con febbre aguta significa morte.
La significacione per la quale sì
ssignifica
matureza alcuna volta
s'à per l'urina sottile e bianca, e alcuna volta per quella che à colore di
fuoco, alcuna volta per la gialla, e alcuna volta per la rubiconda, e
alcuna volta per la torbida è mutata. E alcuna volta s'àe la
significatione della
matureza per la biancha o per la
sobtile, e la
seguita primieramente gialleza, e poscia grosseza, e poscia a poco a
pocho
komincia così a ccrescere tanto ke 'l colore sia citrino e la
substantia sia eguale. E in questa cotale urina appare buono sedime (o
buona residentia), se nelle vene è molta superfluitade, o la
'mfertade
sia di repletione, o 'l corpo e lla persona dello 'mfermo sia grosso e
grassa. E se questo no è quello medesimo,
basta a la singnificatione
della perfetta
matureza.
E quando l'orina nella febbre, secondo la
matureza, sarae
diminuta o superflua, ma poscia cotidianamente ritorna a
ragione, la
febbre è
ssalutifera e sança
pericolo e l'
humore no è di mala
digestione né inganatrice putrefactione. E se lla sua dispositione non
dura, quella medesima significherà il contradio di quello che noi
abbiamo detto e sarà infermitade da paura. E se con questo la virtude
cede sì
ssignificherà morte. Ma se lla virtude fie forte, sì mosterrà che
lle
'nfermitade fie lunga. E 'l primaio di questi appare ne le febri
flegmatice e in quelle febbri ke ssi fanno di collera nera, e 'l secondo
si truova ne le febri agute che ssono di molta malitia e iniquitade. E
sse la significatione di pervenire a maturitade si prende dall'urina
turbata e permutata, e ogne die cresce la sua caldeza e la sua
ypostassi
e residenza, e
ssimilliantemente cresce in bontade tanto k'ella sia
buona, sì come noi dicemmo, se Dio vorrà, allotta si dee considerare
la quantitade de la virtude, imperciò ke quando e' v'è ancora la
virtude non conviene avere paura de la morte de lo 'mfermo. E sse
con questo l'orina si fa tosto chiara, la sanitade verrà tosto; e sse la
virtude fie debole è da avere paura ke llo 'mfermo non muoia. E sse
con questo l'orina
perviene tardi a
kiareza e
dimora lunghamente, sì
che i· llei non si vede fiore di chiareza o appare i·
llei di chiareza ma
poco, sì
ssignificha morte. E sse in questa cotale orina una volta apaia
matureza e poscia mostri ancora segni di crudeza, e questo aviene
molte volte, e pare ke lla febbre si mescoli, sì è da ssapere ke lla
materia della febre è de' molti
humori, e allotta dee huomo
considerare ke llo 'mfermo
debbia guerire tuttavia secondo la forteza.
E queste sono le somme e l'agregationi di quello ke di necessità
si conviene sapere e delle cose
pertengnenti all'orina secondo le
febbri. Ancora de le sue significationi scriveremo altre cose, ma non
secondo ordine, né secondo
kontinuamento.
E l'orina orda, ke è poco bella e 'l cui colore è sì come colore di
mosto o d'acqua di ceci quando molto si cuocano, è in coloro ke
ànno li apostemi antichi e non aguti nel corpo dentro. L'urina
somilliante al siero, o a la biaccha, significa k'è in lei
marcia e ke lo
'mfermo àe fedita in alcuno de' forami dell'orina. E l'orina ke ssi
truova similliante all'acqua ke
gociola da la carne ricente quando si
lava significa ke um poco di sangue è mescolato coll'urina e alcuna
mostra deboleça di fegato. E quando lo 'nfermo piscia un poco di
sangue sì
ssignificha che alkuna de le vene delle reni sia
fessa. E
quando nell'orina sarae
arena e com questo paia torbida, e sse a
quello cotale ke ffarae questa cotale orina avrae avuto prima dollia
nelle reni, sì
ssignifica pietra nelle reni. E sse nell'orina prima
aparrae
arena e poscia, rimossa l'
arena, l'orina
parrà molto kiara, sì ssi
comincia a generare pietra nella vescicha.
L'orina torbida ke
assomillia ' l'orina dell'asina significa dolore
di capo e
perturbamento d'intellecto.
E quando poi che lla febbre fie andata via, l'orina rimarrà tincta,
nel feghato sarà riscaldamento o apostema.
L'orina, secondo olore e secondo colore o secondo substantia
rusticha, alcuna volta si
sseguita dopo i chaldi apostemi del corpo e
de le parti dentro, onde lo 'mfermo per lei diviene più legiere, e la sua
disposicione ne melliora, et è kagione de la sua salute.
E l'orina k'è somilliante all'olio, secondo la sua substantia, o ne
la cui superficie è sumitade e grasso, sì come olio, aviene kolla febbre
ethicha.
E l'orina, ne la quale ne la sua superficie molto grasso
somilliante a olio apare, significa che 'l grasso delle reni si comincia a
distrugere e a disfare. E se nella febbre aguta l'urina parrae biancha e
subtile, e in questa dispositione dimorrà per molti die,
signifikerà ke
mateza o paçia
sopraverae a lo 'mfermo. E ancora questa cotale orina
alcuna volta apare ne la febbre aguta, quando in alcuno membro fie
caldo apostema. E quando l'orina di colui ke ssi lieva d'
imfermitade
non tornerà tosto alla dispositione, la quale avea quando iera sano, da
dottare è ke 'l male non ritorni.
L'
urina somilliante al lacte o al seme de l'homo, se fie pocha,
manofestamente significha che ll'apoplesia
debbia venire, e se in
queste infertadi quella cotale orina appaia molta, significha solutione
e
guerimento di quelle cotali infertadi.
L'orina ne la quale apaiono
peçuoli di sangue preso e appare
nella febbre aguta o mostra
prociana morte o per lei il
calore della
febbre tosto andrà via e la febbre fie più lieve. E sse lo 'mfermo fie
facto perciò più lieve significherà ke lo 'mfermo scamperà.
L'orina il cui
calore sempre appare uno e non si muta nelle
febbri significha malitia de le reni, de l'
epostassi e
ssedimi e
residenzie. La primaia sì è l'
epostassi, overo residentia, ne la quale
kiaritade e risplendimento e belleza apare, la cui simillianza è sì kome
quello ke apare nell'ampolle de l'acqua rosata, ma alcuna volta il suo
risplendimento è magiore ke quello ke detto è in tale maniera, sì
come de' pezuoli de la neve quando l'uno si congiungne all'altro. E
nel kolore di questa cotale
ypostassi, in
kentumque maniera sia,
appare risplendimento e
kiareza e
radeza ke non si truovano nell'altre
cose, e quando si dibatte sì ssi mescola tutta coll'orina, da la quale
l'orina non si turba e non discende tosto giù, e molte volte non
discende, e questa kotale superfluitade (di che è questa cotale
superfluitade) è ne le vene, la quale noi
nominammo dinançi. E la
seconda superfluitade è turbata, il cui colore è biancho, nel quale né
radeza né risplendimento si truova. E la terza sì è
marcia, la quale
alcuna volta è
divulsa (cioè dispezata) de la quale, quando si muove,
l'
urina si turba, imperciò ke ssi lievano suso, e poscia discende giù,
colla quale nell'uscire de l'urina si sente arsura e kon essa è reo odore
e puçolente. E la quarta è arenosa, de la quale sono due spetie, delle
quali l'una
risomillia a
llimatura d'oro, avengha che sia più
minuta, la
quale viene et escie dalle reni, e ll'altra è quella ne la quale non si
truova alcuna
glaucedine (o tintura a
gialleza), ma il suo colore è sì
come il colore de la terra e alcuna volta è siccome colore di fango, la
quale esce dalla vescica. E la quinta
assomillia a' peli et ella è de la
generatione di quelle ke ssono somillianti a' peli non molto
bianchi, la
cui lungheza è minore quando, secondo quantitade, ai
pelluti e peli
(che da la stremitade de l'unghia infino al
nodo si truova) infino a la
misura d'uno palmo si truova crescere; la quale, conciosiacosaké da le
reni vengha, niuno male mostra essere nel corpo, se non ke mostra ke
v'abondino homori crudi, a la quale (o al quale) giova medicina
diuretica e
apertiva. E la sexta sì è ne la quale apaiono
similitudine di
peçuoli di carne, i quali escono e vengono dalle reni. Se con questo
dollia fu nelle reni e se con febbre aguta fieno, significano febbre ke
faccia grande nocimento al corpo; e se fie con febbre ethica, sì
significa
liquefatione e distrugimento di membri solidi e fermi e
dolore, ke ssono già pervenuti a la carne de' membri. E la septima sì
assomillia a' pezuoli de le
lenti
scortichate, la quale significha
superfluitade di
calore nel feghato. E l'ottava sì
assomilglia a la
cruscha, la quale aviene spesse volte per la infertade de la vescicha. E
con questa, s'ella fie così, sì ssi sentirae ardore lunghamente
perseverante, e in lei non aparrà
calore
strano e febrile, e no è molto
rimota e dilunghata a
matureza, e alcuna volta aviene per le vene. La
quale se così è co la febbre molto aguta, il cui ancora colore è ancora
molto dilungi da
matureza, dimostra morte, sì come noi mostrammo.
L. X, cap. 29 rubr.Capitolo .xxviiij. Dell'uscita di sotto e de le sue
significationi.
L. X, cap. 29Quella uscita è milliore dell'altre ke è più molle, la cui tintura
pende a gialleçça ma nom troppo e ke esce in hora acostumata. E
ll'uscita molto tinta ke pugne e arde il fondamento di sotto significha
superfluità di collera rossa, e la seccha significha poco homore e
molto
calore, e quella ke non si truova eguale sì
ssignifica ke la
digestiva, ke smaltisce il cibo, no signoregia igualmente al
nodrimento.
E lo sterco ke molto
pute significa che la digestiva è debole. E
lo stercho verde significha putrefatione nel corpo. E lo stercho col
quale è molta ventositade dimostra troppo
calore e troppo homore. E
lo stercho ch'è sì come feccia, o ssì come fangho
puççolente, ke ssi
fae per mescolamento d'orina, è reo e mortale. E lo stercho che no è
fiore tinto, significha ke dal fiele a le budella non à fiore di collera che
'l tingha. E lo stercho
unto significha
liquefatione e distrugimento di
membri e
ssignificha febbre ethica. E quello k'è più in quantitade ke
quello ke l'huomo
piglia significha ke 'l corpo indebolisce e dimagra.
E lo stercho che in sé contiene molti e diversi homori significha rei
homori nel corpo. E quello k'è
spiumoso o viscoso ciascuno è reo,
imperciò ke l'uno è per la superfluitade del
calore e l'altro è per la
liquefactione e distrugimento del corpo.
E molta ventositade ke escha di sotto, quando il cibo non fie
essuto
emfiativo, dimostra deboleza della digestiva; e se la ventosità
non esce in neuna maniera, significa poco
kalore e superfluitade di
freddo, e se con questo fie sete o seccheza, sì mostra ke ll'omore
passa a le parti del corpo dentro. E quando quelle cose ke l'huomo
manucha se n'escono fuori kosì come huomo le pillia, non mutate, sì
ssi dimostra superfluitade di fredeza. La ventositade non
legiermente
uscire, o nom potere uscire sança nocimento, sì dimostra deboleza
delli strumenti della nutricatione.
L. X, cap. 30 rubr.Capitolo .xxx. Di conoscere i polsi.
L. X, cap. 30Quelli ke vuole essere savio e
istruito nella sciença de' polsi, e ke
vuole congnoscere le sue significationi, conviene ke elli tocchi spesse
volte il polso di quello cotale di cui vuole congnoscere quando è
sano, e riguardi
fermamente kon grande studio, acciò ke la sua forma
s'
empriema e si ficchi nel suo cuore le quali, quando fie mestiere,
sappia trovare
comparationi intra lloro. E ' fisici e i medici ciascuno
modo di polso apellano per proprio nome e mostrano le sue cure e le
sue significationi. E io di queste cose pruova somilliante a questa
intentione e convenevole mostreroe, se piace a colui ch'è sommo
medicho.
Quando il polso, secondo la lungheza del braccio, al
tocchamento apare più manofesto, è kiamato da' physici lungo. E
quando, secondo la largheza, il polso comprende la magiore largheza
de le
dita di colui che 'l toccha, sì è kiamato da lloro lato polso. E 'l
polso ke ss'è
fitto e
impresso ne la carne del
dito di colui ke tocha il
polso, e secondo grande quantitade v'entrò dentro, sì è detto e
chiamato da lloro lato polso, ma quando secondo questo appare
minore che no è acostumato è kiamato represso. E quando elli cresce
i·
llungheza, alteza e largheza, sì è chiamato grande; ma quando elli è
menomato in tucte queste cose sì è kiamato piccolo. E quando lo
spatio ke ssi truova entra due
motioni si truova più piccolo che non
suole, è kiamato veloce e tosto, overo racto. E quando elli percuote il
dito fortemente e con forte e virtuosa impulsione e, quando si
strigne, il suo
movimento non si distrugge, è kiamato forte. E quando
elli è contrario a questo sì è kiamato debole. E quando quello che del
corpo de l'arteria tocchando ocorre, overo si
rimtoppa al
dito, sarae
somilliante a colui che di questa generatione è
impresso e
ssugellato
nell'anima, né non sia pieno, ançi sia il contrario e non disteso, non
si chiama pieno, ançi si chiama vòto, secondo ke lla forma fia in lui
veduta. E quando quello che, al
dito percotendo, di lui si
rimtoppa
sarà somilliante a una ligna o filo o corda tesa quando il percuote, è
kiamato duro. Ma quando quello ke di lui è, sì come quello ke ssi
rintoppa di questo ma no è molto teso, è kiamato da lloro lento
(overo laxo).
E quando ciascuna di queste percussioni (overo colpi) a
la sua
parecchia in grandeza, e in largheza, e in forteza, e in tosteza, o
spilliateza, e nell'altre cose ke ssono sança queste si truova similliante,
è kiamato eguale.
E quando elli non fie così, è kiamato diverso. E
questa diversitade alcuna volta si truova in una percossa e questo è
entra 'l
cominciamento dell'una percossa e lla sua fine. E la
dissimilitudine si comprende per lo
tocchamento d'uno
dito e di due
o di più
dita. E i medici per più nomi kiamano la spetie di queste
diversitadi, le quali noi diremo ne' suoi luoghi, imperciò ke quando
elli verrae secondo noto e
congnosciuto cerchio, e da llui non si
dipartirà, cioè a ssapere sì come dipo tre iguali percosse una si truova
diversa, o intra tutte le quatro, o intra tucte
.v., o kome entra ciascuna
iguali due diverse percosse si notano (le quali apresso, cioè
circularmente, secondo questo exempro si truovano) si chama polso
ordinato; e se lla diversitade no si truova sicondo il noto e
cognosciuto cerchio, è chiamato inordinato.
E 'l
movimento de l'arteria che ssi fae dalle parti del corpo
dentro a le parti di fuori è kiamato
dyastile, cioè elevamento. È
questo cotale
movimento, il quale tutti al toccho sentono,
movimento
d'arteria e la sua percossa ke percuote e mano. Ma tuctavia i medici in
questo acostumati
percevono alcuna cosa più di questo (o ke questo).
E 'l
movimento de l'arteria ke ssi fa da le parti di fuori a le parti
dentro è kiamato
sistoles (cioè di ponimento o riposamento giù), e di
questo
movimento e
motione si truova diversitade intra ' medici,
imperciò ke ssono alcuni ke lla sentono e altri che no. Ma ad noi non
apartiene di lei parlare in questo luogho. E se alcuno
discepolo in
questa
arte all'ultimo fine di questa intentione non disidera divenire,
sì dee elli sapere ke lla
sistole non si sente, e ke il polso àe tempo di
movimento, e questo sì è da ke 'l
movimento de l'arteria appare al
sentimento tanto ke ssi riposi e appiatti, e che il polso à tempo di
quiete e di riposo, e questo è da ke il
movimento s'appiatta infino ke
ssi ricominci ancora a manifestare. Et entra l'uno di questi due tempi
e ll'altro si truova propria comparatione in ciascuna etade, e lla
comparagione ke ssi truova intra lloro nell'etade puerile non si
assomillia a la comparatione ke ssi truova ne l'etade de l'
adoloscentia,
né de la gioventudine, né de la vecchieza; e questa comparatione
s'apella peso. Per la quale cosa conviene quando il polso in alcuna
etade la propria comparatione di quella etade guarderà, sì fie kiamato
polso ke abbia peso, e ffie kiamato polso buono e di giusto peso, e in
tucti somillianti di questi fie apellato e kiamato. Ma quando questo
non guarderae e al peso dell'altra etade andrà, se infino a tanto ke è
nell'etade puerile al peso k'è proprio di giovaneza si muti, il polso fie
kiamato di diverso peso. E s'elli aviene cosa k'elli sia mutato al peso
della
senectudine e del
senio, cioè di vechieça, fie detto polso de reo
peso, o elli fia kiamato non pesato, o elli fia kiamato per nomi
somillianti a questi, e imperciò ke il luogo del corpo ov'è l'arteria
alcuna volta si sente a tocchare più caldo delli altri luoghi, imperciò ke
alcuni medici tennero per sententia ke questa sia una de le specie de'
polsi. E lli antichi le generationi de'
polsi composti apellarono e
kiamarono per diversi nomi, de' quali è il polso
capriçante: et elli è
polso il quale si sente quando l'arteria fiede il
dito una volta, e anche
tuttavia in tale maniera ke non si sente ke ssia tornato dentro, né k'elli
abbia fatto
sistole e riposata, nel quale la seconda percossa si truova
magiore della primaia.
E
bispulsans, cioè il polso ch'è kiamato due volte
pulsante o due
volte
fegente, sì è quando l'arteria
fegendo si rintoppa al
dito e non si
sente riposo, il quale
debbia essere kiamato
sistole, ma per lo
sentimento si sente l'altra percossa ke è più debole de la primaia.
E 'l polso di diversa percossa si giudicha quando il
cominciamento di
diastole si truova debole e la sua fine forte, o 'l
contradio di questo, e questo è ke 'l suo
cominciamento sia più forte
e più racto de la sua fine. E 'l polso k'è cotale si dice diverso in una
percossa.
E 'l polso k'è kiamato
koda
soricina è di due speçie delle quali sì
è che ll'una percossa sia um pocho magiore, e ll'altra ke lla seguita
minore, e ancora l'altra minore. E in questa maniera si proceda tanto
ke ssi pervengha a una delle tre cose, cioè a ssapere: o k'elli dimori in
una percossa e non vada a minore di lei, o elli non si riposi di
menomare infino a tanto ke ssi appiatti e in neuna maniera appaia, o
k'elli pervengha a alcuna
misura piccola e poscia
cominci di reddire e
di crescere. E quando elli avrae cominciato di reddire e di crescere, o
elli reddirà a la sua prima
misura o alla minore di lei. E 'l primaio
modo si kiama coda permanente, e 'l secondo coda
menomante, e 'l
terço coda ke riede. E quello ke riede a la sua prima
misura sì ssi
chiama coda di compiuto ritornamento. E 'l secondo coda di
ritornamento diminuto. E ancora l'altra spetie kon menomamento di
similitudine nella
longhitudine dell'arteria primieramente si truova,
per la quale subitamente in uno luogo alcuna grandeza si truova, de la
quale l'altra ke lla seguita si truova minore, la quale non si occulterà e
appiaterà subitamente. Ma non si riposerà ke secondo l'ordine non si
menomi a poco a poco, tanto ke ssi oculti e apiatti, e questo aviene
alcuna volta da due lati, et è kiamato allotta polso curvo. E alcuna
volta s'inchina dall'una parte et è kiamato dall'una parte inchinato, il
quale polso nell'una percossa è detto diverso.
E 'l polso
formicante sì è quando, nel tempo ke è intra due
percosse, si truova tale diversitade ke alcuno pensi intra quelle
percosse essere intervenuto in mezo, conciosiacosaké non vi sia
intervenuto, e a questo quello che cresce si truova contradio. E 'l
polso permanente subtile e duro, e 'l quale dimorando in una
percossa appena non si parte giamai da
llei. E 'l
floctuante, o
ondegiante, sì è il quale secondo la latitudine occupa e prende il
luogho del grande
dito kon morbideza o
reempimento. Ma co· lui
tuctavia no è grande elevamento né
subita, ma pare ke lla levatione e
'l
levamento non è l'una dipo ll'altra, per la qual cosa adviene k'elli
assomilli all'ondi, de le quali l'una seguita l'altra. E di loro ancora è 'l
vermicoloso, la cui forma è sì come la
forma del
floctuante, la quale
secondo il
levamento si truova quella medesima, ma no è lato né
pieno, le cui
onde e
inondamento è debole, il quale
assomillia a'
vermini che discorrano per lo forame per l'arteria. E 'l polso
formicante si truova sì picolo e sì spesso, ke pare che
assomilgli al
polso del fanciullo aguale nato.
E 'l polso che
assomiglia alla serra è kiamato
serrale e duro, ne la
cui percossa si truova diversitade, per la quale quando l'uno delle
dita si percuote nelli altri sente quiete e quando nell'uno è riposo
nell'altro si sente percossa.
E polso
triemolo è detto quando nell'arteria si sente
somilliança
di triemito.
E 'l torto è kiamato quando l'arteria si sente similliança kome
una lingna (o linea) ke ssi comincia a torcere e avolgere. E ancora
diciamo ke 'l polso delli homini più de le volte si truova magiore e più
forte e più tardo del polso de le femine; ma la superfluitade della
grandeza e de la sua forteza è magiormente manifesta, ma la
superfluitade de la tardeza è piccola, ma grande superfluitade de
raritade si truova.
E 'l polso de' fanciulli ke poppano si truova più spesso e più
racto e più piccolo delli altri. E 'l polso de' fanciulli più grandicelli e
delli
adoloscenti è magiore del polso de' fanciulli picolini. E 'l polso
de' giovani, cioè da
.xx. a
.xxxv. anni, si truova più forte del polso di
tutte l'altre etadi, e magiormente il loro polso ke ssi truova ne la fine
de la gioventudine.
E 'l polso de' vecchi è più tardo del polso de' giovani e più
debole e um pocho minore. E 'l polso di coloro ke ssono costituti in
senio, cioè i
travecchi, sono nell'
ultimitade de la deboleza, e di
radeza,
e di
picoleza, e di tardeza.
E 'l polso di coloro ke ànno la complexione calda è magiore e
più racto e più duro e del polso di coloro ke ànno la
complesione
fredda, ma ne la forteza fie forte iguale o più menomato.
E 'l polso de' grassi è minore polso ke no è quello de' magri, ma
sse quella cotale grasseza è di carne e non di grascia, il polso fie più
forte e più ratto; e s'elli è di grascia, fie minore di questo. E ancora il
polso di coloro ke ànno la complexione humida è più morbido e più
humido.
E 'l polso ch'è nel mezo della primavera è più forte che 'l polso
di tucti gli altri tempi, e nel miluogho della state è più ratto e più
spesso ke in tucti li altri tempi, e ne l'autumpno è piccolo e debole e
menoma la sua spesseza e rateza di quello ke era nella state e non
cresce la sua forteza, e nel verno è il polso nell'
ultimitade di
radeza e
di
picoleza e di tardeza. Ma ne l'extremitadi de' tempi si truova
composto di quelli che ssono intra due tempi. E de la femina
prengna
sarà maggiore e più spesso ke di quella ke non è
prengna.
E 'l polso di coloro ke ssi lievano da dormire è grande e forte e
spesso e
triemolo, il quale tosto apresso riede a la sua dispositione. E
'l
movimento e la faticha della quale huomo non si
alaxa cresce la
grandeza e la spesseza e la ratteza del polso secondo la sua rateza e
forteza, il quale se è di picolo tempo, quello ke aviene di lei a l'arteria
tosto si riposa; e se lla faticha o 'l
movimento fie essuto lungho e di
grande tempo, tardi si riposa e
aketa il polso. E per lo
movimento per
lo quale alcuno
perviene all'
ultimitade di
laseza e di faticha, il polso si
fa picolo e debole e spesso secondo la sua quantitade.
E 'l bagno a la grandeza del polso e a la sua
lenitade è
morbideza e spesseza d'acrescimento, nel quale, se alcuno fa grande
dimorança, sarà piccolo e debole, ma la sua
racteza rimane.
E 'l cibo incontanente ke ssi pillia, il quale non fae alcuno
nocimento né arsura o angoscia, à ' crescere fortemente la forteza del
polso e la sua spesseza e lla sua grandeza, la quale cosa aviene dipo
lungo tempo, imperciò k'elli nom fa questo incontanente ke l'huomo
l'à preso. E quello per lo quale l'uhuomo
perviene a nocimento e
angoscia e pena fa il polso diverso, onde somilliantemente acresce il
polso in spesseza e ratteza, e questo acrescimento più tosto verrà
secondo il tempo ke quello acrescimento ke aviene secondo il cibo e
più tosto si lieva da llui. E da' nutrimenti e dalle medicine ke
riscaldano o raffredano si muta il polso, imperciò ke quelli ke sono
caldi, secondo la quantitade de la sua caldeza, il polso in sua spesseza
e ratteza e grandeza cresce; e 'l contrario fae il contrario.
E ll'ira fae il polso elevato, e ratto, e forte, e spesso. E molta
paura fae il polso diverso, e ratto, e tremulo. E ancora la tristitia fa il
polso tardo, e rado, e debole. E la letitia fae il polso tardo, e rado, kon
grandeza, e morbideza, e
pieneza.
E diremo ancora ke il polso lungho seguita o acrescimento di
calore o menomamento di carne. E il polso lato significa
acrescimento d'
umiditade, e 'l polso grande e racto e spesso,
acrescimento di chalore, e ssi di questo
calore fie alcuna cosa
accidentale, sì come
movimento, o bagno, o ira o
ssimiliante di questi,
il polso tornerae tosto a la sua dispositione, ma sse la sua cagione è
fixa e stabile, starà fermo tanto quanto la cagione starà
ferma.
E la piccoleza e la
radeza e tardeza seguitano la fredeza. E 'l
polso forte seguita la buona virtude e la cosa nociva riposo e quiete.
E 'l polso si truova debole quando la virtude si disolve e
distruge, o
quando nel corpo è grande nocimento. E 'l polso si truova diverso
quando la natura manda fuori la cosa nociva; e ssarae la diversitade
molta o pocha secondo la quantitade del nocimento, e quando la
natura fie più forte ke lla cosa nociva, e 'l numero de le percosse forti
e grandi fie magiore, secondo questo; e 'l contradio sì è il contrario.
Entra i
polsi diversi l'ordinato è milliore ke 'l non ordinato, e
magioremente se il numero de le
percosse grandi secondo questo fie
magiore. E 'l polso pieno sì
ssignificha nel corpo habondança di
sangue e di
vapore humido, e 'l vòto singnifica il contrario di questo.
E 'l duro significa
alideza e seccheza, e 'l morbido polso significha il
contradio di questo. E ancora il polso ke ssi truova fuori di peso la
mutatione ke aviene secondo la natura dell'etadi, nelle quali quello
peso
propiamente si truova (al quale fu fatto il mutamento), significa.
Per la quale cosa se il polso fie mutato al peso ke è vicino e
prociano
sì significha piccolo mutamento. E se ne l'arterie, quando si toccha,
se superfluo chalore è manifesto magior ke nell'altre luoghora, si
sente che elli sono vicini e
prociani, significha che lla complexione del
cuore è già rischaldata, la quale cosa aviene in coloro ke ànno ethica o
tisicheza e forse significha sincope e
tramortiscimento.
E 'l polso k'è kiamato
bispulsans, cioè due volte
batente o
pulsante, si truova quando il
calore della febbre soprabonda, e
quando elli è grande necessitade al polso in atrare l'aria. E questo è
quando il caldo naturale è fortemente infiamato e lla virtude con
questo è sana, e magiormente se la seconda
percossa è magiore.
E 'l polso nel quale la
diastole si truova diversa da la
sistole, si fa
per la batallia della natura, e sse la fine della
dyastole sarà più forte e
maiore che 'l
cominciamento, sarà migliore; e 'l contradio fie il
contradio. E se lla fine della
dyastole fie più racta e
spilliata,
significherà superfluo
calore di putrefatione.
E 'l polso che cotidianamente si menoma e indebolisce, il quale
noi kiamamo coda saracina
addiviene quando la virtude indebolisce
e kade, per la quale cosa la sua malitia sarà secondo la sua deboleza e
piccoleza, il quale se elli tornerà a forteza e grandeza, sì
ssignificherà
ke lla virtude sia già ritornata. E ss'elli dimorrà secondo una
misura e
non ritorni a la sua grandeza da quello in k'elli era non sia alcuno
modo menomato, sarà in alcuna maniera milliore. E quello ke viene
menomando tanto k'elli s'apiatti e oculti e non si senta, questo
dimostra la natura essere vinta. E 'l polso curvo e torto in una parte e
inchinato, sì si truova in coloro ke ànno l'eticha e la
tisicheza. Ma il
polso
formichante significha il
kadimento de la virtude, il quale à
grande mistiere da atrare l'aria.
E 'l polso che à crescimento significha forteza e grande
necessitade d'atrare l'aria e ssi truova dentro poi ke ll'eticha e la
tisichezza è
konfermata.
E 'l polso
ondoso si truova quando alcuno si bagna o bee vino,
o aviene per tutte quelle cose ke fanno il corpo molle e humido, e
poke volte si truova in ydropisi, e
llytargia, e
pleureusi, o
peryplemonya, e asma, e
paralisi, e
aplopesia, e nelle febbri significha
sudore.
E 'l polso
vermicoloso aviene quando la virtude perde ma non
del tucto, ma il
formichante si truova quando la virtude cade del tucto
e la morte è presso. E 'l polso ke
assomillia alla serra è kiamato
serratelle, il quale si fae quando grande apostema è nel corpo, e
magiormente se fie in membro
mobile e nervoso, sì com'è la
dispositione della
pleureusi ke ssi fae nel lato o ne la
dyafragma.
E 'l
triemolo significha ancora ultima chaldeza e ke la virtude sia
charicata d'omori, o ke appostema sia ivi, o opilatione ke
impedimentisca fare la
dyastole, cioè la elevatione del polso.
E 'l
polso torto si truova quando la virtude è sana e si
combatte
quanto puote kolla infermitade, la quale è presso al cuore e a le sue
partite.
L. X, cap. 31 rubr.Capitolo .xxxj. Del regimento di coloro che ànno agute
infertadi.
L. X, cap. 31
Quando nel
cominciamento di queste infertadi e' si vedrae
manofesta e forte repletione, e lli omori sieno molto rei, la quale cosa
si
congnoscerà per la fortitudine delli accidenti, sì lli si conviene
socorrere ançi che la virtude
kada, votando lo 'mfermo
kollo
scemare sangue o kon medicina che meni e faccia uscire. E poscia il
suo nodrimento si conviene misurare secondo la vicinitade o
lungheza dello stato, e ssecondo la forteza dello 'nfermo, o secondo
k'è nel tempo k'elli era sano, elli patia o sofferia fame o no. Imperciò
ke sse lo stato fie
prociano e lo 'mfermo fie forte, sì gli si dovrae dare
pur acqua d'orço, ma sse lo stato fie remoto e lungi e lo 'mfermo più
debole, alcuna cosa si dee più
agiungnere al suo nodrimento. Ma
ancora l'ora da dare il nodrimento si dee scielliere secondo il tempo
quando lo 'nfermo fie in melliore stato e meno grave e 'l tempo
quando solea manicare quando era sano; e ssecondo l'acessione della
febbre, s'ella è
interpolata (cioè ke
pigli e lasci) e s'ella no è
interpolata, sì ssi dee
scelliere l'ora del die più fredda e più temperata.
Quando vedrà i sengni del termine e llo stato
aprocerà, lo
'mfermo si dee abstenere dal nodrimento e poco dee
prendere e pocho riempiersi, ma dee fare più
stretta dieta ke ffare
si puote, tanto che il termine si faccia. E poi k'è fatto, sì ssi dee
governare e reggere kol
regimento ke ssi reghono koloro ke ssi
lievano d'infertadi e, sse non, sì si dee tenere e
sservare quello
medesimo
regimento ke
ffacea dinançi tanto che lla sanitade si
compia, se Dio vorrà.
L. X, cap. 32 rubr.
Capitolo
.xxxij. Del
regimento de'
convalescenti
(
scapaticci).
L. X, cap. 32Cholui che ssi lieva delle 'nfertadi agute, sì ssi conviene guardare
ch'elli non ritorni ai nodrimenti coi quali i sani si reghono, ançi si
temperi e usi quelli medesimi e
ssimillianti cibi k'elli
usava nella
'mfertade o um pocho più forti. E poi ordinatamente, e a poco a
pocho, si meni a' cibi de' sani, ma in questo mezo s'osservi e si guardi
da bagno, e faticha, e vigilie, e uso di femina, e dal vino, e si guardi
ch'elli non sofferi né fame né sete né stea troppo sollicito ne le cure
dell'animo, sì come pensamento e tristitia e
ssimillianti cose, e k'elli
non vada al sole (o sotto 'l sole), e non
giaccia in luoghi caldi, e
magiormente quelli che ssi leverà d'
imfertade aguta e che è scampato
sança termine; e ancora si diparta da tucte quelle cose ke 'l corpo
riscaldano.
E colui nel quale sono dimorati e rimasi
segnali delle relique e
rimanenti della
'mfertade sì come troppo caldo che ssente quando
huomo il toccha, o spesseza nell'alito, o ssete, o dollia di capo, o
tintura nell'
urina, o
ssolutione ke aviene ai corpi, o nella bocha sapore
strano, o alienatione, o
smemoramento nel sonno, o nel dormire, o
veghiamento e somillianti cose, magiormente si dee
rimanere al
regimento dello 'mfermo, tanto ke tucti questi
sengnali vadano via e
k'elli sia bene guerito.
E lo
scappaticcio si dee guardare k'elli non sofferi né fame né
ssete e ch'elli non si riempia di cibo troppo a una volta, imperciò ke
ll'uno di loro il
distempera e rischalda e ll'altro corrompe la sua
complexsione, ma manuchi molte volte ma pocho a pocho, e de
l'acqua fredda bea a pocho a pocho e non ne
bea troppo a una volta,
e magiormente nel tempo de l'autumpno. E di quella k'è non fredda
non bea i· neuna maniera. E sse lla sua apetitiva virtude e vollia di
mangiare è forte, e la digestiva ke
ismaltisce è debole e
affatichata,
non atenda al manicare secondo l'appetito, ma secondo la digestiva,
la quale cosa observi tanto ke lla digestiva melliora, e allotta manuchi
quanto vorrae. E dipo questo a' movimenti e alle
fatiche e all'altre
cose, ne le quali elli solea usare quando era
sano, ordinatamente si
rameni. E se alcuno de' mali accidenti o alcuna cosa di loro sia
rimaso, sì ssi solva e muova il suo ventre e lli si scemi sangue o lli si
dieno kose ke spengano quelli cotali accidenti, de' quali tucti si
converae scielliere ke al medicho
parrà milliore, o ke a la dispositione
de lo 'nfermo parrae più convenevole. E questo cotale non si dee
lasciare tornare a quelle cose ch'elli
usava quando era sano, tanto
quanto quelli accidenti i· llui perseveranno. E quando l'apetito
d'alcuno convalescente e
scampaticio fie debole, sì è da ssapere ke
alcune relique de la
'mfertade sono rimase nel corpo, le quali è
mestieri di mettere fuori del corpo, e magiormente se 'l sapore della
boccha fie corrotto o lla sete fie molta. E ss'elli è volontaroso di
manichare, e per quello cotale manichare elli non
ripigli força, ma il
corpo sia
solubile e mosso della quantitade del nodrimento e
dell'acqua ke ssi dava dop'essa, si dee menomare alcuna cosa, e 'l
sciroppo acetoso ke ssi fae del sugo de le mele cotongne si dee dare
e sopra 'l feghato si dee porre empiastro, per lo quale si conforti o ssi
faccia più forte lo 'nfermo. E ancora si dee sceverare dal manicare de'
nodrimenti di grossa natura e duri a cuocere e a smaltire, tanto ke la
sua virtude si compia. E ancora si notrichi con quelle cose ke tosto si
smaltiscono, e sse il suo nodrimento non si puote smaltire sança vino,
sì li si dea vino bianco bene kiaro e dal forte si guardi.
Confectione del sciroppo acetoso del sugo delle mele cotongne.
Recipe: sugo de le mele cotogne acetose una parte, çucchero
tabarçeth parte
.j., e aceto la quarta parte dell'uno di loro, e poscia
tucte queste cose si
cuochano e
diligentemente si
spumino (o
skiumino), e di questa confectione beano i
convalescenti, overo
scappaticci, ai quali molta caldeza
segnoregia e che ànno mestiere di
quelle cose che confortano lo stomacho. Ma colui nel quale si truova
piccola caldeza, sì lli àe mistiere di questo sciroppo. Per ciascuna libra
di lui sì ssi prenda mastice, garofani, spico ana dr
. .j., le quali, trite e
lleghate nel panno, si ponghano nello sciroppo mentre che ssi cuoce.
E poi che noi abbiamo exposte tucte le partite e i
capitoli
convenevolmente ke noi nominamo nel
cominciamento di questo
libro, abbiamo dumque tucto
kompiuto, per la quale cosa a Dio, per
lo benificio del quale e per lo cui
aiuto noi menamo questo a ffine,
gratie sempre sono infinite. Finito
isto libro,
referamus gratias
Christo. Amen.
[Explicit]
(+i) Qui finisce il libro di Raxis de le somme e de l'
agregaçioni di
medicina, e del conservamento de la
sanitade e del
medicamento dell'enfertadi,
traslatato di francescho in volghare, nelli anni domini
.MCCC. del mese di
maggio.
E 'l nome di colui che 'l traslatoe si contiene ne l'infrascripti
.xvj. versi qui
rimati:
Certamente vi dicho
vollio essere vostro amicho
keché di me volliate
E nom può l'amistade
Rimanere tra noi due
Or non vi dicho piue
Ben vollio in veritade
Entra noi l'amistade
Non vollio ke falli puncto
Con fino amore congiunto
Intra noi due dimori
Villania ne sia fuori
E ogne malusança
Non vollio ci abbia mancança
Non fa mistieri più dire
Io sono vostro al ver dire (i-).