Proemio, cap. 1
Novellamente, Franciesco, parlai
Coll' onestade,
Ed a preghiera di molte altre donne
Mi lamentai co· llei,
E dissi, ch' erano molti
C' aveano scritt' i· libri
Costumi ornati d' omo, ma non di donna.
Sicch' io preghava lei,
Che per onor di sè,
E per amor di quella sua conpàngnia,
C' à nome Cortesia,
Ed anco per vestire
L' altre donne con meco
Di quello honesto manto
Ch' ella àe con seco, e ch' ella porgie a cquelle
Che volgliono caminare per la via
De' costumi, dengniasse di parlare
Con quella donna che ss' apella Industria;
E seco insieme trovassono uno modo,
Che ll' altra donna c' à nome Eloquentia
Parlasse alquanto di quella materia,
E 'l suo parlare si trovasse inn iscritto.
Ella mi disse: «Molto son contenta
Della bella domanda che m' ài fatta;
E sono aparechiata
Di fare ed operare
Colle dette virtudi,
Che, coll' aiuto di Colui che ssai,
Ch' è singniore di noi tutte,
Che sempre fue ed èe e sarae etterno,
Che formò i cieli, pianeti ed alimenti,
Formoe l' angielica e l' umana natura,
Lo quale, onipotente, incomprensibile,
E inconmutevole, dà informagione
E prefetione a ttutte cose:
Lo dono che mmi domandi
Ti sarae adempiuto; e spero ancora
Più di fare, che Sapienza
Co· molte altre Virtù s' aoperanno,
Dove e quando e come
Sarà bisongnio, a cquesto tuo lavoro.
Ma quinci manca una sì fatta cosa.
Tu ssai, che la Eloquenza, Industria, e ttutte
L' altre, lo chui savere
È bisongnio in questa ovra,
Posson bene informare,
Ma non è alchuna che ssapia di loro
Scrivere in libro sicché si legiesse
Per umano intelletto.
Onde prochura, ch' alchuno che ti paia,
Che solo scriva; e noi sì cometteremo
Tutte ad insieme ad alchuna di noi,
Che 'nformi lui per sì fatta maniera,
Che nulla briga arae di pensare;
Ma sol della penna
Volgier sulla carta».
E io risposi: «Io òe uno fedele servo:
Franciesco à nnome; nacque inn una selva
C' à nome Barberino;
È molto grosso, ma molto èe fedele;
Ed a llui non bisongnia sottilgliezza,
Poi voi gli date vostra informagione.
Sì ch' io gli parlerò,
E poi inmantanente
Sarò davanti alla vostra Ecciellentia,
Colla risposta ch' allora convengnia». -
Onde, Franciesco, dimmi incontanente,
Come conforti di questa ovra fare?
Proemio, cap. 2
Francesco Ai! gientil donna, la vostra loquea
Mi fa bene cierto che voi se' mia donna.
Ma perché state cotanto cielata?
Dengniate di mostrarmi,
Anzi ch' io parli, la vostra fattura.
Madonna Parla, rispondi; che esere ciò non può,
Però ch' io non volglio esere conosciuta;
E ben ti basta l' odor che tti spando;
E llo sprendor che tti raggia nel viso.
Francesco Madonna, lo sprendore,
E questo odor che dite,
M' ànno abattuti li spiriti miei
Per modo tale, che non so che parli.
Ma tenperate la somma dolciezza
Che viene dal loro effetto;
Forse c' alquanto poi prenderò forza,
E risponderò con quel piccol podere,
Che posa nella fede mia, ch' è grande.
Madonna Non posso tenperar questa dolciezza,
Se ttue non tenperassi
Lo gran diletto che ttue ne ricievi.
Francesco Madonna, dunqua mi convien taciere.
Madonna Non è ver, ma conventi
Questi novelli ed amorosi raggi
Lassar alquanto riposare nel core;
Forse che poi risponder mi porrai.
Francesco Madonna, il core è sempre pieno di voi,
E llo 'ntelletto si volgie nel prato
Dove fioriscon le vostre virtù.
Ma pur quando s' apressa
Vostra valente e nobile senbranza,
Indeboliscie la mia vita tanto,
Che temo morte; ma pure si conserva
Per la vostra virtù la vita mia.
Madonna Dunque or mi di': quando mi parlerai,
Vuo' ch' io mi parta, e mandera'mi iscritto
Lo tuo volere in questa mia domanda?
Francesco Madonna, se 'l partir fosse sì tosto
Dopo li colpi c' al venir mi deste,
Non so che vita dimorasse meco.
Madonna Dimmi che modo mi conviene tenere.
Francesco Madonna, state ancor, quando vi piaccia;
Ché parlando con voi prenderò forza
Alquanto a poco a poco.
Madonna Io seria contenta di star ancor più;
Ma ttu mi fai di quelle che ttu suoli:
Ché, per indurmi a parlar, tu mmi tieni
Pure in parole che non fanno punto
Alla materia di ch' io t' ò parlato.
Francesco Madonna, poiché voi ve n' avedete,
Io vi confesso ben, ciò eser vero.
Ma io temea, che dopo la risposta
Immantanente voi non vi partisse.
E dDio lo sae, che questa gratia èe rada;
Avengnia ch' ella sia più ch' io non dengnio.
Madonna Di' immantanente; se non, ch' io men vado.
Francesco Ecco ch' io dico, e non vi fo più noia.
Proemio, cap. 3
Donna, formata da quell' alto Sire,
Ch' è ssì posente,
A ssì conpiuta forma;
Voi piena di dotrina,
Vestita d' onestae,
Nodrita di costumi,
Ornata di piaciere,
In chui ripara tutta gientilezza,
Biltate insieme, onestà, cortesia;
In chui risprendon tutte le virtuti;
Inver di voi non è chi pensi vile,
Né può disiderar alchun di voi
Fuor ch' ongni onor di voi:
Non maravilglio s' a voi è venuta
Sì presso l' Onestade,
Che parlare le possiate;
Però che senpre l' avete con voi,
E molti son, che credon siate voi.
Non maravilglio di quella domanda
Che voi fatto l' avete,
Però che lume siete
Di tutte quelle c' a virtù si danno;
Da voi prendono exemplo,
Como da specchio ricievon lor vista
Tutte le donne che vanno con voi.
Ma forte maravilglio,
Com' io, non dengnio di sì alta grazia,
Sono chiamato da voi a ssì alta ovra.
E ssì grande è lla fede
Ch' io porto all' ecciellente vostra altezza,
Ch' avengnia ch' io potesse
Parlar con' Ysaya e dir a voi:
«I' non so ch' io mi parli,
Che fanciullo sono» -;
Nientemeno, pensando che voi dite,
Che no· mmi fia mestiere pensare o dire,
Ma solo volgier la penna:
Ecco ch' io dico coll' altro profeta
Chiamato Yeremia,
Ch' io sono acconcio al tutto ubidire.
Proemio, cap. 4
Madonna Dunqua verrai con meco
Davanti all' Onestà,
Che pregherà la 'ndustria,
Che mandi a dimorare
Eloquentia con teco;
Sì che tu poi volgiendo la tua lingua,
Un' altra donna, ch' è Solecitudo,
Pieghi tua mano a scriver queste cose.
Francesco Madonna, i' ò paura
D' apresentarmi a ssì gran donne avanti.
Madonna Vien, non temer; ch' io sempre serò teco.
Francesco Ecco ch' io vengnio, e son sichuro e forte.
Ma prego voi, che per vostra piatate,
Che quando saremo apresso di loro,
Vi piaccia di mostrarmi lor fighure.
Madonna Piaciemi, acciò che più fervente
Sarai poi nell' uficio
Ch' elle ti cometteranno.
E tieni a mente, ch' elle ti diranno
Parole alquante, e darannoti lo stilo
Che te convien in questo libro porre.
Ma io ti mostrerò non tutte quante.
Vedrai l' Onestae,
Che siede in persa vesta;
Tien colla mano Industria;
L' altra man comanda alla Eloquentia.
Eloquentia parlerà con teco;
E vedrai lor fighure ritratte
Sicondo il propio espetto di ciaschuna.
E vieni avanti, che nnoi siàno lor presso.
Ve' tu le donne che ssono in quel prato?
Color son desse: inginòchiati giuso.
Proemio, cap. 5
Francesco Madonne, Dio vi salvi.
Onestà È questo il servo, che ttu mi diciesti,
Donna gientile e d' alto intendimento,
Che sarà fermo e fedele e costante
Al mio proponimento?
Madonna Madonna l' Onestade,
Che per vostra virtude
Tirate a voi ongni cosa gientile:
Voi dite vero, che questo è 'l servo vostro;
Ed anco è mio, sì ch' io vel posso dare.
Onestà Dici' ella vero?
FrancescoMadonna, io sono a lei;
E, come piacie a llei, io sono a voi.
Onestà Et eccome, che mando te, Industria;
E tu, Eloquentia, di' per tutto a llui
Lo mio intendimento;
E poi ten va con seco,
E dimorate amendue con esso
Fino che ll' ovra sarà condotta al fine.
Odime, Eloquentia, e intendi quello che io dico.
Lo tuo trattato sarà di costumi
Pertenenti alle donne;
Le quali ti porgierò per tale maniera,
Che gl' uomini porranno
Frutto trarne; ma questa
Informagione ti darà la 'ndustria.
Non vo' che ssia lo tuo parlare oschuro,
Acciò ca veramente
Con ongni donna possa dimorare;
Né parlerai rimato,
Acciò che non ti parta
Per forza di rima
Dal propio intendimento.
Ma ben porrai tal fiata,
Per dare alchun diletto
A cchi ti legierà,
Di belle gobbolette seminare;
Ed anco poi di belle novellette
Indurrai ad exemplo.
E parlerai sol nel volgar toscano;
E porrai mescidare alchuni volgari
Consonanti con esso,
Di que' paesi dov' ài più usato,
Pilgliando i belli, e' non belli lasciando.
E questo del volgar noi ti diciamo
Per piacierne alla donna che cci indusse,
La quale è dengnia d' onore e gratia.
Eloquenza E va, comincia; edd ecco Industria teco,
Ed io, che tti sarò nella tua lingua.
E parla omai come tu fossi uno huomo
Che ssolo da tte ti movessi a dittare;
E vieni tessendo la tela indorata,
Che nnoi t' aparechiamo y fily ad oro.
Francesco Ai! donne valorose, io sono contento,
E sono aparechiato a ubidire.
Ma chi rimane qui colla donna mia?
Madonna Va tu con Dio, ch' io mi voglio rimanere
Con questa donna c' à nome Honestade;
Po' che lle piacie d' avermi con seco.
Francesco Madonna, volentier; ma io mi temo
Ch' ella non si innamori
Poi sì di voi, ch' io non vi veggia mai.
Madonna Non dubitar; che sse tu m' amassi
Come tu mi suoi dire,
Già l' Onestà no· mmi ti porria torre.
Ma sse volendo contro mio honore
Alchun villano piaciere,
Tu tti mutassi, porresti bramare
La gratia mia e lo mio bon volere?
Francesco Madonna, io non fu' mai servo di voi
Per altro già, che per vostra grandezza,
Onore e stato e acrescimento;
E così spero la mia fine vedere.
Madonna Va dunque, e pensa di servirmi in questo.
Francesco Ora mi piacie; io vado a cominciare.
Proemio, cap. 6
Però ch' io so, che questa donna mia,
E tutte le virtù che ssono, ed anco
Le creature tutte universali
Ànno ciò c' ànno dal loro etterno Sire:
Da llui in prima faccio fondamento;
E seguirò mio stile e mio volume,
Sicondo c' ò di sovra in mandamento.
E questo livro già
Non partirò per numero d' etadi:
Che sse dirittamente
Volgliàn considerare,
Tal per tempo è, tal tardi, donna;
E non sicondo etadi,
Ma sicondo suo grado,
Conviene ongniuna con senno passare.
E partirò questa ovra
In le venti Partite;
E ciaschuna Partita
Arà per sè cierti distinti gradi,
Sì come innanti lettura dimostra.
La prima conterà come si dee
Portare una fanciulla
Quando comincia bene e mal sentire,
E vergongnia temere.
Seconda, como
Quando in tenpo verrà di maritaggio.
Terza,
Como quando à ppassata
L' ora del maritaggio.
Quarta,
Se, poi ch' è disperata
Di mai aver marito,
Aviene ch' ella pure l' àe,
E stae in casa uno tenpo
Anzi che vada a llui.
Quinta,
Como poi ch' è maritata,
E como il primo, e como
Il sicondo e 'l terzo,
Infino a quindici dì; e 'l primo mese,
E 'l sicondo, e 'l terzo, e como insino
Alla sua fine; sì anzi filgluoli,
E ssì poi, e ssì s' ella
Non avesse filgluoli,
E como in vechiezza.
Sesta,
Como se perde il marito;
E como s' ell' è vecchia,
E como se mezzana,
E como se giovane rimane,
E como s' à filgluoli,
E como se non n' à,
E como s' ella ancor
De' ben del suo marito riman donna,
E s' ella, così vedoata,
Abito prende o panni
Di religione.
Settima,
Como si dee portare
S' ella si rimarita;
E como s' a milgliore,
E como s' a piggiore e men possente,
E como s' ella ancora ne va al terzo;
E como, poi ch' è stata vedoata
E ripreso à marito,
Sta alcun tenpo in casa
Anzi che vada a llui;
E como riprender marito
Si loda e biasma.
Octava,
Como quella che prende abito
Di religione in casa;
E como si loda o nno.
Nona, como rinchiusa in munastero
A pperpetua chiusura;
E como la badessa,
E camarlinga, e priora,
E ciaschuna altra portiera e moniale.
Diecima, como quella
Che ssi rinchiude sola
È detta Romita;
E como la blasmo.
Undecima, como
La cameriera data
A ccompàgnia di donna;
E como s' è pure una,
E como s' è conpangniata
A simile oficio.
Dodecima, como
Si porterà ciaschuna servigiale,
Sì pur a donna, e ssì a donna insieme
Col singniore, e sì s' alchuna sola
Serve singniore, e como
Si loda, e como non.
Terziadecima, como
Balia di casa, e como di fuori.
Quartadecima, como
La serva overo schiava;
E como, poi ch' è serva,
Porrà per ovre libera tenersi.
Quintadecima, como
Si dee portare ongni gieneratione
Di femina di comune stato,
E di più basso e povero, e tutte,
Fuorché lle rie di vita disoluta
Che vendon per moneta il loro onore,
Le quali non intendo
Mettere in iscrittura,
Né far di loro mentione;
Ché non son dengnie d' esere nominate.
Sestadecima, tratterà
Di cierti gienerali
Addotrinamenti d' ongni donna,
E di loro ornamenti,
E di loro aventure.
Settimadecima,
Di loro consolamenti.
Octavadecima,
Però che tal fiata
Le convien savere parlare e dire,
E rispondere, e stare tra lla giente,
Sì ttraterà delle Quistioni d' amore,
E di cortesia e gientilezza.
Nonadecima, sì tratta
Di certi mottetti e parlari
Da donna a cavalieri,
Ed altra maniera di donne e huomini.
La vigiesima tratta
Di cierte loro orationi.
Ed in questa Parte
È lla conclusione del libro, e como
Io questo libro riporto
A quella donna che di sovra è detta;
E como ella lo ricieve,
E como innanti a llei
Vengono le Virtuti.
Proemio, cap. 7
E ponetevi a chura, che in diverse
Parti del libro voi
Udirete parlar la detta donna;
Sicché se voi sarete
Accorte persone, e usate
D' udire parlare così gientilemente,
Porrave forse esere c' avereste
Gratia da dDio di conosciere
Chi è questa donna, che ci apar così chiusa.
Similgliantemente voi vedrete
Ch' ella m' aparirà in diverse e nuove
Forme e fighure, e quando
Mi mostrerrà una virtù
E quando un' altra, in vostro
Servigio e perché voi
Le vediate; sì che anco
Nella sua aparita
Chi ss' assottilglierà,
La porrà conosciere: che non sarà
Picciola gratia a chui Iddio la desse.
pt. 1, cap. 1
In questa primiera Parte del presente libro
io comincio a ttrattare
Della fanciulla, la qual si comincia
Alquanto a vergongniare;
E questo èe l' uno de' sengni,
Ch' ella comincia bene e mal sentire.
Ed in questa cotale dove' savere,
C' omai cade peccato
S' ella fallasse a dDio;
E merito, sed ella ben si porta.
E sua fighura per melglio mostrare,
Potete vedere qui di sovra pinta,
Davanti a una donna
C' à nome la Innocentia,
La qua' le dà commiato di sua corte,
A conditione s' ella non conserva
L' usata puritade;
E dicie queste parole:
Innocenza I' son con teco insin a ora stata;
Ma pensa omai di dimorare altrove,
Qualora un fallo sol da tte si move.
La Fanciulla risponde a llei in queste parole:
No· mmi cacciate, che io non fallai;
Ma vidi un donzelletto andar cantando:
Piaquemi alquanto; ed io men vergongniai.
pt. 1, cap. 2
Ritorno alla materia principale,
E vengnio al primo grado d' esta Parte.
E dico, che s' ella fosse filgluola
D' imperadore o di re coronato,
La sua usanza incontanente sia
Colla sua madre, e coll' altre maggiori
Che ssono nella magione;
E, quanto giovanezza le conciede,
Ritraga alli costumi delle donne:
Ché sanza dubio l' usanza di buoni
E delle buone farà lei ritrarre
A non voler da lor trasnaturare.
L' usanza delle rie persone facie
D' essa natura similgliante quelle
Che vanno e usano e stanno con elle;
E la natura umana,
Come savete, è più lasciva in male,
E 'l ben è fatigoso a chi nol cale.
Vero è che tanto onor segue del bene,
Che chi ss' aprende a ccaminar diritto,
Tenpo verrà che fitto
Terrà suo cor per amor di virtute
Ad ovre tali, che ricieve salute.
Né mai sanza sue balie
Overo maestre o bali
Vada tra chavalieri over donzelli,
Se da suo padre o madre overo fratelli
Non è chiamata prima over mandata;
Proché tal fiata
Chosì passando alchuno folleggia ad essa,
D' onde porria onor di lei bassare.
E quando sta fra giente
Gli occhi suoi lievi poco,
Però che nel guardare
Si colglie tosto dall' uom ch' è ben saggio
Lo 'ntendimento dell' altrui coraggio;
E quella è saggia che ssa ritener
Sì dentro il parer suo,
Che alchuno di fuor non sen possa avedere.
E quando ode parlare, ascolti e inprenda
Bei modi di parlare:
Che ggià parlando non fructo si colglie
Colà, dov' el a luogo e tenpo non è.
E Salamone e Senaca co' molti
Altri ch' ànno parlato
Lodano molto il taciere;
Ché non che il savio, ma il matto, se tacie,
È tenuto che saccia.
pt. 1, cap. 3, par. 1Una donzella parlava molto. Una fiata
a tavola disse uno suo balio: «Tu parli per tutti
quegli che ssono a tavola». Disse ella: «Mesere,
costoro sanno parlare, e però si possono posare;
ma io non so, siché mi conviene parlare per inprendere».
pt. 1, cap. 3, par. 2Eravi uno valoroso huomo, ch' ebe
nome Ugolino Bozuola, che disse allora questa bella
parola: «Chi vuol parlando trarre,
Folle pensiero l' accolglie».
pt. 1, cap. 4
Ritorno alla materia,
E dico, che non è sì da taciere;
Che altri non parli mai,
Sì c' altri non diciesse: «Ella non parla
Perch' ella è muta».
Ma dico, da taciere è e da parlare,
Come lo luogo e llo tenpo richiede.
Ma qui non soprasto,
Che non ben si conviene a questa Parte.
Che pur in sommo taciere è llaudato
In questo grado di questa fanciulla,
Colà dov' è tra giente;
E nel parlar porria spesso fallire
In suo danno e vergongnia.
Siano li suoi atti senpre vergongniosi
Però c' a llei vergongnia è grande virtude.
E s' ella è domandata
O mandata a parlare,
Rispondi e parli tenperatamente;
E 'l suo parlare sia basso,
Colle sue mani e l' altre menbra ferme:
Ché 'l movimento e il mutar delle menbra
Singnifica in fanciulla troppi vezzi,
E nella grande, mutevole core.
E ssia nel suo mangiare
Ordinata e cortese,
E bea poco, e quello sia tenperato;
Ché como ella s' invezza,
Così vuol poi durare:
E quanto che nell' uomo
L' ebriare stia male,
Sta nella donna troppo più villano.
E quando siede a tavola, non giaccia,
Né vi tengnia le braccia
Suso, però che questo
È sengnio di grossezza.
E sse mmai parla poco,
Questo è quello luogo
Dove le conviene allora men parlare.
Né mai si tenga il capo colle mani,
Né giaccia, s' ella è sana,
In collo a ssua maestra.
E sse avien talora
Le convengnia cantare
Per detto del singniore o della madre,
O dalle sue conpangnie
Pregata un poco prima,
D' una maniera bassa
Soavemente canti,
Ferma, cortese, e colgli occhi chinati,
E stando volta a chi magior vi siede.
E questo canto basso,
Chiamato «camerale»,
È quel che piacie, e che passa ne' chuori.
Ché dice uno Provenzale
Cotali parole sovra questo punto:
«Ongni cantar si volgie
Con assai più dolciezza
Nella vocie minore,
E questa passa più tosto nel core».
E meser Guido Guinizelli disse:
«Donna, il cantar soave,
che per lo petto mi mise la vocie,
che spengnie ciò che nuocie,
pensieri in gioia e gioia in vita m'ave».
E s' egli avien che per simil comando
Le convengnia ballare,
Sanz' atto di vaghezza
Onestamente balli;
Né già como giollara
Punto studi in saltare,
Acciò che non si dica
Che ella sia di non fermo intelletto.
Odi perché perdeo a Folcalchieri
Una gientil fanciulla
Lo maritaggio del Duca di Storlich.
pt. 1, cap. 5, par. 1Sensonia fue filglia di meser Guilglielmo
da Folcalchieri, uno valoroso cavalieri da schudo e
antico gientile; e sanza dubio ella era maravilgliosamente
bella. Lo Dugie di Storlich passava per lo
paese, e veduta lei, diliberò in sè di torla per
donna.
pt. 1, cap. 5, par. 2La madre, ch' ebe nome madonna Gienea,
desinando il conte in camera co· llei, e cierti altri
ch' erano ivi ad albergo la fecion ballare al suono
d' uno mezzo cannone; sicché a uno accorto ballare
ch' ella volse fare ballando e saltando, cadde sì
ch' ella mostrò la gamba.
pt. 1, cap. 5, par. 3Siché il Dugie ne
disdengniò; e rimase per questo così alto suo onore.
pt. 1, cap. 5, par. 4Ritorno alla nostra materia.
pt. 1, cap. 6
E llodo che ssi sforzi e piaccia a llei
Lo bene andare aconcia.
E sse ghirlanda porta,
Lodo che ssia pure una
Gioliva e piccoletta;
Ché, como voi savete,
Grossa cosa è tenuta
Portar fastella in luogo di ghirlande.
E quanto ell' è più bella,
Tanto minor la porti;
Però che non ghirlanda
Ma piagier fa piagiere;
Né ffa l' ornato donna,
Ma donna fa parer lo suo ornato.
Sì ch' io mi credo che più piaccia ancor
Quella che non si sforza inn aparire,
Con men bellezze, che ll' altra con quelle,
Che sson dipinte, e non duran com' elle.
E però credo che disse lo Schiavo:
«Piacemi in donna bellezza che dura,
E quella è da natura».
E sse d' alchun sollazzo
Ridere le convengnia,
Non gridi: a! a! né consimili voci,
Però che cciò faria mostrar li denti,
Che non è cosa conta;
Ma ssanza alchun romore,
Senbranza faccia d' alchuna allegrezza:
Ché voi save' ch' è scritto,
Che il riso sta nella bocca de' matti.
E qui s' intende di riso sfrenato
E del continovato,
Non miga della faccia rallegrare,
E tenperato riso,
Rado, e a lluogo e a ttempo suo.
Anzi confesso, che non rider mai
Viene da crudele o vitioso chore;
E questa tal fanciulla
Non è distretta ancor a ttutto tanto.
pt. 1, cap. 7, par. 1Fui una fiata in Vinegia. Vedemo una
bella donna. Fu domandato poi l' uno di noi: «Che tti
pare di madonna cotale?» Colui rispose: «Piaciemi
s' ella non ridesse». Disse l' altro: «Però mi piacie
ella più». Disse il terzo: «E a me s' ella potesse
ridere cielando ch' ella à meno uno dente».
pt. 1, cap. 7, par. 2Lassovi lo nome, per non aver detto villania della
Donna; e ttorno alla materia.
pt. 1, cap. 8
E ss' egli avien che piangier le convengnia
Per alchuno accidente,
Sia sanza vocie lo suo lagrimare;
Né mai bestemmia di suo parlar vengnia
Né parola villana;
E spessamente chiami la maestra,
E facciasi insengniare,
Como fiorire in su' costumi possa.
E sse colla sua madre
Forse alla chiesa andasse,
A poco a poco inprenda
Di stare onesta e conta,
E adorare, e paternostri dire,
Come la madre vede
E ll' altre donne stare;
Sempre seguendo l' amaestramento
Della sua balia o balio,
In quanto elgli è laudevole ed onesto.
E s' alchun cavaliere
O balio è diputato a llei portare
O poi raddurre a corte, e tal fiata
A metterla a cavallo,
E tal fiata in gabia overo cariera:
Stia a llui in braccio onesta e vergogniosa,
E de' suoi panni chiusa,
Colgli occhi bassi ed umile senbianza.
pt. 1, cap. 9
E parmi, c' a ssuo stato si convengnia,
Che 'n questo tenpo inprenda
Legiere e scrivere convenevolmente;
Sicché se convenisse
Lei donna rimanere
Di terra o di vassalli,
Sarà più conta a reggimento fare.
Ché ben save', che 'l senno accidentale,
Lo qual porrà poi conquistar legiendo,
Aiuta il naturale in molte cose.
Ma qui si noti, che femina sia
Colei che cciò le 'nsegni,
O tale persona che non sia suspetta;
Ch' elgli è grande cagione
Di molti mali la tropa confidanza:
E questa etade à tenera perdanza.
Così è questa l' età dove puote
La sua tenerella testa
In sè far radicanza
Dell' alta donna, c' à nome Costanza.
Io vi misi di sovra
Filglia d' inperadore
Con quella del re insieme;
Che quasi possono di costumi gire
In similgliante grado:
Avengnia ch' io ricordo
Che quanto ell' è maggiore,
Cotanto èe più obrigata
Ad alto costumare;
Come in essa, e ciaschuna ch' è grande,
Seria lo fallo di tanto magiore
Vendetta e pena dengnio,
Quanto à più onor, c' a molti è quasi sdengnio.
pt. 1, cap. 10
Ora vi disciendo algli altri gradi di questo Capitolo.
E ss' ella sarà filglia
Di marchese, di duca,
Conte, o d' uno altro simile barone,
Porrà tenersi alli detti costumi,
Ma puote più indugiar a cominciare,
E già non far sì alti portamenti,
E non bisongnia ch' ella
Cotanto stretti tenga suoi costumi;
Ma quanto più costuma
Ciaschuna, tanto più è da llaudare:
Ed in questo non può troppo sforzare;
Ma seria da biasmare
Dell' altegiar, s' ella il facesse più
C' a suo grado convengnia.
E anco sono di quelle
Filgluole di baroni per natione,
I chui padri però non sono possenti;
Le quali porranno usare
Costumi di filgluola
Di cavaliere da schudo.
E ancor ci à filgluole di baroni,
Li chui padri tornati sono al niente;
Le quali a onestade
Porranno strette stare a lloro volere;
Ma quanto ad atteggiar
Deggion mutare maniera,
Sicondo mutamento di loro stato.
E qual suo stato non conoscie bene,
Prenda sor ciò consiglio;
E se nol po' al tutto bilanciare,
Almeno sicondo lo milglior parere
Modi ciaschuna prend' ad oservare:
Che in tutt' i gradi questa è somma via,
Considerare e riguardar suo stato;
Lo qual chi conosciesse,
Rade fiate porria poi errare.
Odi che disse meser Guido Guinizelli:
pt. 1, cap. 11
S' ella sarà filgluola
Di cavaliere da schudo,
O di solenne Judicie,
O di solenne medico,
O d' altro gientile huomo
Li chui antichi ed ello usati sono
Di mantenere onore,
Nella chui casa sono
O sieno usati d' eser cavalieri:
Costor pongo in un grado in questo caso,
E lasso il più e 'l meno
A quella discretione che Dio dà lloro.
E dico di colei c' à questo grado,
Ch' ella non fia sì tosto
Tenuta alli costumi
Come quell' altre ch' è detto di sovra,
E porrà ben più ridere e giucare,
E più d' attorno onestamente andare,
Ed anco in balli e canti
Più allegrezza menare.
Ma però c' ongni etade
Onestade raconcia,
Parmi che quanto puote
Suo voler rafreni,
E trarsi a' bei costumi
Dell' altre più antiche,
Che tanto se insforzi
Vergongnia temendo,
E poi riguardi alli detti costumi,
E servando ciaschuno
Quanto convengnia a llei, sua vita acosti
Ad averli con seco.
E sicondo l' usanza della terra
E voler di sua madre, o borse fare,
O chucir, o filare
Inprenda pienamente;
Sicché, poi che sarà
Con suo marito in casa,
Possa malinconia con ciò passare,
Otiosa non stare,
Ed anco in ciò alchuno servigio fare;
Ché non sa se ventura
La volgiesse al di sotto,
Sì ch' ella converria sua vita trarne.
E questa non è nuova cosa al mondo;
Anzi vediamo spesso
Le grandi altezze al basso ritornare.
Però dovria ciaschuna
Ordinar sè non sicondo come èi,
Ma sicondo che lle può avenire;
E tutti i savi laudano questo molto:
Provedersi dinanzi.
La qual virtù chi bene avesse seco
Non so da qual perilglio
Lo bisongni dottare;
E questa è quella ancora
Per chui si monta inn ongni altero stato;
La provedentia conserva ed aumenta
E tien sichuro il suo seguitatore
Da male, e poi il dirizza nel milgliore.
E però c' alchuna ora
Li mangiar che lle donne
Con sua nettezza fanno
Solglion molto piagier ai lor congiunti,
Ed anco tal fiata
In caso e tenpo di necisità:
Lodo sed ella inprenderà da donna
O altra servigiale
Ciaschuno comune e sottil chucinare.
Che, poniàno che giammai
A llei non bisongniasse,
Almen sa poi li mangiari divisare:
Che quelli è quello che si sa far servire,
Lo qual sa como si fanno i servigi;
E quel sa ben talgliare a un singniore,
Il quale èe ghiotto e conoscie i morselli.
Così chi ssa come si fanno buoni,
Tosto veder porrà se 'l suo mangiare
Difetto arà.
Vo' save' ben, che ssi dicie d' Amore,
Che mal ne può trattare
Colui ch' è lungi dalli colpi suoi.
pt. 1, cap. 12
E questo è 'l tenpo, nel qual a me pare
Che sse piacie alli suoi,
Inprender può legiere,
E anco a scrivere alquanto con esso.
Ma sovra questo punto
Non so ben ch' io mi dica;
Che molti lodano ciò,
E molti biasmano ciò,
Quando la donna è grande.
Pur noi vediàno, c' assai più tosto cade
Colei c' à fachultà del suo cadere;
E però sono gli freni
Per infrenare i malvagi voleri.
E bene è scritto, come voi savete,
Che non è cosa che ssia men filicie,
Ch' elgli è felicitate di peccare.
Che ccioe vuol dire ch' è ria
La possibilità dello malfare;
E sanza dubio per lo non potere
Molti falli si lassano dalla giente:
E sse tu tolgli un punto
All' animo ch' è mal disiderante,
Vien poi ragion, che spengnie il volere.
Ben vede ongnun, che sse potesson tutti
Sanza pena fallare,
Che nostro stato non poria durare:
Onde son fatte per questo le leggi,
Per rifrenar li voleri de' malvagi.
Se dunque tu mi dai
Lo modo per lo qual possa fallare,
E no· mmi dai freno al contrario del fallo?
E sse mi di': «Lo legiere e lo scrivere
No· mmi danno cagione dello malfare»;
Vero è; ma ssono i modi
Pelli quali io porrò venire al fallo
Assai più facilmente:
Che ggià per altro non furon trovati,
Se non per render cierti
Coloro ai quali l' uomo non può gire;
Del loro intendimento e lloro volere;
Poniàn, c' ancora per aver memoria
Di quelle cose a che noi non bastiamo.
Né credo alchun huomo savio dubitare,
Né anco apena alchun delgl' ignoranti,
Che lettera può fare e trarre a ffine
Assai di quelle cose,
Che in altra guisa non ariano effetto.
Non dico perché bene
Si possa guardare
Colei che ssé guardare non volesse;
Ma può l' uomo alla ria molti suoi tratti
Torre, e alla buona torre le cagioni
Che porriano la sua mente machulare.
E chi potesse della sua filgluola
Dire: Ella fia veraciemente buona-;
Ciessariano tutte queste mie parole.
Ma pur nel dubio dobiamo pilgliar
La più sichura; e or m' acordo in questo,
Ch' essa fatichi a inprendere altre cose,
E quelle lasci stare.
Ma sso bene ch' io n' offendo gli amadori
In questo; e ellino mi perdoneranno,
Ché dirittura mi costringnie a cciò parlare.
Vero è, che chi avesse intendimento
Di lei monacare,
Porian ciò fare inprendere a cquella;
E se non fosse per l' oficio loro,
Io loderia del no ancor di queste.
Ma sia che po', Iddio sa como fanno;
Credo io per me ch' è bene.
pt. 1, cap. 13
E però che costei
À viepiù largo dell' andare attorno,
Che ll' altre ch' èn di sovra:
Parmi che con fanciulle
Di suo tenpo e contrada,
E quando può colle sue incarnate,
E viepiù colle donne, si ritragga.
Né ggià sostenga punto,
Ch' alchuno huom per carezze,
Fuorché 'l padre, la baci,
Ed anco a llui ne dimostri vergongnia,
Acciò che usanza algli altri
La mantenga dritta.
E guardi che non prenda,
Fuorché da' suoi distretti,
Ghirlanda alchuna o simili gioiette;
Che poi perciò, s' a llei ne fosson cheste,
No· lle poria così tosto disdire:
E questo dare e riciever, sì danno
A cquelle gienti che stanno d' attorno
Molte fiate mala sospeccione.
Vero è che questa etate
Schusa alquanto la sua fanciullezza;
Ma questo è ver, c' a questo mal l' avezza.
E tal fiata lo dono si riserba
E mostrassi d' intorno,
E no· lle dà onor quand' ella è grande,
E più talor si spande.
pt. 1, cap. 14
Se figluola èe
Di mercatante o uomo comune
O di comune essenza;
Come, fuor gentilezza di natione,
Molti son popolari,
Artefici e altri assai,
Ed anco ricchi, che vogliono menare
Como gientili lor modi e llor vita:
Tutto non si convengnia
Che tanto apaia sua altezza suso,
Ma però che in ciaschuna
Tutto ben si conviene adoperare,
Parmi che ne' costumi
E sua vita menare
A quest' altre s' acosti,
Considerando sempre
Quanto tengon le predette cose,
Di grandezza o d' altezza
Sciemi ciaschuna come a llei convengnia;
E parmi più tenuta in questo grado
A inprendere a ffare
Di molte più minute masserizie
Che domandan le case,
Over conducimento delle case.
E meno in queste che nell' altre dette
Lodo legiere o scrivere, anzi lo biasmo.
pt. 1, cap. 15
Se filgluola sarà di minore huomo
Lavoratore di terra,
O d' altri similglianti;
Poniàno c' alchuna più ed altra meno,
Sicondo lor richezza e llor bontà,
Possa ritrar alla buona osservanza:
Tuttora parlo, che comunemente
Traendo sé alli detti costumi,
Pilgliando la più larga, inprenda bene
A chucire, a filare,
E a chuocier melglio, e masseritia fare.
E como anciella sostenga per casa
Fatica e briga al condur la familglia,
E porti e rechi e vada e torni e stia
Como bisongnia e da' suoi detto sia.
E non si churi tosto d' aconciare;
Ma scalza e mal vestita,
Non petinata né llisciata molto,
Como il poder della casa richiede,
Sì prochuri d' andare:
Però ca star fanciella,
Ed andarsi lisciando,
Non si convengono molto bene insieme.
Ma quando puote aconpangniata vada,
E non di notte, quando il può ciessare.
E ridere e giucar,
E piangiere e cantar
Porrà più largamente,
Che ll' altre che sson dette;
E paia ancor ched ella non si churi.
Tuttora, quanto può covertamente,
Ai costumi ritragga,
E sforzi sua natura;
Ché tutti fumo filgluoli e filgluole
D' Adam e d' Eva, come voi savete.
pt. 1, cap. 16
Or lascio qui di dire
D' alquanti gradi che ssariano più giuso,
Però che ssi porranno
Nel quintodecimo Capitolo,
Dove si parla in gienere di molte,
Per non disonestar tropo li gradi
Di molte altre grandi,
Che dette sono di sovra.
Ma sso c' allor già non saria disgrato;
Ché per le basse conosciàn le grandi.
Ma pertanto che lgli legitori,
E lle donne che llegieranno,
Vorranno tal fiata
Inducier le sue filglie
A bella costumanza:
Per essemplo porete
Legiere qui una legiadra e bella
Novella.
pt. 1, cap. 17, par. 1Fue nella Casa di Savoya anticamente
uno messer Corado, huomo di grande cortesia, prodezza
e larghezza, senno, piaciere e fortezza sovra
tutti gli altri del suo tenpo, bello e formoso del
corpo, e gratioso dalla giente, pieno di molte virtù,
le quali saria lungo a contare.
pt. 1, cap. 17, par. 2Il quale volse
mettersi ad aver per sua donna la più bella che potesse
trovare, se per alchuno modo si potesse avere.
E non fidandosene inn altrui, si mise con picola conpangnia
a cciò ciercare; e cavalcò per più città e castella
e luoghi quatro mesi continovi, rattengniendosi
nel luogo tanto, che 'l ciercava como possibile era.
pt. 1, cap. 17, par. 3E in
fine di questo tenpo gli
vennono
lettere,
che il re d' Inghilterra gli
volea
dare una sua filgluola;
siché ello
andò a
vederla, e
trovò e conobe
ch' ella era
fontana di tutte
bellezze sovra
l' altre ch' elli avesse
vedute.
pt. 1, cap. 17, par. 4Ella avea nome
Anna; e con ciò sia ch' ello con sua conpangnia
avesse in quel giorno quasi diliberato di prendere
questa Anna, non rispose però in quel dì allo re,
ma partissi da ccorte, ed andò ad albergo con uno
cortese cavaliere, c' avea nome messer Guilglielmo;
il quale si sforzò, sì per lo comando del re e ssì
per sua valentia, d' onorare e onorò molto messer
Corado. E quando vennono alla ciena, la donna di
messer Guilglielmo venne a onorare messer Corrado;
e menò apresso di sè una sua filgluola, c' avea nome
Gioietta, la quale era d' etade di nove anni.
pt. 1, cap. 17, par. 5Ed
acciò che di lei brievemente vi parli, tuttoch' ella
non fosse così bella come la filgluola del re, ma
ella era insoma la meglio costumata fanciulla che
mai si vedesse; siché seriano stati gravi li suoi costumi
in una conpiuta contessa.
pt. 1, cap. 17, par. 6Messer
Corrado,
guardando la Gioietta e lli suoi
costumi, e
considerando bene come s' ella
continovasse per
innanzi
dovriano
cresciere per ragione: non
lasciò,
perc' avesse diliberato di torre la più bella che
trovasse, né
perché
Anna fosse
filglia di re, né per
l'
alto
parentado, né per grande
dote che
nn'
aspettasse,
né perché già avesse in
cor diliberato di torre
Anna: tanto
invaghì de'
costumi di Gioietta, che
incontanente l'
altro
giorno seguente, fatto la
schusa
allo re, e
auto suo
consilglio, e parlato a messer
Guilglielmo, lasciò
Anna, e prese Gioietta per sua
sposa; e,
ordinate balie e
bali a llei
condurre, e una
gabia in su
cavalli, e
presa conpangnia assai, sanza
alchuna
dota, con buona
volontà del re menò al suo
paese la Gioietta.
pt. 1, cap. 17, par. 7Dove co· llei ebe tanto di bene
e d' allegrezza, che saria difficile a contare; e finalmente
acconci con Dio morirono inn un giorno, e
furono messi inn uno monimento insieme.
pt. 1, cap. 17, par. 8E omai ritorno alla materia nostra, e disciendovi
alla siconda Parte del Libro.
pt. 2, cap. 1, par. 1
Questa è lla siconda Parte di questo
livro,
nella qual ci
conviene trattare della
giovane, che
venuta èe
già nel tempo del maritaggio; la quale,
se voi
guardate, qui di sovra voi la vedrete dipinta;
e
vedete che una
donzella c' à nome
Verginità, la
quale èe ritratta sicondo li suoi
singnificamenti, le
porgie la
mano, e
vuolla menare in
paradiso, e
dicie a llei queste parole:
pt. 2, cap. 1, par. 2
Verginità I' sono Verginitade;
E dico, se ttu mi vuo' seguire,
Porrai co· mmeco all' alto Sir venire.
E lla Donzella giovane risponde quest' altre parole:
I' son con teco e vo' venir con teco,
Ma non so s' i' potrò perseverare;
Ché lla mia giente mi vuol maritare.
pt. 2, cap. 2
Ritorno alla materia;
E dicovi che questa è quella etade,
Della qual parla e dicie Salamone:
«ch' è più malagievole a conosciere come debia riuscire»;
Cioè l' adoloscienza;
Poniamo che di sovra
«Giovane» la chiamasse,
Però che più s' acosta
Al comune volgare.
E questa si convien molto sforzare;
E rifrenare i voleri e' disii;
Che tutti quelli che volglion donna torre,
Poniàn che ben conoscier non si possa,
In questa etade volglion judicare;
E ciò divien, perch' elle più si danno
In questo tenpo a vita maritale.
Costoro ànno d' intorno
Molti che per diversi modi danno
Fama ed infamia molto legiermente.
Costoro hanno ne' chuori
Mutabili pensieri;
Onde non si porria notare in libro
Lo grande rischio a che elle stanno,
Sì quanto a dDio, e quanto a quello onore
Che nnoi diciàno mondano.
pt. 2, cap. 3
Omai disciendo al suo primo grado, e dico:
Che ss' ella sarà filglia
D' inperadore o di re coronato,
Convien per tenpo molto
Cominciar sua distretta.
E quasi nullo tenpo
A finestra o balcone o uscio o chiostro
O altro luogo plubico dimori,
Anzi le paia senpre
Noia soferir quand' ella sia veduta:
Ché questo è ssommo sengnio d' onestade.
E como crescie nella etade sua,
Così in vergongnia a giorno a giorno cresca;
Ch' ell' è una virtude,
Che molta lode spande
Sovra di quelle che ll' ànno con seco;
E d' ongni vista humana
Senpre mostri paura:
Intendo qui, ma tenperatamente.
E quando pur le vien guardato alchuno,
Perché non se n' aveggia,
Non sia ridendo quel cotal guardare,
Né fermo tengnia a uno riguardo gli occhi;
Inperò che questo sono,
Infra cierte altre, saette d' amore,
Le quali porranno essere riprese in male.
E voi save', ch' uno piccol riguardo
Dischuovre tal fiata un grande amore;
E tal fiata è creduto
Che sia tra cierti amore,
Per un picciolo guardare,
Che tutto è fuor del loro imaginare.
Sicché ben fa chi si guarda nel vero,
E tien coverto il suo segreto a ttutti;
E ben colui, che, poi che non ne sente,
Non fa ch' un altro n' avengnia credente.
E con sua madre e colle sue maestre
Sia notte e giorno continoa usanza,
E fra lla giente schifi sempre andare.
Ma sse per volontade
Di suo padre o madre
La convengnia venire,
E fra lla giente stare overo in casa
Overo inn un giardino,
Overo ancora forse chaminando,
Sovra alchuna cariera, o forse in nave,
Como tal fiata a queste grandi adiviene:
Cotanto e non più lievi li occhi suoi,
Quanto ad andare o sedere o stare
Per bisongnio conoscie,
Non partendosi dalle maestre,
Overo da presso della madre sua;
Né parli punto, se non quando forse
Nicisità la sforza;
Ed allora, soave e vergongniosa.
Ma s' ella fosse in camera
Con sue maestre, over con altre donne,
In luogo alchun dalgl' uomini rimosso,
Porrà, per suo tempo passare,
Parole belle e più alquante dire,
E sollazzo con gioia
Usare talora tenperatamente;
E pianamente dire
Il giorno una fiata
Alchuna bella e onesta canzonetta.
Né lodo in lei cantare
In altra guisa o loco,
Né ggià ballare, e ancor men saltare.
Ma perocché durar
Non poria sì rinchiusa
Con tanto freno la sua tenerella
Età, lodo che ss' ella
Àe seco alchuna donna
O balia over maestra
Che ssi intenda di suono,
Faccia talora sonar bassamente.
E sse 'l suo intelletto
S' aconciasse a diletto,
Porrà inprender d' uno mezzo cannone,
O di viuola, o d' altro
Stormento onesto e bello,
E non pur da giullare,
O vuole d' una arpa, ch' è bene da gran donna.
E questo inprenda da donna, se puote;
La qual se vien di fuori,
Tenga con seco allo suo insengniare
Presente alchuna delle sue maestre.
pt. 2, cap. 4
Ma qui vi lascio alquanto
A dire d' esta materia;
Però ch' io son sì stanco,
Ch' io non porria scrivere con penna,
Ch' io conpiesse questa Parte intera,
S' io non andassi alquanto fuor di casa
Inn uno giardino che non ci è molto lungi,
Dove m' è detto mo' novellamente
Che riposa l' alta Donna mia;
Sì prenderò da sua virtute forza.
E volglio ancor da llei
Savere, s' io debo star per questo libro
Sì llontano da llei,
Ch' io no· lla possa veder tal fiata:
Che sse ciò fosse, la mia vita è breve,
Com' a llei darmi morte e vita è leve.
Francesco Madonna, Iddio v' allegri,
Che v' à formata tale,
Ch' ogn' uom s' allegra che voi vede in vista.
Madonna Tu ssia così venuto,
Come tu m' averai bene ubidita
Del libro che tti fue comesso a ffare.
Francesco Madonna, po' ch' io seppi,
Che ssol vostro volere
Era ch' io ciò faciessi,
Mai non pensai se non pur d' adenpiere
Lo vostro mandamento.
Ma vo' save' che m' è forte grave
Cotanto star, ch' io non vi veggia punto.
E ancor vengnio a voi per dimostrarvi
E per legiervi prima
Quel poco che nn' è fatto;
E per saver se vi piaciesse ch' io
Altro modo tenesse;
E per pregarvi ancora
Che vi piaccia, che io possa ciaschun' ora
Che io mi stancassi, ricorrere a voi,
Per prender forza dalli vostri raggi.
Madonna Io son contenta di ciò che tu ffai:
Ch' io so che 'ndustria ti mena diritto;
Eloquenza t' aiuta ad aconciare.
Né volglio udir questa lettura ancora,
Ch' i' ò paura c' altri non ci avengnia;
Ma io manderò tostamente per te,
E tu allora mi porrai parlare,
E llegier questo, e ll' altro che fia fatto.
Ma perch' io temo d' esere conosciuta,
Com' io t' ò detto innanzi,
Tu mmi vedrai tostamente aparire
In forma tal, che ttu mi conoscierai,
Ma non sarà chi mi conosca intorno;
Ché, perch' io veggio la tua ferma fede,
I' m' ò pensato di farti una gratia,
Di darti spatio di poter parlarmi
Quanto vorrai, ed ascoltarti fisa.
E or pensa quello che tu vuo' dire
E dimandar, ch' io sono aparechiata
Di farti tutte quante quelle gratie
Che ttu mi domanderai pienamente.
Francesco Madonna, i' son sì pieno della promessa,
E ssu mi tira sì forte speranza,
Ch' io non so ch' io domandar mi pensi;
Ma spero ch' io per la vostra virtute
Arò per innanti gratia
Di conoscier mia salute.
Madonna Or va con Dio, e no· mmi tener più;
Che ll' Onestà mi costringnie ch' i' torni
A dimorar nella camera mia.
Francesco Addio, Madonna. Ed io torno a parlare,
E metere inn iscritta
Quella matera che voi mi comandaste.
pt. 2, cap. 5
E parmi ch' ella deggia dimorare
Tutto lo giorno da dimane e da sera
Aconcia onestamente;
E sicondo l' usaggio del paese
Vestiri, ghirlande ed ornamenti porti,
Come si conviene a ssua grandezza.
E lodo ch' ella prenda
Più tosto il men che 'l più ad osservare,
E più la via del mezzo;
Prò che, come il Filosafo dicie:
«In tutte cose nel mezzo è lla virtù»,
E per lo mezzo li Beati andarono.
Non parlo di suoi netti lavamenti;
Che nne dirà la settadecima parte,
Colà dove è degli loro ornamenti.
E ss' egli avien che colla madre sua
Per alchun luogo passi,
Non si inframetta d' alchun salutare;
Ma cortese e soave,
Facciendo piccioli passi e radi e pari,
Vada davanti a llei,
Non guardando sua spera,
Né risguardando alchuno, né dilettandose
Nelle ciancie che vede;
Ma guardi e pensi come onesta vada,
E lasci stare ongni sollazzo e giuoco
In questo caso.
E sse cominciano le magiori a ffare
In giardin le ghirlande,
Ed ella ne vuol fare,
Guardi ove sono li più nuovi fiori
E lli più piccoletti,
E faccia una picciola ghirlanda.
E perché non conviene allor lo specchio,
Acciò che lle stia bene
Faccialasi acconciare a sua maestra;
E se n' àe più in capo,
Isciemi quella c' a llei piacie meno,
E diala alla maestra che lgliel serbi,
Acciò che non venisse
A mano d' alchuno amante.
pt. 2, cap. 6, par. 1Ché io mi ricordo, ch' io vidi una fiata
una gientil donna andare a oferere; e oferse incienso,
il quale trasse d' una sua bella borsa.
pt. 2, cap. 6, par. 2Ed uno
suo intenditore che ll' andava guardando, andò all'
altare, e puosevi molti danari, perché il preve che
guardava non si turbasse; e levonne quello incienso
e portònelo.
pt. 2, cap. 6, par. 3Lo preve pensò poco d' altro,
quando vide i danari. Altri erano d' intorno, e cominciarono
a dire: «De! vedi come per bel modo
quella donna seppe donare a colui».
pt. 2, cap. 6, par. 4La
donna, ch' era sanza colpa, quando se n' avide
guardava spesso colui ch' ell' avea per male; altri
credea ch' ella il guardasse perch' ella l' avesse auto
per bene, e perch' ella s' intendesse ben co· llui.
pt. 2, cap. 6, par. 5Colui poi ne fecie fare una ghirlanda, ch' era inn
essa li grani dello 'ncienso a modo di margharite;
ed uno ne portava fitto inn uno anello d' oro in dito.
pt. 2, cap. 6, par. 6Brievemente vi dico per non gravarvi, che ttanto
si sparse, e ssì andò questa cosa, ch' io ne
vidi uccidere sei huomini, ed ella ne fu morta.
pt. 2, cap. 6, par. 7
Siché molto conviene
A ciaschuna por chura
Dove rimane e come ongni sua cosa.
pt. 2, cap. 7
Ritorno alla materia; e dico ch' ella
Guardi ch' ella non ricieva
Ghirlanda né altra gioia
Di loco alchuno d' onde sospetto venga.
E sse ghirlanda fatta
Trovasse nel giardino, non la si metta,
Se fare non la vede
A una delle donne
O più, che seco sono.
Né mai, se non a tavola ordinata
O i· luogo dove a ciò veggia l' altre donne
Stare, mangi o bea,
E questo allora tenperatamente;
E se per sè pur bere le convengnia
Inn alchun altro tenpo,
In loco onesto nettamente bea:
Tenendo la manera
In ridere ed in piagiere
Ed a tavola stare, e ancor quand' ella
Fosse portata da alchun cavaliero,
Come di sovra al cominciamento
È scritto ch' ella deggia fare,
Senpre servando gli amaestramenti
Della madre o maestra,
In quanto siano diritti
Ed a questi accostanti.
E peroché in questo tenpo,
Al mio parere, a llei non si conviene
L' andare a chiesa, però no· ne dico:
Ché quanto è men veduta,
Tanto più cara rasenbra a ciaschuno;
E ongni cosa rara,
Dicie un dicreto, ch' è tenuta cara;
E anco noi vediamo,
Che quel metallo che più rado trova
Chi 'l va cercando, più studia d' avere.
Ed ancor ci à una cotale ragione,
Che se pure avenisse,
Che da natura alchun difetto avesse,
In picol tenpo così non si vede.
E cierto non so io qual sia colei
D' umana carne in terra,
Senza difetto alchuno.
Sola colei è che non ave alchuno,
La qual mi fa fare questa gientil cosa:
E questo avien perché Dio volle lei
Plasmar tanto compita,
Che tolse morte, ed adussemi vita.
pt. 2, cap. 8
Ritorno alla materia di sovra;
E dico, che poi ch' ella già non puote
Né si conviene a llei l' andare a chiesa,
Molto si converria,
Ch' ella talora sola inn alchun locho
Nella camera sua
Faciesse alquante invenie a reverenza
E onor della nostra Donna;
E sse legier savesse,
L' uficio suo, ch' è breve, diciesse,
Ed attendesse
Una partita della vita sua
In ricordarsi dell' anima sua.
Ma qui non sovrastò all' orationi;
Ché lle vedrete inanti
Nella parte finale di questo livro.
Ma ben vo' dir, che no· mmi piacie ancora,
Ch' ella tropo stia inn oratione;
Però ch' è melglio assai
Orar fervente e poco,
Che molte orationi,
Le quai poco si movon dal core;
Dio non va ciercando
Pur ronper di ginocchia,
Ma ben save' che va ciercando i chuori.
Elgli è scritto, che breve oratione
È quella che 'l Cielo passa;
Folle èe chi dunqua in pur cianciar s' allassa.
Ma qui ti guarda senpre, che s' intende
Dell' orationi fervente e ordinata,
Cola dimanda licita ed onesta.
Ché ssono alquante, che pregano che Idio
Mantenga loro il colore nel visaggio,
E che lle dia a star bella tra ll' altre,
E che mantenga biondi i lor capelli,
O che dia loro la bella fregiatura.
Onde per questo non v' afaticate;
C' allora il provochate contro a voi.
pt. 2, cap. 9
Oma' disciendo all' altro grado giuso;
E dico, che s' ella sarà filgluola
Di duca o di marchese,
O d' alchuno altro simile barone,
Porrà considerare
Li costumi di sovra,
E sé ad essi tanto confermarsi
Quant' ella porrà più,
Però che di costumi
Non può tropo avanzare.
Ma sì qui si guardi; che no· lle conviene
Cotanto alteramente
Menar sua contenenza;
E ben porria più largo diportare
Alchuna cosa lo spontaneo freno.
pt. 2, cap. 10
Ora disciendo e vengo
All' altro grado, e dico,
Che s' ella sarà filgluola
Di cavaliere da schudo,
Giudicie, od altro, che simile grado
Mantengono per richezza,
O gientilezza, o simile cagione:
Inmantanente ch' ella serà tale,
Che, sicondo che 'l suo paese porta,
Paia a sua giente ch' ella
Sia da marito
(Ché ciò non pur lo tenpo,
Ma tal fiata mostra la persona):
Porria sua madre, o suo padre, o coloro
C' ànno a pensare di suo stato innalzare;
Non mica sì per tenpo
Né con tanta strettezza,
Redurre a poco a poco a stare in casa,
Poi torle le finestre, e dirle: «Omai,
Filgluola, e' ti conviene mutar modo;
Ché l' uom ti pone omai chura alle mani».
Ed ela allora sia saggia, e ponga chura
A questi insengniamenti;
E quei che son di sovra
Che toccano a llei,
Considerato suo stato e suo grado,
Venga servando in quanto
Può melglio; e poi riguardi
Que' che io dirò di sotto,
I quali pertengon tutti
Spetialmente a llei.
E perché questa è molto i· molte parti
Più gieneral che lle dette di sovra,
Intendo alquanto stender la matera
In molte cose provate e vedute,
Narrate e avenute
A molti e molte in questo grado stanti.
Convien dunque costei
In molte cose quasi più guardare,
Che lle dette maggiori;
Però che quelle guarda
La potentia e lla dottanza
De' padri loro, e quasi tutti quelli
Che nella corte sono, ed ancor quelle
Son lor guardia di notte e di giorno;
Ma queste ànno men guardia
E via più battalglieri.
Onde save', che più càggion di queste,
Che non fanno di quelle;
E questa è la grande prova
Contro a color che dicono che la guardia
È poco da laudare.
Ma qui di ciò ti lascio, perocch' io
Ne dirò in quella Parte,
Dove si tratta della maritata.
Or ài veduto
Che guardia le bisongnia;
Diciam de' modi d' esto suo guardare.
E questo è il principale, ch' ella si guardi
Di dimorare sola con alchuno
Huomo, di fuori da padre e fratelli;
E fortemente si guardi da cquello
Ch' ella s' acorgie che la guarda spesso,
Né mmai con quello a riguardar dimori,
Né anco mai dimostri
Ch' ella di ciò s' accorga;
Né fugga, s' ella il vede, immantanente;
Ma poco stante, quasi nol vedesse,
Partasi, como per altro n' andasse.
E ss' elgli avien pur ch' alchun le parlasse,
E dimandasse contro a suo onore:
Partasi dal parlare,
E mostri come che non l' abia inteso,
Né poi attenda a guardar verso lui;
Che ggià parria ch' ella ratificasse
Ciò che detto gli avea.
E sol per una volta
Non sia persona a cchui
Ella ne parli; però che tal fiata
Di così fatte cose
Nascono crudeli ed aspre nimistanze.
E sse da una volta in su le parla,
Risponda francamente,
Con sua vista turbata,
E dica ch' ello èe folle,
E che la sua follia
Porria cara comperare;
E 'mantanente si parta da esso;
E poi in prima il dica colla madre,
Che porrà remedio saviamente.
Ma tuttavia la somma provedenza
È, di far sì che non sia che parlar
Le possa in alchun luogo.
E s' elgli avien c' alchuna
Messaggiera le portasse anbasciata,
Sì lla raccolga a quella prima volta,
Ch' ella non sia ardita
Di mai più ritornarvi.
Ma chi volesse usare una cautela,
El non si troverà se non ben radi
C' a llei parlasse o mandasse anbasciata:
Tener sì gli occhi fuor delle vaghezze,
Che mai non fosse alchuno che ssi potesse
Già ymaginare, ched ello a llei piaciesse;
E far lo similgliante del parlare.
Che, poniàno ch' e· lla donna,
Poi ch' ella è maritata,
Si possan sofferire cierte altre cose:
Di questa si convien troppo più stretta
E sotil guardia fare;
Sì perch' ella nonn à ancor suo onore,
E sì perché poco di machula tolle
A lei la buona fama,
E sì ancor perché la loro mente
Non è involta in molta costantia.
pt. 2, cap. 11
Ma io non so d' onde questo si vengnia,
Ch' elgli è venuto uno tenpo,
Che quella si tiene buona
E crede esser cotanto magiore, quanto
Più intenditori le vanno d' intorno.
E di cierti si gaba,
E di cierti si ride,
E di cierti altri fa coll' altre beffe;
E tanto va così d' intorno al fuoco,
Che quel ch' è beffa si converte in vero.
Non creda alchuno, ch' i' parli sì di tutte;
Ma dico sì d' alquante,
Che non conoscon ben che sia lor loda.
E chi di loro volesse savere
Qual è più da laudare,
Ponga ben chura a questo suo exemplo.
Sia colà una donzella
Molto bella e molto gaia,
E di sottile intendimento,
E bene parlante, e ricca,
E gientile, e riccamente ornata;
E questa, o da finestra, o per via andando,
Volgie in più luoghi gli occhi,
E sa sì fare e sì ben rismirare,
Guardando l' uno che ll' altro non sen corga,
E certe altre malitie usando, a modo
Ch' ell' à sempre ciento intenditori.
E viene un' altra, che non è sì bella,
Né ssì riccha, né con tanti ornamenti,
E poco parla, e va tutta soave
E con ongni pianezza,
Onesta tutta, e mai non leva gli occhi
I· modo c' alchun n' aggia intendimento:
Che sarà più laudata e più gradita?
Questa risposta è lieve:
Che lle buone e lle rie tutte diranno
Bene della siconda;
E quando passerà per via la prima,
Non solamente le buone diranno:
«Vedi colei, com' è disonesta»;
Ma le sue similglianti
Diranno: «Vedi, quella si tien bella»,
E simili parole
In disinor di lei.
Or vedi come si conoscie il fallo!
Che ai buoni e ai rei tutti universali
Dispiacie, e brasman quello;
E sempre al buono i rei
Tengon nel core alchuna reverenza,
Ché ben congnioscon, lui essere maggiore.
Se non mi credi, tosto il puoi provare.
Torrai tre donne oneste,
E di grande nominanza;
Metterai tra loro un' altra disonesta:
Dico, ch' ella vi starà sì contro a voglia,
Che lle parrà portare in collo un trave.
E questo avien, perché la coscienza
No· lla lassa posare,
E tuttor crede, c' ongn' uom parli d' essa,
E dicano: «Vedi ben donne andar iguali;
Ma ssempre questa, c' à rrotta la mente,
Farà sue vie nascose e disusate,
E crederà, che como Iddio la vede,
Così la vegga ogn' uomo nel core».
Ma qui, per Dio, mi perdonate, donne;
Che questa cotale ch' i' ò nominata,
Poniamo che ssia femmina,
Ella non è già donna,
Né vo' che sia tra lle donne nominata;
Ma dico questo, perch' esta donzella,
Della quale parlo in questa Parte qui,
Vegga come sono felli e ingannatori
Li movimenti della vanitade.
Ai! pensa ben tu che sse' d' esta etade,
Come porrai, primier davanti a dDio,
E poi dinanti a ttutta giente humana
Sichura stare, e andare e tornare,
Se ttu arai la sana mente e monda,
Sanza l' onor che dDio t' asiconda?
Odi Santo Agostino,
Alta parola che ci à data scritta:
«
Senti tu d'
Aghustino ciò che tti piacie, pure che lla
coscienza mia mi tenga
puro e
diritto
dinanzi
da dDio».
E bene save', che quale è difeso
Dalla sua coscienza
Libero sta tra ttutti achusatori.
Ricordami, che Senaca dicie:
«Sa' tu quando tu ti porrai dire
sciolto da ongni
chupidità? Quando tu sarai
giunto a
tale, che
non ti bisongni
pregare se non di cosa che
palesemente
ne possa
pregare. Onde fa tal vita
colgli
uomini come se 'l vedesse Iddio, e con Dio sicome
l'
udissono gli uomini».
Non lascierò, ch' io no· ne dica una:
Che quella che per così fatti modi
Ne crede tal fiata
Piaciere a llui che va guardando lei,
Nientemeno e' sì pensa
Nel core e dicie:
«Vedi colei come èe sfacciata!»
E sse aviene che poi l' aggia per molgliere,
Assai ne l' à men cara,
E non si fida poi giammai di lei,
Pensando: «Com' ella mostrava a me,
Così faria e più a un altro più bello».
E questa è una regola sì fatta,
Che 'n pochi casi falla.
pt. 2, cap. 12
Ora vi vengo ad uno vitio
Che rengnia spessamente
In queste donzellette,
Lo quale vorria, s' io potessi, sturbare.
E' ne sono molte, che quando per vezzi,
E tal fiata per una sciochezza,
Ch' àn volglia di vedere
Com' elle sono amate da lor giente;
E talora per alchuno disdengnio
D' alchuna paroletta
C' odon c' a llor non piacie;
E tal fiata perc' altri le lasci
Poi fare a llor senno:
E tal s' infingie che lle duole il fiancho,
E tale lo dente,
E tale la testa,
E tal dicie mattezze
Per dimostrar ch' elle siano fuor del senno;
Tal mostra che sia indemoniata,
E fuggie tutte le cose di Dio,
Per fallo credere melglio;
E tal cominciano questo,
Non credendo durar gran tenpo in questo;
Ma poi ch' àn cominciato
Van pure innanzi,
Temendo c' altri non diciesse poi:
«Vedi, che s' infingiea».
Sicché per questi modi
E per molti altri se ne perdon molte
D' onore e di stato;
E tal fiata per mostrarsi ben,
Si conducono a tale,
Che poi si muoiono sì villanamente.
A queste cose non so ben ch' io dica;
Ché gran fatica seria a potere
Mendare una sì folle e grande mattezza.
Ma volglio almen, che ssapiano tutte quante,
Che non è alchuna sì scaltrita in questo,
Che l' uomo saggio ben non se n' aveggia.
E poi si pensi quella, che per colpa
Di sua mattezza si conducie a morte,
Dove ne va la misera
Anima sua;
E sapiàno bene le lor bestilitadi;
E ben cognioscono li medici sperti,
Che infermitadi e che dolor son questi.
Ben sanno i savi, como indemoniate
E per che modo si possono savere
E vedere; onde fariano bene
Di non eser folle
Il lor dannaggio, e dispiacier di Dio,
E molti altri e altre.
E di ciò vi dico una brieve novella,
La qual di fatto fu lunga e noiosa.
pt. 2, cap. 13, par. 1
Una si mostrava indemoniata; ed era
molto bella, e i suoi
capelli avea molto
cari: e
cierto di ciò non mi
maravilglio, ché molto gli avea
belli.
pt. 2, cap. 13, par. 2Durò gran tenpo; e 'l padre e lla madre
non n' aveano più, e tuttodì piangieano, e scongiuri
ed altre cose aveano fatte assai, e non valea. Andòvi
uno mio caro amico in conpangnia d' uno suo
chugino; vide sua maniera, ed ebe conosciuta sua
mattezza.
pt. 2, cap. 13, par. 3Pensò di guarilla; trassesi in parte
col padre, e dissegli il vero. Accordossi col padre
e colla madre di fare ongni vista che potesse; non
venendo ai fatti, perocché troppo n' erano teneri.
Acciò che faciesse lor vedere che diciea vero, tenne
questa via in presenza di loro due, e di lei, e di
me.
pt. 2, cap. 13, par. 4Disse: «Questi diavoli che costei à in corpo
sono di sì fatta gieneratione, che non n' andranno,
se non è per fuoco. Fatemi portare una conca grande
di fuocho, e uno ferro sottile; e leghiamo lei in su
questo desco, e col ferro caldo le foriamo la testa».
Diss' io: «El ci saria forse rischio». Diss' ello:
«Sanza rischio non è mai. Forse che campa; e
s' ella canpa, ella sì è guarita». Disse il padre:
«Io la volglio anzi in questo rischio, che vederla
così fatta». E ella pure cinguettava, e mostrava
di non intenderci .-
pt. 2, cap. 13, par. 5Disse l' amico mio:
«Legatela». Fue presa, e lleghata a fforza. Disse
ello: «Per vedere melglio come noi dobbiamo fare,
e per poi melglio sanare la piaga, portami le forfici;
ed intanto che 'l ferro si scalda, tondialle i capegli».
pt. 2, cap. 13, par. 6Inmantanente che questa parola fue
detta, ed ella
chiamò la madre, e disse: «Io mi
sento per questo legare e per questo fuoco tutta
mutata; forse che lli diavoli ànno paura». A questo
diciemo noi: «Ora è buono andare
dietro alla
medicina».
Allora
pilgliò il padre le
treccie e disse:
«
Talglia!». E a questa ella disse alla madre in
segreto: «Non vi bisongnia; ch' io sono guarita».
pt. 2, cap. 13, par. 7Or non vi dico io più della novella,
ché ben la 'ntendete.
pt. 2, cap. 14
Ritorno alla materia;
E dico, che costei di questo grado,
S' ella vorrà tal fiata ballare,
Cantare o sollazare
I· lluogo onesto e d' oneste compangnie,
Tuttora vergongniosa il porrà fare,
Servando i modi che già detti sono.
E questo stato è quello,
Ch' ella conviene attendere alle donne,
Sì al parlare como alla portatura,
Ed all' andare, ed anco al salutare,
E a ttutti gli altri loro onesti usaggi;
Sì ch' ella saccia, poi ch' è così presso,
Com' ella dovrà fare
Quand' ella fia in similgliante caso.
E ponga chura, come fan le spose
Che nne vanno a marito,
E quale èe quella ch' è lodata poi,
Che ben si sia portata;
Così porrà savere
Qual è milgliore a llei ad oservare.
E non sovrasto più a questo grado;
Però che molte cose
Son dette altrove innanzi,
Ed ancor si diranno,
Che apartengon a questa donzella.
pt. 2, cap. 15
Ora vi vengo a un altro grado, e dico
Che ss' ella sarà filgluola
Di cierti altri minori,
Come lavoratori,
Artefici, consimili persone,
Venga pensando e dirizando sè
Alli detti costumi,
E quanto conviene
A suo minore stato.
Ma tuttavia sì le voglio ricordare,
Ch' e· llo suo tenpo, detto da marito,
Poniàn che quanto al guardar si cominci
L' uno insieme coll' altro:
Non si conviene a llei
Così per tenpo darlo a dimostrare;
E assai più porrae quanto a ballar,
Cantare e sollazare, usare larghezza.
Intenda onestamente
Sue contenenze; non meni cotali
Imaginari di sé
E· lla sua giente, quando
Ne venisse talento
D' andare al pari con altre maggiori.
E quando colle sue major si trova,
Così ad esse faccia reverenza,
Che non sia detto: «Vedi qui costei,
Come ricongniosse il grado suo!»
Ché ssono alquante, che s' elle sono ricche,
Quanto che ssiano di bassa conditione,
Si credono esere pari alle più alte.
E ciò nonn è senno:
Che l' avere non facie
L' uom né lla donna di virtù fornito,
Ma ll' uomo e donna c' àn vertù con seco
Fanno l' avere in sua forza venire;
Né anco avere è pari di virtute.
Così dunqua non facie più l' avere
Una piccola donzella,
A cquella c' à l' aver e la natione,
O la nation, e men alquanto avere.
E una cosa già non voglio taciere,
C' a questo grado forte stanno male
Le leggiadrie disordinate e' vezzi.
pt. 2, cap. 16
Non parlo d' altri gradi,
Che nne dirò nel Capitolo
Di tutte le minori gienerali.
Ma inpertanto
pt. 3, cap. 1
Questa Parte che seguita,
È la terza del libro:
Contiene in somma, e brievi parole,
Como si dee portare
Quella che passa il tenpo
Del maritaggio poi.
E non intendo partire questa terza,
Né fare distintione
Di grado in grado; però che qui sono
Scritte cierte oservanze
E modi e cautele
E insengniamenti gienerali,
Li quali ciaschuna porrà per sé torre,
Considerando suo esere e stato,
Traendo senpre più a tenperanza
Colà dove paresse eser permessa
Alchuna cosa alle maggior servare;
E dove tanto non paia richesto
Alle minori di bene
Tragan anchora sé al ben più inanzi
Quanto si distende,
Il podere di ciaschuna.
La forma di colei di chui vi parlo,
Vedere potete dipinta di sovra;
E Patienza la prega
E inducie che ssia soferente;
Ché tenpo verrà ch' ella
Arà di suo intendimento
Forse partita magiore che non crede,
E più filicie sarà sua ventura,
Che non è quella dell' altre sue pari
Che di presente marito ànno auto.
E polle la mano in capo e dicie
Fra ll' altre cose, cotali parole:
Pazienza Non ongni cosa si perde se tarda;
E lle più volte a cchi sa soferire
Vediàn milgliore ventura seguire.
Ma Pazienza chi vuol per conpàngnia
D' ogni suo briga, alla fin guadangnia;
Ch' io ebi gratia da Dio di potere
Aiutare coloro che mi sanno tenere,
Ché Tenperanza, Fortezza e Costanza
Son mie parenti, co· llor amistanza;
E tutte quante le posso menare
In tuo servigio a Dio per te pregare.
E questa Donna ha stracciata sua vesta,
E quella porta di bigio colore.
Come lei stare, e lle ragion di llei,
Porrai veder; ch' io la feci ritrarre
In quinta Parte del libro che parlo
Al cominciar della seguente Parte.
Là troverai di lei lo gran trattato,
Se non ti increscie d' andare a vederla.
E lla Donzella risponde
A Patienza in queste parole:
Madonna Patienza, assai mi piacie
Vostro conforto, proferta e promessa;
Ma troppo ò grande già nel cor la 'npressa.
Niente di meno io farò come facie
Colei che punto non può, se non piacie,
Aver da Dio di grandezza o d' onore;
C' o voglio o nno, di tutto elgli è singniore.
pt. 3, cap. 2
Dopo le dette parole io ritorno
A seguitar la matera che pensi.
E brevemente, donzella cotale
À molto a ffare a tenersi costante;
Tante battalglie sono dentro e di fuori,
E lgli anni suoi sono di perilglio grande.
Questo è llo stato di piccol podere,
Ed à nimici molti,
Forti, possenti, e con inganno involti.
Questa è l' etade di ch' io dissi di sovra,
Ed ora più, perch' ella è più inanzi,
La qual molto è facile ad inganno,
Volonterosa a consentir nel male,
Pronta, credente, e corrente a diletto,
Piena di tentazioni in intelletto.
Onde convien ciaschuna, passati
Li dodici anni senza maritaggio,
Aconpangniarsi dell' arme seguenti.
Diletti onore e laudevole fama;
Tema vergongnia, e vergongniosa viva,
Pensi la vile viltà del peccato;
E senpre speri conpangnio pregiato:
Perché sperando d' avello cotale,
Ad esser forte e conservarsi vale.
Non stia otiosa, né sola, se puote,
Ma con oneste conpàngnie si dia
A ffare alchuna dell' ovre di donna,
Che ssi convengon sicondo suo grado.
Lasci l' usare a finestra e ad uscio,
Quanto più puote; ma quando vi viene
Con conpangnia che convengnia, dimori
Poco in tal loco; né 'l suo eser vale.
Fugga d' udire tutti libri e novelle,
Canzoni, ed anchor trattati d' amore:
Ch' elgli è agievole a vincier la torre,
C' à dentro da ssè lo nimico mortale.
Onde colei che 'l nimico cacciar
Non può da ssè, almeno no· lgli de' dare
Tal nodrimento che 'l faccia ingrassare.
Nonn usi, quando può, caldi mangiari;
Lo vino sia suo nimico, ch' è radicie
Della luxuria, come il Savio dicie.
Non tenda nel suo viso alchun lacciuolo;
Che quanti più l' averanno a guardare,
Tanto arà più di guardia a pensare.
Ricordi a dDio sovente i pensier suoi,
Se non fossono onesti, e prieghi lui
Che lle dia forza a tenersi dal male;
Ché questa è cosa c' a llei molto vale.
Usi, se può, alchuno topazio e porti;
Ché molto aiuta portare lo carnale
Suo disidero, e provato è che vale.
E stimi c' abia per gratia la gratia
Di non avere anchor marito alchuno;
Che lle fia dato milgliore e più dengnio.
E pensi anchora, che se sa bene stare
Ed aspettar nella via netta e monda,
Verrà da Dio e per la via di Dio
Quel per marito, che lle donerà
Quanto vorrà di bene e d' allegrezza.
E sola un' ora di cotale stato
Farà dimenticare
A llei pesanza portata e dolore,
E fia sua vita in riposo ed onore.
pt. 3, cap. 3
E priego anchor questa cotal donzella,
Che llegga o legier faccia
Tutte le Parti che vanno inanti
A questa Parte, e ripensi per tutto
Ciò che vi dicie; e quanto
Fa per lei pilgli a usare
Ed oservare, pensando
Che sse non fosse colà detto molto,
Converria dire or qui per lei più cose.
Ma io mi credo che questa cotale
Fu nell' etade primiera fanciulla
Che veder volle ciò ch' è per lei scritto;
E poi, sagliendo nell' esere presente,
Veggia dinanti; con ciò c' ora parlo
Porrà suo stato melglio considerare,
E poi, sicondo buona ymaginanza,
Porrà sè dare alla buona servanza.
Seguita mo' la novella che cade
A buono exemplo di questa cotale.
E poi faremo fine
A questa Particella:
Ch' elgli è ripreso chi troppo favella.
pt. 3, cap. 4, par. 1Una donzella fue in una città c' à nome
San Lis in Francia, ch' ebe nome Felicie; no· mmi
ricorda bene del nome del padre, ma l' avolo ebe
nome messer Ugonetto.
pt. 3, cap. 4, par. 2Ella era chiamata Felicie
di messer Ugonetto; però che, morto il padre,
ello la ridusse a ssè; e trattava continovamente di
darle marito, e tutti i trattati si rompeano sì disragionevolmente,
parea che dDio non volesse.
pt. 3, cap. 4, par. 3Per
questo modo passò tanto tenpo, ch' ella avea venti
anni. E quando cierte donne sue parenti dicieano
a llei, che di ciò le portavano conpassione, ella rispondea:
«Non vi dolete di quello che non mi dolgo
io; Dio m' à serbata una milglior ventura c' alchuna
di quelle che trattate sono; e quando lui piaccia
ch' io non trovi mai conpagnia, anco sono contenta,
ché forse aconcierò l' anima mia quasi per una cotal
forza ad esere sposa di Lui ch' è Singniore di tutti».
pt. 3, cap. 4, par. 4Avenne che infra uno anno dopo i suoi venti
anni, tutti coloro di chui era stato il trattato o
presono mala via, o morirono di mala morte.
pt. 3, cap. 4, par. 5E ssempre costei,
udita la
novella mo' dell' uno e
mo' dell'
altro, andava
dinanzi a una sua
tavoletta,
e
ringratiava Idio mo' dell' una e mo' dell'
altra
gratia, che ll' avea
guardata di cotale conpangnie;
e
vegiendo questa giente così
arivare,
diciea nel
chuor suo: «Or ben veggio io, Singnior mio
Domenedio,
che tu mi
riserbi a milglior mio stato e
ventura».
pt. 3, cap. 4, par. 6E per questa congnioscienza di Dio,
e per la sua onestà, e per lo dolcie suo parlare a
chiunque di ciò le ragionava, crebe sì la fama sua
di santità e di vertù, che tutto il paese ne parlava
in bene.
pt. 3, cap. 4, par. 7Essendo una fiata lo Re là presso a una
badia, andò messer Ugonetto a llui, come fanno i
gientili huomini del paese quando lo Re muta contrada;
e domandollo il Re di sua conditione e di
sua familglia. Fulgli risposto per più baroni dallato,
abiendo ello detto suo stato, tutto l' esere e la maniera
di questa donzella. Dimandò il Re, come era
bella; fulgli risposto: «Di comunale bellezza».
pt. 3, cap. 4, par. 8Era in sua corte un cavaliere giovane molto provato
d' arme, e famoso di cortesia e di senno; lo chui
padre avea perdute tutte sue terre perché avea
per disaventura misfatto al Re: e per questo tanto
vi lascio il nome, per non infamar lo filglio del
fallo del padre, il quale filglio era tutto sanza
machula.
pt. 3, cap. 4, par. 9Lo Re lo fecie chiamare, e disse:
«Va, vedi questa Filicie, e savra'mi dire s' ella
ti piaciesse per conpàngnia».
pt. 3, cap. 4. par. 10Rispose il
cavaliere: «Io l' ò veduta, e
udito tanto di lei
di buona
fama, che ss' io
avessi terra, e
potesila
tenere a onore, io
prenderei anzi
lei, s' io la potessi
avere, c'
alchun' altra qual
fosse».
pt. 3, cap. 4. par. 11Abreviamo
qui le parole: lo Re gli conciedette tutte le terre
c' avea tenute il padre, in dote per questa Felicie,
e diegliele per molgliera, e feciesi ongni cosa quel
dì, e ciaschuno barone le fecie cierti doni; et la
Reina fecie vestire e fornir lei di tutto.
pt. 3, cap. 4. par. 12E
insomma non si poria dir lo bene ch' ebono questa
conpangnia insieme. E sì vi ricordo, che la terra
che lgli restituio il Re per lo detto modo fu tanta,
che di rendita avea per anno più di trentamila livre
di tornesi. Et la giente che sciese poi di costoro è
stata senpre molto gratiosa apresso di qualunque è
stato Re.
pt. 3, cap. 4. par. 13Essendo io alla detta badia, l' Abate
contandomi questa novella mi mostrò uno giovane
discieso di quella giente, diciendomi: «Vedi,
che l' uomo talora crede lo 'ndugio eser rio,
ch' è buono. Ché messer Ughonetto, poniamo c' avesse
trovato uno buono, no· ll' avria possuta poner
in grande luogo».
pt. 3, cap. 4. par. 14E quinci confortava la
conpangnia e me, se non chosì tosto potavamo essere
spilgliati dal Re, diciendo: «Voi sarete tardati
da Dio tanto, che voi verrete al punto, c' arete
milgliore spilgliamento, se voi arete ragione, e serete
pacienti».
pt. 3, cap. 4. par. 15
Or ritorniamo omai
(Ché lunga è stata la novella) all' ovra
Nostra continovare.
E qui si pon fine a questa Parte.
pt. 4, cap. 1
Comincia qui la quarta
Parte del libro, nel qual si contiene
Come si dee portare
Colei che disperata
Era d' aver marito,
Tanto avea passata
L' età di maritaggio;
Poi adiviene che a marito è data,
E sta un tenpo in casa
In prima che ne vada ad esso.
Lei nella sua età vedrete
Qui dipinta davanti a una donna,
Lo chui nome è Speranza;
La chui fighura e l' effetto e l' usanza,
Co· molte altre fighure
C' apartengon a llei,
Veder porrete, ch' io feci ritrarre
In sesta Parte d' uno libro ch' à nome
Dochumenti d' Amore;
Nel qual non solamente di chostei,
Ma di molte altre virtudi vedrai,
Se ttu vorrai, più disteso trattato,
Sì com' io colsi dal parlar d' Amore.
Là troverai in bello ordine pinte
Molte fighure e novelle in diletto;
Là troverai perch' ell' à veste bianca,
E perché l' ali, e di tutto ragioni;
C' ancor quel libro si legga con questo,
Parlando d' uomini e di lor costumi,
Là troverai di ciò che saver vuolgli.
Ivi è uno testo volgar per la giente
C' a più non è intendente;
E intorno a quello un testo letterale
Per chi più sa e vale;
E poi intorno ancor di questi due
Sono chiose letterali,
Dove s' aducon tutte similglianze
E concordanze di molti altri detti
Di savi e di filosafi,
Della divina leggie e dell' umana,
D' autori e dicitori
Santi e non santi, detti,
Come porrai, se ttu 'l vedi, trovare.
Sol lo trattato rimase fuor d' esso,
Che ssi contiene nel presente libro,
Lo quale era già mosso,
Come il Proemio di sovra dimostra,
E como ancora in quel livro si scrive,
Nel suo Proemio, quasi su nella fine.
Ora vi priego che tengniate mente,
Quando udirete parlar di quel libro
O far mentione in questo in alchuno loco,
Vengniate qua, e lleggieteci un poco.
Questa Speranza, se voi ben guardate,
Come colei che da questa donzella
Era lasciata, or viene e favella.
I' sono Speranza, che tti prometteva
Di farti avere allegrezza con stato;
Tu mmi lasciasti, e destimi comiato.
No· mmi credevi cosa ch' io diciesse,
Né a promessa ch' io ti faciesse.
Or vedi la ragion poca c' avevi;
E ss' io ti fossi voluta eser contra,
Non averesti ancor quel che ài.
Ma sson contenta del tuo bene omai.
E questa Donzella risponde
Alla Speranza in queste parole:
S' io non credea a ttutte le 'npromesse,
Che voi, Madonna Speranza, davate,
No· ne dovete portar maravilglia;
Ch' avanti ch' io questo don ricievesse,
Per tante beffe menata m' avete,
Ch' i' dissi: «Folle è chi a voi s' apilglia;»
E più ancora, ch' i' ne trovava molte
Tradite tutte e ingannate da voi.
Che dunque dir, o Speranza, potea poi?
E questa gratia ch' io abo ora auta
Io la conosco e ricievo da dDio,
Singnior magior, che non è voi ed io.
Tutta fiata mi volglio attenere
Alla proferta, e starommi a vedere.
Ché voi non mi porre' la gratia torre,
Se lla buona ovra con Dio mi soccorre:
Ché 'l vostro oficio è solo in confortare;
Ma dDio può dare, e pò torre, e ridare.
Ridicie mo' la Speranza:
La mia potenza vien da cquello Iddio,
Cu' nominasti, e per lui ti parlo io.
Me confortante, servirai a llui,
E col mio aiuto farai suo' piacieri,
E ricieverai sicondo suo' pareri;
E quando forse da tte mi partisse,
Poco varìa ciò che in cor ti venisse.
Or dicie la Donzella:
Così parlando, mi sono sfogata
D' animo alquanto, c' avea ver voi,
Donna mie cara; or mi do tutta a voi.
Or parla la Speranza:
Po' che conosci da dDio ciò c' ài fatto,
E vuolgli apresso me con teco avere,
Sta francamente; e farotti vedere,
Che quella che non à li doni in fretta,
Magior piagier e più altezza aspetta.
pt. 4, cap. 2
Or mi rivolgo a seguitar quell' ovra,
Che ssi conviene all' effetto del livro,
Del portamento che de' far costei.
Vero è ch' i' son del lavorar sì stanco,
Ch' i' non potre' continovar più molto,
Ch' i' non andassi; tanto m' è venuto
Gran disiderio di veder colei,
Che fu cagion di tutto esto lavoro.
Ella mi disse di mandar per me,
E ssì mi fe' allor grande inpromesse,
Come veder di sovra,
Se ben guardate nel livro, porrete.
Ma io mi credo ch' ella si ricorda
Tanto di me, quanto di quella cosa,
Che mai non volle né vide né udio;
E credo c' ora, se trovar la posso,
Io m' adirrò, s' io potessi, co· llei.
Ver è, c' a llei davanti i' non potrei.
pt. 4, cap. 3
Ditemi, donne c' andate alla festa,
Vedeste voi una donna passare,
Che non si può conoscier chi ell' è,
Né com' à nome, né d' onde venisse;
Infino a ttanto, che, come promisse,
Amostrerà suo fatezze e fighura
Sì chiaramente, che chi fia ben saggio
La conoscierà al parlar e al visaggio?
Donne Noi donne volavàn te domandare,
Se conosciessi una donna che nnoi
Vede'mo qua, e dispario dapoi.
Francesco Ditemi, donne, tutta sua maniera;
Ed io dirò s' ella è quella ch' io
Vado caendo, e quel che ne so io.
Donne Noi ti diciàn in parola di fede,
Che nnoi, passando qua per un giardino,
Vede'mo star a' pie' d' una fontana
Una solenne donna chiusa in velo;
E non vede'mo persona co· llei.
Un picciol chuciolino avia da piedi;
Veste sanguingnia avea in guarnaccia;
Sue man lavava alla spine del fonte;
Bianche l' avea, e lunghe, e sprendienti,
E lle sue braccia e spalle amorose.
Levò suo veste, e vede'mo il bel piede
Calzato in seta e in pietre preziose
Avea per tutto; e noi tutte smarri'mo.
Per lo smarir alchun romor facie'mo,
Sì che la donna s' accorse di noi.
Volse suoi occhi, e no' cade'mo in terra;
Ché tanto fu lo sprendor ch' Ella sparse,
Che maravilglia sì grande ci diede,
Ch' a rischio fu'mo; ed ella si partio.
E nel partir suo veste tirando
Su per li fiori, spandea un odore,
Ch' ongnuna disse: «Questo è 'l paradiso;»
Ché donna piena di tanto valore
Non sarie venuta a dimorare in terra.
Francesco Donne, per Dio! insengniatemi voi,
D' onde ne va questa donna gientile;
Ché questa è quella ch' io vado ciercando.
Beato a voi, ch' alquanto la vedeste!
Ché chi ricieve da Dio questa gratia,
Che sola un' ora la possa vedere,
In cosa vil giammai non può cadere.
Ed è magior la gratia ch' ella porta:
Che fa saggia ed acorta
Ciaschuna donna che parla di lei;
Se cciò non fosse vero, i' nol direi.
Ditemi, prego, in qual parte vi parve
Ch' ella tenesse partendo ed andando;
Ditemi ben lo loco, dove, e quando.
Donne Di' tu a nnoi: perché sì ne dimandi,
E che à' tu a far di questa donna,
Che vai sì sol dimandando di lei?
Ché s' ella è ssola, no' sol ti mandiamo,
Forse c' alquanto villania facciamo.
Francesco Donne, la donna non può star sola;
Ch' ell' è aconpangniata da Fortezza,
Costanza, e Castitate, e Nettezza,
Senno, e da tutta Puritate.
Ma queste donne co· llei non vedeste,
Ché non provaste della sua potenza;
Io l' ò vedute a llei tutte in presenza.
Io per me sono un suo servo fedele,
Chui ella none sdengniò colle suo mani
D' aprir lo petto, e portarsene il core;
Ed in suo luogo lasciò un odore
Da quelle man che distese nel fianco,
Che tiene in vita le menbra rimase
Ad ubidenza di lei che lle chiuse.
Io vado a llei per dimandalla alquanto
Sovra un' ovra ch' ella vuol far fare,
Ch' i' no· mmi posso ben più ritardare.
Donne Va su per questa viella coverta
Di frondi, e volgi alla primiera via
Che ttu troverai alla man destra;
E qui in un prato è un palazzo.
In quello entra e chiama, e non sia pazzo.
Francesco Addio, madonna; andrò ben contamente.
Ver è, che quando io mi rapresso a llei,
I' perdo sì, che dir non vel potrei.
Però mi piacie il vostro racordare,
E cortesia facieste d' insengniare.
pt. 4, cap. 4
Aprite, aprite, aprite, aprite!
Chi è qua dentro risponda, per Dio;
Ch' i' sono stancho di pur gir ciercando.
Madonna Questo sarà lo spiacevol Franciesco.
Di' che non vengnia; se non, ch' i' men esco.
Cautela I' son Cautela, che guardo la porta.
Dicie Madonna, che ttu se' villano;
Vatti con Dio, ché noi ci riposiamo.
Francesco Dimmi, Cautela, per Dio, una cosa.
I' son ben cierto la donna si posa;
Ma chiama a mme, s' ella v' è, Cortesia,
E di' ch' io sono, e ò fatta gran via.
Cautela Piaciemi ben; ma non gridar intanto
Per nostra donna irata cotanto.
Francesco I' non farò né grido né romore,
E se ttu vai, io sedrò qui di fore.
Cortesia Io Cortesia conobi la tua vocie
Inmantanente che ttu favellasti.
Vien dentro, amor, soave, cheto e piano.
Questa donna dimora in una sala,
E fa sonar; dimorerai dallato,
E vedera'la da llontan con meco.
Francesco Ringratio voi, e son per voi seguire.
Ma a llei vorrei cierte parole dire.
Cortesia Piaciemi, se vedreno il tenpo e ll' ora;
Prendi pur quel ch' i' ti posso fare ora.
Vien su, andiàno. Or guarda in quella sala
Pella finestra di questa parete.
Francesco Piaciemi assai. Or, madonna, sedete.
Madonna Chi è colà, che cci sta a guardare?
S' elgli è Franciesco, legarlo farete,
E poi condurlo dinanzi a mme legato.
Levarsi in pie' Piagiere e Dolciezza,
E con un vel d' esta donna gientile
Legaron me, e menarmi da llei.
Ella, credendo me non ben legato,
Una ghirlanda ch' ella avea in testa
Divise da ll' un lato, e disse:
«Tolgliete, ancor lo legate melglio».
Io, temoroso, non parlava punto.
Ella faciea gran festa di mio stato;
Ma sì avea la faccia velata,
Ch' io non vedea di lei fuorché gli occhi.
La sala era solenne e lluminosa,
Pinta di belle e varie pinture.
Ella sedea in su'n un gran zafiro.
Grido'mi: «Stolto, come se' venuto
Senza licienza in questo mio palazzo?»
Francesco Madonna, e' mi ricorda che dicieste,
Che manderesti alchun' ora per me,
S' io seguitasse fedelmente l' ovra,
C' a vostra posta comessa mi fue.
Ma io non posso lavorar più inn essa,
Se prima alquanto non prendo da voi
L' usata forza, e di questa venuta
Dolcie perdono, e cortese comiato.
Madonna Dimmi chi fu che qua dentro ti mise.
Francesco Madonna, fu la vostra cameriera,
Ch' à nome Cortesia.
Cortesia Io Cortesia no· lli sepi disdire,
Pensando come fedelmente facie
Quanto da voi li viene in mandamento,
Vedendo io
Francesco I' son venuto al punto, c' or s' adempie
La vision ch' io fe' pochi giorni passati,
La qual racolsi inn un picciol sonetto.
Madonna Io ti commando, che ttu 'l dica tutto.
Francesco Madonna, volentieri.
I' son sì fatto d' una visione
Pensoso, ch' i' non so qual via mi prenda,
S' alchun non trovo che consiglio mi renda
Della sua vera interpretatione.
Parea ch' i' fossi in ovra ed in fazione
Un preso pappagallo ad una benda,
Tirato poi per una stretta benda
Su per tapeti in un gran padilglione.
Quivi sedea sovra un gran zafiro
Una libera donna in veste honesta,
Che fecie della mia presura festa.
Po' chon una ghirlanda c' avea in testa
Mi fe' legare; ed io divenni tiro;
E que' che lla serviano si fuggiro.
Madonna Or questo come porria avenire,
Che diventassi in mia presenza tiro?
Poniàn ch' io fossi quella cotal donna.
Francesco Madonna, questa è leve cosa a fare;
Purché vi piaccia, i' vel posso mostrare.
Madonna Piaciemi assai; ma non venire in qua.
Fugga chi può, e chi canpar non sa.
Francesco Vedete me, vostra mente non turbi,
Che fatto son come tiro. Gridate
Che fugan quei, i' qua' vo' non fidate.
Madonna Io ti commando che ttu torni in homo.
Torni mia giente che paura n' ebe.
Francesco E io ritorno allo stato primiero.
Che comandate, madonna, ch' io faccia?
Madonna Che ttu ten vada, e no· mmi far più noia.
E la ghirlanda e 'l velo che tti legaro
Portali teco, e più non dubitare
Della visione che tti parve sì vera.
Francesco Madonna, il velo e lla ghirlanda vostra
Per questa volta m' ànno sì contento,
Avengnia ch' io l' avessi in aventura,
Ch' i' non v' intendo mo' più noia fare.
Ma sì racordo a voi della 'npromessa
Che mi faciesti in la siconda Parte,
Come di sovra si trova e si leggie;
E bene sta servar leanza in donna,
E del contradio gran blasimo le giungnie.
Madonna Vanne; non pure andar ciercando come
Tu possa parlare chon esso meco;
Ch' io sento ancora alquanto d' adirata.
Dirèn più cose all' altra tua tornata.
Francesco Madonna, addio. E vostra conpangnia
Mi lasci andar, no· mmi tenga la via.
Madonne, avete voi tanto aspettato,
Po' ch' io andai, e pur mo' son tornato?
Donne Torni pur ora? Trovasti la donna?
De! dillo a nnoi, per tua cortesia,
Se bene a punto ti de'mo la via.
Francesco Madonne, i' son sì pien del sommo bene
Che ssi ricieve apresso di tal gratia,
Ch' i' ò perduta la lingua e lla mente;
Sì ch' io men vado all' ovra, dove punto
Non fa mestier di pensare o parlare,
Ma volgier penna mi facie avanzare.
Donne Addio, ten va
FrancescoE voi siate con Dio.
Ed io ritorno là ov' io lassai,
Che bene aviàn qui riposato assai.
pt. 4, cap. 5
Lo portamento di questa donzella
Sarà di tal maniera,
Che questo livro vegga tutto avanti,
E quella Parte cierchi principale,
Che va mo' qui dinanzi;
Po' pensi e guardi e consideri bene,
Quanto di quelle è c' a llei si conviene.
Po' ponga cura qui, c' ancor ci à cose
C' a llei conviene in spetie servare,
Tutto che ll' altre ancor si possan trarre.
E questa non distingo
Gradi di stati né di persone,
Però che gieneral si puote adurre
A tutte quelle che enno in tale stare;
Ma, come dicie la Parte dinanti,
Pensi ciaschuna suo esere e stato,
E prenda il più e 'l men come convengnia,
Purché con seco tenperanza tengnia.
Convien questa donzella
Non ritornar al tutto all' oservanza,
Che convenia a llei quand' era detta
D' età di maritaggio incominciar;
Né ancor come vecchia dea passar;
Ma pilgli una maniera tenperata,
Mezza tra ll' una e ll' altra;
Né tropo mostri allegrezza del bene,
Né paia ch' ella dolente ne sia.
Delgli ornamenti e del vestir s' attengnia
Similemente a cquella via del mezzo.
Così nelgli atti e portamenti suoi,
E aspettando in casa
Quel tenpo che occorre
Anzi che vada a llui,
Meni allegrezza nella mente sua,
Chacci il contradio, e rinovelli tutta.
Né dica già: «I' ò tenpo perduto»,
Né pensi di ciò punto,
Ma sol rinmenbri quel che de' venire,
Riconosciendo il don del Sommo Sire.
Non dica nel suo cor: «Lo mio marito
Non arà me sì chara, ch' io sono
Omai uscita d' età di fanciulla»;
Ma pensi e dica: «All' omo è più diletto
A dimorar colla donna ch' è fatta,
Ch' aver non può del balir le fantine.
Con quelle arà consilgli,
Ragionamento e stato;
Da queste fia spessamente beffato.
Quelle savranno ordinar le magioni,
Queste la metton in gran destrutione».
Così, pensando tuttor del milgliore,
E di piagier a ccolui a chui vai,
In poco tenpo contenta sarai,
E penserai di menar quella vita,
Che 'l tuo conpangnio contento ne sia.
Fa dimandare suo maniera e suo' modi,
E pensa te di conformare a quelgli.
Ongni guardare e pensier vano e vista
Conviene in questo stato a tte lassciare;
Acciò che poi non diciesse la giente:
«Questa è indugiata perch' ell' è nociente».
Ancor ti parti dal parlar d' amore;
Fingi di ciò una simpla grossezza;
Mostra che ttu non curavi d' avello,
Ma poi che ll' ài, se' contenta di quello.
Parte di vita metti in orationi;
Ringratia Iddio di questo e lgli altri doni;
Fa dello indugio a llui gratia a potere,
Che se 'l conosci, e' tel farà valere.
Contenta fa che ssia di lui c' avrai;
Che tu saver non puoi chent' è potente
In fanciullezza tua venire a mano
A tte o a tua giente.
Insomma dico, e tu pilglia dall' altre
Partite d' esto livro ensengniamenti.
Fa come credi a tte più convenire,
Pensando spesso a tuo esere e stato;
Ché 'l si può dir ch' io n' abia assai parlato.
Ma per memoria, e per esemplo a ttutte,
Udite una novella; e poi verremo
A cquella parte che più ci stendremo.
pt. 4, cap. 6, par. 1Uno cavaliere di Normandia, ch' ebe
nome meser Oddo, avea due sue filgluole: l' una
ebe nome Margarita, e l' altra Joanna.
pt. 4, cap. 6, par. 2La
prima fu la più bella donzella del paese; la siconda
fue la più savia, ma non sì bella. E lla prima era
di convenevole savere; ma ttanto la vinciea il diletto
di farsi vedere, che di senno pregiata non era.
pt. 4, cap. 6, par. 3Pensava il padre di maritar prima la savia,
imaginando che dell' altra no· lli potesse fallar maritaggio.
Non avea luogo, però che tutti attendeano,
e trattavano della più bella.
pt. 4, cap. 6, par. 4La savia sentio
questo modo che tenea il padre, e andò un dì a llui,
e in segreto li disse queste parole: «Padre mio,
voi savete che la Margarita nacque prima di me,
ed è più bella e più dengnia, e più disiderosa
d' aver marito; e forse c' a ritenere lei è perilglio
maggiore che di me; ed io so bene la cagione perché
voi attendete a ccacciarmi di casa prima di lei. E
per queste cose io vi dico, ch' io non entendo a
marito; e sse per aventura voi prometessi per me,
io non consentirei inn alchuno, e spetialmente prima
che lla Margarita sia allogata».
pt. 4, cap. 6, par. 5Diciea il padre:
«Io lo faccio per altro; ché, per lo tuo senno,
io spero trovar di te milglior maritaggio; e, fatto
buon
cominciamento, arò di tua
sorella milglior
conditione».
pt. 4, cap. 6, par. 6Rispuose la savia: «Lo mondo
non è oggi acconcio a voler più tosto la savia che
la bella; poniàn ch' io la più savia fossi. Ma voi
mi credete velar gli occhi in questa maniera? Fate
come vi piacie; voi m' avete intesa».
pt. 4, cap. 6, par. 7Sovra
queste parole stando, venne dentro la bella, e quasi
piangiendo disse al padre: «Voi trattate tuttodì di
maritare la Joanna, ed ella tuttora ve ne lusinga;
ma io v' inprometto, che se voi la maritate prima
di me, ch' io me n' andrò col primo cavaliere che mmi
vorrà». La savia non risponde.
pt. 4, cap. 6, par. 8Il padre dicie:
«Facciàno le sorte, chi dee andare innanzi». La
bella non vuole, anzi sanza sorte vuole eser la primiera.
Dicieale il padre: «O sse lla tua ventura non
va bene, che sarà?» Dicie la bella: «Sarà che
porrà, pure ch' io abia marito; ch' io sono entrata
ne' quindici anni, e lla Joanna è ne' tredici».
pt. 4, cap. 6, par. 9Ancora le dicie il padre: «Tu sse' una matta, ed
ài suspetta questa tua sorella di ciò ch' ella priega
il contrario». Dicie la bella: «Ciò non credo io,
se non perché voi il dite». Ancor per tutto questo
la savia non parla.
pt. 4, cap. 6. par. 10Partonsi dalle parole. Il
padre turbato si muove, e va sovra ira e marita
la bella a uno schudiere bello della persona, il
quale non pensava d' altro che d' acconciarsi e di
pulirsi, ed in tutte l' altre cose non valea un bisante.
pt. 4, cap. 6. par. 11E
conpiuto il
fatto quanto al trattato
e lla
promessa,
tornò la sera in casa, ed ebe questa
Margarita, e disse: «Or
ecco. Io ò
maritata la
Joanna al cotale
schudiere; omai
mariterò te al
primo che m'
averrà». Allora ella, credendo che 'l
diciesse da
vero,
cominciò a piangiere; e disse che
ucciderebbe la
sorella s' ella il
tolgliesse; e
giunse
più, ch' ello era
stato suo
amadore lungo tenpo.
pt. 4, cap. 6. par. 12Allora il padre andò alla savia, e dissele
tutta la verità, ed ordinò ch' ell' andasse all' altra,
e diciessele: «Vuo'mi tu acambiare alla tua ventura
alla mia? e ttu abi costui, e io arò quello che porrà
venire.» E chosì fu ffatto. Rispose la bella: «Piaciemi».
pt. 4, cap. 6. par. 13Allor venne il padre: «La dote
di costei era livre ciento di tornesi, e lla tua saria
stata mille». Dicie la bella: «Non churo di dote;
io pur non ci rimarrò di dietro».
pt. 4, cap. 6. par. 14Per questo
modo la savia ingannò la bella; che ll' altro dì compiuto
il maritaggio no' era cavaliere nel paese che lla bella
volesse vedere, per disdengnio del marito.
pt. 4, cap. 6. par. 15Ora si rimane la savia col padre; e 'l padre vegiendo
che sovra ira avea male allogata la prima,
cominciò a gittare ongni colpa di ciò sovra la savia,
ed aveala forte inn odio, e disse a llei: «Cierto tu
non averai giammai marito da mme». Rispondea la
savia: «Di ciò son contenta».
pt. 4, cap. 6. par. 16E così passò
anni dieci. Poi finalmente lo padre, il quale avea
sovra ira fatto rifiutare il retaggio alla prima, morio
inn una battalglia; e succiedette alla savia tutte sue
castella e terre.
pt. 4, cap. 6. par. 17Poi infra uno
anno il
fratello
del
Duca ch' era allora di
Normandia, che
non avea terra, la
tolse per donna; al quale poi
infra tre
anni, morto il
Duca sanza alchun' altra
reda che questo
marito della savia, e a llui
ricadde
il retaggio: onde è fatta da
filglia di cavaliere da
schudo
Duchessa, e sono sotto lei tutte quelle del
Ducato, insieme
colla
sorella e col
marito.
pt. 4, cap. 6. par. 18Di ciò à ssì grande sdengnio la bella, che non venia
a ccorte. Ma finalmente il Duca fa questa pacie; ma
pur la savia sta in sedia ducale, e lla bella in sul
tapeto coll' altre.
pt. 4, cap. 6. par. 19Questa novella chi vuole intendere intenda,
ché ben fa alla Parte ch' è detta.
pt. 4, cap. 6. par. 20Ora volgiamo alla Parte che molte
Parole aver conviene,
Però che gradi e cose più contiene.
pt. 5, cap. 1
La quinta Parte comincia qui ora,
Dove si dee trattare
Como si dee portare la maritata
Di giorno in giorno,
Di tenpo in tenpo,
E d' etade in etade,
E con filgluoli e sanza filgluoli,
Come lettura ci mostra seguente.
Ma qui fa punto; e per conoscier melglio
L' eser di quella di chui io ti parlo,
Vedila qui seguir dall' una parte;
E giura in su uno libro a Castitate
D' essere leale al suo novello marito;
E conta Castitate
A llei lo giuramento in questo modo.
Tu, giovinetta, vergine e leale,
Po' che se' volta a conpangnia volere,
Chonvieni da mme conformarti e valere.
Tu giurerai leanza, amor e fede
Al tuo marito, durante tra voi
La vita che vorrà donarvi Iddio.
Tuo disidero sarà di volere
Di lui filgluoli, e di fàlli poi servi
Di quel Singnior per chui mo' ti conservi.
Perch' el fallasse, ancor sara' tu ferma
In tua nettezza, sua colpa brasmando,
Né consentendo s' el gisse fallando.
Giungniendo forza inver di te alchuno,
Tu contrendrai tua persona a potere,
E tti convien mente casta tenere.
Userai questo marital diletto
Sicché non l' abbi il Gran Sir in dispetto.
Poi ti rivolgi a lleggier questo libro,
E serva quel ch' è 'n esso iscritto,
Quanto vedrai che per te paia ditto.
Donzella Madonna, io così giuro servare,
E cari tengo vostri insengniamenti,
E prego Iddio, ch' io ben me ne ramenti.
Castità Addio, figluola.
Donzella A Dio, Madonna, siate.
Giunta me al maritaggio, e voi tornate.
Castità Io tornerò, e dimorrò con teco
Sicondo che ttu star vorai con meco;
Ch' io son la donna molto disdengniosa
Da quella giente che mi tengon male;
Però minaccie né priego mi vale.
Ché più son quelle che giuran assai,
E servan poco; e temo tu non sia
Quella che vada per simile via.
Donzella Madonna, i' non so già che ll' altre fanno;
Ma io farò, s' a dDio piacie, ongni cosa
C' a voi giurai; e vo' prego siate osa
In vicitarmi spesso, ch' io non caggia:
Ché tal ci cade, ch' è tenuta saggia.
Castità Or va con Dio, e a dDio, t' acomanda,
Che tti può tutta salvare e servare;
Ed io ancor di te il vo' pregare.
pt. 5, cap. 2
Partite queste due dal lor parlare,
Ora conviene a nnostra ovra tornare.
E prima che discienda giuso a gradi,
Guarda ch' i' non ti parlo
Di questa cotal donna,
Se non dapoi ch' ella è giunta al marito;
Ma tuttavia vo' che ttu attenda,
Considerato l' usanza del luogo,
Ed anco il grado e ll' eser della donna,
Conviene a llei dimandare e udire,
E 'l dì che move tener la maniera
Sì nella mossa, e ssì poi nel venire,
Che ssi convengnia ongni cosa pensata.
Ma pur vergongnia, temenza e paura
Par che convengnia a sua portatura.
Ma non vi lascio del dì dell' anello,
Quando si dicon le parole, c' ànno
A ffare intero il matrimon tra lloro.
Ché qui conviene a llei eser temente
E vergongniosa, colgli occhi chinati,
Fermi li menbri, e senbri paurosa.
Le man non porga a colui che lla tiene,
Quando l' anello a llei si dona;
Ma prima aspetti, che quasi sforzata
La man sia presa; e poi che lla piglia,
Non si conviene a llei contesa alchuna.
Sostenga l' uso del loco ov' el' ene.
Così ancor quand' ell' è dimandata:
«Vole' voi consentire?» in cotale
O simili parole:
Aspetti l' una, e lle due; e lla terza,
Faccia soave e piana sua risposta.
Ma qui attendi, che quanto è minore
(D' età vi parlo), tanto si conciede
A llei maggior contesa;
Così tanto minor,
Quand' ella è più di sua etade inanti.
E ancor, poi si rimane colle donne
Anzi che vada a llui, senbri ch' entrata
Sia in una selva molto dubiosa a llei,
Poco parlando, in atti paurosi.
E ss' alchun la conforta di parole,
Non molto churo ch' ella gli risponda;
Ch' elgli è taciere i· lluogo di risposta.
pt. 5, cap. 3
Avien che questo giorno
Ella si mena a llui,
Porrà primier nella chamera sua
Mangiare alquanto; ché poi fra lla giente,
Mangiando men, parrà più tenprata.
Ancor d' una cosa le ricordo:
C' alquanti dì dinanzi al suo partire,
Se non à madre, ad alchun' altra savia
Dica suo stato, o domandi consilglio
Di cierte cose che ben fa savere,
Le qua' non cade a mettere inn iscritta;
E ss' ella è tal, che balia seco meni,
Porrà da llei informatione avere:
Ché bene sta, dinanti provedere.
Movesi poi da casa sua.
Mo' ti domando se de' salutare
Per via passando, o che modo tenere.
Di ciò ò trovate molte varie usanze,
E di molte openioni.
Però dir si porria:
Dimandi della sua terra l' usanza,
E del paese dov' ell' è menata,
E quella servi con' può tenprata.
Dicono alquanti, che quand' ella giungnie
Tra buona giente che ssi lievi a llei,
Inver di loro alchun chinar de' fare:
Quasi non paia tenuta inchinare
Se non color, a chu' nol può schifare.
E altri dicon, che ss' ell' è fanciulla
Da dodici anni, o intorno di quelli,
Nonn è tenuta d' alchun salutare;
Ma poi convien ch' ella saluti loro
Che truova in parte trar perch' ella passi,
E più color che ssi levano a llei.
Ma io per me ritorno a quel ch' ò detto:
Ch' ella dimandi l' usanza, e lla servi.
Così ancor nell' entrar in magione
Di lui a chui ne va,
Lasci servar color che sson co· llei
Quella maniera, modo ed oservanza,
Che dà 'l paese, ed a llei mostreranno;
Le qua' brasmate e llaudate vedrai
Nella sestadecima Parte,
Dove Prudenzia tratta
Dell' aventure in donna.
Ritorno alla materia seguitare.
Dico che nell' entrar della magione,
S' ella trovasse ivi il suo marito,
Finga di non vederlo:
Che fia cortese, e no· lle farà noia;
E an' la conpangnia
Saranno in mezzo a tenella sichura.
pt. 5, cap. 4
Or mi convien partir la Parte nostra
Per gradi, e poi toccar ben di ciaschuna;
Ché questa è parte faticosa e lunga.
Onde comincio e dico:
S' ella sarà filgluola
D' inperadore o di re coronato,
Non si pertiene omai ciò al trattato.
Così ancor nelli infrascritti gradi
Non pensar più chui filgluola sia quella,
Ma sol colui a chu' ne va a marito;
Però che tanto crescie il suo onore,
Quanto è in alto il grado del marito;
Salvo sed ella è data a ssuo minore,
Tengasi quanto può a quello onore,
Costumi e usanze, che ssolglion oservare
Quelle che 'n sua magion dond' ella viene
Si menan maritate.
Dunqua prendo lo stilo.
pt. 5, cap. 5
S' ella sarà molglier d' inperadore
O di re coronato,
Che inperadricie o reina si dicie,
Di questa voglio trattare;
Po' pilgli ongniuna per sè quanto decie.
Se di tal casa viene e va al minore,
Considerato ciò che ssi leggie oltre,
E perché più son reine che ll' altre,
Lascio d' inperadricie
Quanto al parlare, e di reine dicho;
Tu poi intendi chosì di quell' altre:
Ché quanto a queste cose
Non è grande isgualglianza;
E sse ben pensi, quanto ad alteggiare
Vanno abendue di suo nome in pare.
Giunta che fia i· mmagione,
Sicondo che da presso o lungi viene,
Faccia davanti a mangiar suo riposo;
Dimestichezza cortese alle donne
Che truova di là entro,
E lla più stretta a chi più è di casa.
Ed alla madre d' esto suo marito,
O padre, o più innanti,
S' ella gli truova, faccia reverenza
Humile più, ma temorosa a ttutti,
Quasi colgli atti più che col parlare.
E sanza riso ongni suo diportare
Lì non dimandi; ma s' è domandata,
Risponda brieve, basso e pauroso.
pt. 5, cap. 6
Or si conviene ogimai di mangiare.
Suonan le tronbe e lli stormenti tutti;
Canti soavi, e sollazzi d' attorno.
Frondi con fiori, tapeti e sendali
Sparti per terra,
E gran drappi di seta alle mura,
Argento ed oro, e lle mense fornite,
Letti coverti, e lle camere allegre,
Chucine piene di varie imbandigioni,
Donzelli accorti a servire, ed ancora
Più damigielle giovani tra lloro,
Armegiando per li chiostri e per le vie;
Fermi balconi, e lle loggie coverte;
Chavalier molti, e valorosa giente;
Donne e donzelle di grande biltate.
Vecchie nascose inn oratione a dDio
Sian ben servite colà dove stanno.
Vengono i vini, e confetti abondanti;
Là son le frutte in diverse maniere.
Cantan li augielli in gabia e per li tetti,
Saltan gli ciervi e cavriuoli e dani;
Giardini aperti, e spandesi l' odore;
Levrieri e bracchi là corrono a tira.
Bei chucciolini spangniuoli colle donne;
Più pappagalli per le mense vanno,
Falcon, girfalchi, sparvieri ed astori
Portan serpenti vari per tutto;
Li palafren corredati alle porti,
Le porti aperte, e partite le sale,
Come conviene alla giente venuta;
Dotti siscalchi ed altri uficiali;
Sol pan di manna, e 'l tenpo preclaro.
Surgon fontane di fonti novelle,
Spargon là dove conviene, e son belle.
Dà la tronbetta, e llo sposo co' suoi
Pilglia sua parte di giente con' vuole.
Donne amorose, gioiose e piacienti,
Dotte e gientili e di comune etate,
Pilglian la sposa, e menolla con' decie;
Dannole luogo a sedere alla mensa.
Mo' damigiell' e donzelli d' attorno;
Le molte donne allocate a sedere
Novellan tutte d' amore e di gioia.
Vento soave, che caccia le mosche,
Tenpera l' aire, e lli cor rinfresca.
Ride dal sol la primavera in campi;
Non è parete, che tengan la vista.
Corrono da piedi rii dilettosi;
Saltan li pesci alle volte dell' acqua.
Huomini di corte vestiti di dono:
Qui vestimenta innaudite e vise,
Qui son le perle, e pietre pretiose
Su per le teste, e lle veste solenni;
Qui son l' anella che danno sprendore
Quanto che 'l sol dalla parte di fore.
Eran lavati tutti, e tutte donne;
Mo' si dà l' acqua alla sposa novella.
E torno a dir delli suo' portamenti.
Siasi davanti la diman lavata,
Che mo' non torbidi l' acqua troppo;
Penisi poco a llavare al bacino;
Bocca over dente non tocchi lavando,
Ché porrà poi nella camera usare
Quanto sarà di bisongnio o dicienza.
Delle vivande odorose e più nette
Prenda, ma poco, e 'l mangiar molle lasci.
E veduto abia innanti più giorni
Gli altri costumi, ch' èn di sovra scritti;
Qui servi quei che fanno al loco.
Non si intrametta riprender chi serve,
Né parli ancor, se caso no· lla stringie.
Paia che quasi non churi sollazzo,
Sola paura le vinca il diletto;
Ma tenga sì le sue man nel mangiare,
Che nel lavar la chiara acqua rimanga.
Levata la mensa, colle donne stia
Più chiara alquanto, che nel suo venire.
Ma pur del rider questo giorno prego
Ch' ella s' astenga quanto può, tengniendo
La faccia sì, che non turbata paia,
Sol paurosa, com' è detto spesso.
Se ll' altre donne dormono in quel giorno,
Ed ella può, si riposi tra lloro,
E prenda forza a me' poter veghiare.
Suo ber sia poco; merenda mi piacie,
Poco mangiando; e così nella ciena
Troppi confetti e troppe frutte lasci;
Faccia che ssia più leggiera che grave.
pt. 5, cap. 7
Alquante donne volglionsi partire,
E altre cierte a llor camere andare;
Rimangon quelle che a suo guardia sono.
Tutte s' acostano a llei confortare.
Questa s' abraccia colle sue distrette.
A ttutte faccia carezze soavi;
«Addio, addio,» lagrimando al partire.
Tutte confortan e pregan che stia
Sichuramente, e promettolle molte,
Che 'l suo marito è andato allontano;
Le sue guardiane dicon similgliante.
Mèno'la dentro in camera nova,
Le chui pareti son sì adrapati,
Che non si vede se non seta ed oro.
Gli sopraletti stellati ed a llune;
Luciean le pietre in fighura di sole;
Quatro rubin ai canton levan flamma
Tanta amorosa, che passa ne' cori;
Qui s' acciende l' uom dentro e di fori.
Chovron lo suolo richissimi bissi,
Qui baldachini, e lle banche d' intorno
Tutte coverte di perle tessute,
Guanciali per tutto di sciamiti piani,
Piuma per entro delgli ucielli grifoni,
Topazi molti, zafiri e smeraldi,
Con varie pietre per bottoni a quelgli.
Letti in su letti sanz' altra lettiera,
Tutti di drappi oltramarin vestiti;
Di sovra algli altri lo sommo e 'l soave,
Con nova vesta di lana di pescie.
La piuma d' esto è dell' augiel Fenicie.
Un cavezale e non più vi si truova,
Grande non troppo, ma di bella forma.
Lenzuola suso di seta churata
Soave ed umile, sottile e costante;
Coltre solenne, e 'ntagli per entro;
E, tratti ad ago e di varie scolture,
Pesci e ugielli, e belli tutti animali.
Va una vite d' attorno per tutta,
Tralci di perle, e di pietre le folglie;
Dove di tutte virtù vi son quelle
Che scritte sono o nomate per belle.
Volgie una rota nel mezzo di quella,
Che rapresenta lo sito del mondo.
A'vi augielletti in finestre di vetro;
Cantan se vuoi, e se non, tacion tutti.
Là chucciolini di varie maniere,
Non già noiosi, né fanno romore;
Se ttu li chiami, fannoti honore.
Fior per le banche raunati e sparti;
Grande è l' odor, ma non soperchiante.
Balsamo molto in vasi di cristallo.
Dicie una balia: «A voi son tutte cose.
Voi giacierete soletta in quel letto;
Noi tutte quante di qua dormiremo».
Mostrano a llei la guardaroba allato,
Dov' elle dicon che stanno a guardare.
Lavano il viso e lle mani alla donna
D' acqua rosata mischiata in viuole;
Ché in quel paese così è ll' usanza,
Concian sua testa e avolgon le treccie;
Stannole intorno, aiùto'la spolgliare.
Chi lla discalza, beata colei!
Gli suo' calzari non son miga di chuoio.
Guàrdolla in viso, sed ell' à paura.
Quella le prega di lor rimanere:
Diconle di dormir di fuor del letto
A pie' di lei in su' drappi ch' i' ò detto.
Fannone vista; e lla donna sorride.
Mèttolla a lletto, sèngniolla prima,
Volgon la coltra: è lla faccia scoverta.
Tutte le viste di pietre e di drappi
Perdono a cquella beltate amorosa,
Ch' escie delgli occhi che d' attorno volgie.
Lucie il visaggio; ismariscon le balie.
Chiude la donna li suoi occhi e dorme.
pt. 5, cap. 8
Poi queste balie tradiscon la donna;
Escon per l' uscio che no· lle mostraro,
Vanno allo sposo ch' aspetta di fuori,
Dicono il lor tradimento a costui.
Vengon d' intorno al novel cavaliere,
Joven singniore, possente corona,
Molti donzelli e cavalier, che stanno
Sol per servigio di camera a llui.
Dannogli l' acqua, simìl c' alla donna.
Bionda sua testa gli adorna ciaschuno.
Chiaro suo viso allegrezza e gioia mena;
Ciaschun s' allegra di suo novo bene.
Làscia'lo in giuba, condùco'lo dentro,
Iscalzano lui all' entrata de' drappi.
Tutti di fuori, e lle balie dallato,
Stanno soavi. Incomincia una svelglia;
Èe da llungi, che non faccia noia.
Sengniasi il Re gratioso, e pon chura.
Fa sprendor grande la donna e lle pietre.
Pare a llui, ch' esta Reina dorma.
Entra soave, e disveste se tutto;
Par che lla donna gittasse un sospiro.
Àe il Re paura, nel letto si covre.
Fae agli ugielli un sengnio di canto;
Comincian tutti ad uno ad uno, e basso.
Accienna il singnior che rinnalzin la bocie;
Montan più suso nel cantare, e forse
Ch' esto romor poria destar la donna.
Ancor fa cienno che più gridin tutti.
pt. 5, cap. 9
Gitta la Donna un sospiro, e dimanda:
«Chi è colà?» Dicie il Re: «Io sono uno
Che menato ànno qua le biltà tue».
Questa si turba, e chiama le balie.
Risponde il Re: «Io l' ò cacciate fuori».
Questa si muove a volersi levare;
Non truova drappi, ché glie n' àn portati.
Lo Re sta cheto, e aspetta vedere
Per che maniera le possa piaciere;
E dicie a llei: «I' non son qui venuto,
Se non per dirti alquante mie parole;
Ascolta un poco; ed io men girò poi».
Dicie la Donna: «Questa è villania,
Un Re ch' è detto sì cortese e saggio,
A una donna di strano paese
Fare a sua casa sì bel tradimento.
Io mi credea qui eser sichura;
Mo' veggio ben, ch' io morrò di paura».
Il Re dicie Io starò poco; parlato ch' io t' abia,
Poi rimanderò le tue balie dentro.
Odimi, prego; ché poi men vo' gire.
Reina Io non poss' altro; prò v' ascolto: dite.
Ma priego voi che ssien brevi parole;
Ch' i' ò gran sonno, e lla testa mi duole.
Re Jovane, bella, e saggia creatura,
Da dDio plasmata di sì nova altezza,
Ch' ongnun ne prende maravilglia grande:
Onde ti vennon li begli occhi tuoi?
Chi mise in quelgli ochi lo sguardo amoroso?
Chi lgli acierchiò delle cilglia cileste?
Chi tti plasmò sì formose le braccia?
Onde portasti que' labri vermigli?
Son elle tue quelle man dilicate?
Chi tti dipinse la candida gola?
Chi diede l' ordine bello a que' denti?
Da chui traesti l' angielica vocie?
Dimmi, per Dio!, ch' i' non son qui venuto,
Se non per solo saver questa cosa;
La qual saputa, lascierotti in posa.
Reina Questa dimanda, s' io fossi cotale,
Chente la vostra lusingha mi porgie,
Porria per brieve risposta chiarire.
Chi è Colui da cchui vengon le gratie ?-
M' a me non par, che lla gran sapienza
Che si convien nell' assenza regale,
Fondi sue laude dal più dengnio lato;
Ché voi, laudando le fattezze in donna,
Di sua vertute non parlaste punto,
Ch' è dengnia più che tenporal virtute.
Sicché ragion è, con' sanza risposta
Voi vi partiate. E lassatemi omai;
Ché sonno ò grande, e vorrei dormire.
Re Come potea parlar di virtute
Colui c' ancor non provò cortesia?
Ma se ttu l' usi, parleronne allora.
Reina Colui che vuol cortesia usare,
Conviene a llui, a ttutti altri la faccia.
E voi savete, s' elgli è cortesia
Esere io qui sola e nuda;
Venire un re, e parlarmi dallato;
E più, se 'l tradimento elgli è pregiato.
Re Io veggio ben che 'l mio ardir fu grande.
Ma io son qui sol per udir parlare
La savia lingua ed ordinata e conta;
Po' me n' andrò, e dirò le novelle
Per tutto il rengnio di quella acolglienza,
Che mi farà la gientilezza tua.
Reina Io vi farei accolglienza d' amore;
Ma voi mi dite d' andallo diciendo:
Sì ch' io mi tengnio a volermi dormire.
Re Io non diciea di parlarne alla giente,
Se non di ciò che grand' onor ti fosse.
Chosì ancor lo ti prometto e giuro.
Reina Ora mi dite: che voi dimandate?
Che s' ella fia convenevole cosa,
Io la 'ntendrò, e risponderò dapoi.
Re La mia dimanda è di brevi parole.
Tu mm' intendesti di ch' io ti laudai.
Vorrei veder le tue fattezze tutte;
Ch' io po' potessi a conpimento dirne.
Reina S' io vi mostrassi dalla gola in giuso,
Parlar del Re che paria cortese,
Diventeria forse alquanto villano;
Ma io dirò di quelle non cotante
Fattezze mie a parole con voi,
E poi porrete di quelle parlare.
Re Piaciemi udirne; che sse poi passarne
Porrò, per tanto contento m' arai.
Reina None intendiate ch' io quelle vi dica
Singhularmente; ma tanto prometto,
Ch' el del parlar ch' io farò intendrete
Quanto conviene e bisongnia savere.
E qui comincio; intendetemi bene.
Lo petto mio è soave ed umile,
Bianca la pelle, e machula non sente;
Ed à due pomi odorifichi e dolci,
Che furon colti dall' albore vite,
Lo qual nel mezzo paradiso è posto.
Queste nessuna persona à ttoccate;
Ch' io era fuori di notricie e di madre,
Quando in segreto me le diede Iddio.
Queste non drei, s' i' non sapessi a chui:
E perché poi no· mmi fosson furate,
Non vo' dir tutta la virtute c' ànno;
Ma tanto dico, che beato è quello,
Che lle potesse tocar solo un poco;
Veder non dico, ch' eser non porria.
Nel cingnier mio si ragira piagiere,
Nettezza e tenerezza,
Che stende una vesta cristallina,
Che pende giuso insino alle ginochia,
Sotto la qual Verginità dimora.
Quella è fedel, credente e senplicietta,
Colla ghirlanda indorata e sprendente.
À gran paura quand' ode contare
Di sè parole; prò udirete
Ch' io dico pian, ch' ella non si smarrisca.
Ell' è colei ch' aconpangniò il Filgluolo
Del sommo Iddio, e sua Madre con esso;
Ell' è colei che co· molte siede in cielo;
Ell' è colei che 'n terra à pochi seco.
Le mie ginocchia, e lle gambe co' piedi,
Ànno con seco una forma che ride:
Quella è fighura di colei ch' è 'n vita.
Ancor ci à gratie, virtù ed afetti,
Che dengni son di trovare ongni dono;
E priegan voi che ve n' andiate omai,
Ch' io non potrei più ciessar di dormire.
Re Nobil creatura, valorosa e dolcie,
I' son non meno del tuo bel parlare
Già preso, che della tua novella statura.
So che llaudare, per quanto m' à' detto,
E credo assai a queste tue parole.
Ma ben vorrei poter parlar di fermo;
Sì ch' io ti priego, che ti piaccia alquanto
Adimostrarmi le gioie ch' à' detto,
O sostener ch' io la lor forma tocchi.
Reina Non si conviene in parole di re
Trovar sì poca costanza. Guardate,
Che prometesti partirvi da mene
Sanza dimanda villana o ingiusta.
Re E io ti volglio oservar la promessa.
Ma una sola gioietta dimando,
Che portar volglio per tuo amor in battalglia.
Quella ghirlanda indorata ti cheggio,
Che mmi diciesti di sovra c' aveva
Verginità nella sua monda testa.
Reina Voi siete posto alla magior volere.
Ben siate Re, ché il Re vuol gran cose.
Giurate a mme che voi ben la guarderete,
E oservrete intera fede a llei;
Che in altra guisa io no· lla 'ngannerei.
Re Truova co· llei ongni patto che puoi,
Ed io prometto a suo piaciere e giuro.
Reina Pon su la man; ben mi piacie.
ReFai sì?
Reina Vita mia, sì.
pt. 5, cap. 10
Così parlando, e cantando gli ugielli,
Per mala guardia lo fuoco s' acciende:
«All' acqua; all' acqua»; romor grande è in sala;
Dà la tronbetta, armasi la giente;
Non si sa ben per ciaschun la chagione.
Serralgli in via e cavalieri in piazza;
Dentro al palazzo lo fuoco s' abatte:
Saltan le donne co' pie' su per ello. -
Ancor lo Re e la Reina stanno
I· llor novelle, diciendo e ridendo;
Credon che ssia romor per la festa.
Suona la svelglia, l' aurora apariscie,
Bassa il romore, e lla giente s' adorme.
Cantan donzelle alla camera presso.
Viene il gran giorno; lo Re si riveste;
Nuova ghirlanda alla sala raporta,
Poi la corona su quella nel cierchio.
Suo viso chiaro dimostra la gratia,
Che dentro a cquella camera àe trovata.
Su' cameriere e donzelle con balie
Veston la donna, e conpangnia le fanno.
Tutte dimandan com' ell' à dormito;
Quella, taciente, sorride e vergongnia.
pt. 5, cap. 11
Ora si viene a divisar lo modo
Che ssi conviene servar alla donna
In questo giorno sicondo, che ssegue.
Ma perché ora la donna è menata
Nella gran sala, e è locata e siede
Con molte donne che intorno le stanno:
Anzi ch' i' vada più nanti del libro,
Ponete chura com' ella par saggia,
E como onesta, e como dolcie e piana
È sua bellezza e statura solenne.
Vedete ancor le donne d' intorno,
E lle donzelle avenanti e gioiose,
Che stanno insieme a ragionar d' amore.
Ànno cacciati fuora
E cavalieri e tutt' altri donzelli,
Per donar sicuranza
A questa donna; ché ben si conviene.
Lo Re cavalca con tutta sua giente.
Qui è lla gioia, allegrezza e bene,
Ongnun contento di ciò che conviene.
pt. 5, cap. 12
Seguita qui di trattare come siede
La nobil donna, e della contenenza
Che ssi conviene in questo loco lei.
Non troppa allegrezza, né malinconosa,
Mostri la ciera, alquanto più sichura;
Gli occhi ver terra, e d' intorno gli lievi
Quando le parla alchuna delle donne;
E nel levar, no· lgli avra quanto puote.
Sovra sè stia, e le mani al mantello
Talora muova, che non paia pietra.
A chi lle parla rivolga la testa
Soavemente inn atto temoroso;
Né sia corrente a rispondere, e brieve
Faccia risposta a chiunque le parla.
Stiale dallato alchuna savia donna,
La qual risponda per lei tal fiata,
Quando del Re si parlasse d' attorno,
O quando fosse la proposta lunga,
Che convenisse non breve risposta.
E perché melglio conprenda ciaschuna
Quel modo tutto che servar convene,
Vedi la donna, e l' altre tutte stare
Com' io t' ò detto; e ttolgli alquanti essempli
Del parlare che fanno
Cierte, e poi le risposte
Che fa la donna, e talora alchun' altra.
E udirai, che lla donna ch' è detta,
Quando si fa menzion del marito,
Fa lla risposta per una che dicie;
Nell' altro caso talora risponde:
Ch' ell' è usanza di novelle donne,
Ancor non far del marito parola.
Vedrai più inanti il quando e come decie.
pt. 5, cap. 13
Or guarda: vedi la detta Reina
E tutte l' altre; e colei che ssi lieva
È una Contessa valorosa e grande,
Ch' era venuta ad onorar la corte.
Chiede comiato, che ssi vuol partire,
Diciendo queste parole alla donna.
I' sono in questo dì la più contenta
Donna che giammai fosse;
E così e' possono essere tutte
Le circhustante donne, veggiendo
Che 'l serenissimo Singniore nostro
Meser lo Re, al qual si conviene
Ongni onore e grandezza e gratia,
Chome a colui ch' è pien d' ongni virtute,
Ed al qual non si può alchun difetto
Notare, è aconpangniato così altamente;
E che la sedia della sua conpàngnia
È omai ripiena di sì nobile e addorna
E di sì vertudiosa criatura,
Della qual cosa inn aparenza e costumi
Si colglie omai l' efetto.
Ringrazii Iddio la lingua regale
Di sì alta gratia; c' assai è beata
Quella corona che fu fabricata
In sì nobile e gratioso punto,
Che cingnie i capelli di sì nobile testa;
Rengnio beato, che lume ricieve
Da questa stella bella e sì lucida.
Donne, per Dio! attendiamo allo specchio;
Che fia salute e consolatione,
Insengniamento e dottrina di noi.
Voi, alta donna, sinciera e famosa,
Amabile e bennignia,
Volgiete gli occhi della mente vostra
A pensar di colui
Che dato v' à solo Iddio per conpangnio.
Lauden gli cieli e lla terra e quel giorno,
Che ssi trattò di cotal conpangnia;
Laudiàn viepiù del trattato conpiuto:
Ch' io non poria colle lingue viventi
Tanto laudar e ringratiar Colui
Che questa grazia à data a questo giorno,
Che più assai obrigata non fossi.
Siché di cosa alla qual soficiente
Non sono, istender no· mmi vo' in più parole;
Ma prego Que' che formò voi e llui,
E che coniunse sì alti pianeti
Come voi due, a llucie del suo Rengnio,
Che vi conservi la vita e ll' onore,
E diavi quella con tutto diletto;
Poi vi riduca insieme nel Rengnio etterno
Pien d' ongni ben, sanza manco alchuno.
Io per me dico a voi, ecciellentissima
E clementissima ed amantissima donna,
Che volentier io vorei potere
Dimorare e condurre i dì miei
Apresso a' raggi di sì alto lume.
Ma io ò cierti vassalli perversi,
Che ssempre stanno in guerra e 'n travalglia.
Mandato m' ànno una lettera, che binsongnio è per lor canpamento la tornata mia.
Suplico a voi, che vi debia piaciere
Ch' io vada là colla vostra licienzia.
pt. 5, cap. 14, par. 1Levasi suso una savia donna,
Che in conpangnia della Reina venne,
Ed achostossi a llei, e dimandolla,
Che alla donna le parea di rispondere.
pt. 5, cap. 14, par. 2La Reina dicie:
Rispondete come si conviene all' altre cose; e della
licienzia lassate a me.
pt. 5, cap. 14, par. 3Ora risponde questa savia Donna così:
Avengniaché molte
savie donne siano alla conpangnia
di questa nostra donna madonna la Reina, le
quali
averiano melglio
sapute rispondere al grande
vostro senno, madonna la
Contessa: nientemeno inperò
ch' i' ò più tenpo
costumato e
riparato apresso
della soave sua e
beningnissima
Esciellentia, col suo
comandamento
rispondo; e nel suo senno e nella
sua altezza sta di
corregiere e far
mendar
colà
dov' io per
fallanza di saver non seguitasse in
tutto
la sua
infallibile e
sapientissima
intentione.
pt. 5, cap. 14, par. 4E
primieramente sovra le lode dello escielso Singnior
nostro meser lo Re, madonna la Reina non sovrasta
di parole: l' una, perché la scieltudine e lla fama
e lle virtù sue sono per tutto la ritondità della terra
manifeste; l' altra, perché a novella sposa dello
sposo parlare vergongnia contradia.
pt. 5, cap. 14, par. 5Alle lode
che piacque a voi di dare a llei, ancor non risponde;
però che se i· llei non fosse conpimento tanto quanto
per voi è detto, ella ispera in Dio, e nel suo singniore
meser lo Re, che da llor verrà effetto d' ongni
gratia.
pt. 5, cap. 14, par. 6Alla allegrezza che mostrate ed alla
lode che fate del ben comune del detto nostro Singniore
e di lei e del Rengnio, comenda la vostra
ordinata loquea; e per tutte le cose, e per la cortesia
della vostra venuta a onorare lei, profera a voi
quanto a novella Reina si conviene.
pt. 5, cap. 14, par. 7La licienza
per voi dimandata vi dirà ella come a llei piacie.
pt. 5, cap. 14, par. 8Reina Che vi piaccia di non lasciarci così tosto,
quando ciò sanza vostro dannaggio eser possa.
pt. 5, cap. 14, par. 9
Contessa Madonna, io sarei bene
In concordia con voi,
Quando il poter ci fosse.
pt. 5, cap. 14. par. 10Reina E voi andate con buona ventura.
pt. 5, cap. 14. par. 11Contessa Addio, Madonna .-
E lla conpangnia tutta: «Addio, addio».
pt. 5, cap. 15, par. 1Ora si leva una donna, molglie che
fu di cavalier del paese, la qual vengniendo alla
detta corte erasi trovata in cammino colla detta
contessa; udendo del partir di lei, vuol dimandar
comiato, per andarne insieme con essa. Or seguita
il dir di questa donna.
pt. 5, cap. 15, par. 2Ma qui attendete; che
perché questa donna non fa
mention del detto Re
nel suo
dire, la Reina prende
sichurtà di rispondere
ella in
persona. Ma perché non
paia in ciò far
disinore
alla
contessa, alla qual fe' rispondere ad
altrui, udirete di sotto, quando la donna
avrà detto
e lla Reina verrà a rispondere, la cagione ch' ella
assengnierà nel suo dire a
schusa di ciò, ed a non
fare minore la
risposta di
colei, a chui maggior si
convenia.
pt. 5, cap. 15, par. 3Ecco qui la fighura della Donna che
ora parla, e dicie così:
pt. 5, cap. 15, par. 4El si trova scritto, che invano lavorano
colloro che s' afaticano d' attorniare il lume etternale
con lume mortale; sì ch' io pensando che per
mio parlare alla vostra magnificentissima sincierità,
adornezza e pienezza di virtù non poria cresciere
nome o fama, però che tanta è ll' altezza di
voi in tutte le dette cose, che lla mia debolezza non
solamente agiungnier non poria a dirla pienamente
o farle acrescimento, ma sola una particiella della
vostra superchemenenza non poria contare: onde,
lassata la cosa inpossibile, vengnio brievemente,
madonna la Reina, a ringratiare Iddio, ch' à così
utilmente della vostra persona proveduto a questo
Rengnio.
pt. 5, cap. 15, par. 5E voi prego e conforto, che vi piacia
di voler dare lo vostro studio a ongni onesto
diletto, acciò che allegrezza dimori con voi i· llunga
e dilettevole vita; della qual prego Colui, che mise
tanta solicitudine in formar voi così conpita; ché
solo è Elli quello, che sse giunta vi cadesse, la
poria fare.
pt. 5, cap. 15, par. 6
Apresso,
prego la vostra
circhuspetta
cortesia, che vi piaccia di
licienziarmi, sì
ch' io possa ritornare a una vostra terra ch' io
tengo, dove sono e sarò senpre a ongni vostro
comandamento
aparechiata; ché quando la
valorosa
donna madonna la
Contessa, che
davanti àe parlato,
pasava per lo paese,
venni a ssua conpangnia; e
trova'la di tanto diletto, che, quando vostro piacier
sia,
tornerei
volentier co· llei, per
falle nella detta
vostra terra quella accolglienza d' amore ch' io potessi.
pt. 5, cap. 15, par. 7Di vostre lode far risposta mestier non fa,
però che ben si conoscie per le gienti d' attorno,
che vostro parlare è più da cortesia che da credenza;
ma tuttavia di vostra bella e cortese parladura
vi siamo obligate a vostro piaciere ed onore.
pt. 5, cap. 15, par. 8Quanto alla licienza vi diciamo, che tanto
abiamo udito di vostro savere, che volentier ci riposere'mo
ancor con voi; ma perché la Contessa ne
vada melglio acconpangniata, e nella sua conpangnia
ricieviate il diletto che dite, anderete con buona
ventura .-
pt. 5, cap. 15, par. 9Non risponde'mo alla Contessa in
persona; ché a ttante belle cose nuova sposa non
basta.
pt. 5, cap. 15. par. 10Donna Madonna, vostro comandamento sarà adenpiuto.
A dDio siate.
Reina Andate, addio.
pt. 5, cap. 15. par. 11
In questo dì non si dà più
briga alla donna;
che l' altre donne che erano
venute alla
corte si
partano la
magior
parte il terzo dì, spetialmente
quelle che sono da llungi: sì che questo dì non ti
scrivo altro, se non che le
mense
aparechiate sono,
ed il Re è
ttornato.
pt. 5, cap. 16
Là vengnion cavalieri
Per condurre la donna a una sala,
Dov' ella con sua conpangnia
Dee mangiare. Lo Re per aventura
Si trova in sull' uscita della sala,
Quasi davanti a llei.
Ella vergongnia e teme, e china gli occhi,
Alquanto sorridendo; e poi
Serva l' usanza ch' è detta di sovra
Del primo dì, ma non tanto distretta.
E puote ben questo giorno parlare
Alchuna volta; ma ssia rado e breve,
Ed abia prima pensato nel core
Quanto la lingua di fuor de' parlare.
Qui d' altre regole non vi discrivo.
Passi da ssè temorosa non tanto,
Fino alla sera siconda che viene.
In questo ancora lungo non vi parlo;
Ché quella donna che navica il mare,
Ben de' saver come si passa il fiume.
Ben volglio alquanto richordare a llei,
Per non lassar quel ch' ebbi in mandamento
Da quella Donna che mm' indusse all' ovra:
che ffu cotal ch' io tocassi ongni lato,
S' i' non volessi da llei riprensione.
Attenda dunque la nobil Reina,
Che non conviene a llei in questa sera
Tanta salvatichezza
Usare, né che da llei
Si mova tenerezza.
Dicie lo Re a llei.
Donna placiente, amorosa e gientile,
S' el fosse tenpo che tu mi volessi,
Come conviene omai, parlare alquanto,
Io t' ardirei pregare e indurre,
Che 'l tradimento ch' io cierco di farti
Per eser teco ed udirti parlare,
Di tuo volere io potessi lassare;
E che tu fossi a mme sì sichura,
Che no· mmi fosse bisongnio pregare
Altrui, che tte, di voler eser teco.
Reina Meser, voi siete sì cauto e sotile,
Ch' io veggio ben, ch' i' non poria scanpare,
Ch' i' non convengnia vostro piagier fare.
Ma ben saria più vostra cortesia
(Voi mi perdonerete s' a voi piacie),
Andar a star colli vostri baroni,
Lassar dormir le donne a llor maniera.
Re S' el fosse tenpo d' arme, allora è vero,
Che delle donne si vuol ricordare,
E co' baron della guerra pensare.
Ma ttu sa' ben, che nno' siamo in gran pacie.
Pensiàn di quel, che lla pacie vuol dire;
E chi arà sonno, sì porà dormire.
Reina Meser, or non correte; è egli ancor giorno;
E non è tenpo che sonno richeggia;
E io m' andrò a posar colle donne.
Re Tu se' errata, perdonami, alquanto;
Ch' elgli è passato due parti di notte,
E ttutte l' altre a lletto so' andate.
Chiama la donna una sua cameriera.
Ell' è ben presso, ma no· lle risponde.
Dici' ella poi: «O! pur con tradimenti?»
Lo Re risponde:
A me conviene usare
Leanza o tradimento, o che mi valglia.
Reina Meser, or ecco: non posso fuggire.
Gite a dormire.
E qui sono accordati .-
Lassoli omai; ché di notte non parlo.
pt. 5, cap. 17
Lo terzo giorno col gran sol si leva
La gratiosa conpangnia de' due.
Vengon le donne, e menan la Reina
Inn un giardin tra lle rose e tra' fiori.
Quivi comincia di sua man la donna
E fa per sè una sua ghirlandetta;
Una ne fa, che lla presenta al Re.
Dicie così a colei che lla porta:
«Tu ten girai al magior dell' ostello;
Non dir di me, com' ài cara la vita,
Ma di': La donna che tradito avete
Questa ghirlanda vi manda ch' io porto».
Dicon le Donne d' intorno:
Madonna,
Tosto vi siate accordata con lui.
Buon' è la guerra che 'n pacie si truova.
Reina Donne, seria a mme vostro consilglio,
Ch' io lungo tenpo tenessi la guerra,
Della qual io alla fine convengnio
Venire a volglia di lui che lla mosse?
Donne Cierto, Madonna, da voi preso avete
Vostro consilglio, che non ci chiamaste.
Ridon d' intorno, e lla gran festa fanno.
Muove colei che lla ghirlanda porta,
E dicie al Re l' anbasciata conmessa;
Poi la ghirlanda nella sua man pone.
Conta lo Re la mandata a' baroni.
La damigiella sua risposta attende.
Dicie lo Re le parole seguenti:
«Tu tten girai a colei che tti manda,
Ch' io non so ben chi ell' è; ma io penso,
Ch' ella sia quella che mi fecie un furto
Di quella cosa ch' io avea più cara.
Siché se forse tradita paresse
Che fosse stata da mme quella donna:
Non fu tradita, ma, per far vendetta,
Trassi inver lei quella nova saetta;
E mentre ch' ella no· mmi rende il furto,
I' penserò di fedirla più forte:
Sol l' asichuro, non tema di morte».
Stanno la donna e lle donne tra' fiori;
Chi fa ghirlande, chi canta, e chi colglie,
Per far suo' doni, delle rose del loco.
Giungnie, che riede, questa damigiella;
Fannosi incontro ridendo inver lei,
Mèna'la tutte alla Reina avante.
Qui s' inginocchia: «Madonna, i' son morta,
Che lle parole del Re m' ànno punto
Sì di dolciezza, ch' i' non so che dica».
Cadde costei tutta smarita e vinta;
Gitta'le tutte le rose nel viso,
Chi le viuole, e diversi altri fiori:
Nulla le giova, ch' ancor si risenta.
Bàlla'le intorno cantando e chiamando,
Ciercha'lle i polsi, fregando le braccia.
Leva una bocie cotal: «Morte volglio».
Poi non più parla. Chuovrolla di fiori,
Fannolle croci di gilgli amorosi;
E mandan l' altra damigiella ancora.
Chui la Reina comanda che dica
Questa ventura per ordine tutta,
E che dimandi, che ll' era comesso
Che rispondesse a colei che mandava.
Giungnie davanti al nobil Re costei;
Ma quando entrava alla primiera porta,
Dalla regal Maestà trasse Amore
Una saetta, c' a quella damigiella
Die' per lo fianco, e venia piangiendo.
Lo Re, vegiendo ch' ell' era fedita,
A duo cavalier comanda che costei
Tornasson dentro alle donne al giardino,
E dimandasson di tutte novelle,
E come avea parlato la prima.
Giungniendo lor tra lle vinte primiere,
Avendo in braccio costei che cadea,
Vidor la somma Reina sedere;
Dal chui visaggio uno sprendor si mosse,
C' a questi cavalier da parte a parte
Passò dal petto alle reni inn un' ora.
Qui fur li fiori e lle rose per nulla.
Pur cadder morti; e lla Reina ride:
Crede che questo sia beffe o ssollazzo.
Rimandan l' altra; ma fu una vecchia,
C' andava armata, e non avea paura,
Ch' era a guardar lo giardin per aventura;
Chui la Reina comanda: «Dirai
Tutte le cose che ttu ài vedute,
E dimanderai la risposta che fecie
Lo nostro Re alla primiera mandata.
Ma non dir tu, com' io t' abia insengniata».
Giunse la vecchi' a la corte, e gran festa
Fecion d' intorno li baron di lei.
«Di' le novelle»; comanda il Singniore .-
«Però ci sono; or udite voi altri;
Che 'l Re m' intenda, ch' elle son ben grandi».
«Udite, udite, udite», dicie il corno.
Dicie la vecchia: «Su, pilgliate l' arme,
C' Amore à fatto qua giù badalischio
Chiunque passa da voi alle donne.
Dov' è il perilglio, non vi so ben dire:
I' n' ò veduti qua giù quatro morire;
I' son campata, c' Amor no· mmi vide,
Né vid' io lui, che fu mia ventura,
E gran tenpo è ch' io non n' ebi paura».
Contato il fatto, lo Re e i baroni
Levansi tutti, corrono al giardino.
Amore è i· mezzo, in qua e i· llà ferendo:
Qui dona lor tanti colpi e sì feri,
Che, se non fosson li medici molti,
Campavanne pochi, ed assai n' eran morti.
Lo Re, vegiendo il perilglio delgli altri,
E i molti guai de' feriti d' attorno,
Ver la Reina prega del partire.
Allor la giente si mise a seguire,
Chi col cor fesso, e chi col petto averto,
Chi in altra guisa ferito e percosso.
In caso tale à paura la donna;
Prender si volse alla vesta regale.
Amor le die' nel braccio con l' ale.
Temette il Re della donna, e gridava;
Ferillo Amor, quando la confortava.
Levasi un vento che spande li fiori,
No· lgli vale elmo né capel d' acciaro,
Ronpon gli scudi, e 'l perilglio v' è grande.
Volglion partirsi; la porta è serrata,
E nell' uscir li sergienti d' Amore
Co' dardi in mano, e nonn ànno piatate:
Sì che di piana concordia son vinti
Tutti i baroni e lle donne là dentro;
'Chusansi tutti prigionier d' Amore;
E più, che il Re e lla Reina stanno,
E trattano mene d' arrendersi a llui,
E finalmente lui chiaman singniore.
Vedesi Amor sovra tutti potere;
À gran baldanza, chomanda che tutti,
Lo Re co' suoi, la Reina con quelle,
Facciano a llui reverenza ed onore.
E fatto ciò di voler di ciaschuno
E di ciaschuna, lo vento racheta;
Dà sichurtà a ttutta giente Amore.
Po' fa portar li feriti e lli morti
Davanti a ssè, e dicie sovra loro
Queste parole che qui sono scritte:
«Li colpi mie' son di cotal natura,
Che qual si crede di quelgli eser morto,
Allor in vita magior si ritrova.
Levate su, non dormite, ch' i' vegghio:
Vo' che senbrate nella vista morti,
E vo', feriti, sechuro da morte».
Così parlando Amor sovra costoro,
Risucitaron li morti e lle morte,
E lli feriti prenderon conforto.
La sommitade dell' aiere spande
Una rugiada soave, amorosa;
Questa rinfresca e ringioiscie i cori:
Tutti i feriti che ssi lavan d' essa,
Molto radolcan le ferite sue.
Prendons' a ballo tra quelle coloro,
Lo Re da parte, e lla Reina seco;
Amor nell' aire volando si mostra;
La porta s' apre da ssè, come vuole
Que' che lla chiuse, e vannone insieme
Tutti costoro a mangiare a diletto.
Qui li stormenti e lli canti corali;
Qui dell' afanno nessun si ricorda:
Nullo è di lor, che volesse eser quello
O quella donna, ch' a questa battalglia,
Che detto v' ò, non si foson trovati.
Or lasso qui, perc' Amor lo comanda.
Mangian costoro; rinovando d' amore
Vassene il giorno infin dopo nona.
pt. 5, cap. 18, par. 1Qui son le donne di strani paesi;
Volglion partirsi; fan dir alla Donna,
Che tutte volglion licentia da llei.
Viene la Donna a seder là di fora;
Quivi son tutte; e ll' una per tutt' altre
Parla inver lei le parole seguenti:
pt. 5, cap. 18, par. 2Lo sommo ed ecciellente diletto che ssi ricieve
apresso l' odor delle vostre virtuti, madonna
la Reina, ci contende e contendria sempre il partir
da presso di voi.
pt. 5, cap. 18, par. 3Ma non si
convien di guardar
tanto al nostro
piacier, quanto al lassar voi omai
posare apresso al vostro
eciellentissimo conpangnio,
e lui di vostra
dilettevol conpangnia aver più
libero
spatio; e ancor cierte nostre
bisongnie ci
stringon
a
pregar la vostra
beningnia e
serenissima
chortesia,
che lle piaccia di
licinziar noi tutte, e
comandar
quanto e che piacie a voi che per noi si faccia; ché
tutte siamo acconcie pienamente a ubidire.
pt. 5, cap. 18, par. 4La Reina risponde in persona:
Donne valorose e di molta virtute, la vostra
Maniera è tanto gientile, ordinata e dilettevol, che
per vostro partire non ci può altro che sciemar
gioia, e presente voi la nostra allegrezza tutto
giorno cresciea; e sapiàn ben, che vostra gientilezza
è tanta, che lla fatica v' è stata legiera. E
per queste cose da nnoi ancora licienza ancor non
poresti avere. Ma udendo dir di vostra bisongnie,
siàn contente di ciò che vi piacie.
pt. 5, cap. 18, par. 5Di quel
Signior che nominasti non parliamo; che sse voi avete
onorato lui e sua corte, i· llui sta di potervi e dovervi
meritare.
pt. 5, cap. 18, par. 6Così parlando,
sovragiungnie il Re e
dicie:
E come, siete voi pur in voler partire?
Donne Altissimo Singnior, sì, quando a voi piaccia.
Re Questa licienza è della Donna a dare.
Donne E noi a llei la
dimandiamo.
Reina Po' che pur
volete così,
addio,
andate, addio.
pt. 5, cap. 19, par. 1Or da questo terzo dì alli quindici
giorni, però che il Re infra questo tenpo non afatica
la Reina di consilglio o ragionar d' altro, che
di farla dimestica, la Reina no' à altro a pensare,
se non di prender ongni giorno più sichurtade, sì
che al quindecimo giorno ella sia quasi nel tutto
sichura a llui.
pt. 5, cap. 19, par. 2Tuttavia inanzi che trattiamo
come si dee portare e di che pensar da questo
giorno innanti, volglio cierte cose a llei ricordare,
delle quali infra 'l detto tenpo la conviene eser cauta.
pt. 5, cap. 20
Ma nanzi ch' io cominci,
Per non dimenticarlo,
Ricordo all' altre donne,
Che non pilglino assemplo
Da questi portamenti
Che fa questa Reina,
Inn ongni cosa; ed ancor del parlare
Simile dico; ma guardino tutte
Suo grado e suo stato:
Che ben savete che non si conviene,
Perché Reina talora si lodi,
E perché si tenga alta nel parlare,
E perc' ancora ella parli in plurale,
Che minor donna tal maniera tengnia;
Però c' alla Reina quasi costringnie
La sua altezza e sua dengnitate:
L' altre rafrena debita onestate.
Ver è, che nova donna con marito
In tenpo e caso d' amore e sollazzo
Può dicier ciò che lla faccia più cara;
Ché ancor l' omo, la donna laudando,
Non crede ongni ora quanto narra e dicie,
Ma questa cosa per amor gli licie.
Queste son voci che pingnie dolciezza,
Amor le fa fermare,
E sichurtà non lassa vergongnare.
Ancor da ssolo a ssola prociede
Tal parladura, che 'n piazza disdicie.
Chi prova amor, sa ch' esto scritto dicie;
E chi nol prova, non vo' che llo 'ntenda:
Però non parlo più chiaro qui suso.
pt. 5, cap. 21
Ritorno a quel ch' io promisi contare,
E parlo a questa Reina amorosa
Delle chautele nel tenpo ch' i' ò detto.
Dodici son: qui di sotto le metto.
Brevi le pongo, ma contengon molto.
Però ciaschuna le legga, per Dio!
Se viene al punto che tocchino a llei.
La prima:
Che quelle Donne che trovò là entro,
Con umiltade e cortese parlare
E con suoi doni e con bella accolglienza
Faccia di sè benvolglienti ed amiche.
La siconda:
Che a le donne che là entro à trovate,
Cominci comunal dimestichezza,
Né si rifidi in sue credenze dire
All' una più c' all' altra, finché prova
E conoscie ben che dir lo possa,
Com' è dinanzi più in questa Parte;
M' a questo tenpo al tutto se ne guardi.
E qui non lasso, se per aventura
Avesse in sè alchuno vitio o difetto,
Al qual rimedio non si può porre,
Non si rifidi inn alchuna di dirlo;
Ancora al Re lo nasconda, se puote.
La terza: ch' esta donna
Non dee mostrar d' eser tropo maestra,
Anzi selvaggia e nova,
Sè ritrovando nell' ovre d' amore,
Né an' di quelle gran diletto avere.
La quarta:
Che d' esto Re mostri e parli in tal guisa,
Ch' el non s' accorga ch' ella di legiero
Pilgliar si possa alla rete amorosa.
La quinta:
Che i difetti che vede in magione
Finga di non vederli in questo tenpo,
Salvo se di perilglio non fosse
Di questo Re o d' esto rengnio suo;
Ch' io parlo sol de' difetti che ssono
Ne' familgliari o nella masseritia,
Non già di tradimenti o cose gravi.
La sesta:
Che tenperata in mangiare e in bere,
Tuttoché inn ongni tenpo ben stia,
In questo più strettamente si tengnia.
La settima:
Che se conoscie ch' esto Re sia vago
D' eser co· llei, no· lgli faccia senbranza
C' a llui sia cara per più fàllo amare,
Ma finga sè non veder ciò che facie,
E non intender quanto dicie e mostra.
Così ancor cortesemente passi
Quant' ella può, di non lassar gravare
Lui, se 'l vedesse tropo smisurare.
L' ottava:
Ch' ongni suo guardo s' astenga da tutti,
Fuorché da llui, e mostri non volere
Ch' ello s' accorga se guarda inver ello.
La nona:
Che tutt' i suoi ornamenti, segreti
Quanto può faccia, e pensi d' aparire
Per tutto il giorno, e an' di giorno in giorno
No· mmai men bella l' un tenpo che ll' altro
Per ornamenti, che vista le muti.
La diecima: che
S' ella s' accorgie ch' esto suo marito
Ad alchun' altra donna o damigiella
Volgiesse gli occhi o desse intendimento,
Finga ciò non vedere in questo tenpo;
Ma guardi innanzi in questa Parte, e vega
Lo modo e 'l tenpo c' a cciò si convene.
L' undecima:
Che 'n questo tenpo non churi di doni,
Di gratie adimandare a questo Re;
Ma diligientemente ponga chura
E intenta di giorno e di notte,
Questo suo Re disposto melglio sia;
Per poter poi, quando fia tenpo e loco,
Saver lo punto milglior di parlàgli.
La dodecima:
Che se in alchun tenpo s' avede
Che 'l detto re più un' ora ch' un' altra
Sia malinconoso,
O non così disposto ad allegrezza:
Pensi per qual maniera,
Taciendo o ragionando,
Porrà da quello stato me' ritrallo;
O dove dubitasse,
Prenda il taciere, e dimostri temenza:
Però che quindi si lega dapoi
A conpassion della innociente donna.
pt. 5, cap. 22, par. 1Dette le dodici cose, seguita di vedere,
come da quindici giorni innanzi
si de' portare universalmente;
però c' omai si può ben dir ch' è donna.
pt. 5, cap. 22, par. 2Lo Filosafo dicie: «C' a buona donna
convien governare e churar le cose che sson dentro,
e che nessuno entri in magione che 'l marito nol
comandi; e spetialmente eser temente a ccorretione
dell' anima».
pt. 5, cap. 22, par. 3Dicie ancor: «Che moltitudine
d' oro non è di tanto a virtù della donna,
di quanto moderanza inn ongni opera e disidero
d' onesta e bene ordinata vita».
pt. 5, cap. 22, par. 4Ancor
dicie: «Che grandissimo onore è alla donna, se
vede suo marito casto eser in essa, e di nulla
altra femmina churare, ma, fuor di tutte l' altre,
lei propia ed amicha estima fedele; e tanto
magiormente studiare dee d' esere tal molgliera
inver lui».
pt. 5, cap. 22, par. 5Ancor dicie il detto Filosafo:
«Che nessuna cosa è maggiore alla donna, che lla
pretiosa e fedel conpangnia al suo marito».
pt. 5, cap. 22, par. 6Ancora dicie: «Che ll' amor da llei al propio marito
dee sempre esere con vergongnia e con temenza».
pt. 5, cap. 22, par. 7
E anco
dicie: «Che lla sua
dispositione vuole
esere sì fatta, che nessuno le
paia milgliore né
più casto né più
propio che 'l suo
marito».
pt. 5, cap. 22, par. 8E ne l' Eclesiastico si leggie: «Ch' è biato
l' uomo della buona donna, ch' è il numero delli
loro anni doppio; e lla femina forte enpierà gli
anni del suo marito di pacie. È parte buona la
donna buona; è gratia sopra gratia la donna
santa e casta. E come il sole che nascie al mondo
nelgli altissimi di Dio, così la bellezza della buona
donna in ornato della casa è llucierna sprendiente
sovra in candellier santo».
pt. 5, cap. 22, par. 9E Massenio dicie:
«Cominci la donna a ben fare;
Ché tanta è poi la grolia
Ch' ella possiede della sichurtà,
Ch' ell' à tra lla giente,
E della singnoria ch' ella si vede
Sovra le men che buone, e della fama
Che di sè volar sente:
Ch' ongni stinenza le sarà non solamente
leggiera, ma di sommo diletto».
pt. 5, cap. 22. par. 10
Con queste parole s'
accorda una delle
reghule ch' è scritta nel
quinto
Dochumento della
siconda Parte de'
Ducomenti d' Amore, che
dicie
così:
pt. 5, cap. 22. par. 11E
dicie
Saxiro: «Che se lle donne
attendesson
tanto a llavar la
mente, quant' elle
attendon
a
llavar la faccia, incontanente
diventeriano
di
creatura humana, angielica; e cche s' elleno
attendessono tanto
all' orationi in camera, quant'
elle
attendono alle
vanitadi alla finestra,
verebono
loro in
picciol tenpo sengni della passione;
e ss' elle
attendessero a vestire i poveri della
vigiesima
parte di quello ch' elle attendono a
vestir
sè, non si
troveria alchuno per
indigienza
nudo;
e ss' elleno
covrisson la lor testa d' onestade quanto
la
chuovron di lacciuoli,
torneriano la sera assai
più uomini a sua
magione, che non rimangon
presi
a'
lacciuoli».
pt. 5, cap. 22. par. 12Onde porrai qui una Regola scritta nel
detto Livro de' Dochumenti, che dicie così:
pt. 5, cap. 22. par. 13Uno Provenzale, volendo ben provare la
bellezza di sua donna, dicie: «Che nella sua faccia
mai altra acqua che naturale non puose; ed in
sulla sua testa non venne mai per ornato altro
che quel che la natura le diede; e cche veste già
non la covria per più bella far lei, ma perché
così comandava onestade». Poi domandato, perché
dunqua pettinava ella i suoi capelli; - «Perch' ella
volea mostrare che femina era, di chui è propia
natura d' acconciarsi».
pt. 5, cap. 22. par. 14Con questa
ultima parola s'
accorda una
Regola del detto
Livro de'
Dochumenti, che così
dicie:
pt. 5, cap. 22. par. 15Nel Libro di Madonna Monas d' Egitto,
che ss' appella «Libro defica l' arme del chuore» leggesi:
«Che li nimici delle donne sono XVII: ornamenti,
lusinghe, tesoro, lode vere o non vere, baldanza,
sichurtà, sollicitudine, otiosità, richezza, somma
necisità, vino, le piazze, le giostre, i canti, i
sonari, saltari, e sovra tutte cose la malvagia
compangnia».
pt. 5, cap. 22. par. 16E una Regola del detto Livro de' Dochumenti
dicie:
pt. 5, cap. 22. par. 17Madonna Lisa di Londres disse:
«Che debole era il chuor di quella donna,
Che per vana laude e per vana vista
Dava onore altrui del suo dispregio».
pt. 5, cap. 23, par. 1A cquesto dire di questa donna s' acosta
una risposta che fecie la Contessa d' Erdia con mesere
Ugolino.
pt. 5, cap. 23, par. 2Lungo tenpo
messere Ugolino
fecie d' arme e menò cortesia per una sua donna.
pt. 5, cap. 23, par. 3Sicché un giorno essendo a una caccia questa
donna con molte altre donne e cavalieri, e abiendo
dinanzi la detta sua donna più volte promesso a
messere Ugolino di dalgli una ghirlanda, disse messere
Ugolino: «De! madonna, quando debo io venire
al punto di questa ghirlanda, che tante fiate
promesso m' avete?»
pt. 5, cap. 23, par. 4Disse la donna: che non
gliele daria mai, e che mai no· lgliele avea promessa.
Allora messere Ugolino si trasse la guarnaccia, e
gittolla nel fiume lungo il quale cavalcavano, e disse:
«Ecco, io mi spolglio del vostro amore». Edd ella
disse: «Piaciemi».
pt. 5, cap. 23, par. 5Dette queste cose alla
Contessa, fecie chiamare messere Ugolino, e biasimò
la follia ch' aveva usata. Ello si lamentava diciendo:
«E' non à cavaliero in Proenza, che non saccia
ch' ella me l' avea promessa». Disse la Contessa:
«E da cchui?» Disse messere Ugolino: «Da mme».
pt. 5, cap. 23, par. 6Allora la
Contessa gli
parlò così: «Tu
medesimo
ti
se'
condannato; che
nné
dovea sapere alchuni
la
promessa; se fatta l' avea, tu non
dovevi
così
plubicamente
adomandarla, né così
disonestamente
dal suo amore partire. Ma ttu
se' fatto come
la
majore parte di cavalieri di
Proenza, che ss'
elgli
ànno più bella e maggior donna di sè,
vannosi
vantando
con molte
bugie, e spessamente di lor diciendo
che più sono
amati da esse, che non
amano; e sse
alchuna gioia voi
ricievete, la
mostrate per tutto il
mondo. E sse voi amate men belle e minor di voi,
quando alchun vi
dicie: "E come e
dove avete
posto il chuor vostro?" e voi
dite, che tante
preghiere
ricievete da lloro e tanto vi
sforzano, che non
potete altro: sicché da
nnessun lato le donne
posson
con voi. Ma voi andate alle servigiali, e date la
infamia alle donne, e fate
conperare
a'
mercatanti
le
ghirlande e'
veli e lle
cinture, e
dite che l' avete
dalle donne. Credi tu, messere Ugolino, che questa
donna sia di quelle, che per
innalzar tuo
honore
volglia suo onor
disfare?»
pt. 5, cap. 23, par. 7Allora costui
vergongniato giurò di non amar mai donna; e ssanza
altra risposta si partio del paese, e di lui non si
seppe ma' più novelle.
pt. 5, cap. 24, par. 1Raconta Piero Vitale:
Che donna che raccolglie
Volentier laude di sua bellezza
Cavalier cauto non prende ad amare;
Però che lievemente
Suo amor s' aquista, e lievemente si perde.
Ed aducie di ciò uno essemplo.
pt. 5, cap. 24, par. 2Passava pella città di Uringa una donna
giovane, né bella né laida.
pt. 5, cap. 24, par. 3Cavalieri che v' erano,
non abiendo altro che fare, cominciarono a
seguitar costei, e a
farsele
dinanzi alle vie, e a dire
sicch' ella il potea
intendere: «Iddio,
dàlle buona
ventura.
Quanto ella è
piacievole! Vedi come ell' è
legiadra, vedi come
giuliva, vedi come le
rispondon
membra,
vedi cavelli amorosi, vedi occhi
vaghi, vedi
andatura
honesta, vedi come fa i passi
iguali, vedi
come
saluta
vezzosamente, vedi
ghirlanda stare, vedi
cintura a
punto, vedi
peducci
dilicati, vedi come va
in sulla persona, vedi
man da
baciare!
vedesti mai
sì
conpiuta giovane?» e
similglianti parole.
pt. 5, cap. 24, par. 4E dimandando pella terra: «Chi è questa giovane?»
e simili dimande, tanto la lustram per la terra in
seguitarla insino alla tornata a sua magione, che
costei tornò in casa, e cominciossi a specchiare e llisciare,
e credeasi essere così bella o più come
costoro la facieno.
pt. 5, cap. 24, par. 5Comincia costei a spessar
le finestre e lle chiese e lle vie; e questi cavalieri,
accorti della mattezza di costei, comincian a seguitalla,
e cominciano a dillo a più altri, e quelgli a cquelgli
altri; sicché costei era troppo più seguitata
per beffe, che nonn era per diletto la più bella da
Uringa; e come di prima ell' era detta giovane discreta
e onesta, così poi era detta la matta.
pt. 5, cap. 24, par. 6Sicché alquanti buoni dissono al padre questa cosa.
Il padre il disse a llei; non valse. Il marito se
n' acorse, e disselgliele; e non valse, anzi diciea
che 'l marito il diciea per gielosia, ed il faeva dire
il padre.
pt. 5, cap. 24, par. 7Andò sì la cosa, che passand' ella
dinanzi al palazzo di Guilglielmo da Uringa, i fanciulli
come a matta le cominciaro a gittare le pietre.
Fuggì inn una di quelle parti, e llà fu lapidata e finio
i dì suoi.
pt. 5, cap. 25
Dicie prò il Provenzale: «Tutto ch' io dolglia
Per me e per mia ventura
Della crudeltà e della durezza
Della mia donna:
Questo dolor non dura;
Però che troppo avanza
La gioia che 'l mio cor sente,
Che di così fatta crudeltà e fierezza
N' escie fama et onore a mia donna».
pt. 5, cap. 26, par. 1Dicie messere Ramondo d' Angiò:
«Sa' tu qual donna è donna da gradire?
Quella che fila pensando del fuso;
Quella che fila iguali e sanza groppi;
Quella che fila e no· lle cade il fuso;
Quella c' avolgie il filato igualmente;
Quella che sa se 'l fuso è mezzo o pieno».
pt. 5, cap. 26, par. 2Queste sue parole, per quelle che vanno
innanzi a un suo Trattato e per quelle che seguitano,
mostrano volere dire in somma, che la donna è
da dicier donna, ch' è costante e ferma alla buona
ovra, e non mutevole, e che non mette in mezzo
vani pensieri, e che non perde la memoria per vanitadi.
Di ciò possiamo porre un picciolo assemplo.
pt. 5, cap. 26, par. 3
Va una donna a filare a finestra;
Passa uno amante, ed ella si volgie;
Le man rattiene; il filato ingrossa,
E muta l' esere ch' ell' à cominciato.
Simil cagion le tolle provedenza
In tutto che di sovra si leggie.
Così ancor chi a finestra chucie
Spesse fiate si chucie la mano,
Quand' ella crede suo veste chucire.
pt. 5, cap. 26, par. 4Or fa qui punto, e pilglia ciò ch' è scritto
Da quelle dodici cose di sovra,
Insino a questo loco:
Ché 'n ogni donna e d' ongni grado e stato,
Traendo quelle ad ordine deciente,
Son belle e buone e utili a savere;
A ttali per inparalle,
A ta' per insengnialle,
A ttutte per contalle,
Dove ciaschuna cade, e como, e quando.
pt. 5, cap. 27
Omai ritorneremo
Alla detta Reina
E pongo qui cinquantaquattro cose
C' a llei convien di savere e servare,
Senza quell' altre ch' è detto di sovra.
E dette queste, verremo a que' gradi
Che ssi convengon a minor di lei;
E passerem da questa Parte omai
Sì lievemente, che lungo parrae
A cchi mal volentieri il bene intende.
Ma pòngnian chura l' altre, che non sono
Grandi come reina, a ttutte queste;
Che molte son, che tocca a ciaschuna,
Come color che non legono in fretta,
Porranno ben a llor stato adoperare,
E trarne frutto d' onore e di laude.
Ma guarda qui, che la prima comincia;
E pon ben chura, che non son beffe.
Ma ben ti dico, che sse ben riguardassi,
Molte di queste che sseguitan ora
Son già redutte innanzi in questo livro;
Siché d' alquante sì possiam passare.
Ma qui le truovi redutte ad insieme
Per altro modo più utile alquanto,
E per far d' esse memoria milgliore.
Amare e temere Iddio, ecco la prima
Inn ongni temporale stato e grande
Pensiero ed ovre tutte ch' ella facie;
Ch' inn ongni cosa questo è buon principio.
La siconda: d' amare
E temer suo marito apresso Iddio
Davanti a tucti gli altri in tale amore,
Che la suo fama ed onor non ne manchi.
L' altra è: che fuor c' a dDio
O al marito suo,
A uomo o donna o cosa
Che sia qual si vuol,
Mai ponga l' animo suo con tal fermezza,
Che non ne 'l possa a suo posta levare.
L' altra: che fugga usanza e conpangnia
Di tutte quelle che sson troppo vane,
O che non ànno la lor fama buona.
L' altra: ch' ella non churi
O diletti d' avere a suo conpangnia
Compangnie o cameriere tanto belle,
Che di bellezze avanzi punto lei;
E se lle truova in casa quando vi viene,
Dopo alcun tenpo con bella maniera,
Se può trovar modo che convengnia,
Da ssè procuri che rimosse sieno.
Ma non intenda per questo ch' i' parlo
O dica, che convengnia a buona donna
Di far cacciar alchuna ch' ella truovi,
Per poter po' melglio a suo senno fare,
E perché lei non bisongni guardare;
Ch' elgli è talor cotal freno utile molto,
Ed anco vitio questo freno schifare.
L' altra: che, belle ancor se fossen meno,
Se più di lei son giovani d' etate,
Lodo che faccia, se può, similgliante;
Ma guardi ciò sì chautamente fare,
Che nullo possa pensar perché sia:
E tuttavia proveggia a cchi si parte,
Sicché cagion di lamentar non aggia.
L' altra: che quando alchuna ne ricieve,
Pensi e domandi di lei e suo giente,
E della fama di loro, e di tutto;
Sicché non secho aggia persone
Lo chu' malfar la potesse infamare,
O dare all' altre di mal fare axemplo.
L' altra: che più suo dimora continui
Colle più antiche, ed ancor suo' servigi
Da llor più prenda, e più i· llor si fidi.
L' altra: che spesso l' amunisca tutte
Di buona vita, e tengale in paura,
S' alchuna d' esse mancasse in suo honore.
La decima:
C' a tutte quelle che 'n vista o 'n parole
Mostrasson punto di voler toccare
Cosa c' a llei potesson blasimo indurre,
Faccia racolta tale al primo dire,
Che poi né ella né ll' altre mai sièno
Ardite più di tal follia pensare.
L' altra: che ponga chura a ttutta giente
Della suo chorte, e an' di vicinanza,
E tutti quelli che ssenblan churare
D' ovre d' amore o di piagiere a ddonne,
Mostri tuttora sè dura e selvaggia;
E che lor atti, maniera o statura
Non si diletti guardare o vedere:
Ché, poniàn buona sia guardia di tutti,
Di lor convien che si faccia maggiore,
Di chui può creder la giente d' attorno,
Che più facilemente
Possan venire all' efetto del male.
L' altra:
Ch' ella ricierchi, s' ell' à in chui si fidi,
Spesso e più spesso, e faccia dimandare
Per cauti modi, che di lei si parla.
Porrà veder di che guardar conviene.
E guarda che non paia
Che questa cierca a suo posta si faccia.
L' altra: che chi lle dicie o porta o parla
Di fallo alchuno o atto che ripreso
Fosse d' altrui i· llei,
Facciali tal raccolta,
Che ll' altra volta ritorni sichuro
A ttutto dir che sente o trovi o aude,
E mostri a llui c' a gran servigio l' aggia;
E ancora, se caso gli avien c' abia luogo,
A que' cotal major premio renda,
C' a quel che laude davanti a llei porta.
L' altra: che acciò che quindi no· lle paia
Sotto color d' alchuna cortesia
Eser legata o a debito stretta,
Guardisi da riciever doni alchuni
Da quei che parla a llei,
O detto l' è d' altrui
C' a malo 'ntendimento guardi inn essa.
La XV:
Pensi e faccia ciercar di donne
E person' altre pover vergongniose;
E ssì a lloro, e ssì gieneralmente
A' poveri sicondo la possanza,
La mano della limosina distenda:
Acciò c' a ssuo marito, ed anche a llei,
E alla giente loro,
Dio doni gratia di ben dire e fare
E d' avere stato gratioso e filicie.
L' altra:
Che pensi avere per suo confessore
D' onesta vita, e tale,
La chui fama risprenda intra lli buoni;
E questo tolgal antico, più tosto
Ch' alcun che giovane fosse,
A cchui schuovra tutte le sue colpe,
E pensi di far sì che non le sia
Mestier poi di portar gran penitenzia.
L' altra: che guardi di sovra nella Parte
Quarta di questo libro,
Ed usi l' orationi spesso in casa:
Ché ne trarrà quel frutto che ssi scrive
In quella Parte ch' è detta dinanzi;
E più distesamente
Tratta di quelle la Parte XX
Infra, che troverai in questo livro.
L' altra: che si ritruovi
Con sue conpangnie spessamente in chiesa,
Come richiede suo grado e ssuo stato,
E della corte l' usanza ov' ell' ene;
E dove usanza buona non fosse,
Adoperi a poter con buon consilglio,
Che 'l bene vi si oservi;
E quando ciò non potesse ben fare,
Come più puote ristori in segreto:
Che 'n ongni loco chi ben prega e giusto,
Truova da Dio grazie ' esauditione,
S' el col cor netto si move a pregare.
L' altra: c' a tutta giente religiosa
Et a cherici tutti
Faccia con' puote honore;
Ma suo consilglio ristringa con pochi,
E quei maturi d' etate e di senno.
Ché sotto spezie di ben, tal fiata
Poder di mal s' allarga;
E tal fiata riprende la giente
Altrui di quel ch' ell' è per sè nociente:
E tuttoché si solglion ben portare,
Non si vuol Dio né costanza tentare.
La XX:
Ch' ella si sengni quanto decie e puote,
Che nelle exechuzion delle sentenzie
Induca esto marito
A misericordia e via beningnia.
L' altra: che quando il truova conmosso
Ad ira o vendetta verso d' alchuno,
Induca lui a tenperar suo volglia,
Ed a perdon; c' a donna ciò convenne.
L' altra:
Che' pregionieri d' esto marito
Soccorra spesso di tutto che puote;
C' ongni ovra tal a donna si richiede.
L' altra: che in fatti d' arme
Induca lui a nnon conbatter sempre.
Ma sse pur ciò dilibera di fare,
Conforti lui e suo giente a potere,
E mostri c' abia per vinta la 'npresa;
Con chiara faccia renda lui sichuro
E con parole, che più troverai
Infra nel libro nella Parte XVIIII.
L' altra: che non sia tarda né piatosa,
Se sente forse d' alchun tradimento,
Che inmantanente non si mova a ddirlo
A llui per modo che deciente sia:
Ché piccol tradimento à gran perilglio.
In questo caso non è da taciere.
La XXV:
Ch' a quella di chu' più si fida,
Faccia ben guardar tutt' i suo' arnesi,
Letto e camera e drappi,
Sicché non possa da persone rie
Esere in quelle messo alchuna cosa
C' a llei potesse nuocier,
O suo marito, over loro amenduni.
L' altra:
Che quando avien c' alchuna volta in camera
Co· llui o in loco segreto o rimoto
A mangiar si trovi,
Però c' allor si vol eser con fidanza
Maggior di quei ch' a servir son chiamati,
Allor magiore e più aghuta guardia
Faccia, da cchui e che è dato loro.
L' altra: ch' ella si sforzi
Guardar lo suo conpangnio
Quanto può da conpangnia carnale,
In molti tenpi c' a cciò si convene,
Ma spetialmente in questi che qui pongo:
A ttenpo da conbattere,
O c' a cciò vada, o cche venga da cciò;
A ttenpo ch' ella vede
Che sia gravato di gravi pensieri;
A ttenpo c' aggia sete grande o fame;
E dopo gran fatiche, e gran mangiare.
Né troppo spessi in trovarsi co· llui,
Se be' filgluoli disidera d' avere.
Lasso molt' altre cautele d' attorno,
Le qua' fa melglio d' udire e savere,
Che non conviene a mettelle inn iscritta.
L' altra: ch' ella non lassi portare
Davanti a llui ongni manco legiero,
Ed ongni colpa leve,
O novella sinistra che non pesa;
Dapoi spezialmente
Che non si vede più riparo a cquelle.
L' altra: che quando aviene che 'n fatti d' arme
O altre gran cose, è avenuto a llui
O a suo giente che dispiacie loro,
Con altre cose gliel lievi da chuore
A ssuo potere, e di quel rado parli,
Se llui non ode di ciò ridolersi;
Allora faccia la cosa legiera,
Partendo lui e ssè dalle parole
Con quella brevità che far si puote.
La XXX: che quando
Avien ch' ello ricieva vittoria, o cosa
Che debia a llui grande allegrezza dare,
Facciane festa con lui, tenperando
La gioia e 'l diletto;
Ch' elgli è perilglio e è passione in gioia,
Non men che in ira o cosa di dolore.
L' altra: che se s' accorgie,
Ch' ello ami per amore
Alchun' altra che lei,
Pilgli (ché puote omai,
Tant' è stata co· llui) que' ripari,
Che troverà scritti in questo libro
Nella Parte XVI.
L' altra: c' avengniaché più possa omai,
Tutta fiata, mostrando ch' ell' ami
Di ritrovarsi co· llui spessamente,
Per cauti modi, rado quanto puote,
Faccia di sè sforzata mostra a llui,
E nel primo avenir di ciaschun giorno
Mostri temenza, e poi si rasichuri:
Ché questo è un de' gran sengni d' amore.
L' altra: poniàn che per avenimento
Ello s' adiri co· llei tal fiata,
O a cagione over sanza cagione:
Sia soferente e piana e umil tutta,
E faccia portatura in questo caso,
Tal, ch' ella possa poi eser laudata,
E 'n sè ralegrarsi che sovra
Detto o risposto a llui non aggia;
Però che vien ragion poi a llui,
E fàllo a lei però più obrigare,
E ll' altre volte da cciò più guardare.
L' altra: che, tutto c' assai si sconvengnia,
S' elli avenisse ch' ello pur la battesse,
Ottima via e rimedio d' indurlo
A tal costume lassar di suo volglia,
È ssofferire e taciere con temenza.
Ver è che poi, se pur rispessa il gioco,
Però che sson diversi i modi e' gradi
E lla maniera de l' uni e delgli altri,
Prendaci suso d' amici consilglio;
E faccia sì, che lla cagion non sia
Per colpa o ffallo di lei: c' alla fine
Ongni persona veritade aiuta.
La XXXV: che ne' detti
Casi di queste due
Che dinanti son scritte,
Non mostri dopo il fatto
Ch' ella ritengnia d' offesa memoria.
L' altra: che quando si parte da llei
Lo suo marito che va llontano,
Mostri che tutto conforto le manchi.
L' altra: che mentre ch' ello sta absente,
Lassisi il men ch' ella puote vedere,
Né di gran gioia si churi menare.
L' altra: che poi nel suo ritornare
Mostri che vita novella le giunga,
E lla suo faccia rischiari e 'l parlare.
L' altra: che s' ella s' accorgie c' alchuno
La sovraguardi, ed ello l' à sospetto,
Facciali vista e raccolta sì fatta,
Che fugga a llui ongni speranza vana:
Ché rade volte alchuno spera in donna,
Se non si move alchun sengnio da llei.
La XL:
Che quando aviene un subito romore,
E che 'l singnior si convenga dare ad arme:
Stìeli d' intorno, aiutilo armare,
Con chiara faccia e parole d' ardire;
Che più varrà, s' ello ama lei, un punto
Di suo aiuto, che di tutti gli altri.
L' altra:
C' al disarmar similmente d' attorno gli venga,
Facciendo festa co· llui dell' onore
C' à raportato, come si conviene;
E del contradio, se 'l contradio fosse,
Usi parole di conforto ancora.
L' altra:
Quando il singnior farà suo vestir fare,
Però ch' è lla persona che più il guarda,
E che guardando il vede volentieri,
Conoscie il modo nel qual gli sta melglio
Ongni sua ornatura;
Lodo ch' ella stia presso
Di lui allora, guardando, e dimostrando
Quello al sartore, che melglio gli stia.
L' altra: che quando di prima si veste
La roba, o bella o non bella qual sia,
Lodi la robba, in parole ed in vista.
L' altra: che quando il fa lavar suo testa,
O altre alcune simili bisongnie,
Faccia, se può, c' apresso gli sia;
Divisi e dica quel che mestier vede.
La XLV:
Quand' elgli avien che 'l singnior sie malato
Di malattia sì che nne giacie,
Qui la convien sollicita ed intenta
Eser continoamente a llui; ché nullo
Farà tanto fedel servigio,
Se questa donna è cotal chente deve;
E nullo a llui sarà tanto in piaciere,
Se buon singnior e diritto fia a llei.
L' altra:
Che se da ssè la donna fia malata,
Quand' ello vieni a llei a vicitare,
Mostri che senpre melgliori suo stato;
E 'n ongni gravoso punto il chiami,
Ed aggia lui in parole sovente.
L' altra:
C' a tutta altra che viene,
Risponda di suo stato, che buon sia;
E a' suo' più distretti
O donne più distrette,
E al medico ancora,
Risponda tutto il vero.
L' altra: che quando il medico
La viene a medicare,
Tutte la parti della suo persona
Tenga coverte, fuor che quelle sole
Ch' è loro usanza di stare scoverte,
E che conviene al medico vedere.
L' altra: che quando vien suo confessore,
Honesta e umile e divota sia a llui;
Ritengniendo in disparte
Alchuna delle suo conpangnie buone.
La L:
Che cavalcando per camin col marito,
O sanza lui, come talora aviene,
Tanto si tengnia dalla giente strana
Chiusa ed onesta, quanto può più forte;
E poche sien le donne in chui si fidi,
E gl' uomini ancora vie meno.
L' altra: che 'n bangnio o inn istufa sia cara
Di sè mostrare, sia bella quanto vuole,
Quanto più puote a ciaschuna persona.
L' altra, che quando a ssè fa llavar testa,
Guardisi bene e proveggia davanti,
Chi è colei che lle de' lavar gli occhi
E lla sua gola e lla faccia col collo;
E ch' ella sia della mente e del corpo
Molto ben sana questa cotale;
Ché non ben lava chi nonn è ben netta.
L' altra: che s' ella sa legier, sì usi
L' uficio della Donna primieramente,
E, s' ella puote, l' uficio ancor tutto;
Poi a diletto santi libri e buoni
Usi di legiere e inprendere senpre.
La LIIII e ultima,
E gienerale e buona:
Che tutto ciò che lle 'ncontra, sì pensi,
Che tutto sia per lo suo milgliore;
E vederà nella fine, che ssempre
Sarà così, se ben vi penserà.
Non parlo qui del reggimento suo,
Né che saver le conviene a guardare,
In caso di bisongnio, la suo terra,
Quando lo re si ritrovasse absente;
Però che di ciò cade più il trattato
Nella seguente Parte,
E llà si troverrà tutto ordinato.
Siché disciendo omai a' minor gradi.
pt. 5, cap. 28
S' ella sarà contessa o marchigiana,
Duchessa o principessa, o simil grado,
Porrà di quelle cose che sson dette
Redurre a ssè, menomando e cresciendo
Quanto conviene, e ssè al men ritrarre,
Facciendo sè d' umiltà sempre amica.
Se donna fia di cavalier di schudo,
O giudice o simil grado,
Porrà ancor, sè ben considerando,
E rimirando suo esere e stato,
Pilgliar per sè quanto a lle' si conviene,
E più attender a' fatti di casa,
E ssè meno risparmiare;
Come, se ben l' altre parti del livro
Che vanno innanzi a cquesta
Si mette a meditare,
Troverrà quasi ciò che far convene.
L' altre di minor gradi
Ancora per sè ne tragon ciò che puonno,
Ponendo più guardia a masserizia,
Ed a servir lor marito lor chura.
pt. 5, cap. 29
Or mi rivolgo e parlo a ttutti i gradi.
Suol gieneralmente
Anzi ch' aggia filgluoli ongniuna donna
Non tanto del marito,
E men di riguardare
Quel ch' è nella magione in chura avere.
Onde, per provar melglio suo bontate,
E lla virtù che deve avere, ed anco
Perché, s' ella non fosse tanto amata
Perché nonn à filgliuoli,
Come assa' volte veggiàn che 'ncontra:
Faccia che mostri nell' ovra e 'n vista,
Del suo marito, e delle cose tutte
Che ssono nella sua magione,
Amor e guardia e chura a suo potere;
E sse così non avesse il volere,
Almen lo mostri quanto può di fuori.
E sse llà dentro vi truova di quelgli
Che fosson nati d' un' altra donna,
Tràttilgli come fosson propi suoi,
E ssempre gli sostenga, e churi, e scusi
Le colpe loro, e ricovra i lor falli,
Salvo nel caso dove 'l gastigare
Fa llor mestier, che corregier li faccia;
Mostrando che mal volentieri il dica,
E tuttavia tenperando la pena.
E della donna passata se parla
Lo suo marito o altri i· lla magione,
Mostri d' onore e di fama di lei,
Che come di sorella
Volentier parli e odane parlare.
Né si disperi di filgluoli avere,
Anzi, pensando alla guardia di casa,
Cierchi di medici e di medicine,
E come possa averne,
Come si leggie più oltre nel livro,
In quella Parte ch' è XVI;
E quivi anchor troverai le cautele
D' aver di maschi, e ancor delle femmine,
Salvo la Dio potenza in tutte cose.
E quivi ancor porrai veder de' modi
Che fanno ad aver belle creature,
E come ancor si puote adoperare
Che quei filgluo' similglin li mariti,
Da cquelle donne che non toccan gli altri,
Con altre molte cautele d' attorno;
Di quelle dico che filgluoli ànno.
Non qui mi stendo in dir com' amunire
E come dee lor a bontà trarre;
Però che più al marito pertiene,
E troveranne in la seguente Parte,
Là dove la donna
Con suo' filgluo' rimane.
Ancor vi parlo a ttutte,
Come si porteranno
Quando elle vengnion innanzi di tenpo:
Della qual parte vi parlo poco;
Ché s' ella leggie tutto questo livro,
Vedrà conpiutamente
Qua' sono le cose di virtute e di bene,
E quai son per le quai si serve a dDio,
E quante son le vanità del mondo.
Po' si rivolga nella mente sua,
E prenda quella via che piaccia a dDio,
E dalla vanità viepiù si parta;
Usi viepiù le chiese e ll' orationi,
Predicationi, e ll' ufficio, e ripensi
Che ll' è più lieve dal mondo partirsi.
Ancor rimembri, che, tuttoché sia
La vanitate e lla carnalitate
Da blasmare inn ongni etade e stato,
In senetutt' è più vituperosa.
Tenperi ancora l' ornato, e' vestiri
Mutesi tutto, e come viene inanzi
Di giorno in giorno melgliori suo vita;
E quanto più innanzi viene isciendendo,
Tanto il marito più da ssè rispiarmi;
E, com' ò detto che la mente netti,
Così omai la conviene studiare
Non di lisciar, ma che nettezza volglia.
E ss' ell' à ancor giovane il marito,
Tutta fiata ricordando a llui,
Che la suo vita honestamente meni,
Pur convien pur sostener suo follie;
Non che ll' apruovi, ma passi con' puote,
C' assai vedrà di giovanezza in lui.
Ma ss' elgli è vecchio, qui à men fatica;
Però non churo molto di parlarne.
Sicché fa ben chi lla suo filglia dona,
Se puote, a tal che giovan sia con lei,
E vecchio poi quand' ell' è vecchia a llui;
E chi non può tutto ciò servare,
Ancora è meglio pello stato di lei
Avere om fermo, che fanciullo a balia:
Ché più baldanza solgliono in magione
Aver le donne che 'nvecchian mariti,
Che quelle che 'nvecchiate son da essi.
Ma nota qui, ch' io parlo per le donne,
In chui servigio questo livro è scritto;
Che ss' io parlassi in servir li mariti,
Io so che fa per loro, e egli 'l sanno;
Saccialo ancor chi 'l pruova, ed àssi il danno.
pt. 5, cap. 30Omai, avengniaché molto ci sia
Ancor di quel che ssi porria notare
A cquesta parte, ma perch' ell' è lunga,
Lasso a pensare a ciaschuna e savere
Lo rimangniente, e questo esaminare.
E io in questa fine, per servare
L' ordine cominciato,
Pongo ad essemplo una cotal Novella;
Uditela, per Dio! ch' ell' è pur bella.
pt. 5, cap. 31, par. 1Leggiesi nel libro di Madonna Monas
d' Egitto, del qual si fa di sovra menzione, che fue
inn Egitto uno Conte, ch' ebe nome il conte Antexer
de Solio, ch' ebbe tre bellissime filgluole, Palladia,
Manaxes e Gironpa.
pt. 5, cap. 31, par. 2E, como avenne per loro
aventura, furono maritate a
tre fratelli
carnali, filgluoli
d' uno
ricchissimo cavaliere e
possente e
valoroso
d' arme. Questi suoi filgluoli erano
bellissimi
e
gratiosi e
strenuissimi d' arme, e tutto il
reame
parlava della lor gran
fama; ed erano nati della
casa d'
Anatenabo re che ffu d'
Egitto, per una donna
ch' ebe nome
Massiria, la quale fu data a cquesto
cavaliere in
premio della prodezza c' avea usata
nelle bisongnie del Rengnio, con molte belle e gran
terre.
pt. 5, cap. 31, par. 3E questi filgluoli avea nome l' uno Sachir,
l' altro Carathes, il terzo Amanes; la prima
filglia ebe il primo, la seconda il sicondo, e lla terza
il terzo.
pt. 5, cap. 31, par. 4La prima, cioè Palladia, fu in somma
la melglio costumata e lla più honesta e lla più savia
che ssi trovasse al suo tenpo che maritata fosse in
quel Rengnio: ché, sicondo che nel detto libro si
leggie, fu provata inn un giorno la sua onestà e lla
sua costanza e 'l suo savere.
pt. 5, cap. 31, par. 5L' onestà in
questo: che 'l primo giorno della seconda solennità
che fecie il detto re, furono invitate tutte le donne
dabene del Rengnio, e tutti i cavalieri e donzelli
e baroni dabene; e tutti questi vegiendo la bellezza
di costei, che vi fu invitata, guardavano sì a llei,
che si porria dir che ll' altre non guardassono; e dalla
dimane infino alla sera si puossono in chuore tutti
chostoro di vedere chui ella guardasse; e nullo di
ciò si poteo vantare.
pt. 5, cap. 31, par. 6Udito ciò il re, feciela
venire dinanzi da ssè, e disse: «Dicommi costoro,
che ttu non se' donna, ma angielo; che a ttanta bella
giente non movesti ancor gli occhi».
pt. 5, cap. 31, par. 7Ella
rispose: «Gli occhi no' mmi furono
dati per
usarli
male; e quanti più son
coloro che s'
ingiengniano
di
menarli a sua
guisa, tanto
conviene a
mmè di più
chinarli, sì perché sono finestre del chuore d' onde
porriano
entrar malvagi
doni ed
inganni, sì ancor
perché non son miei né lgli occhi né 'l core, anzi
sono di colui che la Vostra
Serenità, Re altissimo,
mi
die' per conpangnio e per singniore».
pt. 5, cap. 31, par. 8Allora
il re, udendo lei così accortamente rispondere, però
ch' el fu uno sapientissimo singniore, cominciò a
formalle più quistioni per falla parlare, come seguita
qui.
pt. 5, cap. 31, par. 9
Re Poniàn che ttu sia tutta
Di questo tuo marito:
Per far la nostra corte più gioiosa
E che ciaschun si sforzasse a valer bene,
Converria a tte guardar d' attorno.
Palladia Altissimo singniore, io per me credo,
C' ongni prefetto amor dea cominciare
Inver di sè in ciascheduno che ama.
Come poss' io, per far valer alchuno,
Disvalere io, e contro a mme pensare?
Re Lo tuo marito l' averia per bene,
Quando el savesse, che per tuo amore
Tutta la corte avesse ben provato.
Palladia Ahi, grolioso Singniore! ben savete,
Che, poniàn pur ch' elgli aggia podesta
Lo mio marito a tenermi del male,
Non però puote a mme licita fare
Alchuna cosa disonesta o rria.
Per me mi guardo, e an' per lui mi servo;
Ma non per lui mi moveria a cosa
Ch' io credessi non diciente né onesta.
Re Ora mi di': di tutta la mia giente,
Volgiti attorno, chi più bel ti sembra?
Palladia Singniore exciellentissimo, ben veggio,
Che molto è alta vostra sapienza,
E che, se pur vorete andar d' attorno,
Piccola fia la vittoria vostra,
Poter convinciere con sottil quistioni
Una piccola anciella delle vostre.
Ma perché Vostra gran Sinciritade
Non si turbasse per lo mio taciere,
Risponder volglio alla vostra quistione.
Di tutta la vostra giente mi sembra il più bello
lo mio marito Sacchir, il quale voi mi deste.
Re Noi ti domandiamo di coloro che ssono qui.
Tu sai ben, che Sacchir nonn è presente.
Palladia Re di tutti altri, e singnior de' singniori,
Amor m' à gli occhi e lla mente sì piena
Di quella forma che Sacchir à seco,
Ch' io l' ò davanti ciascun tenpo e ora;
Ed òllo sì radicato nel chuore,
Che dounque io mi volgo, io veggio lui,
E sse voi nol vedete, io non posso altro.
Però non curo guardar inver gli altri;
Ché suo statura mi sta senpre avanti,
Chiudemi tutte l' altre creature.
Re Inn una cosa t' abiàn noi ben colta:
Che ttu ài nostra Maestà guardata.
Guarda, se di noi fossi innamorata.
Palladia Singnior di grande eminenza e savere,
Vo' save' ben, che risposta qui cade;
Ed io ancor la vo' far, come saccio:
Ch' i' ò guardato voi parlando a voi,
Come alla dengnità di re e singniore,
Non mica come a piaciere o bellezza
D' omo terreno; ch' io vi chero perdono:
Che se voi fossi senza rengnio in terra,
D' amor per voi già guerra non churerei.
Io veggio ben, disse il Re d' attorno,
Che con costei ongniun perderia.
pt. 5, cap. 31. par. 10
Comanda che ssia
acompangniata, e
messa
allato alla Reina per la più savia, come si pruova
per le dette parole; e per la più onesta; e per l'
astinenza
primiera; e per la più
costumata, la qual
cosa si pruova per la maniera che tenne,
che durando
per grande ora
davanti al re, non si truova che piedi
o
mani o testa
movesse, o che altro che
solida e
conta
continovasse il parlare; e per tutti gli altri
costumi che di lei si
vidon nella
corte.
pt. 5, cap. 31. par. 11Per
la virtù di costei mandoe il re per Sacchir, ch' era
stato malato e però non era venuto a ccorte, e fecielo
suo consilgliere, primo al Re.
pt. 5, cap. 31. par. 12La giente tutta
della corte innamorò non men del parlar di costei,
che della bellezza di tutte l' altre; e quando si partie,
tutti l' aconpangniaro a ssua magione, facciendogli
ella pregar del rimanere.
pt. 5, cap. 31. par. 13Poi giunta all' albergo
rivolsesi a ttutti, e disse: Or
Non vi poss' io tener mia faccia ascosa,
Senza manco d' onor di mio conpangnio.
Io priego voi, che vi piaccia albergare.
Cortigiani Addio, madonna, gran merciè a voi.
Dio vi conduca nel vostro milgliore.
pt. 5, cap. 31. par. 14
La siconda, cioè Manaxes, si dilettava
Solo in sonare stormenti e in cantare,
E suo ghirlande fare;
Ed allora era più allegra e llieta,
Ch' ella più amadori avea d' attorno.
A suo magione mattinate la notte,
Lo giorno giostre e molte novitadi;
A ttanti dava intendimento spesso,
Quanti vedea passare o tornare.
Costei mettea le tre parti del tenpo
Solo in lisciare, e in tendere lacciuoli.
Era tanto in lei disonestà,
Che suo marito, cioè Carates,
Si dipartio di quel paese uno anno,
E ttornò poi com' uno cavaliere errante.
Giunse all' albergo, e dimandò la donna:
Trovoe due conti co· llei in giardino.
Elgli era armato, e color disarmati;
Ancise loro, e lla donna, e fuggio.
Il re dappoi il privò e sbandio,
E tutt' i beni di lui recò a suo corte.
pt. 5, cap. 31. par. 15
La terza, cioè Girompa,
Era in sè buona di guardarsi molto;
Ma dilettava di tener con seco
Giovani cameriere.
E quando i cavalieri veniano a ccorte,
O dilettavano o ssolazzavano con quelle,
Dava lor lato, e no· lle correggieva.
Poi una sua fanciulla,
Ch' ebe nome Flaches,
Quando fue inn età, lassava troppo
Bene baciar e lusingare,
E sofferia che lor doni ricievesse.
Siché per sè si guardava di tutto;
Per tutte l' altre la magion sua era
Quasi comune a cchi volesse andarvi.
Amanés suo marito era in pregione
In terra di Chathay.
Essendo uno dì la donna in sua magione
Colla filgluola e sue damigielle,
E con ben venti cavalieri, ed altri,
Una saetta che venne da cielo
Fesse il palagio, e tutti vi moriro.
Intenda ongniuna per sè come tocca,
Ch' io no' 'ntendo adattarla altrimenti.
Ciascuna sa di sè di ch' ella manca,
E tal non crede mancar, che fa peggio.
pt. 6, cap. 1
Questa è la sesta Parte,
Dove si tratta di colei ch' è rimasa
Senza marito, e vedova s' apella;
E qui si tratta di tutto suo stato,
E como s' ella è vecchia,
E como s' ella è mezana,
E como s' ella è giovane,
E chomo con filgluoli, e como sanza,
E como se de' beni
Del suo marito riman donna,
E como se prendesse abito o panni
Di religione, e di molte altre cose
C' a suo materia fanno.
Ma prima che vengniamo
A dir di queste parti,
Priegovi che guardiate suo fighura,
E quella di Costanza,
E udiate il gran pianto
Che questa donna fa del suo marito,
E poi il conforto che lle dà Costanza.
E riguardando la detta Costanza,
Se ben volete veder la ragione
Perch' ell' à veste tali e tal fighura,
E perché ancora ell' à il core armato:
Porrete lei, e cierte altre fighure
D' intorno a llei, ritrovare in quel libro
Di ch' i' ò fatto di sovra mentione,
Che Ducomenti d' Amore è appellato;
Che essa è llà pinta in quarta Parte, e quivi
Truovi in testo ed in chiose di lei
Tutte piene ragioni,
Se ttu ben gli occhi e lla mente vi poni.
La vedova che vedi qui pinta,
Se ben la guardi, piatà n' avrai;
Se non ài duro il cor, tu plangierai.
E guarda in prima il gran dannaggio al mondo
D' una così conpita ed alta donna,
Piena di tutte adornezza e beltate,
Fendersi tutta colle mani il viso;
Vedi le trezze che tolglien la vista
A ttutto l' oro c' apresso portavi,
Che 'l gran dolor l' à scavezate e rotte.
Vedi quel viso che suol lucie dare
Colli suo razzi per tutto il paese,
Bangniato e rigato
Di quelle lagrime ch' escon dalgli occhi,
Dove soleva dimorare Amore.
Vedi le man dilicate e gientili,
Che ssolglion tutto riposo trovare,
Batter quel petto e lla fronte amorosa.
Vedi colei, ch' a la suo portatura
Faciea di sè ciaschun maravilgliare,
Tant' era accorta, soave ed onesta:
Ora le caggion le menbra di dolglia.
Vedi cholei, che sol nel suo guardare
Dava conforto a ciaschedun d' attorno,
Avere in sè ongni sconforto e pena.
Vedi colei che ciaschuno inchinava,
Eser chinata da cordolglio e pianto.
Ascolta ed odi la vocie dolgliosa
Ch' escie da' labri tanto amorosi.
Vide chi volle e potea lei guardare.
Iddio, perché la faciesti sì fatta,
E ssì prefetta di tante virtuti,
Lei somma di bellezze a conpimento,
Po' che l' ài sì voluta disfare,
In danno e pena d' esta regione?
E sse ben pensi e rimiri di lei
Quanto è gravoso lo suo stato in terra,
O ttu non se' di marmo o proferito,
Tu rimarrai d' esto parlar colpito.
Viepiù aresti piatà se l' udissi;
E lle parole di passion che dicie
Fendon le pietre, e lla terra ne trema.
Ma questa è molto maggior maravilglia,
Perché non s' apron li cieli alla vocie
Di quel suo pianto eficacie e dolglioso;
Lo quale, acciò che memoria ne sia,
Metto inn iscritta delle suo parole.
pt. 6, cap. 2
Vedova Dio Padre onipotente
La chui potenza è grande e infinita,
E lle chui ovre tutte son prefette;
Da cchui nessuno è che possa fuggire,
Ch' à' pien potere di creare e disfare;
A cchui subiette son tutte potenzie:
Come distendi la tuo podestate,
Ch' è così grande e ssì sublime ed alta,
Inver di me sì minoma creata?
Che par che tutti i disideri tuoi
Sien contra me rivolti a darmi pena,
Dolglia e martir e tormento ed angoscia.
Ché non mi da' tu la morte finale,
E ssia con quanta più pena ti piacie?
Ed io la prenderò con disidero;
Ché, po' che m' ài tolto il singnior mio,
Le chui virtù luminavan la terra,
E ch' era tutto mio bene e mio conforto,
Non veggio mai né churo di vedere
D' onde allegrezza o speranza mi vengnia.
Così m' avestù il giorno del dolore
Che ttu spengniesti lui, tolta di terra!
Perché mel desti, Singnior mio, cotale,
Perché sì gratioso e ssì cortese,
Perché sì valoroso e pien di buono,
Se 'l mi dovevi così tosto torre?
Ai! vita mia, come se' disperata,
Abandonata da cciò che ben sente,
Nemica di salute e di riparo!
Ai! singnior mio, dove son le tuo menbra,
Dove la tuo bellezza e lla biltate,
Dove la valoria che menar suoli?
Ov' è la bella accolglienza che davi
A ttutti quei c' a star venien con teco?
Ov' è la gran larghezza ed honore,
C' a tutti usavi e facievi a potere?
Ov' è 'l gran senno e lla gran provedenza,
Che sempre uscia di tutte l' ovre tue?
Ov' è la giente che tti seguitava?
Ond' averanno gli amici e parenti
Lo grande aiuto, soccorso e consilglio
Che ricevìen da tte, dolcie singniore?
Chi mai darà consolatione o posa
Alla mia anima misera disfatta?
Chi stangnierà queste lagrime mie?
Chi ratterrà le battute del core?
Chi porrà freno alle man disperate?
Non volglia Iddio che soccorso mi vengnia,
Né mmai rimedio vegga alchuno.
O cche la morte m' abatta tostano,
O cche di pianto mia vita si pasca.
E io son bene in tal guisa disposta;
Che, se non fosse ch' esto mio singniore
È veramente locato nel cielo,
Sicch' io vederlo non potre' giammai
Quando faessi a Jesu Cristo offesa:
Io prenderei, per vie men pena avere
Tal maniera ad usare,
Che quella morte che dDio non mi dona,
Io la mi drei con diletto e con gioia.
Ai, Iddio! tu ddai
A coloro chui dispiacie, la morte
Spesso; e a mme no· lla vuogli ora dare,
Che lla ti cheggio per gratia e per dono?
Piangiete, gienti, co· mmecho, per Dio!
Piangan i subditi d' esto singniore,
Piangan la pacie e 'l riposo che dava
A ttutte terre di suo singnioria;
Piangha la terra e lle pietre con meco;
Non si disdengnin li cieli a tal danno
Mutar colore, e' pianeti schurare;
Secchinsi l' erbe e li fiori e lle piante;
Non sia Cristian che mai festa faccia:
Ch' i' veggio spenta prodezza ed ardire.
Dican le grande vittorie che fecie,
Dican le giostre di suo giovinezza,
Chi è costui, che morte ardiscie a ttorre.
Ai! dolorosa e dolgliosa ed afritta,
Disfatta al tutto e disperata e vinta,
Non parlar più, po' che forza ti manca.
pt. 6, cap. 3, par. 1Abiendo questa donna pianto con queste
parole et altre più, le quai sarebon lunghe a ricietare,
Chostanza, che voi le vedete dallato, si
move a confortalla in queste parole.
pt. 6, cap. 3, par. 2
Costanza Donna gientile e alta e valorosa,
Non più, per Dio! non piangier; taci omai.
Ch' i' ti confesso ben che il danno è grande
A cquesta giente di terra e a tte,
Lo qual non si porria narar per tutto.
Così ti prego che pensi che dDio
Voluto à far la sua corte più bella
Di trarvi lui, e lle virtù che tenne.
Feciel passar per la via della morte,
D' onde passò il suo Sovran Filgluolo,
D' onde li re e principi tutti,
E tutta giente pur convien che passi.
Vedi che 'l tolse a ttempo, ch' era tale,
Che tutto 'l mondo di suo fama parla.
La suo' memoria viverà in perpetuo.
Pensa com' ello n' andò ben disposto,
E quanto a dDio, e quanto al mondo ancora.
Pensa, che t' à lasciati duo filgluoli,
Tanto conpiuti, addotrinati e belli
Ed una filglia di tanta biltade;
E lle suo terre non lassa con briga,
Né lor gravati, ma ricchi e potenti,
C' ancor porranno a tte molto ben dare.
Pensa piagiere a dDio, e llui servire,
Che poi n' andrai a cquel beato Rengnio
Dove lo tuo conpangnio t' aspetta.
Fa di tuo' figli e della tua filgluola
Dinanzi a tte uno specchio di lui.
Vedigli qui; piatà ora ten prenda.
pt. 6, cap. 4
Quivi piangono i filgli e lla filgluola,
E tutti gli uomini e lle donne stanti,
Con sì aspre voci e ssì crudeli,
Che par che 'l cielo se ne spaventi,
E lla terra ne triemi.
Non c' alchun dica
Parole da notare;
Sol grida fanno e guai e cheron morte.
Allor si move Costanza e dicie alla donna:
Ov' è lo tuo saver e tua fermezza?
Credi tu per pianto o dolor riaverlo?
Ben sai, che tutto ciò non vale omai.
Pensa di non voler costor disfare.
Ora si volgie la Donna a' filgluoli, e dicie:
«Sete voi filgli della vita mia;
Lassò'vi a mme lo mio dolze singniore».
E lli filgluoli rispondon pur con pianto.
Allora Constanza la pilglia per mano,
E ddà conmiato alla giente di fuori;
Ma perché non si può tenere in piedi,
Duo cavalieri della detta Constanza
La prendono seco, e meno'la a posare.
E poi che l' ànno alocata a giaciere,
Constanza a ttutta giente dà comiato,
E llassa co· llei duo damigielle,
Cioè Speranza e Consolazione;
Ed un suo fante, c' à nome Conforto,
Pone alla porta, e dicie: «Serra omai».
Lassa di fuor duo suo cameriere,
Cioè la Gioia e anco l' Alegrezza,
E a llor comanda, che, se vegon tempo,
Vadano dentro, e dimorin con lei;
E quando la vedranno esere acconcia
A volerle con seco,
Mandin per Constanza,
Che lle vorrà cierte parole dire.
pt. 6, cap. 5
Udite io tutte queste e molt' altre
Parole, pensando che nanzi che questa
Donna si possa ben raconsolare,
Passerà molti giorni;
Ed ancora perché Costanza disse:
«Nonn è dolor da poter tenperare
In pochi giorni»; e disiderando io
Dopo tanto dolor recreare alquanto:
Muovomi da questa contrada, ed intendo
Di ciercar tanto, ch' i' truovi la mia donna;
Ché lungo tenpo è ch' i' non la viddi,
Se non colgli occhi della mente mia;
E prego Iddio che lla mi dia a trovare.
Ch' avengnia ch' Ella mi promettesse,
Come si contien di sovra nel livro,
Di mandar per me e farmi assai grazie,
Io temo ch' ella mo' non se ricordi:
Sicch' io farò sichura fronte, e volglio
Saver, s' io deggio mai sempre aspettare,
O sse quest' ovra mi de' mai giovare.
In questo mio viaggio i' prego Lui,
Che ssuol condurre a porto di salute
Tutti color che non sanno ove gire,
Che mmi dirizzi per lo buon camino,
E per lo quale io mi possa avenire
Là, dove questa nobil donna è ora:
Ch' El sa ben ch' i' non so ov' ella sia,
Né trovo chi mi dica
Di lei novelle, o cchi l' abia veduta.
pt. 6, cap. 6
Noi siàn le due donzelle d' Amore,
Piatate e Cortesia,
Che t' andavàn ciercando,
E conosciemoti nel parlar tuo.
Udi'mo il prego che faciesti a dDio,
E rimembra'mo quel comandamento,
Che questa donna che tu vai ciercando
Conmise a nnoi a prego di quel Sire,
Di chu' siàn serve; e, come detto avemo,
Crediàn che ssia veramente colui,
A cchui doviàn la sua anbasciata fare.
Francesco Chi dite voi che siete?
Piatate e Cortesia Piatate e Cortesia. Or chi se' ttu?
Francesco Franciesco sono.
Piatate e Cortesia Va piano.
Francesco Donzelle, volentieri.
Piatate e Cortesia Se' ttu colui, che lavori nell' ovra
Del Regimento e Costumi di Donna,
A posta d' una ch' è donna dell' altre?
Francesco Donzelle, i' son ben un che faccio un libro,
Ma io non so di qual donna parliate;
Se non che voi m' avete detto un punto:
Ch' ella è donna di tutte l' altre.
Perch' io mi penso ch' ella sia colei,
Per chu' fo tutto quanto bene io faccio;
Per lei son vivo, e per lei vita spero.
Piatate e Cortesia La donna che cci manda è sola al mondo,
Di tutte virtù piena e d' onor dengnia.
Se ttu se' di lei servo, or ci rispondi.
Francesco Perch' io non veggio chi possa eser quella,
Considerata vostra parladura,
Se non la donna ch' i' vado ciercando:
Io vi rispondo, ch' io son lo suo servo.
Volete voi a mme dir cosa alchuna?
Piatate e Cortesia Ella ci manda a tte; ché si ricorda,
Ed anco Amor la ne fe' memora,
Della inpromessa ched ella ti fecie,
Di mostrar sè a tte tutta ben chiara,
E d' ascoltarti, e di far tuo piaciere;
Sicondo il patto, ella il vuole attenere.
Vienten con noi per questa selva schura,
E non temer delli passi dubiosi;
Ché tutte cose che sson care e grandi
S' acquistan con fatica e con affanno.
Ma sse Iddio dona a tte gratia e ventura,
Che nel camin tu non ci venghi meno,
Tu vedrai la più solenne cosa
E la più alta e più bella e più eminente,
Che mai formasse il gran Singniore in terra.
FRancesco Come porria temer perilglio alchuno,
Che morte già non temo, purch' i' possa
Venir tanto presso di lei,
Che vivo almen in sua forma la veggia?
Piatate e Cortesia Or passa avanti, passa questo fuoco;
Tùrati 'l viso, per gli occhi guardare:
Che nnoi da nnoi abiamo un privilegio,
Che nullo sia alimento che possa
Nuocere a nnoi, né ancor creatura,
Sia qual vuol eser, umana o 'nfernale,
Rationale overo inrationale;
Di ciò abiàn lettere bollate
Di bolla d' oro dalla detta donna.
Vien francamente: passa questi monti.
Sìete la neve sollazzo, co' venti.
Non aver freddo, per lo nostro amore.
Come ti sta di caminar lo core?
Vien francamente, pensando di lei:
Che tutto ti fia legière a portare.
Francesco Pure andat' oltre; che ss' io sechuro fosse
Che voi non m' ingannaste alla prefine,
Tutto mi fora legière e soave.
Ma io non so, se voi lo ver mi dite.
Piatate e Cortesia Qualor tu vuolgli, noi ti mostreremo
Un tal sengnial, che ttu ci crederai;
Ma per voler poter portar novelle
Di magior fede di te inver lei,
Noi ti lassiamo di ciò più dirti omai.
Ma sse pur dubitassi, dillo a nnoi.
Francesco Donzelle, i' sono ancor fermo e credente;
Volglialo Iddio, ch' io non men penta poi.
Piatate e Cortesia Vien oltre, vien sichuro, e tienti bene.
Per questa spada passeremo un fiume,
Che dura poco; tienti, tienti bene.
Francesco Or vi dich' io ch' io aggio pensiero,
Che voi non siate ad inganno con meco.
Ditemi, prego, dove andiamo or noi?
Quanto ancor dura questa selva amara?
Che, ben CC giornate passate,
Ancor par che pur ci cominciamo.
Piatate e Cortesia Ai, bacalar! che gran paura à 'uta!
Ecco 'l sengnial che nnoi ti promettemmo.
Vedi la donna che ttu vai ciercando.
Tu tti mostravi sì disideroso
Di lei vedere, e parlavi con noi
Sì francamente; e llassiti cadere?
Sta ssu, riguarda il suo viso luciente.
E ora pòi veder la somma altezza
D' esta gran donna, e lla potenza sua;
E puo' saver ben s' ell' è quella donna,
Che ttu ài tanto ciercata e bramata.
E ora se' i· lloco da parlarle;
Vedila apertamente; e' non si ciela.
Vedi ch' è sola. Dille ciò che vuolgli,
E noi ci aspetteremo dall' una parte.
Francesco S' i' son caduto e smarito sì forte,
Non ve ne venga, per Dio! maravilglia;
Che ll' un de' razzi suoi mi passò 'l core
Dall' altra parte; e gli altri m' abalgliaro
Sì, ch' io non veggio ch' i' possa levarmi,
Se da quel suo vertudioso parlare
Non vien la gratia ch' io mi rasichuri.
Piatate e Cortesia Dengni la vostra nobiltà, madonna,
Di provedere allo stato di lui,
Che per lungo viaggio menato
L' abiàn davanti a voi;
C' a lui levar non siàn possenti noi.
Madonna Leva su, leva, vien su, siedi là.
Guardami ben, se ttu mi riconosci;
E non dir poi che premio non aggi,
Se ttu ài per me fatica alchuna.
Sappia pur dir: ch' io son per adenpiere
Le tue dimande; or ti pensa, e chiedi.
E questo chucciolin, ch' è sempre mecho,
Elgli è lo spiritel della mia guardia;
Ed è sì bene in concordia con meco,
Che ggià da llui guardar non ti bisongnia:
Ch' el nacque colla fermezza ch' io presi,
Con quella vive, con quella si spengnie.
Sicché, dimanda; nonn eser temente.
Né ggià paura dell' arco ti vengnia,
Ch' il tengo sol per la giente noiosa;
E lle saette che mando ver loro
Già non si muovon dal chuor, né da presso.
Ancor ti dico, che 'l vel mi levai,
Perché ttu possa sì vedermi tutta,
Che ttu non dica poi: La gran è manca.
Francesco Madonna, io non so ben se voi parlate
Sì pienamente per farmi contento
Sol del parlar, sanz' altra grazia farmi.
Madonna Certo vo' c' aggia, ch' eo ti parlo netto,
E così tutto son per adenpiere.
Francesco Madonna, or qui non so io ch' io mi parli;
Vinto m' avete nella prima giunta,
Vinto m' avete più poi nel parlare.
Ma perch' io non so ben quand' io mi ritorni
A cotal punto mai,
Corra che può, ch' i' farò mia dimanda;
In voi riman il volere adenpiere.
Madonna Tu mi parl' ora sicome savio;
Nella dimanda non so che farai.
Francesco Io so ben che non dengnio io sono a ttanto;
Ma vostra sechurtà mi dà l' audacia
In dimandare, e speranza m' aiuta.
Quel ch' io dimando, e disiderato aggio
In vita mia, tuttoché sia gran cosa,
Ell' è legiera a voi, da voi la chero:
Che, sanza voi toccar, io v' aggia meco;
Senza vedervi, voi veggia sì chiara,
Quant' è capacie a mie bassa natura;
Per vostr' amor l' altra giente m' innori;
Dal vostro latte nodrimento prenda;
La vostra vocie mi faccia sichuro;
La lucie vostra mi chuovra da quelli
Che sono a nuociere e a offesa acconci;
Li vostri raggi mi nettin lo core;
Le trezze vostre, gioiose, amorose,
Leghin la vita mia da' vizi e mali;
La vostra gola candida mi tiri
Ai baci ed all' amor delle virtuti;
Le vostre man mi disegnin la via,
Per la qual possa in be' costumi andare;
Li vostri piedi spenghino i· mme tutta
La vanità e lli pensier villani;
Dal vostro bel guardar la mente mia
Viva tuttora e lungo tenpo allegra,
E dopo vita ancor più viva e duri;
Li vostri labri amabili e vermilgli
Narrino a nme la via del camin retto;
Vostra virtù m' induca a quindi andare.
Poi tutta vostra statura mi stringa
Sì al piagiere e dilettar di voi,
Che, fuor che dDio, tutt' altre cose lassi:
Però che siete colei, che creata
Nella mente divina
Foste davanti all' altre creature.
Voi siete quella per chui lucie il mondo,
Per chui si reggie e per chui si governa;
Voi siete madre d' ongni arte e di senno,
Di sottilgliezza e d' ingiengnio lucierna,
Vo' d' ingnioranza nimica e d' errore,
Sorella di virtuti, e diritricie
D' ongni diritto, honesto, e giusto, e ssanto.
Per voi si vede verità in terra,
Per voi quel tanto che ssi può sentire
Vediàn qua giù del Divino intelletto;
Per voi li re, li principi, e' minori,
Governan sè e suo stato e suo terre;
E sotto voi nessun è indigiente,
Nessun povero muore,
Nessuno à manco delle sue bisongnie.
Adoran voi le creature humane,
Madre di tutti color che filgluoli
Con netto chuore a voi si volglion fare.
Vo' fosti e siete al nostro Sir nel petto,
Vo' siete quella che avristi gli occhi al mondo;
Voi sete la mia madre e lla mia vita,
Voi di me donna, ed io servo di voi.
Chi saria sì villano e sconosciente,
Che 'nver di voi villan pensiero avesse?
Fuga dal mio pensiero e da ciaschuno
Ongni disio che sanza ordine mova;
Basti noi vostra gratia e 'l ben volere.
Conchiudo omai, superexcielsa donna,
Donna di donne, e di virtù reina,
Nella chui laude ongni lingua non basta,
E dico: I' son contento del vedervi:
Rimangnia in voi di ciò c' ò domandato
Farmi di tutto o di parte a piagiere;
Ch' i' son contento del vostro volere.
Madonna Or tu ài chesto assai, ed io ancora
Ti farei più, se più avessi in potere.
Ver è che chi mi vuole e chi mmi chiama,
Convien che faccia sè capacie e netto;
Né ffu mai huom terreno, che m' avesse
Conpitamente, tant' è mia l' altezza.
Vergine sono, e meco sta chi vuole:
No' è chi possa machular mie mente;
Ancor del corpo son di tal natura,
Che molta giente ne leva d' attorno,
Ed io intera tuttor mi conservo.
Lo latte mio si spande in molti lati:
A cchui fa bene, a chui nuocie talora,
Come li bevitor son ben disposti;
Ma ello in sè è tutto netto e buono,
Chi che ne prenda in mal per sè talora.
I' sono in cielo e in terra per tutto.
La mia potenza è di gran maravilglia.
Tu ài veghiato per avermi assai,
E di mie laude assai ti se' disteso.
In guidardone ti giuro e prometto,
Che, se ttu fai te capacie di tanto
Quant' io sarò a donar larga e libera,
Tu porterai tuo intendimento assai.
Vattene omai, e pensa di ben fare,
E non mi dir più; ch' el no' è mestiere.
Sicondo l' ovre e llo studio e llo 'ngiengnio
Che ttu ài da Natura Iddio singniore,
I' ti farò portar del mio tesoro.
Fìdati in me sichuramente omai;
Che chi mi serve, mai no· llo ingannai.
Francesco Et io, Madonna, per non farvi noia,
Sanza più dire i' men vado a seguire
Quell' ovra che da voi si mosse e move.
Madonna Ben ricordasti. Come è ella innanzi?
Francesco Madonna, i' son già nella sesta Parte,
Ed ò speranza omai con vostra forza
Tosto menarla al suo beato fine.
Ma perché quella facciendo, talora
Di molte tentationi assalto sento,
Vorrei portare alchun vostro sengniale,
Che mi tenesse da tutte sichuro.
Madonna Tu ten girai, e dimane nella nona
Ritorna a nme alla cappella santa
Ch' è presso qui, e mostrera'mi l' ovra.
I' ò pensier del sengnial che bisongnia.
Francesco Addio, madonna, addio; che con Dio siete.
Madonna Va colla sua beniditione e mia.
Or per cagion, che doman ci conviene
Tornar colla nostra ovra a questa Donna,
Facciamo alquanto più, e ritorniamo
Colà dove lascia'mo, or è gran tenpo.
pt. 6, cap. 7
Rimandan per Constanza
Le donne che lle avea lassate apresso
Di quella ch' io lassai posare.
Constanza giungnie, e truova che lla donna
È ssì omai riconfortata e piana,
Che no· lle fa mestier di consolare;
Sol cierta norma le dà qui cotale.
Or pensa, donna, che ttu se' tornata
In quello stato quasi, che tu eri
Davanti al tenpo che marito avesti;
E cotanto milgliore,
C' ài delle cose del mondo provate,
Sicché ti puoi di quelle pacie dare;
E ancor se' oma' d' età più innanzi,
Che non ti deon li pensier sì gravare.
E in l' altra parte l' ài tanto piggiore,
Quanto color che ss' involgon nel mondo,
Che non si sanno da' vizi partire:
Ch' ell' è cotal nostra mala natura,
Che più disideriàn cosa vietata,
E più in quella diletto portiamo.
Sicch' io ti priego e ricordo e comando,
Che tu legga di sovra
La terza Parte e lla quarta del livro,
Ed ancor poi la Parte prociedente,
E tutte le seguenti,
E per te prendi ciò ch' a tte conviene;
Et io verrò e dimorrò con teco,
Quanto vedrò che ttu cara mi tengni.
Vedova Madonna Constanza, io v' aggio intesa,
E tutto vostro parlar m' è 'n piagiere;
I' seguirò vostro detto a potere.
E prego voi, che sovente vengniate
Al mio consilglio, e 'l ben mi ricordiate.
Costanza Addio, addio.
pt. 6, cap. 8
Ritorna il libro a contar: s' esta donna
(Sia di che grado si vuole)
Vedova donna giovane rimane,
Sanza filgliuoli, spezialmente pensi
La giente che ssi truova in casa
D' esto passato marito, e llo stare
Ch' ella vi può nel primo anno avere;
E se cciò vede che dicientemente
Possa là fare, allor loda ciaschuno
Che l' anno conpia del suo vedovaggio
In casa del marito;
In altra guisa conpiallo in la sua.
Lo qual conpiuto, se 'l suo parentado
Tratta di lei di nuovo aconpangniare,
Credo che ffa ben s' ella vi consente.
Dello aspettar dell' anno però dico,
Non perché prima, s' ella vuol, non possa,
Sicome l' Apostolo dicie;
Ma par che troppo sie vaga e corrente,
E del suo primo poc' aggia churato.
Ché, tutto sì la le' divina dica,
Pur la mondana il vietava nell' anno.
De! poca è la fermezza di colei,
Che non si puote un solo anno afrenare.
Ma qui cotanto ricordo a ciaschuna
Che ll' à auto buono,
E poi si truova col piggiore in casa.
S' èe di mezzana età, breve dico:
Pensi c' ò detto, e che dico seguente;
Ché tale à vecchia etate e giovan chuore,
E tal contrario stato.
All' uno o ll' altro s' aprenda con' sente
C' a sua natura si convengnia fare.
Se vecchia rimanesse o lì apresso,
Lodo che, come sente il suo milgliore,
In casa del marito o nella sua
Tenga suo vedovaggio honestamente.
Ma dove ch' ella vedova rimanga,
Non studi in lisciare; ch' ell' à perduta
La schusa c' aver solglion le donne,
Che' suo' lisci fanno
Sol per piaciere alli mariti loro.
Ver è che molte si parton dal vero;
Che 'l loro studio nonn è di lisciarsi
Comunemente quando stanno in casa,
Ma quando vanno di fuori o d' attorno.
Ma volglio lor schusar su questo alquanto,
Che quando vanno fuor s' addornin tutte,
Perché si dica: Cotale è bella donna;
L' altra per avanzar le sue vicine:
Non tutte per piagiere algli amadori.
Ai, com' è bella vedova colei,
Che sol lo velo la chuovre, e ll' acqua lava!
S' ell' à filgluoli, rimanga co· lloro,
S' ell' è di questa etade,
E fa ragion che rimasa è con essi;
Ed ànne maschi due e femine una,
Come tratta'mo di sovra di lei
Nello incominciamento d' esta Parte.
E cominciamo, e diciàn, s' ella fosse
Rimasa donna di re coronato,
Imperadore, o simile grado,
Come convien suo' filgluoli e suo terre,
Se son li maschi picioli, condurre.
pt. 6, cap. 9
Ma perché tal trattato alquanto è lungo,
Ed oggimai lo termine s' apressa,
Io me ne vado alla cappella, dove
Mi comandò la donna ch' io tornasse.
Francesco Madonna, Dio v' allegri, che vi fecie
Dengnia di tutta allegrezza e di bene.
Madonna Ben venga il servo mio per mille volte.
Francesco Ecco quell' ovra che voi comandaste;
Vedete s' ella diritta prociede.
Madonna Et ecco il don, ch' i' ti promisi di fare.
L' ovra mi piacie.
Francesco Et a mme il don sovra tutt' altre cose.
Madonna Va, presevera, conpila, se puoi.
Francesco Madonna, volentieri. Addio.
MadonnaAddio.
pt. 6, cap. 10
Mo' ritorniamo all' ovra. E chura poni,
Che questa donna à molto
Inn ongni ora a pensare,
Sicché sol ciò non porria tutto il libro
Conpito divisare.
Ma nnoi porren cierte cose maggiori,
E toccheren le più universali,
E delle spetiali alquante ancora.
Pensar convien primier delle persone
Di sè, di suo' filgluoli, e di suo filglia.
Prenda per sè conpangnie,
Di ciò guardando nella Parte quinta
Che va dinanzi, e chente le de' avere.
La sua filgluola da ssé già non parta,
Né perciò men le dia buona maestra.
Per li fanciulli, se son fuor di balia,
Truovi nutriti cavalieri e saggi,
Maturi, e per sè buoni,
Sicché lor possan anco più buoni fare;
E sse questi filgluoli fosson da balia,
Ricierchi innanzi i· lla XIII Parte
Come la balia notrirà gl' infanti,
E faccianli notrir, come là si leggie.
Or pensi como lo suo rengnio guidi.
Ellegga de' milgliori e più fedeli,
E di color c' amaron lo marito,
Alquanti a ssuo continovo consilglio;
Et poi co· llor lo reame rifermi
Di buon rettori, e fornisca le terre;
Faccia uficiali là dove bisongnia,
E col consilglio di costor procieda
Di tenpo in tenpo, con' Dio le conciede;
E tanti e tali a ttutti ufici ponga,
Che non bisongni lei di que' pensare.
Ma sovra tutti truovi un principale,
A cchui melglio convengnia tal uficio,
Il qual tenga de' suoi filgluoli il loco;
E, mentre dura buono, honori lui;
Quando faciesse il contrario, il rimuova.
E pensi lui di tal lengniaggio torre,
Che sia ardito a punir le follie,
E ssia da tutti i subditi temuto.
E pensi avanti, di colui che tolglie,
Sed e' reggieva ben le gienti sue;
Che se cciò non faciea,
Non porria ben governar l' altrui.
Chosì ancor a guardar lo tesoro,
Ed a farlo magiore a suo potere,
Ponga fedele e cauta giente e buona,
Loro e tutti altri riciercando spesso;
Et in tal caso piatà no· lla vinca,
Né mai lusinghe o pianto over parole
D' alchuna giente la mova o 'nduca,
Che la giustitia piena non si faccia.
Ma dove puote con ben del reame
Usar misiricordia a' suo' subietti,
Ben si conviene a llei più c' al marito.
Quando verranno cresciendo i filgluoli,
Induca loro ad ardire e ad arme
Ed a prodezza, e rendali sechuri;
Ché si conviene allo stato che tiene.
Ancor gli faccia inprendere scienza
Tanta, c' almen secrete cose possa
Per sè trattare e vedere e formare.
Faccian che leggan di be' regimenti
De' gran singniori; ed ancor pongan chura
Quella maniera che tiene colui,
Ch' è messo a judicar nelle suo terre.
Ma sovra tutte cose faccia loro
Amici di ragione e di giustitia,
E che canminin per la via d' Iddio,
Facciendoli correggiere al maestro;
Ché rado madre ben correggie loro.
E per nettalli ben da tutt' i vizii,
Se volglion leggier nel libro c' ò detto
De' Ducomenti nella prima Parte,
Là troveranno che mestier lor facie.
Et se lla donna per sè judicare
Volesse forse talora a ddiletto,
Guardi nel libro c' ò detto pur ora,
Nella nona Parte, di Justitia.
Così ancor in guardar suo cittadi,
E molte utili cose, guarda
Nella settima Parte, di Prudenzia,
In quel medesimo livro.
Ancor per sè e pe' filgluoli suoi
Leggierlo tutto quel livro seria
Utile molto, a cchui non rincresciesse;
Ché poner qui d' ongni cosa trattato
Temo non men di dispiacier di troppo,
Che blasmo aver di manco o di difetto:
Tant' è la giente acconcia a poco bene.
Or la filgluola se vuol ben nodrire,
Di tempo in tempo faccia inprender lei
Come le toccan le Parti del libro
Che sson dinanzi; vedile, se vuolgli.
pt. 6, cap. 11Or tocco di ciaschuna inn ongni grado.
Se veste prende di religione,
E vuole in casa forse rimanere,
Legga la Parte octava d' esto libro,
Che le dirà ciò c' a saver bisongnia.
Et s' ella entrare in monister volesse,
Legga la Parte nona infra nel libro,
Dove si colglie la matera tutta.
pt. 6, cap. 12
Or parlo a ttutte. Quelle
Che son lassate da' lor mariti
Di tutt' i lor ben donne,
Deon eser conoscienti di quel dono.
E se rimangon con filgluo' di loro,
Serbino ad essi; ed ancora a' congiunti,
Poniàn che non filgluoli ne sian rimasi.
E pell' anime loro e de' mariti
Faccian continue limosine e grandi;
Né pure attendan ad enpier lor borsa,
Et arichir lo parentado primo
D' ond' ella trasse lo suo nascimento,
Ed a disfar la giente di colui,
Da cchui ell' à cotal dono ricieuto.
Et se di tal marito
Riman filgluoli che non sian di lei nati,
Tanto più tosto si conviene a llei
Porgiere inver di lor di tal lasciato;
Ché se son suoi, riman lor d' ongni lato.
Non faccio omai gran distinzion di gradi,
Sia pur qual vuole che vedova rimane;
Che ben porrà per mei sè ripensare,
Che si convenga all' una e che all' altra,
E tanta utilità prend' or dal libro.
Cotanto parlo all' altre de' filgluoli,
Ch' elle ripensino suo stato e nazione,
Ricchezza, e ttutte cose,
E chon consilglio d' alchun lor amici
Faccian lor dare a scienza o arte;
Così ancor delle filgluole loro:
Che questo è quello che sempre ànno con seco;
L' altre ricchezze per molte vie vanno.
E se fa legiere a' maschi quel libro
Ch' io dissi mo' di sovra,
No· lle bisongnia più lor predicare;
Ché lungo fora qui porre le guardie
Che si convengon d' esta giente fare.
pt. 6, cap. 13
Ora vi vengo per queste mezane,
E per le lor minori, a poner cierti
Insengniamenti e chari.
Faren po' fine a questa Parte omai;
Ché si può dir che n' aviàn detto assai.
Peroché in quella magione
Dove no· à singniore
Stanno le donne a vie maggior perilglio,
Convien la vedova più chura tenere;
E parlo propio alle dette mezzane
E lor minori, avengnia che nell' altre
È ben savere.
Proveggia ben che cameriera tiene,
O cche fanciella o cche femmina in casa.
E non racolga mai parole manche,
Et legga nella Parte prociedente
Di quelle cose che toccano a llei.
Non tenga a ssuo servigio huomini o fanti;
E se convien ne tengan suoi filgluoli,
Loro abitari sia partito da llei,
Né lor dimestichezza churi avere;
Né sola mai con alchun huom parli,
Se no' è caso che scritto trovasti
Su nella Parte c' ò detto pur ora.
Parli con preti e con riligiosi,
Ne' suoi consilgli, anzi le chiese loro;
Ché troppo farli a suo magion venire,
Per loro honore ed ancor di lei,
Usi lo men che puote. Alle finestre
O per le vie rade volte si truovi;
E non istudi in far suo leghature
Troppo legiadre, o suo' drappi di veste.
La sua usanza con donne mature;
Balli e tutt' altre vanità lassi;
Mostri che sempre cordolgliosa sia;
Prieghi sovente per lo suo marito
L' alto Singnior che li perdoni, e llei.
Inn ongni loco dove à lluogo e tempo,
Parli di questo marito passato,
Chome più puote in suo laude ed onore;
E sse mancato forse avesse al mondo,
Sempre si studi a ricovrir suo' falli,
E pensi c' ongni honor di lui è ssuo.
Faccia serrar le suo porti per tempo,
E ttardi avrire; e cautamente guardi
Che non s' inchiuda lo serpente in casa.
Limosiniera lei convien che ssia,
Ma guardi chi le vien però in casa.
Porriansi dir molt' altre cose buone;
Ma, com' è detto, riguardi dinanzi:
Ché troverà di ciò che fa per lei
Molt' altre cose; e noi facciàn qui fine.
Ma per posare a ddiletto leggiendo,
Una Novella che chade alla Parte
Vedi qui scritta; leggila, se piacie.
pt. 6, cap. 14
Essendo io una fiata a Parigi
Dissimi uno chavaliero
Del re di Castella
Una novella di maravilgliosa
Constanza d' una donna
Vedova di quel reame; che uno filgluolo
Del detto re abiendo amata
Una insino da piccola, e poi al tenpo
Del suo marito, mai da llei non vide
Alchuno sengnio, pello qual potesse
Sperar che da llei mai potesse
Alchuna parte di sua volglia avere.
Ma perché quand' ell' era giovanzella
Con purità faciea di lui gran festa,
Ello si prese sì forte di lei,
Che poi non si poteo disciolglier mai.
Ella, quando congniobe mal da bene,
Immantanente si ritrasse al rietro;
Mai non gli diede intendimento alchuno.
Morto lo suo marito
Ella pensò che a gran perilglio stava
Per questo filglio del re, ch' era grande, e
Forte temuto, e solo a llei pensava.
Et ello ancora credendo aver più tosto
Da llei in questo stato vedovile
Il suo piaciere, più noia che prima le dava.
Ella, tuttoché fosse gientil donna,
Et an' di gran lingnaggio,
Non però era possente inver lui;
Però pensava con senno passare.
Et alla fine costui
Con tutto suo potere
Chominciò a spesseggiare li messaggi.
Prima la fae pregar per lo suo amore;
Quella risponde, ch' è tanto aflitta
Del suo marito che dDio l' avea tolto,
Che non sa che si sia amore humano.
Quelli le manda pietre preziose,
E gioie di molte e di nuove maniere.
A tutte dicie: «Tanto mi porriano
Muovere o queste o altre cose,
Come mutare il girar de' pianeti».
Costui le manda molto oro ed argiento;
Quella risponde, che ll' à sì per nulla,
Che ggià per quello non faria cosa vile.
Questi con giostre e con più nuove cose
Tutto tempo s' ingengnia e va d' attorno;
Ancor nonn è chi veder fuor la possa.
À ssue conpagnie, femmine discrete;
Ciaschuna attende alla guardia con' puote.
Manda costui mo' le minaccie grandi.
Ella risponde: «Di ciò io non temo,
Ché 'l re vuol mantener giustitia».
Ora si volgie costui a ciercare;
Dicie che la torrà per suo molgliera.
Questa risponde:
«Ciò non si converria; io amo melglio
Piangiendo il mio conpangnio,
Che dica l' uom: Colei è fedel donna,
E fu filgluola di tal cavaliere; -
Che lle reine della magion sua
Dican: Chi è questa ardita che viene
A seder qui nelle sedie reali? -
L' altra che, poniàn ch' io a cciò non guardasse,
Conosco ben ch' el non mi tolglieria,
Se non per suo intendimento avere;
Ch' el puote avere reine e donne assai.
Ancor ci è una: ch' i' ò pur fermato
Di servar fede al mio marito in vita.
Sia ciò che puote, che esso lavora invano».
Costui, vegiendo la somma fermezza
Di questa donna, pensò più follia:
Di gir per forza in questa sua magione.
Ma perché si ritemea del padre suo re,
E' suoi compangni gliel contradicieno,
Misesi solo con un suo compangnio,
Essend' ella di fuori a un palazzo,
Credendo lui poter me' fuggire;
E' con iscale di notte entrâr dentro.
La donna subito il conobe alla vocie;
Disse: «Or m' aspetta; che, po' ch' io non posso
Fuggirti più dinanzi,
Ecco ch' io mi rivesto e a tte vengo».
Levasi questa donna, e fassi armare
Dell' armi ch' erano state del marito;
Aprì suo camera, e vien nella sala;
Comincia a dannegiar forte costoro.
Costui si gietta ginochione a llei,
Chere merzè; quella no· lli risponde,
Ma giungnie all' altro e fierel gravemente,
Ché non avean seco che lle spade.
Poi si rivolgie a llui: «O ttu ti parti,
O io t' ancido, e sia ciò che puote».
Le suo conpangnie gridavano: Accorri .-
Costui vegiendo sè sì mal pagato,
Né ggià volendo conbatter co· llei,
Adimandaron d' uscir pelle porti.
Fu detto lor: «Non le volgliamo aprire».
Esconsene onde l' entrata fu loro.
Quel suo compangnio morì di quel colpo;
Questo filgluol del re tornò con onta.
La donna poi ancor gran pregio porta.
Lo re ci pose fin per cierto modo,
Che seria lungo a ddire. Et io mi volgo,
Et dico veramente, che trovata
In vedova aggio per essempli molti
Tanta fermezza, che gran maravilglia
Serìa, trovalla inn un santo romito.
Però prego e consilglio ciaschuna,
Che mentre vive sec' agian Constanza;
Ch' ell' è virtù che tutte molto avanza.
pt. 7, cap. 1
Qui si comincia la septima Parte,
Dove si tratta di colei, che poi
Ch' è vedova rimasa
Et eleggie ancora di voler marito;
Ed an' di quella che ne va al terzo;
E como far le convien se 'l trova milgliore,
E sse ancor lo trovasse piggiore;
E di suo vita, po' ch' è maritata,
Standosi in casa anzi che vada a llui,
E quel che pare che 'n ciò si convengnia.
Or tratteremo in prima
Dell' ultima parola,
Diciendo che chi guarda
La prima Parte ch' è dinanzi a questa
Scritta, a chui convien di maritare,
E a chui no,
Porrà molto veder di questo il melglio.
Ma tanto più qui ti vo' ricordare,
Che, poniàn che colui che n' ebbe sette
Non dannò Dio, e ancor di più molte
L' una dopo l' altra permetta ragione;
Molto mi par che si sconvengnia a ddonna,
Ch' ella il sicondo, e più se 'l terzo, passa.
Ma del sicondo ti lascio il parlare,
Ch' io fe' nella Parte prociedente,
Chom' io t' ò detto; e qui, se bene intendi,
Blasimando lei che 'l sicondo e che 'l terzo
Passa, sì blasimo e del quinto e del quarto.
Ver è, ch' ancora cierte
Di tal natura e etate porriano essere,
Ch' io lor direi che fanno il melglio.
Però non può questo libro toccare
Di tutt' i casi; ma prenda consilglio
Ciaschuna in sè e in savi suoi amici,
E come Dio le ministra, sì prenda.
Chosì ancor per quelle convien parli,
C' ànno lor padri, e convien lor seguire
Per cagion cierte la lor volontate;
Costoro a nnoi son assai più schusate.
Del loro stare in casa, dapoi
Che sson maritate, anzi l' andata,
Non parlo molto; ch' elle son più dotte.
Tanto ricordo, non volglia mostrare
C' al tutto sia pulciella vergongniosa,
Né ancor ch' ella sia dotta maestra.
Così ancor per questa mezza via
Porrà passar poi giunta fia al marito,
Non sè mostrando temorosa molto,
Né men ancora in sichuranza stenda.
pt. 7, cap. 2
Ora possiàn noi dir de' portamenti
Ch' ella farà con questo suo secondo;
Ed ella pilgli poi da ssè del terzo:
Ché per le molte cose che sson dette
In queste parti che dinanzi vanno,
Possiamo in questa assai brieve parlare.
Pilgli suo corso dalla maritata,
Ch' è nella Parte quinta,
Non come ella comincia, ma come
Poi ch' è dimestica fatta
Col suo marito, là è scritto che vada;
E poi si guardi di cierte altre cose,
Le qua' chonvien ch' ella tenga a memoria.
Che s' ella truova lo novel marito
Buono o milgliore che non fu 'l primo,
Porrà con suo consolation passare,
E ringratiar Colui che glie l' à dato;
E non far come molte felle fanno,
Che, tutto truovin migliore il sicondo,
Volglion mostrar che milglior fosse 'l primo;
A ongni motto dicon: Così faciea;
A ongni novità si langniano molto.
Anzi consilglio, che s' ancor piggiore
Fosse il sicondo, che mostrin che ssia
Tutto cotal chent' ella il dimandava.
Del primo, laudo che 'l tengnia nel chuore,
E prieghi Iddio sovente per lui,
Ma poco parli davanti al sicondo
Di lui, se caso non vien di parlarne;
Et quando vien lo caso, sì nne parli,
Ch' esto sicondo non possa pensare
Che più sia vaga di lui ricordare,
Che del sicondo vedere o ttoccare.
Le gioie e' vestiri ch' ebe del primo
Non si diletti al sicondo mostrare,
Né quelli usare in presenza di lui,
Anzi gli tenga segreti, o gli muti
Inn altre gioie, che non paian quelli;
Et li costumi della prima casa
Non churi indur nella siconda, ch' ella
Non paia in ciò dispregiar la novella.
Poi guardi tutta
La Parte quinta detta;
E ssia di che o quale stato vuole,
O di che grado o etate o maniera.
Che se si vuol dare a 'ntender quella,
Veder porrà ciò che servar le conviene;
Ché ne' costumi ed in molte oservanze
Questa con quella si può dir tutt' una.
Facciàn dunque qui fine a cquesta Parte.
Ma sì conteremo una Novella,
Che molto a questa parte si conviene.
Ver è ch' io or non ti lasso;
Perché lassù nel capo d' esta Parte
Acompangniata costei non vedemo
Da donna alchuna in spetie di vertute:
Ché Continenza l' à tutte pregate,
Che nulla la dovesse acompangniare;
Ché d' esto fatto si par disdengniare.
Sicché, perch' ella non venisse sola
Vedete ch' è con essa
Una suo cameriera
La quale à nnome Facometipiacie.
E llasso qui, e ttorno alla Novella,
Ch' i' ti promisi di sovra contare.
pt. 7, cap. 3, par. 1La Contessa da Dia passava per Tolosa
e per quel contado; e, sicondo ch' ella dicie inn un
suo trattato, arrivò ad un manieri d' un gran borgiese
c' avea nome Gualtieri dal Piano; e cienò ed
albergò co· llui, cioè a quel luogo.
pt. 7, cap. 3, par. 2
Eranvi la
sera
due sue filgluole, ch' erano maritate a Monpulieri;
et l' una avea
auti
quatro mariti, e l' altra
cinque. Et così ragionando,
accadde a
Gualtieri di
dire alla
Contessa questa aventura di queste sue
filglie.
pt. 7, cap. 3, par. 3Sicché dopo alchuni ragionamenti disse
la Contessa a quella de' quatro: «Et come vi sta
di tutti ?»«Madonna», disse quella, «che sempre
sono andata di male in peggio». La Contessa si
volse a quella de' cinque: «Ed a voi come sta
de' cinque?» Rispose: «Che sempre sono andata
di bene in melglio».
pt. 7, cap. 3, par. 4Dicie colei de' quatro,
Che «'l primo fu pieno di tutte bontadi,
E ricco, e largo, e mansueto, e dolcie.
Lo sicondo fu avaro e pauroso,
Che non credea che li bastasse il pane.
Lo terzo fu superbo e disdengnioso,
E non trovava chi co· llui potesse.
Lo quarto fu gieloso e sospeccioso
Edd è cotale ancora, e vive meco,
E mai non ebi un buono giorno co· llui».
pt. 7, cap. 3, par. 5
Or dicie la siconda alla Contessa:
«Lo primo fu villano e sconosciente;
E Dio ne 'l pagò, che in tre mesi l' uccise.
Lo sicondo non stava punto a casa,
Né si figieva inn una terra uno mese;
Che stetti quatro dì co· llui in uno anno;
Poi anegò inn una nave che ruppe.
Lo terzo mi vendeo tutti i miei arnesi,
Ed in due anni andò barattiere;
Poi morto fu per uno furto che fecie.
Lo quarto mi batteva come vile: Iddio
Ne 'l pagò; che correndo uno cavallo,
Cadde morto, e io il sotterrai.
Lo quinto m' à tenuta bene quatro anni,
Poi mi rubò, e andonne inn Inghilterra;
Or ci è novella, ch' elgli è morto in Francia».
«Or come dunque», dicie la Contessa,
«Andata se' di bene in melglio?» Rispose:
Che «tutti rei, tutti morti.
Io pur ciercava per averne uno buono;
Veggio che nonn à luogo:
Volgliomi omai di ciò riposare».
Or dicie la Contessa: «Nota qui:
Che chi nne truova un buono, solo Iddio laudi,
E sse le manca, poi non cierchi invano;
E ancor color che trovato ànno i rei,
Vedi che vana cierca fanno ancora».
pt. 8, cap. 1
Ecco la Parte Octava,
Dove si tratterà su brevitade
Di quelle che 'n suo casa
Abito prende e rilegione;
E ttratterà della loro oservanza:
E prima dicie se cciò è da laudare.
Vedila stare appie' di Continenza,
Et odi quel ch' ella le fa giurare.
Ma prima ti vo' dir, che questo stato
Non laudo molto, se la donna in prima
No' è ben monda dal disio carnale,
O per vechieza, o per gran don da Dio.
Sicché colei che giovane si truova
Si mette a gran perilglio,
Se solo Iddio no' i dà forza e consilglio.
Ver è, che son di quelle giovani, molte
Che prendon ciò per diverse cagioni:
Altre per povertà,
E per voler ciessare
Con più onor di loro
Da cquelle cose che nel mondo vanno;
Altre per malitia ochulta c' ànno,
E che non converieno sé a marito;
Altre per sola paura infernale:
Poche di quelle che giovani siano,
Per solo amor del nostro sire Iddio.
Movasi dunque colei che si crede
Poter preseverare in Dio servire;
Ché troppo sta più laido e più villano
Ongni vizio in costei ch' è data a dDio,
Che s' ella fosse ancor nel mondo stante.
Però riguarda, e considera bene
Quelle parole che dicie a costei
La Contenenza, a chui servir s' è data.
E nota ben, che, perché men convene
Alla vechiezza che all' età giovane,
Vedi esta donna che è d' età chomunale,
E marito ebe; perché tu conprenda
Che quest' è quella a chu' me' si conviene:
Che lle minor, se volglion Dio servire,
Convengonsi ritrarre in monasteri,
Dove se pur tentazion l' asalisse,
Tengala il fren della chiusura forte,
E lla vergongnia della compangnia;
Ché 'l tempo è fatto sì rio e ssì vano,
Che poco stringie d' Iddio solo amore.
Or odi qui le parole che dicie
La Contenenza a questa donna, e taci:
Io son vertù di Contenenza, e volglio
Che, se ttu vuolgli venire in Paradiso,
Fino alla morte teco mi conservi.
La donna risponde:
Con questo intendimento ò cominciato;
E ò speranza di far tutto bene
Coll' aiuto di Dio nostro Singniore.
pt. 8, cap. 2
Or ci convien brieve parlar di questa,
Però che molte Parti d' esto libro,
E spezialmente la Parte che segue,
Ha molte cose in sè che può giovare
In questo stato a lleggierle e saverle.
Non parlo come deggia ella servare
La Regola che prociede;
Però che più son le Regole al mondo,
Ch' à l' una una oservanza, et l' altra un' altra;
Ma tanto dico, prendasi ad alchuna
Dell' aprovate Regole della Chiesa,
E quella faccia che letta le sia,
Et che, se leggier sa, la legga bene;
Tutto l' oservi giusto a suo potere.
E s' ell' avien ch' ella giovane ci entra,
Costei convien al tutto via lasciare
Ongni lavar e liscio ed ornamento;
Ch' è laida cosa vedere alchuna d' esse
Portar di fuori la pelle dell' angniella,
E sotto quella, del diavol la faccia.
Che, poniàn pur che volglia parer bella,
Assai più piacie, ancor sicondo il mondo,
S' ella non paia che di ciò si churi.
Costei convien lassare ongni parlare,
Andar e star di vanità nel mondo;
Né per la via gir già gli occhi volgiendo;
Usar le chiese, e i paternostri in mano,
E ll' oration sovente a suo potere.
Quando con frati parla in penitenza,
O quando è loro davanti al predicare,
O per sue altre monitione udire,
No· lgli tenti colgli occhi o col parlare,
Non churi aver tra llor divoti; salvo
Che nelgli antichi l' anima rifidi.
Costei convien vedere e riciercare
Quanto ricieve ciaschuno anno in casa,
Et quanto le bisongnia a suo persona;
E ll' altro pensi di donar per Dio.
Giuochi di piazze e finestre conviene,
E quei di casa ancor, a llei fuggire.
Ongni trattato e novelle d' amore,
E lleggier d' arme e similglianti cose,
Lassino a quelle che al mondo sono:
Il leggier loro sia l' uficio divino,
Leggiende e storie di santi e di chiesa;
E quando si riposa,
Legghino infra nella IX Parte,
Dove trovar porranno
Assai di belle e utili cose a lloro.
Inn ongni lor tentatione e paura
Rinmenbrin della passion di Cristo,
E della vita della nostra Donna.
E non si lascino ingannare a ccierti
Che vengon sotto spetie d' amunire;
Poi nel parlare riescono a volere
Tentarle di parole ed an' di fatti.
Convengon ben costoro ciessar da tutti
Doni e presenti, se non è lor cosa,
Cioè di lor congiunti; e dee eser tale,
Che non si possa sospecciar di quelli.
Lassar convengon in lor veli e drappi
Tutta legiadria e vana vista al mondo;
E lloro usanza cholle vecchie sia.
Or non volglio dimenticar ma dire,
Che sono alquante, viventi i mariti,
Che prendon questa cotal vita
Di lor voler, e talora con loro;
E altre son, che giuran castitade
Co· lloro in casa, e altre che si partono
Da lloro in vita, e e' mutano stato,
E elle, com' ò detto,
Promessa castità, ristanno al mondo.
Provede la ragione intorno a questo,
Sì della vecchia, et sì della non vecchia.
Lasso di ciò, ché quando il vieni a fare,
Il tuo superiore convien seguire;
Ma parlo di color che 'n casa stando
Colli mariti, giuran castitate:
Ch' ella mi par, se non ben vecchie sono,
Grande follia, pello pericol grande
Ch' egli è a tener la palglia a pie' del foco;
Ché melglio val sanza voto servare
Che piacie a Dio, che far voto e ppeccare;
Et melgli' è non chonoscier la via
Del nostro Sire Iddio,
Che po' ch' è conosciuta, la lassi.
Non dico più in questa Parte omai;
Ché la seguente molto fa con questa.
Ma sì tti volglio, per indurre al bene,
Una Novella d' una santa donna
Contare in sulla fine d' esta Parte.
Tra'ne quel frutto che tti tocca in parte.
pt. 8, cap. 3, par. 1
Passando me per
Alvernia,
fummi
mostrato
presso a
nNostra Donna del Poggio uno
castel,
del nome del qual no· mmi ricorda, il qual era d'
uno savio cavaliere e d' uno accorto, il chui nome
ancor no· mmi
posso ricordare. Avea una sua filgluola
c' avea nome
suora Amabile, la chui
fama era sì
grande per tutto il paese di
santità e d' onestà, che
poco v' era a parlar d' altro che di lei.
Questa dalla
sua
infanzia mostrò sempre in
sè
maravilgliosi
sengniali
di
santità; et fu sì bella fanciulla, che 'l
conte
d' Anguersa fu ardito di dire al Re di Francia, che
questa era da llui; e
funne uno lungo trattato, e non
rimase se nonn è perch' ella
nol volse.
pt. 8, cap. 3, par. 2
Anzi quando le fu detto dal padre,
Essendo ella già di XIII anni,
Ella gli rispose, c' avea troppo
Maggior chuore e maggiore intendimento.
Allora disse il padre:
«E come potrestù avere magiore
Singniore?» Ella rispose:
«Non vi afaticate
Omai più, padre mio:
Ch' io sono sposata a uno che mmai non ebe
Alchuna donna per molglie, né vuole;
Ma dicie che terrà me per amica,
Darami bei vestiri e belle gioie,
Non mi lascierà toccare a huomo che sia,
E dicie ch' io viverò sempre co· llui.
Oro ed argiento arò a mio volere,
E non sarà di chui io aggia paura.
La morte ancora non porria dottare.
Arò sergienti, arò compangni assai,
Arò compangnie ed ancielle a volere,
E nulla cosa mi porrà mancare.
Lo mio volere si manterrà pulito;
La mia bellezza verrà pur cresciendo.
A tutta giente porrò fare honore
E piagiere,
E nullo a nme porrà mai noia fare».
Allora il padre smarito rispose:
«E cchi; sarà, che tanto far ti possa?»
Ella gli disse: «Non ven cal pensare».
Tenne il padre sovra ciò consilglio;
E fulli detto: «Questa attende a dDio.
Pensiàn di darla al re tostamente».
Faciea il padre tuttodì consilgli.
Ella, pensando che potea forse
Esere ritratta da sì buono Sposo,
Disse c' andar volea a Nostra Donna.
Mossesi sol con due sue compangnie,
E prese quell' abito che volse,
Cioè di quelle di San Franciesco;
Promise continenza incontanente,
E ritornò vestita a sua magione.
Quando la vide il padre e lla sua giente,
Qui fu tal pianto, sì come ella fosse
Non data a dDio, ma se perduta fosse.
Poi, vegiendo alfin suo volere,
Chetarono il pianto, e dieronsi a passare
Di ciò, che non poteano altro fare.
Or ciò ch' ò detto fa contro al consilglio
Ch' i' ò dato di sovra,
Che non mi par ch' a giovane convengnia.
Ver è che ss' io mi credessi trovare
Tanta fermezza, o apresso, nell' altre,
Io drei consilglio chom' io sentisse.
Ma tutte non son questa: anzi vi dico,
Ch' io non vidi mai in donna alchuna
Tanta constanza e cotanta vertute;
Sì como udir porrà chi non rincrescie
La vita sua, che qui ora si segue:
E dico ben, ch' io son om c' ò udito
Ed an' vedute più cose del mondo;
Non vidi mai tal fermezza di donna,
Né mai udio, né credo udir potere.
Ora intendete e ponete ben chura,
Quanto di bene da suo vita si prende,
Quanto d' esenpro e di costumi buoni,
E quanta utilità se ne raporta.
Ella vestita nel primo anno, poi
Menò suo vita com' io vi dirò
(E qui si scovra ben gli orecchi ongniuna).
Sempre tenea una suo balia seco,
Né mai si vide persona potere
Parlare a llei, ched ella non vi fosse.
Ancor più, che stando il confessore
A darle penitenza,
Voleva innanzi che la balia udisse
Ciò che confessava,
Che trovarsi chon hom a ssola a ssola.
Lo verno tutto costei digiunava;
Di state una fiata
Mangiava a suo volere,
E ll' altra solo alquanto a sostentare.
Vestia ciliccio, e non giaciea in letto,
Ed afligiea la suo carne tanto,
Che ben l' avea in sua podestate.
Fuor di suo camera non era alchuno
Che veder la potesse
Delle suo carni, che gli occhi e lle mani.
Erano a llei le finestre nemiche,
Ed ongni giuoco e sollazzo di casa,
E ppiù assai le vanità di fuori.
De' lavamenti suoi non vi parlo,
Però che sola e pura acqua viva
Lavava lei, neciessità vengniente.
Non mai, o fforse rado,
Rider si vedea, ma sempre nel chor
Pensava di Cholui che lla avea fatta.
Levava al mattutino, e 'nfino all' aurora
Continovava le sue orationi;
Po' si posava alquanto, e dopo questo
A una suo cappella udiva la messa;
Po' ritornava a far suo orationi,
E llà durava all' ora del mangiare.
Mangiava; e sospirava
Della passion di Cristo.
Dopo mangiare in borse lavorava,
E ssì sottil e bello lavor faciea,
Che di suo ovra e della balia sua
Seguiva tanto e ssì fatto guadangnio,
Quanto la magion prendea di spesa:
E questo tempo tenean silenzio,
E cciò durava sino all' ora del vespro.
Allora il padre, o chi parlar le volesse
Per licita cagione,
Potea a llei parlare alchuno spazio;
Po', se non digiunava, andava a cciena;
E dopo ciena ordinava che fosse
Del rimangniente della suo fatica.
Faciea limosine come si convenia.
Apresso questo andava inn orationi;
Continuava insino a primo sonno.
L' anno sicondo, ed an' poi d' anno in anno
Tuttora stringiea sè più a potere.
E llasso qui di molt' altre stinenze;
Dicovi ch' ella vino non beve poi.
Le feste, ch' ella lavorar non potea
Il tempo del lavoro
Metteva in leggiere libri santi e buoni;
E chi venia a volerle parlare,
Poteva allora più, volendo dire
Di quelle cose che diciente sono.
Lassovi omai di lei, che saraie
Longo parlar troppo della suo vita
E de' costumi e d' ongni suo maniera;
Che n' ànno ancora assai che dir colloro
Che sson per tutto il paese c' ò detto.
E ritorniamo alla seguente Parte.
pt. 9, cap. 1
Conviene omai che della nona Parte
Prendiàno nostro trattato,
Dove si dicie d' ongniuna ch' è rinchiusa
In monastero a perpetua chiusura;
E con' si de' portare
Sì la badessa, e ssì tutt' altre poi,
Ciaschuna in suo oficio e grado e stato,
E tutto ciò c' a llor servar conviene,
Come dimostra la lettura innanzi.
Ver è che, perché cierte ànno una reghula,
E cierte n' ànno un' altra, e perché ancora
Dicretali son fatti, che danno
Cierta forma in ciò e cierto stilo:
Però non mi distendo in tutto dire;
Ché converanno al suo superiore
Aver ricorso, ed a llui ubidire
In tutto ciò ch' è licito ed onesto.
Et io intendo qui cierte dotrine
Por, delle quai parte ànno intendimento,
E cierte altre convengnion d' onestate;
E poi del rimangniente
Servin che deon con fedel consilglio.
Vedete qui Religione in sede,
Che parla alla badessa
Ed alle moniali d' intorno stanti,
E dicie lor queste breve parole:
Voi che llassate per lo mondo il mondo
Chonvien tengniate il vostro cor ben mondo.
Rispondon la Badessa e lle Donne così:
Colui che noi dispose a cominciare,
À sol poder di mantenerci in bene;
Ch' elgli è colui da chu' tutto ben vene.
Lui ne preghiamo, ed a llui dimandiamo
Fermezza e conforto,
Sicché vengniamo al salutifer porto.
pt. 9, cap. 2
Or seguitiamo gli amonimenti
Che lla detta Religione diede
Universalmente a ttutte,
Sì a badessa come a ttutte l' altre;
Poi parlerà loro insieme, talora
In tutti oficii. In prima:
Che d' un animo e d' un volere siate
Voi c' abitate inn una magione,
E sia a voi nelle cose honeste
Un animo e un chuore.
Siano a voi tutte chose comuni,
E nulla di voi si dica aver propio.
E strebuite tra voi la vostra vita
E 'l vestimento; e non igualmente,
Ma sicondo la 'ndigienzia di ciaschuna:
Sicondo che nelgli Atti
Delgli Apostoli si leggie,
Che a lloro eran le cose comuni,
E distrebuivansi a ciascheduno
Sicondo il suo bisongnio.
Color di voi c' ànno qua dentro il melglio
Che prima non aviano quanto al mondo,
A dDio dean la gratia e di tal dono,
Né credan ciò per suo' meriti avere,
Né superbiscano perché veggian sè
Accompangniate da milglior, che davanti
A suo compàngnia aver già non potieno.
Coloro ancor che non tanto di bene
Quanto al mondo ci trovano,
Humili siano e tenghinsi a gratia,
Che perciò son viepiù libere a dDio.
All' orationi intendete nell' ore
E ne' tempi ordinati;
Né faten' in chiesa,
Fuor che cciò che si conviene al luogo.
Quando orate, o dite l' uficio
Agiate in cuore quel ch' è nella vocie.
La charne vostra, quant' è vostra possa,
Colla stinenza e colli digiuni
Tenete sotto domata e costretta.
Non si convien voi mangiar fuor dell' ore;
E alla mensa ascoltate, se si leggie;
Se non si leggie, sol di Dio pensate.
Le 'nferme tutte sian churate bene,
Né disdengniate dalle sane mai;
Così ancor quando vengnion guarendo,
Sian risparmiate sino a llor fortezza;
Elle guarite ne sian conoscienti,
Servino all' altre, e ristorino a elle.
Non dilettate in vestimenti o in veli,
E meno inn aparenza corporale,
Ma ne' costumi pensate valere.
Lite o discordia tra voi mai non vengnia,
E sse vi nascie, spengnietela tosto.
Vostra badessa corregga con senno;
E tutte voi che corrette sarete,
Humilmente ricievete e piane,
E pazienti a ssoferire state.
Questa badessa convien menar tale
In sè suo vita, che ssia buono specchio
A tutte voi, chui governar conviene;
E volglia nanzi esser da voi amata
Per suo buona ovra, che da voi temuta.
Convien ched ella sollicita sia
In riciercare e comandar che decie,
E nelle pene che 'npone temente.
S' alchuna forse di lei mal parlasse,
Questa cotale ingiuria perdoni
Quanto per sè; ma per la dengnitate
Coregga alquanto, e tenperatamente.
Voi siate a llei obidienti tutte,
Ed ella a voi beningnia e patiente,
Piatosa dove decie; ma se 'l fallo,
È grave, non lasci di punire.
Le porte faccia ben serrate stare,
E faccia cauta guardia delle chiavi;
Faccia portiera fedele, e maestra,
Che non si lasci ingannare ad alchuna,
E la portiera cautamente passi;
Et quando l' è conmesso fuori o dentro
Anbasciata sospetta, non la porti,
O dicala prima alla badessa,
O a chi suo luogo tiene.
Ordini la badessa tra voi tutte,
Che nulla mandi lettera o ricievi,
Senza sua coscienza o volontade;
E cche nessuna ispetial sugiello
Tenga, né anco anel da ssuggiellare.
E ponga chura la detta badessa,
Che nulla sia che troppo spessamente
Venga a parlare a devoti o amici;
E chi pur vengnia per giusta cagione,
Non lassi a cciò andare alchuna sola,
Né anco allora c' a dormir son l' altre.
Et muti le compangnie allor che vanno;
E dia la savia e lla buona a quell' altra,
Di chui non anco à prova fermata.
Quelle che vengniono a parlare, istiano
Tementi tutte e vergongniose; e algli occhi
Ponghin sì fatto freno,
E lle parole non usin sì fatte,
Che faccian forse gli uomini mutare.
Se sono a llor male parole usate,
Partansi tosto, e più non tornin poi
Con que' cotali a parlare o udire.
La camarlinga, o quella che guardare
Convien le cose che là dentro sono,
Servin la via che s' ordina in comune;
E se convien talora satisfarne
A cquella o a cquell' altra,
Servi tra lloro l' agualglianza in tal modo,
Che non si truovi quell' altre nimiche.
Così la sagrestana e ll' ortolana,
Et l' altre tutte c' uficio ànno in casa.
Guardi la badessa,
Come ciaschuna dorma e dove, e ponga
Neciessità di dormire in comune.
Quando ricieve moniali di nuovo,
Guardi d' avelle più savie ed oneste,
Che di partita bellezza tra ll' altre.
Piacemi ben, che, se puote, prochuri
Ch' elle sien sane quando le ricieve,
O nnette almen di tale infermitade,
Che lle potesse dell' altre far danno.
Ma tuttavia la 'nfermità mentale
Ciessi da ssè e da voi tutte quante.
Ricierchi spesso lo stato di tutte;
E dove forse da ssè non potesse
O non sapesse corregier, dimandi
Consilglio buon da savio o da fedele:
Ch' el saria troppo lungo
D' ongni cosetta por qui sermone.
Cotanto dico a cchi guardar conviene
Mandria di donne cotali;
Che con tutti serrami e colle guardie,
E con tutte cautele,
Assai farà, se ben conducie e guarda;
Ché tentation del diavol vien più spesso
Colà dov' ello vede star la giente
Acconcia per potere a dDio servire;
E gran cosa è legar femmina bene,
E maggiore è se poi non si disciolglie.
Però non credo, ch' altro che ben sia,
Se leggon l' altre Parti d' esto libro
Quelle che son nello stato di voi,
E prendan tutto ciò che per loro facie.
pt. 9, cap. 3
Dette queste parole, Religione
A cqueste donne disse:
Inn ongni mal pensier d' Iddio pensate;
E caccierete tentazion da voi.
Comunemente mangiate e dormite,
Comunemente sedete per casa,
Non sia chi volglia nasconder suo' modi:
Ché gran parte di peccato ciessa
La compangnia, e testimoni attorno.
Non sia di vostra bellezza a voi chura,
Non vi diletti vana laude humana;
Non dipingniete le mani e lla gola;
Rado di fuor alchun veder le possa.
Non dilettate alle larghe chiusure,
Né all' oschure, né basso parlare.
Non pur cresciete numero in divoti,
E que' c' avete sien maturi e savi;
Né ricievete gioielli dalla giente,
E men ne date, e ponete ben chura;
Né sotto spezie di vostri parente
State in sollazzo colla strana giente.
Così ancora de' parenti vi dico:
Che ggià no' è ongni parente amico,
Ed ongni amico non è dengnio al nome.
E sotto spetie di tor paternostri
Guardate voi non convenga donare
Altro che ambra, cristalli o ccoralli.
Voi che cantate l' uficio in la chiesa,
Cantate colla mente a Dio rivolta,
Non mica a vana gloria giammai.
Conviene a voi in cotal buona vita
E nella religion preseverare
Vostra vita durante in quella; però
Che nulla è dengnia del Rengnio d' Iddio,
Se, poi c' à posta all' arato la mano,
Ritorna adietro e suo lavor non segue;
E melglio è nonn aver la via d' Iddio
Ancor conosciuta,
Che po' chonosciuta lassar quella.
Onde Agostino vi prega, che voi
Guardiate bene lo proponimento
C' avete fatto, ed infino alla fine
Preseverar dobiate, portando
Con mansuetudine nel cor Colui
Che reggie voi, e che drizza li umili
In giudicio,
Che 'nsengnia a' mansueti la via sua.
La vita vostra istà in cose tre,
Dalle qua' prende molto il vostro stato:
L' una si è povertà volontaria,
L' altra si è castità sinciera,
La terza subiezion d' ubidenza.
Per queste potete poi voi venire
A cquelle dove sta prefetta vita,
Cioè in elevatione d' amore
Dalle cose di sotto,
In reformatione della mente,
In refrenazion di libidine
Et appoggio a dDio e alle cose di sopra.
Onde colgliete quinci,
Chenti conviene a voi esere e quali;
Che così vi convien levar la mente
Dalle cose mondane,
Come l' infante dal petto alla madre.
Perocché l' anima che ama Iddio,
Come dicie l' abate Ysaac,
In solo Iddio confida.
Porremo qui assai andar girando;
Ma questa è lla finita in questa Parte.
Amerai Iddio col core e colla mente,
E solo a llui servirai a potere.
Lo mondo ch' ài lassato
Ti sia nemico; e fia legièr lo peso.
pt. 9, cap. 4
Ora seguita qui una Novella,
Per seguitar lo 'ncominciato stilo;
Sicché ciaschuna per essa porrae
Prender da cquella, sicome le tocca,
Exempro e guardia e cautela veracie:
Ch' ell' à in sè utilità e parti
Molte, come porrà veder legiendo
Qualunque donna porta il cor con Dio.
E detta questa, sì comincieremo
All' altra Parte, che brieve udirete.
pt. 9, cap. 5, par. 1Inn Ispangnia si leggie che fu anticamente
uno monistero, il quale avea edificato una santa
donna, et avea lassato in esso dodici povere donne
per moniali, le quali erano in prima in grande necciessità.
pt. 9, cap. 5, par. 2Morta questa donna, levaronsi cierti
gientili huomini del paese per ochupare questo monistero,
e misonvi dentro una cauta e mastra donna,
e così di fatto la feciono badessa; e misonvi dodici
filgluole di loro, e di cierti grandi della contrada;
le quali, sì come portò la ventura, erano tutte da
diciotto anni in giù, e erano bellissime a maravilglia;
et chacciarono tutte quelle che v' erano prima.
pt. 9, cap. 5, par. 3Il vescovo in chui vescovado erano ci volse
provedere. Non ebe luogo; sicché si mise a passare
ed a dare l' ordine a queste nuove; ed alle prime
diede alchuno redutto dove aveano lor vita. E disse
a cqueste nuove: «Iddio sia vostra guardia, ché
mestier vi fa; tale è lla vostra etade e vostra conditione».
pt. 9, cap. 5, par. 4I padri di costoro erano grandi e temuti;
e pur voleano ch' elleno faciessono vita d' onore;
ed anco la badessa, tuttoché disragionevole inpresa
avesse fatta, non tanto per Dio quanto per lo mondo
disiderava di condurre questa giente a buona vita.
pt. 9, cap. 5, par. 5
Onde per tutte queste cose passò uno
anno e
più,
che lle donne aveano gran
fama di
santità e di buona
vita; ma pur tra lloro e
segretamente
intendeano a
mangiare ed a bere bene, ed a
llisciarsi, ed a
farsi
belle; e poco a orationi o a dDio,
fuorc' alla vista
di fuori, attendeano.
pt. 9, cap. 5, par. 6Sicché Iddio, rinmenbrandosi
della ingiuria fatta a cquelle povere, e vegiendo
costoro churar poco di lui e voler fama di bene,
chiamò uno angiolo e disse: «Va; di' a Satan,
ch' io gli do licenzia di ciercare e tentare le donne
di cotal monistero, e di far tanto, che i lor mali
intendimenti, i quali elleno tengono coverti, siano
palesi per quella via che lgli pare».
pt. 9, cap. 5, par. 7Sicché
Satan tolse uno messo de' suoi, il quale egli avea
lungamente trovato sottile, e conmisegli questa ovra;
ed avea costui nome Rasis.
pt. 9, cap. 5, par. 8Or si muove Rasis,
e pilglia forma d' una vecchia, e viene al monistero,
e fa domandar la badessa. Entra a parlar
co· llei, e dicie, che vuol mettere là dentro tre filgluole
del re di Spangnia, le quali ello non vuole che si
sappia che siano sue filgluole, ch' egli àe aute di
gran donne; e vuole dotare il monistero di due
cotanti rendita ch' ello à, e vuol dare a ciaschuna
di loro ricche gioie. Brievemente, parlato la badessa
colgli amici del monistero, acciettò questa proferta,
e sono in concordia segretamente.
pt. 9, cap. 5, par. 9
Muovesi
Rasis in forma d' uno giovane, e
ciercha il paese, e
àe trovati tre
giovani, di
XIII, di
XIIII, di
XV anni,
bellissimi e
biondissimi; sicché lungo tempo
stessero
che non
avessono senbianza di
barba; e
dicie a lloro:
«Io sono uno giovane
richissimo, e ssono filgluolo
d' uno re, ed
òe amata una
moniale di cotal
munistero
lungamente; perch' io la vidi passando per
lo paese, e òe
abandonato tutto mio stato per
averla.
Ora ò mandato una vecchia per cotal modo;» e
disse loro tutte le dette parole. «Ora volglio io
ciaschuno di voi fare ricchi, e
volgliovi fare
radere
la testa, e
velare a maniera di
pulcielle, e
mettervi
là entro, e
averete co· lloro diletto: ch' elle sono le
più belle
creature del
mondo; e da nme sarete ricchi.
Poi io manderò la vecchia, e
faroe trattare d'
intrarvi
io, e saremo là insieme; e ss' io non vi potessi
entrare altrimenti, voi una volta m'
aprirete».
pt. 9, cap. 5. par. 10Brievemente, furono accordati; e diede a costoro
a ciaschuno CCC fiorini, i quali fecie loro vedere
ch' erano ducati d' oro, e disse: «Poneteli inn uno
vostro cofano tanto che voi tornerete, ed allora ve
ne conpierò io mille a catuno». Fu fatto. Mo' si
muove Rasis, e dicie a costoro: «Seguirete la vecchia
che voi troverete a tal fiume, e andate oltra».
pt. 9, cap. 5. par. 11
Rasis, va innanzi, e
ripilglia la forma della
vecchia, e mena costoro, e fue al munistero. Parla
alla badessa, e
contale
quatromila
petruzze, e
feciele
vedere ch' erano
fiorini d' oro; ed a
ciaschuna diede
anella di palglia, che
parieno d' oro, e
dentrovi
pietre, che
pariano
charissime, e molte
fila d'
erba,
che parieno
tessuti, e disse, che volea che
stessono
in
diposito là dentro
serrati tanto che lle fanciulle
fossono
professe; e così fu fatto.
pt. 9, cap. 5. par. 12Misono
dentro queste tre fanciulle così fatte, e disse che ll'
avea fatte radere per poterle condurre segrete,
e che così l' avea fatte stare lo padre tre anni, e
che l' avea condotte a maniera di maschi perché
nullo potesse sapere dov' elleno fossono menate.
pt. 9, cap. 5. par. 13E disse c' aveano cierti nomi; e mutolli loro,
e disse: «Egli à cierti cavalieri nel paese dov' elle
stanno, che se 'l sapessono, tuttodì veriano qua; e
però ne lle menai tosate». Le giovani di là dentro
vegiendo costoro che pareano bellissime donzelle,
furono molte allegre di loro compangnia.
pt. 9, cap. 5. par. 14Non
v' erano cielle per più che per le dodici che v' erano
prima. Disse la badessa: «Infino ch' elle staranno
in probatione, giacciano con quest' altre giovani».
Rispose la vecchia: «Ben dite». Poi dicie la
vecchia: «E perché non rincrescha ad alchuna,
stiano quando coll' una e quando coll' altra». Rispose
ciaschuna: «Ben dicie;» e poi ciaschuna
si studia d' avelle.
pt. 9, cap. 5. par. 15
Partesi la vecchia, e
dicie
che
tornerà spesso; e poi
istà
invisibile, e
tenta
tutte quelle di là dentro di
vizio carnale. Le tre
ch' ebono quelle tre la prima notte,
scherzando insieme
si furono
accorte com' elleno erano
acompangniate,
e dissono: «O!
com' è questo?»
Risposono
quelle,
ciaschuna per sè: «Noi siamo filgluoli del
Re, ma
aquistocci d' una sua
parente. À voluto che
noi siamo qui tanto, ch' el cie ne vuole
mandare
inn altro paese, perché noi
risonmigliàno la donna,
ed
elgli n' è
biasimato». Di ciò fu bisongnio di
poco di
contendere:
stettono insieme; e poi
scanbiando
le cielle, chosì andò la cosa con tutte: sicché
tutte dicieano alla badessa, che non furono mai vedute
più honeste
donzelle.
pt. 9, cap. 5. par. 16Lasso molte favole
che ssi leggono dei portamenti loro, e dello spesso
tornare della vecchia; e brievemente vi dico, che in
sei mesi elleno furono tutte gravide.
pt. 9, cap. 5. par. 17Furono
alla badessa, e ssì lle manifestarono tutto. La badessa,
ch' era d' età di trenta anni, disse: «Io farò ardere
voi e lloro a' vostri padri», e fecie loro gran minaccie.
Sicché la notte seguente queste donne misono
uno di costoro nel letto di lei, e li altri due misono
nel letto di due servigiali. Come s' andasse la chosa,
la dimane fu la badessa e lle servigiali in concordia
choll' altre.
pt. 9, cap. 5. par. 18Mo' dicono li giovani, che sse ne
volgliono andare; quelle tutte contrastanno. Tengonsi
ancora tre mesi; poi se ne partono, che coloro sono
presso al tempo del partorire, e dicono: «Sia vostro
tutto il tesoro».
pt. 9, cap. 5. par. 19La vecchia vi viene; mostrano
le donne, c' ancor non sacciono lo fatto. Dicono
a llei: «Queste vostre donzelle si volgliono partire,
che dicono che non porriano durare in questa
vita». Dicie la vecchia: «Al nome di buona ventura».
Partesi co· lloro. Queste sono insieme a vedere lo
tesoro; truovano fiori ed erbe secche e palglia e
pietre. Non sanno che farsi.
pt. 9, cap. 5. par. 20Finalmente, come
s'
accordan tutte,
manda la badessa per li
parenti
di tutte le donne, e
dicie loro, che queste tre
donzelle
che v' erano
entrate ànno
rotti i
cofani, e
sonsene
andati con ongni cosa; e
dicie, c' ànno dato
quella notte alle donne uno
beveraggio, che nessuna
si sentio, ed ancor dormono. I
parenti dicono di
voler vedere le donne. La badessa
dicie: «Non è
il melglio;
lassatele dormire».
Dolgonsi
ciaschuno,
e
passon come
possono.
pt. 9, cap. 5. par. 21Da indi a otto dì
una di quelle servigiali mise dentro uno converso;
sicché la badessa e due delle donne la trovarono
co· llui, e fecionne gran romore. Sicché la servigiale
disse: «Io posso bene tenere uno dì uno converso;
ché voi n' avete tenuti tutte tre, già è cotanti mesi».
pt. 9, cap. 5. par. 22Qui fu il contendere e llo scoprire. Trassonvi
i fanti e lavoratori del luogo; sparsesi la vocie;
traevi il popolo della contrada, entrano dentro per
forza, trovarono le donne co' corpi grandi; mettono
mano alle pietre; e così li lor parenti come li altri
le lapidarono; e lla badessa arsono, e lle servigiali
sotterano vive, e quel converso arostiro; e andarono
per quelle dodici povere che v' erano prima,
e diedono loro il luogo, e feciesi là una badessa;
e vissono lungo tempo in grande santità.
pt. 9, cap. 5. par. 23Que' tre giovani
tornando a casa
incontraro
Rasis
in quella forma d' uno giovane che venne a llor prima,
e
dissolgli: «Come èe, che voi non
tornasti a nnoi?»
Disse ch' era stato
malato, e
domandolli: «E come
avete fatto?»
Dissongli tutto. Disse
Rasis: «Or
mi
rendete i
ducati». Dissono
colloro: «Anzi tu cci
compi il
milgliajo».
pt. 9, cap. 5. par. 24E stando in contenzione,
e diciendo costui: «Voi non m' avete servito»;
e colloro, che nonn era stato per loro; e stando sovra
un ponte d' uno gran fiume, mischiaronsi insieme,
e Rasis li prese e gittolli nel fiume, ed afogaro.
Sicché ciaschuno finiscie sicondo le sue ovre.
pt. 9, cap. 5. par. 25Questa novella fa bene a questa Parte,
perocché dà pruova chente e come cauta conviene
eser la guardia sì alla badessa e ssì alle moniali, e
come sono sottili le 'nsedie che pone 'l nimico a
queste gienti; e come Iddio abandona chi fa male,
e similmente como lo puniscie.
pt. 9 .cap. 6
Or seguita qui a trattar della decima Parte.
Ma perché prima ch' i' venga più innanzi,
Sicome stanco della mia gran novella,
Io mi convengnio alquanto riposare:
Io volglio andare, in luogo di posa,
Parlar alquanto all' alta donna mia,
E prender forza da llei e vigore.
Però qui m' attendete, ch' io tornerò,
E seguirò la nostra materia poi.
Ver è che, perch' io non so molto a punto
Dov' ella sia, io non so del tornare;
Però non vi rincresca l' aspettare.
Francesco O voi che dalla gran città venite,
Dove in pellegrinaggio m' è detto
Che vanno or donne tante:
Areste voi veduta
Quella donna per chui relucie e sprende
Ongni licor e grandezza nel mondo?
Ditelmi, cavalier, per cortesia,
Ch' io son di lei e vadola ciercando,
Ed aggio gran mestier di lei trovare.
Cavalieri Dicci, buon uom che così ci domandi:
Se ttu se' a così gran donna servo,
Come le fai tu sì poco d' onore,
Che così sol per questo camin vai?
Francesco Non fu' mai sol, né ssol eser posso,
Mentre che suo grazia e suo virtute
La mente mia dengnia d' acompangniare
Del bel pensier che solo a llei si volgie.
Cavaliere De! tu cci sembri a llei tanto fedele,
Che poco ti volgliàn tenere in ciance.
La donna noi sapiàn ben chi ell' è,
Dal sopranome che ttu mo' le desti.
Va su per questa montangnia boscosa;
Ch' ella si posa i· lla cima del monte,
A pie' d' un gran padilglion lì disteso.
Vedi, c' alquanto del bianco si vede.
Francesco Addio, cavalier gientil, singnior cortesi;
Che ben si par, che vo' sie' cavalieri.
Ch' i' ò girato intorno a questo monte,
Perch' io sentia l' odor delli suo' passi;
E molta giente ò trovata passare:
Chi non risponde, e chi mi volgie il capo,
E chi mi dicie parole villane.
Cavalieri No' siàn contenti s' a piagier t' è stata
Nostra risposta, e più se ben t' aviene.
Va; che non perda i passi per indugio.
Francesco Addio ancor, singniori; a voi merciè.
Cavalieri Va col saluto di lei che ttu cierchi.
Francesco Ai! Siri Iddio, dove n' ài tu menata
Questa gran donna? Che ripe son queste!
Che ssassi e che roine,
E che pruni e quali spine!
Che scontri d' animali feroci ed aspri!
Onde ci vien chi la viene a vedere?
Àcci altra via? Tu, Iddio, la mi mostra;
Ch' io non so ben come salir ci possa.
De! cavalier, onde scendeste voi?
Or mi trovassi io ancor con voi;
Forse che mi metereste a buon canmino.
Orsa Io son quell' orsa che spianai la terra
Dove si stende il suo gran padilglione.
Vien su con meco; io ti farò la via.
Francesco Orsa cortese, e lla giente villana
Ò più trovati in questo aspro canmino.
E io da tte ricievo la condotta.
Orsa Guardati qui, che ci sta un lione.
Pon chura qui, che ci à bestie ferocie.
Monta qui su; non poresti durare.
Francesco Se ttu mi porti fedelmente a llei,
Io ti farò buona raccolta fare,
E da mme abi tu ciò che tu cheri.
Orsa Tienti pur ben, che 'l salire è dubioso.
Pilgliati a nme dove tu melglio puoi.
Francesco Questi tuoi orecchi nonn ànno presa;
Ma io m' attengo com' io posso il melglio.
Va pure avanti, che ben giungnieremo.
Orsa Isciendi qui; passeren per la tana.
Sichuramente vien, ch' ell' è netta;
Ma è oschura e petrosa e lunga.
Francesco Orsa sacciente, guarda ove mi meni;
Ch' io mi son dato a fidarmi di te.
Peccato fora s' io tradito fossi.
Orsa Vien francamente; di me io ti fido,
E di chi abia men forza di me;
Ma tuttavia di più forti non posso
Né tte né me non posso sichurare.
Ma io mi credo ch' ella sia sichura;
Perocché questa donna è ssì temuta,
Che se pure avenisse alchuno scontro,
E tu diciessi a quello,
Che se' a llei, tu passerai sichuro.
Ma credo ben che non sie già gran cosa,
Se tu ti metti a rischio ed affanno.
Francesco Sai ch' io ti dico? Non più contendiamo;
Ch' io son pur fermo non schifar la morte
Per veder lei; ché perire in cammino
Per gire a llei, ancor per gratia l' aggio.
Orsa Avanti, avanti, su; volgiti qui.
Riesci qui. Or guarda colà dentro;
Vedi la donna, che par che t' aspetti.
Francesco Madonna, Iddio vi fecie, Iddio vi guardi;
Madonna, Dio v' onori, Dio v' inalzi;
Madonna, Iddio vi dia le volglie vostre.
Madonna Se' ttu colui, che, come udito abiàno,
Ài tanta nelgligienza
In trarre a fine l' ovra cominciata,
Che molte volte io men son crucciata?
Francesco Madonna, io son lo fedel servo vostro,
Che non pens' altro c' a voi piagiere;
Io son colui che per voi vivo sono;
Io disidero d' enpiere e conpiere
Ongni comandamento da voi fatto,
O cche ancora vi piaccia di fare.
Ver è ch' i' ò la mente mia sì piena
Di sol pensar di voi,
Che molte volte ralenta la mano;
Così ancor rallenta ongni mia forza,
E vanno stretti li spiriti miei:
Tant' è altissima quella dolcieza,
Che 'nducie quello immaginar c' ò detto.
Sicché nonn è maravilglia se tutto
Ciò che faesse una libera mano,
Non facie questa man subbietta a vvoi.
Madonna Io veggio ben, che mi convien mandare
Sollecitudine a dimorar con teco;
Che forse ti farà più obidente.
Francesco Madonna, io obidente tanto sono,
Che non voler, ma sol poter mi manca.
Madonna Dunqua toi teco quella ch' io t' ò detto,
C' almen ti rammenterà, se fia mestiere,
Quando il pensar di me tenessi troppo
Remoto te dall' ovra incominciata;
E toi con teco ancor Preseveranza,
Che ti serà conpàngnia
In questa ovra finir.
Vedele qui, ch' io le mandai innanzi.
Francesco Madonna, poi che mi convien partire,
Ché già comincian costoro ad andare,
Debon' io meco altra cosa portare?
Madonna A questa volta no; ma tostamente,
Se ben lavori nell' ovra c' ò detto,
Io ti farò della mie grazia molta.
Francesco Addio, madonna.
MadonnaVa con queste donne.
Io accomando a dDio te e lloro.
pt. 9, cap. 7
Ora si volgie il libro nostro e torna:
Ché vuol trattar della decima Parte;
La qual convien, i· lluogo di ristoro,
Aver brieve trattato;
Ed anco a suo materia si conviene.
Ma qui fa punto, e ricordati bene,
Che cci conviene albergar queste donne,
E po' tenerle a grande onor con noi;
Che lla gran donna l' aggia per ben poi.
pt. 10, cap. 1
Hora comincia la decima Parte,
Che tratterà della remita sola,
Con cierte cose intorno al suo stato.
Vedete lei all' entrar del suo luogo,
E lla Fortezza che qui l' amoniscie,
E dàlle forma e stilo,
Di che si debia e convenga guardare.
Per le parole che costei le dicie
Porrete veder voi
Quanto e di che guardar lei si conviene.
Ora parla Fortezza a llei:
Vedi tu com' io son forte armata?
Nientemeno i' sono spesso percossa
E minacciata; ed ancor viva sono.
Così ti pensa che te viva tengnia,
E non ti vinca percossa o minaccia,
O tentatione o lusinghe o paura,
Che ttu ti metta alla forte ventura.
Risponde la Donna:
Colui mi farà forte, se lli piacie,
Che m' à disposta a tal proponimento,
C' ancor di tale inpresa io non mi pento.
Dicie Fortezza:
La 'npresa è buona, se 'l preseverare
Arai con teco; ma forte mi pare.
Dio ti consilgli, che mestier ti facie;
Dio sia tua guardia, ch' ell' è più veracie.
pt. 10, cap. 2
Omai ci convien dir di suo stato,
E di suo guardia e di suo cautela,
E di suo bisongnia.
E prima di suo stato, il quale è molto
Di pericolo grande,
Parlando di colei ch' è di tali anni,
C' ancor non sono i· llei li vizi spenti,
Parlando de' carnali, c' à con seco
Tutti quelli amici che sono
Della luxuria e della carne:
Ch' ella conviene eser oziosa molto;
E ll' oziosità è ll' una dell' arma
Del nostro gran nimico.
Ancor sollitudine
Gienera la potenza a mal pensare,
Contra costei potenza i mafattori;
E lla larghezza di peccare ancora
Facie più tosto lei cader nel male;
E confidenza che poi non si saccia
Ancora l' è dannosa; e brievemente
Io non so stato alchuno,
In femina vi parlo qual ò detta,
Dove mi paia pericol sì grande.
Ma pure se prende alchuna esto partito,
Lodo che faccia il romitorio suo
Piutosto i· lluogo dove giente sono,
Che sollitari o di lungie da giente.
Tuttoché d' omo parlar si potesse
Inn altra guisa e più sichuramente.
Di suo guardie e cautele brieve parlo.
Legga la Parte che va qui dinanzi,
E an' la prociedente,
E prenda in sè che per lei si conviene,
E tanto più quant' è spetiale a llei.
Guardi a chu' parla dalla finestrella;
Non oda volentier lusinghe humane;
La ciella sua come leon ragiri;
E faccia d' orationi e paternostri
Un suo lavoro continovamente:
Siché sempre la truovi il suo nimico
In qualche cosa ochupata là dentro.
Usci non lasci, né debole tetto,
Le mura ferme, e picciola finestra.
Non faccia di limosine raccolta;
Suo rimangniente per Dio doni poi,
Salvo se luogo lontan dalla giente
Altro non richedesse a cierti tempi.
Fugga divoti, amistà e parenti,
E, poi c' al tutto a dDio s' è donata,
Al tutto sia di lui, e d' altrui no.
Di suo bisongnie prima in Dio speri,
Ed ancora alla giente ne ricorra;
Ed aggia ancora un fedel confessore,
A cchui ricorra per li suoi consilgli.
Ongni mondana vanità nimica
Sia di costei, e solo a dDio s' apoggi.
Né faccia tanto stretta la sua vita,
Ch' ella però sia cagion di suo morte,
Ma domi la sua carne, com' ò detto
In quelle Parti che dinanzi vanno.
pt. 10, cap. 3
Ora si segue alchuna Novelletta,
Che pone questa Parte alla suo fine;
C' ongni trattato sta ben coll' essemplo,
Ed ongni stato riposo richiede.
pt. 10, cap. 4, par. 1Una Eromita fue a Noion in Piccardia
presso alla terra a ddue leghe; sicché si ragionava
di lei ch' era bellissima, ed era d' età di venticinque
anni.
pt. 10, cap. 4, par. 2Et poniàn che fosse il luogo solitario,
era il luogo forte, e 'l paese sichuro da non poterle
eser fatto forza; sicché s' ella volea eser forte nella
mente, poteva, non ostante che mala giente assai
le faciesson noia per averla.
pt. 10, cap. 4, par. 3Ebe in quella
contrada, sicondo che mi disse uno canonico della
chiesa maggiore, una giente di giovani che continovamente
andavano e mandavano per farla indurre a
peccato; e quella dava udienza a chiunque le volea
parlare dalla finestrella, non lassandosi però vedere;
et poi gli mattava sì con suo senno e con sua fermezza,
ch' era tenuto il suo il magior miracolo che
mai s' udisse o trovasse d' alchuna donna costante.
pt. 10, cap. 4, par. 4Andò a llei uno savio rilegioso del paese, e
biasimolla forte di questo stare a udire la giente,
diciendole: «E' no' è persona tanto ferma, che sendo
così continovo tentata, che non stia a gran perilglio
di cadere».
pt. 10, cap. 4, par. 5Questa rispose: «Io non so che
fanno l' altre; io per me vi dico, ch' io lasso dire
costoro, per aver poi del tenermi magior corona.
Io mi sento sì ferma all' amor divino, che se quel
Serpente che tentò Eva con tutta la sottilgliezza
delgli altri dimoni venisse a mettere tutta sua forza
in rompermi, io nol temeria».
pt. 10, cap. 4, par. 6Questo
religioso
le disse: «Se ttu
se' chosì forte come tu mi
di',
tu puoi bene stare a udire; ma grande
pericolo
v' è»; ed a queste parole
si partio.
pt. 10, cap. 4, par. 7Lo Serpente
che ingannò Eva, udendo queste parole, disdengniò,
e pensò di farla rimanere ingannata; e feciele
la notte venire in visione, che uno filgluolo del re
l' avea tolta per molglie, e che quel filgluolo era
succieduto nel rengnio, e che lo primogienito era
morto, e ch' ella sedea nella sedia della reina allato
a questo re, ed era reina, e che questo re le faciea
gran festa; e parvele tutta notte esere reina, e ssollazzare
col re. La dimane quando si destò n' ebe
tanto pensiero e speranza, che dimenticò l' orationi,
e in tutto il giorno non si ricordò d' Iddio, e 'l seguente
dì meno, e 'l terzo viemeno; ed ongni notte
delle due seguenti le parea, che questo re le parlasse.
pt. 10, cap. 4, par. 8Quando il serpente la sentì acconcia a
dilettarsi di ciò, et ello pilgliò forma d' una gran
contessa, e giunse conn un gran romore di conpangni
al romitorio. Poi a' chonpangni disse, che si traessono
adietro; et con lunghe parole disse alla remita,
come quel filgluolo del re era preso di lei, avendo
udita la sua fermezza e lla sua bellezza; e che la
volea torre per molglie, e che il re glie l' avea
molto conteso, ma finalmente gli avea dato la licienza,
vegiendo pure lo suo volere; e ch' elgli le faciea
asapere, che si trovava una profezia, che costui
dovea esere re, e dovea esere sua reina una sua
fedele, santa e bella.
pt. 10, cap. 4, par. 9La
remita
mise mano,
e
contò tutta la sua visione. Disse la
contessa: «Or
ecco; poiché lle cose s'
accordano, che mi
rispondi?»
Quella disse: «
Ecco, io nonn avea
giurata
verginità
né castità, e sono ancora inn
istato
libero; et però
tornate a llui, e
dite come vi
pare, ch' io sono per
ubidire».
pt. 10, cap. 4. par. 10Prese conmiato la contessa da llei,
come da colei che dovesse esere sua donna, e partesi;
e pensa di voler menare a llei uno di quelli
che lle faciea tanta noia in prima, e di farle parere
ch' el fosse quel filgluolo del re, e di farle stare
insieme.
pt. 10, cap. 4. par. 11Dio singniore misericordioso disse a
uno angielo: «Pietà ci viene dello 'nganno che 'l
Serpente à fatto alla cotal romita, la qual era in
tanta purità; ed avengniaché per troppa sichurtà
ch' ella avea di sè le stesse bene ongni pena, va,
e poni sillenzio al Serpente».
pt. 10, cap. 4. par. 12Andò l' angielo,
e trovò la contessa già tornato al romitoro; e fecieli
comandamento, che più non andasse innanzi.
pt. 10, cap. 4. par. 13Allora la contessa lasciò la forma della femmina e
riprese la forma del serpente, e disse alla romita:
«Io non ti posso più offendere, per lo cotal comandamento;
ma almeno ti voglio dire, che ttu non
t' avezzi a credere di sapere più di me: ch' io sono
lo cotal serpente, e òtti chosì ingannata». E inmantanente
dispario.
pt. 10, cap. 4. par. 14La
romita
chadde
tramortita
di paura; poi
ritornata in sè
mandò per
quello rilegioso, e
contolgli tutte queste cose. Et
in quello dì
ordinò di
entrare inn uno monistero di
donne, dove poi lungo tempo
pianse la sua
debolezza;
et finalmente finio i
dì suoi con
fama di gran
santità.
pt. 10, cap. 4. par. 15Quinci si può colgliere, quanto è di pericolo
in questo stato, e quanta è la sottilgliezza
del nimico; e che nessuna, perch' ella si senta o
creda eser costante, si dee lassare venire a ragionamenti
o a trattati di quelle cose a che non vuole
aconsentire; che nulla è che ben saccia, come al
punto stretto seria forte.
pt. 10, cap. 4. par. 16Onde rispose uno
santo huomo, dimandato che faria se fosse in camera
con una bella donna: «Non mi mettere' a
tal pruova; ch' io so ch' io sono, ma non so ch' io
sarei». Poi disse: «Ma di cotanto mi sento io
ben fermo, ch' io ciessere' sì di non venire a tal
pruova; che sse forza non mi vi menasse, consentimento
non mi vi menerebbe mai».
pt. 10, cap. 4. par. 17Or ci volgiamo alla Parte seguente.
pt. 11, cap. 1
Nella Parte seguente
Conviene a nnoi brievemente parlare,
E dir della compangnia
Di donna o cameriera;
E ssì s' ell' è pur una o più con donne.
Et, perc' ongni paese à sua usanza,
Una di quelle cautele milgliori
Che lle conviene aver si è, quanto
Al servigio e compangnia,
D' imprendere ben l' usanza e lla costuma,
E quella servi, in quanto ell' è honesta.
Po' ponga chura inanzi per lo libro,
Vedrà che molte cose à cqui già scritte
Che mostra' lei di suo oficio via.
Ed anco poi torrà cierte cautele,
Che seguitan di sotto,
Le qua' le dà la donna
Che ttu vedi dipinta qui co· llei,
C' à nnome Netta Fede.
Et prima le comanda,
Che faccia in chuor ragione,
Che lla donna le sia come filglia
Quanto ad amare honore e ben di lei,
E come madre quanto a riverilla;
E c' ongni danno ed onta e mal di lei
Sia come sola in sè l' avesse.
Li arnesi della donna e lle suo gioie
Prochuri di tenere nette e acconcie.
Rammenti a llei tutto ciò che conviene.
Quando le serve innanzi,
O quando sta colà dove coloro
Che diputati sono a servir lei,
Attenda che suo mani e petto e veste
Netta si tenga, quanto può coverta.
In camera non churi di vedere
Quella maniera che tien col marito;
Né ancora raporti a llei se vede
Il marito mancare;
E viemeno al marito, se non fosse
Fallo scoverto e di non leve cholpa:
Ché per ongni guardar donna non cade;
Et ella dee quanto puote ciessare,
Ch' essa cagion non sia
Di mettere tra lloro discordia alchuna;
Che rade volte ne porrà canpare
Che non rimanga in disgrazia di loro,
Se poi avien che s' accordino ad una.
Non dico però qui di cosa greve:
Ch' ella ne dee amonir prima lei;
Poi, se non giova, per lo ben di lei,
Per cauto modo dea sì provedere
Ch' ella non possa mancar, se volesse;
E sse non val ciò, dicalo a llui,
Che vi metterà come vorrà consiglio.
E quando ciò li dicie,
Di ciò c' à ffatto e non si può ritrare
Non parli, ma di riparar gli dica;
Sicché di ciò che non può contastare
Ricorra là dove il riparo vede.
Et ella viva per sè casta e netta,
C' avrà baldanza più di lei amonire.
E per camin non si parta da llei,
E tutto tempo a chi attende a cquella
Faccia tal vista, che teman ched ella
Non raportasse lor atti al singniore.
Non lodi di bellezze la suo donna,
Né la lusinghi o faccia insuperbire:
Né anco in tal parlare a llei dispiaccia;
Ma per la via di mezzo si metta.
Et quando avien che la donna s' adiri,
Sostenga lei umilmente chon' puote,
E similmente il singnior, s' elgli à luogo.
Filgluoli e filglie di questa suo donna
Ami e tema e riguardi,
Come lo core e lla vita di lei,
E tenga gli occhi e lla mente a potere
A riguardare ed acrescier le cose
Che vengon nella casa e che vi sono.
Poi da ssè prenda a saver l' altre chose
Che sson mestieri a questo oficio suo;
Ch' io non ne parlo più qui al presente.
pt. 11, cap. 2Ancor Novella non ti scrivo alchuna,
Per diferenza di gradi e di stati.
Ma ttanto dico, i· lluogo di novella,
Che queste camerier, se savie sono,
Provedute ed accorte,
Riportan grazie dalle donne sue
E da' singnior sovente belle e grandi;
E sovra tutte cose val lor fede.
Però fa bene ogniuna
Di tale stato, se fedel si guarda.
Seguita l' altra Parte.
pt. 12, cap. 1
D' esta Parte dodecima possiamo
Viepiù brieve passar, perch' è detto
Già nella prociedente molte cose
Che fanno a questa. Però legga' quella
Le servigiali di chui ora si parla.
E per memoria sì fa buon toccare
Altre cautele che toccan più a llei,
Et parleremo di tutte insiememente;
Servano a cchui lor piacie.
Ma prima credo che ben si convenga,
Che ss' è giovane fante,
Non dimori a servire alchun singniore,
Se non avesse donna,
Se ben di sua onestà cierta non fosse,
O sse non fosse per l' età sichura.
Ma sse pure ciò egli aviene,
Tanto si tenga co· llui, quanto vede
Che volglia ben durare:
Di colei parlo, che si vuol guardare.
Se donna serve col singniore, o sola,
Riguardi, com' ò detto, in quella Parte
Ch' è dinanti a questa Parte scritta;
E tanto più cautele attenda, e guardi
Ch' ella si guardi andando e ritornando
Dalle lusinghe e 'npromesse false:
Ché spessamente si vedrà beffata,
E non da molti molto riguardata.
Guardisi ben che 'l singnior no· lla tocchi,
Ché dalla donna arìa guerra mortale,
Ed alla fine ne rimarria perdente.
In chucinare ed inn altre ovre sue
Netta sia quantunque più puote.
Guardisi da sergienti e da ragazzi,
E, poniam che pure ella avesse
Amico alchuno o parente qual volglia,
Non porti lor la roba della casa.
Non studi in lisci, o churi andare addorna;
Che si sconviene allo stato suo molto.
Ma churi giustamente a guadangniare,
Siché si possa in vechiezza chondurre,
O possa sovra sè poi anco stare.
E ttanto dico a ongniuna parlando:
Che qual può trarre la vita sua filando,
O faticando sè d' altra maniera,
Che melglio vien a llei sed ella il facie.
Non lasso ancor dir d' alchun' altre,
Che servon mercatanti e più singniori
Inn una casa, sanza avervi donna.
Se giovani sono o d' età comunale,
Dio le consilgli, ch' io per me mi credo
C' a gran perilglio stanno,
Se volglion far buona vita per loro.
Costei vedete, ch' è lassù dipinta,
E come l' amoniscie quella donna
C' à nnome Lealtade;
Perocché queste cota' servigiali,
Per lealtà, e per guardar le cose,
E per far buona e cauta masserizia,
Secondo sè avanzan ben suo stato.
Però di ciò attente sien tuttora;
Ch' io acconcio non sono a dir più ora.
pt. 12, cap. 2Né anco intendo di por qui Novella,
Per non ne a stare a parole co· lloro;
Ché se ne truovan poche sante o buone.
Volglianmi mal, ch' io non vi do un bottone.
pt. 13, cap. 1
La terzodecima Parte comincia,
Dove trattar ci convien della balia
Di casa over di fuori.
Et qui porremo in prima tutte cautele
Che ssi convengono all' una e all' altra,
Toccando di tutte insiememente;
E poi d' ongniuna parleremo alquanto
Partite cose che mestiere è a lloro.
E perché a ongni balia mestier facie
Sottigliezza, vedila qui dipinta,
E sovra lei una donna c' à nnome
Ingiengniosa Cautela,
La quale le dà insengniamento e via,
Sicome la creatura humana possa
Nodrir ed aitar nella forma.
E qui convien che più lungo si parli;
Però perdon dimando a quelle donne
Che non àn filgluoli,
Se rincresciesse a lloro udir trattare
Di quelle cose che chura non ànno.
Ver è, che lle parole d' esto libro
Son di cotal natura,
Che chi trapassa e non le leggie tutte,
Non è nimico di quelle che llassa;
Ma tanto dico, che chi tutto leggie,
À delle parti che vuol più notizia.
Et parla questa Parte
Come ànno parlato molti e molti savi;
E ancor pone oservanze di cierti,
C' ànno provato e ciercato e trovato;
Ed altri amonimenti,
Che tratti son da cierte savie donne,
C' ànno di queste cose sperienza.
Ancor ne lasso, e non vo' tutto dire:
Ché per usanza più cose si sanno,
Che nel principio, e nel levar l' infante
Come convien, si servan da cquelle
Che ssono a ciò chiamate:
Come churare all' infante il bellico,
E del legare, e dell' olio ch' è buono,
Con altre cose che vi son da porre.
Ancora lasso del sal che vi s' usa
Con altre cose ad indurar la pelle;
Ma pur ricordo che 'l naso e lla bocca
Non si convien salare,
Ma ll' altre parti indurare e far forti;
Perché le calde e fredde cose tutte
Li posson fare legiermente noia:
Tant' è sottil la pelle con che nascie,
E tant' è la caldezza c' à con seco.
Così ancor vi lasso del lavare
Coll' acqua calda tenperatamente,
E similgliante cose, che conviene
La sperta balia saver cominciando.
Li enari suoi convengnionsi nettare
Spessamente; ma ttu che li netti,
Sovente fa le tue unghie tondare,
Et quinci prendi nettarlo per tutto;
Che questo livro ne parla più basso.
Poi che sarà il bellico caduto
Dopo li tre o forse quatro giorni,
Qui sa' tu ben, che poner si conviene.
Or nel fasciar soavemente il tocca.
Et qui non lasso come il puoi canpare,
Che non avrà giammai mal di pietra.
Farai che lassi libera la parte
D' onde sua acqua viene,
Che poi la fascia l' uscir non contenda;
E llui sfasciato, quella parte premi;
Ché llunga sperienz' à già mostrato,
Che nelle fascie ciò prima si crea;
Ed io da sonmo medico lo 'npresi,
Lo qual di ciò ben savea ongni parte.
Et sono ancora di molte vecchie,
Che scifan fascie tolte da lenzuola;
So ben perché, ma nol metto inn iscritta.
Or fa qui punto. Nel fasciar che fai,
Non legar troppo stretto, acciò che poi
Non pianga troppo, o altro mal non aggia;
Né ancor lento, sicché poi traesse
Di fuor le braccia a grattarsi gli occhi.
Or non ti indugiar più, se ttu più bella
Vuo' far la forma sua.
Prima convien da tte e an' d' altrui
Saver, che è bellezza tenporale;
Ché inn altra guisa bel nol porria fare.
Onde possiàn dir qui, che bellezza
È una conforma e sprendida statura:
Sicché convien che rispondin le menbra
D' igual bellezza e grandezza e grossezza,
E che ssien nette e di machula monde.
Se troppo avesse il naso piano, attendi
A rinalzallo, e 'l troppo alto abassare;
Le cilglie basse rilevare inn alto,
La faccia troppo lata rassettare,
La corta ralungare,
La troppa lunga ritenere a freno;
Tirar li labri corti;
Gli lunghi, donne son che legato ànno
Con cierta fascia partita nel mezzo,
Sicché non li contenda il rispirare.
Gli occhi suoi manterrai a poter netti;
E ss' egli avien, che forse
Nasciesse guercio dell' uno e dell' altro,
Usa di porlo a dormire in tal luogo,
Che dal contraro lo lume gli venga:
Ello, riguardando in sullo adormentare
Nell' altra parte, tornerà diritto.
Ma ss' egli à l' un diritto e ll' altro guercio,
Fascia il diritto nel tenpo c' ò detto,
Sicché convengnia ch' elgli il tenga fermo;
L' altro gli lascia libero a guardare
Nella contraria parte, com' ò detto.
E quest' è cosa e veduta e provata;
E no' è lungo tenpo, ch' una donna,
Lo chui nome lasso,
Che nonn avea di suo marito filglio,
S' aconpangniò con alchun come volse,
E nacquene un fantino,
Quando il marito era inn altro paese.
Questo marito guercio vidi spesso.
La donna tenne il detto modo,
Perché senbrasse a llui:
Sì fecie il filglio del ben dritto guercio;
E perché ancora il marito portava
I piedi volti in fuori,
Torsigli i piedi alla suo similglianza:
E poi parea in queste cose due
Tutto il marito; ma nell' altre tutte
Pareva un pero dolcie sementino
Innestato nel pero montanaro.
Ancora, perché 'l marito volentieri
Mangiava le cipolle,
Sì ll' avvezzò a voler di quelle,
Ché dandolgli il denaio
Al tenpo di ciriegie
O di castangnie o fichi primaticci,
Andava a conperar delle cipolle.
Diciea la madre, tornando e' con esse:
«Vienne, che ben se' filglio di tuo padre»;
E 'l marito credea diciesse di lui,
Ma ella parlava doppio.
Ancor portar lo faciea a man manca,
E lla man del fanciul rimanea
Di fuor dal manco lato;
Feciel mancino a maniera di quello.
Ritorna su; e lgli omeri rappiana,
Le man fa lunghe e belle,
Ma guarda che non tiri raccolgliendo;
Ché fanno vizze e grosse le giunture.
L' unghie li schuovri e innalzale dallato;
Li piedi stringi, e forma
Le polpe delle ganbe,
E acosta in su, s' elgli è maschio l' infante;
E ss' ell' è femina, lasciale iguali.
Ristringi i gran calcagni,
Tira le prime dita,
Innalza il dosso del pie' come puoi.
Et dove avien che peli
Nascon in luogo che non paia bello,
Perocché l' acque son
A llor pericolose,
To' la cienere alquanto caldetta,
E fregane indi via (ell' apre i poli),
E pilglia i peli con man; sanza dolore
O fatica gli avrai: e ssì facciendo
Più volte, mancheranno.
Così per quest' o simile modo,
Come ciera porrai lui trasformare.
Ma pensa che in ciò non usi forza:
Soavemente e spesso,
Sì che lli sia diletto e non sen gravi.
Et guarda qui, che molte donne sono,
S' el' averanno i mariti gielosi
(Poniàn che non sien belli),
Vorranno i filgli alla lor similglianza
Più tosto mantener, che milgliorare.
Nello sfasciar, di stenderli le braccia
Ver le ginocchia e di chovrir suo testa,
Serva l' usanza ed ancor la dottrina
Delle più antiche; però che paesi
Ànno oservanze e bisongnie diverse.
Terra'lo in casa tal, che non sia fredda,
Né an' di troppo lume, anzi più tosto
Oschura che luciente.
Et nel dormir pon la testa più alta,
E che suo collo o altra parte sua
Non stia torta a giaciere.
Il suo lavar sia dopo suo gran sonno:
A ttempo caldo, in acqua tiepidella;
Al tempo freddo, alquanto calda più,
Ma non giammai la tolglierai cociente;
Talvolta duo volte il giorno e talor tre,
Sempre guardando di lavarlo a ttempo
Che fatto sia vermilglio e riscaldato.
Et fa che non gli entri
Nel lavar delgli orecchi suoi l' acqua;
E s' el da ssè si muove a ganbettare
Nell' acqua, lascial fare,
Ché si conforta la sua forza allora;
E s' è di verno, a pie' del fuoco il lava.
La gambe e' piedi stendi inver le reni,
E lle giunture piega, e ungni ad olio;
Ancor coll' olio gli ungnierai li anari;
Poi con soavi panni sì ll' asciuga,
E s' egli è freddo sì lgli scalda prima.
E pollo in prima bocconi a giaciere,
E poi il poni rivescio.
Ver è ch' io ricordo che quelle balie che i tengon rivescio
Fanno lor teste tonde, e pian di dietro;
E quelle che per lato, le fan lunghe.
Ancora quelle che li tengon per lato,
E più su l' un che ll' altro lato,
Fanno li nasi torciere alla 'nsù,
E talora la bocca e ttutto il viso.
Onde compensa i tenpi:
Ché se tt' attieni ad un sol modo usare,
Se giacierà nell' altro
Parralgli avere un peso addosso grave
Su nel dormire, e faragli paura:
C' aviene a' grandi che dormon rivescio,
Se son usati di dormir per lato,
E chiaman ciò fantasma,
E pare a llor che non dormano allora.
Boccon non lo lasciar,
Però che porria in tal modo perire.
Ancor la bocca guarda come covri.
Dicon le balie Franciesche: che, tutti
Pensati e ripensati i modi loro,
È di men rischio tenerlo rivescio:
Ché sta più saldo, e non può voltare,
Né an' guastare lo braccio su dormendo,
Né an' la gamba con gamba gravare.
Ancora dicono, che diventano larghi
Viepiù nel petto; e a giacier per lato
Dicon che fanno gli omeri aghuzare,
Et fanno ancora li calcangni maggiori,
E son sicuri poi dalle fantasme.
Ma io ti dico, che la giente tutta,
Che per usanza giacie rovescio,
Ànno le lor fantasme per lato.
Ancor ti dico, che 'l giacier rovescio
Fa sì la parte di dietro del capo
Sottil, che non conserva ben memoria.
Or pilglia tu omai che più ti piacie.
Guarda che ttu nol porti tra lgl' infermi;
O a persone c' ànno viso infermo,
O a occhi machulati
No· llo lasciar guardar, se far lo puoi.
Ancor lo guarda da cquelle che molto
Lo veggion volentier per buono amore;
Ché per lo fiso guardare è perilglio,
Che lla tenera sua etate e pura
Non ne ricieva nocimento spesso.
Et dicon cierti: Questi à ora mal d' occhio;
Però le balie li guardan dalle vecchie,
Che comunemente
Ne son volonterose di tenerli.
Quando gli vuoi nettar la sua faccia
Colla saliva talora, come occorre,
Guarda che cciò la diman tu non faccia,
Se prima no· lla fai sottil sputando;
Et più se ttu la sera avessi forse
Per te preso. Levalo da mattina
Dinanzi a quelle femmine
Che molto vengnion correndo a baciarli.
Fa spessamente che le sue mammelle,
Cioè di questo infante,
Tu priema di quel latte che lgli aviene;
Perocché tal fiata gli fa noia.
S' egli avenisse che ttu, donna balia,
Forse infermassi, non ti rafidare;
Alla suo madre il porta;
La qual, s' ella volesse e sse convien,
Porrà lattallo dell' ottimo latte.
Ver è che 'n sul principio
È melglio il latte d' un' altra che d' essa;
E sanza infermitade ancor giova
Che tal fiata la madre lo latti;
Ché molte cose nocive rimove
Da llui, com' una cara medicina.
Così ancora inn ongni mutazione
Di questo infante, al suo latte lo porta.
Di' alla madre, quando tu gliel lasci,
Che non gli lasci nel viso guardare
Allor che 'l guardo corrompe lo specchio;
Che cciò legiermente n' à più morti.
Né questo infante ancor lasci guardare
In cose sozze o 'nferme o corrotte.
Su nel lattar porrai alquanto mele.
Ma ttuttavia ti ricordo, per Dio,
Che quando il vieni a llattare, faccia sì,
C' alquanto prima del latte tuo versi.
Ciò più conviene la dimane a digiuno.
E sson di quelle che lavan la parte,
Dove la boccha si vien dell' infante.
Qui lasso del rimover della chulla,
E del cantar che lli si fa d' intorno;
Ma dico tanto, che ben ciò conviene
La prima al corpo, e 'l canto a dilettare
L' anima sua, a confortallo tutto.
Però l' antiche furon gran maestre.
Ma cierte son, che dicon ch' este cose
Furon trovate per farli dormire,
E perc' ancora questo cantare udendo
Lassano il pianto ch' essi fanno spesso.
Ma quando elgli è lattato,
Non si conviene alla chulla le scosse
Sì grande, che lli piedi innalzin troppo.
Et sono io stato già in tal paese,
Che lle lor chulle giran per traverso.
E fa qui punto; e di' che cierte sono,
Che dicon che l' infante
Non si vuol dare a cierto tenpo bere
Con vetro o con bichier,
Né ttondar li capelli;
Questa fu sol per vision di donne,
Che vider che 'n quel tempo era perilglio
Di ciò per l' infante
Metter lo vetro in bocca,
O lle ciesore al collo, o simil cose.
Ma ttorno a tte, balia. Se ttu senti
Lo latte mancare o tte indebolitare,
O forse vuoi con tuo marito stare:
Rendi l' infante alla sua vera madre,
Et va ciercando, e trovale una balia
Fatta com' io dirò, e come in prima
Ella doveva ciercar di trovarti.
Truovala tu come puoi costumata;
Ché molto tragon da esse l' infante.
Et sia di tale etade
Tra XXV e XXXV anni;
Conforme alla sua madre il più che puoi,
Ed aggia buon colore e collo forte,
E petto forte ed ampio;
La carne dura, e grassa più che magra,
Ma non mica imperò troppo;
Lo suo fiato non rio, e denti mondi.
E quanto ne' suo' modi,
Ti guarda più stretto
Dalla superba e irosa e tristosa,
Né paurosa, né matta, né rossa,
Intendi troppa in parte di perilglio.
Le sue mammelle intra molle e dure,
Grandi, non i· llunghezza soverchio;
La quantità del latte tenperato,
E 'l color d' esso biancho e non verde,
Né ancor giallo, e viemeno ancor nero;
L' odor di quello ed anco il savor buono,
Non salso e amaro, ma che s' acosti al dolcie,
E ssia nelle suo parti simil tutto,
Ancora non spumoso, ed abondante.
E vo' c' attenda, che milgliore è quella
Ch' ebe il suo propio filgluol maschio.
Et guarti da llei che si guastò,
Così da quella che l' uomo non lassa,
E an' da quella che gravida truovi.
Se ttu te senti e vuo' conservar buona,
Poniàn che forse lo latte li manchi
(Non dico in tutto, ma in parte vi parlo),
Però che non è buon tanto mutare:
Usa buon pane di grano o di spelda,
Carne di buon cavretti o castroncielli,
I pesci freschi e sani,
Lattughe, mandorle, e ancor avillane;
Ancor le suppe franciesche ti lasso,
E tutto ciò che latte inducier puote.
Non usar ruta o cosa alchuna c' ànno
Natura di corronper tuo sangue.
Quando pur ti mutassi,
E non puoi mutar la balia,
Ricorri qui allo medico tuo;
Che qui non si convien torgli l' arte;
E con suo buon consilglio
Pensa di viver sana, e far lui sano.
Non lasso qui, che premer si conviene
La tua manmella, che non s' afatichi
L' infante troppo a trarne lo latte.
Lo suo lattare comune è di due anni,
Ma non si vuol levar tutto ad un punto.
Et quando tu ne 'l levi, usa cautele,
Di porre a quel locho amare cose,
Lo chui amaror non aggia in sè perilglio.
Et quando l' apetito suo s' accosta
Ad altre cose, dalgliel tenperate,
Non dure ai denti, che ttorcier gli fanno;
Ma cose tali et sì da tte tritate,
Che nulla sia a llui fatica a quelle.
E buon è il pane nell' acqua del mele,
Tallor nel latte, e talora nell' acqua,
Con poco vino miscidato con essa.
Ma tuttavia se mutar lo vedessi,
Al latte lo ritorna.
Vien poi cresciendo alle cose più ferme,
Et fa tue noci di zuchero e pane,
E cominciar da quelle puoi sichuro.
Farai che tenperato si rimuova;
E quando tu vorrai che 'npari andare,
Guardalo dai passi troppo larghi,
Dalle vie dure, ed anco nel sedere
Usa loco soave.
Guardalo ancora dalgli alti luoghi:
Che tal fiata volando un ucciello
Crede pilgliarlo in aire.
Nol pore, che sichuro non sia.
Così ancora da fonti e da pozzi;
Che se vedrà la sua spera nell' acqua,
Vorrà correre a quella, e fia perilglio.
Così ancora no· lli lassar vedere
Colà dove si nuota,
Che penseria così poter far ello;
Anzi gli fa d' este cose paura,
E di simili tutte,
Per tutti i modi che melglio potrai.
Ancora fa che ll' avvezzi a savere
Come la spera non sostien l' infante;
E mettili paura
Dell' andare all' oscuro,
Ed anco di toccar lo foco in mano;
E simil d' ongni cosa
La qual gli può far male,
S' a quelle solo forse si metesse.
Così ancora fal fuggire i cavalli,
E cani e tutti altri animali;
Ed anco di dar pane a cane o gatta;
Che tal fiata gli pilglia la mano,
Credendo sol pilgliar quel che li porgie.
No· lgli lassar né ferri, né coltella,
Né vetro, né bastoni, né cosa alchuna
C' a llui possa far male;
E più al tempo di metter li denti.
Ancora l' unghie fa che tu li tolga,
Che non si possa con esse far male.
E guarda ch' ello non si morda le dita
Quando li denti mette;
E fregali la bocca
Con sale e con mele;
Ché quel dolor rimove.
E nati i denti, porrai regolizia
Tenera fatta mordere ed usare.
Quando a parlar comincia,
Frega li denti, e insengniali parlare
Agievoli parole.
E se ti par che vengnia iscilinguato,
Torrai un grande specchio, e fa dop' esso
Stare un fanciullo che saccia parlare,
Facciendo vocie acostante alla sua,
E dica quelle parole che vuoli;
Edd el, guardando sè in quello specchio,
Crederà sia un sì fatto com' ello,
E 'ngiengnierassi a parlar come l' altro.
Dirizza colle man soavemente
Gli denti che non servin ordine bello.
In queste cose porrai chura ancora
Di non farli ira, o paura o trestizia,
O troppo rider forte, o piangier aspro.
Né gli mostrar che poi aver non possa;
E sse pur gliel mostrassi,
Con cose nuove di memoria gliel trai.
Ciò che ti chiede, che rio no· lli sia,
Dalgliel se puoi, e se si conviene.
Et dopo il suo dormire sì 'l fa bangniare,
E llassal' ire a giucar co' suoi pari.
Quando à gran sete, lo lassa gire all' acqua.
Et quando vien nel tempo di costumi,
Riguarda su nella Parte sesta;
Che questo più no' è di balia oficio.
Ancor riguarda nel libro c' ò detto
In parti molte del presente libro,
C' à nnome libro di Dochumenti d' Amore:
Che là di tutto ciò che mestier facie
Tu troverrai a llui util dottrina.
pt. 13, cap. 2
Or torna su, e tratta se ttu fossi
Balia di fuori, sì come occorre spesso;
Pongniamo ancora c' all' altre bisongnio
Sia di queste cose savere:
Dicol' a tte, perché t' è più bisongnio.
Guardal d' acattatori e da guilglioni,
Che nne van furtando molti e molti,
E rompo'gli le gambe e ll' altre membra,
E vanno poi acattando conn essi.
Ancora pensa, s' elgli è filglio d' omo
C' abia richezza, o nimistà di giente,
Che non fosse però menato via.
Guardalo da' luoghi ove son le male erbe,
O frutti velenosi,
Che no· li mangi; battilo quando mangia
Terra o pietre o cienere o carboni.
Se fiume hai presso, falgliene paura.
No· lgli dar latte di capra, se puoi,
E meno assai di chuccia, e men di troia,
E an' la vacca lassa;
Dalgli del tuo, se non, sì 'l rendi via;
Ver è che pure alla bisongnia
Quel della pecora più ti conciedo.
Guardal di tenerlo a giacier con teco
In modo tale, che ttu sovra lui
Forse rivolgier ti potessi.
Apresso a ffuoco no· llo lasciar solo;
Che sse vi cadesse, e ttu poi mi diciessi:
«Un cane nero o u· llupo m' à fatto questo»;
Sichuramente i' nol ti crederia.
Se dimorassi in paese d' anguille,
Falgli di tutte paura com' puoi,
Sicché non prenda sechurtà da quelle,
E poi le serpi volesse pilgliare,
Chome già molti a perilglio ne sono.
Et perché vanno sovente chadendo,
Son cierte che gli fanno un suo cappuccio,
Che dietro e an' dinanzi dalla fronte
Ave chucito alquanto di buon chuoro.
Ghàrrigli quando corre dietro a uccielli
Che volando vanno;
E quando canta, dalgliene gran largo.
Ancora quando avien che gli vien tossa,
Fallo guardare in su per qualche modo.
Quando perchuote in pietra, o forse ugiello
Gli becca il dito, o simile cosa,
Fa che quel batta in luogo di vendetta;
E quando pur l' enpiezza gli durasse,
Donali poma, o cosa alchuna nuova.
Invezzalo a ddormir colgli occhi chiusi,
E più ancora se per li giardin dorme;
Però che cierti vidi,
Che llor dormendo gli aciecar gli corbi;
Così ancora colla bocca chiusa:
Che rangniolo o grillo
O altro non v' entrasse.
Ancora pensa ben
pt. 14, cap. 1
Viene la parte XIIII,
Che tratta della schiava overo anciella,
C' alquanti chiaman serva.
Et vedi Libertà che l' amoniscie,
Et dicie che sse vuol menar suo vita
Come porrà per la via di valere,
Porrà di serva libera venire;
Però che tutte cose
Ritornan finalmente a sua natura;
Et servitute fu contra natura:
Ché di ragion natural tutta giente
Nascie in libertà, e sol giente humana
Indusser servitute,
Come assai ben la leggie ti chiara.
E fu indutta prima da Noè,
E fu cagion lo vino:
Perché si leggie, ch' elgli è un paese
Dove son molti servi,
In parte di Cathay,
Che per questa cagione
Ànno a nimico il vino,
E non ne beon né volglion vedere.
Et come fu di questo inducimento,
Così ancor lo vino
Inducie molti mali,
E molti anticamente ne son nati
Da esso; se leggi sì nel Dicreto,
E ssì inn altri libri,
Che molti son che ne fanno menzione.
Or vedi Libertà lassù dipinta;
La qual dicie la leggie,
Ch' è natural fachultate di quello,
C' a ciaschun piacie di fare,
C' a llui ragione o forza non contende.
Et vedi ancora la serva dipinta
In quella servitù, c' ancor la leggie
Dicie ch' è ordinazion di ragione
Della giente, per la quale alchuno
Alla signoria altrui
Contro a natura è somesso.
E furon detti servi,
Perch' eran presi da nemici spesso;
Solevansi servare, e non guastare;
E altri dicon servi,
A cchui neciessità è di servire.
Ma lascieren qui di dir di loro stato,
E tratteren di quelli amonimenti
Che dà qui Libertà a questa anciella;
E parleren brievemente di lei:
Ch' elgli à di sovra molte parti scritte
Che fanno a llei, se lleggier le vorrai,
Chome la Parte della cameriera,
Et quella della fante,
E di simili detti,
Che sson nell' altri Parti.
Ora ti volgi, ed attendi che dico.
pt. 14, cap. 2
El ti convien lo tuo singnior guardare,
Ed ancor la tua donna,
Ed an' li lor filgluoli e lle lor filglie;
A ttutti reverenza,
A ttutti fede, leanza ed amore.
Ciò che tu odi trattare o parlare
D' alchun perilglio a lloro,
Fàllo asavere incontanente ad essi.
Le lor credenze guarda come il chuore;
Aiuta loro in ciaschun lor bisongnio.
Per lor convienti pregar lo sommo Iddio,
Per lor viver nel mondo.
Ongni guadangnio che fai, a llor rassengnia;
Guarda lor masserizia,
Chome dovessi succiedere in essa.
Per te non penserai,
Né consentirai ad altro nato,
Di lor dannaggio o disinore alchuno.
Pensa che 'l tuo singnior sia tanto buono
Che milgliorar nol possi,
E lla sua casa sia per te in vita.
Pensa di notte e di giorno piacerli;
A llui sostieni adirare e gridare,
E cciò c' a llui onesto piacie fare.
Altro non so ch' io ti possa parlare,
Se non che, com' è detto,
Rileggi su le Parti nominate,
E seguita quel ben che ttu vi truovi.
Per questo modo porra' tu venire
In tal grazia di lui,
Che questa servitù ti sarà tale,
Che poco fia di lungi a libertade.
Et s' elgli avien che libera ti facie,
Mentre che vivi farai reverenza,
Honore a lloro, ed àmagli con fede;
Sicché tu non tornassi in servitute.
pt. 14, cap. 3
Omai più di parlare di questa Parte
Non m' intrametto; seguita giù l' altra.
Ché tanto à ddetto e parlato esto libro,
Che 'n questa Parte si può riposare.
Cierca per tutta, c' assai troverai
Che fa per te; ed odi, e pensa, e serva.
pt. 15, cap. 1
In questa Parte XV
Possiamo ancora, come nella prociedente,
Passar con brevitate,
E forse che porria lasciarla in tutto;
Tanto aviàn detto di tutt' i gradi e stati.
Ma per far questo libro più oniversale,
E perché sì nostra donna divise
Le Parti d' esto libro,
Diren d' alquante, e brieve di ciaschuna,
Che non pareva di lor detto fosse.
pt. 15, cap. 2, par. 1
Et prima ti dirò della barbiera;
Ché tu ne truovi per canmino assai.
Se ttu serai barbiera,
Attendi al tuo bangniare, e al tuo rasoio;
Non fare atti né viste con coloro,
Che vengon per radersi da tte;
Né colle mani lavando usar malizia.
Et quando raderai per me' la gola,
Non pensar tu d' attorno a vanitade.
pt. 15, cap. 2, par. 2Se ttu serai fornara,
Non talgliar tu del pane per far poi coppie,
Né trar di sotto per poi rapianare,
Né an' tranoverare;
Né farai patto di baratteria
Colle fancielle e colle fanti altrui.
Le rie novelle caccia dal tuo forno;
E non lasciar accordar le fancielle
A ordinar contra le donne loro.
pt. 15, cap. 2, par. 3Se treccola sarai,
Non porre le folglie verdi a frutte viete;
Né anco le milglior frutte di sovra;
Né ungier fichi a falgli maturare,
Né lgli tener nell' acqua per inganno.
Non conperar pan, remolo, né vino,
Né sal, né olio, né carne salata,
Dalle serventi che furtate l' ànno,
E similglianti cose.
pt. 15 .cap. 2 .par. 04Se ttu se' tessitricie,
Non menomar tu l' accia né lo panno,
Né anco schambio farai del mandato.
Se ttu fili lo stame, ancor ti guarda,
Che ttu no· ne ritengnia per far borse.
pt. 15, cap. 2, par. 5
Se ttu se' molinara,
Torrai la tua ragione, et l' altrui lassa.
Non tener la farina i· lluogo molle,
Se dei rendere a peso;
E non canbiar la milgliore a men buona.
pt. 15, cap. 2, par. 6Se tu se' pollaiuola o caciaiuola,
Non lavar l' ova né 'l cacio
Perché paia più fresco a cchi lo compra;
Non stringier lo cappone o lla pernice
Per far la vena grossa;
E non enpier lo gozzo perché pesi.
pt. 15, cap. 2, par. 7Se fossi accattatricie,
Non gir su per le scale
A posta d' altra giente,
A ffare all' altrui donne l' anbasciata.
Non vender lo pan rotto.
Se se' d' altrui mandata,
Non inboscar li danar che ricievi.
Non bestemiar chi non ti dà del pane.
E sse ttu se' per te giovane forse,
Accatta per le vie; in casa guarda
Come tu vai e come tu ti metti.
Non far le tuo perdonanze majori
Che ssien di veritade;
E non usare accattando bugie;
E non andar facciendo brievi o scritte
Indivine, o ffatture, o malie;
E non ti far più inferma che ssia,
Né muta, se ttu puoi parlare aperto.
pt. 15, cap. 2, par. 8
Se fossi mercivendola,
Fa che raporti verità a tutti,
E rendi ragion vera.
Et non andar ingannando le donne
Che non sanno che valglion le gioie;
Né anco a llor parlar da parte d' altri,
Né ingannar le giovani pulcielle.
Guardati ancor di non dire algli amanti,
C' aggi parlato a quelle che non parli.
Ancora è melglio dica non volere,
E sse 'l prometti, di non attenere.
Non comperar le gioie, e poi le porti
Da parte delle donne a que' cotali,
Per farti poi la borsa bene empière.
pt. 15, cap. 2, par. 9Se forse fossi conversa di chiesa,
Non ti mostrar phylosafa o maestra;
Non ingannar chi a ffede ti parla;
Non sichurar ne' peccati la giente;
E per li cherici della chiesa tua
Non ciercar cose disoneste mai.
Non dar di fuori le cose sante altrui
Per lor fatture o malie che si fanno.
Vivi con Dio, da che se' data a dDio.
pt. 15, cap. 2. par. 10
Se ttu alberghi o dai mangiare o bere,
Vendi le cose, ma non tua persona;
Ché s' ài bellezza alchuna,
Non la voler contar nelle derrate.
Chi viene al tuo albergo,
Non gli tor le cose per lusinghe;
Nol far ristare, e llassar lo canmino.
Non vender le vivande riscaldate,
Né carne ria per altra buona carne.
Non dare a lor cavalgli mangiar cosa
Da falgli rattenere;
Né legar lor colle sete le giunte;
E non l' incavestrar la notte in prova.
pt. 15, cap. 2. par. 11Ora ti lascio omai di tutte l' altre;
Prendi per te come ben ti conviene:
Che, se ne sono alchune qui lassate,
No' è sanza cagion pensata innanzi.
pt. 15, cap. 3
Veniamo omai, conpiti tutti i gradi
E tutt' i stati, come puoi vedere;
E tratteremo nella seguente Parte
Di cose gieneral che tocca a ttutte.
Ma innanzi che diciàn di quella parte,
Io priego ongniuno che non si maravilgli
Perché, parlando di queste cose dette,
Ò molti vizi delli lor lassati,
E molto ben, che si truova che fanno
Alchune d' esse, non n' ò punto detto.
Ch' io so che lor malizie i· llor son più;
S' io tendo a dimostrar c' altri le vede,
Forse si menderanno.
Di lor bontate non fa mestier dire:
Dimorin buone quelle che tai sono;
Che di lor gran costumi questo libro
Non chura di toccare.
Parlo di lor per le ragion che dissi
Di sovra. Leggi più su, se tti piacie.
pt. 16, cap. 1
Poi che trattato aviàn già lungo tempo
Di cose c' ànno in sè poco diletto
E poca sottilgliezza,
Ben si conviene omai in questa Parte
XVI
Trattar di cose novelle e solenni,
E dilettose, ed utili a savere.
E questa Parte arà principalmente
Tre belle particielle:
Prima, di cierti adotrinamenti
Di donna; la siconda
Di loro ornamenti;
La terza di loro aventure.
Et perché voi non crediate ch' io
Dica da nme le parole seguenti,
Vedete qui che Prudenzia è mandata
Dalla gran Donna dipinta di sovra,
Per dimostrar alle donne che sono
Dappiè dipinte, e anco alle donzelle,
Tutte le cose che mo' ti promisi.
Et àmmi commandato
Da parte della donna che mo' dissi,
Ch' io la metta inn iscritta;
E io ci son per farlo volentieri.
Ver è che, perch' ella m' à detto
D' insengniarmi dove lassò la donna,
Ed io non so com' io poi la trovasse:
Vo' mi perdonate, donne, alquanto.
Udite questa Prudenzia parlare
Tanto ch' i' vada, e tornerò a voi;
Et quando lei arò veduta alquanto,
Io vi prometto di continovare,
Ed averete assai milglior servigio:
Ch' i' son sì stanco di questi trattati
Che vanno un poco dinanzi da voi,
E ò la mente e la man sì 'ngrosata,
Ch' i' sono a queste cose innabil fatto.
Ma ss' io posso vederla pure un poco,
Non solamente io tornerò inn istato,
Ma i' son cierto d' avanzare in molto.
Però non vi rincresca, io verrò tosto:
Sedete giù, che non perdete tenpo,
Se voi udite Prudenzia parlare;
Ch' ella vi può molte cose mostrare.
Addio, addio, infin ch' i' torno a voi;
Non ci venite, lassatem' ir solo .-
E voi, Madonna Prudenzia, per Dio,
E per onor di voi, non vi rincresca.
Sedete giù, che, con vostra licienzia,
I' volglio andare alla donna c' ò detto;
E insengniatemi dove la trovo.
Prudenza Io dico ben, che non è cortesia
A farmi tanto aspettar che ttu torni;
E forse ancora del tornar non sai.
Ma questa donna è di tanta potenza,
Che ss' io negassi a tte questa dimanda,
Io ne potrei da llei eser biasmata.
Io mi starò con queste saggie donne;
Va ttu con Dio, e tieni il camin retto
Verso tramontana; e dimanderai
Dove dimora una donna ch' è madre
D' ongni valore e vigore e virtù.
Ella ti fia insengniata da giente;
Che molti son, che lla vanno ciercando.
Ella è inn una terra or al presente,
Dove si leva la diman per tempo,
E viene allato a una gran fontana.
Qui dà bere a cchi ne vuol da llei,
E chi è dengnio, in quella quantitate
Che piacie a llei e merita ciaschuno:
A cchui dà acqua, a chu' vino, a chu' oro,
Ed alchun è, che biasimo reporta.
Francesco Madonna, addio, ch' i' volglio andar pur tosto,
Per ber dell' acqua dolcie di quel fonte,
Che voi mi dite che tanti conforta.
Prudenza Or va con Dio, e io t' aspetto. Torna,
O fa ch' io saccia se ttu non tornassi;
E guarda ben, che ttu non mi beffassi.
Francesco Addio, Madonna.
PrudenzaVa con Dio, or va.
pt. 16, cap. 2
Francesco Ai! Sire Iddio, che tutta giente meni,
C' a tte attende, a porto di salute,
Che disegni la via a' pellegrini,
E che dirizzi gli eranti in canmino:
Tu mi dà grazia di seguir la via
D' onde si va, chi vuole andare a punto
A quella che vado ciercando.
Et io nel nome tuo, Singnior possente,
Singnior di grazie e di vertute tutte,
Pilglio l' andare, ed a tte m' accommando.
Ch' io so ben ciertamente,
Che, tutto c' aggia più volte provato
Con che fatica si vada a parlare,
Non mi terrà contraritate alchuna,
Ch' io non mi metta ancor più prontamente
A gir volgiendo la terra e dell' acqua,
Per poter poi a llei parlare alquanto.
Sicché, trovando me d' esta fermezza,
E meditando i perilgli che passa
Chi vuole andare a llei,
Convien, Singnior cortese,
Che tu mi porga lo tuo forte aiuto,
Sicch' io in questo canmin non rimangnia.
Da tte, Singnior, non merito risposta;
Ma con speranza che tu mi soccorri
Inn ongni mia bisongnia,
Io farò la 'npresa,
Sia duro come vuol questo canmino .-
Amici miei, addio,
Addio parenti e noti tutti, addio.
Apri la porta; non venite più.
TUtti Va colla grazia del nostro Singniore;
A llui t' acomandiamo.
Dio ci dea grazia di poi rivederti.
Volgiti, volgiti, parla a costei;
Odi che dicie. E nnoi diciamo: Addio.
Voluttà Or anda pian; che ttu non anderai
Così correndo a veder questa Donna.
Dimora qui, e odimi parlare.
Francesco De! non mi far contesa in questa via;
Non mi ritrar dal mio proponimento.
Io tornerò tostamente, se piacie
A quel Singnior che cci mantiene in vita.
Voluttà Non anderai, ma, per Santa Maria!
Tu m' udirai e dimorrai con meco;
E questa andata si può indugiare.
Francesco Ai! donna piena di molto savere,
Valore e cortesia,
Non mi tener; che se forte ventura
Faciesse conte sol queste parole
A questa donna, a chu' vado a parlare,
Io perderia la sua grazia e 'l suo amore.
Voluttà Tu ti porrai assai gire avolgiendo:
Ch' io ti dirò quel ch' i' ti posso fare,
E quel ch' i' ti farò, se tti rattieni.
Poi, se ti piacie, e ttu fa qui dimora;
Se non, tu sse' nella tua libertade.
Francesco Or ecco, poi ch' i' non posso altro fare,
Dirai che volgli; io son per udire.
Voluttà Se ttu vuoi dimorare in mia magione,
Io ti farò di gran vivande avere,
Di gran vini e buoni,
Letti a diletto, e camere gioiose;
Porrai dormire e veghiare a tuo volglia,
E bei giardini, e fontane a usare,
Denar da spesa, e belle robe e ricche,
Bei servidori, e cavalgli a diporto,
Con altre cose che dirti porria;
E io sarò tutto tempo con teco:
Ché vedi ben ch' io son giovane e bella.
Francesco Io so ben che lle tue inpromesse sono
Grandi e di grande effetto.
Ma perché le tue gioie duran poco,
Io pure andrò a ritrovar colei,
Le chui grazie e doni
Durano ancor dopo la morte altrui.
Ma io, se piacie a dDio, tornerò tosto;
E ss' io porrò delle sue gioie portare,
Io te ne mostrerò, e gran parte
Ne darò a ttè e alla giente tua.
Voluttà Or va, che ben se' più duro che sasso.
Francesco Addio, addio. Omai libero vado.
Or tu che vai dinanzi, vassi quinci?
E passeren questi monti sì strani?
Banditore Vien oltre, vien sichuramente,
Ch' io son lo banditore della gran fama
Di questa donna, chui tu tanto brami.
Intesi il tuo disir su nel parlare
Che ttu faesti alla donna pur oggi.
Verrai con meco, ch' io ritorno a llei;
E fui mandato per diverse terre
Con questa tromba a destar quella giente,
Che gl' ingnioranza avia ciechi fatti.
Francesco Io veggio ben che Dio vuol ch' io la truovi;
Tal compangnia m' aparecchia e tal guida.
Or ecco io sono a ttè, che sai il canmino.
Banditore Piaciemi assai; ed io ti farò buona
La conpangnia, e sichur passerai,
Colla fidanza di Colui che reggie.
Paga qui un passaggio. Avanti; avanti.
To' qui una scorta. Or passa come puoi.
Guàrdati qui, vedi una giente armata;
Vedi colui, che chiama li scherani:
Or fuggi qui, trapassa quanto puoi;
Et nuota qui. Or passa quel gran fango.
Mangia di questo pan di castangnia.
Quest' è mal letto, or pur non ti langniare.
Àrmati ben di drappi a questi venti.
Bei de quell' acqua, che non ci è del vino.
Leva per tempo; non churar del freddo.
Entra i· lla nave, non temer dell' onde.
Dio sia con teco. Già par tu smarito?
Vien francamente, non ti sbigottire;
Che, chome tu per queste aspre aventure
Ài molte gravezze ed affanni,
Ecco che siamo a quella città giunti,
Dove dimora nel tenpo presente
La gran donna che ciercando vai;
E vederella nell' abito tutta
E nello stato che Prudenza disse,
Quando di sovra ti parlò di lei.
Ma tte conviene venire umilmente,
E non mostrar che ttu di lei sia conto;
E udirai la somma sapienza,
Che da' suo' labri spanderà d' attorno.
Ella s' infingnierà di non vederti,
Insino a ttanto che tra ll' altra giente
Serà la tua venuta e tua dimora
Notoria e manifesta.
Poi tu sa' ben ch' ella t' à fatto honore,
Così ancor ti farà quelle grazie,
Che tti promisi quando solo andasti
A llei vedere accosta della selva.
Francesco Io ti ringrazio del tuo buon conforto,
Della condotta, e dello amonimento.
Ma io ti prego che vengni con meco,
Tanto ch' i' sia nella terra tra lgli altri.
Banditore Ciò volentier farò; non dubitare.
Passa quel rio, e vien per questa piazza;
Vedi palazzi, vedi vie coverte.
Or guarda là nella parte scoverta:
Quell' è la donna c' alumina il mondo.
Non le far motto e non le ti mostrare.
Tien giù la testa, e guarda colà dentro.
Francesco Ai! Iddio etterno, incomprensibil Dio,
Che maravilglie son quelle che fai!
Che dove l' altre tutte creature
Solglion mancare di bellezza e di forma
E menomar per lunghezza di tempo,
Questa sovrana e emenente donna
Va pur cresciendo in bellezze e 'n beltate,
In piaciere e parenza.
Che farò io avanti a suo grandezza,
Che m' à notrito, allevato e onorato?
S' io sto nascoso, e sson suo fedel servo,
Como porria durar mia debolezza,
Ch' io non andasse a farle reverenza?
Prima foss' io di ciera a un gran sole!
Banditore Sa' che ti dico? Vuo' pure andare?
Va per un' altra via dall' altro lato.
Dischuovri il capo, e 'nginòchiati giuso.
S' ella vorrà, nella vista vedrai
Come convengnia fare.
Francesco Madonna, a gran fatica ò aspettato,
Temendo a voi venir tra tanta giente,
S' io prima non sapessi il voler vostro.
Io son lo vostro antico e fedel servo.
Madonna De! che ben vengnia. A punto se' venuto.
Comincia, e bei dell' acqua d' esto fonte
Questo gran nappo, e di' se ti par buona.
Ché poi, quando fia tempo, assaggierai
Dell' altre grazie che pendon da esso.
Francesco Ai! sonma cortesia che da voi sciende!
Di vostre cose io non vo dubitando,
Ch' io l' ò tutte per tali come divine.
Ma io berò, sperando di più bere;
Non che però d' un' acqua tanto dolcie
Io creda mai disidèro adenpiere.
Madonna Tuo dir mi piacie, e porratti giovare.
Ma io ti dico, che quella Prudenzia
Ch' io già gran tempo t' avea mandata,
È ritornata a nme; ch' ell' era stanca
Dell' aspettarti, e non volle più stare.
E i' ò volontà di veder l' ovra
Ch' io ti conmisi, conpiuta e finita.
Sicch' io Prudenza anco mo' ti ricordo.
Vatten co· llei, e compi quella Parte
Che ttu lassasti quando ti movesti.
Et puoi tornare, in questa terra stando,
Ispessamente a nnoi, ed assaggiare
Di tutto ciò che d' esta fontana escie.
Io comando a tutti i servi miei,
Che non ti sia contesa la venuta.
Vienci di giorno, quando mi ci trovi;
Vienci di notte: perch' io non ci sia,
Non ti ritrar, che lla fontana è ricca,
No· ne puoi tanto trar che ttu l' asciughi.
Francesco Madonna, dove io non mi sento punto
A ringraziar possente,
Non veggio c' aggia qui altra risposta,
Che gir con questa, e voi ubidire.
pt. 16, cap. 3
Qui dunqua torno all' ovra
E queste son le parole promesse
Di sovra al cominciar di questa Parte,
Della Prudenzia alle donne, c' ancora
Lassuso aspettano ch' ella torni a lloro.
Porrelle qui, e tutte quelle donne,
A cchui diletta con Prudenzia stare,
Porranno torle, e mandarle a quell' altre;
Ch' io non mi posso di qui partire ora.
Ver è che chi ciercasse ben di sovra
In questo libro, troverebbe molte
Di queste cose per diversi modi
Già dette e scritte, ma non tutte a punto,
Come le troverà or seguenti:
Che qui son poste sotto brevitate,
Per allegar, e per me' ritenere.
E perché par che convenevol sia
Ch' esta Prudenzia ci ponga suo forza.
Ancor così comandò quella donna,
Da cchui si mosse tutto esto lavoro.
Però non mi riprenda chi legiesse,
E rincresciesse lui l' ovra lunga;
Ch' egli à la fachultà di legier tutto,
E di lassar quella parte che vuole
Ciaschuna, che legier suole a suo diletto;
E questo livro non fu fatto a quelli
Che possan menovare.
Cholei che ll' à fondato il vuol cotale;
Chi altro il vuole, a nme poco ne cale.
Et guarda in giù, che questa è quella donna
Che parla le parole ch' io ti scrivo,
Le quai tu chiamerai come tu vuoli;
Ma io ti dico il nome, s' el ti piacie:
Gli Amonimenti di Prudenzia sono.
pt. 16, cap. 4
Ongni donna che vuole amar sè, ami
Colui che fe' lei e ll' altre tutte;
Ami virtù, e tutt' i vizi inodi,
E porrà gir sechura inn ongni parte,
Dormire nella suo mente in gran riposo,
Aver fama nel mondo,
E vita dopo vita senza fine:
Et ciascheduna che così comincia
Porrà inprender e tenere a mente
Quella dotrina ch' io Prudenzia volglio
Qui dare scritta per lo ben comune.
Inn altra guisa indarno leggieria
Qualunque donna qui su lavorasse.
pt. 16, cap. 5, par. 1Donna che fama vuole ed onore ama,
Com vertù valer brama,
Non con lisciar o con vesta pomposa;
Ché ferma cosa è la prima, se dura,
Ma la siconda à contraria natura.
pt. 16, cap. 5, par. 2
La donna che ben guarda
Che 'l suo honor non arda,
È quella ch' è amata dalla giente;
Non quella che sovente
Va gli occhi suo' guardando,
E vuol piacier a cchi va mal pensando.
pt. 16, cap. 5, par. 3Dilettasi la donna ch' è valente
In viver nettamente;
E più d' aver la sua anima pura,
Che parer netta per sua lavatura.
pt. 16, cap. 5, par. 4Sta bene a ddonna d' aver bella vesta,
Ed anco tutta la sua ornatura;
Ma non convien ch' ella passi misura.
pt. 16, cap. 5, par. 5S' alchuna donna si desse a savere
Com' è gran donna madonna Honestate,
Ben la terria per una dengnitate.
pt. 16, cap. 5, par. 6Non si conviene alle donne più basse
Usar le veste e ll' altezze e lle spese
Delle maggior che sono in suo paese.
pt. 16, cap. 5, par. 7Poche son quelle che sson conoscienti
Di loro stato e della grazia c' ànno;
Però molte ne vanno
Affritte e dolorose, ed anco Iddio
Lor grazia muta; tant' è 'l vizio rio.
pt. 16, cap. 5, par. 8
Tal donna crede malessere avere,
Che se savesse dell' altre lo stato,
Non piangieria dallato.
Così ancor si crede alchuna poco
Aver talor nel loco;
Perch' ella non conoscie quanto è dengnia;
Ma di ciò spesso Iddio se ne disdengnia.
pt. 16, cap. 5, par. 9In ongni donna libertate è ria;
Dunqua non dei churare
Perché convengni d' altrui ridottare.
pt. 16, cap. 5. par. 10Per libertà aver donna non chere,
Sed ella è savia, sola dimoranza;
C' a gran perilglio poi sta la constanza.
pt. 16, cap. 5. par. 11La buona donna fa buona magione;
La ria disfà e distrugie la fatta;
Così ancor la matta
Nella chui casa ella vien per isposa.
pt. 16, cap. 5. par. 12Ciaschuna donna si guardi da quelli,
Che lor parlar comincian da laudarla;
Ché fanno ciò per volere ingannarla.
pt. 16, cap. 5. par. 13Tu, donna, godi se ti lauda alchuno.
Pensa se ttu se' tale:
E puoi conoscier se ben loda o male;
Ciò conosciuto, possa
Di lui che parla puoi saver la mossa.
pt. 16, cap. 5. par. 14Fenmina ghiotta e che non studia inn altro,
Che 'n far vivande per volersi enpiere,
Vuol molta roba e poco honore avere.
pt. 16, cap. 5. par. 15Fenmina irosa e che leggièr si turba,
Rade fiate à gran luogo in magione,
E tal fiata sì pruova il bastone.
pt. 16, cap. 5. par. 16
Femina che non soffera chui deve,
Sostien poi chui non vuole,
E lle più volte nella fin sen duole.
pt. 16, cap. 5. par. 17Quella che si diletta in balli spesso,
Dà sengnio ch' ella sia sospetta e vana,
E c' ami loda dalla giente strana.
pt. 16, cap. 5. par. 18Jovane donna non si de' fidare
Di suo fermezza; i· lloco
Dove è la forza, constanza val poco.
pt. 16, cap. 5. par. 19Dove la forza non porrai ciessare,
Donna o donzella, per disaventura,
Almen riserva la tua mente pura.
pt. 16, cap. 5. par. 20Avara donna conviene a magione
Dove 'l singnior trapassa la misura;
Ma dove usasse inn ispender drittura,
Basta alla donna s' ell' è temperata
Sì nel tener come 'n dar tal fiata.
pt. 16, cap. 5. par. 21Dove che sia ciaschuna donna avara,
Nelle sant' ovre pur non si conviene
A quella c' à, se può dare, e pur tiene.
pt. 16, cap. 5. par. 22Credon le donne offerere a sSan Piero,
Quand' elle possono ai mariti torre;
E 'n ongni terra occorre.
Ma guardin tutte com' elle ciò fanno
Se licienzia non ànno;
Ché poi ragion pur convengono a dDio
Render del buono, e più stretta del rio.
pt. 16, cap. 5. par. 23
Un vizio rengnia comune tra tutte:
Che se da cierte si serva una usanza,
Tutto che sanza peccato non sia,
Vannone molte poi per quella via;
E chi lor dicie ch' è peccato o male,
Poco rilieva o vale:
Che non si crede chuocer nel gran fuoco,
Se con molte arde in similgliante loco.
pt. 16, cap. 5. par. 24Dimanda giente le donne d' attorno,
Se credon sia peccato
Nel soverchiante ornato.
Rispondon tutte «Sì», e blasman quello;
Ma non però si diparton da ello.
pt. 16, cap. 5. par. 25Donne c' andate allo 'ndovino spesso,
E che beffate tornate a magione,
Peccato fa chi risparmia il bastone.
pt. 16, cap. 5. par. 26In molte cose più fenmina crede
A una fenminella
Che sta rinchiusa in ciella,
C' a un che sia maestro in teologia,
E vanno per questa stoltia.
Ma più sichura è palese dottrina,
Che d' una ochulta rinchiusa vicina.
pt. 16, cap. 5. par. 27Molte donne van per via
Co' paternostri in mano,
C' ànno il core e 'l pensier vano.
pt. 16, cap. 5. par. 28
Ben istà la donna in chiesa,
Se non vede ongni saetta,
E che delle sue non gietta;
Ché non priega bene Iddio
Chi apoggia al ben lo rio.
pt. 16, cap. 5. par. 29Sia la donna come vuol bella,
Se con Dio gli occhi porta
Non l' aspetta hom alla porta;
Sì che può di chiesa uscire
Non ferita, né ferire.
pt. 16, cap. 5. par. 30Fenmina ch' è gran parliera,
Tenuta è matta e lleggiera;
Dunqua in ciò sia temperata,
E serai d' onor pregiata.
pt. 16, cap. 5. par. 31Mal in donna sta superba;
E lla giente à vita acierba,
Che conversa e sta con quelle
C' ànno rigolgliosa pelle.
Vivi dunqua umilmente,
C' aggi buona grazia in giente.
pt. 16, cap. 5. par. 32Ben conviene alla gran donna
D' umiltà far suo ghirlanda:
Che vertù così comanda;
E quanto s' inchina in giuso,
Tanto crescie e va più suso.
Non de' dunqua disdengniare
Colle suo minor parlare.
pt. 16, cap. 5. par. 33Ongni donna saggia è bella,
Ongni bella non è saggia;
Però faccia ongniuna, c' aggia
Fama di saver, c' aducie
Quella bellezza che lucie.
pt. 16, cap. 5. par. 34
Bei costumi in donna stanno
Come begl' intalgli in panno;
Deonsi dunque dilettare
Tutte in voler quelli aquistare,
Sicché avanzin loro stato:
Ché questo è llo sommo ornato.
pt. 16, cap. 5. par. 35Quella donna, va per via
Contamente, èe laudata
Che riguarda alla sua andata;
Non colei che va parlando
Per le piazze, e riciercando
Tutte le vie dove crede
Che lla brami chi lla vede.
pt. 16, cap. 5. par. 36Bella e conta è l' andatura
Che fa i passi con misura;
Ma non può bei passi fare
Chi vuole a vanità guardare.
pt. 16, cap. 5. par. 37Quella donna che ssi leva
Per lisciarsi a mattutino,
Già per alto amor divino
Non si leveria col sole;
Che mentre à ssonno, dormir vuole.
pt. 16, cap. 5. par. 38Filglia c' a lusinghe parla,
Convien madre ben guardarla;
Che par sengnio ch' ella brami
Di piaciere a chi mal l' ami.
Dunqua parlerai constante,
Se ttu se' d' onore amante.
pt. 16, cap. 5. par. 39
Va la donna al predicare
Molte volte a ssè mostrare.
Quella va meglio e ritorna,
Che la mente porta addorna.
Dunqua, se per Dio non vai,
Assai melglio in casa stai.
pt. 16, cap. 5. par. 40Sola, donna, non gir mai,
Né con mala chompangnia,
Se non vuo' cader per via.
pt. 16, cap. 5. par. 41Donna che non piangier vuole
Del dannaggio del vicino,
O sse 'l vede andare al chino:
Almen rider non conviene;
Ch' esto è peggio, e più disviene.
pt. 16, cap. 5. par. 42Donde viene in donna avara,
Che se tutta la sustanza
Di marito e d' amistanza
Si spendisse in vestir lei,
Mai non dicie: «I' non vorrei»;
La limosina rattiene,
Dicie male a cchi gli viene?
pt. 16, cap. 5. par. 43Serban le giovin donne
Sè nella vechiezza a dDio,
Ché non à' poder del rio;
E ssuo giovinezza danno
A ccolor che 'ntorno vanno,
E non churan loro honore,
Come chura Dio Singniore.
pt. 16, cap. 5. par. 44
Di color ti guarda forte,
C' amonendoti del male
Fanno i guardi sotto l' ale;
Ché poi sechuranza d' essi
Ria serà, se lli credessi.
pt. 16, cap. 5. par. 45Guardati da' pellegrini
Colle barbe e co' catini,
Che llimosine chiedendo
Con le donne van sedendo;
Poi profetan cose molte,
Dove si pilgliano le stolte.
pt. 16, cap. 5. par. 46Da quel medico ti guarda,
C' a la malattia men guarda
C' alle tue fattezze belle;
Tu non ne farai cavelle.
pt. 16, cap. 5. par. 47Se ttu se' giovane e bella,
Non andar per tuo quistioni
Nelle corti, ma là poni
Tuo' prochuratori; e quelli
Non pagar pur d' atti belli,
Che ne prendon sichuranza,
Cheggionti magior prestanza.
pt. 16, cap. 5. par. 48Dal sartor ti guarderai,
Che servire in don sì vuole,
E che nel provar ti suole
Troppo intorno andar mirando;
Più, da quel che va tremando.
pt. 16, cap. 5. par. 49All' uficio o alle stufe
Non convien di notte andare
Quella che si vuol guardare.
pt. 16, cap. 5. par. 50
Se pur vuoli entrare in balli
Dove teco huomini sieno,
Sia di giorno chiaro almeno,
O lumiera sia sì fatta,
Che ssi vegia chi man gratta.
pt. 16, cap. 5. par. 51Non ti lasso il confessore.
S' el ti vuol parlar d' amore
O ccianciar d' altro con teco
Che di quel perché stai seco:
Mai no· lli venir più presso;
Ché Satan sta conn esso.
pt. 16, cap. 5. par. 52Guarda te ben dalle fanti,
Dalle vecchie, e tutte quelle
Che t' aducon rie novelle;
Non le lassar cominciare,
Ch' elle 'nprendono a ttornare.
pt. 16, cap. 5. par. 53Molte son le guardie e molte
C' a tte, donna, far conviene;
Ongni virtù ti s' aviene,
Ongni vizio t' è nimico.
Ora attendi a cciò che dico:
Ch' el seria lungo il parlare,
A volerti scritta fare
D' ongni cosa, che seria
Talor buona e talor ria.
pt. 16, cap. 6
Qui vuol Prudenzia alquanto riposare
Dalla materia ch' ell' à seguitata,
E vuol memoria fare
Di cierte cose che promesse sono
Di sovra in questo libro.
Ma prima dicie: Tutto ciò che segue
È sottoposto alla somma potenza
Di Lui che tutto volgie e ferma e muta;
E chi che cierchi o pruovi o argomenti,
Tutti lavorano in vano ed in secco,
Se da llui move contradio volere.
Ma quanto che così Dio sia singniore,
Tenendo noi che l' alta sua potenza
Sia sempre salva, e sovra tutte cose:
In caso dove a nnoi bisongnio sia,
Possiamo usare argomenti e cautele;
Da lLui tenendo che vengnia consilglio
E 'nviamento, e ongni sottilgliezza.
Pongniamo ancor che queste parole
Che seguitan qui apresso,
A ben volerne trar frutto aficacie,
Volessen più parole e più aperte;
Non per volere ongni chosa toccare,
Né ssì parlar c' ongni giente la 'ntenda.
Però che tal fiata
Giente non dengnia leggie;
E cierte cose son c' onestamente
Si posson dir, ma nnon dar inn iscritta.
Sicché porrete legier quel cotanto,
Che con decienza si puote narrare.
pt. 16, cap. 7
E perché questa Prudenza vergongnia
Di ciò che segue dire,
Ecco che manda Ardire a quelle dire;
A cchui ella conmise
Quanto e di che parlare a llui convengnia.
In tutti stati elgli è natural cosa,
Almen di quelle che lor marito ànno,
C' àn disiderio di filgluoli avere,
E qui non guardan fatica o pena,
Dolore o mutazion: tant' è la grolia
C' aspettan di quelli.
Dunqua ben si conviene i· llor servigio
Trattar di cierte cose,
Che talor son da llor disiderate.
Diciàn dunque di quelle
Che son disposte ad aver de' filgluoli,
Come gli posson aitar nella forma
Ancor davanti al parto,
E cierte cose intorno alla materia.
Con queste ancora possiàn dir di quelle,
Che per infermitadi o mala guardia
Perdono a ttempo, come spesso aviene,
Virtù di gienerar; le qua' non fanno
Male, anzi conviene
Che mettan lor sapere e llor volere
Inn aver filgluol di lor marito;
Che cciò è uno de' tre beni principali
Del matrimonio, sacramento dengnio.
Ancor puote avenire talora
Per un retaggio, talor per povertà,
E talor per cagion che taccier volglio,
Che forte è llor mestiero aver de' maschi;
Et talor de le fenmine si truova
Che portan disiderio,
Come li casi occorre alla giente.
Sicché di ciò ancor porren parlare,
Per quella via che me' toccar si puote.
Ricorran prima alli medici loro,
E faccia'li sentir lor condizione,
E prendan buon consilglio e buon riparo;
E sse i mariti lor non son discreti
A voler riparare,
Inducan quelli a cciò che ssi conviene.
E ttuttoché dai medici porranno
Aver lungo consilglio e in più cose,
Nientemen porranno d' esto libro
Riportarne alquante.
Ma cconverrà ch' elle siano intendenti;
Ché non si intendon dalla giente grossa.
pt. 16, cap. 8, par. 1Elgli à due augielli nel Paradiso Terreste:
l' uno è maschio, e l' altra è fenmina.
pt. 16, cap. 8, par. 2Quando volgliono stare insieme per fare poi dell'
uova, stanno
sette dì che non s'
apressono; e lla
loro penna è tutta bianca.
pt. 16, cap. 8, par. 3Ànno tal paura che'
filgluoli non si trovasse i· lloro alchuna penna machulata,
o nera, o rossa, o d' altro colore che bianca,
che quando vengono a rapressarsi in capo a sette
dì, stanno in sollazzo prima gran pezza; ché à loro
insengniato la natura, che questo sollazzo purga
l' augiella d' ongni machula per lo diletto: ché
quando il vasello è netto, la netta cosa non vi ricieve
dentro machula.
pt. 16, cap. 8, par. 4Dopo questo sollazzo
stanno insieme, come gli altri ugielli, una sola fiata;
e sse più stessono a quell' ora, i lor filgluoli poi
quando son nati ànno gli occhi di color cileste.
Sicché il maschio quando li truova così fatti li occhi,
non credendo che ssieno lor filgluoli, sì cava
loro quegli occhi chol becco; e questi sono gli augielli
ciechi che ssi pilgliano nella Phylophadia, c' ànno
nome «Amadantoli».
pt. 16, cap. 8, par. 5Da questa le savie
donne inprendono molte cose nel primo avenimento,
ed innanzi al tempo dello star con mariti, ed in
rattenperar l' usanza.
pt. 16, cap. 9, par. 1Elgli à una erba in Arcadia, c' à nnome
«conferva»; che quando ella è posta, s' ella non
si tenesse una pezza distesa in terra, non fa poi
frutto.
pt. 16, cap. 9, par. 2Da questa erba inprendono cierte donne
di dormire a cierto tempo.
pt. 16, cap. 10, par. 1Elgli à
due
campane in
Gallia, che
suonano spessamente per lo vento;
sonsi
aveduti
quelli della contrada, che qualora elle suonano per
abbattenza ad uno punto, nascie nella contrada uno
huovo, che non sanno d' onde si vengnia, il quale
poi
ricolgono le lor servigiali, e
nasciene uno
animale
c' à
ffatte le
menbra come huomo.
pt. 16, cap. 10, par. 2Quinci
inprendono le fenmine di quel paese uno amaestramento,
ch' io per me non credo che mestier faccia:
che sonando sola l' una campana si truova quell' uovo
eser nato; ma forse che giovar puote.
pt. 16, cap. 11, par. 1In Etiopia è uno paese, che non vi
possono avenire cavalli, se non vi sono menati
d' altronde.
pt. 16, cap. 11, par. 2Ver è che nuovamente danno loro
a mangiare cierte cose che ssono scritte oltre in la
fine d' esta Parte, e poi continovamente moltipricano;
onde le donne di quel paese a ccierto tempo l' usano
di mangiar per loro.
pt. 16, cap. 12, par. 1L' augiella Ferennia fae sette huova,
e fae il suo nido più lungo che largo; poi acconcia
l' uova l' uno dietro all' altro per lo traverso del
nido, e cova le tre sotto l' una ala, e ll' altre tre
sotto l' altra, e ll' uno sotto il petto.
pt. 16, cap. 12, par. 2Aviene
un grande miracolo: che l' uova ch' ella tiene sotto
l' ala destra fanno poi gli augielli maschi, e quelli
che tiene sotto l' ala manca fanno poi gli augielli
fenmine. Li maschi ànno le penne rosse, le fenmine
verdi; quel che si chova sotto il petto è mezzo
rosso e mezzo verde. Et l' uova che sono dal lato
destro più verso il mezzo tengono alquanto poi le
penne del verde; et quelle che sono dal lato manco
più verso il mezzo tengono alquanto poi le penne del
rosso.
pt. 16, cap. 12, par. 3Quando questi loro ugielli sono grandi,
i maschi stanno col padre e
colla madre, e
difendo'gli
dalgli altri
uccielli; le fenmine vanno volando
di
qua e di
là.
pt. 16, cap. 12, par. 4Onde la natura à dato insengniamento
a questi ugielli, che dalla prima nidata
innanzi alluogano l' uova tutte dal lato destro per
avere de' maschi.
pt. 16, cap. 12, par. 5Aviene, poi che i· llor vechiezza
ànno molti maschi, per non spengniere la
loro gienerazione sospingono l' uova dal lato manco,
e nascono l' augielle fenmine; alle quali, quando ànno
messe le penne, porta'le inn uno boscaggio, e pelanle
tutte chol becco più volte, perché non se ne vadano.
I maschi augielli stanno conn esse, e nasconne gli
altri.
pt. 16, cap. 12, par. 6Quello augiello che nascie mezzo rosso
e mezzo verde, perché poi il maschio né lla femina
il vuole vedere, se ne va, e muore sanza filgluoli.
pt. 16, cap. 12, par. 7Ma rade volte di quello huovo del mezzo nascie
alchuno augiello; però che l' augiella covando
nol può tenere sotto il petto sanza disagio; mandalo
or dall' uno lato or dall' altro, e da qual lato
il manda più, tien della natura di qu' tre che ssono
da quel lato.
pt. 16, cap. 12, par. 8Di quinci volsono prendere alquante
donne insengniamento d' aver di maschi e
delle fenmine; quando Iddio loro il consenta.
pt. 16, cap. 13
Or lascia Ardire il modo c' à tenuto
Nel suo parlar coverto,
E parlerà di maniera più chiara;
Però che nulla cosa è men che bella,
S' ell' è dal Sommo Creator trovata.
Et perché ben non vede come possa
Mostrar quelle cautele che conviene
Ciaschuna donna usar quand' ell' è grossa,
Se non si tratta di tutto lo stato
Ch' è dalla concieptione insino al parto:
Sì parlerà Ardire di ciò aperto,
Come porrete qui scritto vedere.
Ben ti volglio io ramentare una cosa:
Che varii openioni tra' savi sono
Di queste cose, c' ora dir ti vuole;
Che tal pon li tempi del formare,
E di tutto lo stato innanzi al parto,
In certi gradi più brieve e più nuovo,
E tal più lungo, e d' altr' ordine parla.
Ma el s' acosta ai detti di coloro
A cchui più fede porto;
E quanto forse a queste cose
Troverrai varie scritture,
Attienti a qual tu vuoi e che più ti piacie.
Dal dì che 'l tuo marito (attendi, donna!)
Starà con teco, insino a ssette giorni,
Lo dono ch' el ti fecie sta in latte.
In questo tempo ti convien guardare
Di correr, di saltare,
E d' ongni moto che ssia troppo corrente.
Che, come il fior ch' è debole ed aperto,
Sta a gran rischio quando il vento il giungnie,
Così quel dono per legièr forza
Si può disperder e tornare in vano.
Ver è, c' a questo dono immantanente,
Come natura vuol, per suo riparo
Nascie d' intorno una folglia sottile,
Che dura quanto quel, e co· llui nascie,
E da molti contradi lo conserva.
Da sette dì innanzi alchune goccie
Apariscon di sangue d' intorno
A questa folglia; le quai, vengniente
La terza settimana,
Ritornan dentro a far la confectione.
In questo tempo ancor convien guardare
D' ongni gran mutamento;
Avengnia che non sia di tanto dubio.
Ma sse nel punto ch' esto sangue sciende,
Fosse conteso dal suo andar ritto,
Puote alla creatura gienerare
Alchuna rossa machula di fuori.
Nella senmana quarta questo dono
In una liquida solidità si converte,
Quasi tra carne e sangue mescidata.
Allora volglion dire alquante vecchie,
Che sia utile e buono il movimento,
Acciò che sia ben igual la misura,
E sia di conpresion igual con' puote;
Ver è che 'l troppo è pur di perilglio.
La quinta settimana
Se quella creatura nascier dea
Nel settimo mese,
O la settima settimana
Se dea nascier nel nono mese,
Comincia la vertute formativa
A ccontraere l' umana fighura
Sovra quella materia di quel dono,
Et partonsi gli omori, e divisansi le compressioni,
E ll' ossa si compongono.
Di quindi si seguita la virtù concavativa,
La qual cava le mani,
E fora le nari,
E ffa la bocca e similglianti parti.
pt. 16, cap. 14, par. 1In tutto questo tempo dato al formare,
e al partire e al divisare, dicon certi savi, che lle
donne deono attendere a continuo guardare e pensar
di coloro cui volgliano che somilglino le creature.
pt. 16, cap. 14, par. 2Altri sono che dicono, che la similitudine si
contrae nel primo avenimento cui vede dopo il dono:
onde cierte maestre donne quando ricievono il don
dal marito, gli guardano in viso; è cierte altre che,
mentre che ssenton le creature, tutto tenpo attendono
a guardare e a pensar de' mariti.
pt. 16, cap. 14, par. 3Onde si
leggie di
Marasia, che fu una delle
conchubine del
re
Assuero, la quale tenea la
fighura del re
dipinta
in camera in una
carta; e in questo tenpo c' ò
detto, poi ch' era gravida d' uno cavaliere della
corte, guardava
continuo la
fighura del re, quando
in persona vedere
nol potea; e per questo modo i
filgluoli di
colei
rasomilgliavano sì il re, che il re
amava lei più che la reina e più che tutte l' altre.
pt. 16, cap. 14, par. 4Altri sono che dicono, ch' elgli è uno paese,
dove comunemente si pone inn un vasello uno granello
di ciecie ed uno di robilglia; e sse il ciecie
vien posto più grosso che la robilglia, una erba che
nascie di questi due grani somilglia il ciecie; e così
per contradio avien lo contrario.
pt. 16, cap. 14, par. 5Avengniaché
molti dicono che nonn è vero; però che la robilglia
posta allato al ciecie non adopera a fare venire
quella erba, se non tanto quanto ad ajutarla conservare.
pt. 16, cap. 14, par. 6Quinci tragga chi vuole e cchi sa quel
che puote; ch' io non tel direi altrimenti.
pt. 16, cap. 14, par. 7Infino
a questo tempo sta la donna con gran suo fatiche.
pt. 16, cap. 14, par. 8Formata la creatura, e similgliata, e
concavata, se lla creatura dee nasciere il settimo
mese nelli settanta dì, e sse dee nasciere nel nono
mese nelli novanta dì, la creatura à movimento,
per l' anima che infonde Iddio in essa.
pt. 16, cap. 14, par. 9Et
poiché sente il movimento, per XV dì il meno la
donna si dee disponere a mangiare e bere temperato,
ed a vivere amica d' Iddio, ed a vivere allegra;
però che così pilglia l' anima gientile abito.
pt. 16, cap. 14. par. 10Di quindi si seguita la vertù che 'l pascie,
della qual per cierta cagione lascio di dire.
pt. 16, cap. 14. par. 11Seguita dunque dire di sua
nativitate; nella quale
di cierte cautele che per sua
utilità
deono servare
le donne, lasso, perché le sanno, e perché v' è
parte di non honesto parlare.
pt. 16, cap. 14. par. 12Ma vo' che
saccia, che è o di VII o d' otto o di nove mesi.
Innanzi alli sette mesi dicono y filosafi, che non è
il loro movimento soficiente a vita. Nel settimo mese
prefette sono le sue parti, e sofficiente a vita; nel
qual settimo se la creatura si sforza di vivere,
e' non puote afaticarsi, e sse nascie poi ne l' ottavo,
non vive, per la debolità che prese nel settimo;
e sse non nascie nell' ottavo, rinforza, e guariscie
di quella debolità, e nascie nel nono disposto a vita.
pt. 16, cap. 14. par. 13E quando nascie, la prima sua vocie è di
dolore, però ch' escie del caldo luogo e viene nel
contradio. Onde cierte vecchie mastre il mettono nell'
acqua tiepida, e a poco a poco lo vengono acconciando
alla natura dell' aiere.
pt. 16, cap. 14. par. 14Ma qui si
può fare quistione di cierte donne, c' àn fatto filgluoli
oggi uno, e di qui a XV dì o così un altro. Alquanti
volsono divinare, che dopo il primo venne un altro
di cui ebe major diletazione, e però nuova cosa
ricievette. Ma credo ch' in ongni buona e leal donna
con solo suo marito possa ciò avenire, nonché di
due ma di tre; ché in una medesima persona può
esere una volta più diletto che ll' altra.
pt. 16, cap. 15, par. 1Ora seguita dire una novelletta, per
la quale porrai conosciere nella fenmina gravida,
s' ella dee avere maschio o ffenmina.
pt. 16, cap. 15, par. 2
Dissemi
una maestra donna, che quando ella il
dovea avere
maschio, avea buon
colore nel viso, e chiaro sangue
per tutto, e lla
tettola
destra più
dura e più grossa,
e lla
sonmità di quella più lunga e più
dura, e
ssentiva
sè più leggiera; et s' ella
dovea aver fenmina,
in tutte queste cose il contradio l'
avenia.
pt. 16, cap. 15, par. 3Ancora se, mossa la creatura, la sente più in sul
lato destro, e sse 'l polso di quella mano è più forte,
sengnio era di maschio; e nel contradio, il contradio.
pt. 16, cap. 16Omai c' Ardire à dette cierte cose,
Ch' esta Prudenzia vergongniava dire,
Ritorno al suo trattato. E dicie ancora
Alquanto d' esti amonimenti suoi,
Di chose che ben puote aperto dire.
Se donna alchuna è grossa,
Non si conviene a llei tutto volere,
C' a llei viene in talento;
Né anco tutto lassar, s' ella puote,
Se quel che l' apetito la dimanda
È convenevole ed onesto a llei.
Non faccia come fecie Fenisea.
pt. 16, cap. 17, par. 1Di Fenisea si leggie, che quando
ingravidò di Maymasda, uno re che fu in Ermenia,
lo re, che d' alchun' altra non potea aver filgluoli,
la menò alla sua magione regale; e facievale tanto
honore, che la reina non sembrava altro che cameriera
di quella.
pt. 16, cap. 17, par. 2Sicché
Fenisea ne
montò in
tanta superba, che
dimandava tante cose
nuove,
mostrando che cciò faesse per
vizio del parto, c' a
tutti,
fuori c' al re, era inn odio.
pt. 16, cap. 17, par. 3Disse un dì
la reina, per volerla far cadere: «Io vidi una
donna, che in sua gravidezza le venne uno disiderio
di mangiare della carne dell' uomo; e mangionne e
perdeo que' vizi».
pt. 16, cap. 17, par. 4Fenisea, presa quinci baldanza,
stette un dì che non mangiò. Dimandò il re,
perché. Disse: che non porria mangiare, s' ella non
avesse della carne dell' uomo. Disse il re: «E di
qual parte dell' uomo ti piacie più?» Diss' ella:
«Della gota».
pt. 16, cap. 17, par. 5Disse il re: «Andate, e
talgliate la testa al cotale malfattore, e portatemi
la testa». Fu fatto. Chiamò il re Fenisea e disse:
«Mangia». Quella per crudeltà non poteo pur
guardalla.
pt. 16, cap. 17, par. 6Allora il re disse: «Non volglio
aspettare che nasca la creatura nudrita con tanti
vizi, che forse mi torria il mio rengnio». Comandò
che fosse gittata inn un fiume; e così fue fatto.
pt. 16, cap. 18, par. 1Né ancor convien che faccia come
la gallina, che per uno huovo ch' ella fa nella casa,
grida tanto e ssì baldanzosamente, che basteria s' ella
l' avesse fatto d' oro.
pt. 16, cap. 18, par. 2Che Camandola d' Egitto
ne fecie V ongni anno in quatro anni, e tutti vissono,
e non però montò in superba; anzi si leggie
di lei, che mirabile humiltà ebbe in sè.
pt. 16, cap. 19
Nel parto suo, sia qual donna si vuole,
Non ti lasciar enpier soverchio;
Mangierai meno, ed anzi più sovente,
E anco il ber ti convien rifrenare.
Non ti pensar li sei mesi dinanzi,
Come porranno ingrassar li capponi,
Come porrai tu di parto riuscire
Colle gran gote e colla lata gola.
Non credere a ccolor che stan d' intorno,
Che ssol per sè divisan le gran pezze.
Pensa riuscir sì sana come grassa.
Pensati, come davanti da dDio
Verrai, entrando nella chiesa sua;
Lo quale entrar solea dir la leggie,
Che quella donna che l' avea maschio,
XL giorni dovea aspettare;
E quella donna che fenmina portava
LXXX dì convenia passare.
Ma ora non si vieta il suo entrare;
Qualora dopo il parto vuol, sì puote:
Però che 'n altra guisa
Lo suo dolor le torneria in pena,
E lla suo pena parria forse colpa;
Ma prenda quello spazio che conviene,
Sicondo ch' è l' usanza nel paese.
Ma cotanto ricordo, che dopo
Il parto suo cacci il suo marito
Almen XV dì s' ell' à 'uto maschio,
E s' ell' à auta fenmina
XXXV, se può decientemente.
Così ancora, anzi ch' i' parli d' altro,
Dopo lo 'ngravidar se ttu ti guardi
Alquanto tempo di non usar seco,
Farai per molte cose ajuto grande
A ritenere, e servare e guardare
La creatura e tutto stato in te.
E ttu che 'l puoi lattar del latte tuo
Acconciamente, nol mandare altrui,
Se vuoi piaciere a dDio, ed al filgluolo.
Non far come 'l paone,
Che rompe l' uova della paonessa,
Per dimorare a ddiletto co· llei.
Fa come la paonessa,
Che fa le vie rivolte, e poi pon l' uova,
Perché 'l paone colla suo lunga coda
Non possa andarle a guastare nel nido.
pt. 16, cap. 20
Or parlerà una valente donna,
C' à nnome Temperanza,
Ch' è giunta qui a preghiera di quella
C' à mo' parlato, che Prudenza à nnome.
Ch' essa Prudenza è molto afaticata
In dar dottrina dell' ornar la mente,
E anco in render caute tutte donne
In cierte cose ch' util sono a lloro.
Vuolsi posar, mentre dura il trattato
Delli ornamenti delle lor persone,
De' lavamenti che dicienti sono,
E delle cose intorno a cciò disposte.
Poi tornerà in sul dir dell' aventure,
Come di sopra promise parlare;
E voi, per Dio, lassatela posare.
Et qui comincia questa Temperanza
Le suo' parole, che seguitan ora.
Io Temperanza, vegiendo Prudenza
D' assai parlare stanca, sì mi mossi;
E volglio a voi, donne e donzelle,
Dir come possiate
Ne' vostri ornamenti usar temperanza:
Po' ch' i' so ben, c' al tutto non poria
Torvi da quelli; sì corre l' usanza,
E ssì vostra natura è data ad essi.
Et, se ben guardate il mio parlare,
Sanza lavare o ornar di soverchio
Porrete mantener vostra bellezza,
E avanzare, e giovani durare.
Et perc' ancora voi vi vergongniate
Talora andare alli medici vostri
Per cierte cose che occorrono a voi,
Io vi darò qui cierte buone scritte;
E voi c' avete bisongnio dell' altre,
Al medico porrete aver ricorso.
Ancor se non voleste
Andare a freno in queste cose usare,
Almen vi priego che vi tenperiate,
Pensando che Colui che voi creò,
Congniobe quanta, per lo suo milgliore,
A ciascheduna convien di bellezza.
La forma mia riguarderete in prima,
E lle ragion che sson scritte di sotto,
Perché questa fighura da dDio presi:
E ssì porrete da nme molto trarre,
Se cci vorrete dar la mente vostra.
Poi disciendete a udir le parole
Ch' io pongo qui; ma sse passan misura,
Dicole sì per trar da voi che posso;
Ché non si parte il cauto confessore,
Ch' el non prenda che può dal peccatore;
Non ch' io non saccia, c' ongni soverchianza
Di lavamenti, vestire ed ornato,
Pur tengon di peccato,
E non son tutti di me Temperanza.
Davanti a ttutte cose a mantenere
La giovane donna bella e fresca,
Conviene a llei conservare la santade.
Ma perché libri d' esta cosa sono
Scritti da cierti savi,
Ed anco possono ai medici andare,
I' non intendo qui ora parlare.
Ma ttanto dico, che l' usare unguenti
Sustanziosi e grossi,
Fanno le donne e donzelle non nette;
E fa lor disinor lo caldo e 'l sole,
E fanno i denti neri e' labri verdi,
E molto invecchian a cchi gli usa la pelle.
Però di quelli non ti parlo punto,
Ché, se mi credi, tu no· lgli userai;
Ma ben m' è detto che molti ne fai.
Così ancor del dibucciar la pelle
Parlare io non ti volglio;
Però c' ancora ciò usare invecchia.
Ma pur se ttu guardar non ten vuogli,
Almen ten guarda verso il tempo freddo.
Chosì ancor dello strisciar lo volto,
Over le mani o 'l collo:
Ché tutte queste son cose nocive,
E fanno vecchia te più tosto in vista.
Ancor metto dinanzi a che vo' dire,
Che l' alegrezza e 'l mangiar temperato
Ed anco il ber con' decie,
Conserva fresca giovane la donna;
Malinconia, dolore, e pianto e ira
Annerano e invecchiano ciaschuna.
Il sole e 'l vento, la fame, e lla sete,
E lla paura, e 'l fummo, e lle stufe,
E 'l lavar col vino e col ranno,
E i bangni dell' acque solforee,
E di vinaccia, e ongni lavar di mosto,
Dimagra, annera ed innaspra la pelle;
Et i bangni ove son cotte erbe calde
Arrossano e poi anneran la pelle:
Et i bangni delle dolci acque tiepide
In camera, non troppo spessi,
Mantengono giovane e fresca la pelle;
Et il troppo dormire e 'l troppo veghiare
Ingrossa e 'nvecchia e 'ngialliscie la pelle;
Il tenerla coverta
Imbianca e 'nteneriscie la pelle.
Omai di questa matera parlerò
Per cierti essempri; e voi di que' traete
L' utilità che vorrete e porrete.
E non prendete in mala parte quel che
Ridur si può in buono intendimento.
pt. 16, cap. 21, par. 1Madonna Marta da Gienova avea una
sua filgluola molto bella, c' avea nome Lisea, la
quale tuttodì si tenea la mano alla gota, e spessamente
dormìa per casa su per le banche, e portava
un suo frenello sì stretto, che quasi le sengniava
la testa.
pt. 16, cap. 21, par. 2Et questa Lisea aveva gran paura
di venir vecchia, e diciea molte volte: «Iddio, non
mi lasciare vivere in vechiezza!»
pt. 16, cap. 21, par. 3Disse un
dì la madre per correggierla: «Il tenere la mano
alla gota, e 'l dormire colla gota in su gli aspri
drappi, e llo stendere della fronte col frenello, rallenta,
innaspra, invecchia e fa vizza la pelle».
pt. 16, cap. 21, par. 4Un' altra fiata perch' ella andava troppo d' attorno,
e spezialmente quand' era in
villa, disse la madre
a llei, c' avea gran piedi, e
tenevasene di
peggio:
«Il
correr per li monti alle giovani e alle dilicate
ingrossa i piedi e falgli
cresciere; e 'l molto andare
attorno,
eziandio per città, gli fa
callosi e
rozzi:
l' andar soave e 'l
calzar
assettato gli
reducie a
bella forma».
pt. 16, cap. 22, par. 1Una donna Fiorentina avea una sua
filgluola, che molto volentieri portava il cappuccio, e
sforzavasi molto di avere belli capelli; ma ancora
vi mettea delgli altrui.
pt. 16, cap. 22, par. 2Disse la madre, per
divezzalla di queste due cose: «Il portare il capo
coverto annera i capelli; e 'l gran peso delle treccie
rompe e fa cadere i capelli. Il tenerli allo scoverto,
e spezialmente al lume della luna, fa biondi i capelli».
pt. 16, cap. 22, par. 3E perché questa sua filgluola tal fiata
si lavava troppo rado, e tal fiata troppo spesso,
dissele: «Lo troppo rado lavare a chi à grassa
la testa fa cadere i capelli; e 'l troppo spesso
a cchi ll' à magra fa rompere i capelli».
pt. 16, cap. 23, par. 1La reina di Francia avea maritata
una sua filgluola al re d' Inghilterra, la quale avea
pochi cavelli, e quelli tuttodì le cadeano; e per
questo maritaggio si faciea pacie d' una gran guerra.
pt. 16, cap. 23, par. 2Il re d' Inghilterra udendo questo difetto non
la volea.
pt. 16, cap. 23, par. 3La madre, ciò
saputo, faciea
raccolgliere
del
capelvenero, e
seccare, e poi
ardere, e
faeva mettere la
cienere inn un
drappo a
bollire in
la
liscìa per mantenere i capelli e
moltipricare; con
la qual liscìa la faciea lavare, sicché non
tocasse
dove
pelo non volea. E
faevale usare lo
pettine
dell'
avorio
risegato largo, che tenea netta la testa,
sicché i
poli
stavano
stretti, e
tenevano i cavelli.
pt. 16, cap. 23, par. 4Ancora no· lla voleva, se non avesse biondi i
cavelli; e perch' ella avea un neo nel capo che
tenea una buona parte di capelli chanuti, anco disse
che non volea reina canuta. Sicché la madre fe' ffare
un' acqua per inbiondire, ed un' altra per ochultare
i canuti; le quali sono qui scritte.
pt. 16, cap. 23, par. 5A ffare i capelli biondi prima, e poi diremo
de' canuti, conviene a tte intender quelle cose che
dette sono di sovra; poi, per atalgli melglio, farai
quel che troverai qui scritto.
pt. 16, cap. 24
Ma fa qui punto, ripòsati alquanto;
Ch' io non porrei più innanzi lavorare,
S' io non andassi a veder quella donna
Con chui inn ongni stato mi riposo,
La qual mi fa leggiero a ttutte cose,
E con diletto gravezza portare.
E quando arò le bellezze guardate,
Che stanno nella suo gientil fighura,
Non mi sarà cotanto faticoso
Intender ciò che Tenperanza dicie
Degli ornamenti c' alle donne insengnia.
Et io spero di tosto tornare,
Però c' alchuna giente
Viene di là dov' ell' ora si posa;
Che m' ànno detto, che ss' io tosto vado,
Io la porrò vedere ad una festa,
Ch' ella de' fare, com' à detto, bandire.
Addio, non vi rincresca l' aspettare;
E io per gire più tosto a llei vedere,
E per più tosto tornare a questa ovra,
Ò presa la proferta che mi fecie
Questo animal in sul qual mi vedete,
Che dicie di portarmi tosto a llei.
Penitenza Va pian, Franciesco; volgiti alla donna
Che vedi qua venire sulla carriega;
Ch' ell' è gran donna, e vien dal gran Singniore,
E vuol parlare a tte per lo tuo bene.
Francesco Chi è la donna di chui tu mi parli?
Penitenza Ell' è la 'tterna Lucie.
Volgiti a llei; che sse tu ben la guardi,
E penserai la grande altezza sua,
E 'l guidardon che da llei puoi avere,
Tu lasserai lo canmin che ttu segui.
Francesco Chi se' ttu che mi di' este parole?
Penitenza Sono un' anciella di quella gran donna,
C' ò nome Penitenzia.
Francesco Lo nome tuo si segue ben col fatto.
Lasciami andar, che ttu fai villania;
Non sono ancora acconcio alla tua via.
Penitenza De! non andar. Vien davanti a llei.
Francesco Tu perdi le parole; ch' io non volglio,
Però ch' io sono in canmin per andare
A vedere una donna a chu' son dato:
Ch' io da llei tengnio tutto, e sson a llei
In guisa tal, ch' i' non porrei servire
Ad altra donna, sie come vuol grande.
Penitenza De! Fa una cosa. Desciendi, e vien con meco,
E ssoffera d' udir pur lei parlare,
E di veder la suo bellezza alquanto.
Io ti prometto che tu lasserai
Per istar seco tutti gli altri diletti;
E questa donna che ttu vai ciercando
Con tanto disiderio spessamente,
Tutto sia grande suo potenza e altezza,
Ti senbrerà inver di lei niente.
Francesco De! tu sse' veramente Penitenzia:
Ché tu m' à' tratto del buon canminare;
Ed ora vuoi ch' io lassi quella donna,
Chu' non porria mentre vivo lassare.
Penitenza Or non fermar sì nella mente tua
Lo seguitare il servir di colei,
Che ss' io ti mostro di costei maggiore
Bellezza e altezza, ed ongni stato suo,
Tu non ti possa ritornare a quella
Che ti può dare lo guidardon maggiore.
Francesco De! lassami per Dio, lassam' andare;
Ch' ell' è gran cosa a dire, ch' io potessi
Inn un sol giorno sperar da costei,
Quant' io spero da quell' alta donna,
Che lungamente m' à tenuto a servo.
Penitenza Quest' è colei che ti puote più fare
Inn un sol dì, che quella in tutto tempo.
Odila almen parlare,
E po' fa che ttu vuoli.
E ella è qui disciesa, che si posa.
Vattene a llei, disciendi, e llei saluta;
E, se ti par ben far, muta volere.
Francesco E io, po' ch' ell' è sola, non v' andrei.
Ma vien con meco, e aiutami spacciare;
Ch' io pur son fermo a voler canminare.
Penitenza Andiamo, andiamo.
FrancescoMadonna, Dio v' allegri.
Ecco a voi Penitenzia m' à ccondotto.
Penitenza Ben dicie vero.
FrancescoOr che vi piacie dire?
Eterna Luce Lo mio parlare no' è di questo mondo.
Però se ttu t' acconci a llassar quello,
Tu mi porrai intender pienamente,
E trar frutto dal mio dolcie dire.
E ss' io ti conterò la gioia tutta
Che sta nel rengnio mio,
E mostrerrotti la mia dengnitade
Quando sarai disposto ad udir quella:
Ciò che tu fai e che segui e che cierchi,
Conoscierai che niente rilieva,
A cconperazione di me seguitare.
Francesco Vostro parlare, Madonna, assai è bello,
E assai grande bellezze portate.
Ma perdonatemi a cquesta fiata;
Ch' io sono acconcio a seguir lo canmino,
Eterna Luce Nel qual la vostra ancilla mi trovoe.
De! non andare; ancora i' ti vo' dire,
Ch' io non ti mostro tutta mia bellezza,
Però che ttu comprender non la puoi,
Finché non lassi l' altre cose tutte.
Se cciò vuo' far, tu mi porrai vedere
In tanta altezza, bellezza e sprendore,
Che per niente arai tutt' altre cose.
Porrai ancor veder la mia potenza,
E quanto posso a tte di grazia fare;
E chome quella donna che tu cierchi,
È di mia corte, e sotto me si reggie.
Quelle duo donne che meco vedesti
Nel primo avenimento a ccompangnia,
Tutto che ssien di gran bellezza ed alta,
Parien niente, quando serai dengnio
Di veder me, quanto conviene a omo.
Francesco Se vo' volete, Madonna, ch' io creda
Queste parole che detto m' avete,
Levatevi dal viso quella stella,
Sicch' io vi possa più chiaro vedere;
E dite a nme chi sson quelle duo donne,
Che detto avete, e che vennon con voi.
Eterna Luce La stella dal volto non leverei,
Né mi potresti più chiara vedere,
Mentre che tu non mi se' tutto dato;
E anco poi nol vedrai pienamente
Ciò ch' è di me, tant' è l' altezza mia.
Ma tu serai di che porrai contento;
Ché gli angieli, sì nobil creature,
Non posson pienamente immaginare:
Tant' è profondo lo stato che tengo.
Le donne che ttu vedesti con meco
Son, l' una Grolia, e l' altra è Vertute;
Donne di gran savere e biltate:
Le qua', se ttu mi credi,
Saranno a tte come sorelle amiche.
Francesco Madonna, se vero è ciò che vo' dite,
Servendo a voi io porrei dimorare
Con questa donna a chu' son così dato.
Eterna Luce Elgli è sì vero, che sse intender mi vuogli,
E rattenerti dell' andar più innanzi,
Tu verrai meco, e mostrerotti lei,
E come ancora io dar la ti porrei.
Francesco Madonna, se vi piacie, i' vo' tornare;
Perch' io promisi, e Tenperanza aspetta
Ch' io cierte cose scriva ch' ella dicie,
Che vo' portar con meco a quella donna,
D' una sua ovra ch' ella mi conmise.
Eterna Luce Va come vuoli, e torna con' ti piacie;
Ch' io ti posso lo ben fare a forza.
Tornando te, i' sono aparechiata.
Francesco Madonna, addio.
Eterna LuceOr va con Dio omai;
E Penitenza ne verrà con teco.
Francesco Madonna, non ancora; anzi rimangnia.
E quando rimanderò per lei, sì torni;
Che mi dimostrerrà la ritta via,
Com' a voi possa a punto tornare.
Eterna Luce Assai mi piacie. Or va; non t' indugiare.
Francesco Madonna Temperanza, i' son tornato
E fui distratto dal camin ch' io presi,
Per cierto modo, ch' i' lo lasso mo' stare.
Or dite via, ch' io son per lavorare.
pt. 16, cap. 25
Lassa'mo su di sovra
Di far biondi i capelli,
Ed ancor li canuti trasmutare;
E qui ancor lo possiamo indugiare.
E tratteren nella fine di quelli
In due riciette in sonmo a questa Parte.
Qui seguiren di cierti altri ornamenti,
Sicondo la maniera cominciata.
pt. 16, cap. 26, par. 1Una donna ebe in Siena, che disse
che donna non poteva esere bella, s' ella si lavava
d' altro che di pura acqua; e così giurava, che per
sè sempre teneva. E perch' ella s' era ristrett' a
regola, usava più volentieri l' acque di pozzi e delle
fontane che riposano in sè, anzi che ranno; e diciea
che faeva più soave la pelle. L' acque delle citerne,
perché innasprano la pelle, non usava; acque di
neve, di grandine e di ghiaccia, perché innasprono
la pelle, non usava: ver è che tal fiata le faciea
chuociere e tornare al quinto, e diciea che poi riserbate
erano milgliori.
pt. 16, cap. 26, par. 2Et ebe una sua filgluola
ch' era molto bella in giovanezza. Cominciò a tenere
la maniera della madre, e ssua bellezza pur cresciea.
Poi disiderando d' esere ancora più bella, cominciò
a usar l' acqua del fior della fava distillata, e quella
de' fiori del gilglio distillata. Diventò ben di più
bella e di più soave pelle; ma ricordami, che tanto
si mantene più bella la madre colla sua acqua,
che lla filglia, che andando insieme per la terra, credea
chi no· lla conosciea, che la filglia fosse la madre.
pt. 16, cap. 27, par. 1
Una donna ebe a
Firenze, che non
si volea lavare
coll' acqua del letto di
Mungnione;
ché diciea, che tenea della natura di quel
rio, che
corre per pietre e
luoghi aspri.
pt. 16, cap. 27, par. 2E quando
andava a Fiesole, mandava per l' acqua de' pozzi
del letto d' Arno; che, poniamo che 'n cierti luoghi
corra per aspri luoghi, comunemente passa per lo
soave, ed à più lungo tratto.
pt. 16, cap. 27, par. 3Questa donna
non si lavava conn acqua calda a fuoco, ma colla
chotta e riposatasi; e colla troppo fredda no, ma
tenevala in luogo caldo. E quando venne al di dietro,
io pur la vidi invecchiare.
pt. 16, cap. 28, par. 1La filgliuola di madonna J. si lavava
colla acqua rosata molto continuo. La madre
le disse, che innasprava la pelle; più tosto se ne
rimase, che non averia fatto per Dio.
pt. 16, cap. 28, par. 2E perché
questa fanciulla quando si lavava non si volea asciugare
a tovalglia, dissele la madre, perché tal fiata
le 'ncrescea l' aspettare: «Questo asciugare che ttu
fai fa buona pelle e ferma, ma falla alquanto bruna».
La fanciulla, temendo di non annerare, non l' usò
più.
pt. 16, cap. 29, par. 1Una donna fu a San Gimingniano,
che si tenea d' avere le più belle mani del mondo.
Seminare faeva il mezzo della terra sua fave, poi
le faeva continovamente chuociere, infrante e sanza
ghusci; e non si lavava con altro le mani, che colla
cocitura d' esta fava.
pt. 16, cap. 29, par. 2Avenne, che quando l' avea
fatte più belle, Iddio gliel fe'
diventare
gottose;
sì ch' ella poi non fe' più
seminare
fava, e
amoniva
molto la giente di non lisciare: diciendo ciò che dDio
l' avea mostrato.
pt. 16, cap. 30, par. 1Una fanciulla c' avea giucato alle
noci verdi, avea tutte tinte le mani. Disse la madre:
«Tolgli dell' agresto, o delle more verdi, o
dell' acieto, e llàvale, ed andranne». Fecielo: e andonne
col primo melglio che col sicondo, e melglio
che col terzo.
pt. 16, cap. 30, par. 2La sorella, ch' era nera di natura,
tuttodì si lavava con queste cose, credendo
inbiancare. Disse la madre, vegiendola più anerare
l' un dì che ll' altro: «Che usi tu?» Quella gliel
disse.
pt. 16, cap. 30, par. 3Allora la madre gli disse: «Ciò che
tu usi, filgluola, adopera lo contrario; ma una sola
cosa al tuo esere t' insengnio: che quanto puoi
tenga coverta la pelle». Vid' io questa, non so
chome, in picciol tempo divenir bianca.
pt. 16, cap. 31, par. 1Una donna fue a Volterra, che si
dilettò molto inn aver bei denti; faevalisi spesso
forbire a uno maestro. Cominciò a richiederle sì
l' uso, che quando stava alchuno tempo che non li
si faeva nettare, erano men che belli.
pt. 16, cap. 31, par. 2Dissele
la madre: «Nettali col tuo specchio; e tieni a
mente, che agrumi, e pasti minuti, e cose vischiose,
e cose troppo fredde o troppo calde, e troppo dure,
li guastano. Poi tieni a mente una polvere, che troverai
nella fine di questa Parte».
pt. 16, cap. 32, par. 1Una donna da
Pisa ebe
due filgluole:
l' una era molto
picchiata di
margini di
vaiuolo;
l' altra era quasi nel viso tutta
piena di
nei. Non
le potea maritare, e non avea di che
pascierle: ed
elleno erano
inviate a
pilgliare
mala via.
pt. 16, cap. 32, par. 2Sicché
la madre, che non potea avere del balsimo, col sudore
dell' uova fresche, e coll' olio del mattone, a
quella del vaiuolo rapianò la pelle; e anco un' acqua
ne troverai inanzi in questa Parte a rimuovere ongni
ciecatricie. Quella de' nei guarì anco con un' acqua,
che troverai più oltre in questa Parte.
pt. 16, cap. 32, par. 3Fatto
questo, alla prima si enpiè tutto il viso di porri,
ed all' altra di cossi. Li primi rimosse colla detta
acqua de' nei distillata due volte, come troverai
innanzi; la siconda rimosse colle midolla dell' ossa
del bue vecchio; e ciò fatto (ell' erano per altro
belle), vennele una ventura di due ricchi fratelli,
che lle tolsono in dono per molgliere; e furono molto
graziose donne a dDio, e alla giente di quella terra.
pt. 16, cap. 33Una donna fue a Messina, ch' ebe nome
madonna Bencara; della quale si leggie, che
pt. 16, cap. 34, par. 1
A mantenere netti i denti, a cchui
bisongnia usi questa polvere:
pt. 16, cap. 34, par. 2A rimuovere margini e ciecatrici o almeno a
rispianarle molto, a cchui mestier fa:
pt. 16, cap. 34, par. 3A ffare i capelli biondi, sien di che colore
volgliono:
pt. 16, cap. 34, par. 4A ffare i capelli canuti in sul colore delgli
altri, o sse tutti fossono canuti a farli biondi:
pt. 16, cap. 34, par. 5A llevare i nei e' porri con una medesima
acqua:
pt. 16, cap. 34, par. 6
A quelle donne, che
coi loro mariti non
possono avere filgluoli:
pt. 16, cap. 35
Omai ritorna Prudenzia a trattare
La parte incominciata, e trarre a fine
Dell' aventure delle dette donne;
E questa donna che dinanzi parla,
Sì puote andar, se lle piacie, a posare.
Ver è che la sua magione è stretta;
Ché non ne volle aver fuor di misura.
Ed à la sesta in man, per torre a punto
D' ogniuna cosa quanto mestier facie;
Lo fren dallato, per regola porre
A ciaschuno apetito innordinato;
Dall' altro lato il bossol serrato,
Dove conserva sol quanto conviene;
La falcie in mano per talgliare ongni ramo
Che passa fuor di ragione e misura,
Ma tutto ch' ella sì distretta sia,
Faciela dilettare in sè tutto ora
La sonma grolia ch' ell' à di vertute.
Torniamo noi alla materia nostra;
Ch' ella savrà ben riposare a modo.
pt. 16, cap. 36
Avien talora sanza colpa tua,
E sanza colpa ancor del tuo marito,
Che nascie tra vo' due malivolenza;
E talor, che non truovi nato amore.
Toi d' una radicie d' un' erba c' à nnome ,
La qual à così fatta la folglia
E falla seccare e polverezzare,
E danne a llui (e torra'ne per te)
Inn alchun modo a mangiare o a bere;
E vederai maravilgliosa cosa.
Ma guarti, che se lla dessi o prendessi
Tra altre persone, tra chui sicondo Iddio
Non fosse licito amore,
Questa santa erba saria velenosa,
E ucciderieli. Ancor ti priego,
Che quando da' molgliera a' tuo' filgluoli,
E è in te l' ordinare di quella festa,
Non ti fidar di quelle
Vanità che suole usar la giente
Nell' entrar della donna:
Gittar lo grano, ed altre cose fare;
Che sono aghurio, e non piacciono a dDio:
E dicon cierti, che per queste cose
Milglior ventura si seguita poi.
Ch' io ti raccordo, c' ongni fondamento,
S' elgli è con cosa che dispiaccia a dDio,
Convien riuscire in ria ventura e stato.
Dicono ancor cierte alle lor filglie:
Tu fa che vinca la primiera pruova;
Ed averai ventura d' avanzare
Gli tuo' voleri in tutte cose poi .-
Non sanno, che seria vincier milgliore
Con umiltà, che vincie ongni potenza.
Ancor ti raccordo, che inn ongni stato
Che dDio ti vuol dare,
Te contentando veghia e tte aiuta,
Né far ragione che tuo ventura sia
Talora avere altro stato che buono;
Che, come troverai nel libro scritto
De' Dochumenti, che detto è di sovra:
«Non de' dormire a fidanza chedDio
ti porti al nido per cibo la manna.
Ché tal pensiero inganna
molti, che poi nilgligienza disfacie.
Fa come saggio hom facie,
che pensa tutto davanti bisongnia,
né si confida tro[v]ar ciò che bisongnia».
E 'n ongni dubbio tu riccorri a dDio,
Giusto Singniore e pio.
E perché ttu non sai quanto se' dengnia,
A tte lo libro insengnia.
Che inn atar te tutta tuo forza metta;
Ché spesso Iddio aspetta
Tuo argomento valglia,
Né ffa miracol per ongni vil palglia.
Ancora in aventura,
Ove le tentazion t' asaliscon troppo,
Forse per ovra d' alchuna ria giente,
Fa per la casa tua questo sengniale,
Che fuggon molto li spiriti rei;
È di molte eficace virtute;
E sono alquanti che gli fanno di sangue di becco.
pt. 16, cap. 37
Purità O tu che scrivi, rivolgiti in suso,
Guarda mia faccia, e odi mie parole;
Vedi la mia bellezza, e lassa l' ovra.
Francesco Chi siete voi, che m' avete assalito
Sì di sichuro, e sì sola venite?
Purità Sono una donna c' ò nnome Puritade,
Ch' esco del petto a quella Etterna Lucie,
A cchui di sovra nel libro parlasti.
Ella mi manda a ddir che ttu non corra
In far quest' ovra, ch' el ci à tempo assai;
Però che se ti movessi ad andare
A quella donna che dicesti a llei,
Tu non poresti nel mondo trovarla:
Ch' ell' è andata, e menonnela seco
Alquanto in cielo a trovarsi con Dio,
Et lì farà tempo dimora.
Francesco Dunque son io da llei così tradito?
Ché s' io avessi allor pur canminato,
Davanti al suo andar l' arei trovata.
Purità Non t' adirar; che Dio l' à ben promesso,
Che lasserà lei tornar nel mondo,
E dimorar, per lo comune bene,
Ancor tra quella giente che la brama.
E vederai, c' avrà ben guadangniato
Nella tornata; che dDio l' à donata
Una corona che val gran tesoro.
Francesco Tu mi farai già fender tutto 'l viso.
Di' ttu da beffe? o che è quel che parli?
Purità I' vo' che ttu non ti dolga di quello,
Che grande onore è a crescier di lei.
Francesco Io sol dimando, se riveder la debbo,
O sse dDio l' à per sè ritratta in cielo.
Purità Tu la porrai vedere in maggior lucie,
Che mai vedesse alchuna donna un uomo.
Va pure innanzi, e compi l' ovra tua;
La qual conpiuta, va verso oriente,
E tu la troverrai in sul canmino
Acompangniata mirabilemente.
Questo ti giuro e prometto e convengnio.
Francesco Madonna, poss' io ben fidar di voi?
Purità Sichuramente.
Francesco E quanto a llungi la debbo trovare?
Purità Elgli è la via ancor lunga assai.
Ma sse tu puoi aver quel animale,
Che dalla parte dinanzi è ssì forte,
Da quella di dietro sollicita tanto,
In sul qual m' è detto che l' altrieri andavi,
Tu giungnierai davanti a llei tosto.
Francesco Quello animal, s' io la credo trovare,
Pur converrà ch' io ancora riprenda;
E passerò per lo vostro consilglio.
Purità Vuo' far con Dio?
Francesco Sì, se vi piacie, per tosto venire
A fin di quel perché ciaschun lavora.
Purità Dunqua, poniàn ch' io men volessi andare,
Se' sì da nulla, ch' essend' io sì bella,
Sì dilicata, sì netta e sinciera,
Non mi terrai nella camera tua?
Francesco Madonna, i' vorei ben, che nel mio petto
Camera avessi di tanto honor dengnia,
Ch' una tal donna com' è Puritade
Potesse aver lì loco dengnio a llei.
Ma penserò, lavorando in quest' ovra,
S' io mi potessi sì disporre a voi,
Che la gran donna, a chu' 'ntendo d' andare,
Di tale albergheria allegra fosse.
Purità Non credi tu, che la ti volglia vedere
Assai più tosto alla mia compangnia?
Prendimi, credimi; questa è la via.
Francesco Madonna, voi tornerete domane,
Quand' io sarò me' disposto a volere
Tener la via, che mi può far valere.
Purità Ell' è in te omai; fatti con Dio.
Qualor mi chiami, sempre verrò io.
Volgianci dunqua alla nostra matera;
E tratteren della seguente Parte.
pt. 17, cap. 1
Dicie che segue la XVII Parte,
Nella qual si contiene e truova scritto
Lo bel trattato de' consolamenti
D' ongniuna donna in lloro aversitadi.
Però vedete qui Piatà giunta,
Cioè Conpassione, e uditela parlare
A quelle c' a llei intorno stanno ascoltare.
La forma sua vedete, che risponde
Allo suo propio effetto;
Che dolci fior tra lla giente saetta.
Ma se volete più ragion vedere
Di suo tutta statura,
Nel libro ch' io v' ò detto riguardate,
E nelle chiose ancor più che nel testo.
Et noi torniamo a udirla parlare;
Ché ci porrà piaciere in molti stati.
pt. 17, cap. 2, par. 1Dicieti questa donna dell' utilitadi delle
tribulazioni; e se ti mostra ragione che lle tribulazioni
sieno utili, questa è ottima maniera da far sì
ch' elle non ti gravano; ché lle cose che ttu stimi
buone, non ti fanno noia.
pt. 17, cap. 2, par. 2Dicie Gregorio,
che «major beneficio dà dDio all' uomo quando
l' affliggie, che quando il lascia prosperare; ché
più giova al fanciullo colui che 'l correggie, che
colui che fa il suo volere; e al frenetico over
non sano colui che 'l lega, che colui che la sua
insania non refrena».
pt. 17, cap. 2, par. 3Ancora dicie: «Chi
non sa ch' elgli è melglio ad ardere del fuoco
delle febri, che del fuoco de' vizi?»
pt. 17, cap. 2, par. 4Ancora
dicie: «Non istimare duro quello che ttu sostieni,
poiché cola interna passione dalgli etterni crucciati
se' liberato».
pt. 17, cap. 2, par. 5Et dicie Ysidero, che «l' aversitadi del
corpo sono remedi dell' anima. La 'nfermità la
carne maciera; la mente il langor chura, che i
vizi schaccia, e lle forze della libidine rompe».
pt. 17, cap. 2, par. 6Et dicie Bernardo: «Quantunque ti gravi
la tribulazione, non ti reputare abandonato».
pt. 17, cap. 2, par. 7
Et Gregorio: «El
lino per molte
tersioni
viene a
candore; e
ll' anima per tribulazioni».
pt. 17, cap. 2, par. 8Et Senaca misero esere judicò colui, che
mai non fu misero. «Passasti sanza aversario la
vita; nessuno saperrà quanto tu possa, né ttu medesimo».
pt. 17, cap. 2, par. 9Et Gregorio: «Sicome gli aromati non
spandono, se non quando s' inciendono, lo suo
odore: così i santi huomini, che colle virtudi
auliscono, e nelle tribulazioni si pruovano».
pt. 17, cap. 2. par. 10Et con queste autoritadi se ne porriano
scrivere infinite; ma brevità cie le contende.
pt. 17, cap. 2. par. 11E ttu, donna, queste reduci a tte; ché da costoro sono
dette algl' uomini. Et quando viene che vadi a
vicitar donne poste in aversitadi, porra'le usar loro,
come caggiono.
pt. 17, cap. 2. par. 12E ancora ricierca, per usar
in ta' luoghi, le parole del conforto che dà Constanza
di sovra alla donna vedova che piange; e ttu
da tte ne prendi essemplo, et nelle tue aversità consola
te in colui ch' è vera consolazione, e salute di
tutta l' umana gienerazione.
pt. 17, cap. 2. par. 13E né di molta
prosperità pilgliar troppa grolia; mantieni un volto
e uno animo inn ongni stato.
pt. 18, cap. 1
Conviensi omai della XVIII
Parte trattare, la qual contiene
Cierte quistioni d' amore,
E pon di cortesia e di gientilezza.
Et riguardate Industria qui dipinta,
Che per singnificare lo suo ingiengnio
Fighure in borsa a ssottigliezza adatta;
Come di ciò, e più della sua forma,
Veder porrete in testo e nelle chiose
Nel libro che v' ò detto spessamente,
C' à nnome i Dochumenti d' Amore.
Omai comincia a due valenti donne
Questa Industria a parlare.
Or non vi incresca di lei ascoltare.
pt. 18, cap. 2, par. 1Facciovi dodici quistioni.
pt. 18, cap. 2, par. 2La prima
si è, se Iddio ama come noi.
pt. 18, cap. 2, par. 3La siconda: che
cosa è il divino amore.
pt. 18, cap. 2, par. 4La terza: che cosa è
il gienerale amore, il quale si converte gieneralmente
in tutte cose che insieme s' ànno a conservare.
pt. 18, cap. 2, par. 5La quarta: che cosa è amore licito mondano.
pt. 18, cap. 2, par. 6La quinta: che cosa è l' amore inlicito del mondo.
pt. 18, cap. 2, par. 7La sesta: che è amistà.
pt. 18, cap. 2, par. 8La settima: che
è benivolenza.
pt. 18, cap. 2, par. 9L' ottava: che è unanimità.
pt. 18, cap. 2. par. 10La nona: che è concordia.
pt. 18, cap. 2. par. 11La diecima:
che diferenza è tra amore e amare.
pt. 18, cap. 2. par. 12L' undecima:
che è cortesia.
pt. 18, cap. 2. par. 13La dodecima: che
è gientilezza.
pt. 18, cap. 3, par. 1Rispondono le donne, che non saperiano
rispondere a queste quistioni; anzi priegano la detta
Industria, che sicome ella àe formate le dette quistioni,
così le piaccia di solverle. Sicché al lor priego
Industria le solve chosì come qui seguita.
pt. 18, cap. 3, par. 2Alla
prima: Ama Iddio noi per noi, non per sè, sanza
alchuna divina passione; e dilettasi che amiano lui
per noi. Noi con passione amiano lui per noi, e
perch' ello è da amare e da venerare.
pt. 18, cap. 3, par. 3Alla
siconda: Amor divino è una grazia che disciende
nel ben disposto chuore nella creatura del Creatore,
per chui virtù ella a llui si congiungnie, e cresciente
la dolciezza si conferma.
pt. 18, cap. 3, par. 4Alla terza: Lo gienerale
amore è uno
mezzo intra
due
estremi, per
la chui grazia quelli insieme si
conservano.
pt. 18, cap. 3, par. 5Alla IIII: L' amore mondano licito è uno mezzo
intra due persone igualmente sè amanti, i quali i
lor voleri inn una cosa congiungnie, e congiunti conserva.
pt. 18, cap. 3, par. 6Alla V: L' amore inlicito è uno furore
innordinato, non contento di dolciezza, né nemico
di pena, cieco e disleale e superbo.
pt. 18, cap. 3, par. 7Alla VI:
Amistà è uno amore temporale tra due iguali in
grado, che trae il grande al piccolo e 'l piccolo al
grande, d' ongni inparità nimico.
pt. 18, cap. 3, par. 8Alla VII:
Benivolenza è una libera carità, la qual sol dall' una
parte può prociedere, e talora comune prociede.
pt. 18, cap. 3, par. 9Alla VIII: Unanimità è una spezie d' amore
intra molte gienti rengniante; e talora tra due tien
luogo di amistà.
pt. 18, cap. 3. par. 10Alla VIIII: Concordia è unanimità
ridutta per arte, o per ingengnio, o per
divino miracolo.
pt. 18, cap. 3. par. 11Alla X: Amore è uno mezzo;
ed amare è uno disio che rengnia inn uno delgli
estremi, infino che l' altro diviene al similgliante.
pt. 18, cap. 3. par. 12Alla XI: Cortesia è una libera manificienza,
che non pate forza né 'ngengnio né debito, ma solo
da sè piacie.
pt. 18, cap. 3. par. 13Alla
XII: Gientilezza è
dupplicie:
d' animo e di nazione. La prima si è un
abito umano
in virtù
contento, di vizio nimico,
glolioso nell' altrui
bene, e nell' altrui aversità
piatoso; la seconda è
una
potenza di
seguito o di richezza
anticata, vergongniosa
in mancar stato.
pt. 19, cap. 1
Nonnadecima Parte viene omai,
Che tratta utilemente
Di cierte contenzioni e di mottetti
Da donna a cavaliere,
Ancor da donna ad altri quali sieno.
Guarda qui dunqua la donna che siede,
E gli altri che dall' altro lato sono,
E odi quelle contenzion che fanno;
Justizia sta di sovra a judicare
Chi netto parla, e chi non sa parlare.
La qual Justizia se ttu vuo' vedere
Più chiaramente discritta e dipinta,
Cierca nel libro ch' io t' ò dimostrato,
Che Dochumenti d' Amore è chiamato.
E ttu disciendi alla matera omai
Di ciò che questa Parte in sè contiene.
pt. 19, cap. 2, par. 1Parla la Donna al cavaliere, e dicie:
La fenmina è più dengnia d' onor che ll' uomo:
ché l' uomo fu fatto di fango, cioè del limo terre;
e la fenmina della gientil costa fatta prima da dDio.
Ancora l' uomo fu fatto fuor del paradiso, e lla fenmina
nel paradiso. E l' uomo fu fatto forte e robusto
per portar gl' incarchi, e per fornire le bisongnie
da vivere; e lla fenmina di natura dilicata, per possedere
in grolia le fatiche dell' uomo.
pt. 19, cap. 2, par. 2Dicie l' uno di que' che son col cavaliere:
La fenmina si lasciò ingannare, e fu cagion di
tanto nostro danno e afanno; e però fue detta
fenmina, perocché fè men à c' alchuno
altro animale. Ancora la fenmina però debol è,
perché ll' uomo la potesse e dovesse singnioreggiare.
pt. 19, cap. 2, par. 3L' altro ch' era col cavaliere anco disse a la donna:
Le fenmine ànno ingannato Salamone, Aristotile,
Sansone, Davit, Ansalon, e molti altri, e non attendono
ad altro che a pilgliar chuori.
pt. 19, cap. 2, par. 4Risponde la Donna:
Minor difetto fu alla fenmina
lasciarsi ingannare
al nimico, che non fu all' uomo lasciarsi ingannare
alla fenmina; e però detta è
femena, perch' ella
fè
mena e fè
guberna.
Debile non fu fatta per
esere
singnioreggiata, ma perché no· lle
bisongniava
tanta forza, poiché con sottilgliezza sa
vinciere. Il
difetto della fortezza non si può dire a llei vizio. Ed
anco, per la detta ragione, quanto all' inganni, quel
ch' è stato
debolezza e difetto delgli uomini no' è
da
ponere alla fenmina in
mancanza; ma
puossi
dire che
ll' uomo in maggior fallo cade in tal caso,
perocché vuole eser capo, che non cade la fenmina,
se pur cade.
pt. 19, cap. 2, par. 5Judica Justizia.
L' uomo fatto alla imagine della pulcritudine cieleste,
decie che si dica di più valore e virtù ed
opera buona. Et la fenmina, della chui generazione
fue quella che portò Lui, decie che ssi dica d' alchuna
obedienza ed umiltà e nettezza. Nel primo
ongni vizio magiore; nella siconda ongni vizio assai
grande: l' uno e ll' altra neciessari al mondo.
pt. 19, cap. 3, par. 1Seguitano alquanti mottetti che lle donne
danno a chui lor piacie; e risposte che vi possono
acadere.
pt. 19, cap. 3, par. 2Tuo amor
non tuo à mor' :
dimmi s' amor.
Risponde:
Madonna à 'mor
sol del major
non del minor.
pt. 19, cap. 3, par. 3
Grande amor t' è
o la morte
dimor' t' è
s' e' grav' amorte.
Risponde:
Dolc' amor m' è
que' c' amorme;
dunqu' amor me'
convien arme.
pt. 19, cap. 3, par. 4S' una stella aggira, il fiore
Poco tempo sta di fore,
Ché de' far l' albore novo
Che fioriscie, ed io nol provo.
Risponde:
Frutto in fior lo vento annoia;
Sì fa fretta chi vuol gioia
Che non sia d' aspetar stanco:
Donde vien per tutto manco.
pt. 19, cap. 3, par. 5Dimmi tu qual è che ami,
S' e' tirano indietro li ami:
Non si dea disfar lo pianto
Perché veggia a llungi il canto.
Risponde:
Tutta vita more l' omo;
Non à tal odore in pomo.
pt. 19, cap. 3, par. 6Quinci da tte gli altri prendi.
pt. 20, cap. 1
Ben si convien della fin trattare,
E porre in quello di gran cose e belle,
Però c' à llaude ongniuna in fine e pregio;
E questa Parte à numero di venti,
Dove conchiude sua intenzione il libro.
E qui vedrete d' assai nuove cose,
Solenne e belle e utili a savere.
Ma prima che noi procediàn più avanti,
Vedete qui Conclusion, che siede:
Una matura donna in ferma veste,
C' à volta al pome la punta alla spada.
E perché non vegiate qui con lei
Donne d' intorno per lei ascoltare,
Non ne dovete prender maravilglia;
Però che parla a ttutte l' altre dette,
E sol però ell' è rivolta in suso.
E però ch' ella nonn è di sè forma,
Ma questa Parte rapresenta tutta,
Non si dipingnie dop' ongni parola;
Ma qui nel capo di questo trattato,
Che chiude tutto ciò che ' libro dicie.
Ora ti parla: intendila, se vuoli;
E prima pone qui dell' orazioni,
Le quai nel libro più volte à promesso.
pt. 20, cap. 2, par. 1Gieronimo dicie, parlando della Nostra
Donna, che 'nfino a tterza inn orazioni stava; et da
terza infino alla nona in opra di mano intendea; e 'l
rimangniente del tempo inn orazione ed in contemplazione
ponea. E dicie ello queste parole: «Grande
è lla vertù dell' orazione, la quale, effusa in terra,
in cielo adopera».
pt. 20, cap. 2, par. 2Et Giovanni Grisostimo dicie: «Vuoli sapere
la dengnità dell' orazione che della bocca
prociede? Ricievolla gli angieli colle sue mani,
ed offoro'la davanti a dDio. Guàrdati dunqua che
l' angielo tuo non aparisca tra gli altri angieli
col torribolo voto».
pt. 20, cap. 2, par. 3E dicie Agostino, che «L' orazione si è
una conversione di mente in Dio per pio e umile
disiderio».
pt. 20, cap. 2, par. 4È dunqua di tanta
eficacia e di tanta
utilità
l' orazione, che, spezialmente a
ddonna, la quale
conviene molto
conversare in casa,
convie'lesi di
molto
usarla, e di
domandare
orando cose
giuste e oneste;
ché, sicondo che
anco dicie Agostino, «In nome
del
Salvatore non s'
adimanda tutto ciò che
fuor di
ragione di salute si
dimanda».
pt. 20, cap. 2, par. 5Né si conviene orando gridare, però che, come Agostino
dicie, «Intender doviamo quel che noi proferiamo,
acciò che non come uccielli cantiamo».
pt. 20, cap. 2, par. 6Conviensi ancor di non far viste o pompe, o
troppo gran picchiar di petto, o troppo grande e
spesso baciar di terra; né orando volgier gli occhi
in vanitate alchuna, né tenere lo chore alle chupidità
del mondo, e avilupare i paternostri.
pt. 20, cap. 2, par. 7Né
troppo movimento piacie a dDio nell' orazioni; però
che non sta sì fermo il chuore, al quale solo Iddio
riguarda.
pt. 20, cap. 2, par. 8Né si conviene sol per te pregare,
ma per li tuoi congiunti e benifattori, e poi per
tutte l' anime viventi e non viventi, ciaschuna in suo
bisongnio, ed in possibilità d' Iddio, e per lo stato
del mondo, e spezialmente per lo stato della tua
terra. E non far sì solenne preghiera per una legièr
cosa, come per tutto lo stato dell' umana gienerazione.
pt. 20, cap. 2, par. 9Di queste orazioni è anco trattato in diverse
parti di questo libro. E sse ne volessi pienamente
vedere, va al detto libro de' Dochumenti, nella prima
Parte, nel nono Dochumento, in chiosa.
pt. 20, cap. 3
Io non entendo più parole fare,
Ma riposarmi omai d' esto lavoro;
E vòl portare a llei, che 'l chiuda e apra.
Et per andar più tosto e più sichuro
I' monterò su l' animale usato;
La chui natura e lla vertù ch' egli ave
Porrai veder denanzi a punto scritte.
Ben veggio mo' di qua venire insieme
Novella giente; e non so ben chi sono.
Ma ssien chi volglion, ch' io pur vo' passare.
Francesco Se' ttu Eloquenza, che data mi fosti
Di sovra in conpangnia da quella donna,
Per chui consilglio questa ovra si prese?
Eloquenza Sì ssono, e vado per anunziare
A quella giente che ben viver vuole,
Che molta giente nobil di qua viene.
Francesco De! dillo a mme, che mi convien passare;
Sì ch' io ne saccia poi novelle dire.
Eloquenza Questa primiera, c' à la vesta d' oro,
E quel cappel di perle, e caval bianco,
È Honestà, da la qual tutto sono
Le donne grandi che vengono apresso;
Et essa con Vertù è una cosa,
Tuttoché nomi sien di lor diversi.
Per purità di lei à veste d' oro,
E per nettezza lo bianco cappello.
Due cavalier, che qui vedi con lei,
L' uno è meser Utile,
L' altro meser Honorabile,
Che sono di suo lengniaggio:
Lo primo porta il libro,
Per la grande sapienza che llei guida;
Lo sicondo porta lo gonfalone
Della gran fama che vola di lei.
L' altra è la donna c' à nnome Prudenza,
Che tien prepositura alle seguenti,
Ed à lla vesta di verde colore,
Però ch' ell' è virente e valorosa;
Ed ella poi, con l' altre tre seguenti,
Ànno il cappel vermilglio,
A denotar ch' elle son principali,
Dalle quai prende buona vita humana.
Questa Prudenzia è quella c' à notizia
Di tutte cose divine ed umane;
Questa conoscie quel ch' è da volere,
O da schifare o da fuggir nel mondo;
Per lei ci correggiamo,
E nostri stati diriziamo in bene,
E dalli gravi pericoli spesso
Prendiàn riparo e consilglio ed aiuto.
Vedi, seguitan lei queste due donne,
La Providenzia, e lla Circonspectione:
La prima porta l' anel del rubino,
Che lume facie a cchi presso le viene,
D' onde le donne seguenti ànno modo,
E veggion chiara la via del passare;
Et la siconda le porta la canna,
Con la quale ella tutto intera vede
Ciò ch' è da dDio in giù, infin nel cientro.
La terza donna ell' è Justizia; e guarda,
Ch' ell' à la veste bianca,
Per la gran carità che rengnia i· llei;
E qui non vedi i raggi c' à di sovra,
Per fare igual conpangnia a quest' altre.
Questa a ciaschun la suo ragion conciede,
Rileva la città, e lor mantiene,
Vendica colpe, agualglianza conpone,
È liberale colà dove conviene;
Ancor la sua conmodità postpone
Per lo comune ben dell' altra giente.
Seguitan lei Severità, la prima;
E lla siconda, Liberalitade:
La prima porta la spada al bisongnio;
E lla siconda la statera in mano,
Per operar là dove e come cade.
Questa, quella dinanzi, e lle seguenti
È ben vero c' ànno ancora altre parenti
Che da llor vengnion; ma sse tu ben pensi,
Di due in due a queste puoi redurre
Tutte quell' altre; e poi lo rimangniente
Vedi più innanzi nel treppel dell' altre,
Ché per canmin volevan gire iguali.
La quarta donna che ttu vedi apresso,
Ell' è Fortezza d' animo e di mente;
E per lo suo vigore à rrossa veste.
Quest' è colei c' aversità conporta,
Coste' fatiche sanza turbamento;
E puossi dir, ch' ella sia uno amore
Che facilmente ongni pondo contiene,
Sol per amor della cosa che s' ama.
Coste' non si rallegra di soverchio
Né si conturba fuor ragion giammai;
Contra li grandi vendica con' decie,
E alli piccioli sa perdonare.
Da llei fra ll' altre nacquon quelle due
Che lle vedi seguire,
Cioè Constanza, e poi Mangnificienza.
Vedi: la prima le porta lo schudo
Per riparare a ttutte averse cose;
Et la siconda le porta la mazza,
Per operalla là dove conviene.
La quinta Donna si è Temperanza,
La qual rifrena le volglie inhoneste,
Ongni soverchio talglia,
Quanto mestier le fa tanto riserva,
E singnioreggia ben lo suo apetito.
Costei seguon quelle due che vedi,
Cioè Modesta, e lla Contenenza.
La prima porta la falcie per lei,
La quale adovra in talgliar lo soverchio,
E lla siconda lo bossolo chiuso,
A denotar c' al bisongnio riserva
E chiude ciò che non avrir conviene.
Poi quel trepel che vedi delle donne,
Conprende tutto il lor gran parentado
Delle virtuti che sciendo' da queste,
Di chui trattar per ordine seria
Troppo prolixo, ed io non posso stare.
Francesco Guarda, Elloquenzia, che tu non m' inganni.
Tu ssai ch' io vidi di sovra Honestate,
Nello 'ncominciamento d' esto libro,
Inn altra veste ed in altro atto stare:
E or mi di', che lla primiera è dessa.
Eloquenza Quell' Onestà che ttu vedesti allora
È una spezie ch' è detta volgare,
La qual è filglia di questa maggiore,
Lo chui oficio è ssol di mantenere
Netta in costumi humana conpangnia;
Quest' è maggiore, ed à gran podestade.
Francesco Ora ti priego che mi dica ancora,
Che è di quella ch' à nom Discrezione,
Ch' è detta madre di tutte quest' altre?
Ch' io non la veggio in questa compangnia.
Eloquenza Come la prima è madre di quest' altre,
Così Prudenza è madre poi dell' altre
Che seguon dopo lei. Ell' è Discrezione,
Poniàn c' alchun per sè nome le pongnia,
Per quel ch' ella conoscie sè medesma,
E dà ofici ad elegiere acconci.
Francesco Passate tutte queste, con' deo fare
Per gir più innanzi? Prego che 'l mi dica;
Ch' io vada inn oriente alla gran Donna.
Eloquenza Tutt' este donne di ch' io t' ò parlato,
Vengnion da farle honore;
Ch' ell' è venuta del Ciel nuovamente.
Canmina tosto, se lla vuo' trovare.
Francesco Dunqua non più. Addio, addio, addio.
De! Carità, che se' fontana viva,
Dove non à lo strano comunione,
Che dove se' ongni cosa è presente:
Or ò provato che fai ricchi i tuoi,
Amor di dDio, honorevole donna,
Che dirittricie se' d' ongni virtute,
Sanza la qual nessuna piede muove;
Vestita di colore cieleste e bello,
Per darci sengnio della tuo mansione;
Chiusa sotto quel vel che chiude e ferma
Lo buon volere al gran preseverare:
Lassatemi passar qui, se vi piacie;
Ch' i' sono un servo della donna grande,
Che detto m' è che là dentro si posa;
Et porto a llei un libro compiuto
Per la maniera del suo mandamento.
Carità Ben son contenta che ttu vada a lei;
Ché, po' che in terra del cielo è tornata,
Più volte meco d' esto libro parla,
E cierta son che fia ben ricieuto.
Francesco Ai! gran singniore Amor, che in mezzo se'
Tra ttutte cose che congiungnier vuoli,
Che sol di te fa' pensare a' tuo' servi,
E fuor di te altrui pensar non lassi;
Fonte sovrano alla mia gran sete;
Che per tuo gran virtù trasformi l' uomo
In quella cosa principal che ama;
Le chui ferite ànno tanta dolcieza,
Che son più dolci ch' un più forte fieri;
Dolcie passione, amabile sostengnio,
Vita de' morti, morte de' non dengni:
Dirizza me; non mi sdengniar, per Dio!
Ch' i' son de' tuo' fedeli già lungo tempo.
Per qual canmino i' vado alla gran donna,
Ch' io gli apresenti questo suo lavoro?
Amore Nonn è mia usanza disdengniar li miei,
Anzi gli onoro, e faccio avere stato,
E que' che dormon faccio disvelglianti.
Ecco 'l canmin: sichuro passerai;
E tosto va, se ttu la vuo' trovare.
Francesco Non siete voi la gran donna Speranza,
Che molte volte m' avete tenute
Le mani in capo in su questo lavoro?
Non siete voi la 'ntenzion dubitosa,
Che spessamente la giente ingannate?
Ma di voi io mi laudo a somma vocie.
Speranza Ben sono Speranza; e non de' dir male;
Ché molti fiumi e perilgli passasti
Per mio conforto e per la mie proferta.
S' io gli altri inganno tal fiata forse,
Occorre sol per li difetti loro;
Ed anco a tte, s' io mai ti venni meno,
No' è mie colpa stata, ma difetto
Del corso d' esto sventurato mondo.
Francesco Io non m' ardisco a lamentar di voi:
Lassiamo andar; più è il ben che 'l contrario.
Poss' io sichuro passare alla Donna?
Speranza Va francamente; tu sse' presso omai.
Chiama Intelletto alla primiera porta.
Francesco Addio, madonna.
SperanzaVa con Dio, se vuolgli.
Francesco Nobile Jovane, novo Intelletto,
Che tien' le chiavi d' esta stretta porta,
Onde t' è data sì gran dengnitade,
C' a questa donna non può gire alchuno
Che non convengnia te seco menare,
E più ancor, che chi qua dentro entrasse
Sanza la tuo notizia, perde lucie;
Tu per lo qual di Dio e di vertute,
D' angieli, cieli, al lor sito pensando,
E di tutt' altre sottilgliezza ed arti,
Convien ciaschuno aver notizia tale,
Chente conviene ed è ciaschun capacie;
Tu gran maestro di congnizione,
La qual è parte d' ongni sapienza;
Tu che poresti ancor viver meglio
Senza colei, che sanza te non vale;
Lume che spengni le tenebre tutte,
Lucie c' addorni ongni scienza e dono:
Tu mi dà grazia di passar davanti
A quella donna ch' i' veggio là dentro;
Ché le vo' dare un sol libro che porto.
Intelletto Alle tuo lode risponder non posso;
Ché sson pensoso, e vorre'ti servire,
Perch' i' ti veggio fedele e per l' ovra.
Ma tu mi par d' uno ingiengnio sì grosso,
Ch' i' non so ben s' io ti lasso passare.
Francesco Lassam' andare a ricolglier dell' erba
Che sta da' piedi a llei; algli altri serva
L' andar più alto: e sson contento assai.
Intelletto Or va omai, ch' esto patto mi piacie.
pt. 20, cap. 4
Francesco Alta Reina venuta del cielo,
Filglia primogienita di quel Re Superno
Che tutti i re governa, e tolglie, e muta,
Come di suo volontade prociede;
Lucie del mondo, specchio a' terreni,
Madre di Pacie, sorella d' Amore,
Festa delgli angieli, gioia di santi,
Vera virtù, regimento e comforto,
Gran podestà, singnioria ordinata,
Semita dolcie, vita soave,
Claro sprendore, splendida speme,
Nova fighura, regola del mondo,
Chui lo cielo ama, chui l' aira serve,
Chui le stelle adoran, e' pianeti assaltano,
Chui mare e terra teme col fuoco,
Per chui dotrina surgon gli canti,
Li suoni s' accordan, nascon li fiori,
Fioriti in parlare vengnion le gienti;
Di chuore e di mano
Che vinci le terre, reami e province;
Che fai le schiere ordinate vivendo;
La qual non fosti né puoi eser vinta;
Forte nimica di vizio e d' inganno;
Tu amatrice di pietà e di bene,
Di tutta cortesia fattricie e bene;
Tu fonte vivo, lucierna del sole,
Tu c' a la luna del tuo lume dai;
Cara, gientile, ed unica nel mondo;
Per chui si reggie in suo ragion ciaschuno,
Per chui si caccia violenza e forza;
Da cchui quel tanto ch' i' tengnio d' onore,
Vita, e ciaschuna subsistenza mia
Tengnio e cogniosco, apresso di Colui
Che te plasmò, te fe' tanto bella,
Tanto eminente, tanto addorna e saggia;
Quella chu' tanto brama la giente
C' à sentimento d' onore e di laude;
Donna, che tutta la tuo giente honori,
E che riduci ongni cosa a dirittura:
Non mi sdengniar perch' io sie picciol servo
A una donna di sì grande altezza.
Dengnia di darmi audienza per grazia;
Dengnia di darmi la forza e 'l vigore,
Ch' i' possa dir nella presenza tua
Cierte parole, e presentarti il libro.
Quest' è quella ovra che mi fu conmessa
E comandata per la grazia vostra.
Dengniate porgier la mano a tenerla;
Ch' è tratta a fine, sicondo che si puote
Per la mia debole e flagile potenza.
Quel buon che dentro vi vedrete scritto,
Elgli è venuto sol dalla scienza
Di quelle donne che meco mandaste;
E sse difetto si trovasse inn esso,
Quello scrivete alla mia ingnioranza.
Lo basso stilo che nell' ovra siede,
È per cagion di quel comandamento,
Che su nel cominciare i' ricievetti;
E anco insieme per quella grossezza,
Che nello 'ngengnio debole mi è posta:
Che ggià sì far la 'ndustria non poteva,
Ch' io ben la sua sottilgliezza intendessi;
E non poteva Eloquenzia parlare
Sì chiaramente, c' a nme non paresse
Oschuro tanto, ch' i' tutto tremava;
E ssì tremando, talora aveniva,
Che, tutto Fede sempre meco fosse,
Non tenea tutto lo canmin di loro.
Ma voi, madonna di tanta virtute,
Avete forza che tutto compiere;
Ongni difetto legière è a vvoi.
Dengniate di farlo vedere per tutto,
E far li manchi compiere, e levare
Ciò ch' è soverchio e che non piacie a voi.
E poi che fia nel vostro piacier tutto,
Prego la Vostra Exciellenza possente,
Che piaccia a llei di confermar lo livro,
E comsegrarlo colle vostre mani,
Sì ch' el nol possa poi toccare hom vile,
O donna che non sia colta e gientile;
Ed a nme poi licienzia dar, ch' i' possa
Levarne copia per me, e per quelgli
C' alla gran vostra provedenza piacie.
Et, tutto sia di grande ardir, non lasso
Ch' i' non domandi alla vostra larghezza,
Che se dovete tornare a Colui,
Che vi donò l' excielente corona
Che 'n su be' vostri cavegli s' aggira,
Avanti a quella tornata cieleste
Dengniate a nme alchuna grazia fare,
Acciò ch' io quindi a tutti essemplo sia,
C' a ssì gran donna s' acquista a servire.
Madonna Perc' ongni laude di me creatura
Risponde solo al Creator di tutti,
Non faccio mia risposta a quella parte.
Lo tuo parlare ò bene inteso tutto;
E 'l libro che mi dai so tutto a mente.
E, poniam che s' io l' ovra avesse fatta,
Fosse conpita in più sottil maniera,
Tutta fiata ella mi piacie assai,
E, fatta com' ell' è, vo' che stie ferma.
La copia fa, che ttu per te riservi,
E danne essemplo a quella poca giente
Che troverrai che dilettano inn essa.
Ché questo libro arà cotal natura,
C' a tutti quelli e quelle che 'l leggieranno,
Se sono amici di ben, piacierà,
E sse 'l contradio saranno, vedrai
L' overa a llor non piaciere;
Ché non son dengni di sol veder quella.
Et io sotto 'l gran nome del mio Padre
Comfermo i· libro, e di mie man lo sacro
In questo punto, e con questa cautela:
Ch' esso disdengni tutta giente vile,
E che non possa aver dottrina quinci
Persona alchuna, se prima non netta
La mano e 'l core di vizio e viltate.
Lo guidardone e lla grazia ch' io faccio
A tte, perch' io t' ò trovato fedele,
È, ch' io ti lasso una pietra ch' io trassi
D' esta corona ch' io del cielo addussi;
La quale tant' è di nova virtute,
Che chi savesse leggier quella a punto,
Ed intendesse ben suo propietade,
Egli averia d' ongni cosa chiarezza.
Ma converrà, se ttu vorai savere
Come si prende tal frutto da essa,
Nettar la mente e darla tutta a llui,
Ch' ella ti faccia intelligiente. Al petto
Con questo ancor ti conviene tenere
Ferma credenza della suo virtute;
E poi con divocion e con isperanza
Leggierla spesso e inparalla a mente.
Et fatte tutte queste cose a punto,
Rivolgi te con questa pietra in mano
Inver la parte d' onde il sole inbianca,
E lleva gli occhi al Fattor della pietra,
E riconosci prima lui per sire;
Poi ti raccorda di me che la dono.
E guarda nella parte ch' è nel mezzo
Quella fighura che scolpita v' è entro;
Poi leggi il primo cierchio verso 'l mezzo,
Poi lo sicondo, poi il terzo, e 'l quarto,
E dà volta alla pietra e lleggi il quinto;
Poi ti rinmenbra di che vuo' sapere:
E non ti fia cosa niunna nascosa,
Delle dicienti parlo;
Fuorché le sole che Dio si riserva,
Contra chu' forza ongni potenza manca.
Francesco Madonna, questo dono è ssì gran cosa,
Che non son miga dengnio, né apresso,
Di conservallo. Ma po' che vi piacie,
Ditemi dove e quando il lasserete,
Sicch' io lo prenda e ritengnia ad onore,
Quanto sarà nella possanza mia.
Ditemi ancor per cortesia, vi prego,
Quando n' andrete in paradiso voi,
Sicch' io potessi veder la salita.
Madonna Lo mio salire, e ' ritornar nel mondo,
Tutto ch' i' sia sì possente e ssì alta,
Pende dal Sir, da chu' mia forma tengnio;
Elgli è in lui ongni mio mutamento.
Però non star; girai colla mie grazia;
Quella terrai ed averai con teco,
Se ttu vorrai tuo forza e tuo potere
Mettere a quel, che no· mmi perda poi.
Quanto alla pietra ch' io t' ò impromesso,
Eccola qui, ch' io la dono: ella è tua.
Or guarda sol, che ttu ben la conservi.