ÿþQui conta come uno cavaliere richiese una donna d'amore. [1] Uno cavaliere pregava uno giorno una donna d'amore, e diceale intra l'altre parole ch'elli era gentile e ricco e bello a dismisura: - E 'l vostro marito è così laido, come voi sapete -. [2] E quel cotal marito era dopo la parete de[l]la cammera. [3] Parlò, e disse: - Messere, per cortesia, acconciate li fatti vostri, e non isconciate li altrui! - [4] Messere Lizio di Valbona fu ['l] laido, e messere Rinieri da Calvoli fu l'altro. Qui conta d'una guasca come si richiamò a lo re di Cipri. [1] Era una guasca in Cipri, a[l]la quale fu fatta un dì molta villania e onta tale, che non la poteo sofferire. [2] Mossesi e andonne al re di Cipri, e disse: - Messere, a voi sono già fatti diecimila disinori, e a me n'è fatto pur uno; priegovi che voi, che tanti n'avete sof[f]erti, m'insegnate sofferire il mio uno -. [3] Lo re si vergognò e cominciò a vendicare l[i] su[oi] e a non volere più sofferire. D'una campana che s'ordinò al tempo di re Giovanni. [1] Al tempo di re Giovanni d'Acri fue ordinata una campana, che chiunque ricevea un gran torto sì l'andava a sonare; il re raguna[va i] savi a ciò ordinati, acciò che ragione fusse fatta. [2] Avenne che la campana era molto tempo durata, che la fune per la piova era venuta meno, sicché una vitalba v'era legata. [3] Ora avenne che uno cavaliere d'Acri avea uno suo nobile destriere, lo quale era invechiato sì che sua bontà era tutta venuto meno: sicché per non darli mangiare il lasciava andare per la terra. [4] Lo cavallo per la fame ag[iu]nse con la bocca a quella vitalba per rodegarla. [5] Tirando, la campana sonò. [6] Li giudici si adunaro, e videro la petizione del cavallo che parea che domandasse ragione. [7] Giudicaro che 'l cavaliere cui elli avea servito da giovane il pascesse d[a] vecchio. [8] Il re il costrinse, e comandò sotto gran pena. Qui conta d'una grazia che lo 'mperadore fece a un suo barone. [1] Lo 'mperadore donò una grazia a un suo barone che qualunque uomo passasse per sua terra, che li togliesse d'ogni magagna evidente uno danaio di passaggio. [2] Il barone mise a la porta un suo passaggiere a ricogliere il passaggio. [3] Un giorno avenne che uno, ch'avea m[eno] un piede, venne alla porta. [4] Il pedaggiere li domandò un danaio. [5] Quelli si contese, azzuffandosi con lui. [6] Il pedaggiere il prese. [7] Quelli difendendosi trasse fuori un suo moncherino: ch'avea meno l'una mano. [8] Allora il pedaggiero il vide; disse: - Tu me [ne] darai due: [l']uno per la mano e l'altro per lo piede -. [9] Allora furono alla zuffa: il capello li cadde di capo. [10] Quelli avea meno l'uno occhio. [11] Disse il pedaggiere: - Tu mi ne darai tre -. [12] Pigliârsi ai capelli; lo passaggiere li puose mano in capo. [13] Quelli era tignoso. [14] Disse lo passaggiere: - Tu mi ne darai ora quattro -. [15] Così convenne a colui che sanza lite potea passare per uno, pagasse quattro. Qui conta come il piovano Porcellino fu accusato. [1] Uno piovano, il quale aveva nome il piovano Porcellino, al tempo del vescovo Mangiadore fu acusato dinanzi dal vescovo, ch'elli gu[i]dava male la pieve per cagione di femine. [2] Il vescovo, facendo sopra lui inquisizione, trovollo molto colpevole. [3] E stando in vescovado, attendendo l'altro dì d'essere disposto, la famiglia, volendoli bene, l'insegnaro campare. [4] Nascoserlo la notte, sotto il letto del vescovo. [5] E in quella notte il vescovo v'avea fatto venire una sua amica; ed essendo entro il letto, volendola toccare, l'amica non si lasciava, dicendo: - Molte impromesse m'avete fatte, e non me ne at[t]enete neente. [6] Il vescovo rispuose: - Vita mia, io lo ti prometto e giuro. - [7] Non - disse quella -, io voglio li danari in mano -. [8] El vescovo levandosi per andare per danari, per donarli a[l]l'amica, el piovano uscì di sotto il letto, e disse: - Messere, a cotesto colgono elle me! [9] Or chie potrebbe fare altro? - [10] Il vescovo si vergognò, e perdonògli; ma molte minacce li fece dinanzi a[l]li altri cherici. Qui conta una novella d'uno uomo di corte ch'avea nome Marco. [1] Marco Lombardo, [uomo di corte] savissimo più che niuno de suo mestiere, fu un dì domandato da un povero orrevole uomo e leggiadro, il quale prendea i danari in sagreto da buona gente, ma non prendeva robe. [2] Era a guisa di morditore e avea nome Paolino. [3] Fece a Marco una così fatta quistione, credendo che Marco non vi potesse rispondere: - Marco - disse elli -, tu sè lo più savio uomo di tutta Italia, e sè povero e disdegni lo chiedere: perché non ti provedesti tu sì che tu fossi sì ricco che non ti bisognasse di chiedere? - [4] E Marco si volse d'intorno, poi disse così: - Altri non vede ora noi e non ci ode. [5] Or tu com'ài fatto? - [6] E 'l morditore rispuose: - Ò fatto sì ch'io sono povero -. [7] E Marco disse: - Tiello credenza a me, e io a te -. Come uno de[l]la Marca andò a studiare a Bologna. [1] Uno de[l]la Marca andoe a studiare a Bologna. [2] Vennerli meno le spese. [3] Piangea. [4] Un altro il vide, e seppe perché piangeva; disseli così: - Io ti fornirò lo studio, e tu m'imprometti che tu mi dara' mille livre al primo piato che tue vincerai -. [5] Lo scolaio studiò e tornò in sua terra. [6] Quelli li te[n]ne dietro per lo prezzo. [7] Lo scolaio, per paura di dare il prezzo, si stava e no [avogava]; e così avea perduto l'uno e l'altro: l'uno il senno, l'altro i danari. [8] Or che pensò quelli de' danari? [9] Richiamossi di lui e dielli un libello de duemila livre, e disseli così: - O vuogli perdere, o vuogli vincere. [10] Se tu vinci, tu mi pagherai la promessione. [11] Se tu perdi, tu mi adempierai il libello -. [12] Allora lo scolaio il pagò, e non vol[l]e piatire con lui. Di madonna Agnesina di Bologna. [1] Madonna Agnesina di Bologna, istando un giorno in una corte da sollazzo, ed era donna de[l]l'altre: intra le quali avea una sposa novella, a[l]la quale voleva fare dire com'ella fece la [prima notte]. [2] Cominciossi madonna Agnesina a[l]le piue sfacciate, e domandò imprima loro. [3] L'una dicea: - Io il presi [con le due mani] -; e l'altre diceano in altro sfacciato modo. [4] Domandò la sposa novella: - E tu come faccesti? - [5] E quella disse molto vergognosamente, con gli occhi chinati: - Io il presi con le due [dita] -. [6] Madonna Agnesina rispuose e disse: - De[h] cagiu' ti foss'ello! - Di messere Beriuolo, cavaliere di corte. [1] Uno cavaliere di corte ch'ebbe nome messere Beriuolo era in Genova. [2] Venne a rampogne con uno donzello. [3] Quello donzello li fece la fica quasi in fino a[l]l'occhio, dicendoli villania. [4] Messere Brancadoria il vidde; seppeli reo. [5] Venne a quello cavaliere di corte: confortollo che rispondesse e facesse la fica a colui che la faceva a lui. - [6] Madio - rispuose quello -, non farò: ch'io non li farei una de[l]le mie per cento de[l]le sue -. Qui conta d'un gentile uomo che lo 'mperadore fece impendere. [1] Federigo imperadore fece impendere un giorno un grande gentile uomo per certo misfatto. [2] E per fare rilucere la giustizia, sì 'l faceva guardare ad un grande cavaliere con comandamento di gran pena, che no[l] lasciasse spiccare. [3] Sì che, questi non guardando bene, lo 'mpiccato fu portato via. [4] Sì che quando quelli se n'avide, prese consiglio da se medesimo per paura di perdere la testa. [5] E istando così penso[so] in quella notte, sì prese ad andare ad una badia ch'era ivi presso, per sapere se potesse trovare alcuno corpo che fosse novellamente morto, acciò che 'l pottesse mettere alle forche in colui scambio. [6] Giunto a[l]la badia la notte medesima, sì vi trovò una donna in pianto, scapigliata e scinta, forte lamentando; ed era molto sconsolata, e piangea uno suo caro marito lo quale era morto lo giorno. [7] El cavaliere la domandò dolcemente: - Madonna, che modo è questo? - [8] E la donna rispuose: - Io l'amava tanto, che mai non voglio essere più consolata, ma in pianto voglio finire li miei dì -. [9] Allora il cavaliere le disse: - Madonna, che savere è questo? [10] Volete voi morire qui di dolore? [11] Ché per pianto né per lagrime non si può recare a vita il corpo morto. [12] Onde che mattezza è quella che voi fate? [13] Ma fate così: prendete me a marito, che non ò donna, e campatemi la persona, perch'io ne sono in periglio, e non so [là] dov'io mi nasconda: ché io per comandamento del mio signore guardava un cavaliere impenduto per la gola; li uomini del suo legnaggio il m'ànno tolto. [14] Insegnatemi campare, ché potete, e io sarò vostro marito e te[r]ròvi onorevolemente -. [15] Allora la donna, udendo questo, si innamorò di questo cavaliere e disse: - Io farò ciò che tu mi comanderai, tant'è l'amore ch'io vi porto. [16] Prendiamo questo mio marito, e traiallo fuori de[l]la sepultura, e impicchia[l]lo in luogo di quello che v'è tolto -. [17] E lasciò suo pianto; e atò trarre il marito del sepulcro, e atollo impendere per la gola così morto. [18] El cavaliere disse: - Madonna, elli avea meno un dente della bocca, e ò paura che, se fosse rivenuto a rivedere, ch'io non avesse disinore -. [19] Ed ella, udendo questo, li ruppe un dente di bocca; e s'altro vi fosse bisognato a quel fatto, sì l'avrebbe fatto. [20] Allora il cavaliere, [vedendo] quello ch'ell'avea fatto di suo marito, disse: - Madonna, siccome poco v'è caluto di costui che tanto mostravate d'amarlo, così vi carebbe vie meno di me -. Allora si partì da lei e andossi per li fatti suoi, ed ella rimase con grande vergogna. D'una novella ch'avenne in Proenza alla corte del Po. [1] Alla corte del Po di Nostra Donna di Provenza s'ordinò una nobile corte. [2] Quando il figliuolo del conte Raimondo si fece cavaliere, invitò tutta la buona gente; e tanta ve ne venne per amore, che le robe e l'ariento fallio, e convenne che disvestisse de' cavalieri [di sua terra] e donasse a' cavalieri di corte. [3] Tali rifiutaro, e tali consentiro. [4] In quello giorno ordinaro la festa. [5] E poneasi uno sparaviere di muda in su una asta; or veniva chi si sentiva sì poderoso d'avere e di coraggio, e levavasi il detto sparaviere in pugno: convenia che quel cotale fornisse la corte in quello anno. [6] I cavalieri e' donzelli ch'erano giulivi e gai sì faceano di belle canzoni el suono e 'l motto; e quat[t]ro aprovatori erano stabiliti, che quelle ch'aveano valore facevano mettere in conto, e l'altre, a chi l'avea fatte, diceano che le migliorasse. [7] Or dimorarono, e dicìano molto bene di lor signore; e li loro figlioli furono nobili cavalieri e costumati. [8] Or avenne che uno di quelli cavalieri (pognalli nome m[essere] Alamanno), uomo di gran prodezza e bontade, amava una molto bella donna di Proenza, la quale avea nome madonna Grigia. [9] E amavala sì celatamente, che niuno li le potea fare palesare. [10] Avenne che' donzell[i] del Po si posero insieme d'inganarlo e di farlo vantare. [11] Dissero così a certi baroni e cavalieri: - Noi vi pregiamo che al primo torn[e]are che si farà, [che] la gente si vant[i] -. [12] E pensaro così: «Messere cotale è prodissimo d'arme: far[à] bene quel giorno del torniamento e scalderassi d'allegrezza. [13] Li cavalieri si vanteranno, ed elli non si potrà tenere che non si vanti di sua dama». [14] Così ordinaro il torniamento. [15] Fedio il cavaliere: ebbe il pregio de[l]l'arme; scaldossi d'allegrezza. [16] Nel riposare, la sera, i cavalieri s'incominciaro a vantare, chi di bella giostra, chi di bello castello, chi di bello astore, chi di bella ventura; e 'l cavaliere non si potè tenere che non si vantasse ch'avea così bella donna. [17] Or avenne che ritornò per prendere gioia di lei, come era usato; e la donna l'acommiatò. [18] Il cavaliere sbigottì tutto, e partissi da lei e dalla compagnia di cavalieri, e andòne in una foresta; e rinchiusesi in uno romitaggio sì celatamente, che niuno il seppe. [19] Or chi avesse veduto il cruccio de' cavalieri e delle donne e delle donzelle che si lamentavano sovente della perdita di sì nobile cavaliere, assai n'avrebbe avuto pietade. [20] Un giorno avenne che i donzelli del Po smar[r]iro una caccia, e capitaro al romitag[g]io detto. [21] Domandolli se fossero del Po; elli rispuosero di sì, ed e' li domandò di novelle. [22] E' donzelli li presero a contare come v'avea la[de] novell[e], ché, per picciolo misfatto, aveano perduto il fiore de' cavalieri; e che sua donna li avea dato commiato, e niuno sapea che ne fosse adivenuto: - Ma procianamente un torneamento era gridato, ove sarà molta bona gente. [23] E noi pensiamo ch'elli à sì gentile cuore che, dovunque elli serà, sì verrae a torneare con noi. [24] E noi avremo ordinate guardie di gran podere e di gran conoscenza, che incontanente lo riteneranno; e così speriamo di riguadagnare nostra gran perdita -. [25] Allora il romito scrisse a un suo amico secreto, che il dì del to[r]neamento li trammet[t]esse arme e cavallo secretamente, e rinviò i donzelli. [26] E l'amico fornì la richesta del romito: che 'l giorno del torniamento li mandò cavallo e arme. [27] E fu, il giorno, nella pressa di cavalieri; ed ebbe il pregio del torniamento. [28] Le guardie l'ebbero veduto; avisârlo. [29] E incontanente lo levaro in palma di mano a gran festa. [30] La gente, rallegrandosi, abattéli la ventaglia dinanzi dal viso, e pregârlo per amore che cantasse; ed elli rispuose: - Io non canteroe mai s'io non ò pace da mia donna -. [31] I nobile cavalieri si lasciarono ire alla donna, e richieserle con gran pregheria che li facesse perdono. [32] La donna rispuose: - Diteli così, ch'io non li perdonerò già mai se non mi fa gridar merzé a cento baroni e a cento cavalieri e a cento donne e a cento donzelle, che tutte gridino a una boce merzé, e non sappia[n]o a cui la si chiedere -. [33] Allora il cavaliere, il quale era di grande savere, si pensò che s'apressava la festa della candellara, che si facea gran festa al Po, e le buone gente venivano al mostiere. [34] E pensò: «Mia dama vi sarà, e saràvi tanta buona gente, quant'ella adomanda che gridino merzede». [35] Allora trovò una molto bella canzonetta. [36] E la mattina per tempo salio in sue lo pergamo, e comminciò questa sua canzonetta quanto seppe il meglio, che molto lo sapea ben fare. [37] E dicea in cotale maniera: Altressì come il leofante … quando cade non si può levare, … e li altri a lor gridare … di lor voce il levan suso, … e io voglio seguir quell'uso. … [38] Che 'l mio misfatto è tan' greve e pesante … ca la corte del Poi n'à gran burbanza, … e se 'l preggio de' leali amanti … non mi rilevan, giamai non sarò suso; … che degnasser per me chiamar merzé … là ove poggiarsi con ragion non val ren. … [39] E s'io per li fini amanti … non posso ma' gioia recobrar, … per tos temps las mon chantar … que de mi mon atent plus, … e vivrai si con reclus … sol, sanz solaz, car tal es mon talens … [& ] … [40] che m'inervia d'onor e plager: … car ie non sui de la maniere d'ors … che qui ba[t] non tien vil, se[n] merzé, … ado[nc] engras, e muluira or ven. … [41] Ab roth l[o] mon sui clan[t]z … de mi trop parlar, … e s'ie poghes f[e]nis contrefar … ke non es mai c'uns … que s'art e poi resurte sus … ieu m'arserei, car sui tan malananz, … e mis fais dig mensongier t[ru]ran[z], … e sortire[i], con spire e con plor … la [u] gioven[z] [e] bietaz e valor … es, que non deu fallir un pauc di merses, … la u Dieu asis tutt'altri bon. … [42] Mia canzone e mio lamento, … va là u' ieu non os annar … [né] de' miei occhi sguardare, … tanto sono forfatto e fallente. … [43] Ia ie non me n'escus, … né nul fu Mei-di-donna, ch'i' fu' 'ndietro du' an; … or torno a voi doloroso e piangente … siccome cerbio ca, fatto su' lungo cors, … torn'al morir, al grido delli cacciatori. … [44] E io così torno alla vostra merzé; … m'a voi non cal, se d'Amor non sove[n]. … [45] Allora tutta la gente gridarono merzé - quella ch'era nella chiesa -; e perdonolli la donna, e ritornò in sua grazia com'era di prima. Qui conta come Cato si lamentava contra alla Ventura. [1] Cato filosofo, omo grandissimo di Roma, stando in pregione e in povertade, parlava con la Ventura e doleas[i] molto, e dicea: - Perché m'ài tanto tolto? - [2] E poi si rispondea in luogo de la Ventura e dicea cossì: - Figliuolo mio, quanto dilicatamente t'òe al[l]evato e nodrito! [3] E tutto ciò che m'ài chesto t'ò dato. [4] La signoria di Roma t'ò data. [5] Signore t'ò fatto di molte dilizie, di gran pala[zz]i, di molto oro, gran cavalli, molti arnesi. [6] O figliuolo mio, perché ti rammarichi tue perch'io mi parta da te? - [7] E Cato rispondea: - Sì, ramarico -. [8] E la Ventura rispondea: - Figliuolo mio, tu sè molto savio. [9] Or non pensi tu ch'i' ò figliuoli piccolini, li quali mi conviene nutricare? [10] vuo' tu ch'io l'abandon[i]? [11] Non sarebbe ragione. [12] Oi, quanti piccioli figliuoli [ò] da notricare! [13] Figliuol mio, non posso star più teco. [14] Non ti ramaricare, ch'io non t'ò tolto neente; ché ciò che tu ài perduto non era tuo, perciò che ciò che si può perdere, non è proprio. [15] E ciò che non è proprio, non è tuo -. Come il soldano, avendo bisogno di moneta, vuolle cogliere cagione a un giudeo. [1] [I]l soldano, avendo bisogno di moneta, fo consigliato che cogliesse cagione a un ricco Giudeo ch'era in sua terra, e poi gli togliesse il mobile suo, ch'era grande oltre numero. [2] Il soldano mandò per questo giudeo, e domandolli qual fosse la migliore fede, pensando: - S'elli dirà la giudea, io dirò ch'elli pecca contra la mia. [3] E se dirà la saracina, e io dirò: dunque, perché tieni la giudea? - [4] El giudeo, udendo la domanda del signore, rispuose: - Messere, el[li] fu un padre ch'avea tre figliuoli, e avea un suo anello con una pietra preziosa la migliore del mondo. [5] Ciascuno d[i] costoro pregav[a] il padre ch'a[l]la sua fine li lasciasse questo anello. [6] El padre, vedendo che catuno il voleva, mandò per un fino orafo, e disse: - Maestro, fammi due anella così a punto come questo, e metti in ciascuno una pietra che somigli questa -. [7] Lo maestro fece l'anell[a] così a punto, che niuno conoscea il fine, altro che 'l padre. [8] Mandò per li figliuoli ad uno ad uno, e a ca[t]uno diede il suo in secretto. [9] E catuno si credea avere il fine, e niuno ne sapea il vero altri che 'l padre loro. [10] E così ti dico ch'è de[l]le fedi, che sono tre. [11] Il Padre di sopra sa la migliore; e li figliuoli, ciò siamo noi, ciascuno si crede avere la buona -. [12] Allora il soldano, udendo costui cosie riscuotersi, non seppe che si dire di coglierli cagioni, sì lo lasciò andare. Qui conta una novella d'uno fedele e d'uno signore. [1] Uno fedele d'un signore, che tenea sua terra, essendo a una stagione i fichi novelli, il signore, passando per la contrada, vidde in su la cima d'un fico un bello fico maturo; fecelsi cogliere. [2] Il fedele si pensò: - Da che li piacciano, io li guarderò per lui -. [3] Sì si pensò d'imprunarli, e di guardarli. [4] Quando furono maturi, sì le ne portoe una soma, credendo venire in sua grazia. [5] Ma quando li recò, la stagione era passata, che n'erano tanti che quasi si davano a' porci. [6] Il segnore vedendo questi fichi, sì si tenne bene scornato, e comandò a' fanti suoi che 'l legassero, e togli[e]ssero que' fichi, e a uno a uno gli le gittassero entro il volto. [7] E quando lo fico li venia presso all'occhio, e quelli gridava: - Domine, te lodo! - [8] I fanti, per la nuova cosa, l'andaro a dire al signore. [9] El signore disse perch'elli dicea così. [10] E quelli rispuose: - Messere, perch' io fui incorato di recare pesc[h]e: che s'io l'avesse recate, io sarei ora cieco -. [11] Allora il signore incominciò a ridere, e fecelo sciogliere e vestire di nuovo, e donolli per la nuova cosa ch'avea detta. Qui conta come Domenedio s'acompagnò con uno giullare. [1] Domenedio s'accompagnò una volta con uno g[iu]llare. [2] Or venne un dì che s'era bandito una corte di nozze, e bandìsi uno ricco uomo ch'era morto. [3] Disse il giullare: - Io andrò alle nozze, e tu al morto -. [4] Domenedio andò al morto e guadagnò, che 'l risuscitò: guadagnò cento bisanti. [5] Il giullare andò alle nozze e satollòsi. [6] E reddì a casa, e trovò il compagno suo che avea guadagnato. [7] Feceli onore. [8] Quelli era digiuno: il giullare si fe' dare d[a]nari, e comperò un grosso cavret[t]o e arostillo. [9] E ar[r]ostendolo si ne trasse li ernioni e mangiolli. [10] Quando il compagno l'ebbe innanzi, demandò delli ernioni. [11] Il giullare rispuose: - E' non ànno ernioni quelli di questo paese -. [12] Or venne un'altra volta che anche si bandiro nozze, e un altro ricco uomo ch'era morto. [13] E Id[d]io disse: - Io voglio ora andare alle nozze e tu va al morto; e io t'insegnerò come tu il risu[s]citerai. [14] Signerailo, e comanderaili che si lievi; ed elli si leverà. [15] Ma fatti fare la impromissione dinanzi -. [16] Disse il giullare: - Be· llo farò -. [17] Andò, e promisse di suscitarlo; e non si levò per suo segnare. [18] Il morto era figliuolo di gran signore: il padre s'adirò veggendo che questi faccìa beffe di lui. [19] Mandollo ad impendere per la gola. [20] Domenedio li si parò dinanzi, e disse: - Non temere, ch'io l[o] risusciterò. [21] Ma dimmi, in tua fé: chi mangiò li ernioni del cavretto? - [22] Il g[iu]llare rispuose: - Per quel santo secolo dov'io debbo andare, compagnio mio, ch'io non li mangiai -. [23] Domenedio veggendo che non li le potea fare dire, increbbeli di lui. [24] Andò, e su[s]citò il morto. [25] E questi fu delìbero, ed ebbe la promessione che li era fatta. [26] Tornaro a casa. [27] Disse Domenedio: - Compagno mio, io mi voglio partire da te, perché io non t'ò trovato leale com'io credeva -. [28] Quelli vedendo ch'altro non poteva essere, disse: - Piacem[i]. [29] Dividete, e io piglierò -. [30] Domenedio fece tre parte de' danari. [31] E[l] giullare disse: - Che fai? [32] Noi non semo se non due -. [33] Disse Domenedio: - Ben è vero; ma quest'una parte sia di colui ch[e] mangiò li ernioni; e l'altre, sia l'una tua, l'altra mia -. [34] Allora disse il giullare: - Per mia fede, da che tu di' così, ben ti dico ch'io [li] mangiai. [35] Io sono di tanto tempo ch'io non debbo omai dir bugia -. [36] E così si pruovano tali cose per danari, le quali dice l'uomo, che non le direbbe per iscampare da morte a vita. Qui conta della grande uccisione che fecce il re Ricciardo. [1] Il buono re Ricciardo d'Inghilterra passò una volta oltre mare con baroni, conti e cavalieri prodi e valenti; e passaro in nave sanza cavalli; e ar[r]ivoe nelle terre del soldano. [2] E così a piè ordinò sua battaglia, e fecce d[i] saracini sì grande uccisione, che le ballie de' fanciulli dicono quand'elli piangono: - Ecco il re Ricciardo! -, acciò che come la morte fo temuto. [3] Dice che il soldano, veggendo fug[g]ire la gente sua, domandò: - Quanti cavalieri sono quelli che fanno questa uccisione? - [4] Fulli risposto: - Messere, è lo re Ricciardo [solamente] con sua gente, [e sono tutti a piede] -. [5] El re, cioè il soldano, disse: - Non voglia il mio Iddio che così nobile uomo come il re Ricciardo va[d]a a piede -. [6] Prese un nobile distriere e mandògliele. [7] Il messag[g]io il menò, e disse: - Messere, il soldano vi manda questo, acciò che voi non siate a piede -. [8] Lo re fu savio: fecevi montare su uno suo scudiere, acciò che 'l provasse. [9] Il fante così fece. [10] Il cavallo era nodrito. [11] Il fante non potendolo tenere, sì si dri[z]zò verso il padiglione del soldano a sua forza. [12] Il soldano aspettava il re Ricciardo, ma non li venne fatto. [13] E così nelli amichevoli modi de' nemici non si dee uomo fidare. Qui conta di messere Rinieri, cavaliere di corte. [1] Messere Rinieri da Monte Nero, cavaliere di corte, sì passò in Sardigna e stette col Donno d'Alborea, e innamoròvi d'una sarda ch'era molto bella. [2] Giacque con lei. [3] Il marito la trovò: non li offese, ma andossene dinanzi al Donno e lamentossi forte. [4] Il segnore amava questo sardo: mandò per messere Rinieri; disseli molte parole di gran minacce. [5] E messere Rinieri, scusandosi, disse che mandasse per la donna, e domandassela se ciò che fece fu altro che per amore. [6] Le gabbe non piacquero al signore: comandolli ch'elli sgombrasse il paese sotto pena della persona. [7] Non avendollo ancora meritato di suo stallo, messere Rinieri disse: - Messere, piacciavi di mandare in Pisa al siniscalco vostro che mi provegga -. [8] Il Donno disse: - Cotesto farò io voluntieri -. [9] Feceli una lettera, e dieglile. [10] Or giunse in Pisa e fu al detto siniscalco. [11] Ed essendo con la nobile gente a tavola, contò il fatto com'era stato; poi diè questa lettera al siniscalco. [12] Quelli la lesse, e trovò che li dovesse donare uno paio di calze line a staffet[t]a, cioè sanza pedulli, e non altro. [13] E innanzi a tutti i cavalieri che v'erano, sì le volle. [14] Avendole, ebbevi gran risa e sollazzo; di ciò non s'adirò punto, perciò ch'era molto gentile cavaliere. [15] Or avenne ch'entrò in una barca con un suo cavallo e [con] un suo fante, e tornò in Sardigna. [16] Un giorno andando il Donno a sollazzo con altri cavalieri, e messere Rinieri era grande della persona e avea le gambe lung[h]e, ed era su un magro ronzino, e avea queste calze line in gamba, il Donno il conobbe, e con adiroso animo il fe' venire dinanzi da sé e disse: - Ch'è ciò, messere Rinieri, che voi non siete partito di Sardigna? - [17] Certo - disse messere Rinieri - sì sono. [18] Ma io sono tornato per li scap[p]ini delle calze -. [19] Stese le gambe, mostrò i piedi. [20] Allora il Donno si rallegrò e rise, e perdonolli; e donolli la roba ch'avea indosso, e disse: - Messere Rinieri, tu ài saputo più di me e più ch'io non ti insegnai -. [21] E que' disse: - Messere, elli è al vostro onore -. Qui conta d'uno filosofo molto cortese di volgarizzare la scienzia. [1] Fue un filosofo, lo quale era molto cortese di volgarizzare la scienzia per cortesia a' signori e altre genti. [2] Una notte li venne in visione che le dee de[l]la scienzia, a guisa di belle donne, stavano al bordello. [3] Ed elli vedendo questo, si maravigliò molto e disse: - Che è questo? [4] Non siete voi le dee de[l]la scienzia? - [5] Ed elle rispuosero: - Certo sì. - [6] Com'è ciò, voi siete al bordello? - [7] Ed elle rispuosero: - Ben è vero, perché tu sè quelli che vi ci fai stare -. [8] Isvegliòs[s]i, e pensossi che volgarizare la scienzia si era menomare la deitade. [9] Rimasesene, e pentési fortemente, [10] E sappiate che tutte le cose non sono licite a ogni persona. Qui conta d'uno giullare ch'adorava un signore. [1] E' fue un signore, ch'avea un giullare in sua corte, e questo giullare l'adorava siccome un suo iddio, e chiamavallo Dio. [2] Un altro giullare vedendo questo sì gliene disse male. [3] E disse: - Or cui chiami tu Iddio? [4] Elli non n'è mai [u]no -. [5] E quelli, a baldanza del signore, sì 'l bat[t]eo villanamente. [6] E quelli così tristo, non potendosi difendere, andossene a richiamare al signore, e disseli tut[t]o il fatto. [7] Il s[e]gnore se ne fece gabbo. [8] Quelli si partì, e stava molto tristo, intra poveri, perché non ardiva di stare intra buone persone: sì l'avea quelli concio. [9] Or avenne che 'l signore fu di ciò molto ripreso, sì che si propuose di dare commiato a questo suo giullare a modo di co[n]fini. [10] E avea cotale uso in sua corte, che cui elli presentasse sì si intendea d'avere commiato e partirsi della [sua] corte. [11] Or tolse il signore molti danari d'oro e feceli mettere in una torta, e quand'ell[a] li venne dinanzi, sì la presentò a questo suo giullare, e disse infra sé: «Dopoi che li mi conviene donare commiato, io voglio che sia ric[c]o uomo». [12] Quando questo giullare vide la torta, fu tristo. [13] Pensossi e disse: - I' ho mangiato; serberolla, e darolla a[l]l'oste mia -. [14] Andandone con essa a[l]l'albergo, trovò colui cu' elli avea così bat[t]uto, misero e cattivo: preseline pietade, andò inverso lui e dielli quella torta. [15] Quelli la prese; andossene con essa. [16] Ben fu ristorato di quello che ebbe da lui. [17] E tornando al signore per iscommiatarsi da lui, il signore disse: - Or sè tu ancor qui? [18] non avestù la torta? - [19] Messere sì: ebbi. - [20] Or che ne facesti? - [21] Messere, io avea allora mangiato: diedila a un povero giullare che mi diceva male, perch'io vi chiamava mio Iddio -. [22] Allora disse il signore: - Va con la mala ventura: che ben è migliore il suo Iddio che 'l tuo -; e disseli il fatto della torta. [23] Questo giullare si tenne morto; non sapea che si fare. [24] Partissi dal signore, e non ebbe nulla da lui. [25] E andò caendo colui a cui l'avea data. [26] Non fu vero che mai lo trovasse. Qui conta come la damigella di Scalot morì per amore di Lancialot[t]o del Lac. [1] Una figliuola d'uno grande valvassore sì amò Lancialotto del Lac oltre misura. [2] Ma elli non le voleva donare suo amore, imperciò ch'elli l'avea donato alla reina G[inevra]. [3] Tanto amò costei Lancialotto, ch'ella ne venne alla morte. [4] E comandò che quando sua anima fosse partita dal corpo, che fusse aredata una ricca navicella coperta d'un vermiglio sciamito, con un ricco letto ivi entro, con ricche e nobili coverture di seta, ornato di ricche pietre preziose; e fosse il suo corpo messo in questo letto, vestita di suoi piue nobili vestimenti e con bella corona in capo, ricca di molto oro e di molte pietre preziose, e con ricca cintura e borsa. [5] E in quella borsa avea una lettera, ch'era dello 'nfrasc[r]itto tenore. [6] Ma in prima diciamo de ciò che va innanzi la lettera. [7] La damigella morì di mal d'amore, e fu fatto di lei ciò che disse. [8] La navicella, sanza vele, fu messa in mare con la donna. [9] Il mare la guida a Cammalot. [10] E ristet[t]e alla riva. [11] Il grido andò per la corte. [12] I cavalieri e' baroni dismontarono de' palazzi. [13] E lo nobile re Artù vi venne, e maravigliavasi forte ch'era sanza niuna guida. [14] Il re entrò dentro: vide la damigella e l'arnese. [15] Fe' aprire la borsa. [16] Trovaro quella lettera. [17] Fecela leggere. [18] E dice[a] così: «A tutti i cavallieri della Tavola Ritonda manda salute questa damigella di Scalot, siccome alla migliore gente del mondo. [19] E se voi volete sapere perch'io a mia fine sono venuta, sì è per lo migliore cavaliere del mondo e per lo più villano, cioè mons[ignore] messere Lancialotto di Lac, che già nol seppi tanto pregare d'amore, ch'elli avesse di me mercede. [20] E così, lassa!, sono morta per ben amare, come voi potete vedere». Come Cristo andando un giorno co' discepoli, videro molto grande tesoro. [1] Andando Cristo un giorno co' discepoli suoi per un foresto luogo, nel quale i discepoli che veniano dietro viddero lucere da una parte piastre d'oro fine, onde essi chiamando Cristo, maravigliandosi perché non era restato ad esso, sì disser: - Signore, prendiamo quello oro che ci consolerà di molte bisogne -. [2] E Cristo si volse, e ripreseli, e disse: - Voi volete quelle cose che toglie al regno nostro la maggiore parte de[l]l'anime. [3] E che ciò sia vero, alla tornata n'udirete l'asempro -. [4] E passaro oltre. [5] Poco stante due cari compagni lo trovaro, onde furono molto lieti; e in concordia and[ò l'uno] alla più presso villa per menare un mulo, e l'altro rimase a guardia. [6] Ma udite opere ree che ne seguiro poscia de' pensieri rei che 'l Nemico diè loro. [7] Quelli tornò col mulo, e disse al compagno: - I' ò mangiato alla villa, e tu dei aver fame: mangia questi due pani così belli, e poi caricheremo -. [8] Rispuose quelli: - Io non ho gran talento di mangiare ora; e però carichiamo prima -. [9] Allora presero a caricare. [10] E [quando] ebbero presso che caricato, quelli ch'andò per lo mulo si chinò per legare la soma, e l'altro li corse di dietro a tradimento con uno ap[p]untato coltello, e ucciselo. [11] Poscia prese l'uno di que' pani e diello al mulo. [12] E l'altro mangiò elli. [13] El pane era atoscato: cadde morto elli e 'l mulo, innanzi che movessero di quel luogo; e l'oro rimase libero come di prima. [14] El Nostro Signore passò indi co' suoi discepoli nel detto giorno, e mostrò loro l'esempro che detto avea. Come messere Azzolino fece bandire una grande pietanza. [1] Messere Azzolino Romano fece una volta bandire nel suo distretto, e altrove ne fece invitata, che voleva fare una grande limosina; e però tutti i poveri bisognosi, omini come femine, e a certo die, fossero nel prato suo, e a catuno darebbe nuova gonnella e molto da mangiare. [2] La novella si sparse. [3] Tras[s]ervi d'ogni parte. [4] Quando venne il giorno dell'agunanza, i siscalchi suoi furo tra loro con le gonnelle e con la vivanda; e a uno a uno li facea spogliare e scalzare tutto ignudo, e poi li rivestia di panni nuovi, e davali mangiare. [5] Quelli rivoleano i loro stracci; ma neente valse: ché tutti li messe in uno monte e cacciòvi entro fuoco. [6] Poi vi trovò tanto oro e tanto ariento, che valse più che tutta la spesa; e poi l[i] rimandò con Dio. [7] E al suo tempo li si richiamò un villano d'un suo vicino che li avea imbolato ciliegie. [8] Compario l'ac[c]usato, e disse: - Mandate a sapere se ciò può essere, perciò che 'l ciri[e]gio è finemente imprunato -. [9] Allora messere Azzolino ne fece pruova, e l'accusatore condan[n]ò in quantità di moneta, però che si fidò più nelli pruni che nella sua signoria. [10] E d[i]liberò l'altro. [11] Per tema della sua tirannia, li portò [una vecchia femina di villa] un sacco di noci le quali non si trovava[ro] somiglianti. [12] E essendosi il meglio acconcia ch'ella poteo, g[iu]nse co[l]à dov'elli era co' suoi cavalieri, e disse: - Messere, Dio vi dea lunga vita -. [13] Ed elli sospecciò, e disse: - Perché dicesti così? - [14] Ed ella rispuose: - Perché se ciò sarae noi staremo in lungo riposo -. [15] E quelli rise. [16] E fecele mettere un bello sottano, il quale le dava a ginocchio, e fecelavi cignere su; e tutte le noci fece versare per la sala, e poi a una [a una] li le facea ricogliere e rimettere nel sacco. [17] E poi la meritò grandemente. [18] In Lombardia e nella Marca si chiamano le pentole "ole". [19] E la sua famiglia aveano un dì preso un pentolaio per maleveria, e menandolo a giudice, messere Azzolino era nella sala; disse: - Chi è costui? - [20] L'uno rispuose: - Messere, è un olaro. - [21] Andalo ad impendere. - [22] Come, messere, ch'è un ollaro? - [23] E però dico che voi l'andiate ad impendere. - [24] Messere, noi diciamo ch'elli è un olaro. - [25] E ancor dico io che voi l'andiate ad impendere -. [26] Allora il giudice se n'accorse. [27] Fecelne inteso, ma non valse: che perch[é l']avea detto tre volte conv[e]nne che fosse impeso. [28] A dire come fu temuto sarebbe gran tela, e molte persone il sanno. [29] Ma sì r[ame]nterrò come essendo elli un giorno con lo 'mperadore a cavallo con tutta la lor gente si ingaggiaro chi avesse piue bella spada. [30] Sodo [lo gaggio], lo 'mperadore trasse la sua del fodero, ch'era maravigliosamente guarnita d'oro e di pietre. [31] Allora disse messere Azzolino: - Molto [è] bella, ma la mia è assai più bella -. [32] E trassela fuori. [33] Allora seicento cavalieri che v'erano con lui trassero tutti mano alle loro. [34] Quando lo 'mperadore vidde le spade, disse che ben era la più bella. [35] Poi fu Azzolino preso in battaglia in uno luogo che si chiama Casciano, e percosse tanto il capo al feristo del padiglione ove era legato, che s'uccise. D'una grande carestia che fu una volta in Genova. [1] In Genova fu un tempo un gran caro; e là si trovavano sempre più ribaldi che in niun'altra terra. [2] Tolsero alquante galee, e tolsero conducitori, e pagârli, e mandârno il bando che tutti li poveri andassero alla riva, e avrebbero del pane del Comune. [3] Andârvene tanti, ch'è maraviglia; e ciò fu perché molti che non erano bisognosi si travisaro. [4] E li uficiali [dissero così]: - Tutti questi non si potrebbero cernire, ma vadano li cit[t]adini in su quello legno, e' forestieri nell'altro; e le femine co' fanciul[l]i in quelli altri -; sicché tutti v'a[n]daro suso. [5] I conducitori furono presti: diedero de' remi in acqua, e apportârli in Sardigna. [6] E là li lasciaro, che v'era dovizia; e in Genova cessò il caro. Qui conta d'uno ch'era bene fornito a d[is]misura. [1] Fu uno ch'avea [sì grande naturale], che non trovava neuno che fosse sì grande ad assai. [2] Or avenne ch'uno giorno si trovò [con una putta] che non era molto giovane; e avegna che molto fosse orrevole e ricca, molti n'aveva veduti e provati. [3] Quando furo in camera, ed elli lo mostrò. [4] Per grande letizia la donna il vidde [e rise]. [5] Que' disse: - Che ve ne pare? - [6] [E la donna rispuose]... Come uno s'andò a confessare. [1] Uno s'andò a confessare al prete suo, e intra l'altre cose disse: - I' ò una mia cognata, e 'l mio fratello è lontano. [2] E quand'io torno in casa, ella, per grande dimestichezza, mi si puone a sedere in grembo. [3] Come debbo fare? - [4] Rispuose il prete: - A me il si facesse ella, ch'io la ne pagherei bene! - Qui conta di messere Castellano da Cafferri di Mantova. [1] Messere Castellano da [Cafferri di] Mantova essendo podestà di Firenze, sì nacque una quistione, tra messere Pepo Alama[n]ni, e messere Cante Caponsacchi, tale che ne furo a gran minacce. [2] Onde la podestade, per cessare quella briga, sì li mandoe a' confini. [3] Messere Pepe mandò in certa parte, e messere [Cante], perch'era grande suo amico, sì 'l mandò a Mantova, e rac[c]omandollo a' suoi. [4] E messer Cante li [ne] rende[o] tale guiderdone, che si giacea con la moglie. Qui conta d'uno uomo di corte che cominciò una novella che non venìa meno. [1] Brigata di cavalieri cenavano una sera in una gran casa fiorentina, e avevavi uno uomo di corte, il quale era grandissimo favellatore. [2] Quando ebbero cenato, cominciò una novella che non venìa meno. [3] Uno donzello de[l]la casa che servìa, e forse non era troppo satollo, lo chiamò per nome, e disse: - Quelli che t'insegnò cotesta novella non la t'insegnò tutta -. [4] Ed elli rispuose: - Perché no? - [5] Ed elli rispuose: - Perché non t'insegnò la restata -. [6] Onde quelli si vergognò, e ristette. Qui conta come lo 'mperadore Federigo uccise uno suo falcone. [1] Lo 'mperadore Federigo andava una volta a falcone, e avevane uno molto sovrano, che l'avea caro più ch'una cittade. [2] Lasciollo a una grua; quella montò alta. [3] Il falcone si misse alto molto sopra lei. [4] Videsi sotto un'aguglia giovane; percossela a terra, e tanto la tenne che l'uccise. [5] Lo 'mperadore corse, credendo che fosse una grua: trovò com'era. [6] Allora con [i]ra chiamò il giustiziere, e comandò che al falcone fosse tagliato il capo, perch'avea morto lo suo signore. Come uno si confessò da un frate. [1] Uno si confessò da un frate, e disse che essendo elli una volta alla ruba d'una casa co[n assai] gente: - Il mio intendimento si era di trovare in una cassa cento fiorini d'oro; e io la trovai vo[t]a. [2] Ond'io non ne credo avere peccato -. [3] Il frate rispuose: - Certo sì ài, come se tu [li] aves[s]i avuti. - [4] Questi si mostrò molto cruc[c]iato, e disse: - Per Dio consigliatemi! - [5] E 'l frate rispuose: - Io non ti posso prosciogliere se tu nol rendi -. [6] Ed elli rispuose: - Io lo fo voluntieri, ma non so a cui -. [7] E 'l frate rispuose: - Recali a me, e io li darò per Dio -. [8] Questi li promisse, e partìsi. [9] E prese tanta contezza, che vi tornò l'altra matina, e ragionando co lui, disse che gli era mandato un bello storione e che li le voleva mandare a disinare. [10] Lo frate li ne rendè molte grazie. [11] Partìse questi, e non li le mandò. [12] E l'altro dì tornò al frate con al[l]egra cera. [13] Il frate disse: - Perché mi facest[i] tanto aspettare? - [14] E que' rispuose: - O, credevatello voi avere? - [15] Certo sì. - [16] E non l'aveste? - [17] No. - Dico ch'è altrettale come se voi lo aveste avuto -. Qui conta d'una buona femina ch'avea fatt[a] una fine crostata. [1] Fue una femina ch'avea fatta una fine crostata d'anguille, e aveala messa nella madia. [2] Vide entrare uno topo per la f[i]nestrella, che trasse a l'odore. [3] Quella allettò la gatta, e missela ne[l]la madia perché 'l pigliasse. [4] Il topo si nascose tra la farina, e la gatta si mangiò la crostata. [5] E quand'ella aperse, il topo ne saltò fuori, e la gatta, perch'era satolla, non lo prese. Qui conta d'uno villano che s'andò a confessare. [1] Uno villano se andò a un giorno a confessare. [2] E pigliò de[l]l'acqua benedetta, e vide il prete che lavorava nel colto. [3] Chiamollo, e disse: - Sere, io mi vorrei confessare -. [4] Rispuose il prete: - Confessastiti tu an[n]o? - [5] E que' rispuose: - Sì -. Or metti un danaio nel col[o]mbaio, e a quella medesima ragione ti fo uguanno, ch'an[n]o -. Qui conta della volpe e del mulo. [1] La volpe andando per un bosco, sì trovò un mulo, che mai non n'avea più veduti. [2] Ebbe gran paura, e fuggì; e così fuggendo trovò il lupo. [3] E disse come avea trovata una novissima bestia, e non sapeva suo nome. [4] Il lupo disse: - Andianvi -. [5] Furono g[iu]nti a lui; al lupo parve via più nuova. [6] La volpe il domandò [di suo nome]. [7] Il mulo rispuose: - Certo io non l'ò ben a mente; ma se tu sai leggere, io l'ò scritto nel piè dirit[t]o di dietro -. [8] La volpe rispuose: - Lassa! ch'io non so leggere: che molto lo saprei voluntieri -. [9] Rispuose il lupo: - Lascia fare a me, che molto lo so ben fare -. [10] Il mulo sì li mostrò il piede dritto, sì che li chiovi pareano lettere. [11] Disse il lupo: - Io non le veggio bene -. [12] Rispuose il mulo: - Fatti più presso, però che sono minute -. [13] Il lupo si fece sotto, e guardava fiso. [14] Il mulo trasse, e dielli un calcio tale che l'uccise. [15] Allora la volpe se n'andò, e disse: - Ogni uomo che sa lettera non è savio -. Qui conta d'uno màrtore di villa ch'andava a cittade. [1] Uno màrtore di villa venìa a Firenze per comperare un farsetto. [2] Domandò a una bottega ov'era il maestro. [3] Non v'era. [4] Uno discepolo disse: - Io sono il maestro: che vuoli? - [5] Voglio uno farsetto -. [6] Questi ne trovò uno. [7] Provogliele. [8] Furono a mercato. [9] Questi non avea il quarto danari. [10] Il discepolo, mostrandosi d'acconciarlo da piede, sì gli apuntò la cami[c]ia col farset[t]o, e poi disse: - Tralti -. [11] Quelli lo si trasse. [12] Rimase ignudo. [13] Li altri discepoli furo intenti con le coregge. [14] Lo scoparo per tutta la contrada. Qui conta di Bito e di ser Frulli di Firenze, da San Giorgio. [1] Bito fu fiorentino, e fue bello uomo di corte e dimorava a San Giorgio oltr'Arno. [2] Avea uno vecchio ch'avea nome ser Frulli, e avea uno suo podere, di sopra a San Giorgio, molto bello, sì che quasi tutto l'anno vi dimorava con la famiglia sua, e ogni mattina mandava la fante sua a vendere frutta o camangiare alla piazza del ponte. [3] Ed era sì iscarsissimo e sfidato, che faceva i mazzi del camangiare, e ano[v]eravali a [la] fante, e faceva ragione che pigliava. [4] [I]l mag[g]iore amonimento che le dava si era che non si posasse in San Giorgio, però che v'aveva femine ladre. [5] Una mattina passava la detta fante con uno paniere di cavoli. [6] Bito, che prima l'avea pensato, s'avea messa la più ricca roba d[i] vaio ch'avea; ed essendo in su la panca di fuori, chiamò la fante, ed ella andò da lui incontanente; e molte femine l'aveano chiamat[a] prima; non vi vol[l]e ire. [7] - Buona femina, come dài cotesti cavoli? - [8] Messere, due mazzi a danaio. - [9] Certo questa è buona derrata. [10] Ma dicoti che non ci sono se non io e la fante mia, ché tutta la famiglia mia è in villa, sì che troppo mi sarebbe una derrata; e io li amo più volentieri freschi -. [11] Usavansi allore le medaglie in Firenze, che le due valevano un danaio; però disse Bito: - Damene ora [un mazzo]. [12] Dammi un danaio e tè una medaglia; e un'altra volta torrò l'altro mazzo -. [13] A lei parve che dicesse bene, e così fece. [14] E [poi] andoe a vendere li altri a quella ragione che 'l signore li aveva data. [15] E tornò a casa, e diede a ser Frulli la moneta. [16] Quelli an[n]overando più volte, pur trovava meno un danaio; e disselo alla fante. [17] Ella rispuose: - Non può essere -. [18] Quelli riscaldandosi co lei, domandolla se s'era posata a San Giorgio. [19] Quella vol[l]e negare, ma tanto la scalzò ch'ella disse: - Sì posai a un bel cavaliere, e pagommi finemente. [20] E dicovi ch'io li debbo dare ancora un mazzo di cavoli -. [21] Rispuose s[er] Frulli: - Dunque ci avrebbe ora meno un danaio in mez[z]o? - [22] Pensòvi suso, avidesi de[l]lo 'ngano; disse alla fante molta villania, e domandolla dove quelli stava. [23] Ella gliele disse a punto. [24] Avidesi ch'era Bito, che molte beffe li avea già fatte. [25] Riscaldato d'ira, la mattina per tempo si levò e misesi sotto le pelli una spada rugginosa, e venne in capo del ponte; e là trovò Bito che sedeva con molta buona gente. [26] Alza questa spada, e fedito l'avrebbe, se non fosse uno che 'l tenne per lo braccio. [27] Le genti vi trassero smemorate, credendo che fosse altro. [28] E Bito ebbe gran paura. [29] Ma poi, ricordandosi come era, incominciò a sorridere. [30] Le genti ch'erano intorno a ser Frulli, domandarlo com'era. [31] Quelli il disse con tanta ambascia, ch'a pena poteva. [32] Bito fiece cessare le genti, e disse: - Ser Frulli, io mi voglio conciare con voi. [33] Non ci abbia più parole. [34] Rendete il danaio mio, e tenete la medaglia vostra. [35] Ed abbiatevi il mazzo di cavoli con la mali[di]zione di Dio -. [36] Ser Frulli rispuose: - Ben mi piace. [37] E se così avessi detto imprima, tutto questo non ci sarebbe stato -. [38] E non accorgendosi della beffa, sì li diè un danaio e tolse una medaglia, e andonne consolato. [39] Le risa vi furo grandissime. Qui conta come uno mercatante portò vino oltremare in botti a due palcora, e come li 'ntervenne. [1] Un mercatante portò vino oltremare in botti a due palcora. [2] Di sotto e di sopra avea vino, e nel mezzo acqua, tanto che la metà era vino, e la metà acqua. [3] Di sotto e di sopra avea squilletto, e nel mezzo no. [4] Vendero l'acqua per vino, e radoppiaro i danari sopra tutto lo guadagno; e tosto che furo pagati, montaro in su un legno con questa moneta. [5] E, per sentenzia di Dio, apparve nella nave un grande scimion, e prese il taschetto di questa moneta, e andonne in cima d[el]l'albero. [6] Quelli, per paura ch'elli nol gittasse in mare, andaro con esso per via di lusing[h]e. [7] Il bertuccio si puose a sedere, e sciolse il taschetto con bocca, e toglieva i danari dell'oro ad uno ad uno. [8] L'uno gittava in mare, e l'altro lasciava cadere in su la nave. [9] E tanto fece, che l'una metà si trovò nella nave col guadagno che far se ne dovea. Qui conta d'uno mercatante che comperò berrette. [1] Uno mercatante che recava berrette, sì li si bagnaro; e avendole tese, sì n'appariro molte scimie, e catuna se ne mise una in capo, e fuggìano su per li alberi. [2] A costui ne parve male. [3] Tornoe indietro, e comperò calzari, e presele, e fecene bono guadagno. Qui conta una bella novella d'amore. [1] Un giovane di Firenze sì amava carnalmente una gentile pulzella, la quale non amava niente lui, ma amava a dismisura un altro giovane, lo quale amava anche lei ma non tanto ad assai quanto costui. [2] E ciò si parea: ché costui n'avea lasciato ogni altra cosa, e consumavasi come smemorato, e spezialmente il giorno ch'elli non la vedea. [3] A un suo compagno n[e] 'ncrebbe. [4] Fece tanto che lo menò a un suo bellissimo luogo, e là tranquillaro quindici dì. [5] In quel mezzo la fanciulla si crucciò con la madre. [6] Mandò la fante, e fece parlare a colui cui amava che ne voleva andare con lui. [7] Quelli fu molto lieto. [8] La fante disse: - Ella vuole che voi vegnate a cavallo, già quando fia notte ferma. [8] Ella farà vista di scendere nella cella: aparechiato sarete all'uscio, e gitteravisi in groppa. [9] Ell' è leggera e sa bene cavalcare -. [10] Elli rispuose: - Ben mi piace -. [11] Quand'ebbero così ordinato, fece grandemente aparecchio a un suo luogo, ed ebbevi suoi compagni a cavallo, e feceli stare alla porta, perché non fosse serrata, e mossesi con un fine roncione, e passò dalla casa. [12] Ella non era ancora potuta venire, perché la madre la guardava troppo. [13] Questi andò oltre per tornare a' compagni. [14] Ma quelli che consumato era, in villa non trovava luogo; era salito a cavallo, e 'l compagno suo [nol] seppe tanto pregare che 'l potesse ritenere; e non volle la sua compagnia. [15] Giunse quella sera alle mura. [16] Le porte erano tutte serrate; ma tanto acerchiò che s'abatté a quella porta dov'erano coloro. [17] Entrò dentro. [18] Andonne inverso la magione di colei, non per intendimento di trovarla né di vederla, ma solo per vedere la contrada. [19] Essendo ristato rimpetto alla casa - di poco era passato l'altro - la fanciulla diserrò l'uscio e chiamollo sotto boce e disse che acostasse il cavallo. [20] Questi non fu lento: ac[c]ostòsi, ed ella li si gittò vistamente in groppa, e andarono via. [21] Quando furono alla porta, e' compagni dell'altro non li diedero briga, ché nol conob[b]ero, però che se fosse stato colui cui elli aspettavano sarebbe ristato co loro. [22] Questi cavalcarono ben diece miglia, tanto che furono i[n] un bello prato intorniato di grandissimi abeti. [23] Smontaro e legaro [i]l cavallo all'albero. [24] E prese a basiarla. [25] Quella il conobbe: ac[c]orsesi della disaventura; cominciò a piangere duramente. [26] Ma questi la prese a confortare lagrimando, e a renderle tanto onore ch'el[l]a lasciò il piagnere e preseli a volere bene, veggendo che la ventura era pur di costui; e ab[b]racciollo. [27] Quell'altro cavalcò poi più volte, tanto che [u]dì [i]l patre e la madre fare romore nell'agio, e intese dalla fante com'ella n'era 'ndata in cotal modo. [28] Questi sbigottì. [29] Tornò a' compagni, e disselo loro. [30] E que' rispuosero: - Ben lo vedemmo passare co lei, ma noi conoscemmo; ed è tanto che puote essere bene alungato. [31] E andârne per cotale strada -. [32] Missersi incontanente a tenere loro dietro. [33] Cavalcaro tanto, che li trovaro dormire così abbracciati; e miravagli per lo lume della luna ch'era ap[p]arito. [34] Allora ne 'ncrebbe loro disturbarli, e dissero: - Aspettiamo tanto ch' elli si sveglieranno, e poi faremo quello ch'avemo a fare -. [35] E così stettero tanto, che 'l sonno giunse e furo tutti ad[d]ormentati. [36] Colloro si svegliaro in questo mezzo, e trovaro ciò ch'era. [37] Maravigliârsi. [38] E disse il giovane: - Ci ànno fatta tanta cortesia, che non piacia a Dio che noi li ofendiamo! - [39] Ma salio questi a cavallo, ed ella si gittò in su un altro de' migliori che v'erano, e andaro via. [40] Quelli si destaro e fecero gran corrotto, perché più non li potevano ire cercando. Come lo 'mperadore Federigo andò alla montagna del Veglio. [1] Lo 'mperadore Federigo andò una volta fino alla montagna del Veglio, e fulli fatto grande onore. [2] Il Veglio, per mostrar[l]i com'era temuto, guardò in alti, e vidde in su la torre due assessini. [3] Prese[s]i la gran barba; quelli se ne gittaro in terra e morirono incontanente. [4] Lo 'mperadore medesimo volle provare la moglie, però che li era detto che uno suo barone giaceva con lei. [5] Levossi una notte e andò a lei nella camera; e quella disse: - Voi ci foste pur ora un'altra volta -.