Volgarizzamento dell'Almansore di Razi secondo il ms. Laur. Pl. 73.43AnonimoConsiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto Opera del Vocabolario ItalianoRosa Piro, L’Almansore. Volgarizzamento fiorentino del XIV secolo. Edizione critica, Firenze, Sismel - Edizioni del Galluzzo, 2011.Volgarizzamento dell'Almansore di Razi secondo il ms. Laur. Pl. 73.43Anonimo13251301AL-00175tosc.fior.med. 1301-1325
Indice rubr.In questo quaderno sono distinti i capitoli del libro di Rasis filio Çacheria, e a ciascuno libro sono distinti ordinatamente i kapitoli e sono .x. libri, overo tractati.
IndiceQui cominciano i capitoli del libro di Rasis, il quale è distinto in diece libri, overo tractati. E àe ciaschuno tractato, overo libro, chapitoli ordinati sì come voi potrete vedere. Lo primo libro tracta de la figura e de la forma de' membri. Lo secondo libro tracta del notificamento e manifestamento de le complexioni de' corpi e delli omori ke segnoregiano i· lloro e de le significationi di fisonomia e de' mali particulari. Lo terço libro tracta de le virtudi de' cibi e de le medicine sempici. Lo quarto libro tracta del conservamento de la sanitade. Lo quinto libro tracta di decoratione, cioè di belleza e netteza. Lo sexto libro tracta del regimento di coloro ke fanno viagio. Lo septimo libro tracta de l'agragationi, ragunamenti e somme dell'arte di cirugia e de le fedite e delli apostemi. L'octavo libro tracta de la cura e sanamento de' veleni e de' morsi de' velenosi animali. Lo nono libro sì è, tracta, de la cura e medicamento de le 'nfertadi le quali adivengono dal capo infino ai piedi. Lo decimo libro tracta de le febri e di quelle cose ke ssono necessarie a perfecto conoscimento de le febri. Qui ditermina i capitoli del primo libro di Rasis filio Çacheria. Capitolo primo del primaio libro. De l'agregationi e somme del giovamento de' membri i quali ci conviene mandare dinançi nel cominciamento di questo tractato. Capitolo secondo. De la forma de l'ossa. Capitolo terço. De la forma de' muscholi. Capitolo quarto. De la forma de' nerbi. Capitolo quinto. De la forma de le vene ke procedono e vengono dal feghato e non sono pulsatelle, cioè per che ssi senta polso. Capitolo sexto. De la forma de l'arterie. Capitolo septimo. De la forma del cerebro. Capitolo ottavo. De la forma e figura de l'ochio. Capitolo .viiij. De la forma del naso. Capitolo decimo. De la forma delli orecchi e del suo bucino. Capitolo undecimo. De la forma de la lingua. Capitolo .xij. De la forma del gorgozule e de la boccha. Capitolo .xiij. De la forma del petto e del polmone. Capitolo .xiiij. De la forma del cuore. Capitolo .xv. De la forma del mery, cioè de la via onde scende il cibo e de lo stomaco. Capitolo .xvj. De la forma de le budella. Capitolo .xvij. De la figura del feghato. Capitolo .xviij. De la figura de la milza. Capitolo .xviiij. De la figura del fiele. Capitolo .xx. De la forma de le reni. Capitolo .xxj. De la figura de la vescica. Capitolo .xxij. Di nominare le somme, l'agregationi e 'l ragunamento del giovamento delli strumenti del notrichamento. Capitolo .xxiij. De la forma del sifach. Capitolo .xxiiij. Dell'osso del femore e membro virile. Capitolo .xxv. De la matera ke ssi parte dal corpo de l'huomo, cioè de la sperma. Capitolo .xxvj. De la forma de le poppe. Capitolo .xxvij. De la forma de la matrice. Qui apresso ditermina e si dimostrano i capitoli del secondo libro di Rasis. Capitolo primo del libro secondo. De le sonme ke colgono la scienza di congnoscere le complexioni. Capitolo secondo. De' segni del corpo iguali. Capitolo terzo. De' sengni de la complexione calda. Capitolo quarto. De' segni de la complexione freda. Capitolo .v. De' segni de la complesione humida. Capitolo .vj. De' segni de la complesione seccha. Capitolo septimo. De' segni de la complexione calda e secha. Capitolo .viij. De' segni de la complexione freda e umida. Capitolo .ix. De' sengni de la complexione del cerebro e de la sua forma, overo fighura. Capitolo .x. De' sengni de la complexione del cuore. Capitolo .xj. De' sengni de la complexione del fegato. Capitolo .xij. De' segni de la complesione del polmone. Capitolo .xiij. De' sengni de la complexione de lo stomaco. Capitolo .xiiij. De' sengni de la complexione de' testicoli, cioè de' granelli de l'huomo. Capitolo .xv. De' fiori ke ssi debbono dire e de le consequentie cioè di quelle cose ke sseguitano le quali sono necessarie e per le quali si fae giovamento a la cognicione de le complexioni. Capitolo .xvj. De' segni particulari per li quali si testimonia coll'altre significationi, e per li quali si fae giovamento per alcune dispositioni ne la congnitione de le complexione delli huomini. Capitolo .xvij. De' sengni de la deboleçça e fraleçça de' nervi. Capitolo .xviij. De la congniçione de la complesione de' membri e delli omori. Capitolo .xix. De la congnitione de la repletione. Capitolo .xx. Di conoscere e sapere quale de' quatro homori soprabonda. Capitolo .xxj. De la significatione e chognitione de la collera rossa. Capitolo .xxij. De la significatione de la collera nera. Capitolo .xxiij. De la significatione de la flemgma soprabondante. Capitolo .xxiiij. De la significatione de' songni (sonni). Capitolo .xxv. Del comperamento de' pregioni e delli schiavi, come per sengni huomo li dee conoscere ançi ke lli comperi. Capitolo .xxvj. De la significatione de' capelli. Capitolo .xxvij. De la significatione del colore. Capitolo .xxviij. De la significatione de li ochi. Capitolo .xxviiij. De la significatione de le cillia. Capitolo .xxx. De la significatione del naso. Capitolo .xxxj. De la significatione de la fronte. Capitolo .xxxij. De la significatione de la boccha e de' labbri e de' denti. Capitolo .xxxiij. De la significatione del viso e de la faccia. Capitolo .xxxiiij. De la significatione delli orecchii. Capitolo .xxxv. De la significatione de la boce. Capitolo .xxxvj. De la significatione de le carni. Capitolo .xxxvij. De la significatione del riso. Capitolo .xxxviij. De' movimenti. Capitolo .xxxviiij. De la significatione del collo. Capitolo .xL. De la significatione del ventre. Capitolo .xLj. De la significatione del dosso. Capitolo .xLij. De la significatione de le spalle. Capitolo .xLiij. De la significatione de le braccia. Capitolo .xLiiij. De la significatione de le palme de le mani. Capitolo .xLv. De la significatione del ginochio, e de la coscia, e de la gamba, e piede. Capitolo .xLvj. De la significatione de' passi. Capitolo .xLvij. De la significatione de l'ardimento e conoscere quelli k'è ardito. Capitolo .xLviij. De la significatione de la paura di conoscere quelli k'è pauroso. Capitolo .xLviiij. De la significatione de l'huomo di ratto ingengno. Capitolo .L. De' segni di colui k'à buona natura. Capitolo .Lj. De' sengni de l'huomo filosafo. Capitolo .Lij. De' segni de l'huomo k'è di duro ingengno e di grosso intendimento. Capitolo .Liij. De' sengni de lo svergognato. Capitolo .Liiij. De' segni de l'iracondio. Capitolo .Lv. De' segni del lussurioso. Capitolo .Lvj. De' sengni del feminile animo. Capitolo .Lvij. De' segni del nucho, cioè di colui ch'è sança collioni. Capitolo .Lviij. De l'agregatione del ragunamento il quale è mestieri d'oservare. Capitolo .Lviiij. De' giudicii e de la sottile inquisitione dell'arte di fisonomia. Qui cominciano i chapitoli del terço libro di Rasis filio Çacheria e sono in soma ventiquatro capitoli. Capitolo primo del terço libro. D'uno dicimento univesale per lo quale si fae giovamento a conoscere le virtudi e propietadi de' cibi e de le cose ke nodriscono e de le medicine. Capitolo secondo. Di conservare, overo conoscere, le virtudi de' semi de' quali si suole fare pane. Capitolo terço di quelle cose che ssi fanno di grano e d'orço. Capitolo quarto de la virtù de l'acqua. Capitolo quinto. De la virtù del vino. Capitolo sexto. De' beveraggi. Capitolo septimo. De la virtù de le carni e de la loro spetie. Capitolo .viij. De la virtù de' membri delli animali ke ss'usano di mangiare. Capitolo .ix. De le virtù le quali acquistano i cibi per l'artificio, e aparekiamento di loro. Capitolo decimo. De la virtù sissamorum, cioè di quelle cose che del mèle si conficiono e aparecchiano. Capitolo .xj. De la virtù e propietà dell'uova. Capitolo .xij. De la virtù del lacte e di quelle cose che di lui si fanno. Capitolo .xiij. De le virtù de' pesci. Capitolo .xiiij. De' semi e de le spetie ke ssono necessarie a la cucina. Capitolo .xv. De' camangiari et erbe, e quali di loro s'anministrano in dicotione. Capitolo .xvj. De la propietà e virtù de' fructi e de' pomi. Capitolo .xvij. De le cose odorifere, overo frutti odorosi, overo bene odoraferi. Capitolo .xviij. De le spetie odorifere. Capitolo .xviiij. Delli olii, overo unguenti. Capitolo .xx. De la virtù de' vestimenti. Capitolo .xxj. De la virtù de' venti e de la propietade dell'aiere. Capitolo .xxij. De le cittadi ke ssono sane e come si possono conoscere. Capitolo .xxiij. De le virtudi e de' lattovari ke ssono sani a usare, e quali si fanno di frutti e di fiori. Capitolo .xxiiij. De le spetie le quali huomo puote ongne ora usare. Disposto secondo l'ordine de le lettere de l'alfabeto di qualumque specie, il nome comincia da &Ca&c. Nel capitolo del &Ca&c si truova alesinone, e similliantemente si fae ne l'altre lettere. Qui cominciano i capitoli del quarto libro di Rasis, filio di Çacheria. Capitolo primo. De la misura delli exerciçii e faticha, e de la dispositione del loro tempo. Capitolo secondo. De la misura del sonno e de le sue ore, e del suo giovamento, e del suo nocimento. Capitolo terço. Del regimento del mangiare. Capitolo quarto. Del regimento del bere. Capitolo quinto. Del purghare il corpo da le superfluitadi. Capitolo .vj. Di temperare le case e le magioni per più sanamente dimorare. Capitolo septimo. Di pronosticare i mali accidenti e di dirli dinançi k'elli signoregino e ch'elli creschano. Capitolo ottavo. Dell'operatione de' pensamenti dell'anima, cioè dell'operacioni de' pensamenti animali. Capitolo .ix. Di conservare lo costume. Capitolo .x. Di torre e rimuovere la malatia de' salvatichi e rei nodrimenti. Capitolo .xj. Di levare e di tore il nocimento ke previene del vino. Capitolo .xij. Delli altri beveragi ke ssi prendono in luogho del vino. Capitolo .xiij. Del giovamento e del nocimento del torre sangue, e come e quando si dee fare e scemare. Capitolo .xiiij. Del giovamento del purgamento e del suo nocimento. Capitolo .xv. Del giovamento ke viene del vomire e reddere, e del suo nocimento, e come e quando si dee fare. Capitolo .xvj. D'avere a ffare kon fenmina e del suo giovamento e nocimento. Capitolo .xvij. Del giovamento del bangno e del suo nocimento, e come si dee fare. Capitolo .xviij. De l'abitudine del corpo, cioè grasseza e magreza. Capitolo .xviiij. Del giovamento e del nocimento de la fricatione de' labri, e le scorze de le noci, e del suo nocimento e quando si dee fare. Capitolo .xx. Del conservamento de' denti e kome l'huomo li dee guardare in biltade. Capitolo .xxj. Di conservare li occhi in sanitade e da farli belli e chiari e sani. Capitolo .xxij. Di conservare li orecchi e l'udire in sanitade. Capitolo .xxiij. Di guardarsi da le 'nfermitadi e mali ke ssi apichano e passano d'uno in altro. Capitolo .xxiiij. De la mortalitade e de la sua cautela e guardia. Capitolo .xxv. Del regimento del corpo, secondo i quatro temporali dell'anno. Capitolo .xxvj. De le femine prengne e come si deono guardare e conservare in sanitade. Capitolo .xxvij. De la malagevoleza del parto e del suo regimento a partorire legiermente. Capitolo .xxviij. Del regimento del fanciullo sì tosto kom'elli è nato. Capitolo .xviiij. Di scielliere la balia per nodrire il fanciullo e del suo regimento. Capitolo .xxx. Del regimento dell'altre etadi e de la vechieza tardare. Capitolo .xxxj. Di considerare e provare chente è il medicho. Qui cominciano i capitoli del quinto libro di Rasis filio di Çacheria. Capitolo primo. De le forfori del capo e kome si puote torre via e rimuovere le forfori. Capitolo secondo. Di curare il dipelamento del capo e de la barba. Capitolo terzo. Di fare nascere i peli ne' luoghi ingnudi e vòti. Capitolo quarto. Del conservamento de' capegli acciò ke non chagiano e k'elli diventino lunghi, e 'l medicamento cominciamento quando l'uhuomo diventa chalvo. Capitolo quinto. Di quelle cose che non lasciano cadere i capelli. Capitolo sexto. Del fendimento de' capelli che ssi chiama alopicia, over loppoli. Capitolo septimo. Da ffare i capelli crespi. Capitolo ottavo. Da ffare i capelli piani. Capitolo .ix. Da ffare i capegli neri. Capitolo decimo. Del regimento acciò ke l'huomo non incanutischa troppo tosto. Capitolo .xj. De la tintura de' capelli rossa, overo ruffa. Capitolo .xij. Da 'mbiancare i capegli. Capitolo .xiij. Di quelle cose ke tolgono via i capegli, e assottilliano, e divellono, e che no li lasciano nascere. Capitolo .xiiij. Di quelle cose che al tutto in tucto tolgono via i peli. Capitolo .xv. Di quelle cose che distruggono e mandano via il puço del dipelatoio e del silotro. Capitolo .xvj. Di quelle cose che non lasciano che 'l silotro e 'l dipelatoio faccia ardore, né cocimento, né bolle, né vesciche. Capitolo .xvij. De la sapha, cioè de le pustole e de le bolle del volto e del capo. Capitolo .xviij. Di quelle cose ke 'l volto inbiancano e la buccia sottilliano e fanno il volto lucente e chiaro. Capitolo .xix. Di quelle cose ke fanno il colore giallo. Capitolo .xx. Di quelle cose che fanno il colore nero. Capitolo .xxj. Di levare il panno del volto. Capitolo .xxij. De le grandi letigini e loro cura. Capitolo .xxiij. Da disfare e distrugere le margini e le cicatrici de le fedite. Capitolo .xxiiij. De la sapha rossa, la quale si fae nel volto. Capitolo .xxv. Da curare e da distrugere e rimuovere la verdeza ke aviene per percossa. Capitolo .xxvj. Da distrugere e disfare algesen. Capitolo .xxvij. Di quelle cose ke mandano via i segni de' vaiuoli. Capitolo .xviij. Del piçicore e de la rongna, e de le papici e bulle. Capitolo .xxviij. De sare. Capitolo .xxviiij. De la phasaf, cioè di sudationi. Capitolo .xxx. De la 'mpetigine, cioè volaticha. Capitolo .xxxj. De la morfea biancha. Capitolo .xxxij. De la morfea nera. Capitolo .xxxiij. De albaras. Capitolo .xxxiiij. De la malattia e lebrosia. Capitolo .xxxvij. Di quelle cose ke generano i peli ne' nepitelli. Capitolo .xxxvij. De' pidocchi ke ssi generano ne le nepitella. Capitolo .xxxviij. De l'orçaiuolo. Capitolo .xxxviiij. Di gesse, cioè quando dopo 'l dormire nom si possono aprire li occhi. Capitolo .xL. Delli occhi ke strabuçano in fuori per vomire o per altre cose. Capitolo .xLj. Del puço del naso. capitolo .xLij. Del puço de la boccha. Capitolo .xLiij. Di quelle cose ke l'odore del vino spengono e ripriemono. Capitolo .xLiiij. Di quelle cose ke ripriemono e spengono e tolgono l'odore delli agli, cipolle, porri e simili cose. Capitolo .xLv. Di quelle cose che tolgono il fluxo e 'l gociolamento de la saliva, o de la bava, ch'esce de la boccha, quando huomo dorme. Capitolo .xLvj. Di quelle cose ke non lasciano i denti corrodere. Capitolo .xLvij. Di quelle cose non lasciano cadere i denti che ssi crollano. Capitolo .xLviij. Di quelle cose che mondano e nettano le soperfluità che ssono nelli orecchi. Capitolo .xLviiij. Di quelle cose che non lasciano venire puço de le ditella. Capitolo .L. Di quelle cose che non lasciano i piedi sudare. Capitolo .Lj. Di quelle cose ke al sudore di tutto 'l corpo fanno avere buono odore. Capitolo .Lij. Di quelle cose che tolgono via il puço dell'orina e dello stercho. Capitolo .Liij. Di guardare i corpi morti le nom putano. Capitolo .Liiij. Di quelle cose ke i testicoli de' fanciulli ne le mamelle de le pulcelle non lasciano crescere, né pendere giuso. Capitolo .Lv. De le rusticheze le adivengono nell'unghie. Capitolo .Lvj. De le fessure del volto e de' labbri, e de la cotenna, e de la buccia ch'è ne le parti di fuori de la mano. Capitolo .Lvij. De l'emfiamento e piççicore ke avengono ne le mani nel verno e ne l'autunno. Capitolo .Lviij. Di quelle cose che ingrassano il corpo de l'huomo e de la femina. Capitolo .Lviij. Di quelle cose che dimagrano il corpo de l'huomo e de la femina. Capitolo .Lx. Di quelle cose che acrescono la sperma e fanno diriçare la vergha. Capitolo .Lxj. Di quelle cose ke riscaldano la natura de la femina. Capitolo .Lxij. Di quelle cose ke acrescono la dilettatione del coito, cioè di quando huomo usa carnalmente co la femina. Capitolo .Lxiij. Di coloro ke a la fine quando ànno usato co la femina escono a ssella, e del loro medicamento. Capitolo .Lxiij. Di coloro ke per lo troppo usare con femina sono indeboliti. Capitolo .Lxiiij. Di coloro ke per lo troppo usare con femina sono indeboliti. Capitolo .Lxv. Di quelle cose che la vergha fanno crescere. Capitolo .Lxvj. Di quelle cose ke costringono la natura de la fenmina dinançi. Capitolo .Lxvij. Di quelle cose ke tolgono e mandano via l'umidità de la natura de la femina. Capitolo .Lxviij. Di quelle cose che giovano a impregnare e ke riscaldano la natura de la femina. Capitolo .xix. Di quelle cose ke non lasciano imprengnare e fanno scipare. Capitolo .Lxx. Di quelle cose ke giovano a bere molto vino. Capitolo .Lxxj. Di quelle cose ke fanno tosto venire l'ebreza. Capitolo .Lxxij. Di qelle cose ke allievano l'ebbro e che tosto il gueriscono. Capitolo .Lxiij. Da curare e da guerire la crapula, cioè il soperchio riempimento del cibo e del bere. VI. Capitolo primo del sexto libro di Rasis. Del regimento e de la vita di coloro ke kanminano, e de la cautela, e de la guardia del caldo, e come si dee soccorrere al nocimento ke di cioe adiviene. Capitolo secondo. De la guardia de' die chaniculari e del medicamento e de la cura del nocimento ke di cioe aviene e procede. Capitolo terço. Di torre via la sete e di torre via la sua rocheza e nocimento. Capitolo quarto. Del regimento di coloro i quali nel tempo fredissimo e per molta neve kanminano, e loro konviene kanminare. Capitolo quinto. Del medicamento e guerimento di coloro ai quali per cagione predetta adiviene congelamento nel chamino. Capitolo .vj. De simcopi, cioè tramortimento ke aviene per la fame, e de la sua cura e medicamento. Capitolo .vij. De la guardia de l'estremitadi, cioè de le dita de' piedi e de le mani, e che tosto si socora a colui o a quella parte che ss'è già cominciata a corrompere, e de la sua cura e medicamento di quello ch'è già corrotto. Capitolo .viij. De la cagione quando l'ochio si congela, e per la troppa gram biancheza de la neve nom può vedere. Capitolo .ix. De l'ardore e del dolore ke adiviene all'occhio per chagione del grande freddo e del grande vento in chamino. Capitolo .x. De la cura de la lasseza e faticha di coloro ke ssono indeboliti nel canmino. Capitolo .xj. Di segnare aconciare e di sporre il corpo a kanminare, e del regimento del cibo nel canmino. Capitolo .xij. Di torre via il nocimento ke proviene de le diversitadi de l'acque. Capitolo .xiij. De le magioni di coloro i quali sono ne le castella. Capitolo .xiiij. Del regimento di coloro ke volliono navichare per mare. Capitolo .xv. Di quelle cose ke non lasciano ingenerare pidocchi e ke uccidono quelli che ssono ingenerati. Capitolo .xvj. Di quelle cose ke non lasciano mutare colore al sole e al vento. Capitolo .xvij. Di quelle cose che non lasciano fare le fessure nel calcagno. Capitolo .xviij. De lo scorticamento e dibuciamento ke aviene per lo cavalchare, o per li calzari, nel canminare. Capitolo .xviiij. Del cadimento e de le percosse ke avengono nel capo, overo in altra parte del corpo de l'huomo. VII. Capitolo primo. De l'agregationi e somme dell'arte di cirurgia, e de le fedite e delli apostemi ke sopravengono alli homini. Capitolo secondo. Di ramollare le dureze ke rimangono ne' membri dipo lloro raconciamento. Capitolo terzo. De le colletioni e de l'agregationi e somme dell'essiture de le fedite. Capitolo quarto. De' medicamenti e medicine ke generano e ristorano la charne. Capitolo .v. De' medicamenti ke menomano la charne superflua. Capitolo .vj. Di quelle cose ke saldano l'ulceragioni e generano carne nelli ulceri ke ànno molte humiditadi e lievano via la loro humidità superflua. Capitolo .vij. Di quelle cose ke rompono l'esciture in tal maniera ke non è mestiere ke huomo le fori con ferro. Capitolo .viij. De le scruofole e gavine. Capitolo .ix. Del cancro e sua cura. Capitolo .x. De' carbuncoli e sua cura. Capitolo .xj. De l'apostema caldo e sua cura. Capitolo .xij. De l'apostema molle e sua cura e guerigione. Capitolo .xiij. De l'apostema duro e sua cura. Capitolo .xiiij. De le grandi ghiandole. Capitolo .xv. De' nodi ghiandolosi. Capitolo .xviij. Del fuoco di Persia. Capitolo .xviij. De l'arostimento e adustione del fuocho, o de l'acqua, o dell'olio. Capitolo .xix. De' paterecci ke ssi fanno presso all'unghie e de la loro cura. Capitolo .xx. Del fluxo del sangue. Capitolo .xxj. De la flebotomia. Capitolo .xxij. De le ventose, overo kopette. Capitolo .xxiij. De le sanguisciughe. Capitolo .xxiiij. De la vena civile. Capitolo .xxv. Di trare le saette. Capitolo .xxvj. De le percosse ke ssi fano nel capo. Capitolo .xxvij. De' falsi e frodolenti medici ingannatori, e de le lor frode e inghanni. Capitolo primo dell'ottavo libro di Rasis. De le somme e agreghationi da medicare i veleni e i morsi de' velenosi animali, e come l'uhuomo si dee guardare da lloro. Capitolo secondo. Del morso de la vipera. Capitolo terzo. De le puncture de li scorpioni. Capitolo quarto. De le punture de' saraceti, o albarathen, cioè di scorpioni piccoli. Capitolo quinto. Del morso de la rutela e del ragnolo. Capitolo .vj. De la puntura de l'api e de le vespe. Capitolo .vij. Del morso de lo scellone e de la rutela. Capitolo .viij. Di quelle cose ke cacciano via li animali velenosi, e i serpenti, e i lupi, e le donnole, e l'altre fère rapaci. Capitolo .viiij. De' morsi de' cani non rabiosi, e de le bestie, e de' furoni e delli huomini. Capitolo .x. De' morsi de' cani rabiosi. Capitolo .xj. Di coloro ai quali i napelli si danno. Capitolo .xij. Di coloro ai quali sono dati a bere i cornispice. Capitolo .xiij. Di coloro ai quali il fiele del leopardo fue dato a bere. Capitolo .xiiij. Di coloro ai quali fu dato a bbere il fiele de la vipera. Capitolo .xv. Di coloro ai quali fue dato a bere la sommitade de la coda del cerbio. Capitolo .xvj. Di coloro ai quali il sudore de le bestie fue dato a bere. Capitolo .xvij. Di coloro ai quali fue dato a bere le canterelle e la stafisagria. Capitolo .xviij. Di coloro ai quali fu dato a bbere l'oppio. Capitolo .xix. Di coloro ai quali fue dato a bere il giusquiamo nero. Capitolo .xx. Di coloro ai quali fu dato a bbere la mandragora, cioè l'erba luccia. Capitolo .xxj. Di coloro a cui fu dato a bere le noci kastaneole. Capitolo .xxij. Di coloro a chui fu dato a bbere i semi de jusquiami albi. Capitolo .xxiij. Di coloro ai quali le foglie del coriandro verde fuoron date. Capitolo .xxiiij. Di coloro ai quali fuoron date il sugo de le foglie del psillio. Capitolo .xxv. De' funghi e trumbis mortali. Capitolo .xxvj. Del sangue e del latte ke ssi prende nel corpo. Capitolo .xxvij. Delli arostiti ke ssi cuoprono, sì che 'l fumo non ne puote uscire fuori. Capitolo .xxviij. Di coloro ke manucano i pesci freddi. Capitolo .xxviiij. Di coloro ke avessero mangiato il latte corrotto. Capitolo .xxx. De' noccioli muffati e corrotti, de' quali viene reo odore, e delli oli spessati di reo odore. Capitolo .xxxj. Di coloro ai quali fossero date le rane del lago o del fiume. Capitolo .xxxij. Di coloro ai quali fie dato la lievre del mare. Capitolo .xxxiij. Di coloro ai quali fue dato il reo castoro. Capitolo .xxxiiij. Di coloro ai quali fu dato l'anacardo. Capitolo .xxxv. Di coloro ai quali fu dato l'oleandro. Capitolo .xxxvj. Di coloro ai quali fu dato a bere la cipolla squilla. Capitolo .xxxvij. Di coloro ke avessero bevuto o fosse dato a bere il seme de l'orticha. Capitolo .xxxviij. Di coloro a cui fosse dato a bere e avesse fatto nocimento l'aqua fredda bevuta a oltragio. Capitolo .xxxviiij. Di coloro ai quali fue dato a bere il gesso. Capitolo .xL. Di coloro ke bevero lo litargiro. Capitolo .xLj. Di coloro ke bevero l'ariento vivo. Capitolo .xLij. Di coloro ke bevero la biaccha. Capitolo .xLiij. Di coloro ai quali fosse dato calcina insieme, overo arsenicho soblimato, o grasso di sapone, o ne la cui gola la polvere de l'arsenicho o calcina fosse entrata. Capitolo .xLiiij. Di coloro ai quali nocque la ferrugine del ferro, o la sua limatura fosse data a bere. Capitolo .xLv. Di coloro ai quali fosse dato a bere çimar, cioè verderame. Capitolo .xLvj. Di coloro ai quali fue dato a bere molto allume o vetriuolo. Capitolo .xLvij. Di coloro ai quali fosse dato a bere tottomalii, o altre velenose erbe. Capitolo .xLviij. Di coloro ke bevero lo eleboro biancho, e la noce vomicha, e 'l condisi, o archaytha. Capitolo .xLviiij. Di coloro ke bevero lo eleboro nero. Capitolo .L. Di coloro ai quali fue dato a bere l'euforbio. Capitolo .Lj. Del mellioramento de le medicine ka fanno uscire, nel quale si nomina le loro virtudi e la quantitade che ssi ne dee dare loro. Capitolo .Lij. De l'exempro di comporre le medicine purghative. Capitolo primo del nono libro di Rasis, il quale ditermina del male del capo, de la migranea, cioè quando la dollia è pur nell'una metade del capo. Capitolo secondo. De la vertigine e de la schotomia, cioè quando pare ke ongne cosa si giri intorno e àe tenebrositade e vuole cadere. Capitolo terzo. De la frenesia. Capitolo quarto. De l'apoplesia. Capitolo quinto. Del subeth, cioè di grave sonno. Capitolo .vj. Del congelamento quando alcuno giace quasi sì com'elli dormisse. Capitolo .vij. De la parlasya. Capitolo .viij. De l'adormentamento de' menbri e del loro triemito e ritrahimento. Capitolo nono del travolgimento de la boccha. Capitolo .x. De lo spasmo e contratione. Capitolo .xj. De la epilensia, cioè del mal maestro. Capitolo .xij. De l'incubo, cioè di colui ke la notte quando dorme si sente cadere adosso una cosa grave. Capitolo .xiij. De la malinconia. Capitolo .xiiij. Del catarro e rema. Capitolo .xv. De obtalmia, cioè d'apostema delli occhi. Capitolo .xvj. Delli ulceri delli occhi. Capitolo .xvij. Di quelle cose ke cagiono nelli occhi, o pelo, o paglia, o altro che ssia, e de la biancheza che ssi fa nell'occhio. Capitolo .xviij. De la scabbia e del sebel ke apaiono nelli occhi. Capitolo nonodecimo. De' lacrimali com piçicore. Capitolo .xx. De l'ungola o unghiella de l'occhio. Capitolo .xxj. De la macula rossa o d'altra cosa com percossa. Capitolo .xxij. Del vedere debole. Capitolo .xxiij. De l'emfiamento de le palpebra e de' peli de le palpebra ke tornano in emtro più che nom dovrebbero, e pungon l'ochio. Capitolo .xxiiij. De l'acqua che cade ne l'occhio. Capitolo .xxv. Di coloro ke non veghono dopo il sole tramonto. Capitolo .xxvj. De l'alargamento de la pupilla. Capitolo .xxvij. De le fistole che ssono ne le cantora de' lacrimali delli occhi. Capitolo .xxviij. De' medicamenti delli occhi. Capitolo .xxviiij. De la dollia delli orechi. Capitolo .xxx. Del tonamento delli orecchi. Capitolo .xxxj. De l'ulceragione delli orechi. Capitolo .xxxij. Del suono e tuono delli orechi. Capitolo .xxxiij. De la graveza dell'udire. Capitolo .xxxiiij. De' vermi delli orecchi e del panno delli animali che v'entrano entro. Capitolo .xxxv. Di quelle cose che di fuori sono entrate nelli orecchi. Capitolo .xxxvj. Quando elle esce troppo sangue del naso. Capitolo .xxxvij. De l'ulceragioni del naso. Capitolo .xxxviij. De le morici ke nascono nel naso, cioè del polippo. Capitolo .xxxviiij. Del perdimento de l'odorato, cioè quando huomo non sente né puzo, né odore. Capitolo .xL. Del dolore de' denti. Capitolo .xLj. D'insegnare trare i denti. Capitolo .xLij. De l'adormentamento e alleghamento de' denti, e di coloro ai quali dolliono i denti per cagione dell'aire freddo. Capitolo .xLiij. De le gengie sanguinose. Capitolo .xLiiij. del cadimento de l'uvola. Capitolo .xLv. De le mignatte k'entrano ne la ghola. Capitolo .xLvj. Di quelle cose k'entrano ne la gola, o spina, o osso ke ssia. Capitolo .xLvij. De la graveza de la lingua. Capitolo .xLviij. De la lingua ke ingrossa sì ke non cape ne la boccha, ançi n'esce fuori. Capitolo .xLviiij. De la ghiandola k'è annodata sotto la lingua, e delli apostemi che ssi fanno sotto la lingua. Capitolo .L. De la squinantia, cioè de l'apostema de la gola, overo colta. Capitolo .Lj. De la tossa aspra e seccha. Capitolo .Lij. De l'asma del petto. .Lij. De pleuresi, cioè quando alcuno si sente sopra le costi dolore pungnente. Capitolo .Liiij. De la pleriponya, cioè appostema del polmone. Capitolo .Lv. Di coloro ke gitano il sangue col vomito e collo sputo, o con ruscatione dal palato. Capitolo .Lvj. Del tisico, overo tisichezza. Capitolo .Lvij. Del triemito del cuore. Capitolo .Lviij. De la collerica infertade. Capitolo .Lviiij. Di quelle cose che confortano lo stomacho e adiutano bene ismaltire. Capitolo .Lx. Del dolore de l'apostema de lo stomacho. Capitolo .Lxj. Del singhiozzo. Capitolo .Lxij. De l'apostema de l'appetito canino. Capitolo .Lxiij. Del dolore del fegato. Capitolo .Lxiiij. De la yteritia, cioè quando huomo diventa giallo o nero. Capitolo .Lxv. De la ydropisia. Capitolo .Lxvj. De la dolglia de la milza. Capitolo .Lxvij. De la colica, cioè del male e dolore del fiancho. Capitolo .Lxviij. Del fluxo del ventre. Capitolo .Lxviiij. De la malagevoleza de l'orina. Capitolo .Lxx. De la malagevoleza del male de la pietra. Capitolo .Lxxj. De l'apostema ke ssi fa ne le reni, overo ne la vescicha. Capitolo .Lxxij. De l'ardore de l'orina. Capitolo .Lxxv. De' vermini ke ss'ingenerano nel ventre e nel fondamento de la natura. Capitolo .Lxxvj. De le morici e de le fistole e de le ragadie che ssi fanno ne la natura del fondamento di sotto. Capitolo .Lxxvij. Del budello del fondamento di sotto o de la matrisce k'esce fuori. Capitolo .Lxxviij. Di ristringnere i mestrui. Capitolo .Lxxviiij. Di provochare i mestrui. Capitolo .Lxxx. De le ragadie o crepace e aspreza de la natura de la femina. Capitolo .Lxxxj. De l'apostema che ssi fa ne la matrice de la femina. Capitolo .Lxxxij. De l'ulceragioni che ssi fanno ne la matrice e del cancro. Capitolo .Lxxxiij. De la putrefatione de la matrice, cioè quando la matrice emfia e sale in su e pare che la femina tramortischa e vada di questo mondo. Capitolo .Lxxxiiij. De la 'nfertà k' è kiamata mola, la quale è una infertà ke aviene a la femina alcuna volta ke paiono prengne e sono discolorite e ritengono i mestrui. Capitolo .Lxxxv. De' crepati e herniosi. Capitolo .Lxxxvj. De le gotte e de le doglie. Capitolo .Lxxxvij. De la scrignutezza. Capitolo .Lxxxviij. De le vene grosse ke appaiono per le gambe piene di sangue. Capitolo .Lxxxviiij. De l'helefantia, cioè quando i piedi e le ghambe diventano grosse molto e emfiate con ischiançe. Capitolo .Lxxxx. de la dollia che ssi fae manifesta ne' membri. Capitolo primo del decimo e ultimo libro di Rasis, nel quale ditermina de la febbre la quale dai medici è apellata effimera, e ponsi il proemio del libro. Capitolo secondo. De la febbre ethica. Capitolo terzo. De la febbre terzana. Capitolo quarto. De la febre causon. Capitolo quinto. De la febbre k'è dentro a le vene, la quale continua per kagione di molto sangue, et è apellata febbre almathicha. Capitolo .vj. De la febbre ke piglia ogne dì, la quale è kiamata flematicha. Capitolo septimo. De la febbre quartana. Capitolo .vij. De la febbre ne la quale la caldeza e la fredeza si truovano in una dispositione. Capitolo .viij. De le febbri continue. Capitolo .ix. De le febbri mescolate o erratice, ke nel quinto die o nel sexto, o per più tempo fanno parosismo, cioè vengono. Capitolo .x. Del triemito ke non si riscalda. Capitolo .xj. De la febbre ne la quale no è tramortimento, la quale s'ingenera d'omori rei e acuti. Capitolo .xij. De la febbre co la quale l'uhuomo tramortisce e àe deboleza, la quale aviene per moltitudine di crudi omori. Capitolo .xiij. De le febbri che avengono per kagione d'apostema. Capitolo .xiiij. De le febbri ke avengono per pistolentia, o per corruptione dell'aria. Capitolo .xv. De le febbri composte. Capitolo .xvj. De' vaiuoli e morbilli, overo rosolia, e de la loro cura. Capitolo .xvij. Di quelle cose ke ssono necessarie a ssapere reggere le 'mfertadi aghute. Capitolo .xviij. De' sengni che ssignificano bene ne lo 'mfermo. Capitolo .xix. De' segni rei ne lo 'mfermo. Capitolo .xx. Di conoscere il tempo de la febre e de la 'mfertade. Capitolo .xxj. De' segni de la digestione de la febbre. Capitolo .xxij. De la congnitione de la digestione de la febbre. Capitolo .xxiij. Del termine e in quanti modi huomo puote terminare. Capitolo .xxiiij. De' sengni i quali dimostrano e giudicano il termine. Capitolo .xv. Del mutamento de la materia ançi il termine. Capitolo .xxvj. Del buon termine. Capitolo .xxvij. Come si puote conoscere l'orina. Capitolo .xxviiij. Dell'uscita di sotto. Capitolo .xxx. De' polsi. Capitolo .xxxj. Del regimento di coloro ke ànno agute infermitadi. Capitolo .xxxij. Del regimento di convalescenti, cioè delli scappaticcii. E qui si determinano i capitoli del libro ultimo di Rasis. Sit nomen domini benedictum. Amen.
L. I, IntroduzioneQui comincia i· sovrano libro di Rasis filio di Çaccheria, traslatato per lo maestro Gherardo kremonese in Tolletto di lingua arabicha in latina, il quale veramente per lui "Almansore" sarà kiamato, perciò ke dal re Almansore, filio d'Isaach, fue komandato ke ssi compilasse. In questo mio libro al re, la vita del quale Dio prolunghi, io raguneroe le somme e l'agregationi de la dottrina di medicina, e questo farò brievemente e in soma. E io dirò i· llui, cioè in questo libro, del conservamento de la sanitade e de la curagione, cioè del medicamento, de le 'nfertadi e quelle cose ke sseguitano queste, le quali sança interponimento advegnono spesse volte. A le quali cose sapere la necessitade ci mena e per le quali cose è possibile a quelli ch'ànno lo 'ngegno acuto e subtile e 'l consillio d'iguagliare ai medici. E lascerò stare quelle cose ke rade volte solliono adivenire e lasceroe stare quelle cose ne le quali è troppo grande profunditade di dottrina e de 'nsegnamento ne l'arte. E questo libro io distingnerò in .x. tractati e in ciascuno suo tractato porrò i capitoli segnati e distinti per lettere de l'alphabeto per ordine secondo il lor numero, acciò ke quello ke l'huomo cercha tosto si possa trovare. E acciò k'io possa questo decentemente e aconciamente compiere, io kiamo e adimando il divino ducato, cioè menamento e aiuto, acciò k'io primieramente a llui, e poi apresso al re, piaccia e a llui incessantemente mi possa adcostare e adergere.
L. I, IndexE 'l primo trattato è de la figura e de la forma de' membri. E 'l secondo tractato sì è del notificamento e manifestamento de le complexioni de' corpi e delli omori ke ssegnoregiano i· lloro, e de le significationi di physanomia e de' mali particulari, colte e comprese brievemente. E 'l terço tractato sì è de le virtudi de' cibi e de le medicine sempici. E 'l quarto tractato è del conservamento de la sanitade. E 'l quinto tractato sì è de decoratione, cioè di bellezza e netteçça. E 'l sexto tractato sì è de regimento di coloro ke fanno viaggio. E 'l septimo sì è de l'agregationi, ragunamento e summe de l'arte di cirurgia e de le fedite e degli apostemi. E l'ottavo sì è de la sanatione e guerimento de' veleni e de' morsi delli animali velenosi. E 'l tractato .ix. sì è de la curatione e guerimento de le 'nfertadi e mali, le quali avengnono dal capo infino ai piedi. E 'l tractato decimo sì è de le febri e di quelle cose ke le febbri seguitano e di quelle cose ke ssono necessarie, a ssapere, a perfecto conoscimento di loro, cioè de le febbri. I capitoli del tractato del primaio libro sono .xxvij. De l'agregationi e somme del giovamento de' membri, i quali ci conviene mandare dinançi nel cominciamento di questo tractato. De la forma dell'ossa. De la forma de' muscoli. De la forma de' nerbi. De la forma de le vene ke procedono e vengono dal fegato e non sono pulsatele, cioè per ke ssi sente polso. De la forma de l'arterie, cioè per quelle ke ssi sente polso. De la forma del cerebro. De la forma de l'ochio. De la forma del naso. De la forma de l'orecchie e del suo bucino. De la forma de la lingua. De la forma del gorcozule e de la boccha. De la forma del pecto e del polmone. De la forma del cuore. De la forma del meri, cioè la via onde scende il cibo, e de lo stomaco. De la forma de le budella. De la forma del fegato. De la forma de la milça. De la forma de la ciesta del fiele. De la forma de le reni. De la forma de la vescicha. De le summis da dire e de' conoscimenti dell'utilitade delli strumenti del notricamento. De la forma del mirach. De la forma de' collioni e de la verga. De la forma del sifac. De la forma de le poppe. De la forma de la matrice. E questi sono i ventisette capitoli del tractato del primaio libro.
L. I, cap. 1 rubr.Capitolo primo del primo libro ke ditermina de l'agregationi e somme del giovamento de' membri.
L. I, cap. 1E 'l creatore di tucte le cose Dio fece e compuose l'ossa, acciò ke per loro il corpo fosse substentato e rettificato. Ma imperciò ke ffue mestiere alcuna volta muovere una parte del corpo (cioè de la persona) sança l'altra, non fece elli uno osso solamente in tucto 'l corpo ma molti. A le quali ossa diede diverse figure, acciò k'elle fossero aconcie a quello k'è mestiere d'essere facto per loro. E imperciò ke ffu mestiere ke alcuni di loro alcuna volta insieme e alcuna volta per sé l'uno sança l'altro si movessero, sì le congiunse elli e copuloe ad una substantia, la quale elli procreò e trasse dell'una extremitade dell'uno osso e la continuò e congiunse colla extremitade de l'altro osso. E questa subtantia è kiamata legamento, la quale è corpo e cosa dura e biancha e non à sentimento. E ancora ne l'estremitade dell'uno osso fece uno agiugnimento rotundo e ne la extremitade e fine de l'altro osso fece koncavitade capace, prenditrice e ricevitrice del predetto agiugnimento retondo, acciò ke in lei si collogasse. E per questa cotale disposicione pervennero le iuncture de l'ossa, per le quali i membri fuorono acconcii a esser mossi alcuna volta insieme e alcuna volta spartiti e l'uno sança l'altro. E i legamenti delli ossi non impedimentirono ke i membri insieme non si movessero, quasi sì come un membro fosse tanto solamente, imperciò quando noi vorremo muovere tucta la mano, noi la moveremo ko la iunctura dell'omero, con uno movimento, quasi sì come i· llei fosse uno osso tanto solamente, sì ke in lui, cioè in quel movimento de la coniuntura del gomito, non saremo impediti né da congiuntura de la rascetti, cioè del nodo de la mano, né da quella de le dita. E se nnoi vorremo una de le sue parti alcuna volta muovere sança l'altra, faremo quello co la iuntura propia di quella parte. E per questo, dunque, ebbe l'animale due modi di movimento, cioè a ssapere particulare e universale, secondo ciascuno de' quali elli si movesse sì come fosse mestiere e necesario. Ma imperciò ke l'ossa per sé non si muovono ma, per altro movitore ke le muove, continuate fuoro - e congiunte loro dal principio e da la radice del sentimento e del movimento e da la loro origine, cioè il cerebro - certe continuatadi le quali sono ' nerbi. E questi cotali nerbi non per sé semplici, cioè sanç'altra cosa, all'ossa si congiungono, ma primieramente co la charne e coi legamenti si mescolano, imperciò ke se 'l nerbo per sé solo al grande membro si congiungnesse, o in niuna maniera o debilmente il moverebbe. Per la qual cosa il nerbo, dinançi ke al membro pervengha ke per lui debbia essere mosso, sì ssi divide, e subtili e minute parti de la carne e del legamento in quelle cotali sue divisioni si tessono insieme. E quello ke di tucto quello tessimento perviene è kiamato muscolo. E la grandeza di questo cotal corpo, cioè muscolo, è secondo la misura del membro ke per lui dee esser mosso et è posto e situato in quella parte verso la quale il movimento di quel membro sarae. Ma poscia da una de le extremitadi del muscolo, cioè a ssapere k'è verso la parte del membro ke ssi muove, nascie una substantia, cioè una cosa k'è kiamata corda, la quale è corpo, cioè cosa composta del nerbo ke va al membro, et è legamento ke nnaque e uscì de l'osso, la quale è separata e divisa da la charne ke intra quelle due in miluogo del lacerto iera. E la corda si distende infino a tanto k'ella si congiungha ne la stremitade di sotto del membro che per lei dee esser mosso. Per la quale dispositione aviene ke, per piccola retratione adietro, ke 'l moscolo verso la parte de la sua sua radice si traggha, la corda fortemente sia tracta e 'l membro tucto si muova, imperciò k'ella è continua e congiunta ne la stremitade di sotto. E 'l cerebro fece Idio acciò k'elli fosse origine e radice de' senni e de' movimenti voluntarii e da llui, cioè dal cerebro, trasse i nerbi e produxe, i quali sono continuati e congiunti a' membri e danno loro, cioè ai membri, modi de' sentimenti e de' movimenti. E noi mosterremo onde i nerbi nascano quando noi tracteremo de la loro anotomya, cioè del loro essere e loro dispositione. E imperciò ke le parti del corpo di sotto, e ke dal cerebro son molto remote, ànno mestiere di sentimento e di movimento, e movimento e sentimento sança i nerbi avere non possono; e se i nerbi del cerebro per diritta via si protendessero e venissero, per la lungitudine del discendimento indebilirebbero, onde il lor protendimento non sarebe né fermo né forte. E perciò fece Idio sotto il craneo, cioè sotto 'l teschio del capo, forame per lo quale elli trasse e produsse parte del cerebro la quale è kiamata nucha. La quale, imperciò che nobile iera, a ssua guardia fece li spondoli (cioè l'ossa) de la schiena e l'ossa de la schiena, sì com'elli fece l'ossa del craneo a guardia del cerebro. La qual nucha così guernita elli prolungò secondo la lunghezza del corpo. De la quale, ancora quando nel diritto d'alcun membro è ke a llei è presso, sì trasse e produsse nerbi. I quali nerbi per li sponduli (cioè giunture de' nodi de la schena) uscendo e per li loro forami, a quel cotal membro si congiungano dandoli sentimento e movimento. Dunque se al cerebro sopraviene grande accidente e grande male, il sentimento e 'l movimento si tollie a tucto 'l corpo. Ma se aviene pur a la nucha, ai membri (ai quali i nerbi da quella parte vegnenti e procedenti si congiungono e che sotto loro sono) movimento e sentimento si tollie, imperciò ke 'l cerebro è quasi fonte de' senni e movimenti voluntari, e la nuca è sì come grande fiume il quale esca da llui, e i nerbi che da llui escono sono sì come piccoli ruscelli i quali escono dal fiume. Ma quando a la fonte aviene alcuno impedimento, quello impedimento fia comune, ké sse ai ruscelli averrà nocimento, quel nocimento sarae proprio de' luoghi ai quali quelli ruscelli vanno. Per la qual cosa noi dobiamo sapere onde ciascun nerbo nascha e a qual membro vada, imperò ke nell'arte di medicina è molto utile; la qual cosa Galieno testimonia nel libro ke ffece de' mali e de le 'nfertà de' membri dentro, così dicendo in questa maniera. Uno ne la via andando a Roma, cadde della mula sopra le pietre, del quale una degli spondoli, cioè de' nodi della schiena, si magangnoe; del cui magagnamento il dito mignolo e quello ke lli è al lato apena e con dureza a tempo si moveano. A le quali dita i medici e impiastri e altri medichamenti sopraponearo, de' quali lo 'nfermo neuno giovamento sentia; la qual cosa Galieno riguardando, quelli medesimi medichamenti puose sopra li sponduli, de' quali i nervi vengono ke a' predetti diti vanno, e così in questa maniera guerì. E i nerbi nel cominciamento de l'uscimento suo dal celabro o da la nucha, son molto molli e somillianti al celebro e a la nucha. E quando elli si cominciaro magiormente ad allunghare, indurano, infino a tanto ke ricevero perfetta forma de' nerbi. Dunque la sonma del giovamento de' nervi è ke ssono strumenta e vie per le quali il sentimento e 'l movimento a tucti è dato, onde se per traverso si talliaro, o 'l sentimento o 'l movimento o ciascuno si perderà del membro al quale elli vanno. Ma sse la nucha si costrigne o per traverso si tagli, il sentimento e 'l movimento di tucti i membri, de' quali i nervi dai luoghi vengono ke ssono sotto quello talliamento, si tollie e perde; ma advengna ke la detta nuca si tagli per lungheza, non riceverà grande impedimento. E similliantemente il talliamento de' nervi per lungheza se advenisse, non farà grande magagna né gran male, e se per traverso avenisse l'operatione per quel cotale talliamento, si distrugerà e perderà secondo la misura per la quale il talliamento trapassò e secondo la parte verso al quale trapassò. E 'l celabro, sança quello k'elli è origine e radice e fondamento di sentimento e movimento voluntario, è ancora, secondo la sentenza di Galieno, fondamento d'imaginamento e di pensamento e di memoria. E la ymaginatione si compie nei due ventricoli dinançi del cerebro, e 'l pensamento si compie nel ventricolo di mezo, e la memoria possiede il ventricolo di dietro. E 'l cuore fece Idio acciò ke fosse fonte e origgine del calore naturale e ke da llui tucto il corpo si rischaldasse per l'arterie, le quali da llui a tutti membri vanno. Onde se alcuno membro perde l'arterie k'erano adcostumate a llui venire, il movimento e il sentimento si congela e indura primieramente, poi apresso si distrugono e a la perfine, sì come morto, si redde. I muscoli e i nervi e ancora il cerebro, acciò ke 'n sua natura si conservi e acciò ke possa compiere le sue operationi, àe mestieri di certa misura di calore naturale, per la qual cosa l'arterie sono a llor mandate. E quello ke l'animale àe sopra le cose vegitatibili, sì come sopra le piante e sopra li albori, è il primaio giovamento e quello ke rriceve dal cuore. E quello ke riceve dal cerebro è 'l secondo, per lo quale è perfettione e quello a ke tutta la 'ntentione del facitore e la volontà fue intenta. Ma quello giovamento ke riceve dal feghato è a llui comune coi vegetatibili, imperciò ke non riceve da llui, cioè dal fegato, se nnon nudrimento e acrescimento; ma imperciò, acciò ke 'l cuore in sua natura si conservi, atractione d'aiere più fredda di lui fue necessaria e de mandar fuori l'aiere troppo rischaldata delle sue conkavità, fatte sono a llui strumenti d'atrarre l'aiere, cioè a ssapere lo petto e 'l polmone; entra lloro e 'l cuore son posti conchavitadi e forami, per li quali l'aiere atracta possa entrare e passare secondo ke nnoi diremo quando de la dispositione di questi membri tratteremo. E 'l fegato è fatto ad origine e nascimento del sangue e a la sua generatione, e acciò ke le vene ke da llui escono a tucti i membri vadano a dare loro umiditade, e a divisione del sangue per li membri secondo che a ciascheduno membro si conviene, per k'elli aviene ke 'l nodrimento e la loro conservatione rimangano sì come erano dinançi e acrescimento si fa di quelli membri ke crescono. Imperciò ke nulle cose sono ke rimangano sì com'erano dinançi, se non quelle di che niuna cosa si disolve o distruge, sì com'è la dispositione ne le pietre, sì come nel giacinto e ne l'oro e in simillianti cose, overo quelle le quali quello ch'è disoluto e menomato in loro si ristora sì come l'acqua del mare, la quale advengna ke ciascheuno die grande riceva menomamento e disolutione; tuctavia da l'entramento de' fiumi ciaschun die riceve ristoramento, onde sempre quasi in una medesima forma rimane servata quant'iera dinançi. Dunque i corpi delli animali, imperciò ke ssono composti di quelle cose ke ssi disolvono, a lloro non fu possibile ke acrescimento avessero ' in suo stato rimanessero sanza benificio di nodrimento; e imperciò ke quelle cose ke nnodriscono non sono d'una spetie kon quelle kose ke ssono disolute, konvenne ke nel corpo fosse membro ke quelli cotali nodrimenti mutasse in similitudine di quelle cose ke ierano disolvute. Ma imperciò ke quelle cose ke nnodriscono non del tucto in tutto si convertiscono, ma alcuna parte di loro e ll'altra parte rimane sì come humore superfluo, lo quale non riceve convertimento né assimilliamento di quelle cose ke ssono disolvute; la qual parte se nel corpo rimanesse generebe materie di gravi infertadi. Apparecchiate sono a la sua expulsione, cioè a mandarla fuori, istrumenti e chanali konvenienti. E imperciò ke l'operatione del nutrichamento in tre luogora si compie, tre sono generationi di superfluitadi. E l'una è superfluità de la prima digestione, cioè cotione, la quale se fa ne lo stomacho e ne le budella et è kiamata stercho, overo egestione. E l'altra è superfluità de la seconda digestione, la quale si compie nel feghato quando il sangue si genera e certo ella è collera, rossa o nera, e urina. E queste tre cose, divise e separate dal sangue, ànno propii receptaculi ne' quali sì ricevono sì come 'l fiele, la collera rossa, la melancolia, la milza e l'urina, le reni ricevono, secondo ke noi diremo per più manifesto tractato, quando noi diremo de le forme e de le dispositioni di questi membri. La superfluità de la terza digestione, la quale si fa in tucti membri quando a quelli membri s'assomillia il sangue (il qual sangue ad ciascuno di quelli membri vae), è sudore e ordura. E qualumque cosa de le superfluità k'esscono de' membri a lloro à ssomilliança, sì come mocci e lippitudini, cioè kaccha d'occhi e simillianti a queste. Ancora i modi de' membri nel corpo son quatro, de' quali tre sono principali, i quali ne la conservatione de la vita molto sono necessarii; de' quali alcuni sono istrumenta de nutricatione sì come lo stomacho e 'l feghato, e loro kanali e vene e vie ke a lloro pervengono sì come la boccha, e 'l meri, e l'altre vie ke da lloro escono sì come le budella. E alcuni sono strumenta del calore naturale e del suo conservamento, de' quali il primaio è il cuore e l'arterie, e poi il polmone e 'l pecto e qualumque altri valliono a l'attratione de l'aiere, secondo ke noi diremo nel suo luogho. E lli altri sono istrumenta del sentimento e del movimento e de l'operationi intellettuali, i quali sono il celebro, e la nucha, e i nerbi, e i muscoli, e le corde, e somillianti a questi, necessarii e valevoli a compiere l'actione, cioè l'operatione, e la passione, cioè il ricevimento. E in ciascun modo di questi strumenti, uno è principale e operante e li altri sono sì come serventi e aitanti a llui ne le sue operationi. E delli strumenti de la nutricatione il principale è il fegato. Ma delli strumenti del calore naturale il principale è il cuore. E delli strumenti del sentimento e del movimento e delle 'ntellectuali operationi principale è il cerebro. E ciascheduno di questi alli altri due è agroppato e legato e di loro à mestiere, imperciò ke 'l fegato se non mandasse a tucti li altri membri nudrimento, disolverebbersi e distrugerebbersi. E s'elli dal cuore non avesse kalore, la sua substantia non si conserverebbe, per la quale la sua operatione si compie. E 'l celebro se dall'arterie non ricevesse kalore, né da le vene ke dal feghato vengono non ricevesse nudrimento, sua natura non si conserverebbe, per la quale elli àe a compiere le sue operationi. E i muscoli del pecto, s'elli non si movessero dal cerebro, sarebbe impossibile cosa di attrare l'aiere, né la substanzia del cuore non si conserverebbe, per la quale il calore naturale ke nel cuore è si ventola e raffredda. E ' principali del quarto modo de' membri sono istrumenta di generatione, i quali sono la matrice, e la vergha, e i testicoli (cioè i collioni), e ' vaselli de la sperma. E questi strumenti non sono necessarii accioe ke un singulare perduri, ma acciò che la specie di quello singulare permangha e si conservi; e imperciò ke Dio, il qual sia benedetto, il corpo de l'huomo fece de' corpi disolubili e non durabili né stabili (onde non fu possibile ke uno singulare permanesse sempre), fece elli strumenta de la generatione per li quali almeno la spetie potesse durare. E queste cose ke noi abbiamo mandato dinançi e detto sono somme e agregationi de le dispositioni de' membri e de' loro giovamenti, la qual cosa noi diremo da ora innançi più kiaramente e secondo più divisioni. E tuctavia non lascieremo di colliere le somme. E lo 'ntendimento di questo libro non fu di colliere e di congregare tucte le cose da ssezzo e ke vengono poscia.
L. I, cap. 2 rubr.Capitolo secondo del primo libro de Rasis, il quale ditermina de la forma de l'ossa.
L. I, cap. 2Il craneo, cioè l'osso del capo, naturale è retondo, advegna ke non del tucto; nel quale sono molti forami per li quali molti nervi escono e vene e arterie entrano; et egli dinançi ne la parte de la fronte e de dietro nel zucolo è relevato; e in ciascuna parte delli orecchi è lato; e di tucti i forami ke i· llui sono è magiore quello k'è nel zucolo di dietro, per lo quale escie la nuccha. Et elli è composto di molti ossi de' quali l'uno è kontinuato all'altro, e 'l luogo ov'elli si congiungono è kiamato similliante a la congiuntione de la serra, cioè serrallio dentellato. E al craneo di sopra si continua la mandibula, ne la quale le mascelle e ' denti di sopra si continuano, la quale ancora si compone di molti ossi de' quali l'uno all'altro si continuano a ssimilitudine de serra. E dipo questa è la mascella di sotto, ne la quale i denti di sotto sono; l'ossa de la quale non si continuano a ssimilitudine di serra, sì come quelle ke ssono dette, ma ssi continuano con sole giunture. E certo la mascella di sotto ebbe mistiere di movimento, la quale è continuata a la mascella di sopra nel luogho k'è kiamato vidirsim, cioè substentamento. E questa è composta di due ossi non contando i denti, le quali due ossa si continuano a modo di serra in miluogo del mento. E ancora sotto il craneo, ne la parte di dietro, è uno grande osso, il quale è posto intra 'l craneo e la mascella di sopra, dal quale il menomamento, ke ne le figure de l'ossa si truova, si compie, il quale è kiamato alguatedi. Dumque tucti li ossi del craneo quando sieno annoverati saranno .xxiij., sanza i denti. De' quali sono .vj. propii del craneo e uno k'è kiamato alguatedi, sopra 'l quale le .vj. predette ossa stanno; e de la mascella di sopra .xiij. e di quella di sotto due. E in ciascheuna mascella sono .xvj. denti, de' quali due son kiamati duali e due ke sseguitano questi i quali son kiamati quadupli; dipo i quali d'una parte e d'altra son due, i quali son kiamati kanini; dipo i quali sono .v. kiamati molari dal lato diricto, e .v. dal sinistro. Alcuna volta de' molari menoma uno e non sono se non .iiij. E certo i molari di sopra ànno tre radici, alcuna volta quatro, ma i molari di sotto ànno pur due radici solamente, ma li altri denti sono contenti d'una sola radice. Dumque sono tucti li ossi del capo .Lv. E al capo al lato al grande forame, per lo quale la nucha esce (cioè la midolla de la skiena), la primaia spondile (cioè il primaio nodo de la schiena) è kontinuata, le quali certo sono .vij. E queste sono forate da le due parti, per li quali forami i nerbi escono ke vanno al lato ricto e al mancho. E dipo queste spondile del dosso sono quelle ke ssono .xvij. per numero, de le quali le .xij. sono kiamate spondili del pecto, imperciò ke nne la loro rectitudine il termine del petto di sotto finisce; e le .v. spondili ke sseguitano sono spondili ' alchatyn. Sono, dumque, tucte le spondili, ke da l'uscita de la nucha sono infino all'osso alathis, .xxiiij., alcuna volta ve n'àe una più o una meno, ke rrade volte adviene. E di questo luogo l'osso alathys a le spondili si continua, il quale è composto di tre parti ke ssono somillianti a lo spondile, al quale da la parte di sotto l'osso alhoas si continua, il quale somilliante è composto di tre parti. E la terza parte di queste k'è di sotto è alhosos, la quale è cartilagine, cioè tenerume ossosa. E da ciascuna giuntura de le predette due spondili e in ciascuna de le due parti esce nerbo, il quale a quella parte del corpo se distende e in lei si divide. E de la fine de l'hahossos un solo nerbo esce ke in quelli luoghi di divide. E le due ossa de l'anche, de' quali l'uno è dall'uno lato e l'altro ne l'altro, si continua a l'osso il qual è alcutys, cioè a ssapere l'uno dall'una parte e l'altro dall'altra, ne' quali sono i bossoli, cioè le concavitadi, de l'anche; ne le quali conchavitadi entrano i capi de l'ossa ke ssono ne le cosce e le quali capita di loro son kiamate vertebrha. E queste sono le forme de l'ossa e de li spondili, le quali sono ne le parti di dietro dal cominciamento de la nucha infino a alhosos. E aguale cominceremo a nominare le forme delli altri ossi ke ssono sotto 'l collo, de le quali sono l'ossa de le sue forche (o forcelle), e l'ossa de le spalle e del petto, e l'ossa de le mani, e ll'ossa del pettingnone e de le coscie, e l'ossa de' piedi. E l'osso de la forcella è di fuori gibboso, cioè colmo, e dentro è chavo, del quale uno de' due capi è continuato da l'homero al kapo dell'osso k'è kiamato adiutorio, e l'altra extremitade è continuata a la sumitade del pecto ove è la pisside de la gola, cioè la concavitade. E la spalla da la parte k'ella si soprapone al dosso è lata, co la quale capo kartilaginoso si continua, e da quella parte ke a la forcella approccia è rritonda, ne la quale è concavitade, nella quale il capo de l'osso k'è kiamato aiutorio entra. E l'ossa del pecto sono torax, lo quale si compone di .vij. ossa, ne la extremità di ciascuno de' quali è cartilagine, il chominciamento de' quali è da la pisside, cioè da la concavitade de la gola, e la fine è di sotto um pocho sotto le poppe, il quale luogo è più stretto di tucte le luogora ke ssono nel ventre, le quali, quando homo le palpa e toccha, le truova l'uhuomo molli non abienti ossa. E le coste in ciascheduno lato sono .xij., le quali sono churve, cioè pieghate, de le quali la magiore di tucte è la mezana; de le quali .vij. una de le due extremitadi, cioè a ssapere quella k'è di dietro, si continua alli sponduli del dosso; e quella k'è più dinanzi a uno delli ossi ke nel torace sono con capo cartilagino se continua. E di queste .v. sono corte in tal maniera ke al torace non si continuano, l'extremità de le quali, quando si priemono in entro, si sentono pieghare, le quali sono kiamate costoli de dietro. E quello k'è del ventre sotto al torace tucto è molle infino a ll'ossa del femore, cioè verso il pettingnone. E ora dinomineremo l'ossa de le mani e de' piedi. L'osso de le mani, il primaio, è quello k'è kiamato aiutorio, il quale è uno osso di fuori gibboso, cioè scringnuto, overo colmo, e dentro è conchavo, il chapo del quale entra ne la conchavitade de la spalla per quella quantitade ke già li è aparechiata. E questa è una de le sue extremitadi. E l'altra extremitade è nel gommito ne· quale è ruotola somilliante allo strumento d'attignere acqua, nel quale la stremitade del focile di sopra entra. E la lungheza de' due focili è dal gommito infino al nodo de la mano, de le quali quello k'è minore è kiamato il focile minore e quello k'è magiore è kiamato focile di sotto, de' quali ciascuno ne le sue somitadi ke ssono da parte de la rascietha àe uno aditamento, cioè una giunta, per lo quale si fae la giuntura k'è entra la rascettha e lei. E la rascettha si compone di .viij. ossa, ai quali quatro in due ordini dispositi, li altri quatro in quel medesimo ordine dispositi si congiungono, li quali conciosiacosaké sieno molto duri non ànno midolla, la figura de' quali è curva, cioè pieghata inn entro, per la quale la figura de la rascettha viene acconcia. E dopo la rascetta è il petten, cioè il dosso de la palma de la mano, il quale è composto di quattro ossa e all'ossa de la rascettha, con certi leghamenti molto fermi, è continuato. E all'ossa del pettene l'ossa de le dita si continuano, le quali in ciascun dito sono tre, de' quali uno all'altro per giunture, con fermati legamenti, si continuano. Dunque tucti li ossi de la mano sono .xxx. per conto, cioè a ssapere l'osso k'è kiamato aiutorio, e le due ossa ke sson kiamate focila, e l'ossa della rascettha ke ssono .viij., e l'ossa del pettene ke sson .iiij., e .xv. che sson de le dita, ma .v. ossa del pollice, cioè del dito grosso. Il primaio si continua a la extremitade del focile di sopra, nel luogho de la giuntura ampia e largha, la qual cosa perciò fu facto perké avea mestieri di grande movimento, acciò k'elli si potesse congiungnere all'altre quatro dita. Ma de l'ossa del piede ditermineremo ora, dapo' k'avemo narrato di quelle de le mani. De l'ossa del piede il primaio è quello de la coscia, il quale è uno di fuori gibboso e dentro lato, la cui stremitade di sopra è ritonda, la quale è kiamata vertebrun de la coscia; e questa entra ne la pisside dell'ancha, cioè ne la concavitade, da le quali si fae la primaia giunctura del piede. E la sua extremitade di sotto entra ne la pisside del magiore de' due focili de la gamba. E 'l termine de' due focili si protende dal ginocchio infino al calcagno; e quello ke di questi due è magiore è kiamato focile di sotto, il quale è ancora più lungo dell'altro; ma il minore focile è kiamato quello di sopra. E l'estremitadi di questi due focili sono continuate al calcagno, dai quali la terza giuntura del piede nasce. E a la iunctura ch'è nel ginocchio è sopraposto uno osso ritondo kartilaginoso, cioè di tenerume, il quale è kiamato occhio del ginocchio e da alcuno è kiamato molla. E al calcangno da la parte dinançi si congiugne uno osso il quale è chiamato navicula e di socto si congiungne ad uno osso il quale è kiamato assub, ai quali la rascetha del piede, la quale è composta di tre ossa, è continuata, per li quali proviene convenevol forma a quello k'è qui mestiere. E 'l petten, il dosso del piede, è kontinuato a la rascetta del piede il quale è composto di .v. ossa, per le quali l'ossa sono continuate al dito ke in ciascuno sono tre, trattone il grande dito nel quale sono due ossa tanto solamente. Dumque tucte contate l'ossa del piede sono .xxviiij., cioè uno de l'ancha e de la gamba due, e ll'osso del calcangno, e ll'osso k'è kiamato assub, e l'osso de la navicula, e le tre ossa de le quali si compone la rascetha, e l'altre .v. de le quali si compone il petten del piede, e ll'ossa de le dita .xiiij., e l'ossa del ginochio. E quando tutte l'ossa del corpo fieno annoverate, sì come Galieno annoverò .ccxLviij., fieno sanza l'osso ch'è nel pilliotto, cioè ne la gola, k'è ssimilliante a llauda, lettera greca la cui figura è questa }LAMBDA{. E ll'osso ch'è nel cuore, che da alcuni cirurgichi è detto karthalagine, e ' piccoli ossi, da' quali le vacuitadi ke ssono ne le giunture si riempiono, e sono kiamate sisamale, tutte queste se ne tragono et exceptano da quello conto e sopradetto e diterminato numero.
L. I, cap. 3 rubr.Capitolo terço. De la forma de' muscoli.
L. I, cap. 3I moscoli ke ssi truovano in tucto il corpo, quando elli fieno contati secondo Galieno e divisi, .Dxxviiij. si troveranno. E noi diciamo ke ' moscoli sono komposti di karne e di nerbo e di legamento, et elli sono strumenta de' movimenti voluntarii, cioè de' movimenti ke ll'animale fa di sua volontà. Le figure de' quali moscoli, secondo la diversità de' suoi luoghi, sì come a lloro è mestieri, si diversificano; e più e grande parte de loro, sì com'elli sono involti in charne, si distendono infino a tanto k'elli pervenghano a le sue extremitadi. De l'extremità de' quali un corpo nasce, cioè una cosa k'è kiamata corda, la qual corda si distende infino a tanto k'ella si congiungha a la stremità di sotto di quello membro ke per lei si dee muovere. E 'l membro per quella si muove in questa maniera, imperciò k'elli si racollie e ritrasi a la parte de la sua origine e de la sua radice, inde tutto il membro si ritrae ad quella parte a la quale si ritrae il muscolo. E se 'l membro ke ssi muove, o dee essere mosso, è grande, il muscolo ke 'l muove sarà grande e grosso, dal quale una o più corde nascono, le quali si continuano al membro ke ssi dee muovere. E alcuna volta nel movimento d'un membro molti muscoli si danno aiuto insieme. E 'l muscolo ke muove il piccolo membro è piccolo e subtile, imperciò il muscolo k'è ne la coscia e ke mmuove tucta la gamba è molto grande; e i muscoli che muovono le palpebre di sopra delli occhi molto son piccoli e sottili, dai quali corda non nasce. Dunque ogne membro ke ssi muove per movimento voluntario à muscolo per lo qual si muove; e s'elli si muove ad parti contrarie, à i muscoli di contraria positione, da ciascuna de' quali si trae a le sue parti, quando in tal maniera si muove, e 'l muscolo a llui contrario allotta ristà da la sua operatione, e quando alcuno muscolo è situato da la parte contraria farà la sua operatione insieme, allotta il membro starà diricto e in neuna de le due parti si kinerà. Verbigratia, la mano quando si trae dal muscolo k'è dal lato dentro del braccio, curvasi in entro; e quando si trae dal muscolo k'è pposto ne la parte mancha del braccio si piegha in fuori; e quando da ciascuno si trae insieme, eguale intra quelli due dimora diricta. E i movimenti voluntarii, i quali sono nel corpo, sono questi, cioè a ssapere: quello k'è ne la cotenna de la fronte; e 'l movimento k'è nelli occhi; e 'l movimento k'è ne le mascelle; e 'l movimento de la somitade del naso, e de le labbra, e de la lingua, e del pigliotto; e 'l movimento de la mascella di sotto; e 'l movimento del capo e del collo; e 'l movimento de l'homero e de la iumtura de la spalla; e 'l movimento de l'aiutorio; e 'l movimento il quale si fa de la summità de l'adiutorio e del braccio; e 'l movimento de la giuntura de' focili e de la rascettha; e 'l movimento de le dita e di ciascuna de le sue giunture; e 'l movimento de' membri ke ssono nel gozzo; e 'l movimento del petto, il quale si fae ne l'attractione dell'aiere; e 'l movimento de la vergha; e 'l movimento de la vescicha, quand'ella si chiude per ritenere l'orina; e 'l movimento de la sumitade del budello diricto, il quale si fae acciò ke lo sterco non escha; e 'l movimento del myrach del ventre; e 'l movimento de la giuntura ke ssi fa dall'ancha e da la coscia; e 'l movimento del ginocchio; e 'l movimento de la giuntura del piede co la gamba; e 'l movimento de le dita del pie'. De' quali ciascuno à muscoli ke ànno figure acconcie e convenevoli al retrahimento e al distendimento, per li quali i movimenti predetti si possono compiere. I quali tucti se nnoi cominceremo d'investigare e di kiedere, crescerà il libro e perverrà a quello di ke non grande uttili tà proviene, imperciò ke non è possibile cosa ke la forma de' muscoli possa essere ficta ne le menti delli altri e compresa per li nostri sermoni, sì come ne l'ossa e nerbi e vene e arterie, inperciò ke in questi è necessario spessa testimonianza di vedimento e molto studio. E imperciò noi comprenderemo tanto solamente il numero de' muscoli che ssono ne' membri. E noi diremo ke nel volto sono muscoli .xLv., de' quali al movimento delli occhi e de le sue palpebre sono .xxiiij.; e al movimento de la mascella sono .xij.; e ne le parti del volto ke ssi muovono per movimento voluntario .viiij.; e uno è sotto la extremitade de la cotenna de la fronte, per l'aiuto del quale aviene ke è grande aprimento de l'occhio; e li altri due dai quali l'extremitadi de le narillie si muovono; e lli altri due ke 'l labro di sopra muovono in suso, e lli altri due ke 'l labro di sopra muovono in giuso, e altri due qui labium inferius deorsum movent; e sanza questi sono due muscoli i quali muovono le mascelle. E i muscoli ke 'l capo muovono e 'l collo sono .xxiij., de' quali alcuni solamente muovono il capo a la parte ne la quale è il muscolo. E li altri ancora col capo muovono il collo, e sono alcuni i quali il muovono in su dinanzi, e alcuni indietro, e alcuni nel lato diricto, e alcuni nel sinistro. E quelli ke muovono la lingua sono .ix. e quelli ke muovono la gola e, sotto il gorgozule, l'epigliotto muovono sono .xxxij. E nel movimento di ciascuna spalla in ogne lato sono .vij., i quali tucti i suoi movimenti compiono, e ancora da ciascuna parte sono .xiiij., i quali muovono l'aiutorio. E quatro da ciascuna parte sono sopraposti a l'aiutorio, de' quali due ke ssono dentro e due ke ssono ne la parte di fuori lo stendono, imperciò k'elli sono in ciascuno braccio .xvij., de' quali .x. ne la parte di fuori son collocati e posti e .vij. ne la parte dentro, dai quali la mano dentro e di fuori e a la parte del dito grosso e a la parte del dito mignolo si muovono e si contraghono le dita e si stendono. E in ciascuna mano e da ciascuna parte sono .xviij., da' quali le dita verso 'l dito grosso o verso il dito mignolo si muovono. E al movimento del petto cento e .vij. muscoli sono costituti, de' quali alcuni il dilatano e alcuni il chostringono. E quelli ke tucti i movimenti del dosso compiono .xLviij. sono. E sono altri .viij. i quali sopra 'l corpo da la parte di sotto del petto sono alloghati e posti e si distendono infino al femur, cioè verso il pettingnone, de' quali alcuni i· llunghezza e alcuni in larghezza e alcuni nel traverso si stendono, dai quali tucti i movimenti del corpo, i quali, constringnendo o comprimendo, si fanno e si compiono. E per l'aiuto di questi ancora si fanno altri movimenti. E de' muscoli ne' collioni si truovano .iiij. muscoli, sanza i quali sono li altri quatro ke nmuovono la vergha. Et è uno il quale il collo de la vescica costringne acciò ke ll'orina nonn escha sanza nostra volontade. E ne la lungheza sono altressì .iiij., i quali tengono primieramente l'orificio acciò ke llo stercho non escha sança nostro volere. E a le cosce sono .xxvij., da' quali le coscie si muovono, i quali sono posti e situati di sopra a le cosce. E .xx. ne sono sopraposti a le cosce, i quali muovono le gambe. E al movimento de' piedi e d'alcuni de le sue dita sono sopraposti a le gambe .xxviij. e, acciò ke lli altri diti de' piedi si muovono, sopra i piedi .xxij. ne sono logati.
L. I, cap. 4 rubr.Capitolo .iiij. De la forma de' nervi.
L. I, cap. 4Il nascimento de' nervi e la loro origine o è dal cerebro o è da la nucha, cioè da la midolla de la schiena. E la nucha esce da la parte del cerebro di dietro, la quale se 'nvolge coi pannicoli del cerebro, i quali noi nomineremo quando noi tracteremo de l'anotthomya del cerebro. E la nucha predetta è coperta (si cuopre) delli spondoli infino a ttanto k'ella perviene a l'osso, il qual è kiamato, sì come noi dicemo, alhosos. E da questa nucha, per giascheduna giuntura de le due sponduli, um paio di nerbi esce, de' quali l'uno vae al lato diritto e l'altro al lato mancho; la quale cosa tanto lungamente si fa infino a ttanto k'ella perviene a la fine de alchosos; dal quale nerbo, il quale non à pare né compagno, esce, per la qual cosa elli è kiamato impar, cioè un solo. E ' nerbi somigliantemente ke dal celebro escono si truovano pari, cioè due a due, de' quali, sì come noi dicemo, l'uno si driza e va al lato destro e l'altro al lato sinixtro. E 'l primo paio di questi .vij. paia de nerbi che dal cerebro escono à due nerbi, i quali nascono ne la parte dinançi del cerebro e, adiriçati alli occhi, a llor dampno e 'l senno e 'l sentimento del vedimento; de' quali ciascheduno è cavo, i quali, dal cerebro nati e quando da llui sono um poco allunghati, congiungonsi insieme; e de le concavitadi d'ambimdue proviene conchavitade; ma tuttavia, ançi k'elli escano dal craneo, cioè de l'ossa del capo, si dividono elli. De' quali ciascheduno uscendo del craneo si diriza e va all'occhio k'è ne la sua parte. E 'l secondo paio nascie dipo 'l primo paio; il quale paio per li forami ke sono nel seno de l'occhio esce dal craneo e spargesi per li muscoli delli occhi, dando a lloro i suoi movimenti. xE 'l terzo paio dopo 'l nascimento del secondo paio nasce, sì come il primaio ventre del cerebro perviene al secondo ventre. E questi ventri io dirò poscia. E al quarto paio k'è dipo llui poscia si mescola, dal quale poi diviso in quatro parti si divide, de le quali l'una al ventre k'è sotto il diafra' (cioè la pellicola ke divide il pecto e quelle parti del corpo e quelle parti) discende; e de l'altre parti alcune per le luoghora del volto, e de la faccia, e delli orecchi, e de le narillie si spargono e vanno; e alcuna al paio ke sseguita questo paio si continua. E 'l quarto paio nasce dipo 'l terzo paio e per lo palato si sparge e divide, dandoli proprio sentimento. E 'l quinto paio è per l'una parte del quale si fa e 'l senno e 'l sentimento dell'udire e per l'altra sì ssi muovono i muscoli ke la faccia e 'l volto muovono. E 'l sexto paio è del quale l'una parte al gorgozule e a la lingua va, e l'altra ne' muscoli ke ssono ne le spalle e ne' membri ke ssono intorno a lloro va, e l'altra sua parte discende per lo collo la quale da ssé molti muscoli manda fuori; de' quali alcuni ai muscoli che ssono ne l'epilliotto vanno, i quali, quando al pecto vengono, si dividono ancora un'altra volta, le parte de' quali alcune ritornano suso tanto k'elle si congiungano a' muscoli ke ssono nel pilgliotto, e l'altre parti si spargono per la cassula del cuore, e per lo polmone, e per lo meri, e per le luoghora ke ssono vicine a cqueste. E quello k'è altro di questo paio, il qual è ancora magiore parte di questo, si protende e va infino a tanto che passi nel dyafragma e la sua magior parte si continua a la boccha de lo stomacho. E l'altra sua parte al pannicolo del fegato e de la milza si continua. E 'l septimo paio da la parte del cerebro de dietro, da la quale la nucha nasce, esce, il quale si divide per li muscoli de la lingua e del pilliotto. E da la nuca nascono .xxxj. paio di nerbi e uno nerbo ke non à paio, de' quali septe de li spondili del collo nascono, e .xij. paia delli spondili del dosso nascono infino ove il pecto si contrapone al dosso. E .v. paia ke ssono dopo queste dalli spondili del chathyn, il qual è il luogho di sotto del dosso, da li spondili de le coste di sotto nascono. E dall'osso alahanys tre altri nascono, de' quali altri tre da l'osso alhossos nati si truovano e da la sonmitade da alhossos nerbo, ke no à pare né compagno, nasce dal mezo di lui. E 'l primaio paio di questi ke nascono da la nucha dal primo forame de lo spondile del collo nasce, il quale ascendendo al capo si sparge per li suoi muscoli. E 'l secondo paio dal forame, ke entra la primaia e la seconda spondile si truova nato, a la cotenna del capo si continua dandoli senno di toccamento e si congiunge ai muscoli del collo e de le mascelle dando loro movimento. E 'l terzo paio del forame, k'è entra la seconda spondile e la terza nato, in due parti si divide; de le quali l'una a' muscoli che muovono le mascelle va e l'altra per li muscoli si diparte ke intra ll'una e l'altra spalla sono posti. E 'l quarto paio entra la terza e la quarta spondile nasce, il quale si divide in due; de' quali uno di dietro per li muscoli del dosso si parte e l'altro dinançi si divide e per li muscoli si parte ke ssono in diricto a llui e sopra llui. E 'l quinto paio, uscito intra la quarta e la quinta spondile, in tre parti si divide; de le quali l'una va al dyafragma, e l'altra ai muscoli ke muovono il capo e 'l collo va, e l'altra ai muscoli delle spalle si protende. E 'l sexto paio somigliantemente entra la quinta e la sexta spondile nasce. E 'l settimo intra la sesta e lla settima spondile nasce. E l'ottavo intra la septima e l'ottava spondile nasce, ove li spondili del collo finiscono. E de' nerbi da tucte queste parti vegnenti, alcuni per li muscoli del capo e del collo si dividono, e alcuni per li muscoli del dosso e del diafragma, exceptati e trattine quelli che procedono da l'ottavo paio de' quali neuno perviene al diafragma, e alcuni vanno a l'aiutorio e al braccio e a la mano. E le parti del sexto paio, alcune vanno ai muscoli de le spalle, e l'altre muovono l'aiutorio, e l'altre dampno sentimento a le parti di sopra de l'aiutorio. E del septimo paio alcune parti vanno ai muscoli che ssono de l'aiutorio, e l'altre muovono il braccio, e l'altre per la cotenna de l'aiutorio si spargono, dando a llui sentimento. E le parti de l'ottavo paio, alcune si spargono per la cotenna del braccio e si dividono dando a llui sentimento. E 'l nono paio entra l'ottava e la nona spondile esce ove li spondoli del dosso prendono kominciamento, le parti del quale alcune per li muscoli che ssono ne le coste si dividono, e l'altre per li moscoli de l'osso si dividono, e alcune discendono a la mano e si dividono in lei dandoli sentimento, e alcune le danno movimento. E 'l decimo paio intra la nona spondile e la decima nasce, del quale l'una parte mandata a la cotenna de l'aiutorio li dae sentimento e l'altra parte si divide, de le quale alcuna parte distesa dinançi per li moscoli ke ssono intra le costi e per li moscoli ke ssono vestiti sopra 'l pecto si partisce. E l'altra sua parte per li moscoli del dosso e de le spalle si divide. E a questo modo escono e dividonsi i nerbi dell'altre paia infino al nono decimo. E 'l vigesimo paio è il primo i cui nerbi da le spondili di sotto del dosso escono et entra la dicenovesima e vigesima spondile excono. E a questo modo intra li spondili .v. paia nascono, i nerbi de' quali alcuni vanno dinanzi e per li muscoli ke sson posti sopra 'l corpo si dividono, e lli altri si partono e dividono per li muscoli, e lli altri si dividono per li muscoli che sono sopra i lombi. E tre paia di sopra di questi .v. a' nerbi che si discendono del cerebro si mescolano. E l'altre due paia, ke sotto questi tre sono, mandano grandi rami de sé, i quali discendendo a le gambe infino a l'extremitadi de' piedi vengono. E i ventesimi nerbi del quinto paio sono i primai, i quali dal primo da le tre ossa alhavis escono. E dal secondo osso di queste tre paia il secondo esce. Dal terço il terço procede e viene. E queste tre paia si mescolano ai nerbi ke da le parti di sotto del dosso escono, de' quali grande parte discende ai piedi. Ma tre paia k'escono dalli ossi alhossos insieme col nerbo ke non à paio a la vergella, e ai muscoli del culo, e a la vescicha, e al muscolo k'è posto presso a queste altre luogora si protende e vae.
L. I, cap. 5 rubr.Capitolo quinto. De la forma de le vene ke procedono dal feghato.
L. I, cap. 5Tucte le vene nascono da la parte scrignuta e kolma del fegato, imperciò ke 'l fegato è dentro kavo e di fuori colmo e scrignuto. E sopra la sua parte colma e scrignuta una grande vena nasce, la quale, quand'ella èe um poco allungata, si divide in due parti de le quali l'una, ke magiore è, a le parti del corpo di sotto diriva e va, acciò k'ella dea bere e humiditade a tutti membri ke ivi si truovano e sono; e la seconda a l'embibitione e umentatione di tucti membri del corpo di sopra vae, la quale infino a tanto in tal maniera tende e va in su insino ad tanto k'ella sia continuata al diafragma, ove ella si divide in due vene, le quali per lo diafragma si dividono acciò k'elle il nodriscano, le quali poscia forano il diafragma. Dipo la cui perforatione vene sottili da lloro divise e disgregate al pannicolo ke divide il petto in due parti, e a la cassula del cuore (la quale dai medici è kiamata morum), si continuano e per li predeti membri si spargono, le forme de' quali io dimostrerrò in quello k'è a venire. E poscia un gran ramo si scevera da lloro, il quale all'una de le due orechie del cuore, cioè a la dericta, si continua e in tre parti si divide, de le quali l'una entra ne la concavità diricta del cuore, la quale è magior dell'altra, e la seconda circula e avirona intorno quelle parti ke ssono di fuori ne la superficie del cuore e se parte per lui tucto. E la terça parte ne le parti di sotto del petto si congiungne e i membri ke ivi sono nodrisce; la qual, poscia k'ella passa per lo cuore, per diricto in rectitudine si porge e va infino a tanto k'ella sia nel diretto de le forcele. E in questo andamento ramuscoli sottili da llei a diricto e a sinistro in ciascuna de le due parti si divide, i quali ' membri ke ne la loro rettitudine sono loghati o intorno a lloro imbeono e umentano. E di fuori ancora da ssé manda i rami, i quali ' muscoli di fuori ne la rettitudine de' predetti membri che dentro sono trovati humentano e rammolliscono. Da la quale, quand'ella sarà ne la rettitudine del titello, uno grande ramo esce fuori, il quale a la mano (la quale è da la parte di quello titello) si protende e vae, il quale è kiamato basilica. E questa quando sarà ne la rettitudine del mezo k'è intra due parti si divide, de le quali a la parte diricta e l'altra a la sinistra tende e vae. E di queste ciascuna si divide in due parti, de le quali l'una, sottoposta a l'homero, a la mano va da la parte di fuori et è kiamata ceffalicha; e l'altra di ciascuna parte si divide in due parti, de le quali l'una per le parti del collo dentro sale e monta infino ' tanto k'ella entra il craneo (cioè nel craneo), e le parti de' membri del cerebro e de' suoi pannicoli, ivi trovate, imbee e inumidisce; e nel suo passamento per lo collo infino a tanto ke entri nel cerebro, rami sottili da llei si dividono, i quali ' membri oculti e nascosi nel collo humentano; e questa è kiamata vena guttem piatta e nascosa. E l'altra, manifesta, monta e sale infino a tanto k'ella si divida per lo volto, per lo capo e per li occhi e per lo naso, e tucti questi membri nudrisca, la quale è kiamata guidem manifesta. E de la vena humerale, quando per lo gomito passa, alcuni rami sottili si dividono, dai quali quelli membri ke nell'aiutorio sono di fuori se 'nbeono e humentano. E similliante modo de la vena ascellata, cioè del ditello, rami sottili si dividono, i quali le carni piatte de l'aiutorio nodriscono. E quando la vena humerale e l'ascellata vengono presso de la giuntura del gomito, due parti si dividono da lloro, cioè a ssapere una da l'ascellata e l'altra da l'humerale, e insieme discendono infino a tanto ke di loro si faccia una vena la quale è kiamata purpurea. E l'altra parte de la vena humerale si distende per le manofeste parti de l'aiutorio e passa sopra 'l focile alto, e questa è kiamata funys del bracchio. E l'altra parte dell'ascellata, la quale è del luogo di sotto per la parte del braccio (la quale è nel profondo) passa, la quale tanto si scende infino k'ella pervengha al capo del focile di sotto e fassi d'uno de' suoi rami la vena k'è in mezo del piccolo dito e di quello ke lli è al lato, la quale è kiamata salvatella. E la parte ke discende a le parti del corpo di sotto sopra le spondili del dosso passa, la quale, discendendo di sotto in giù, si porge; da la quale rami escono, i quali a le reni e ai suoi panniculi e ai membri, i quali som posti intorno a questi, vanno e li nodriscono, da la quale poscia due gran rami si disceverano e partono, i quali entrano ne le concavità de le reni, dipo le quali si truovano altri due i quali vanno ai collioni e d'or en avante da quella medesima vena diricto a cciascuno spondile due altri rami si partono, i quali, andando a ll'uno e a ll'altro lato, i membri ke ssono intorno loro - le quali membra o ssono oculti e nascosi, sì come la matrice e la vescicha, o manifesti sì come il ventre e le budella - humentano, cioè danno humidità a quelli membri. La quale quando perviene a la sezaia spondile, si divide in due parti, de le quali l'una vae al piede diricto e l'altra al mancho, e da queste si dividono parti le quali nodriscono i muscoli de le cosce, de le quali alcune sono nascose e celate, da le quali si nodriscono i muscoli oculti, cioè non manofesti, e alcune manofeste, le quali i manofesti muscoli nudriscono. La quale, ancora, quando al ginocchio perviene si divide in tre parti, de le quali l'una passa per mezo, i cui rami nodriscono tucti i muscoli de la ghamba, i quali si truovano dentro e di fuori. E l'altra va a la parte dentro de la gamba, la quale infino a tanto va in tal maniera ke ssopra la chavillia dentro cominci ad aparire e allotta di lei si fa la vena k'è kiamata saphena. E la terza parte va a la parte de la gamba di fuori, la quale similliantemente s'occulta e nasconde infino k'ella a la chavillia di fuori pervenga, la quale è detta vena sciaticha. E da ciascuna di queste, quando al piede perviene, si dividono parti, le quali per lo piede si dividono, de le quali quelle ke ne le parti de le dita, cioè del piccolo e del secondo, da llui si truovano, sono parti de la vena sciaticha; e quelle ke ssi truovano ne le parti del dito grosso son parti de la vena sophena.
L. I, cap. 6 rubr.Capitolo .vj. De la forma de l'arterie ke procedono dal cuore.
L. I, cap. 6L'arterie tucte ke vengono dal cuore da la sua conchavità manca nascono. E da questo escono .ij. arterie, de le quali l'una k'è minore è guernita d'una tonica solamente, la quale è ancora più sottile de le tuniche de le due arterie, e questa, divegnendo vena, entra nel polmone e partesi i· llui. E dall'altra, la quale è molto magiore, ne la sua primaia uscita due rami si partono, de' quali l'uno, quello k'è magiore, va a la concavitade diritta del cuore, e l'altro a quelle parti ke ssono intorno intorno ne la superficie del cuore va e poscia entra in lui e in lui si sparge. E questa parte de l'arteria, la quale dimorò dopo la separatione e dopo 'l dividimento de' due predetti rami da llei, si divide in due parti, de le quali l'una discende a le parti del corpo di sotto e l'altra va a le parti del corpo di sopra. E questa parte andando a le parti di sopra si parte e divide in rami ke vanno ad ambendue lati, i quali ai membri sono continuati ke ssono diritto a quelli rami, acciò k'elli dieno loro il calore naturale. E questi rami tanto lungamente si distendono k'elli sieno diritto al ditello ove un ramo de la predeta arteria esce, il quale insieme co la vena ascellata, cioè di sotto il titello, va a la mano e per lei si divide, secondo ke nnoi dicemo ke la vena si divide. E da questo ramo si dividono rami, i quali vanno ad manofesti e a piatti e nascosi muscoli de l'adiutorio; et elli è sempre coperto e piatto infino a tanto k'elli perviene al gomito, ove in molti suoi corpi (o luoghi) apare il polso; et elli tanto lungamente sotto la vena ascellata va a llei congiunto infino ke sotto il gomito descende um pocho e a la perfine passa dentro più e si dilata, dal quale rami si dipartono subtili a modo di capelli, i quali sono continuati a moscoli del braccio, la qual cosa si fa tanto lunghamente infino ke passa gram parte del braccio. E dipo questo si divide in due parti, de le quali l'una passa per lo focile di sopra e va a la rascetta, e questa è l'arteria la quale i medici tocchano. E somilliantemente l'altra sua parte, trapassando per lo focile di sotto, va a la rascettha, e questa è la minore arteria. E queste ambindue per la vola, cioè per la palma de la mano, si partono, e 'l polso de le quali nel dosso della vola alcuna volta appare. E ancora questa arteria, la qual noi dicemo k'andava a le parti del corpo di sopra, quando viene al luogho il qual è mezano de le due forcele in due parti si partisce, da le quali ciascuna in due somilliantemente si divide parti, de le quali l'una è vicina e proximana a guidem piatta e tanto lunghamente sale infino k'entra ne l'osso del capo, cioè nel craneo. E in questo montamento del suo andamento, rami si dipartono da llei, i quali sono continuati ai membri celati e piatti k'ivi sono, sì come noi dicemo nel trattato de le vene. Ma quando ella è entrata nel craneo maravilliosamente vi si divide e fassi di lei quello k'è kiamato rete, sopra 'l cerebro sparto; la qual cosa è corpo e cosa somilliante a molte reti, de le quali reti l'una all'altra è sopraposta. E dipo questa cotale divisione di rete si ragunano et escono da la predetta rete due arterie, le quali, igualmente grandi sì com'elli erano ançi ke ssi dividessero da la predetta rete, le quali allotta entraro ne la substantia del cerebro e i· llui si partiro e divisero. E l'altra parte di queste due, la quale è ancora minore, va a la superficie del volto e del capo di sopra ove si divide per li membri manifesti, il polso del quale alcuna volta dipo l'orecchie appare e ne le tempie. E 'l polso il quale appare presso del guidem non è polso di questa arteria, ma de la magior parte k'è continuata al guidem occulta, cioè nascosa. E queste due arterie son kiamate litargige. E l'altra parte de le due arterie del cuore, discendendo a le parti del corpo di sotto, posta sopra li spondili del dosso discende dentro, da la quale presso di ciascuno spondile alcuni rami si dividono, de' quali, alcuno andando dal lato diritto e li altri dal lato sinistro, ai membri si continuano, i quali ritto a lloro sono allogati. E 'l primaio ramo ke da llei esce è quello ke va al polmone, dipo 'l quale son gli altri rami i quali vanno a' muscoli che ssonno intra le costi. E dopo questi sono gli altri rami i quali vanno al diaflagma, i quali li altri seguitano ke a lo stomaco, e al fegato, e a la milza, e a l'omento, o a rreticulo, e a le budella, e alle reni, e alla matrice, e a' coglioni, e a la vescica, e alla verga vanno. De' quali alcuni in tanto si distendono infino ke ai muscoli di fuori, i quali ne la rectitudine di questi luoghi son truovati, siano continuati. E quando tucti questi rami a la sezzaia spondile pervengono in due parti si dividono e, ai piedi discendendo, i quali in quella medesima maniera in kente le vene si dividono, e non è altra diferenza se non ke l'arterie vanno per la profondità de' membri, il polso de le quali ne la 'nguinaia e sotto la caviglia dentro, e di fuori, e nel dosso del piede, presso a la gran corda appare.
L. I, cap. 7 rubr.Capitolo .vij. De la figura del cerebro.
L. I, cap. 7Il cerebro non è solido, cioè sodo, ançi àe certe conchavità le quali son chiamate seve ventricoli, e sono secondo Galieno quatro, intra i quali alcune vie si truovano per le quali dall'uno all'altro si possa pervenire, de' quali due son posti ne la parte del cerebro dinanzi e uno nel mezzo e l'altro di dietro è posto e situato, de' quali la figura è cotale. Ma apo questi trapassamenti, cioè a ssapere i quali sono infra questi ventricoli, certe parti si truovano, le quali ànno figure convenevoli acciò ke alcuna volta gli apra e alcuna volta li chiuda. E ancora due agiungnimenti (i quali so· nati e derivati da due ventricoli dinanzi somilglianti ai capi de le poppe e vanno all'osso il quale è somilliante al colatoio) per li quali il sentimento, il qual è kiamato odorato, si compie e fae. E questo osso è perforato per molti forami nonn iguali ma dispartiti i· lluogho del craneo, cioè de l'osso del capo ove le narillie (cioè fori del naso) si rompono, è posto. Il cerebro sanza le predette cose à due panniculi, de' quali l'uno è grosso e l'altro è sottile. Ma il sottile è molto presso al cerebro e in alcuno luogho si mescola co llui. E 'l grosso s'accosta et aerge al craneo, il quale ancora al cerebro è molto presso e in due luogora è forato di molti forami, de' quali l'uno è presso del forame ove le nare al craneo si congiungono presso all'osso, il quale è kiamato colatoio, e l'altro è presso all'osso forato, il quale è nel palato. E per lo primaio osso, ke ssi congiugne a l'extremità di sopra de le nari del naso, le superfluità de' ventricoli dinanzi discendono a le nari del naso. E per lo secondo osso, k'è nel palato, kolano a la boccha le superfluità del ventricolo di mezo e di quello di dietro. E per l'expulsioni, cioè per lo mandamento fuori di queste superfluità, il cerebro si conserva e guarda sanza lesione, cioè sanza magagna, da molte malvagie infermitadi. E sotto il suo grosso pannicolo è una tessitura similliante a la rete, la qual è generata e facta dell'arterie ke ssalgono al capo, da la quale due arterie excono, sì come noi dicemo nel tractato de l'arterie le quali, entrando nel grosso pannicolo, si continuano e giungono al cerebro. E del nascimento de' nerbi ke vengono dal cerebro sufficientemente dicemo nel tractato de' nerbi.
L. I, cap. 8 rubr.Capitolo .viij. De la forma e figura dell'occhio.
L. I, cap. 8L'occhio si truova k'è composto di .vij. tuniche, cioè di panni .vij., e di tre homori, e 'l modo de la compositione del quale noi diremo aguale certo. Il nerbo conchavo, il quale prima esce dal cerebro andando a la parte di sopra de l'occhio, esce fuori del craneo. E questo ne la sua uscita è velato e coperto di due pannicoli del celebro, il quale uscendo fuori del craneo, perviene al sommo de l'osso de l'occhio e uno da llui grosso pannicolo si diparte, il quale si fae pannicolo e vestimento di tucta la superficie de l'osso dell'occhio; e questo pannicolo da' cirurgiani è kiamato isclioticha. E poi apresso dal predetto nervo si divide sottil pannicolo, il quale sotto la sciloticha passa in altro vestimento e pannicolo, il quale è kiamato secondina imperciò k'elli è somilliante a la secondina de le femine; e quel cotal nervo si dilata poi. E sotto i predetti due di lui si fa pannicolo il qual è kiamato retina tunicha; e nel mezo di questa cotale tonicha si genera ancora un corpo molle e humido, il quale è somilliante a colore di vetro e imperciò è kiamato omore vitreo, nel mezo del quale similliantemente un corpo si crea, il quale àe largheza con alcuna ritonditade, il quale, imperciò ke nel suo risplendimento è somilliante a la grangnuola, è kiamato homore grandineo, la metade del quale è intorneata del predetto omore vitreo e l'altra sua metade è circundata e avironata d'una tunicha, la quale è molto luminosa e, conciosiacosak'ella sia molto assomilliata a la tela del ragnatelo, è kiamata tela aranea. E sopra questa un corpo liquido, cioè una cosa liquida, è locata e posta, il qual, conciosiacosaké ssia molto somilliante all'albume dell'uovo, è kiamato homore albugineo, al quale dentro è sopraposto um corpo sottile, cioè a ssapere da la parte de l'homore albugineo, il qual corpo è crespo e di fuori è teso e il cui colore ne' corpi si diversifica; alcuna volta è molto nero, alcuna volta è meno, alcuna volta è vaio. E in questo mezo, cioè nel luogo ov'elli è posto di rimpetto a l'homore grandineo, è un foro ke alcuna volta si dilata e alcuna volta si costrigne, sì com'elli fu necessario e bisogno a l'homor grandineo per kagione del lume, e si costrigne quando il lume è molto, e si dilata quando è ne l'oscuro. E questo forame sì è la popilla. E 'l predetto pannicolo è kiamato tunica uvea. E da questa tunicha un altro corpo è sopraposto il quale lo cuopre, et è ispesso, duro e kiaro, somilliante ad um pezo di corno bianco, il quale è kiamato cornea tunicha, la qual è colorata secondo il colore de la tunicha a llei sopposta, la qual è kiamata uvea, secondo k'al vetro, inchiuso ne l'anello, alcuna cosa soprapone da la quale riceve colore. E sopra questa in questa maniera vestito, ma non sopra tutto, ma pervenendo infino a la nereza de l'occhio, un altro corpo v'è allocato, il quale è duro e di bianco colore et è kiamata tunicha congiuntiva, la quale è quello ke nell'occhio pare biancho; e questa tunica nasce della cotenna ch'è sopraposta al craneo di fuori. E la cornea nasce de la tunica scilotica e ll'uvea de la secondina, e l'aranea tela è creata de la retina.
L. I, cap. 9 rubr.Capitolo .viiij. De la figura de le nari del naso.
L. I, cap. 9I forami del naso, andando in su, in due parti si dividono, l'uno de' quali vae dentro a l'extremitade de la boccha e l'altro va in suso infino all'osso k'è somilliante al colatoio, il qual è posto dinanzi a due agiungnimenti del cerebro simillianti ai capezoli de le poppe. E per questa via e trapassamento si fae l'odoramento, ma per lo primaio foro ke ssi congiugne a la stremitade de la boccha viene l'acostumata atractione de l'aiere, non quella ke alcuna volta si suole fare co la boccha.
L. I, cap. 10 rubr.Capitolo .x. De la forma de' bucini de l'orecchie.
L. I, cap. 10Il forame de l'orecchie si truova ne l'osso duro, il quale è kiamato petroso, il quale osso è molto tortuoso e avolto e àe molte revolutioni; e in questa maniera si distende infino al nerbo del quinto paio ke dal cerebro nasce, per lo quale si fae l'udire.
L. I, cap. 11 rubr.Capitolo .xj. De la forma de la lingua.
L. I, cap. 11La lingua è karne molle e biancha, la quale è intorneata di molte vene piccole, ne le quali è sangue, per la qual cosa il suo colore è mutato in rosso. E sotto la sua parte di sotto sono vene e arterie molte e nerbi molti, la misura de' quali tutti, la grandezza, de la lingua è magiore. E ancora sotto lei sono due boche da le quali esce la ssaliva, le quali si stendono infino a la carne ghiandolosa e molle presso de la porta de la lingua. E questa è kiamata karne ke genera saliva e le due predette bocche son kiamate manda fuori saliva, imperciò ke per lor due lo homore naturale ne la lingua rimane e in quelle parti ke ssono intorno lei.
L. I, cap. 12 rubr.Capitolo .xij. De la forma de la gola e de la boccha.
L. I, cap. 12La stremitade de la boccha vae a due forami de' quali l'uno, cioè quello k'è locato dinançi, è la tracea arteria la qual è detta e kiamata da' cirugiani kanale del polmone, e l'altro k'è posto di dietro da la parte del collo, cioè sopra le sue spondili, è kiamato meri, per lo quale passa il cibo e 'l bere. E per la tracea arteria nom passa se non l'aria ke ssi trahe e si manda fuori per l'alito, a la quale è facto coperkio ke l'acompagnia, il quale la cuopre quando il cibo si tranghiottisce, il quale è facto imperciò ke niuna cosa di quello ke ssi tranghiotisce entri in lei, imperciò che, quando in lei entra alcuna cosa, aviene a l'huomo ostuamento e angoscia e mala dispositione similliante a la dispositione ke aviene ad alcuno quando alcuna cosa si mette nel naso, infino a tanto ke llo starnutamento si faccia. E similliantemente il polmone àe bollimento e pena e fassi i· llui forte tossa infino a tanto ke ssi mandi fuori quello k'è ne la tracea arteria. E questa dispositione de' membri è molto benfacta. E imperciò ke per questo forame si passa e va al polmone; e conciosiacosaké 'l polmone non sia strumento di notricamento, ma ssia strumento d'atrare l'aria, né di sotto sia perforato, onde se i· llui cadesse alcuna cosa, l'atractione dell'aria s'impedimentirebbe, fu mestiere ke elli fosse guardato. E imperciò fue elli assai convenevolmente guernito ke questo non possa advenire se non rade volte, la qual cosa allotta adviene quando l'uomo tosse, o grida, o elli favelli, e tranghiottisce il cibo ' insieme atrae l'aria, la qual cosa quando aviene sì non fina di tossire tanto ke tucto quello si mandi fuori. E in questo luogho strumento de la boce è fatto e la boce si genera dell'aria attratta. E in questi luoghi son facti strumenti convenevoli a generatione de la voce, non a generatione d'una sola voce ma a generare tutti suoi modi; de' quali è uno instrumento il quale è kiamato pilliottis, la quale si compone in tal maniera di tre cartaligini k'ella sia acconcia e convenevole a generatione di boce; e l'altro è un corpo, cioè una cosa corporea, ke ssimillia a la fistola de la lingua, cioè al foro o al cannello de la lingua, il quale è più nobile di tucti li altri strumenti de la boce, e li altri sono molti muscoli convenevoli, aconci e adatti a generare e fare i movimenti, i quali sono necessarii in questo luogho per la diversitade de le figure, de' quali diversi modi di boce pervengono. E tutti questi membri, cioè a ssapere la tracea arteria, e kanali del polmone, e tutto il polmone, e tucto 'l petto con tutti i suoi muscoli e i suoi pannicoli, e 'l diafragma, son facti per l'atractione de l'aiere. E per ciò, e da l'atractione de l'aria per lo pilliotto, e per lo corpo de la lingua k'è assomilliato a la fistola, cioè a la sampogna, proviene e si fae la boce. E dipo queste cose i toni de le boci e le lettere, per l'aiuto de la lingua e de le labbra, e de' denti, e di tucte quelle cose ke ssono ne la boccha si compiono.
L. I, cap. 13 rubr.Capitolo .xiij. De la forma del petto e del polmone.
L. I, cap. 13Le conchavitadi di tutto il ventre, cioè di tutto il cavo del corpo, le quali sono e si truovano da le forcelle infino a ddue ossa de l'anche, si dividono in due gram parti de le quali l'una, cioè quella k'è da la parte di sopra, contiene il polmone e il cuore, e l'altra k'è da la parte di sotto contiene lo stomacho, e le budella, e 'l feghato, e la milza, e 'l fiele, e le reni, e la vescicha, e la matrice. E queste conchavitadi uno membro scevera e divide, il qual è kiamato diafragma. E la diafragma comincia dal capo del torace e per traverso va in giuso a ciaschedun lato infino a tanto k'elli è continuato a la duodecima spondile del dosso, dividendo quello ch'è di sopra da llui da quello k'è ddi sotto da llui. E la concavità di sopra si distribuisce e divide ancora in due parti, le quali un altro pannicolo k'è ssomilliante al diafragma divide e distingue tendendo e andando per lo mezo di loro infino a tanto ke ssia continuato a li spondili del dosso. E di queste cotali tre concavitadi è facta cotale figura. E tucta la conkavità di sopra è kiamata pecto, il cui termine e fine da la parte di sopra sono le forcole, cioè le forcelle, e da la parte di sotto il diafragma ke divide il ventre per lunghezza. E questa ke noi dicemo è la figura del petto. E 'l canale del polmone, sì come noi dicemo, komincia da la extremitade de la boccha, il quale quando elli perviene al luogho k'è ssotto le forcelle in due parti si divide e si scevera, de le quali ciascheduna si divide ancora in molte parti, intra le quali si texe la carne k'è nel polmone e si consolida. E di questi kanali ke così si dividono, e de le vene ke vengono a lloro, e ancora de la carne ke lli acerkia e avirona, si genera il corpo del pulmone, del quale l'una metade ne la conchavitade diricta del pecto è kollocata e l'altra ne la mancha. E la tracea arteria si compone et è composta di due kartilagini k'ànno due parti di cerchio nom perfecto, l'estremità de le quali continua um pannicolo molle, il quale va secondo diritta linea, secondo ke apare in questa figura predetta. E tra questi molli anelli sono continuati panniculi e questi anelli sono duri e chartaliginosi. E la parte delli anelli gibbosa, cioè colma e scrignuta, è posta di fuori ne la parte manofesta del corpo, la quale ancora si puote tochare con mano e 'l suo luogo diritto si congiungne al meri. La qual cosa se ttu ymagine due kanne piccole poco lunghe, dell'una de le quali tu talliando lievi la terza parte e poscia il luogho de la talliatura tu chiude col pergameno, a la quale in lungheza e per lungheza tu agiungni un'altra kanna intera, kompierassi la visione e 'l vedimento, per la quale la forma de la congiuntione e del comunicamento de la tracea arteria e del meri si puote intendere. E tucta la conkavitade di sopra non è per altra cosa se non perké l'aria s'attraggha. E 'l petto quando si dilata trae il polmone e 'l dilata. E quando il polmon si dilata trae l'aria e fassi una de le due parti de l'alito, la quale è atractione de l'aria. E poi si costrigne il petto col quale si costrigne il polmone e fassi, per la sua costrintione, expulsione d'aria ke è la parte seconda de l'alito. E l'attractione dell'aria di fuori e la sua expulsione fu necessaria a l'aventamento del cuore, imperciò ke parte dell'aria atracta vae, per li forami ke ssono intra 'l pulmone e 'l cuore, al cuore, il quale, quando è riscaldato, è mistieri ke ssi mandi fuora e si muti, per la qual cosa il petto constrigne il polmone, il quale, constretto, manda fuori l'aria. E ancora si dilata il petto e dilata il polmone, il quale, dilatato, atrae l'altra aria secondo ke ssi fa ne' mantachi, per li quali si ventola il fuocho; i quali quando si dilatano s'empiono d'aria e quando si costringono si vòtano de l'aria. E impercioe il petto per la lungheza fue diviso in due conchavitadi e in ciascuna di loro la metade del polmone fu allogata acciò ke ll'alito avesse .ij. stumenti, acciò ke sse all'uno alcuno male extrano avenisse koll'altro a quel k'è mestier si potesse temperare. La qual cosa fu facta similgliantemente nelli occhi, imperciò ke questa operatione (cioè de l'alito), per la vehementia e per la forteza de la sua mobilitade e per la vehementia e força de la sua necessitade, acciò ke la vita perduri, acciò ke molto si conservasse, fu mestiere. La qual cosa per certo fu ben facto, imperciò ke al petto spesse volte viene percussione, per la quale una sua konchavitade si fora, ma coll'altra a compiere l'alito si tempera secondo k'elli è mestiere. E se i due suoi lati fosser forati, l'animale non potrà vivere più lungamente ke quelli ke ss'afoga. Ma imperciò ke la tracea arteria de la parte oculta e nascosa fu al meri adiuncta, il quale è forame per lo quale passa il cibo e 'l bere, imperciò pannicol molle fu posto da la parte del detto meri, acciò ke quando il meri la comprieme e costrigne per troppo riempimento o repletione a lei dea luogho e non si stringa il meri. E se noi non volessimo guardare la misura di questo libro ne le forme di questi membri e ne' loro giovamenti, amplificheremo e multiplicheremo le parole, la qual cosa schifando, comprendendo la somma de le parole, insistiamo a la brevitade in quanto noi possiamo, cioè abbreviamo questo libro.
L. I, cap. 14 rubr.Capitolo .xiiij. De la forma e figura del chuore.
L. I, cap. 14Il cuore in sua figura assomillia a la pina, il capo del qual è converso e tornato e rivolto, quello k'è in alcuna maniera aguto vae a le parti di sotto del corpo e la sua radice è di sopra. E 'l cuore à casula, cioè picola cassa e chaverna, la quale è d'uno pannicolo spesso lui circundante e avironante. E questa casula non del tutto in tutto, né d'ongne parte, a llui si continua, ma tanto solamente presso de la sua radice. E 'l cuore è posto in mezo del petto, il cui capo tornatile e rivolto declina um pocho a la parte manca, da la quale grande arteria nasce, cioè orthi (k'è così apellata), onde ancora il polso ne la parte mancha apare magiormente. E due ancora grandi ventricoli à, de' quali l'uno è nel lato diritto e l'altro nel sinistro. E truovasi ancora presso de la sua origine e de la sua radice una cosa ke assomillia a cartalagine, la qual cosa è sì come basis, cioè fondamento, di tucto il cuore. E intra 'l diritto ventricolo e 'l sinistro certi forami si truovano: e 'l ventre dritto dritto à due bocche, de le quali l'una è per la quale entrano le vene ke nnascono dal fegato e per la quale il sangue passa al ventricolo dritto del cuore, sopra il quale tutti i tre pannicoli stanno, l'andamento de' quali cominciando di fuori si compie dentro, la qual cosa fu acciò ke ssi riflettessero e ritornassero adietro a quello k'è 'ntra; e l'altra bocha è boccha de la vena ke da questo ventricolo è continuata al polmone, la quale, ancora conciosiacosak'ella sia vena e non arteria, le sue toniche son grosse e spesse, per la qual cosa dalli anathomici, cioè da quelli ke tractano de la dispositione de' membri, è kiamata vena arteria. E le tuniche dell'arterie son più grosse e più dure e più spesse de le tuniche de le vene, la qual cosa perciò dee così essere, imperciò ke l'arterie assiduamente si muovono tanto quanto huomo vive, per lo quale movimento se avenisse k'elle si rompessero, magior nocimento si seguiterebbe k'è del rompimento de le vene. E sopra questa boccha tre pannicoli sono collocati, l'andamento e l'entramento de' quali, kominciando da le parti dentro, termina da la parte di fuori acciò ke reghano e si ripieghino a quello k'esscie dal cuore. E in quello medesimo modo il ventricolo mancho àe due orificii, cioè due bocche de le quali l'una è boccha de la grande arteria, cioè orthy, da la quale l'arterie di tucto 'l corpo nascono; e sopra questa boccha paniculi si truovano, l'andamento e l'entramento de' quali cominciando da le parti dentro finisce da le parti di fuori, acciò ke regghano e si repieghino e si reflectino ad quello che dal cuore esce de lo spirito e del sangue. E l'altro è boccha de la vena la quale vae al polmone e ne la quale è trapassamento d'aria et èe entramento, per la quale dal pulmone si manda l'aria al cuore, sopra la quale ancora due pannicoli si truovano, l'entramento e andamento di fuori comincia e dentro si compie, acciò k'elli s'aprano e convenevoli e disposti si facciano, acciò ke ll'aria possa passare per loro al cuore. E ancora à due aditamenti, cioè due agiungnimenti simillianti alli orechi, de' quali l'uno è diritto e l'altro è mancho. E 'l polmone cuopre il cuore e guardalo ke lli ossi del petto dentro no 'l tocchino.
L. I, cap. 15 rubr.Capitolo .xv. De la figura del meri e de lo stomaco.
L. I, cap. 15In quello k'è passato dinançi è già mostrato ke due vie sono ne la stremitade de la boccha, de le quali l'una è facta acciò ke ll'aria al polmone si possa trare e andare, la quale è trachea arteria, e l'altra è acciò ke quello ke ssi bee e si manucha per lei passi a lo stomacho, la quale è il meri. E questo meato e questa via k'è kiamata meri è posta di dietro sopra li sponduli del collo, il quale, discendendo in giù, vae infino ad tanto k'elli fori il diafragma, sempre essendo legato kolli sponduli e con alcuni panniculi, il quale, poi k'elli perfora il diafragma, si dilata; e ivi il membro k'è kiamato stomaco, il quale dipo la predetta perforatione del diafragma s'inchina um pocho verso la parte mancha und'è il capo de lo stomacho, si truova inchinato a la parte mancha e 'l suo fondo s'inchina a la parte diritta. E se ttu ymagine una zuccha ritonda ke abbia il collo lungho da la parte di sopra, del quale un altro collo si contenga da la parte di sotto e sia sì come tu vedi, sarae la figura del meri e de lo stomaco. E ancora lo stomacho da la parte k'è a parte dorsi è um poco lato, del quale l'un capo, cioè quello k'è ddi sopra, è il meri e l'altro ch'è di sotto è kominciamento e principio de le budella et è legato kolli spondili e coll'altre cose dentro e budella kon fermi legamenti ke lui tengnono fermamente. E la fermeza del legamento e del substentamento di tutti l'interiori è secondo ke la loro nobilitade richiede e loro fu necessario e paura sopra lloro. E 'l meato, cioè la via di sotto, de lo stomaco è kiamato portanario. Il quale meato, poi ke 'l cibo è ragunato ne lo stomacho, si contrae e kiude in tanto ke niuna cosa di lui né ancora acqua ne puote uscire, tanto ke la digestione e la cotione sia compiuta e 'l cibo si corrompa, poscia s'apre infino a tanto ke quello k'è ne lo stomaco corra e vada a le budella. E questo luogo, sì come noi dicemo, qui nato, è cominciamento de le budella. E 'l corpo de lo stomaco è composto di tre tuniche, de le quali l'una àe suoi veli ke passano e vanno i· llungheza, e l'altra àe i suoi ke vanno i· llatitudine, e l'altra àe i suoi ke passano e vanno per lo traverso, i giovamenti de' quali è lungha cosa di narrare singularmente e ciascuno per sé.
L. I, cap. 16 rubr.De la figura de le budella. Capitolo .xvj.
L. I, cap. 16La figura de le budella distingnerò brevemente. Le budella si truovano composte di due tuniche e sopra la tunicha dentro si truova alcuna viscositade apicchata sì com'è lo stangnamento ke ssi fa ne le vasella. E tucte le budella sono sei solamente, de le quali le tre di sopra sono sottili e li altri tre ke ssono di sotto sono grosse. E de le sottili il primaio budello è quello ke ssi truova essere continuato a la boccha de lo stomacho di sotto il quale è kiamato duodeno, e questo seguita il budello il qual è kiamato yeiunum. Le quali due budella stanno dricte e sono stese ne la lunghezza del corpo. Ma tuctavia li orificii e le bocche, per le quali il nudrimento è portato e vae al fegato, sono più in questo budello ke nelli altri, i quali fieno nominati nel tractato del fegato. E il predetto budello seguita un altro il quale è kiamato minuto, il quale si truova k'è involto di molte involutioni e avolgimenti. E l'ampieza di queste tre budella si truova k'è iguale in grandezza a l'ampieza del portinario. E dipo questo l'altro budello seguita, il quale è chiamato monoculo. E questo è budello ampio e àe un forame tanto solamente, quasi com'elli fosse un saccho o una borsa, e à una bocca per la quale quello ke ll'una ora entra dentro, l'altra ora n'esce fuori, il quale ancora è allogato e posto nel lato diritto. E dipo quello incontanente seguita un budello il quale è kiamato kolon, il cui cominciamento è nel lato diritto, ma elli per la larghezza del ventre è porto e disteso infino al lato mancho. E dipo questo seguita il budello k'à nome recto, nel quale, conciosiacosak'elli abbia ampia concavitade, si collie e riceve lo sterco, sì come ne la vescicha si raguna l'orina. E la extremitade (cioè la fine) di questo budello è il culo, sopra 'l quale è un muscolo il quale non lascia uscire lo stercho infino a tanto ke il disiderio sia venuto ke ll'apra e allenti.
L. I, cap. 17 rubr.Capitolo .xvij. De la figura del fegato.
L. I, cap. 17Il fegato è posto nel lato diritto e kollocato sotto le coste di sopra, le quali sono di dietro, la cui figura è a modo di luna, il quale dentro da la parte de lo stomaco è conchavo, e ancora certi giungnimenti i quali alcuna volta .iiij. e alcuna volta .v. si truovano. Il quale ancora abraccia il lato diritto de lo stomacho e la sua gibosità, cioè il dosso, e 'l colmo si truova da la parte del diafragma et è legato ko llegamenti ke continuano il feghato al pannicolo, il qual è di sopra a llui. E di questa cotale conchavitade nasce un chanale, il quale è kiamato porta del fegato, la cui figura tiene somillianza di vena ma ssangue non tiene. E questo chanale si parte in molte parti, le quali ancora si dividono in molte parti, le quali molte divisioni vanno a la parte de lo stomaco di sotto e molte di queste al duodeno ' al jeiuno vanno. E ancora in questa maniera si protendono e vanno all'altre budella, infino a tanto k'elle pervengono al budello k'è kiamato rectum. E queste sono li orifici e le bocche ke noi nominammo, per le quali il nutrimento si trae e vae al fegato, lo quale nel suo trapassamento non cessa d'andare del luogo più stretto al più ampio, tanto k'ella sia ragunata nel canale k'è porta del fegato. E 'l predetto kanale ne la parte dentro del fegato si divide im parti sottili al modo de' capelli, ne le quali il nutricamento ke ffu tracto al fegato si disparte e divide e tanto lunghamente si cuoce de la carne del fegato k'elli sia fatto sangue. E dal gibbo, cioè dal dosso, del fegato una grande vena nasce da la quale le vene di tucto 'l corpo e de la persona prendono origine e nascimento secondo ke nnoi dicemmo ne l'anothomia de le vene. E la radice di questa cotale vena si divide im parti subtili ad modo de' capelli, le quali a le parti si congiungono ke ssono divise dal forame k'è kiamato porta. E fassi in questa maniera, acciò ke 'l sangue ke ssale da le divisioni de la vena di quella porta passi e vada a le parti de la vena ke nasce dal gibbo, cioè dal dosso, il quale, poi ke saranno ne le parti ke vengono dal gibbo, tanto lungamente si lieva passando da la parte più sottile a la parte più ampia, infino a tanto ke tucto il sangue si raguna ne la vena ke esce del gibbo del fegato.
L. I, cap. 18 rubr.Capitolo .xviij. De la figura de la milza.
L. I, cap. 18La milza secondo la sua figura è lungha, la quale è posta e locata ne la parte manca e aggropata e legata kon alcuni legamenti, i quali sono continuati al pannicolo il quale è sopra lei. E dall'una parte è apiccata a lo stomaco e dall'altra è continuata a le coste del dosso, del quale due pori nascono, de' quali l'uno a la boccha de lo stomaco e l'altro vae a la concavitade del fegato.
L. I, cap. 19 rubr.Capitolo .xviiij. De la figura del fiele.
L. I, cap. 19Il fiele, sopra il fegato e allogato e posto, à due pori similiantemente, de' quali l'uno vae a la concavitade del fegato e l'altro si parte e divide in parti, le quali vanno e tendono a le budella di sopra e al fondo de lo stomaco.
L. I, cap. 20 rubr.Capitolo .xx. De la figura de le reni.
L. I, cap. 20Le reni sono poste intorno al fegato da ciascuna parte delli spondi del dosso, de' quali il diritto tiene il luogho dinançi. E ciascuno di loro àe due colli, de' quali l'uno dal lato nel qual è elli vae a la grande vena k'è nel gibbo del fegato, e l'altro discende in giù infino ad tanto ke a la vescicha maravilliosamente sia continuato. E questi i quali discendono a la vescicha sono pori kuritydes e son kiamati emultoria.
L. I, cap. 21 rubr.Capitolo .xxj. De la figura de la vescicha.
L. I, cap. 21La vescicha è vasello de l'orina e suo receptaculo, la quale è allogata intra 'l femur e 'l culo et è composta di due tuniche. E sopra la sua boccha sono alcuni muscoli, i quali il costringono e guardano ke ll'orina non escha de la vescica sanza volontade infino ad tanto ke la volontade la lasci andare e l'orina discenda da le reni a la vescicha per due colli, i quali noi dicemmo ke eran kiamati emuntoria, i quali, quando pervengono a la vescicha, perforano una de le sue tuniche e poi passano intra le due sue tuniche infino a tanto ke pervengono al collo de la vescicha ove, perforando l'altra, discendono a la concavità de la vescika.
L. I, cap. 22 rubr.Capitolo .xxij. Di nominare l'agregationi e 'l ragunamento del giovamento delli strumenti del nutrichamento.
L. I, cap. 22La boccha sopra 'l senno e 'l sentimento del toccamento, il quale è comune in tucti i membri, ebbe propio senno d'assagiare e sentimento, la qual cosa fu acciò ke, intra quelle cose ke suavitade e dilettatione fanno e quelle ke fanno orribilitade, discerna e cognoscha, imperciò ke quella cosa ke porta e fa dilettatione nudrisce e fa prode più ke ll'altre. E la lingua fae grande giovamento il qual tiene nel formamento de la boce; e 'l cibo, quando si masticha, rivolge ne la boccha secondo k'è mistiere infino ad tanto ch'elli sia agevolmente macinato, ne la quale ella tiene simillianza de la mano del mugnaio, la quale rivolge quelle cose ke ssono mestiere al macinamento. E i denti sono in tre maniere, imperciò ke alcuni di loro sono aconci ad talliare, de' quali alcuni son kiamati duales e li altri quadupli; e li altri son fatti acciò ke fossero aconci e convenevoli ad alcune cose chostringnere: et elli son kiamati kanini; e li altri acciò k'elli fossero aconcii e disposti ad macinare, e questi sono kiamati molares. Et è ancora ne' denti una cosa la qual dee essere scripta e notata a maravilliosa sapientia, cioè a ssapere ke lli cisori e i quadrupli, riscontrandosi insieme, si toccano quando è mistiere. La qual cosa adviene allora quando alcuna cosa si conviene mordere, la qual cosa in nulla maniera si potrebbe fare se la mascella di sotto tanto lungamente andasse innançi, infino a tanto ke i denti di sotto ai denti di sopra si potessero riscontrare, acciò k'elli si giungano in rectitudine quelli ad quelli. E quando il cibo si dovrà masticare o macinare, la mascella di sotto vae al suo luogo e lli cisores e quadrupli di sotto si tragono dentro e non vanno incontro a quelli di sopra sì come facceano prima. E com questo aviene ancora ke i molari di sopra sopra quelli di sotto kaggiano quando è mestiere, la qual cosa allora aviene quando masticare si conviene, imperciò ke impossibile cosa sarà ke i duali e i quadlupi di sopra, riscontrandosi, ad que' di sotto si congiungnessero, sì che i molari insieme si riscontrassero, la qual cosa aviene quando alcuna cosa si rompe. E ancora le radici de' molari som più ke le radici delli altri denti, imperciò ke la loro operatione è molta e lungha. E i molari ke sson di sopra ànno più radici, imperciò k'elli pendono. E grande cautela s'à ke alcuna de le cose ke ssi manucano non entri ne la tracea arteria, sì come di sopra fu mostrato, imperciò ke ne l'ora del tranghiottire il meri discende giù e l'epilliotto si leva in su e allotta a la tracea arteria il suo copertoio s'aherge e acosta trabene, e in tal maniera ke quello ke ssi conviene tranghiottire sopra 'l dosso del predetto copertoio passa tanto k'elli pervengha al meri. Ma poi che quello ke ssi manucha discende a lo stomaco, lo stomaco l'acerchia e 'l portinario dinançi si chiude, il quale ancora dimora così infino a tanto ke la digestione sia compiuta. E 'l detto stomacho da la parte diricta dal fegato e da la mancha da la milça e dentro dal gibbo e di dietro da le carni del dosso è circundato, le quali cose tutte acciò son poste intorno ke 'l calore si ritengha e ke molto riscaldino lo stomaco. E 'l cibo in cotal maniera, ne lo stomaco dimorando tanto lunghamente, si cuoce k'elli assomillia a ssugho e ke per li predetti orificii e bocche, i quali vanno al feghato, al fegato sia aconcio di passare, le quali perciò fuorono molte, imperciò ke sse fosse uno tanto solamente, e a uno luogho solo andasse, fallerebeli e verrebeli meno, imperciò ke quello ke discende del cibo uscirebbe dal predetto luogho. Per la qual cosa i predetti orificii fuor molti, i quali son continuati a la magior parte de le concavitadi de le budella, acciò ke quello ke avesse lasciato l'uno de' predetti orificii, dall'altro sia tracto. E a le budella fuoron molte revolte acciò ke quello ke ssi manucha tanto lungamente si possa ritenere infino ad tanto ke tucta la sucositate k'è in lui s'attraggha e 'l cibo non discenda isdrucciolandosi troppo tosto. E questa operatione, cioè a ssapere d'attrare, si compie propiamente nel budello il quale è kiamato monoculo. E quello ke esce da questo budello niuna cosa ritiene in sé ke vallia ad nodrire, imperciò ke in lui abonda e signoreggia molto la putredine e imperciò ke quello ke ss'atrahe al fegato da la sua carne tanto lungamente vi si cuoce infino ke passi in sangue e si faccia sangue. E mestier fue ke quello ke ss'atrahe tanto lungamente patisca e riceva l'operatione infino ad tanto ke piccola quantitade di lui di molta carne del fegato sia circundata, acciò ke la sua conversione sia tosta e agevole, per la qual cosa il canale, il quale è kiamato porta del fegato, al quale ciò ke ssi atrae s'agiugne ad nudrimento, in minute parti ne la conchavitade del fegato si divide. La qual cosa similliantemente è fatta, acciò ke quel ke s'attrahe in sangue si convertischa tosto e agevolmente e imperciò ke i membri non si possono nudrire e acrescere sanza sangue mondo e conveniente, e col sangue insieme due si generano superfluitadi, le quali allotta non generarsi è impossibile cosa, imperciò ke in tucte le cotioni e digestioni aviene d'essere fatto in questa maniera, de le quali l'una assomillia a la feccia e l'altra si truova somilliante a la spiuma; mistier fu ke 'l sangue da quelle si mondasse e nettasse. Per la qual cosa fatto fue il fiele, il quale à collo, il quale tanto lunghamente si protende tanto k'elli entra ne la conchavità del feghato, per lo quale la collera rossa è tracta, la quale insieme col sangue si genera. E la milza somilliantemente fue creata, la quale àe somilliantemente collo il quale vae al feghato, per lo quale e col quale un'altra superfluitade si trae, de la quale s'ingenera la collera nera. E allotta dimora il sangue mondo e netto, neuna cosa in sé abbiendo di collera rossa o nera se non quello ke mistiere è, ma tuctavia elli è più sottile ke non fu mestiere. Dumque fu mistiere ke l'acquosa superfluitade ke i· llui rimase da llui sia mandata fuori, la qual cosa è tanto lungamente da ffare infino k'elli abbia grossezza, per la quale elli sia apto, aconcio e convenevole a karne generare. Per la qual cosa fatte fuoro le reni, da cciascuna de le quali un collo lungho fu disteso andando a la vena k'è nel gibbo del feghato, cioè nel dosso del feghato; dal quale luogho quello k'è aquoso nel sangue, inançi ke 'l sangue si lievi in alto e imbea i membri, si trae per lo predetto collo. E quando il sangue sarà purgato da le predette tre superfluitadi, il suo mondificamento sarae allotta compiuto e sarà aconcio e convenevole di nodrire i membri e d'acrescerli secondo k'è loro convenevole. E tu ssaprai la magnitudine e la grandeza del giovamento che ss'àe de la purgatione del sangue da queste superfluitadi, quando tu avrai considerato le cose nuove e le novitadi ke a questi strumenti avengono. Imperciò ke 'l fiele quando non atrae la collera rossa, ma col sangue tanto lunghamente il lascia ke va ai membri ke ssi debbono nodrire, molte infermitadi avengono de la collera rossa sì come yteritia, cioè giallore, e pustole rosse, cioè bolle rosse, piccole, e formicha, e rosseza ke aviene com piççicore e febri agute e somillianti a queste. E la milza quando non trahe la collera nera, avegnono infermitadi di collera nera, sì come yteritia, e morphea nera, e impetigine, cioè volaticha, e letigini, e malattia, e meninconia, e somillianti a questi. E la superfluitade aquosa, cioè l'orina, se non passa e vae a le reni, una de le due spetie de la ydropisia, cioè alcite, cioè a ssapere yposarcha averae e si generrae. Dumque se i predetti tre strumenti non fossero, le predette infertadi averebbero assiduamente e spesso, e ke 'l collo del fiele e 'l collo de la milza, vegnendo a la conchavitade del fegato, quello che dee essere expulso e mandato fuori da llui sia tracto maravilliosamente e fatto e saviamente. E da le reni a la vena ke sale dal fegato due colli vanno, i quali indi traggono la superfluità aquosa, cioè l'orina. La qual cosa è per ciò: perké 'l sangue fue necessario ke a questo luogho si levasse e salisse ne' meati, cioè ne le vie minute, in modo di subtilitade de' capelli. E allotta conviene ke questa aguosità in lui rimanesse acciò ke la sua sottillieza a llui rimanesse, atando lui sopra la velocitade, tostezza e spilliateza del suo salimento in questi suoi meati e vie. Per la qual cosa lo strumento ke l'atrae non fu ivi continuato, ma poi k'elli salie e in queste sottili vie passoe a la via ampia e pervenne, et iscusato de la sua suttilitade, et ebbe mestiere de la sua grossezza, et è ivi giunto a llei. E quando sale a queste vene, sangue mondo si divide per tutto 'l corpo, acciò k'elli imbea tutti i membri del corpo e a ciascheduno mandi la sua parte, la quale secondo la sua quantitade giustamente a llui toccha, secondo ke noi dicemo ne la divisione de le vene. E 'l sangue k'è così diviso ne' membri in ciascuno di loro si converte ne la sua natura e così il nodrisce e acresce, se 'l corpo e la persona àe ancora mestiere d'acrescimento e se non si ristora quello k'è disoluto e distructo da llui, se 'l corpo e la persona non menoma ancora. E s'elli komincia già a menomare, sì ssi ristora meno ke quello ch'è ddisoluto. E l'operatione ke noi dicemo aguale è la finale kagione per ke ll'animale ebbe mestiere di tutti li strumenti del nutricamento; e acciò ke le predette superfluitadi, da le quali il sangue si purgha, di tutto in tutto nom paressero inutili, sì le fece Idio, il quale sia benedetto, utili alli altri grandi giovamenti; e imperciò il fiele kon un solo collo il sangue purga da la collera rossa, sì come è predetto, e coll'altro collo la manda a le budella ove la detta collera per la sua acuitade e per lo suo pugnimento e pizicamento le budella fa conmuovere a l'expulsione e a mandare fuori lo stercho. E questa è la cagione per la quale il corpo si purgha da lo sterco e ss'asicura da lo 'nduramento de lo stercho e dal suo retenimento. E 'l fiele trae la superfluità puzolente da la quale purgha il sangue e la convertisce ancora infino k'ella sia aconcia e convenevole ad acesositade e ponticitade, cioè lazeza. Poscia di lei manda ciascun die alcuna cosa a la boccha de lo stomacho, accioe ke per la sua afrezza e lazeçça in lui exciti e aguççi e commuova l'appetito, la quale poscia insieme ko lo sterco si manda fuori. E le reni, sì come è predetto, traggono l'aquosa superfluitade del sangue e de la parte ke lloro è convenevole ke ssi truova ne la predetta superfluità si nodriscono, e l'altra sua parte si manda a la vescicha per li due forami ke noi nominammo. E la vescicha fue ampia acciò ke non sia mestiere l'animale continuamente levarsi a urinare. E sopra la sua boccha fue posto un muscolo, il quale la costrigne in tal maniera ke di lei neuna cosa escha se primieramente non è piena e cominci ad avere pena e bollimento per la moltitudine dell'urina e de la sua acuitade e allotta voluntariamente s'apra e l'urina si mandi fuori. E 'l trapassamento e la via di questi forami maravilliosamente e saviamente è facto, imperciò ke tu vedi ke quando la vescicha s'emfia il vento di lei non esce, già sia elli ke i· llei sieno due forami per li quali il razo entra e per li quali l'aquosità del sangue (la quale è orina) da le reni a la vescicha sdrucciola e vae. La qual cosa percioe aviene imperciò ke ' due colli predetti forano l'una tunicha de la vescicha e, perforando entra le due sue tuniche, passano tanto k'elle s'agiungono al collo de la vescicha, ov'elle forano ancora l'altra tunicha; e imperciò, intrando ne la continuitade de la vescicha, discendono a la sua tunicha di sotto e a quella di fuori fanno aprocciare, onde ancora quanto magiormente s'empiono, tanto magiormente a la sua tunicha si congiungono. Per la quale cosa il forame predetto in tanto si costrigne ke niuna cosa de l'orina, poi k'ella sarae ne la vescicha, possa tornare addietro e l'orina legiermente si mugnerà. E non cessa l'orina, mungnendo, di scendere a la vescicha tanto ke da llei sia gravata. La qual, poi k'ella sente questa estuatione e bollimento e stimolatione, allarghasi il muscolo ke costrigne la boccha de la vescicha, e costrignesi la vescicha, e sdrucciola e discende l'orina. E de lo sterco spesso poi ke nne fie tracto fuori quello per lo quale alcuna cosa puote essere nodrita, quello ke ffia relicto, lasciato e abandonato, si mandi al budello k'è kiamato recto, il quale à ampia concavitade acciò ke quello ke ivi si raguna dello stercho possa raccolliere e ritenere e acciò ke non sia sempre mistiere levarsi a far suo asgio. E poi ke da quello ke ivi è ritenuto komincia a essere puncto e gravato, sente questa estuatione e pena e l'animale il muscolo voluntariamente allenta e allargha, il quale il chiudea; e l'egestione è kiamata stercho. E a questo modo di notricamento procede il reggimento da ke alcuna cosa ke abbia a nnodrire entra nel corpo infino ad tanto ke 'l detto korpo, di quello e da quello ke llui dee nodrire sia nodrito e la superfluità da llui sia mandata fuori.
L. I, cap. 23 rubr.Capitolo .xxiij. De la forma del sifac, il quale è uno pannicolo rughoso.
L. I, cap. 23Sotto la cotenna ko la quale il ventre è di fuori coperto si truovano otto muscoli, i quali noi nominammo, dipo i quali ne le parti dentro è uno pannicolo rugoso, cioè crespo e viçço, il qual è kiamato cyphac o siphac, dipo 'l quale è il zirbo, e dipo 'l zirbo sono le budella. E la roptura ke adviene nel myrac è quando si rompe il sifach.
L. I, cap. 24 rubr.Capitolo .xxiiij. Del membro virile.
L. I, cap. 24De l'osso del femore, cioè k'è dal pettignone, nasce un corpo nervoso il quale à molti ampi forami, sotto 'l quale sono molte ampie arterie e vene sopra quello ke la sua misura merita, cioè più ke nogli verrebbe im parte, e 'l predetto corpo è il membro virile, cioè la vergella.
L. I, cap. 25 rubr.Capitolo .xxv. De la matera ke ssi diparte d'alhosos, cioè de la sperma.
L. I, cap. 25E ancora dal sifach discendono due kanali, i quali paiono somillianti per natura ad vedere a quelli forami i quali si protendono e vanno da le reni al gibbo del fegato, de' quali poscia, dilatati e allarghati i folliculi dentro de la tunicha de' collioni (cioè le loro borse) si generanno, nelli quali i detti coglioni sono contenuti. E vegnono ancora a le parti de' collioni alcuni rami de le vene, dentro i quali in molte maniere avolti di carne kiandolosa e bianca si comprendono e vengono, ke ciò ke in loro è di sangue in tal maniera si muta ke ssi fae biancho, e allotta si fa alcuna parte de l'ontuositade de la sperma (cioè di quella humidità k'esce per la vergha quando l'uhuomo usa con femina). E poi da questa carne si manda ai testicoli, cioè ai collioni, ove la sua conversione si compie e passa ne la sua spetie e natura e fassi perfetta sperma. E ivi si genera due forami i quali vanno a la vergha, il cui arettamento si fa quando i forami, i quali v'ànno di grossa ventositade e le sue vene di sangue similliantemente fieno ripiene. E non quiesce né ristà lo suo arrettamento quando quelli vasi si stendono e s'aparecchiano di quelle cose de le quali è la sperma e si conmuovono ad mandare fuori quello k'è i· lloro per la sua moltitudine e per la sua mordicatione, le quali disiderano di mandare fuori quello k'è i· lloro, overo perciò ke la sperma k'è in loro è molta, overo perk'elli è acuto e pugnente. E una de le cagioni per le quali questo aviene è quando il capo de la verga alcuno corpo avrà ' lei riscontro e rimtoppo, fregandosi con esso o strupicciando; imperciò ke per questo i vaselli de la sperma si tendono e s'isforçano di redere quello k'è i· lloro.
L. I, cap. 26 rubr.Capitolo .xxvj. De la forma de le poppe, overo mammelle.
L. I, cap. 26Le poppe, overo manmelle, si truovano essere composte d'arterie, vene e nerbi, intra le quali spetie di carne ghiandolosa e biancha si truovano essere spessate e indurate. E imperciò ke la sua natura assomillia a la natura del lacte, la creò Iddio, il quale sia benedetto, acciò k'ella fosse acta e aconcia e disposta a la conversione e a la generatione del lacte. E queste vene e arterie ne le poppe soctilmente si dividono. E queste arterie e vene ne le mamelle si dividono in sottili divisioni, e si risolvono in molte resulutioni, e comprendono quella carne ch'è generativa di lacte e convertisce, cioe k'è del sangue ne la sua conchavitade per lo suo assomilliamento ko la sua natura, sì come la carne del fegato per l'asomilliamento di quello, cioè a ssapere ke da lo stomacho si trae e da le budella, ke tanto lunghamente convertisce e muta ke ssi fa sangue.
L. I, cap. 27 rubr.Capitolo .xxvij. De la matrice de la femina e sua forma.
L. I, cap. 27La matrice è posta intra la vescicha e 'l budello k'è kiamato recto, ma più suso è ke la vescicha. E quella k'è ne le vergini e in quelle ke nom partorirono ancora è piccola e in quelle ke già fuorono pregne e ke partorirono si truova grande, le quali sono legate con legamenti non molto stretti e in sé medesima la poppa è nervosa acciò ke stendere si possa quando fosse mestiere e allargare, e raccolliersi e costringersi quando l'allarghamento e l'ampiamento non fosse mistiere. E ancor per questa altra cosa fue nervosa acciò k'ella si multiplichi nel parto e si possa nel parto amplifikare e dilatare, i cui legamenti non fuoron molto stretti, ançi fuorono ampi. La quale àe due ventricoli, cioè due piccoli ventri, overo concavitadi, i quali pervengono ad uno orificio, overo a una boccha. E à ancora due additamenti, cioè due agiungnimenti, i quali son chiamati sue corna. E dipo questi due aditamenti i collioni de la femina sono allogati e posti, i quali sono minori de' collioni delli homini e più larghi, dai quali la sperma de le fenmine discende a la concavitade de la matrice. E ancora il collo de la matrice si porge e vae a la natura dinançi de la femina, il quale è ne la fenmina sì come la vergha nelli huomini. E la boccha de la natura dinançi ne le vergini è stretto e rugoso, cioè crespo, e ne le rughe, cioè crespe, del collo de le vergini, cioè a ssapere si tessono vene insieme sottili, le quali quando la vergine si corrompe, cioè si spulcella, si rompono e le predette crespe si dilatano. E quando la femina s'imprengna, la boccha de la matrice in tanto si costrigne ke ancora l'agho non vi possa entrare. E quando sì è venuta l'ora del partorire o alcuno nocimento fosse advenuto a la creatura per lo quale si corrompa, la predetta boccha in tanto si dilata ke 'l corpo del fanciullo possa passare per lui. E 'l fanciullo, secondo la sententia di Galieno, de la sperma si genera, ma cresce e giungne a acrescimento dal sangue mestruale (cioè da quello cotal sangue ke le femine ànno per lor purgamento), la forma del quale, se fie maschio, prima si compie ke quella de la femina. E a la creatura alcune vene sono kontinuate, le quali vengnendo a la matrice tanto lungamente nodriscono la creatura k'ella sia compiuta. La qual creatura, poi k'è compiuta, nom puote sufficientemente né bene essere nudrita di quello ke ll'è mandato e ke le viene di quello cotale sangue e nodrimento, per la qual cosa duramente e fortemente si muove e si rompono i tenaculi (cioè quelli legamenti ke la tenieno legata ne la matrice) e seguita il parto e nasce.
L. II, Index rubr.Qui cominciano i capitoli del secondo libro, il quale libro tratta del notificamento e manifestamento de le complexioni de' corpi e delli omori ke ssignoregiano in loro, e de le significationi di fisanomia, e de' mali particulari.
L. II, IndexCapitolo primo. De le somme ke colgono la scienza di cognoscere le complexioni. Capitolo secondo. De' segni del corpo iguali. Capitolo terço. De' segni de la complexione calda. Capitolo quarto. De' segni de la complexione fredda. Capitol quinto. De la complexione humida. Capitolo .vj. De' segni de la complexione seccha. Capitolo septimo. De' sengni de la complesione kalda e secha. Capitolo .viij. De' segni de la complexione fredda e humida. Capitolo .ix. De' segni de la complexione del cerebro e de la sua forma. Capitolo .x. De' sengni de la complexione del cuore. Capitolo .xj. De' segni de la complexione del fegato. Capitolo .xij. De' segni de la complexione del polmone. Capitolo .xiij. De' segni de la complexione de lo stomacho. Capitolo .xiiij. De' segni de la complexione de' testicoli, cioè de' collioni. Capitolo .xv. De' fiori ke ssi debbono dire e de le consequentie, cioè di quelle cose ke sseguitano, le quali sono necessarie e per le quali si fa giovamento a la cognitione de le complexioni. Capitolo .xvj. De' segni particulari per li quali si testimonia ko ll'altre significationi e per li quali si fa giovamento per alcune dispositioni ne la congnitione de le complexioni. Capitolo .xvij. De' segni de la debolezza de' nerbi. Capitolo .xviij. De la cognitione de la complexione de' membri e delli omori. Capitolo .xix. De la cognitione de la replectione. Capitolo .xx. Da conoscere quale de .iiij. homori soprabondi. Capitolo .xxj. De la significatione de la collera rossa. Capitolo .xxij. De la significatione de la collera nera. Capitolo .xxiij. De la significatione de la flemma soprabondante. Capitolo .xxiiij. De la significatione de' sompni. Capitolo .xxv. Del comperamento de' pregioni e delli schiavi, come per segni huomo li dee congnoscere ançi ke lli comperi. Capitolo .xxvj. De la significatione de' capelli. Capitolo .xxvij. De la significatione del colore. Capitolo .xxviij. De la significatione delli oki. Capitolo .xxviiij. De la significatione de le ciglia. Capitolo .xxx. De la significatione del naso. Capitolo .xxxj. De la significatione de la fronte. Capitolo .xxxij. De la significatione de la boccha, de' labbri e de' denti. Capitolo .xxxiij. De la significatione del viso e de la faccia. Capitolo .xxxiiij. De la significatione delli orechi. Capitolo .xxxv. De la significatione de la boce. Capitolo .xxxvj. De la significatione de le charni. Capitolo .xxxvij. De la significatione del riso. Capitolo .xxxviij. De' movimenti. Capitolo .xxxviiij. De la significatione del collo. Capitolo .xL. De la significatione del ventre. Capitolo .xLj. De la significatione del dosso. Capitol .xLij. De la significatione de le spalle. Capitolo .xLiij. De la significatione del bracio. Capitol .xLiiij. De la significatione de la palma de le mani. Capitolo .xLv. De la significatione del ginocchio, e de la coscia, e de la gamba, e del piede. Capitolo .xLvj. De la significatione de' passi. Capitolo .xLvij. De la significatione de l'ardimento. Capitolo .xLviij. De la significatione de la paura. Capitolo .xLviiij. De la significatione de l'huomo di ratto ingengno e di buona natura. Capitolo .L. De' segni di colui ke à buona natura. Capitolo .Lj. De' segni de l'huomo phylosafo. Capitolo .Lij. De' segni de l'huomo k'àe duro ingengno. Capitolo .Liij. De' sengni de lo isvergognato. Capitolo .Liiij. De segni de l'iracundio. Capitolo .Lv. De' segni del luxurioso. Capitolo .Lvj. Del costume del feminile animo. Capitolo .Lvij. Del costume del nucho, cioè di colui k'è sanza collioni. Capitolo .Lviij. De l'agregatione e del ragunamento, la quale è mistiere d'osservare. Capitolo .Lviiij. De' giudicii e de la sottile inquisitione di fisonomya.
[L. II, Incipit]Qui comincia lo secondo libro.
L. II, cap. 1 rubr.Capitolo primo. De le somme ke colgono la scienza di congnoscere le complessioni de' corpi de l'homini. Rubrica.
L. II, cap. 1La complexione del corpo si conosce per lo colore e per l'abitudine del corpo, cioè per grasseza e magrezza, e per lo tocchamento e per l'operationi e per quelle cose k'escono del corpo. Imperciò ke il colore biancho e foscho, e ke di biankezza e liaucezza (cioè sì come korno lucido) è mescolato, e gypseo (cioè kolore di gesso) e piombeo (cioè kolore di piombo) mostrano la complexione fredda. E 'l rosso e 'l sottorosso e 'l ruffo, cioè più suso in rosseza, e l'inapos, cioè rosso colore ke pende a nereza, tutti questi mostrano kaliditade di complexione. E se kiareza e subtillieza si congiungono al colore, o in colore, sì ssi dikiara kiaritade e sottilitade d'omori. E se turbolenza e grosseza vi si mescholano, sì ssignifica grosseça d'omori. Ancora bianco kolore, al quale, con subtilitade e kiaritade, rossezza si mescola, dimostra equalitade di complexione. E s'elli adviene cosa ke la roseçça soprabondi e la chiaritade fosse minore, la signoria del sangue e la sua superabondanza significherebbe. E se la rosseza fosse in tanto menomata k'ella aprocci al colore del vivorio mostra la paucitade del sangue, la quale se ancora magiormente fosse menomata in tal maniera, cioè a ssapere ke da lei neuna cosa aparisse, proverrebbene un colore il quale suole essere kiamato dai medici gipseo, il quale di ciascuna collera e del sangue mostra pokeza e prende e mostra segnoria di flemma nel corpo. E questo, se a la biancheza (a ckui la verdezza è mescolata) aproxima, sì singnificha uno colore il quale dai medici è kiamato piombino, il quale mostra diminutione di sangue e di collera rossa e mostra segnoria di collera nera e di flemma. E 'l fosco, s'elli è vicinato a la rosseza o a llui si mescola, dimostra signoregiare sangue grosso, secondo la quantitade che a llui aproxima o ke a llui si mescola rosseza. E 'l colore puramente fosco, il quale apropinqua ad verdeza, dimostra la segnoria de la collera nera. E i corpi ke ssono colorati di colore ruffo, il quale cioè a ssapere si truova più prociano a biancheza, sono di più fredda complexione. E s'egli aprociano più a verdeza o a glauceza sono di più calda complexione a questo modo. E i citrini corpi, alcuni sono i quali sono procciani a biankezza e participano subtilitade, cioè ànno subtilitade, il quale colore ne' convalescenti, cioè in quelli ke ssi levano d'infertadi o in quelli de' quali molto sangue sarà uscito, si truova e fassi questo spetie di colore citrino, imperciò ke 'l sangue è menomato e no per la signoria de la collera. E questi corpi non sono citrini se non accidentalmente, cioè d'avenimento e non naturalmente. E li altri sono citrini veramente e poco caldi, i quali in ogne tempo perseverano cotali; e questi corpi caldi sono. E sono ancora alcuni di loro i quali a ccitrinitade, a verdeza e ' fosco colore aprociano, cioè apropinquano, participando poco di belleza, ai quali ciascuna collera segnoregia, la complexione de' quali s'appruova pigiore delli altri. E 'l fegato e la milza di coloro ke ànno questa cotale complexione più de le volte sono infermi e la sanitade de' corpi di questi cotali non è ferma né stabile. E i corpi ke ànno il colore inops, i quali sono procciani a ccitrinitade, sono di più calda complexione e vicini a collera rossa. E quelli ke ànno verdezza mescolata sono men caldi e apertengono a la collera nera. E per le forme de' corpi altressì sì s'àe la cognitione de le complexioni, imperciò ke 'l grasso e 'l grosso significa la complexione humida. E se 'l corpo sarà sottile e magro, cioè la persona, sì dimostra la complexione esser seccha. Ma tuttavia quando la grassezza è di carne salda e soda e dura, con rossezza e sanguinitade aparente nel corpo, la complexione avrà caldeza kon humiditade a questo modo. E s'elli aviene ke la grasseza o grosseza sia di grascia e 'l corpo, cioè la persona, sia molle e in sangue diminuto, la complexione sarà fredda e humida insieme. E ancora equalitade di membri e observança di proportione, cioè ke ll'un membro risponda bene all'altro ne le sue misure, quando l'uno sarà comparato all'altro, mostra la propinquità de le sue complexioni, i quali se in questa si diversificano, se mostra ke la loro complexione non è una né propimqua. Ma, tuctavia, la largheza de' forami, k'è ne' membri e ne' suoi kanali, mostra e significa calda complexione, e la loro strettezza e piccoleza significa fredda complexione. E per lo tacto, cioè toccamento, si cognosce ancora la complexione, imperciò il corpo ke ssempre si truova caldo pare ke abbia kalda complexione e quello ke sempre si truova freddo à fredda complexione. E se 'l corpo si truova morbido quando si toccha, sarà d'uhumida complexione, e l'aspro di seccha; e se la caldeza del toccamento fie mescolata all'umideza e morbideza, dimostra complexione kalda e humida; e se aspreçça vi si agiunga, significherà la complexione kalda e seccha; e la fredeza del tocchamento, mescolata ad morbideza, dichiara fredda e humida complexione, ma tuttavia in più corpi la fredezza del tacto e del tocchamento se mescola a morbideza più ke a l'asprezza, imperciò ke apena si puote trovare corpo che ssia di fredda complexione e aspro. E se sarae morbido e molle il corpo sì ssi mostra humida complexione; e 'l sodo e duro sì ssignificha e testimonia d'essere di seccha complexione. E l'operationi naturali, sì come apetito, digestione e acrescimento, e i polsi, quando elli sono forti e racti, significano kalda complexione; e s'elli saranno deboli e tardi, fredda complexione significheranno. E similliantemente l'operationi animali, sì come subtillieza d'ingengno, e tosto parlare, e racto movimento, e ardimento, significano calda complexione; e contradii a questi mostrano la complexione fredda. E ancora le superfluità che del corpo solliono uscire sì come l'orina, e lo sterco, e 'l sudore, e i capelli, e molte altre cose, dikiarano le complexioni, imperciò ke rratto nascimento di capelli, e spesseza, e nereza, e crespezza, e grosseza, e aspreza, tucte queste cose significhano la complexione calda; e ' contradi a questa la mostrano fredda. E 'l puzo del sudore e malo odore ' colore nel corpo dimostra caldezza di complexione, e multitudine di sudore dimostra humiditade di complexione; e quelli ke ssono contrarii a questi la complexione dimostrano contraria. E l'egestione (cioè lo sterco) pocha e seccha e la tintura de l'urina e 'l suo puço significa la complexione chalda; e i contradi a questi la dichiarano fredda.
L. II, cap. 2 rubr.Capitolo secondo. De' segni del corpo iguali e come si giudicha per aspetto la equalitade.
L. II, cap. 2Il colore bianco è di colui k'àe il corpo eguale, a cui il colore rosso è mescolato, e 'l suo toccamento non è freddo, né soprabundante in kalore, né nom apare molto morbido, ma tuctavia si truova aproximare più a chaldezza e a morbidezza che a ffreddeçça e a aspritade. E l'abitudine e lo stato di questo cotale corpo è in meçço tra carnositade e magrezza, ma tuttavia um pocho è più vicina a la carnositade ke a la magreza e magiormente se 'l regimento di quello cotale sarà di tranquillitade e di quiete e di riposo; i cui capelli sono meçani intra sottili e grossi, e tra neri e rossi, e tra morbidi e aspri. E questo cotal corpo né molto piloso né molto ignudo di peli apare a' riguardanti. E ancora le sue operationi tutte, le naturali e l'animali, sono tenute e stanno in equalitade, impertanto ke non abbia molto di disiderio, né le sue cupiditadi non sieno sì deboli ke quasi morte si truovano e non sia troppo veghiante, né troppo dormillioso, né molto tosto o ratto movente, né molto reposato. E le superfluitadi k'escono del suo corpo entra le predette dispositioni sono meççane e a la perfine la sua dispositione è, tra ttutte le dispositioni, è mezana, le quali passano equalitade; e le sue vene né non sono piacte e subtili, e ampie e manofeste. E la sua boce, e 'l suo alito, e 'l passo, e 'l suo movimento, tutte queste, intra grandi e piccole e racte e tarde, sono meççane.
L. II, cap. 3 rubr.Capitolo terço. De' segni di conoscere la complexione de l'homo calda.
L. II, cap. 3I chapelli di questi cotali tostamente crescono, i quali son caldi a coloro ke li toccano, e sono magri e sottili, e le loro vene sono manofeste e 'l movimento racto, e tucte quelle kose ke i· lloro si considerano veloci e racte, e contrastanti, e fermi al male, e di pocho senno, e di molti capelli crespi e molto neri, e il loro colore è ruffo e rosso kon alcuna obscuritade.
L. II, cap. 4 rubr.Capitolo quarto. De' segni de la complexione fredda.
L. II, cap. 4A questi cotali tardi crescono i capelli e sono di grosso ingengno e di tarde operationi, e il loro polso è piccolo e l'alito piatto; e questi cotali corpi paiono fredi a quelli ke lli toccano. E quelli ke ànno questi cotali corpi non sono possenti nel coito, cioè ne l'avere a ffare con femina, e pocho generano figliuoli e ànno piccolo disiderio e picol sonno.
L. II, cap. 5 rubr. Capitolo quinto. De' segni de la complesione humida.
L. II, cap. 5Il toccamento di questi cotali se truova molto morbido, e la loro carne molle e morbida, e i lor membri laxi (cioè lenti), e le lor giunture e li ossi oculti (cioè piatti e nascosi), e la virtude pocha, e poco possono sofferire di faticha, e quando lavorano e s'affatichano tosto si disolvono, cioè si distrugono, e tosto per faticha appare i· lloro dissolutione del corpo. E ancor son molto debili, dormilliosi e ànno pochi peli.
L. II, cap. 6 rubr.Capitolo sexto. De' sengni de la complexione seccha.
L. II, cap. 6Questi corpi sono aspri, e magri, e duri, e forti, e molto rigidi, e sofferano molta fatica, le giunture e le corde de' quali sono manofeste e sono di molti capelli e pilosi.
L. II, cap. 7 rubr.Capitolo septimo. De' sengni de la complexione kalda e seccha.
L. II, cap. 7Questi corpi in ultimo, cioè più k'esser possa, abondano capelli neri e spessi e son magri in ultimo, i quali si truovano caldi da ccoloro ke lli tocchano e ànno la cotenna spessa, e aspra, e dura, e i nerbi forti; e le corde ànno più manofeste e l'ossa e le giunture e sono di più piccolo sonno, e i polsi in loro sono più racti, e i movimenti somilliantemente, e 'l tatto (cioè il tocco) è kaldo e sono più arditi e più ostinati.
L. II, cap. 8 rubr.Capitolo ottavo. De' segni de la complexione fredda e humida.
L. II, cap. 8Questi cotali corpi se truovano in ultimo molli e ignudi di peli, e ànno i capelli morbidi, e ànno sottilliezza di vene e le giunture oculte (cioè celate e nascose), e ànno gran corpo, e ànno molta pinguetudine (cioè crascia), e laxi (cioè lenti), non sono duri e forti, e sono di molto sompno, e sono pigri, e i loro movimenti son tardi. E le dispositioni del corpo freddo, e seccho, e kaldo, e humido, sono mescolate de le dispositioni semplici de le quali fuoron composte, cioè a ssapere secondo ke all'uno di loro appropinqua, o ssono in mezzo tra lloro.
L. II, cap. 9 rubr.Capitolo nono. De' sengni de la complexione del cerebro.
L. II, cap. 9La forma del cerebro seguita la forma del craneo, imperciò ke sse 'l craneo sarà piccolo, el cerebro sarà piccolo, e se la sua figura si corrompe, perciò si corromperà la figura del cerebro. Per la quale cosa il capo k'è troppo piccolo di necessità è reo, e la cui figura è rusticha, la quale è somilliante a la cesta de la palma o de lei somilliante, cioè a ddire alcuna mala dispositione e rea. E quel kapo è milliore ke è in grandeza moderato e à convenevole ' dicente retonditade, la quale dinanzi e di dietro um poco sia alta e da ciascuna parte delli orecchi abbia una piccola compressione, cioè sia um poco compremuto e schiacciato a pianeza. E la complexione del cerebro k'è caldo redde il tocchamento del capo e del volto troppo caldo, e nelli occhi rossore, e le vene appaiono nelli occhi più manofeste, e i lor capelli tosto nascono e sono spessi, forti, e neri, e aspri, e il lor sonno è piccolo e lieve. E quelli ancora ke ànno questa cotale complexione, da' caldi odori tosto ricevono nocimento. E i lor capi tosto si gravano e si riempiono, e ne' pensamenti sono ratti, e correnti, e inistabili, e di molti mutamenti superflui, e sono acuti, cioè subtili e ratti, in operationi animali, cioè di quelle cose ke ssi fanno nel capo e per lo capo e per li suoi strumenti. E la fredda complexione del cerebro opera contrarie cose a queste che ssono dette; imperciò ke quelli ke ll'à è dormillioso e duro d'ingengno et è di tardo intendimento, e ' capelli del suo capo morbidi e poco neri, e tosto patiscono e ànno catarro, ai quali è nocivo e reo discoprire il capo, e ancora le sue palpebre delli occhi tardi si muovono e pigramente. E se 'l cerebro sarà seccho, i capelli nel capo tosto nascono e tosto si fanno calvi, e saranno veghiatori e di piccolo sompno, e del naso no colerà neente se non pocho, e rema del capo non averrà loro. E l'humido è contrario ad questo, imperciò ke i suoi chapelli sono subtili e tardi nascono, né calvi non divengnono, e l'omore del naso cola troppo e da la rema riceve nocimento, et è dormiglioso, e ' suoi senni non sono kiari. E quelli ke à la complexione kalda e seccha àe i capelli nel capo in ultimo di forteza, e tosto nascono, e molto sono neri, e crespi, e tosto si fanno kalvi, e sono in ultimo grado di pokezza di sonno, e poco sono profondi nel sompno, e ànno presteza d'operationi animali, e tosti e racti pensamenti, e senni chiari, e poche superfluitadi discendono di loro. E 'l fredo e humido a questa dispositione è contrario, imperciò k'elli à molto sonno pigro, e tardo, e duro d'ingengno, al quale in neuna maniera adviene chalvezza, ma molto è molestato da rema e di catarro e spesse volte li aviene. La calda complexione, fredda e humida, calda e seccha, secondo ke alcuno de' suoi sempici apropinqua, mostrano le loro significationi, imperciò ke sse li semplici saranno iguali e le significhationi saranno eguali.
L. II, cap. 10 rubr.Capitolo .x. De' segni de la complexione del chuore de l'huomo e del suo stato.
L. II, cap. 10La complexione del cuore, s'ella fie calda, il polso sarae ratto e corente e spesso, al quale somilliante alito si truova. E sopra 'l pecto sono molti peli e spessi, il quale al tacto si sente kaldo. E quelli che à questa cotale complexione del cuore sarae ardito e hostinato e di grande iracundia. E l'abitudine, cioè l'essere e lo stato, del petto, in sua grandeza o picciolezza considerata, la complexione dimostra, imperciò ke se 'l pecto sarà grande manofesta propiamente la caldeza e la grandeza del cuore, la qual cosa sarae ancora più manofesta se con questo il capo sia piccolo o ancora non sia; imperciò ke sse questo sarae in questa maniera non converrae attendere ad altri segni. Somilliantemente se 'l petto sarà piccolo e 'l capo grande o mezano, propiamente si mosterrà piccoleza del cuore e freddeza di sua complexione. E s'elli adiviene che la grandeza del petto a la grandeza del capo, o la piccioleza del pecto a la piccioleza del capo sia proportionale, altri segni dei attendere. E la fredda complexione del cuore fa piccolo polso, al quale l'alito si truova somilliante, e 'l pecto avrà pochi peli e sottili, e 'l pecto ai tocchanti parrà freddo. E quelli k'avrà questa cotale complexione del cuore, pauroso e pigro sarae. E se la complexione fia seccha il polso fie duro e tucto il corpo si truova pieno di muscoli et è fusco e 'l pecto avrae poke carni, ma le vene avrae manofeste e sarà piloso e la cotenna avrà dura. E l'humida fae il polso morbido e 'l petto de peli ignudo e la carne del petto molle e soave. La complexione calda e seccha il polso redde duro, e ratto, e spesso, e molti peli nel petto, e forti, e spessi, e nel femore somilliantemente, e l'alito di lei verrà grande e spesso, e tutto il corpo si sente caldo, e pieno di muscoli, e à manifeste le vene. E quelli che à questa cotale complexione del cuore sarae irascibile e obstinato. E la fredda e humida complexione del cuore opera contrarie cose a queste.
L. II, cap. 11 rubr.Capitolo .xj. Il quale tratta de' segni de la complexione del feghato.
L. II, cap. 11La caldeza de la complexione del fegato spesse volte si conosce d'esser trovata per l'ampiezza e per la grandeza de le vene e per la siccità de la costrictione, ancora l'appetito è forte e nel corpo molta collera rossa se 'ngenera e l'urina e l'uscita son tinte, ' è molta sete, e ' caldi cibi son nocivi, e giù sotto il costado sono molti peli. E la fredeza del fegato si conosce per tucti i segni, i quali sono contrarii a quelli che ssono detti. Ma la sua seccheza si chonosce per lo poco sangue e per quello ke il corpo è magro, e 'l ventre subtile, e 'l colore à pocha bellezza, e la sua humiditade si puote congnoscere per tutti i sengni ke ssono contrarii ai predetti. E s'elli adviene k'elli segnoreggi kaldeza kon secchezza, cognoscesi per quello ke i segni de la calda complexione sono manofesti e in ultimo sono forti. E la sua humiditade con fredezza si conosce per quello ke le cognitioni e le significationi de la fredda complexione son forti e sono manofeste in ultimo.
L. II, cap. 12 rubr.Capitolo .xij. De' sengni de la complexsione del polmone chaldo.
L. II, cap. 12Quando il polmone sarà caldo, la boce fie grossa e l'alito grande e 'l pecto ampio e grande, al quale è minore nocimento de l'atractione de l'aiere fredda. E se la complexione del polmone sarà fredda, tutto avrae contrariamente a queste cose. E quando fia seccha, la boce fie kiara, e per la boccha si gitteranno poke superfluità. E s'ella fie humida, averranno contradie cose ad queste. E le significationi de le complexioni composte si possono avere per le congnitioni de le semplici.
L. II, cap. 13 rubr.Capitolo .xiij. De' segni de la complexione de lo stomaco.
L. II, cap. 13Quando la complexione de lo stomaco fia kalda, la digestione fie più forte ke l'apetito, cioe k'è 'l disiderio del manicare; e ' cibi sottili, sì come karni d'ucelli e karne di kastrone, i· llui si corrompono; e ' grossi cibi, sì come karne di vaccha e grano cotto, i· llui si cuocono bene. E quelli k'avrae quella cotale complexione avrà gran sete e ancora non puote sofferire fame. E adviene a quelli che ànno questo cotale stomaco, per questo, dolore di capo e vertigine, cioè pare ke 'l mondo volgha intorno, et è iroso e cruccioso e acuto (cioè sottile d'ingengno). E quando fia fredda avranno tucte le cose contrarie a queste, imperciò ke l'apetito è in loro magiore de la digestione, cioè più disidera di mangiare ke non puote cuocere, e ' grossi cibi i· llui si corrompono. Per la qual cosa, per questa cotale corruptione si seguita eructatione acetosa, sì come appo la loro corruptione ne lo stomaco caldo è fummosa. E ancora vi sarà appetito de' cibi freddi, per l'uso de' quali verrà lesione, cioè impedimento e male. E quando la complexione de lo stomacho fia humida, la sete fie minore e molta saliva abonderà de la boccha e tosto avrà abbominatione e vollia di reddere, e tosto redderà, e tosto avrà scotomia o vertigine, cioè cotale tenebrosità e avolgimento, kome se il mondo s'agirasse e volgesse intorno intorno. E quando la complexione fia seccha avengono e opera tucte le cose contrarie a queste: e la sete è molta e l'egestione è pocha, cioè lo stercho; e ancora quando i cibi fanno dimoro a lo stomaco e non discendono tosto da llui, ma con alcuna dureza; e l'appetito non fia forte né puro e lo stomaco fie debole. E quando le contradie cose a queste signoregierano a lo stomaco, la forteza de lo stomaco sì significherae. E per molto mangiare a una volta se alcuno sia gravato, e nom per molto manicare facto a diverse hore, riceve nocimento, ma llegiermente e bene si cuoce il cibo, sì ssignifica ke llo stomacho di quel cotale è forte, avengna k'elli sia piccolo.
L. II, cap. 14 rubr.Capitolo .xiiij. De' sengni de la complesione de' testicoli, cioe sono i granelli.
L. II, cap. 14E se i collioni fieno kaldi, le parti ke ssono vicine intorno sono vestite di molti peli e spessi, e la vergha si diriza fortemente, e la sperma fia grossa, e tosto compierà sua volontà, cioè l'avere a ffare kon femina e per tempo, cioè a ssapere dinançi al tempo di pubertade (cioè ançi k'elli passi .xv. anni) sarà fervente e ardente e volontaroso del coyto. E ancora le vene ke ssono ne la superficie de la vergha sono grosse e manifeste. E le sue corde si truovano grosse e forti. E la cotenna e la buccia ke circonda i testicoli, cioè i collioni, si vede grossa e spessa e aspra. E quando la complexione fie fredda tutte le predette cose aparrano contrarie. E quando la complexione fia seccha e la sperma si truova pocho in quantitade e spessa, e la vergha non solamente non si diriça ançi sì è ancor debile. E quando la complexione fie humida, la sperma in quantità è molta e in qualità è subtile, e la verga non si diriza imperciò k'ella è lassa, cioè lenta, e non tesa, e non à le corde forti, anzi le sue corde si truovano somillianti a llei, e la sua cotenna è morbida il cui luogho è ignudo di peli. Ma quando la complexione fie calda e humida, molto sarà indirizamento de la vergha e la sperma molta e sarà molto luxurioso e in luxuria molto potente. E quando ella fia fredda e seccha tucte queste cose avranno contrarie a queste.
L. II, cap. 15 rubr.Capitolo .xv. De' fiori ke ssi debbono dire e de le consequentie, cioè di quelle cose ke sseguitano, le quali sono necessarie e per le quali si fa giovamento a le congnitioni de le complexioni.
L. II, cap. 15La complexione di tutto il corpo si truova somilliante a la complexione de' membri principali e propiamente del cuore, del fegato, del cerebro e de' testicoli, ciò sono i collioni. E i corpi ne' quali le complexioni di questi membri si truovano diverse, sono piggiori delli altri corpi, imperciò ke questi cotali corpi sempre infermano. E l'etadi e le regioni si truovano ke non aoperano poco ne le complexioni, imperciò che l'etade puerile, cioè quella k'è dinançi a .vij. anni, si truova più humida di tucte l'altre etadi, e la decrepita, cioè da .Lx. anni inançi, si truova più fredda di tucte l'altre etadi, imperciò ke l'huomo da la nativitade infino ad senium, cioè infino a l'etade sezaia ke ffinisce la vita de l'huomo ke muore di morte naturale, non cessa e non fina di disecchare tanto k'elli diventi neente, imperciò ke 'l senio non è altra cosa se non gran segnoria di secchezza nel corpo. E de le molte superfluitadi ke dai vechi gocciolano et escono kon tossa e con munctoni per lo naso, la chagione sì è ke i forami de' suoi membri sono pieni di soperfluitadi e d'omori crudi; e 'l corpo de le lor vene e de' lor membri è in ultimo di seccheza. E seccheza e colore fosco, cioè ke tende a llivideza e nerezza, e menomamento di belleza e di tenereza e d'umiditade in loro sono manofeste. E la caldeza de' fanciulli piccolini è magiore secondo la quantità e quella de' giovani, cioè di coloro ke ssono da .xx. anni a .xxv. infino a .xxxv., è in qualitade più forte e più acuta, cioè più pugnente. E ancora la complexione de' vecchi, cioè di coloro ke ssono passati e .xxxv. anni infino in .xLv. o in .Lv., o ivi intorno, a riguardo di coloro ke ssono kostituti nel senio, cioè in questa etade sezaia k'è detta, è kalda e humida la complexione; e a riguardo e rispetto de' giovani è detta fredda e seccha. E da le regioni quelle ke ssono kalde reddono la complexione più seccha, e la superficie del corpo abrusciando incendono, e le budella e le membra dentro fanno fredde. E le regioni ke ssono fredde conservano li homori nel corpo e la superficie del corpo in morbideza e in ignudezza similliante a la dispositione de' corpi delli Schiavi reddono, cioè di coloro di Schiavonia ke ssono ne' paesi freddi; ma le budella e li altri membri dentro kostituiscono e fanno troppo caldi, onde la crespeza de' capelli neri è nelli Arabi, cioè ke ssono d'Arabia. E 'l colore rosso, k'è a fosco mescolato, significa abssolute (cioè sança neuna altra agiunta) ke la loro complexione è calda. E la morbideza de la cotenna Partorum (cioè de' Parti, di coloro ke ssono in paese freddo), e la loro nuditade de' peli, e la loro biancheza, non significha freddeza de la loro complexione, ançi le 'nteriora, cioè le cose dentro del corpo, son molto più calde ke le 'nteriora de' neri. E i corpi di tucti neri sono molto più secchi de' corpi de' Parthi. E ne le regioni le quali sono temperate tra chaldeza e fredeza, la significatione, per la quale s'à il conoscimento de la superficie sopra le sue interiora, è ferma e vera. E ancora la costuma ne la complexione opera diverse cose, imperciò ke la largheza di manicare e di bere e di dormire fae la complexione humida, e le contrarie a queste fanno e reddono la complexione seccha. Per la qual cosa quando noi vedremo l'uhuomo grasso e carnoso ancora le cui vene sono ampie, dobbiamo intendere la grandeza di questo cotale corpo essere non naturale ma accidentale, cioè non naturalmente ma per altra cagione strana di fuori e d'aventura. Per la qual cosa noi dobbiamo dividere entra il corpo karnoso e grasso, imperciò ke la multitudine de la carne multitudine di sangue e calda e humida complexione dimostra e significa. E la molta pinguedine, cioè la molta grascia, multitudine d'uhumiditade e fredda e humida complexione dimostra e significha.
L. II, cap. 16 rubr.De' segni particulari. Capitolo .xvj. De' segni per li quali si testimonia coll'altre significationi e perké si fa giovamento per alcune dispositioni ne le cognitioni de le complesioni delli homini.
L. II, cap. 16La boce grossa significa caldeza di complesione e la sottile significa frigiditade di complexione. E la velocitade e ratteza di parlare e d'aprire e di kiudere li occhi significa kaldeza di complexione. E sottilliezza del naso e collo lungo e l'epigliotto, cioè il nodo del gorgozule, pinto e aparente in fuori; e la boce acuta e bella dimostra seccheza di complexione. E grandeza d'occhi e strabuzati in fuori mostrano la complexione humida, e li occhi tendenti in latitudine del corpo, simillianti alli occhi de' Parthi, dimostrano humidità del corpo. E la crespeza de' capelli, i quali si levano in suso, dimostrano kaldeza di complexione. Ampieça de le narillie del naso e moltitudine di charne ne le mascelle e molto grande pocheza di peli significhano humiditade di complexione. E tranquillitade e riposo significa humidità di complexione. E puço e malo odore del corpo significa caldeza di complexione. E 'l colore k'è um poco meno procciano a citrinitade, cioè a colore di cederno, e 'l volto un poco enfiato e le palpebre di sotto, cioè ove sono i nepitelli di sotto ke ànno uno enfiamento somilliante de l'orçaiuolo e all'orzo, tucte queste cose mostrano debilitade di feghato. E raditadi di denti e loro deboleza, imbecillitade e deboleza di tucto il corpo dimostrano e brevitade di vita significano. E 'l naso curvo, cioè uncinuto, e la boccha piccola e i denti corti e grossi humida complexione dimostrano e fredda. E morbideza de l'extremitadi e la loro subtilliezza et equalitade dimostrano humiditade di complexione. E le mani e i piedi, quando elli fieno belli e piccoli, tutta la complexione del corpo essere debile e la sua caldeza esser pocha dimostrano.
L. II, cap. 17 rubr.Capitolo .xvij. De' segni de la deboleça e fraleçça de' nervi.
L. II, cap. 17Poca sofferença di fatica, e quando l'operatione fosse forte tremore e debilitade nel coito, cioè quando avesse a ffare con femina, e laxamento quando bevesse acqua fredda, o piccoleza de le giunture e sottilliezza de le corde e de la cotenna e de la forma: la quale cosa aviene magiormente ad choloro i quali ànno la complexione humida.
L. II, cap. 18 rubr.Capitolo .xviij. De la congnitione de la complesione de' membri e delli omori.
L. II, cap. 18Il kuore è più kaldo di tutti li altri membri, imperciò ke da llui tucto il corpo riceve calore, ond'elli si truova fonte di tucto il calore naturale. E 'l fegato dopo 'l cuore in caldeza è secondo e dopo 'l fegato sono le carni. E l'adeps, cioè il grasso de' sugnacci, è più fredda de la carne. E la complexione del cerebro è fredda e humida. E la complexione de l'osso è fredda e seccha. E le cartilagini, e ' legamenti, e le corde, e i corpi de le vene, e ' pannicoli, tucte queste ànno la complexione fredda e seccha, ma tuctavia meno ke ll'osso. La complexione de la cotenna è temperata, ma tuctavia quella k'è ne le palme de le mani si truova più temperata. La complexione de' nerbi si diversificano, imperciò ke quelli ke nascono dal cerebro son più humidi, ma quelli ke nascono da la nucha, ne la sua complexione, a la complexione de la cotenna sono vicini. La complexione de le ghiandole, le quali generano lacte e sperma e saliva, fredda è e humida. E la substantia de la carne ne' membri si truova diversa, la quale in ciascuno de' membri tiene propia complexione, imperciò ke la complexione de la carne del polmone è diversa da la complexione de la carne de le reni. Ma tuctavia il sermone ke qui difinisce, cioè tracta, pare ke ssi parta de lo 'ntendimento di questo libro, quasi vollia dire dicendo troppo. De l'humiditadi e delli homori è da ssapere ke la collera rossa è più calda di tucti li altri homori e com questo a la comperatione de la flemma e del sangue è seccha, ma il flegma si truova più freddo e più humido di tucti li altri homori. E la collera nera, respetto del sangue, è fredda e, a comperatione delli altri homori, è seccha. E 'l sangue, a respetto del flegma e de la collera nera, si truova humido; le cui spetie si truovano diverse, sì come del flegma, de le quali l'una è più fredda dell'altra, e similliantemente le spetie de la collera l'una è più acuta e calda dell'altra e di più seccha qualitade. E similliantemente alcuno è più temperato dell'altro, sì ch'elli sia per comperatione al sangue buono, kollerico, flegmatico e melancolicho.
L. II, cap. 19 rubr.Capitolo .xviiij. De' segni de la congnitione de la repletione.
L. II, cap. 19Se quello ke si truova ne' forami de le vene sarà di tanta quantitade e di tanta moltitudine ke le vene extenda et emfi, adverranne una dispositione, la quale replectione, secondo ' forami o de' forami, da' medici è kiamata. E quando quello k'è i· lloro di quello del quale il corpo si de' nodrire intanto passerà la misura ke la natura alcuna cosa di quello, sì come nodrimento del corpo non necessario, lascia, imperciò ke quello convertire nom puote, né a llui nom puote segnoregiare, provienne indi dispositione la qual da' medici, secondo virtude, è kiamata. E queste ambindue dispositioni, cioè l'una e l'altra, sono generative d'infertadi. E di quella replectione ke è secondo i forami, la singnificatione è rosseza di colore e caldeza del corpo kolla sua intensione, cioè ko la sua forteza, e alcuna volta multitudine di sbadilliamento e molto sompno e replectione de le vene ko llor distendimento, e somilliantemente sangue del naso e de le gengie a gocciola a gocciola usciente, quando l'une e l'altre fieno um poco tocche, e graveza del capo e delli occhi e de le tempie, e turbolenza d'ingengno e di senno e sentimento, e grandeza di polso, la cui dispositione sia ancora somilliante a la sua dispositione quando distemperamento è, e ke dinançi molto manichare e molto bere abbia usato, e superfluo sompno e molto riposo e quiete. E de la replectione, la quale secondo la virtude adviene, queste significationi sono: kadimento d'appetito, e a' movimenti gravitade e pigrezza e dissolutione e lassitade, impercioe che tucte queste cose, se sanza rossezza di colore o destensione de' membri sarà, propiamente significano la predetta replectione. E 'l polso ne la spetie di questa replectione no è grande e l'orina non è tinta né cotta.
L. II, cap. 20 rubr.Capitolo .xx. De' segni di conoscere quale de' .iiij. omori soprabonda.
L. II, cap. 20Tucte le prime significationi di replectioni de le due spetie mostrano il sangue signoregiare, e ancora plurito, cioè piççichore, del luogo del quale il sangue suole essere tracto, e la sua dolceza sanza costuma, e ne la boccha piccole vescike, e nel corpo papici, e l'orina rossa e spessa. E ancora sanza questo l'etade sia giuvenile e 'l corpo sia di buona habitudine, cioè di buono habito, il quale abbia molte carni, e ' cibi (i quali elli avrà usati nel tempo precedente) sieno stati generativi di sangue, sanza dubbio significa sangue abondante.
L. II, cap. 21 rubr.Capitolo .xxj. De la congnitione de la collera rossa.
L. II, cap. 21Citrinitade di colore, o amaritudine di boccha, e molta seccheza di boccha, e molta sete, e debilità d'appetito, abominatione, e vomito citrino, e l'uscita mordicativa e ke punga, e seccheza di lingua e sua asperitade, e citrinitade di quello ke appare nel biancho de l'occhio, e l'orina subtile e ignita, cioè kon colore di fuocho, e kiara, qualumque di queste significationi aparranno. E se con questo fia tempo di state, e l'etade iuvenile, e i cibi (i quali elli avrà usati dinançi) pochi o kaldi, e faticha andò dinançi molta, e sopno pocho, e la complexione si truova calda, allotta è d'avere fidanza del suo dominio e signoria di collera rossa.
L. II, cap. 22 rubr.Capitolo .xxij. De la significatione de la collera nera.
L. II, cap. 22Ardore di stomacho, e moltitudine di chanino appetito, e fosco colore e nereza di sangue o spesseza, e urina nera o rossa ke participi e tengha di colore fuscho o apropinquità a verdeza, el corpo sia tale, nel quale nera collera si suole generare, imperciò ke ne' corpi bianchi e grassi e ignudi di peli collera nera rade volte i· niuna maniera si genera. E ne' corpi colorati di colore bruno e magri e abbienti colore mescolato di rosso e di fosco e pieno di moscoli; e ne' corpi ruffi o rossi, quando molto lavorano o male si reggono, e se con questo i cibi (i quali elli à dinançi usati) furono generativi di collera nera e 'l suo reggimento somilliante al corpo, cioè nel mangiare e nel bere, e ancora li avengha scabbia e morfea - cioè quando la cotenna del corpo è biancha o nera e ' peli che vi sono suso sono altressì in alcuna parte del corpo -, e pustole, cioè cotali papici, e acrescimento et emfiamento di milza, quando queste cose saranno, no è più da doctare ke la collera nera segnoreggia.
L. II, cap. 23 rubr.Capitolo .xxiij. De la significatione e congnitione de la flemma.
L. II, cap. 23Multitudine di saliva viscosa e pocha sete, e urina biancha, e pigreçça e dureza d'ingengno, e vitoria di sompno, e morbideza del corpo, e tardità di digestione, e ancora se con queste la complexione è fredda e 'l tempo del verno, e ancora dinanzi a questo sia usato poco movimento e pocha faticha, e molto manichare, e cibi, i quali elli usò, secondo la magior parte, fuorono generativi di flegmate, e usò bagno d'acqua dolce, allotta le significationi saranno più forti e più ferme ne la significatione de la singnoria del flegma.
L. II, cap. 24 rubr.Capitolo .xxiiij. De la significatione de' songni di notte.
L. II, cap. 24Le significationi de' sompni si solliono molto spesse volte mescolare ai predetti, imperciò ke quando molte volte nel sompno vede le piove, e 'l mare, e i fiumi, molta humidità significha d'essere nel suo corpo. E ' fuochi e le folgori e le liti, quando alcuno ne' sonni spesse volte vede, sì mostra collera rossa in lui abondare. E colori rossi, e tinti, e nozze, e cibari dolci, e coppette, e ventose, e fluxo di sangue e trarre sangue se alcuno sognerà, sì ssi declara moltitudine di sangue. E quando con molto fusco kolore tincta, cioè cose tinte, e nereza, e paure, e timori se alcuno riguarda nel sompno, significha operatione di collera nera. E quando nel sompno si vede alcuno stare sì come nel luogo di neve, o pare ke rriceva lesione o magangnamento da alcuno freddo, sì ssingnifica victoria e dominio di freddo. E se le contrarie a queste cose si vedessero e fossero vedute, sì saranno contradie significationi. E se alcuno si vede sì come nel bagno o nel sole o elli si disponga quasi a' dì kaniculari, cioè al grande caldo di luglio, o nel fuocho, sì significha sormontamento di chaldeza. E quando alcuno avrae sognato sé quasi volare e assalire e pilliare, sì ssi dimostra l'effetto e l'operatione di seccheza, e levitade d'omori, e seccheza. E se alcuno sogna sé essere gravato da alcuno, sì ssi dimostra k'elli è molto ripieno. E qualumque si vede andare per sé, per li luoghi fangosi puçolenti, sì ssi dimostra k'elli à putridi homori e puzolenti nel suo corpo sopra. E le contradie cose a queste ànno contradia significatione. E colui che vede ne' sompni k'elli vada quasi per li orti, i quali ànno buoni odori, sì significa iguallianza ' equalitade de' suoi homori e k'elli sono molto di lungi da putredine e fracidume. E per li luoghi quasi stretti se ssi vede alcuno andare, li strumenti de l'alito sì dimostrano d'avere grande infermitade, la quale il vieta e lli constrasta d'attrare tanta quantità d'aria quanta a llui è mistiere.
L. II, cap. 25 rubr.Capitolo .xxv. Del comperamento delli schiavi come si deono prima conoscere per segni.
L. II, cap. 25Nel cominciamento quelli ke ssono presi konviene riguardare il colore kon grande diligentia, imperciò ke 'l colore, quando in rosseza è meno, e infermità di feghato e di milza significa, o di stomacho, o k'elli à male di morici de le quali molto sangue esce. E dipo queste cose la superficie di tutto il corpo in kiaro luogho e luminoso sì si de' riguardare e considerare e vedere, acciò ke morfea subtile, se i· llui è, o cominciamento d'impetigine, cioè di volaticha, non si possano appiattare. Imperciò ke la morfea nel suo cominciamento è molto nascosa, inperciò k'ella allotta non è se nom bianchezza o nereza subtile, la quale a poco a pocho, crescendo e prendendo kon suo acrescimento, si compie. Imperò ke impetigho, cioè volatica, nel suo kominciamento non è altro se non crespeza ke aviene al luogho, e con suo agiungnimento sempre, di die in die, cresce. Ancora se in alcuno luogho del corpo s'elli avranno similitudine di nerbo, o di cottura, o alcuno segno con grande studio fie da considerare ke in questo luogho non abbia baras, cioè infertade per la quale elli sia arso o arrostito o scortichato e tinto, acciò ke ssi possa appiactare o celare; la quale quando fie invechiata o ke ssia di gram tempo tintura quasi debole riceva e farassi ampia l'albaras, cioè quella infermitade, oltra il luogho de la cottura e de la scoriatione, cioè de lo scorticamento. E quando elli aviene la dubitatione del nerbo, mettasi nel bagno e coll'acqua kiara primamente si freghi e col seme haslusnon (nome saracinescho e ke ssi sporrà ne le Sinonime, innançi ne la fine, e così intendi delli altri nomi kaldei e saracineschi k'io no sporroe infino a le "Sinonime". E tu, lectore, lae ne cercherai per l'alfabeto ordinatamente per l'ordine de le lettere e com barac, cioè sale nitro, e aceto). E apresso se consideri e se nel luogho, nel quale cottura o scoriatione non si suole fare, elli fia cotto o scortichato, allotta si dee avere più sospectione et è di magior sospetione e perciò si dee magiormente freghare. E ancora la ssomitade e la extremitade de la cotura con grande inquisitione si dee considerare, imperciò che in questi luoghi pare più manofestamente. E poi si domandi quello che si dee domandare e sappiassi quello ke dice. E poscia i peli del capo e di tucta la cotenna si debbono considerare, se in lei è forfore o rosseza. E l'acuitade e subtillieza dell'udire si dee inkiedere e le sue parole e 'l senno e 'l sentimento. E le pupille, cioè le luci delli occhi, si debbono attendere e ancora si debbono atendere s'elle sono iguali in grandeza; e la subtillieza del suo vedere, e de la biancheza k'è nelli occhi, e' sono da considerare, imperciò ke quando i· lloro è fosco colore participante torbideza significa malattia; e quando in loro è citrinitade significha infertade di fegato; e quando vene molte, rosse e manofeste, sono i· lloro, sia sebello, cioè una infermità de l'occhio, la quale noi conteremo apresso. E le sue palpebre delli occhi si debbono considerare s'elle sono nette e monde e tosto mobili e moventi; e s'elle sono grosse più de le volte sono scabbiose o ssono a schabbia aparecchiate; e quelle ke gravemente si muovono e sono malagevoli sono ree. Dumque conviene colui la cui dispositione è cotale, quando si leva da dormire, tanto fregare le sue palpebre infino k'elle s'aprano. E lacrimale k'è da la parte del naso si conviene espriemere, imperciò ke nn'uscirà forse humore di lui per kagione de la fistola, s'ella v'è. E i peli ancora de le palpebre e de le cillia sono da riguardare, imperciò ke ss'elli son radi,ssignificheranno male e propiamente se con questo elli è roco e à la faccia rossa. E poscia con grande diligentia l'alito per la boccha e per le nari s'attenda ke ivi non sia malo odore. E se consideri la figura de le nari del naso, imperciò ke s'elle sieno grandi e corte avranno in sé fistola, e imperciò si debbono riguardare al sole. E l'alito si dee attendere s'elli è agevole. E ancora il modo de' denti si dee observare, cioè assapere s'elli sono forti, e diritti, e netti, e se alcuni di loro si muovono e si corrodono, imperciò ke ' denti forti lunghamente durano, e i minuti debili tosto cagiono, e ancora pronostichano e giudicano deboleza di tucto il corpo. E d'ora inançi il suo collo si consideri s'elli è iguale, e comprimasi e vegasi s'elli è ivi in alcuno luogo emfiato si veggha, o k'elli abbia citrinitade, imperciò ke ivi fieno forse ghiandole de le quali tosto si generanno scruofole. E ancora s'attenda il petto s'elli è ampio e s'elli à molte karni, imperciò s'elli è piccolo e magro e le spalle sono pinte in fuori, significa la 'nfertà la qual è kiamata thysis, cioè consumptione di corpo. E dipo questo giacendo supino si pongha e tucto il suo ventre e corpo si cerchi, attendendo se ivi si truova enfiamento o dolore ivi si priema e magiormente nel luogo de la milza, e del fegato, e nella boccha dello stomacho. E poi apresso si comandi ch'elli vada, del cui andare si consideri la virtude. E poi li si comandi k'elli stringha alcuna cosa e si consideri la forteza de la sua constrintione imperciò ke s'ella è debole si dimosterrà la debilità di tucti i nerbi. E poi li si comandi k'elli corra e attendasi se dipo 'l corso asma o tossa l'assalga. E ancora le mani e i piedi, insieme comperando, e' si riguardino, imperciò ke forse l'una si troverà magiore dell'altra. E de la dispositione de le giunture si dee considerare se a' movimenti sono aparechiate. E apresso le ginocchia si debbono riguardare a ssapere se i· lloro, o ne le ghambe, vene grosse e ampie vi si truovano, imperciò ke di ciò aviene spesse volte varici et elefantia. E ancora tucte l'altre cose ke noi dicemmo ke ssi dovieno atendere a queste cose congnoscere adiutano.
L. II, cap. 26 rubr.Capitolo .xxvj. De la significatione de' kapelli.
L. II, cap. 26I capelli morbidi sono significativi di paura e i crespi significano ardimento. E ancora moltitudine di peli trovata nel ventre dimostrano luxurioso. E se sopra 'l dosso sieno molti peli sì ssi giudicherà ardimento. E se sopra le spalle e 'l collo sia moltitudine di peli, paççia e ostinatione sì significherà. E nel ventre e nel pecto moltitudine di peli trovata sì dimostra pokeza di sapiença. E peli trovati stare diricti nel capo, o in tutto il corpo, significano paura.
L. II, cap. 27 rubr.Capitolo .xxvij. De la significatione del cholore.
L. II, cap. 27Il colore ruffo o rosso sì dimostra moltitudine di sangue e di calore. E 'l colore mezano intra rosso e biancho significha la complexione eguale se con questo la cotenna fie ignuda di peli. E 'l cui colore è sì come fiamma di fuocho è inistabile e paçço. E 'l cui colore si vede rosso e kiaro è vergognoso. E ancora il cui colore appare verde o nero è irascibile e cruccioso.
L. II, cap. 28 rubr.Capitolo .xxviij. Della significatione delli occhi.
L. II, cap. 28I kui occhi sono grandi pigro è. E i chui occhi som posti im profondo è malitioso e ingannatore. E i cui occhi strabuçano in fuori è isvergognato e grande parlatore e stolto. E quando li occhi sono posti ne la lungheza del corpo, sì dimostrano malitioso e ingannatore. E le cui pupille delli ochi participano molta nerezza è pauroso. E i cui occhi sono somillianti alli occhi de le capre è istolto. E i chui occhi sono tosto mobili e fiso riguardanti è ingannatore e malitioso e ladro. E i chui occhi sono sì immobili, come se fossero pietra, è malitioso. E 'l kui riguardo assimillia a riguardo di femmina è luxurioso e isvergognato; e quando elli riguarda sì come elli fosse un fanciullo e tutto il suo volto e li occhi paiono ke rridono, lieto è ' lungho tempo viverà, e quando li occhi sieno grandi e tremanti, pigro e spatioso, cioè tardo e amatore di femmine. E quando in rosseza assomilliano li occhi a la brascia, huomo pessimo è e obstinato, cioè contrastante e fermo in male. La pupilla dell'occhio, cioè la luce, se nera, dimostra pigro e grosso d'ingengno. E lli occhi vari, abienti al suo colore citrineza mescolata (cioè gialleza), e paiono tinti come di gruogho, significano pessimi mori, cioè rei costumi. E molte macole intorno a la pupilla adparenti nell'occhio signifikano huomo reo e se com questo l'ochio fie vaio sarà pigiore. E s'elli occhi sieno piccoli e pinti in fuori, sì chome gli occhi di granchi, significheranno scioccheçça e stolteçça e seguitatore de le sue cupiditadi. E quando gli occhi sieno piccioli e molto mobili e i nepitelli spesse volte palpitanti, cioè moventi, pessimo huomo significheranno. E le pupille nel cui circuito apare somillianza di margarita mostra huomo invido, e parlante, e pauroso, e pessimo. E lli ochi ke ssono somillianti alli occhi de le vacche dimostrano huomo ke ssia fuor del senno. E quando la pupilla è nera e àe tale citrinitade, per la quale ella pare quasi dorata, huomo reo e spanditore di sangue significheranno. E lli occhi ke tendono in alto, sì come li occhi de' buoi, i quali com questo rossi appaiono e grandi, huomo stolto, scioccho, pessimo e molto ebbrioso significhano. E quelli occhi sono detti milliori i quali sono mezani intra neri e vai e se con questo elli son molto risplendienti con citrinitade o colore di pietra. Se ssono verdi homo reo significano. E ancora li homini ke con questo ànno macole rosse o bianche o ssanguigne sono pigiori di tucti li altri huomini e magiori ingannatori. E quelli che àe la pupilla pinta in fuori co la latitudine de la substantia di tucto l'occhio è mentachatto e fuor del senno. E quando li occhi sono profondi e piccoli malitioso e ingannatore e invido dimostrano. E quando i peli de' nipitelli si pieghano in giù e curvano, o elli si torcono naturalmente a una parte, significano mentitore, malitioso e scioccho. E huomo habiente li occhi molto tremanti è reo. E quando li occhi fieno piccoli, l'uhomo sarà reo e stolto. E se lli occhi fieno grandi, la scioccheza fia magiore e la malitia minore. E ki àe li occhi vai e verdi è reo e ladrone. E li occhi le chui palpebre palpitano e battono con grande spesseza huomo pauroso e maniacho e fuor del senno significano. (+i) E lli occhi neri e um poco vari né non sono né rossi né articolosi e sono kiari e lucenti, ciò è segno di buona natura, savia e ben costumata, ke ciò sono i milliori occhi che ssieno. (i-)
L. II, cap. 29 rubr.Capitolo .xxix. De le significationi de le cilglia. Rubrica.
L. II, cap. 29(i+) Colui k'àe moltitudine di peli ne le cillia sì è segno di molte coggitationi e pensamenti e di molta tristitia e di grosso e di mal parlare. (i-) (+i) E le cui cillia son lunghe sì è sengno d'arroganza, cioè ke ssi tien molto buono et è oltragioso e sança vergogna. (i-) E le cui cillia discendono in giù da la parte del naso (+i) pendano (i-) e si lievino in su da la parte de le tempie sì è isvergognato e grosso d'ingengno.
L. II, cap. 30 rubr.Capitolo .xxx. De' sengni e de le significationi del naso. Rubrica.
L. II, cap. 30La chui stremitade del naso è sottile è huomo ke ama lite. E le cui nari son grandi e grosse è huomo di picolo savere. E la cui stremità del naso è lunga e sottile è ratto in fare e in dire è scioccho e lieve. E le cui nari sono late è luxurioso. E i chui forami del naso son molto aperti è molto cruccioso e iracundio (+i) e ki più l'àe larghe sì è sengno ke più si cruccia volentieri. (i-)
L. II, cap. 31 rubr.Capitolo .xxxj. De la significatione de la fronte de l'huomo.
L. II, cap. 31La cui fronte è piana e non àe rughe, cioè crespe, è litigioso e huomo ke muove lite e rexe. E la cui fronte è rugosa e dikina al mezo di lei è irascibile e cruccioso. E ki àe piccola fronte è stolto (+i) e di non gran savere (i-). E ki àe grande fronte è pigro (+i) lento e neghiettoso(i-). E la cui fronte è rugosa o crespa sì è isvergognato.
L. II, cap. 32 rubr.Capitolo .xxxij. De la significatione de la boccha e delle labra e de' denti.
L. II, cap. 32Chi àe gram boccha sì è ghiotto e ardito. E i chui labbri son grandi sì è scioccho e grosso d'ingengno. (+i) E i cui labri sono tinti e mal coloriti è infermiccio e segno d'inferma natura. (+i) E i cui denti sono deboli e fieboli e radi e minuti (+i) sì è segno di fiebolezza di corpo e di piccola vita. (i-) E i cui denti canini sono lunghi e fermi è ghiotto e reo (+i) e gran manichatore e di mala natura. (i-)
L. II, cap. 33 rubr.Capitolo 33. De la significatione del viso e de la faccia.
L. II, cap. 33E 'l chui volto assomillia al volto de l'huomo ebro (+i) è ardito di parlare e s'inebria volentieri; (i-) e 'l somilliante a l'iracondio è iracondio; e quelli k'è somilliante al vergongnoso è vergongnoso. E 'l cui volto è pieno di karne è scioccho e pigro. E la cui carne de le mascelle è grossa è huomo di grossa natura, cioè di grosso senno. E quelli che àe sottile volto è huomo di molto pensamento. E 'l cui volto è molto ritondo è scioccho. Il cui volto è molto grande è pigro. Il cui volto è molto piccollo è reo e malitioso e ingannatore. E 'l cui volto è rustico li costumi non puote avere buoni se non rade volte. E 'l cui volto è lungo è isvergognato. E ki àe le tempie emfiate e le vene e l'arterie grosse è irascibile e cruccioso.
L. II, cap. 34 rubr.Capitolo .xxxiiij. De la significatione delgli orecchi.
L. II, cap. 34I cui orecchi sono grandi (+i) sì è sengno k'elli sia scioccho (i-) e di lungha vita.
L. II, cap. 35 rubr.Capitolo 35. De la boce.
L. II, cap. 35La cui boce e molto grossa è ardito (+i) e di malvagio intendimento e non di gran senno. (i-) Il cui parlare è racto (+i) sì è segno k'elli sia ratto (i-) e corrente ne' suoi fatti e detti et è di picolo intellecto. Il cui parlare è kon alcuna racteza, è elli e racto, e corrente, e irascibile, e malcostumato. E 'l cui alito è lungo è vile, cioè di piccolo valore. E ki àe la boce grave è servo del suo ventre (+i) e non à cura se non di servire sé medesimo et è dispregiatore delli altri. (i-) La cui boce è aspra è invidioso e tiene in cuore il male piatto e nascoso. (+i) Chi à piccola boce sì è sengno di sciocheza e di poco sapere. (i-) Buona boce mostra sciokeza e poco sapere.
L. II, cap. 36 rubr.Capitolo 36. De le significationi de le carni.
L. II, cap. 36Molte karni e dure sì dichiarano grosso senno e grosso intelletto. (+i) E le karni morbide e suavi sì è segno di buona natura e intelligentia. (i-)
L. II, cap. 37 rubr.De le significationi del riso. Capitolo 37.
L. II, cap. 37Chi è molto ridente sì è benigno e amabile alli homini e convenevole e non è sollicito o pensoso per alcuna cosa. E ki poco ride sì à natura contraria a questa, imperciò ke a llui dispiaciono tucti ' fatti delli homini. E ki ride ad alta voce è isvergognato. E kolui che tosse quando ride, o patisce malagevoleza d'alitare, è isvergognato e tiranno.
L. II, cap. 38 rubr.Capitolo 38. De le significationi del movimento.
L. II, cap. 38(+i) Movimento tardo, cioè quelli k'è lento ad andare, significha grosseza d'intendimento e di pesança di corpo. Movimento racto, cioè ki vae, e tosto sì è sengno di poco senno e di levità e legerezza di corpo. (i-)
L. II, cap. 39 rubr.Capitolo 39. De le significationi del collo.
L. II, cap. 39(+i-) Chi àe il collo corto e grosso e duro e forte sì è segno k'elli sia malitioso e ingegnoso e savio. E 'l cui collo è lungho e sottile sì è segno k'elli sia scioccho e garulo e pauroso. E ki à duro e grosso collo, e forte, e bene nerbuto, sì è iracondio e ratto e corrente e legiere in tutte sue bisogne. (i-)
L. II, cap. 40 rubr.Capitolo .xL. De la significatione del ventre.
L. II, cap. 40Forteza de costoli, e sopra lloro moltitudine di carne, dikiara e significa stolteza. Sottillieza di corpo significa molta angoscia. Grandeza di ventre dikiara e significa troppa libidine e luxuria. Subtillieza di costi dimostra deboleza di cuore. (+i) Ki à il costato largho dee essere di gram burbanza e forte e non di gran savere. Ki ll'àe strette sì à natura contraria a questa et è mal costumato, e ki ll'àe in quel mezo sì è segno di buona natura. (i-)
L. II, cap. 41 rubr.Capitolo .xLj. De la significhatione del dosso.
L. II, cap. 41Ampiezza di dosso dikiara e significa forteza e arrogança e grandeza d'ira. Curveza e kinamento del dosso dimostra e singnifica malitia di costume. E agualliança del dosso è buon sengno.
L. II, cap. 42 rubr.De' segni de le spalle.
L. II, cap. 42(+i) Spalle sottili e agute e alte mostra pocheza di senno e malcostumato. (i-) Spalle late e piene sì dimostra buono intellecto (+i) e di grande intendimento e di buona natura. (i-) Elevamento del capo de la spalla molto allunghata dimostra sciokezza.
L. II, cap. 43 rubr.Capitolo .xLiij. De le significationi de le braccia.
L. II, cap. 43Quando le braccia fieno sì lunghe ke le mani possano tocare le ginocchia (+i) sì è segno di gentileza di cuore, e (i-) di sottilitade d'animo e arroganza, e cupidità di regnare dimostra, (+i) e ama le donne. (i-) E quando le braccia sono molto corte huomo pauroso e amatore di malitia significha.
L. II, cap. 44 rubr.Capitolo .xLiiij. De la significatione de le mani.
L. II, cap. 44Mani morbide e subtili (+i) e ben colorite (i-) molta sapientia e buono intelletto dimostrano. Mani corte dimostrano sciocchezza. Mani sottili e molto lunghissime dikiarano tiranno e sciocchezza.
L. II, cap. 45 rubr.Capitolo .xLv. De la significatione del ginochio e de la coscia, e gamba, e piedi.
L. II, cap. 45I piedi ne' quali è moltitudine di carne dura dimostra huomo di malo intellecto. I piedi piccoli e belli huomo gratioso e fornicatore dimostrano (+i) e amatore di femine; e ke ssia giocoso, lieto e gioioso dimostra.(i-) E quando il calcangno è sottile sì dimostra paura, e quando elli è grosso e forte sì dimostra forteza. E quando le kavillie, cioè i talloni di ciaschuna parte, e le gambe sieno grosse, grosso d'ingengno e isvergognato dimostrano. E quando le cosce di fuori ànno molte carni poca forteza o lenteza e molleza dimostrano. E quando l'ossa de le coscie vanno in fuori significano ardimento. E ll'ossa de l'anche, quando tendono in fuori, dimostrano moltitudine di forteza e virilitade, cioè maschieza. Subtillieza d'anche significha amatore di femine. (+i) Ki àe i talloni sottili e piccoli sì è fiebole e pauroso, ki lli à grossi dee essere forte e ardito e prode. Ki àe le gambe e i fusoli grossi sì è isvergognato, pesante e lento. Ki à le coscie piccole e sottili sì è fornicatore e amatore di femine e dikiara huomo fiebole e pauroso. (i-)
L. II, cap. 46 rubr.Capitolo .xLvj. De la significatione de' passi radi e spessi a l'andare.
L. II, cap. 46I passi de· quale sono ampi e tardi è ispatioso, cioè lento. E di colui i cui passi sono ratti e piccoli festino e ratto e corrente ne' suoi facti significha e per ciascuna cosa si muove et è molto solicito e angoscioso, le quali cose tuttavia elli non sa disporre e ordinare.
L. II, cap. 47 rubr.Capitolo .xLvij. De la significatione de l'ardimento e di conoscere l'ardito. Rubrica.
L. II, cap. 47(+i) Ardito è colui i cui capelli sono forti e aspri e k'à 'l corpo e la sua statura diricta e l'ossa grosse e forti e ben fornite, (i-) e l'estremitadi, e le costi, e ancora le giunture abbiano forteza e sieno grandi, e ancora il petto grande e 'l ventre grande, e le spalle grandi, e 'l collo forte e grosso, nel quale non sia moltitudine di carne; e ancora torax, cioè la parte del petto dinanzi, lato, e le cosce piatte e celate, e lacerto ke ssi truova ne la polpa de la gamba da la parte dentro discende in giù, e la sua cotenna e le carni sono di giugnimento di seccheza, e la sua fronte abbia vene larghe e non abbia rughe, cioè crespe, e non sia sanza peli, (+i) e ke le coscie e le gambe e i piedi rispondano bene alli altri membri. (i-) Sono ancora altri sengni d'ardimento sì come equalità di carni, e diritteza di statura, e forteçça de le giunture e de le dita, e sottillieçça del ventre, e ke le sue natiche sieno picchole e ke del tucto in tucto non si vegano, e ke ambendue le spalle grande spatio distingue, e ke le cillia sieno diricte, e la fronte non sia rugosa. Et elli è molto iracondio, e niquitoso, e molto tengha la sua ira, (+i) e non si rapacifichi legiermente, (i-) e ancora nel petto e ne le spalle è piloso, (+i) questi sengni dimostrano e dikiarano ardimento. (i-)
L. II, cap. 48 rubr.Capitolo .xLviij. Di conoscere quelli k'è pauroso.
L. II, cap. 48Pauroso è quelli i cui kapelli sono piani e la sua statura pieghata e kinata, e i muscoli de la gamba dentro salgono in suso, e 'l colore è citrino, e lli occhi deboli e spesso battono. E le mani e i piedi sottili e magri, e 'l suo riguardo è somilliante al riguardo del tristo.
L. II, cap. 49 rubr.Capitolo .xLviiij. De' segni de l'homo k'è di ratto ingengno.
L. II, cap. 49I cui segni sono ke ssue karni sono morbide, e molli, e poke, in mezzo intra grasse e magre, e no à molte carni nel volto; e le sue spalle sono rilevate in suso, al cui dosso no à carni; e 'l suo colore è mezano intra rosso, e biancho, e tenero, e lucente, e kiaro; e la cotenna e 'l buccio de la carne è sottile; e i capelli ancora non sono né molto duri né molto neri, (+i) né crespi né piani, e à colore di capegli gialli, sì come intra neri e rossi, tale huomo dee essere di buona natura; (i-) e i chui ochi sono mezzani intra varii e neri e sono molli. (+i) Tale huomo dimostra ke ssia di buono intelletto e di buona natura. (i-)
L. II, cap. 50 rubr.Capitolo .L. De' segni di conoscere l'uomo di buona natura.
L. II, cap. 50Questi cotali sono sengni k'elli è intra lungho e corto, e magro e grasso, si truova mezano; et è biancho e à um poco mescolata rosseza; et è mezano intra colui ch'à pocha charne e molta. E ancora la grandeza del capo è proporcionale e risponde a la grandeçça del corpo, nel cui collo poka grosseza è; e i suoi chapelli sono mezzani intra aspri e morbidi e sono um poco vicini a rrossezza, e 'l suo viso è ritondo; e le nari diricte e molto belle e iguali in grandezza; e lli ochi sono mezzani intra neri e vai, ne' quali è humiditade e kiareza. (+i) E questi sono sengni di colui k'à buona natura. (i-)
L. II, cap. 51 rubr.Capitolo .Lj. De' segni de l'huomo filosopho.
L. II, cap. 51I cui segni sono ke la sua statura è diricta, e à 'qualitade di carne, et è biancho, e àe un poco di rosseza mescolata; e i suoi chapelli intra poki e molti, e piani e crespi, sono mezani, e intra neri e rossi; e le mani sono piane e ànno le dita divise; e la fronte è grande; e li occhi intra vai e neri son mezani e sono molli; e ke 'l suo riguardo si truova somilliate a rridente e a llieto e gaudente. (+i) E questi sono segni d'uhuomo phylosafo. (i-)
L. II, cap. 52 rubr.Capitolo .Lij. De' segni de l'homo di grosso ingengno.
L. II, cap. 52I kui segni sono overo k'elli è molto bianco, o molto bruno, o molto fusco; e 'l suo ventre è grande e le dita corte, e 'l volto molto ritondo, e moltitudine di carne ne le mascelle, e ancor de le sue significationi è ke nel collo e ne' piedi, e in quello k'è intra lloro, è molta carnositade; e 'l ventre con ritonditade tende in fuori, e ke le sue spalle sono rilevate in suso; e la fronte in ritonditade tiene similitudine quasi sì com'ella fosse gibbosa, cioè scrignuta o colma, e àe molte carni; e le sue mascelle sono grandi; e le sue gambe sono lunghe e llungo volto e 'l collo grosso.
L. II, cap. 53 rubr.Capitolo .Liij. De' segni de l'homo sança vergogna.
L. II, cap. 53Isvergognato è quelli i cui occhi sono molto aperti e pinti im fuori e acutamente e fisamente riguardanti, e le sue palpebre grosse; e la sua statura non è molto lungha, e quando vae il petto tende um poco innançi; le cui spalle sono ancora elevate, e 'l movimento e l'andare ratto, e 'l colore ruffo; e à molto sangue, e 'l volto ritondo, e 'l torace del petto um poco scrignuto. E ancora de le sue significationi è ke lli occhi s'aprono molto e riguardano fisamente, et è molto parlante.
L. II, cap. 54 rubr.Capitolo .Liiij. De' sengni de l'iracundio. Rubrica.
L. II, cap. 54I cui segni sono volto rustico e àe il colore rosso kon alcuna obscuritade e la cotenna, overo buccia, del volto seccha, e magreza di tucto 'l corpo, e 'l volto rugoso e crespo, e i capelli neri e morbidi.
L. II, cap. 55 rubr.Capitolo .Lv. De' segni de l'homo luxurioso.
L. II, cap. 55I cui segni sono biancheza di colore kon rosseza mescolata, e moltitudine di capelli e grosseza e nereça e morbideza; e ancora ke ssopra le tempie à molti kapelli e ke i suoi occhi sono molto grossi. (+i) E ridenti e 'l viso ben formato e si diletta volentieri di parlare chon femina. (i-)
L. II, cap. 56 rubr.Capitolo .Lvj. De' segni del femminile animo.
L. II, cap. 56In tutte le generationi delli animali le femine ànno l'animo più morto e meno sono sofferenti, e più tosto si possono convertire, e più tosto si crucciano, e più tosto s'appacificano; e sono di magiore kalliditade, cioè più savie in malitia; e sono precipites, cioè s'aventano a cosa ke volliano e ke llor piaccia, e isvergognate; e ànno piccol capo e volto e collo subtili; e 'l petto e le spalle ànno più strette, e le costoli minori. E le cosce d'ogne parte ànno grosse, e le natike somilliantemente, e le gambe sottili, e le mani e i piedi sottili. Le quali in tutte le generationi delli animali più paurose e peggio acchostumate si truovano.
L. II, cap. 57 rubr.Capitolo .Lvij. De' segni de l'enucho k'è sança collioni.
L. II, cap. 57L'eunuco è male acostumato, imperciò k'elli è scioccho e cupido e presuntuoso, cioè ke crede essere magiore ke non è, e crede e presume di sé il bene ke non è, e dengno di quello ke non è. E quelli che non fue kastrato, ma è nato sança testicoli (cioè sança collioni) o k'elli li àe molto piccoli, apare enucho; al quale barba mai non nasce è 'l piggiore.
L. II, cap. 58 rubr.Capitolo .Lviij. De' iudicii de la sottile agregatione e in questione de la fisonomia.
L. II, cap. 58Conviene, quando giudicare vuoli, ke tu non attende tanto solamente una significatione. Ma, in quanto puoi, attendi a le loro agregationi e a· ragunamento. E se alcuna volta aviene contrarietade ne le significationi, e le loro virtù e le loro testimoniançe misura; e poi apresso al più forte pendi e dichina e giudicha per lo loro testimonio e somilliantemente quelle che ssono più. (+i) E non si conviene guardare né attendere solamente a uno dell'insengnamenti de' sengni ke detti abbiamo, ma a tre o a quatro o tanto quanto potrai, il più ke tanto kome l'insengnamenti e i segni predetti s'acordano più insieme sarae più diricto il giudicio. (i-) E ancora dei sapere ke la significatione del volto, e magiormente delli occhi, a tutte l'altre significhationi in forteçça pregiudicha. (+i) E tu lettore ke questo libro di fysonomya leggi, sì lleggi distintamente e apertamente e ritieni bene l'insengnamenti di su detti e prenominati, imperciò ke per li predetti segni potrai conoscere le nature di ciascuno huomo, per li membri ke l'huomo vede di fuori. E avengna Dio ke secondo natura debbia così essere kome noi avemo iudichato, impertanto neente di meno puote bene ancora essere altrimenti, sì come per li buoni insegnamenti e per la dotrina ke lli huomini ricevono, ké voi dovete sapere ke nodritura passa natura molte volte, sì come voi potete vedere manofestamente e continuamente in huomini e in bestie. Nelli homini potete vedere ke molti homini sono di mala natura, ke per loro natura non dovrebbero fare altro ke male. Ma per l'insegnamenti e per la dotrina de' savi e de' discreti huomini diventano buoni e fanno altra cosa ke llor natura non aporta. E ne le bestie vedete voi altressì, sì come ne' cavalli e ne' chani e nell'altre bestie, ke per l'insegnamenti fanno cose e no le fanno neente per lor natura. E intendete ke noi non crediamo, perciò ke detto v'abbiamo ke natura nom passi nodritura, ma ll'uno può l'altro passare, se voi vi ne ponete ben cura sottilmente. (i-) Compiuto è il tractato secondo per l'aiuto di Dio le cui gratie sono infinite.
L. III, Index rubr.Qui cominciano i capitoli del terzo libro, il quale tracta de le virtudi de' cibi e de le medicine sempici. E sono .xxiiij. capitoli.
L. III, IndexCapitolo d'un dicimento universale per lo quale si fa giovamento a conoscere le virtudi de' cibi e de le cose ke nodriscono e de le medicine. Capitolo secondo. Di conservare, overo konoscere, le virtudi de' semi de' quali si suole fare pane. Capitolo terço. Di quelle cose ke ssi fanno di grano e d'orço. Capitolo quarto. De la virtù de l'acqua. Capitolo quinto. De la virtù del vino. Capitolo sexto. De' beveraggi. Capitolo septimo. De le carni e de la loro spetie. Capitolo ottavo. De le vertù de' membri delli animali. Capitolo nono. De le virtù le quali acquistano i cibi per l'artificio e aparechiamento. Capitolo decimo. De la virtù sisamorum e di quelle cose ke del mèle si conficiono. Capitolo .xj. De la virtù e propietà de l'huova. Capitolo .xij. Del lacte e de la sua virtù e di quelle cose ke di lui si fanno. Capitolo .xiij. De le virtudi de' pesci. Capitolo .xiiij. De' semi e de le spetie necessarie a la cucina. Capitolo .xv. De' camangiari e quali di loro s'amministrano in decotione. Capitolo .xvj. De' fructi e de' pomi. Capitolo .xvij. De le cose odorifere, overo fructi odorosi, overo ben odoriferi. Capitolo .xviij. De le spetie odorifere. Capitolo .xix. Delli olii, overo unguenti. Capitolo .xx. De' vestimenti. Capitolo .xxj. De' venti e dell'aria. Capitolo .xxij. De le cittadi sane a dimorare. Capitolo .xxiij. De le virtù de' lattovarii ke sono sani a mangiare, i quali si fanno di frutti e di fiori mochabath e murabathis. Capitolo .xxiiij. De le spetie le quali l'uhuomo ogn'ora puote usare e dee, il qual è disposto secondo l'ordine de le lettere de l'alfabeto. Di qualunque specie il nome comincia da .a., nel capitolo del .a. si truova, e similliantemente si fa ne l'altre lettere. E sono medicine usate.
L. III, cap. 1 rubr.Capitolo primo del terço libro, il quale tratta d'uno dicimento universale per lo quale si fa giovamento a conoscere le virtudi de' cibi.
L. III, cap. 1La cosa dolce è kalda, advegna che non sia di troppa kaldezza forte. La força de la cui caldezza non appare se non quando alcuno avrà kominciato d'usarlo spesse volte, o quando colui ke l'usa fia acconcio a caldezza, sì come colui ke à febbre e chi à ccalda complexione. E ki userà cose dolci, molta collera rossa i· llui si generrae e moltitudine di sangue e commuove le 'nfermitadi e mali fatti e ke ssi fanno di ciascuno di loro. E genera oppilatione e appostemi nel feghato e ne la milza e magiormente se questi membri acciò fieno aconci o apparecchiati. E ancora fa menagione del corpo e mollificha lo stomacho, ma elli giova al petto e al polmone e ingrassa il corpo e fa crescere la sperma. Accido o acetoso, cioè cosa acetosa, è fredda, avegna k'elli non sia di troppa grande freddeza, e riprieme e spengne la collera rossa e 'l sangue, e strigne e fae stiticho il ventre, se lo stomaco e le budella fieno nette e vòte. E se i· lloro fia moltitudine di flemma, si fa fluxo di ventre, cioè fa uscire, e 'l corpo raffredda e la virtù digestiva indebolisce e primamente nel feghato; e a' nerbi e a' membri nerbosi fa nocimento e 'l corpo diseccha, ma la virtù apetitiva conmuove, cioè fae appetito. E la cosa unctuosa mollifica lo stomacho e fa uscire e fa satietade, cioè satolla, inançi ke l'huomo abbia preso tanto cibo quanto mistiere li è; ma tuctavia elli riscalda e magiormente i febricosi e quelli ke ànno lo stomaco e 'l fegato kaldi, e ancora ramollisce e ramorbida il ventre e acresce la flemma, ma elli ingrossa la memoria e lo 'ntellecto e acresce in sompno. Lo stitico, cioè il lazzo, raffredda e diseccha il corpo e fa menomamento di charne e di sangue, e se alcuno molte volte l'usa, lo stomaco conforta. E il ventre più de le volte strigne e genera sangue melancolico. E l'amaro rischalda e diseccha fortemente e mena tosto il sangue ad adustione, cioè ad imbrasciamento, e fa crescere la collera rossa nel sangue. E ll'acuto sì come pepe e mostarda e cotali cose pugnenti riscaldano molto più ke non fa l'amaro, onde acresce il calore, e tosto infiamma il corpo, e arostisce il sangue, e primieramente il muta in collera rossa e poi in collera nera, cioè in meninconia. E lo 'nsipido, cioè sì come sança sale ' sança sapore, e alcun di loro è ke più nodrisce e notricha, cioè quello k'è procciano a equalitade; e un altro è ke temperatamente riscalda, e un altro è ke temperatamente raffredda kol quale, se molta humiditade sarà, humenterae e ramollirà, e quando fia seccho e sança humidità, si diseccherà. E quando alcun de' predetti sapori a alcuna cosa in tanto segnoregia k'ella nom possa essere presa da la signoria de l'altro, o se vi si sente, cioè l'altro almeno poco e nascosamente vi si sente, sarà allotta la sua operation nel corpo secondo ke noi dicemmo. E se due sapori igualmente signoregeranno, la loro operatione sarà composta egualmente secondo questo.
L. III, cap. 2 rubr.Capitolo secondo di conservare e conoscere le virtù de' semi, de' quali si suole fare pane.
L. III, cap. 2(+i) Il grano, cioè il frumento, è una biada temperata konvenevole sopra tucte biade a la natura de l'huomo, (i-) advegna k'elli tengha um poco a caldezza. E quello ke ssi truova più pesante e più sodo è di magior nodrimento alli huomini, più di tucti grani si truova convenevole e proprio e 'l sangue ke di lui s'ingenera è più temperato d'ongne sangue ke delli altri grani s'ingenera. (+i) Ma elli diversificha sua natura per vecchiezza e per novelleza e per la terra ov'elli cresce. E perciò kolui che 'l dee mangiare sì 'l dee eleggere ch'elli sia cresciuto e nato im buona terra, e k'elli sia netto e mondo di tutte altre cose, e sia in intra vecchio e novello, e ke abbia colore intra bianco e rosso, e sia tenuto nettamente e non in fosse, né a rilento, ançi dee essere in magione ove venti possan ventare. E tale frumento konviene a l'huomo usare perciò ke 'l sangue ke nn'è ingenerato è più temperato ke nniuno sangue ke ssia ingenerato di neun'altra biada. (i-) (+i) Orzo sì è freddo e secco nel primo grado. (i-) E l'orço è prociano a equalità, avengna k'elli si tenga a ffredeza, il cui nodrimento, per comperatione al grano, è piccolo, emfiativo e infrigidativo, e alli akostumati d'avere ventositade e infertadi fredde e male di fianco fa impedimento. Ma a' riscaldati e ke volliono acquistare menomamento di carne giova, ma elli genera sangue vicino a la collera nera. (+i) E la segale si tiene a questa medesima natura, ma quelli il possono usare ke ssono di calda natura. E sappiate ke 'l sangue ke n'è ingenerato è malinconoso e perciò è mellio a usarlo secondo via di medicina ke per santade guardare, cioè a dire d'usarlo in febbri sì come fare acqua d'orzo e altre cose ke lli autori di fisicha insegnano. (i-) (+i) Riso è kaldo nel primo grado e seccho nel secondo e il suo kalore sì è procciano al temperamento ke lli è intra chaldeza e fredeza. Ma elli è di sua natura pesante e dimora molto a la forcella e 'l ventre ristrigne, (i-) e alli acostumati d'avere male di fianco nuoce, il quale avengna ke molto nodrisca. Del ventre non discende leggiermente s'elli non si cuoce kon alcuna cosa ke ssia molto viscosa, il quale, quando si cuoce kol latte ' kol çuchero e si manucha, molto nodrisce e 'l sangue acresce. (+i) Millio e panicho sì sono freddi nel primo grado e secchi nel secondo. E noi diciamo insieme di questi due perciò k'elli ànno una medesima natura, kon tutto sia ciò ke 'l panicho doni milliore nodrimento ke 'l millio. E sappiate ke ssopra tutti i grani ke l'huomo usa donde l'uhuomo facia pane dona il millio meno di nodrimento, ké 'l sangue ke nn'è ingenerato sì è poco e malvagio, e perciò quelli ke volliono ingrassare e avere abbondança di buon sangue no 'l debbono usare, perciò k'elli ristrigne il ventre e fa emfiare la forcella. Ma a colui ke mellio nom puote e ke usareli le conviene, sì 'l puote usare con latte e con olio di mandorle e con carne grassa, ké karne grassa sì li fa perdere sua malitia. (i-) (+i) E sappiate ke 'l millio e 'l panicho valliono più per malatie rimuovere ke per santade guardare, kome ke l'huomo il vollia usare, sì come a porre lo arrostito e caldo a le tortioni, e ai dolori per ventositade, e a molte altre malatie ke per ventosità sono ingenerate. (i-) (+i) Vena e spielda sì sono fredde e secche, e sono di maniera d'orço, e ànno somilliante natura in tucte opere, e valliono più per malatie rimuovere ke per santade guardare, ké di loro natura fanno la forcella bruire et enfiare, ma elli ànno virtù e propietà di torre via emfiature ke per ventosità avengono se l'uomo lo vi pone kaldo di sopra. E vallion molto a usare a quelli ke ànno eticha e sono magri e volliono ingrassare in questo modo: prendete farina di vena o di sspielda e mischiate con esso la colatura ke l'huomo fa di bien di frumento, cioè la cruscha del grano, in acqua kalda kol latte di mandorle e con tre tuorla d'uova, e fare kuocere a maniera di gruel; e usinlo koloro ke ingrassare volliono e ke per kalde malatie son magri, ke questa è una vivanda sana ke ssopra tutte altre ingrassa. Saggina sì è una maniera di biada fredda e seccha ke cresce in Proenza e in Toschana e in Lombardia a maniera di kanna. La quale non è neente buona a usare per santade guardare perciò ke dona grosso nodrimento, e fae il sangue malinconoso, et enfia il ventre, e la forcella e ristrigne, tucto sia ciò k'elli la molli alcuna volta forse perciò k'elli è um pocho pesante e fae le vivande avallare. E 'l pane ke nn'è facto di tale biada e di tucte l'altre si tiene la natura de la biada dond'elli è facto, salvo k'elli è um poco più caldo, e tale calore li viene del forno ov'elli è kotto, sì come testimonia Ysaac. Farre è una maniera di biada k'è sommiliante al grano, salvo k'elli è più grosso et è freddo e seccho temperatamente e à virtude di donare nodrimento al corpo quando elli si cuoce bene. Ma elli enfia um poco il ventre e vale più a malatie levare ke per santade guardare e spetialmente ad malatie kalde. Ora diremo de' legumi. Fave sono di due maniere sì come sono verdi e secche. Le secche sì sono fredde e secche e le verdi sì sono fredde e humide nel primo grado. E 'l nodrimento ke le verdi donano sì è reo, grosso e viscoso, e fanno troppo gran male a lo stomaco e perciò si ne debbono coloro guardare ke ànno male di ventosità e ke ssono pieni di grossi homori. E ancora le fave verdi ne lo stomaco e ne le budella acrescono la flemma e in loro konmuovono ventositade. (i-) E le fave secche sono prociane a temperamento, avengna k'elle apertengano a fredezza, le quali molto emfiano e generano scotomia, e tucto il corpo fanno disoluto e grave, e gravano il capo; ma la gola puliscono e ramorbidano quando si manuchano sanza sale. E s'elle sieno cotte coll'aceto il ventre stringono. E a coloro ke ssono acostumati d'avere ventosità per male di fiancho, k'elli sieno rotti o crepati, sono ree. (+i) E valliono mellio a usare per malatie rimuovere ke per santade guardare. E sì vi diroe kome ke ki prende farina di fave e mangila con grascia sì fae li omori del petto e del polmone solvere, e ancora ki ne fa empiastro sopra le mamelle, quando elli v'àe apostome e à i testicoli emfiati. Ma quando le fave son cotte in aceto, sì fanno le malatie rimuovere. E l'acqua ove le fave son cotte sia natura di nettare il viso e di purgarlo di tucte ordure. E intendete ke le fave ke ssono milliori a usare sì ssono le bianche ke ssono intra vecchie e novelle, e valliono mellio quelle ke ssono kotte ne l'acqua ke quelle ke ssono kotte ne la brascia, perciò ke ll'acqua à ppiccola la ventosità. Ma l'arrostite ànno natura di donare magiore apetito di mangiare. E ancora quelle ke mellio vagliono sì sono quelle ke ssono cotte sança i gusci, perciò k'elle dimorano pocho a lo stomaco e nodriscono assai e donano talento d'usare con fenmina e per loro malitia amendare. Ki usare le vuole, sì le mangi kon menta, con pretosemoli e con salvia, con ispetie buone di pepe, di kannella, e di çafferano, e d'altre somillianti cose ke possono lor malitia amendare. (i-) (+i) Ceci di loro natura sì sono kaldi e humidi e sì sono di diverse maniere sì come verdi e secchi. E i secchi sì ssono bianchi e rossi e neri. I verdi si tengono a natura di fave, ké elli emfiano e danno grosso e malvagio nodrimento. E si diversifichano i secchi dai verdi, sì come le fave verdi da le secche, ke ssì come le fave secche ànno meno di vescositade ke le verdi, così è de' ceci secchi, con tucto sia cioe k'elli non abbiano tanta ventosità kome i verdi. Impertanto tuctavia ànno elli ventositade, e ingenera grossi homori, et emfia, e ànno natura di provocare l'orina, cioè di fare orinare, e fanno venire lor private malatie a le femine, e acresce la sperma. E i ceci neri, ki usa l'acqua ov'elli saranno cotti, sì tolgono il male de la pietra e sono di loro natura più kaldi ke i bianchi o ke i rossi, e perciò sì ànno natura d'aprire le vie del fegato e del cuore più ke i bianchi o i rossi. Ma i bianchi e i rossi sono più amabili a la natura de l'huomo. E intendete quando elli sono arrostiti ke elli ànno meno di vescositade e di ventosità ke i cotti in acqua e valliono mellio per malatia rimuovere ke per santà guardare. (i-) (+i) Lenti sono di lor natura frede e secche nel secondo grado e secche nel terço e sì sono di diversa natura ke la midolla ristrigne la menagione e la scorça la fae. E sappiate ke ssopra tutti i leghumi le lenti sono ree a usare, perciò k'elle sono dure e grosse per kuocere a la forcella. E 'l sangue ke n'è ingenerato (o si ne ingenera) sì è grosso e malinconicho, e di loro si lievano grossi fummi ke riempiono il cervello e tolgono la veduta e l'udire e fanno la testa dolere. E non fanno né micha solamente ciò, ma elle ingenerano cancro e letigini e morfea, (i-) e 'l corpo disecchano, e distrugono la sperma, e ristringono il sangue, la cui chaldeza elle spengono; imperciò k'elle raffreddano e fanno tenebrosità d'occhi e menanconice infertadi, quando alcuno l'usa di manicare spesse volte. E quelle ke di loro s'arrostiscono meno enfiano e più disecchano. (+i) E perciò sono ree a usare, ma se usare si convengono, sì le dee huomo elegiere quelle ke ssono grosse e novelle e ke ssi cuocano leggiermente. E conviene k'elle sieno cotte con menta, e pretosemoli, e salvia, e comino, e çafferano, ké tucte queste cose amendano lor malitia. Pesi sono freddi nel primo grado e sono humidi temperatamente, e sono di diversa natura, ké la scorça di sua natura sì ristrigne il ventre e quel dentro l'amolla. E quando si mangiano sança la scorça, overo gusci, sì ingenerano buoni omori e nodriscono bene con tucto sia ciò k'elli abiano um poco di ventosità, ma elli n'ànno assai meno ke le fave. E la prima acqua ov'elli saranno cotti sì vale a quelli ke ànno febbre e ke ànno tossa e dolore di chapo e di petto, salvo ke ll'acqua sia sança sale e non abbia alcuna altra cosa in sé ke gravare lo potesse. (i-) Mes freddi sono e secchi, i quali sono più lievi ke le fave e de le lenti e meno di loro sono enfiativi, ma il lor nodrimento si truova minore ke 'l nodrimento de le fave e de le lenti. (+i) Lupini di lor natura sono kaldi e secchi nel primo grado e valliono meglio per malatia rimuovere ke per santade guardare, perciò k'elli sono grossi e duri a digerere e cuocere, e valliono mellio a usare dopo mangiare ke dinançi kon salina, ma sieno temperati ne l'acqua tanto ke lloro amaritudine sia levata. (i-) E quando elli son fatti dolci e si manucano non riscaldano, e quando elli sono amari non sono aconci ad nodrire, ma sono aconci a medicina, imperciò k'elli disfanno e distrugono le scruofole, cioè le gavine, ançi ke ssi rompano, e astergono (cioè lavano) e mondifichano. E quando elli s'anministrano e danno non molto radolciti e provocano l'orina e i mestrui, cioè fanno orinare e venire lor celata e privata malatia a le femine e fanno scipare le femine, e lumbrichi e vermini mandano fuori del ventre, e aprono le bocche de le morici; (+i) usando e tolliendo farina di lupini e mischiata in mèle e data a bere a quelli k'ànno vermini o mal di mignatti sì li caccia. Ancora mischiata la farina di lupini chon sugo di ruta, sia sopra tutte cose natura di purgare la vescicha di tutti mali omori ke vi avengono. E ancora ki prende dell'acqua ove i lupini siano cotti e l'asperge sopra le cimici, sì l'uccide e caccia tucte. Fasgiuoli sono caldi e humidi di lor natura pressoké nel secondo grado, e di loro natura non si possono di secchare sì come altri legumi, e perciò non si possono guardare. E quando huomo li mangia, sì ingenerano grossi homori, et enfiano, e riempiono il cerebro di malvagi omori e di malvagi fumi ke di loro si dipartono, e perciò no li fa buono usare, perciò ke lli omori ke ss'ingenera di loro sì è di grosso e di malvagio nodrimento. E ciò sono più i verdi ke i secchi. (i-) I fagiuoli enfiano e ingrassano il corpo e provocano l'orina e i mestrui, e ancora redono il corpo molle, cioè muovono, e quelli propiamente il fanno ke ssono rossi. E 'l corpo riscaldano e fanno scotomia del capo, cioè pare ke ssi giri intorno intorno il mondo, e fanno vedere mali sogni. (+i) Ma per malatie rimuovere sì li dee huomo usare a koloro ke non possono orinare e a le femine, a kui fà lla loro privata malatia sì come detto è. E se mangiare li conviene, sì dee huomo elegere quelli ke ssieno bianchi e sieno intra vecchi e novelli e ke ssien cotti e netti di scorçe, over gusci. (i-) Le rubillie sono fredde e secche, le quali poco nodriscono e reo sangue generano e fanno impedimento ai nerbi. (+i) Mochi sono kaldi nel primo grado e secchi nel secondo e valliono mellio a usare per malatie rimuovere ke per santade guardare, ké di loro natura aprono le vie turate del fegato e del polmone e delli altri membri e fanno bene orinare e venire mestrui, cioè le private malatie a le femine, e nolli dee huomo usare troppo perciò ke lle fanno pisciare sangue. Cicerchie sono fredde e si tengono a la natura de le lenti, ma elle sono mellio a usare ke le lenti, perciò ke ll'omore ke nn'è ingenerato non è sì grosso né sì malinconoso. E vale tuttavia mellio a usare l'acqua ke la substanza, ké ll'acqua de le cicerchie si può usare a la maniera ke l'huomo fa quella de' peselli. Vecci di loro natura sono kalde e secche ma il loro kalore è temperato e valliono meglio per malatie rimuovere ke per sanità conservare, perciò ke di loro s'ingenera malvagio sangue e mali homori, e donano mal nodrimento, e fanno la testa dolere e pesante, e fanno dormire assai. Ma loro natura è di fare bene orinare e di sturare le vie del fegato e de le vene ke ssono richiuse e piene di grossi homori. (i-) Dora è seccha e poco nodrisce e 'l ventre ristrigne.
L. III, cap. 3 rubr.Capitolo terço. Di quelle cose ke ssi fano del grano e de l'orço.
L. III, cap. 3Il pane ke ssi fae del frumento ai più delli homini è convenevole, il quale ancora è milliore quando di molto sale e di molto formento è formentato e kuocesi, e sia ben lievito e ben cotto perciò ke più tosto si digere e cuoce ne lo stomacho e più sottile e dilichato si truova. E l'aççimo pane duramente e apena si digere e cuoce ne lo stomacho, e tardi discende de lo stomaco, e fa dolore nel corpo e oppilatione nel fegato, e pietra genera ne le reni. La similla, cioè il fior de la farina, de la quale si fae dormacha, cioè quel kotale manichare ke così è kiamato; e quelli cotali dormacha sono di magior nodrimento, ma tardi discendono ne lo stomacho. E la comune farina più tosto discende e meno nodrisce, ma il sangue ke di lei è generato apertiene um pocho a malinconia. E ancora il pane ke ssi cuoce ne la padella e ogne pane ke non è bene cotto a ddigerere e cuocere ne lo stomacho si truova più tardo e 'l ventre fa dolere, il cui manichare spesso nom puote sofferire se non quelli che molto s'affaticha. Il tri, e 'l pane de' carnegi, e le zibule, karteduli, e crustola, tucti questi cotali manicari, sì come frittelle e macheroni, lasagne, vermicelli e similliante di pasta, sono sì come pane azimo. Ma tuctavia qualumque di questi fia confetto con olio o con latte sì è più ultimo in malatia, ma ffie di magior nodrimento. E 'l pane de l'orço, per comperatione di quello del grano, si truova più freddo, il quale è di piccolo nodrimento e fa venstositadi, e male di fianco, e infertadi fredde, e il ventre strigne. E 'l pane ke ssi fa delli altri grani è sì come il grano di ch'elli si fae. E ne l'amido si truova viscosità per la quale i membri scortichati si fanno piani e puliti, il quale pulisce e ramollisce la gola dentro e 'l petto, quando le polte si fanno di lui con çucchero e con olio di mandorle; ma ispesse volte manicare fanno oppilatione nel fegato. E de l'acqua ancora sulvuris si fanno polte, le quali ànno tersione, cioè uno strupicciamento e lavamento per lo quale il polmone mondano e nettano. E l'acqua de l'orço a quelli ke ànno febbre aguta giova, e lenisce e pulisce il petto, e ancora seda la sete, cioè atuta, e tollie l'ardore. (+i) Cruscha. E la similla di grano, cioè la cruscha, è kalda e seccha e 'l nodrimento ke dona è pocho e malvagio, ma il calore e la sete spengne (i-) e giova a coloro k'ànno il fegato kaldo se coll'acqua primieramente è bene lavata; apresso con molta acqua kalda acconcia col çuchero mescolata si bea. (+i) E la colatura sua sì à virtù di nettare i membri quand'ella è messa in acqua calda e bene stropiciata, e poi colata, e sia cotta a maniera di gruello. E la puote huomo donare in febri e in tutte kalde malatie col zuchero, sì come di su detto. (i-) (+i) E la semola, cioè la cruscha, de l'orço sì vale mellio, perciò ke nodrisce più ke quella del frumento e rafredda. Ma quella del grano è lieve e temperata. E ki fae bollire la crusca del grano in acqua e in vino e faccia di cioe uno impiastro kaldo, e pongalo sopra le mamelle ke ssono emfiate e dure per abondança di lacte, sì le disemfia. E questo impiastro medesimo vale altressì al morso e traffigimento di serpi e di tucte bestie velenose. (i-)
L. III, cap. 4 rubr.Capitolo quarto. De la virtù e propietà de l'acqua e come si dee elegere la buona.
L. III, cap. 4(+i) L'acqua naturalmente è fredda e humida e non dona punto di nodrimento, salvo k'ella àe virtù di sottilliare il cibo e fàllo passare più legiermente per tucti i membri e à virtù d'atare a tucti quelli ke ssono di chalda komplexione più ke non à il vino, (i-) reprimendo e mitigando il calore a coloro ke ssono rischaldati e a coloro ke ànno la complexione kollericha è più convenevole ke 'l vino. (+i) E l'acqua ke l'huomo dee eleggiere sì è quella ke più è legiere e di peso più lieve e ke più tosto riceve caldeza e fredeza e ke tiene millior sapore, (i-) il quale um poco è inkinato a dolceza, è giudicata per milliore. E ancora l'acqua ke à malo sapore e malo odore è rea e non si dee bere, ma tuctavia alcuni beono l'acqua per kagione di medicina. E l'aqua torbida nel fegato e ne le reni oppilatione genera e crea pietra. E la salsa acqua primieramente muove il corpo e poscia lo strigne, e se alcuno la bee acostumatamente il corpo diseccha, nel quale schabia e ragadie, cioè quella infermitade, genera. E l'acqua ke non corre e quella k'è putrida fa crescere la milza et emfiare, e la complexione corrompe, e febre genera. E l'acqua freddata co la neve, o quella ke di sé o di sua natura si truova così fredda, percuote e fa male a lo stomaco, se alcuno la bee a ddigiuno, ma molto raffredda il feghato. La quale neuno a ddigiuno osi bere, se non i riscaldati, imperciò ke a lloro giova in questo modo. E presa sopra 'l cibo fa forte lo stomacho e acresce l'appetito, de la quale piccola quantitade basta. E l'acqua, la quale di sua fredeza o per poca non perviene infino a quello k'ella faccia dilettatione, e 'l ventre emfia e la sete non menoma, ma l'appetito distruge e guasta, e il corpo disolvendo indebolisce, e a la perfine non è konvenevole. E l'acqua kotta, infino a tanto ke sua substantia si redda, meno è emfiativa e più tosto discende. E l'acqua piovana ad coloro ke tosto cagiono in febbre è rea e magiormente s'ella è molto stata, la quale ne l'altre sue dispositioni è buona. E l'acqua tiepida fa nausea, cioè abominatione e voglia de rendere. L'acqua calda, la quale alcuni beono a digiuno, lo stomaco lava da la superfluità del precedente nudrimento, la qual forse muove il ventre. E se questa spesse volte si bee, lo stomaco corrompe e indebolisce. E l'acqua, ne la quale l'uomo si bagna, non è bene k'ella sia molto calda né molto fredda, ma conviene ke intra queste due tengha temperança, imperciò ke questa ai temperati corpi è più convenevole. E l'acqua fredda i corpi grassi fortificha e li fa più chaldi ke primieramente non erano e ai vecchi nuoce e a coloro ke ànno i corpi deboli. E l'acqua calda rimuove e tollie la fatica e menoma il dolore, e mollificha li apostemi, e acresce la belleza del corpo e le sue carni, e provoca l'orina, ma il corpo disolve e indebolisce e il sangue fae tosto uscire di coloro de' quali è acostumato d'uscire, e abbatte la virtù. E de l'acque calde ke naturalmente sono sulforee (cioè sanno di solfo) e di bitume riscaldano i nerbi e a le fredde infertadi de' nerbi giovano quando l'imfermi v'entrano entro. E a la scabbia e a le pustole (cioè papici) giovano, e le budella riscaldano fortemente, e magiormente il fegato. E l'acque ke ssono salate di sale armoniacho e quelle k'ànno male sapore il ventre allargano quando huomo le bee, e quando huomo vi siede entro, e quando huomo ne fa cristeri. E l'acque kalde, ke ssopra l'alume corrono, giovano a coloro ke sputano sangue, e a le femine a chui abonda troppo lor tempo, e a coloro ke ànno le morici, ma ne' caldi corpi generano febbri. E l'acque naturalmente calde ke bollono e arrostiscono disolvono il male del fiancho e 'l gueriscono, e la grossa ventosità infusa e sparta ne' membri e lo spasmo humido mandano via. E l'acqua la quale corre sopra la terra, de la quale si trae il ferro, giova a coloro ke ànno grande milça et emfiata. E quelle ke corrono sopra la terra de la quale si fae il rame, a coloro k'ànno la complexione corrotta si pruova e truova molto utile. (+i) L'acqua dolce ke dee essere buona a usare, sì dee essere kiara e k'ella non abbia punto di savore, né d'odore, né di colore, perciò ke queste cose non puote ella avere s'ella non è mischiata con altre cose, se non k'ella dee essere kiara in tutte maniere e dee correre sopra terra k'è apellata sabbione. E tanto com'ella corre più lungamente di tanto vale mellio e dee correre di verso il sole levante e al vento da tucte parti discoperta. E sança questa acqua ke noi avemo nomata, sì dicono i filosaphi ke ll'aqua de la piova, k'è nettamente ricolta e ke ssia caduta d'alte nuvole, sì è la milliore di tutte altre, perciò k'ella è più sottile, ke per sua sottilità vegiamo noi k'ella si corrompe più legiermente ke ll'altre. E potete conoscere la quale è più sottile e più lieve per questo experimento. Prendete due drappi di cotone o di lino d'uno peso, e bagnateli in diverse acque, e li pesate al ritrare ke ssieno d'iquali peso, e li ponete al sole a secchare, e quale peserà meno l'acqua ov'elli sarà molle sarà più lieve e milliore. E ancora dico ke l'acqua ke più legiermente si schalda e raffredda al sole, quella vale mellio. E poi che voi sapete qual è la milliore e per bere e per usare, sì vi dirò kome voi la dovete usare. Sapiate ke bere l'acqua a digiuno è mala cosa e quando l'uomo è fatichato altressì e perciò konviene k'elli mangi um pocho; ma quelli ch'è sanguigno e àe grande calore nel ventre, e genti ke ssieno ebbre, la possono più arditamente usare e bere; ma tuctavia la debbon bere soavemente e non troppa insieme, ké bere troppa aqua insieme a uvetta sì è troppo mala cosa, perciò k'ella potrebbe amortire il calore naturale. E ki à grande mestiere di prendere grande quantità d'aqua, sì la prenda quand'elli avrà mangiato moderatamente e non a gorgate. Ma d'amendare l'acque ke ssono corrotte noi non ne diremo ora più, perciò ke noi il diremo qua inançi in suo proprio luogho. Avemo detto de l'acqua or diremo del vino. (i-)
L. III, cap. 5 rubr.Capitolo quinto. De la virtù e propietade del vino e come si dee usare.
L. III, cap. 5Lo vino si truova essere diversificato e mutato in molte maniere, cioè si può diversificare in colore e secondo la sua substantia, (+i) in savore e in odore, novello e vecchio, e secondo la sua diversità si aopera diversamente al corpo de l'huomo. Ma il buon vino naturale sì è quello k'è intra novello e vecchio igualmente, e ke sua substantia è kiara e netta, e ke ssuo colore è biancho e tiene una parte di rosso, e ke àe odore buono e soave, e ke à savore non troppo alto, cioè troppo forte, né troppo fiebole, ma àe un savore intra dolce e amaro verdetto. E questo è il vino ke conviene usare a la natura de l'huomo ke la vuole sana tenere, ké quelli che di tale vino bee temperatamente, secondo ke la sua natura rikiede e domanda e può portare e l'usança e 'l paese richiede, sì fae buono sangue, buono colore e buon savore, e tutte le virtudi del corpo più forti e sì fae l'uomo lieto e di buon aire e bene parlante. E ciò sapevano i filosafi qua in adietro, sì come quelli de la regione di Persia ke corregievano il popolo e le cittadi, i quali bevevano buon vino ançi k'elli volessero consilliare o giudicare a ragione la gente, perciò k'elli sapevano bene e vedevano ke 'l vino li facea più sottili e più provedenti ne le cose k'elli avevano a ffare. E sì come voi vedete ke 'l vino fa bene a colui che 'l prende temperatamente, così dovete sapere k'elli fae male a colui ke 'l prende oltre ciò k'elli non dee, perciò ke ki 'l be' a digiuno sì ingenera gotte sopra tutte cose, perciò ke 'l vino, quando elli vae a la forcella, per sua sottilità sì non vi dimora tanto k'elli sia cotto, ançi se ne va per li membri tucto crudo, e fae gotte venire e altre malatie assai. E dopo mangiare, quando la vivanda cuoce, sì è mal bere, perciò ke la vivanda non si cuoce a sua natura. Ma bere temperatamente quando huomo mangia e spesso sì è convenevole. E non dee l'uomo bere tanto k'elli sia ebbro, con tutto ke alquanti filosafi dicano ke d'essere ebbro due volte il mese è sanità, perciò ke dicono, ke la força del vino sì distrugge le superfluità del corpo e purgale per sudore e per orina e per molti altri luoghi. Ma certo di divenire ebbro spesso avengono molte malatie sì come paraliticho, appoplitiques, spasmo e altre assai; e 'l membro ke più n'è gravato per lo troppo bere sì è il cervello e perciò si ne debbono guardare coloro ke ànno il cerebro fievole, e coloro cui il vino fa male legiermente sì debbono usare, poi k'elli ànno bevuto, mèle e ulive, o molsa di pane in acqua fredda, o mèle cotongne, e tucte cose ke fummi avallino. Ma coloro ke volliono divenire ebbri, si prenda ollium e altre cose, sì come seme di jusquiamo, e moscado, e scorça di mandragora, e aloe, e gala muscata, e altre cose ke 'l fumo del vino fanno montare a la testa. E poi ke ll'huomo è divenuto ebbro per queste cose mangiare e vollia disebriare, sì bea aceto mischiato in acqua fredda spesso e poco insieme, e sì fiati e odori spesso la canfera e acqua rosa, e tengha ' suoi piedi in acqua fredda, e mangi molta di pane in vergius, cioè in agresto. E ki vuole assai bere sança inebriare, sì può fare l'enfrascripte cose, cioè seme di chavoli, e comino, e mandorle monde ne l'acqua fredda a digiuno. E quelli che ànno il cervello fiebole si debbono guardare di vino alto mischiato in acqua di bere, perciò ke 'l vino alto e potente mischiato in acqua inebbria più tosto ke non fae il puro; e di bere di diversi vini si deono guardare per li diversi fummi ke riempiono il cervello. (i-) E ongne vino ke inebria riscalda troppo. E 'l vino biancho e kiaro, ke non soffera molta mescolança d'acqua, è di minore riscaldamento, ma più è provocativo d'orina, cioè fa orinare. E quello ke à colore di fuoco è amaro e che puote ricevere magior conmistione d'acqua è di magior riscaldamento. E 'l nero grosso e dolce, nel qual è ponticità, è di più grossa natura. E 'l vino ancora nuovo genera più sangue et empie le vene più e più tosto. E 'l vecchio si truova contrario a questo, e ancora generalmente il vino lo stomacho e 'l feghato riscalda, e 'l nodrimento fa passare, e 'l sangue e le carni e 'l calore naturale naturalmente acresce, e aiuta la natura ne le sua propie operationi e la digestiva ne diviene più forte, cioè la virtù ke cuoce il cibo. E per lui l'expulsioni de le superfluitadi e loro uscire fuori si fa leggiere e agevole, e questa è la chagione perké santade e grosseza e forteza perdurano e la vecchieza si ritarda. E ancora il vino letifica l'animo. Ma s'elli se ne bee più che non è mistiere, al fegato, al cerebro e a' nerbi fa impedimento e triemito, e spasmo, e parlasia, e applopesia, e morte subitanea genera, ma s'elli si bee temperatamente è kagione di molto bene nel corpo e ne' vecchi magiormente. E 'l vino puro, al quale si mescola poca acqua, a coloro ke ssolliono patire nel ventre grossa ventositade e a coloro i chui stomachi e fegati sono freddi giova. E 'l vino dipurato e che à molta amistione d'acqua, a coloro ke per lo vino sentono dolore e di lui s'inebbriano dà aiuto, avengna k'elli emfi il ventre. E 'l vino grosso dolce e nuovo a coloro ke ànno opilatione dentro o grosseza è nocivo, ma a coloro ke volliono tosto ingrassare è buono. (+i) E 'l beveragio ke ssi fa del vino dee l'uhomo considerare sua natura, secondamente k'elli è usato e ke ssua natura richiede, ché molte nature sono ke amano mellio vino grosso sì come i sanguigni, e altri che amano mellio vino chiaro, e altri ke amano meglio vino novello, e altri sono ke amano mellio vino vieto. E secondamente ke l'huomo vede ke sua natura si diletta più all'uno k'all'altro e quello ke mellio loro vale dee l'uhomo usare. (i-) E 'l beveragio ke ssi fa dell'uve passe, la virtù è sì come la virtù del vino k'è grosso e nero, avegna k'elli abbia minor caldeza di lui. E quello ke à mistione di mèle è più chaldo ke 'l grosso vino, secondo la moltitudine del mèle o la sua paucitade bisognante in lui. E 'l beveragio k'è fatto del mèle è fortemente kaldo, il qual è generativo di collera rossa, e no è convenevole a coloro ke ànno kalda complexione, ma giova a coloro ke ànno infermitadi fredde. E 'l beveraggio ke ssi fa di datteri e de' fichi è grosso, per la quale cosa è reo a lo stomacho e sangue malinconico genera e oppilatione dentro, e maggiormente s'elli è nuovo è dolce, ma il corpo ingrassa e in lui augmenta e cresce il sangue.
L. III, cap. 6 rubr.Capitolo sexto. De' beveraggi e prima de la cervigia.
L. III, cap. 6(+i) Cervoisa sì è una maniera di beveraggio ke l'huomo fa di vena o di frumento o d'orço, ma quella k'è d'orço non è neente sì buona come quella de la vena o del formento, perciò ke non emfiano e non fanno tanta di ventosità. Ma di che k'ella sia facta, o di vena o di spielda o di frumento, sì fa ella mala testa et emfia la forcella, e fae male alito di boccha e malvagi denti, e riempie di grossi fummi il cervello, e perciò ki con vino la bee si inebria legiermente, ma ella àe natura di fare bene orinare e di fare bianca carne e morbida e soave. (i-) La cervigia k'è facta d'orço i nerbi impedimentisce e fa dolere il capo et emfia, ma provoca l'orina e 'l calore ke è per ebreza riprieme, cioè menoma. E quella cervisa ke si fa di riso è prociana a la predetta ne le sue operationi, ma meno emfia. E quella ke ssi confice e fa di pane similageneo, cioè di pane bianchissimo, e che à seco mescolato menta e appio è giudicata milliore di tucte l'altre. Ma tuctavia a' riskaldati al sole e ne le dispositioni e ne' tempi kaldi non è buona. L'ossi è freddo, il quale riprieme e menoma il calore, e la collera rossa, e 'l sangue, e tollie e menoma la sete quando no à molta dolceza, e la flegma tallia e subtillia e absterge e lava, e l'opilatione apre, e l'orina provoca; ma la gola e 'l petto fa aspri, la qual cosa fa propiamente quando àe molta aigrezza e a coloro k'ànno i nerbi deboli o che i· lloro ànno alcuno male, e a coloro ke ànno rase le budella e discoperte e ke ànno i rupti acetosi fa nocimento, e a coloro fa male ke ànno freddo lo stomacho e 'l fegato. Isciroppo juleo è temperato, avengna k'elli apertengha a fredeza, impercioe k'elli spegne la sete e la gola, e 'l gorgozule redde e fa pulito e piano, e giova a lo stomaco infiato o infiammato, e riprieme e spegne la febbre aguta se ssi bee colla neve. L'idromel sempice, cioè sanz'altra mescolanza, è kaldo e lenitivo, e fa rimedio a coloro ke ànno le fredde infertadi. E quello ne la cui confettione vi si pongono spetie è più ultimo (cioè melliore) in quello e più caldo, onde a coloro ke ssono riscaldati nuoce; e a lo stomacho giova lui mondificando e nettando dal flegma, e riscalda i nerbi, e conmuove la collera rossa. E questi beveraggi ke falsamente sono kiamati vini, fatti d'uve passe e zuchero e di mèle, se in luogho di vino innançi ke bollano o risegano o si riposino si beano, generano enfiamento e sete o fastidio, e fanno fluxo di ventre, e 'l sangue e la collera rossa commuovono, cioè fanno bollire. Ma quello ke ssi fa di mèle, quando è bene cotto, meno emfia. Rub di viuole, cioè sugho di viuole, fredo è, (+i) perciò ke le viuole sono fredde e humide e vale (i-) a l'epilliotto e al gorgozule e al petto giova, ma a lo stomaco è reo. E 'l rob ke ssi fa de l'acqua bolliente, ne la quale rose ricenti molte volte fuorom poste e ciascuna volta fuorono rinovellate, fa nauscha, cioè abominatione, e 'l ventre muove, cioè fa uscire. E 'l rob sempice (cioè sança mescolanza) di mele cotogne acetose il ventre stringne e lo stomaco fortificha e tollie la sete. E 'l robb sempice (cioè sança altra mescholanza) di melegranate acetose il vomito ritiene, cioè la vollia del reddere, e 'l ventre strigne; e a' crapulati, cioè a coloro ke ssono pieni di cibo, e a l'abominatione e ai dolori del capo ke avenghono per troppa pieneza di cibo giova. E 'l rob sempice di mele acetose al batimento del cuore e a l'ardore de lo stomaco e a l'abominatione fa rimedio. E 'l rob del sugho dell'uve acerbe riprieme e spegne la chaldezza de la collera rossa e del sangue fortemente, e l'ardore de lo stomacho e la sete, ke viene per kaldeza, spengne e miticha, e 'l ventre e 'l vomito costrigne. Rob de ribes è sì come rob di sugho d'uve acerbe e poco più opera. E 'l rob del sugho de le melerance fa secondo ke fanno i predetti e costrigne il ventre secondo ke fanno i predetti, ma il calore spengne più fortemente di questi. E tutti i predetti rob ke detti sono nocciono a colui nel cui petto àe aspritade. E 'l rob de le susine spengne il calore del sangue e de la collera rossa, e 'l ventre allargha, e al gorgozule non nuoce molto. E l'altra lettera dice: molto nuoce.
L. III, cap. 7 rubr.Capitolo septimo. De la virtù e propietade di tucte karni ke ss'usano di mangiare.
L. III, cap. 7(+i) La carne più di tutte l'altre cose ke nnodriscono dona al corpo più di nodrimento e 'l corpo ingrassa e fortificha e ki di lei si nodrisce à molta repletione. E perciò ki ll'userà molto, e buon vino kon esso, sì àe mestiere di torresi spesso sangue, (i-) e magiormente se alcuno kon essa berà vino, (+i) perciò k'ella riempie le vene e tutto il corpo sopra tutte cose. E perciò k'ella è convenevole a la natura de l'huomo, sì vi diroe la natura di tucte cose ke apartengono a la natura di tucte karni ke conviene a l'huomo usare. (+i) (+i) Voi dovete sapere ke tucte karni ke l'huomo usa o elle sono salvage, o elle sono dimestiche, o elle sono maschili, o elle sono feminili. E sappiate ke tute le salvatiche sono più calde e secche ke le dimestike e si cuocono più malagevolmente a la forcella, e perciò donano meno e più mal nodrimento. E così dovete intendere ke tucte karni ke sono maschili sono più calde ke le fenminili, ma elle donano millior nodrimento e si cuokono più legiermente ne la forcella. (i-) (+i) Carni di bestie castrate tengono la natura de' maschi e de le femine. E dovete sapere ke tucte karni di vecchie bestie e di novelle ke ssieno tratte de' ventri a le bestie sono tucte malvagie e perciò ciascuno se ne dee guardare, e questo vi conviene sapere generalmente di tucte carni. Ora parleremo spetialmente di ciascuna. (i-) (+i) Carne di porco sopra tutte altre carni di bestia è più fredda e più humida e dovete intendere de la dimesticha, percioe ke la carne del porco salvaticho, a comperatione de la dimesticha, sì è kalda e seccha; e la dimesticha quando l'uhomo la mangia, s'ella si cuoce bene a la forcella, sì dona buono nodrimento e fae il ventre molle, perciò k'ella è humida e viscosa. Ma voi dovete sapere k'ella diversificha sua natura secondo il tempo ke l'huomo la truova, sì come di porcelletto giovane di latte o di quello k'è vecchio. (i-) (+i) La carne del porcello giovane di latte è più humida e più fredda e più viscosa d'altra carne e perciò sì ssi corrompe legiermente e ingenera mali homori. E non la dee neuno usare salvo ke coloro k'ànno lo stomacho forte e ke ssono di complessione kalda e seccha, ké ella loro dona assai di nodrimento perciò ke ella si cuoce bene. Ma quelli che ànno il corpo d'umida natura e ke ll'ànno pieno di mali omori se ne debbono guardare, perciò k'ella loro acresce malvagi omori, e lor fae venire gutte ne' piedi e ne l'anche e dolore di fiancho, e genera pietra e parlasia e altre malatie assai. Quelli ke ssono di magior tempo valliono melio, e donano millior nodrimento, e ingenerano millior sangue, e valliono mellio. Ma quelli ke ssono kastrati e sono vecchi sono di mala natura, perciò li fa mal usare ké elli ingenerano sangue malinconicho e fanno venire febbri cotidiane e quartane e altre somillianti malatie. E s'ella è insalata d'un die o di due sì è più sana, perciò ke 'l sale amenda sua malitia de la viscositade. E s'ella è dimorata salata d'un anno o più o meno, sì dee essere calda e seccha per la força del sale e ingenera malvagio sangue, ma ella dona apetito di mangiare. E se la carne del porcho non sapesse de l'erba, il diritto mangiare di lei sarebbe di state, perciò k'ella è fredda e humida di sua natura, sì come voi avete udito. E notate ke la carne del porco non dee l'uomo usare lungamente, ma i membri ke l'huomo ne puote più usare sono i piedi e i grifi. (i-) (+i) Charne di bue sì è fredda e seccha di sua natura e ingenera grosso sangue e malinchonoso; e quando ella si cuoce bene ne la forcella, sì dona assai nodrimento e non è buona a usare, se non a coloro ke ànno lo stomaco kaldo e forte, perciò k'ella dimora molto ne la forcella e non si cuoce né micha leggiermente. E perciò koloro ke ànno la complexione malinconosa si ne debbono guardare ke ddi sua natura fa venire quartane, rogna, ydropisia, litigini e una maniera di malattia ke la fisicha apella helefantia, e cancro, e altre malinconose malatie. E dovete sapere ke la carne del bue si diversificha secondo il tempo k'ella è e ke l'huomo la truova, sì come carne di latte ke allatta, ke dona millior nodrimento e più agevolmente si kuoce. E perciò k'ella è humida per lo allattare ke ffae, sì ingenera buono sangue, e perciò la puote usare que' ke ssi levano di malatie di collera, sì come di terzana doppia e d'altre somillianti malatie. Carne di bue k'è di magior tempo non è tanto da pregiare kome quella ke detta avemo, con tucto cioe k'ella sia buona a coloro ke ssi affatichano e a coloro ke ànno la forcella forte. Carne di bue vecchio sì è del tutto rea, perciò k'ella è fredda e seccha e dona piccolo e malvagio nodrimento, e percioe è rea a usare ke ssopra tutte le cose fa venire le malatie ke dette avemo dinançi. (i-) Carne di vaccha è grassa e molto nodrisce, e genera sangue grosso e spesso, e non è kongrua e buona se non a coloro ke usano gran faticha. Da la quale manicare si deono sofferire o astenere koloro ai quali maninconice infertadi solliono avenire. (+i) Carne di pecora sì è più calda ke quella del porco, ma ella non è sì humida et è più calda e più humida ke quella de la chapra o del bue, e perciò è più legiere e mellio si cuoce a la forcella, e dona mellior nodrimento, e fae il ventre molle più che quella de la capra o del bue, ma ella diversifica suo nodrimento secondo il tempo ke tucti agnelli, quando elli lattano, sono malvagi a mangiare, perciò ke lloro karne è viscosa e non si cuoce bene a la forcella, e spetialmente ne la forcela fredda k'è piena di mali homori. (i-) (+i) E karne d'agnello d'uno anno sì è buona a mangiare, perciò k'ella è kalda e humida, e si cuoce bene legiermente a la forcella, e ingenera buono sangue, e dona buono nodrimento. (i-) (+i) Charne di montone giovane sì è meno viscosa e meno humida, ma ella è più seccha ke quella de l'agnello di latte o de la pecora e perciò sì vale mellio a mangiare ke ella si cuoce bene ne la forcella e assai ingenera buono sangue, e spetialmente quando elli sono castrati, perciò ke allora sono elli kaldi e humidi temperatamente. Et è una karne più convenevole a la natura de l'huomo, ma k'elli non sia vecchio, perciò ke perde sua buona natura. E lor buono nodrimento è per loro vechieza. (i-) E la carne del castrone, cioè la carne pecorina maschio e femina, è più grossa de la carne del cavretto e più cresce la força e più superfluità fae, (+i) e tuctavia la charne del castrone vecchio è milliore ke di tucte altre bestie di gran tempo. (i-) (+i) Carne di beccho a comperatione di quella de la pecora sì è più fredda e tucto sì è ciò ke 'l sangue ke nn'è ingenerato sia più sottile e più aguta, perciò ke ssua carne è più seccha e non si ne 'ngenera né mica legiermente malvagi omori. Ma ss'elli è kastrato sì vale meglio perciò k'elli è più temperato, sì ssi kuoce più legiermente e dona millior nodrimento, ma il nodrimento ke dona sì puote essere buono e reo secondo il tempo, ké karne di kavretto sopra tucte altre karni si chuoce più legiermente a la forcella, e dona milliore nodrimento, e ingenera millior sangue, et è la più temperata carne ke l'huomo possa avere né usare, e perciò la possono usare quelli ke ssono di malatie calde e seche rilevati e ke sson magri e ke ànno fiebole forcella. E sappiate ke tanto kom'elli allactano sì valliano mellio, e mellio nodriscono, e meno ànno di superfluità, e valliono mellio ke lli agnelli di lacte; con tucto sia ciò ke la pecora sia più sana ke la capra, ké il latte donde il cavretto si nodrisce è meno viscoso e meno grosso ke 'l lacte onde si nodrisce l'agnello, ké voi dovete sapere ke tucte bestie ke allattano ànno la natura del lacte ond'elli sono nodriti. E s'elli aviene ke 'l beccho sia giovane e debbia lasciare il latare, sì dona assai nodrimento, ma elli è reo, perciò ke 'ngenera sangue maninconoso. E perciò Galieno non loda neente, né becco né capra giovane, perciò k'elli ingenera malvagio sangue, kon tucto sia ciò ke la capra sia più sana ke 'l beccho, e se 'l becho è di gram tempo di tale carne non dee l'uomo mangiare perciò k'ella è fredda e seccha e neuno bene al corpo de l'huomo non potrebbe donare né fare. (i-) (+i) Carne di capra sì è fredda e secha e non si cuoce a la forcella kome quella de la pecora e, perciò k'ella è più seccha, sia meno di superfluità e nodrisce meno il corpo. E non è buona a usare a quelli ke ànno fredda natura e ke legiermente kagiono in malatie fredde, ai quali la montanina più giova, overo la castratina. Ma a coloro ke ànno la repletione e a coloro a chui solliono venire kalde infertadi di repletione più giova la carne kaprina, ma coloro la debbono usare la carne caprina ke ssono di kalda natura e ke di kalde malatie divengono malati. E ki usare la vuole, sì la mangi quando ella è giovane e non neente quando ella è vecchia, ké carne di vecchia capra non è profitabile, né utile al corpo de l'huomo. (i-) (+i) Carne di cerbio e di daino sono due carni fredde e secche, ma quella del daino è um pocho più chalda, ma tuctavia malvagiamente si cuocono a la forcella e ingenera malvagio sangue e malinconoso. Ma ssì come detto avemo de l'altre carni, secondo l'etadi diversificano in loro natura di donare buono o reo nodrimento. E karne di cerbio, quando ella è giovane, sopra tucte karni salvatike vale mellio e il sangue ke nn'è ingenerato sì è più sottile e meno àe di superfluità; e, avengna Dio k'elli sia malinconoso quando elli sono giovani s'elli sono kastrati, sì valliono assai mellio e la charne è più temperata. Ma karne di cerbio vecchio non dee huomo usare perciò k'ella è del tucto in tucto rea. (i-) La carne del gaçello intra le carni salvatiche è milliore imperciò ke 'l sangue ke di lei s'ingenera à poche superfluitadi, il quale, conciosiacosak'elli sia seccho, a meninconia apartiene. E la carne de' becchi salvatichi è più grossa e più propimqua a maninconia. E la carne de' cerbi vecchi e onagrina, cioè de l'asino salvagio, una medesima operatione ànno a ffare, ma l'onagrina riscalda più, (+i) imperciò k'ella è più generativa di malinconia dell'altre. (i-) Carne di kanmello essendo molto kalda genera malinconia. Tucte queste carni generano sangue malinconicho. (+i) E la charne de la lievre questa cosa opera. Carne di lievre sopra tucte l'altre karni salvagie ingenera malinconia, ma tuctavia vale ella mellio ke karne di beccho né di capra a usare. E si debbono di tale charne guardare coloro ke ànno la complesione seccha e magra, perciò k'ella nodrisce poco e malvagiamente. (i-) (+i) Carne di conillio si tiene um poco de la natura de la lievre, ma ella è assai più temperata e perciò vale mellio a usare. E la possono usare coloro ke di calda malatia sono rilevati, perciò k'ella conforta lo stomacho e dona apetito di mangiare e 'l sangue ke nn'è ingenerato sì è buono e sottile, ma elli è um poco malinconoso. Carne d'orso sì è sopra tucte karni viscosa e più malagevolmente si chuoce a la forcella e dona pigior nodrimento ke nulla altra carne, e perciò si ne dee huomo ben guardare. E se usarela conviene, sì vale mellio a usare per malatie rimuovere ke per santade guardare, che ssì come disse Diascorides tutti i membri de l'orso ànno similliante natura di diliberare le malatie de' membri ke al corpo de l'huomo avengono. (i-) E notate ke la karne delli animali vecchissimi e ingrassati e di coloro ke ssi tragono del corpo delli animali dinançi al parto non sono da manichare. E quella k'entra queste due si truova mezana è mezana. E quando quella karne sarà de l'animale più giovane, sarà più humida; e quando sarae dell'animale molto vecchio sarà più seccha. E universalmente ogne karne kalefa e riscalda, la quale è incongrua a coloro ke ànno febre e a coloro ke ssono molto ripieni. E ancora la carne rossa sança grasseza è di magior nodrimento ke quella k'è con grasseza, la quale genera ancora più poke superfluità e più corrobora e fa forte lo stomacho. (+i) Voi dovete sapere ke karni d'uccelli volanti o elli sono salvagi o elli sono dimestichi. E tucti i dimestichi sono più temperati e mellio nodriscono ke i salvatichi. Or vi diremo primieramente de' dimestichi. (i-) (+i) Sappiate ke i polli ànno karne più temperata e ke più legiermente si cuoce e milliori sangue ingenerano di tucti ucceli dimestichi, e più confortano, e più ànno konvenevole natura di tutti uccelli dimestichi. E perciò sono buoni a usare a coloro ke sson magri e ke ànno la forcella fiebole e a coloro che ssi lievano di malatie, sì la debbono mangiare in vergiusso e con un pocho di kannella perciò che conforta lo stomacho. (i-) (+i) E dovete sapere ke la carne del galletto, quando elli comincia a chantare, vale mellio ke la femina, perciò ke non è neente sì viscoso, ançi è più kalda la carne e più humida temperatamente. (i-) (+i) Carne di gallina è meno humida ke quella de le pollastre e si cuoce meno tosto a la forcella, e quando ella si cuoce bene a la forcella sì dona assai di buono nodrimento. E intendete ke gallina ke non sia posta è quella ke mellio vale, perciò ke la sua carne è più temperata, e ingenera millior sangue, e conforta la natura de l'huomo a usare con femmina. (i-) (+i) Carne di gallo tanto com'ella è più vecchia tanto vale peggio a usare, perciò k'ella è dura, e dona malvagio nodrimento; e vale più per malatie rimuovere ke per sanitade guardare. E vi diremo come ki prendesse uno gallo bene vecchio, e 'l vòti dentro e riempia di polipodio e d'anici, e faccial cuocere in acqua, tale acqua vale a quelli che ànno dolore di fianco e a quelli che ssono stitichi k'ànno duro il ventre, e vale a que' ke triemano e a tucti quelli che ànno malatia di fredura. E ancora vale molto se voi prendete il gallo e partitelo e ponetelo sopra morso di velenosa bestia, sì ne trarrae il veleno. E intendete ke ddi tanto quanto elli è più vecchio di tanto val mellio a queste cose ke dette avemo. (i-) (+i) Carne di colombo sì è kalda e seccha, e spetialmente di colombo vecchio k'àe la carne dura, e perciò si cuoce male a la forcella e dona reo nodrimento. Ma quelli ke ssono giovani pippioni e nom possono volare sono kaldi e humidi e nodriscono bene, e il sangue ke nn'è ingenerato sì è grosso e viscoso. Ma pipioni ke comincino a volare sì nodriscono mellio e ingenerano sangue più kiaro, ma non li fae buono usare a que' k'ànno kalda natura e seccha e che per calore legiermente divengono malati. (i-) (+i) Carne d'ocha vecchia sì è fredda e seccha e grossa e ingenera grosso sangue e malinconicho, perciò si ne debbono guardare coloro ke ànno complexione malinconicha, e ke ànno fiebole forcella, e ke ànno malatia di milza, e ke achagiono agevolmente in fredde malatie ke di sua natura fae venire malattia kalda, quartana e assai d'altre somillianti infertadi. E perciò no la fa buono usare. Ma ki usare la vuole, sì è buona a usare tanto com'ella è giovane, ke per loro giovaneza sì è loro complexione più temperata. E non intendete ke di tanto kom'ella sia più giovane k'ella ne sia milliore, perciò ke quando ella è troppo giovane sì è viscosa e di male savore. E sua propia medicina per amendare sua malitia sì è di mangiarla in vergius coll'agresto. Ma di kente ke tempo ella sia vale ella mellio a usare ke carne d'ocha salvagia. (i-) (+i) Carne d'anitra si tiene a natura d'ocha e sì ingenera homori grossi e viscosi, ma ella è più calda ke karne d'ocha. E quando ella si cuoce bene ne la forcella, sì nodrisce mellio e più ke karne di gallina, ma il nodrimento non è neente sì buono. E intendete ke quella ke non à posto vale mellio ke quella ke àe posto, perciò k'ella è più temperata in sua natura e ingenera mellior sangue e vale del tutto mellio ke la salvaticha. E la diritta medicina per sua malitia amendare sì è di mangiarla arosto, kom pepe nero, e a questo savore di pevere nero amenda sua malitia. E la dimesticha si tiene a questa natura e la salvaticha maschio, salvo ke sua natura è um poco più calda. E intendete ke ssopra tutti uccelli ke in riviera dimori sono l'oche salvatiche più convenevoli a la natura de l'huomo i maschi ke le femine. E conviene ke l'huomo nolle mangi neente dinançi k'elle abbiano uno anno e ke ssono uccise dinançi un giorno ke l'huomo le mangi. E ki ll'userà in tal maniera, sì ingenerrà buon sangue e dona assai nodrimento. (i-) (+i) Carne di pernice, cioè de la starna, è kalda temperatamente e più lieve si truova de la carne delli ucelli e più konvenevole ad coloro ke per sottile regimento si volliono guardare. E sopra tucte karni d'ucelli salvagi è la milliore e fae millior sangue, e percioe la debbono usare quelli che amano ad avere buon sangue e lor corpo in santade mantenere. (i-) (+i) Dipo questa la charne de la quallia non è sì buona, ma ella è im bontà secondo lei, la quale ingenera piccola superfluità e tiensi a la natura dinançi detta, e la dee huomo elegere ke ssia giovane e grassa. E s'ella è vecchia ingenera più malvagio sangue, e ristrigne il ventre ki à menagione, e ingenera sangue malinconoso. (i-) (+i) Carne di fagiano sì è kalda e humida temperatamente e dona assai buono nodrimento kome carne di gallina, ma quelli che ssono giovani si tengono di tutte cose a la natura de la gallina, salvo ke voi dovete intendere ke lli homori ke ssono ingenerati di lui è più grosso. E ki 'l vuole usare, sì 'l dee uccidere un die dinançi e poi apresso mangiarlo, e suo diritto savore a ke l'huomo il dee mangiare sì è salsa kammellina ov'elli abbia assai di kannella di kardamone. E intendete ke il maschio vale mellio a usare ke la femina, perciò ke 'l sangue ke nn'è ingenerato sì è kiaro e sottile. (i-) (+i) Carne di paone e di grue si tiene a una natura e sopra tucte carni più è grossa e dura e più tardi si cuoce a la forcella, salvo ke la carne de lo struzo, ke ssopra tucte karni d'ucelli è più dura e più grossa. E il sangue ke n'è ingenerato è più malinconoso, e perciò ki karne di paone e di grue vuole usare sì 'l conviene, se ciò è di state, ke l'homo lo faccia uccidere un giorno dinançi. E s'elli è di verno, si dimori tre giorni morto, e apresso sì 'l dee l'uomo mangiare con savore di pepe nero. (i-) (+i) Carne di cecero sì ssi tiene a natura d'ocha salvaggia, ké elli ingenera sangue grosso e malinconoso. Ma karne d'airone è più calda, ma lli omori che di lei sono ingenerati è malvagio e sono perilliosi a mangiare per loro malvagio nodrimento; e così si tiene carne di cicogna e tucte karni di somillianti uccelli. E di queste cotali carni ki usare le vuole, di tanto quant'elli l'usa, à pever nero più forte; e di tanto vallion mellio per lor maliçia amendare e sono milliori a usare di verno ke di state, perciò ke i ventri son più kaldi. (i-) (+i) Carne di passera è kaldissima sopra tucte karni di piccoli uccelli e conmuove la luxuria e 'l sangue ke nn'è ingenerato sì è molto kaldo e kollericho più ke niuno altro sangue di piccioli uccelli. E perciò non è buona a usare di state, e spetialmente a quelli che ssono di kalda natura, ma di verno si puote più sicuramente usare, e spetialmente quelli che ssono malati di fredda malatia. (i-) (+i) Le carni delli altri uccelli sì ssono più temperate, e 'l sangue ke nn'è ingenerato sì è più kiaro e più sottile, e vagliono a usare a coloro ke ssi lievano di malatie, perciò ke nodriscono bene e confortano l'appetito. (i-) La carne dell'alodola la quale è kiamata kapelluta strigne il ventre. (+i) La carne de l'allodola e de la gallina si tiene a una natura e di lor natura si aiutano a rristrignere il ventre, ma quando l'allodole son cotte in acqua et elle sono grasse, sì à natura il brodetto d'amollare il ventre, e ciò de la natura de la grassa e non per natura di lor karne; ma ki usare le vuole, elle valliono mellio quando elle son grasse ' arosto con la salina, e con suo savore di salina sì s'usino di mangiare. (i-) (+i) Carne di piviere e di tordi si tengono a una natura, salvo ke la carne del tordo è kalda e humida più temperatamente e perciò sì è buona a usare ke ella ingenera di buon sangue. Carne di piviere non ingenera neente sì buono sangue, ma quello k'è ingenerato di lui è um poco malinconoso e di più seccha natura che 'l tordo. E 'l diricto tempo nel quale l'uhuomo li dee usare sì è ne l'autunno ke allotta è lor natura più convenevole a la natura de l'huomo. E 'l diritto mangiare sì è arosto con salina o com pever nero. (i-) La carne sissonis e delli altri uccelli salvatichi quanto elli sono più rossi o più neri tanto sono più kaldi, e 'l sangue maninconicho più presso paiono. E qualumque di quelle à malo odore, sì genera pigior sangue e imperciò in nulla maniera si debbono mangiare. E la carne delli uccelli che dimorano ne' fiumi o ne' laghi fa molte superfluità, la quale se à malo odore sì è giudicata piggiore.
L. III, cap. 8 rubr.Capitolo .viij. De la virtù de' membri delli animali ke ss'usano di mangiare.
L. III, cap. 8(+i) Lo chapo è di grosso nodrimento e di grande, percioe si scalda e no è da manikare se non ne' tempi freddi, perciò ke molte volte di lui febri s'ingenera e male di fianco, ma tuttavia di sua natura molto conforta l'apetito e 'l sangue la sperma acresce. (i-) (+i) Il cerebro, cioè il cervello, sì è freddo e humido e, conciosiacosak'elli sia freddo, fae abominatione e a lo stomaco nuoce e vi si corrompe leggiermente; (i-) il quale da tutti quelli che pilliare e usare lo volliono dinançi a ogne cibo è da mangiare, s'elli non ànno a prendere medicina da muovere; (+i) o vollia vomire, ke ki vuole vomire, cioè redere per boccha, sì 'l dee mangiare dopo le vivande. E dovete intendere ke elli non è convenevole a mangiare né ançi cibo, né dopo cibo, se non a coloro che ànno la complexione kalda e seccha e ke ànno la forcella piena di mali homori. E quando homo di tale natura il cuoce bene, sì dona gran nodrimento e dona talento d'usare con femina. E a coloro ai quali solliono avenire le 'mfertadi fredde non è buono. Ma ki 'l mangia kon savore d'aceto, e di pepe, e di gengiovo, e di kannella, e di menta, e di pretosemolo, e d'altre cose sembianti, sì dona nodrimento a koloro k'ànno la complexione calda sì come detto è. (i-) (+i) La midolla de la schiena à comparatione a le midolle dell'altre ossa del corpo e sì è fredda e humida e tiene la natura del cerebro. E quando ella si cuoce ne la forcella, sì dona più nodrimento ke non fa i· cervello, ma la midolla delli altri ossi è temperata e intra caldezza e fredeza è vicina e prociana a temperamento, ma tuctavia aproccia e si tiene più a chaldeza ke in fredezza, la quale la sperma acresce e lo stomacho ramolla e di sua natura dona talento d'usare con femina. E la midolla ke mellio vale è di bestie ke rugino. (i-) (+i) La grassa k'è mischiata co la carne e all'osso del costato e d'altri luoghi sì è calda e humida e grossa e notrisce li spiriti e fae abominatione; e la grassa che non è mischiata co la charne né à osso, sì ssi tiene in questa medesima natura, ma dona più malvagio e più grosso nodrimento, e ingenera fummi grossi, e tura le vie del corpo, e non vale se non a condire e a dare savore a le vivande. (i-) (+i) L'occhii sono diversa natura perciò k'elli sono fatti di diverse cose sì come di charne, e di nervi, e di grassa, e d'omori. E perciò konviene k'elli abbia diverse nature ké 'l grasso ke v'è sì è kaldo e humido, i nervi e l'altre cose sì ssono freddi e secchi. Ma voi dovete intendere generalmente ke li occhi di grassa bestia sono freddi e humidi, e di magra sono freddi e secchi. E sappiate k'elli si cuocono a la forcella più legiermente ke lli altri membri, ma per la grassa ke v'è mischiata sì sono pesanti e grossi e non si cuocono neente legiermente. E per lor malitia amendare konviene ke l'huomo li mangi con savore di gengiovo, di pepe e di cannella. (i-) (+i) Le nari e li orecchi sono freddi e secchi di lor natura, e sono ingenerati d'una matera, e si cuokono male nello stomacho, e danno poco e reo nodrimento, ma elli confortano la natura um poco quando huomo li mangia kon vergius o con mostarda. (i-) (+i) La lingua sì è fatta di diverse materie mischiate intra kalde e fredde, ma ssì si tiene più in freddura ke in calore e ki la mangia con savore di pepe, di cennamo, e di gengiovo, e con aceto, e di sembianti spezie, sia natura di confortare e nodrisce bene. E s'ella è salata sì acresce sua natura di donare apetito. (i-) (+i) Gorgoçule è freddo e seccho di sua natura e perciò sì dona poco e mal nodrimento e non è né micha obidiente a la virtù de lo stomaco. E perciò ki usare lo vuole, sì 'l conviene usare con salsa di buone spetie calde. (i-) La poppa, overo l'uvero, è freddo e grosso, il qual avengna che molto nodrisca, tardi si digere e giova a coloro che ànno lo stomaco e il fegato caldo. (+i) Lo cuore sì è di dura e di fredda e di seccha natura, il quale tardi si digere, e non si kuoce legiermente, e non molto nodrisce, ma se ssi digere, sì dona assai gran nodrimento. (i-) (+i) Il polmone sì è di fredda e d'umida natura e dimora poco ne la forcella e dona meno nodrimento ke tutti li altri membri. E quello k'elli dona sì è malvagio, flegmaticho, e grosso, e viscoso. E perciò no 'l fa buono a usare a coloro ke ànno la forcella fredda e ke non ànno appetito di mangiare; e se usarelo conviene, sì 'l mangi con savore di buone spetie per sua malitia amendare. (i-) (+i) Il fegato sì è kaldo e humido e sopra tucti altri membri dimora e si cuoce, più anoia e tarda a lo stomacho, ma quando elli si cuoce, sì dona buono e assai nodrimento. E 'l feghato ke mellio vale sì è di quello k'è di bestia di latte, e di quello ke non lactano sì è milliore quello de la gallina, e spetialmente quando la ghallina sarà nodrita di fave e di frumento. (i-) (+i) La milça sì è di fredda e seccha natura, e dona poco e malvagio nodrimento, e dimora molto a la forcella, e il sangue ke nn'è ingenerato sì è nero, grosso, e malinconoso, e perciò sì non la fa buono usare per santà guardare, ma di sua natura conforta le gengie e sopra tutte le milze de le bestie milza di porcho è la milliore. (i-) (+i) Il guisciere sì è di natura freddo e seccho, ma elli àe natura di confortare e di donare buono apetito di mangiare. (i-) (+i) Lo stomaco sì è di diversa natura, ké la boccha sì è fredda e seccha per l'abondanza de' nervi ke vi sono e perciò sì ingenera poko sangue e malinconoso, ma il fondacho de lo stomacho sì è kaldo e humido per lo grasso. Ma tuctavia è elli duro per cuocere a la forcella, e quando elli si cuoce bene, sì nodrisce molto, e no 'l conviene usare a coloro ke ànno la forcella fredda, ké elli ingenera grossi homori e viscosi. E dovete intendere ke 'l fondo de lo stomacho è quello onde l'uhomo fae tripes. Lo stomacho conforta ma tosto satia lo stomacho. E nota ke 'l ventre tardi si cuoce e nodrisce e flematico sangue genera. (i-) I moscoli, overo i lacerti, fanno sangue che habonda molta humiditade e generativo di molta superfluitade, il quale, tengnendo in sé viscositade, è di minor caldezza. (+i) Li ernioni sì sono di grossa natura e donano reo nodrimento, e sì corrompe molto legiermente, e il sangue ke nn'è ingenerato è grosso e malinconoso. E 'l grasso sì dee l'uomo schifare, perciò k'elli è ingenerato da l'orina ke quindi passa e tardi si digerono, i quali non danno buon nodrimento. (i-) La carne sanza grassezza, cioè rossa, è generativa di sangue seccho e fa poke superfluità e più nodrisce de l'adipe, cioè ke 'l sugnaccio. Il grasso genera sangue humidissimo, il quale fae molte superfluitadi, ma è di minore nodrimento. (+i) Carne grassa e magra sì è kalda e humida temperatamente, perciò ke 'l sangue ke nn'è ingenerato sì è kiaro e sottile e buono, ma de la charne k'è sança grasso sì non ingenera neente sì buoni homori né sì convenevoli al corpo de l'huomo kome di quella k'è mischiata e à poca superfluità. (i-) E la carne nominata, cioè a ssapere intra grassa e magra, genera sangue temperato. La cotenna genera freddo sangue nel quale è molta viscosità e fa oppilationi. (+i) Buccia e nervi sono freddi e secchi e l'omore ke nn'è ingenerato sì è freddo e malinconico, ma se 'l nervo si cuoce ne la forcella, sì dona più di nodrimento e milliore ke no fae il buccio, overo la cotenna. (i-) I piedi generano sangue viscoso, il qual è più freddo e più lieve ke neuno che la carne generi. E le parti dinançi delli animali sono più calde e più lievi, e quelle di dietro sono più gravi e più fredde.
L. III, cap. 9 rubr.Capitolo .ix. De le virtù le quali aquistano i cibi per l'artificio e per l'aparekiamento di loro.
L. III, cap. 9La carne arrostita sopra la brascia molto nodrisce e tosto il corpo fa forte. E questa giova et è di grande efficacia a coloro ai quali è uscito molto sangue, ma tardi si digere e apena, o non giamai tucta del tucto si digere. La quale non si dee prendere dop'altro cibo, né co llei altro cibo si dee prendere, dipo 'l cui mangiare beveragio non si dee prendere se non im picola quantitade e quando grande necessità vi ci menasse o sforzasse. E la carne fricta col grasso fa fastidio e de lo stomacho tardi discende, il cui nodrimento è grande et è più grande di quella ke ss'arostisce sopra la brascia. E quella ke ssi frigge nell'olio è più lieve e più digestibile. E la carne ke ne le padelle, posta nel forno, si cuoce è rea, imperciò ke poco nodrisce. Ma a coloro ke fanno rutti acetosi è buona. Universalmente tutte le spetie de' mortadelli e de le padelle piccolo nodrimento à ' riguardo e comparatione de' cibarii ke ànno brodetto e sugho. Ma a coloro ke ànno molti omori giova e danno aiuto a coloro ke volliono i lor corpi disecchare e sottilliare. E la charne che ne lo schedone s'arrostisce grossa è e molto nodrimento dona, la quale non si cuoce e digere, se non quando lo stomacho truova forte e caldo. Ma il ventre strigne e quello fa propiamente quando di lei non si manucha quello k'è grasso. Indebozi dinançi a ogne cibo si dee mangiare, al quale sia mescolata cosa ke faccia uscire, imperciò ke di lui aviene spesse volte il male del fianco e propiamente quando si manucha con molte erbe, dipo 'l cui mangiare bee acqua. Il grano, cioè il frumento, cotto infino a tanto k'elli sia bianco e sì chome polta, nodrisce più di tucti li altri cibi e magiormente s'elli è cotto col lacte, il qual giova a coloro ke disiderano acrescimento di força e grosseza. E a coloro ke ssono di kalda natura e magri e a coloro ke molto s'affatichano dae aiuto. E a coloro k'ànno la dispositione contraria a questi tosto riempie le vene e perduce a ffebbre, e ad male, e a dolore di gotte, e genera pietre ne le reni e flegmoni e apostemi. E la charne cotta ne l'acqua, a la quale si mescola poscia aceto e gruogho, è fredda, la quale riprieme e spegne la collera rossa e 'l sangue, e giova a coloro ke ànno il fegato caldo e a coloro ke ànno oppilatione nel fegato e febre e iteritia. E ancora giova a coloro a chui è tolto sangue. Ma ella fa nocimento a coloro ke presero medicina da ffare uscire, e a coloro ke ànno alcuno male ne' nerbi, e a coloro ke ànno i corpi magri e deboli e ànno mestieri di ricevere vigore e força e d'ingrassare, imperciò ke ella sottillia e diseccha e giova a coloro ke ànno moltitudine di carne e di sangue, e a coloro a cui la moltitudine di sangue e di collera nuoce e 'l ventre strigne. E la carne cotta ne l'acqua e raffreddata, a la quale il sugho de l'uva acerba si mescola, è fredda, imperciò ke 'l sangue e la collera rossa riprieme e spengne e 'l ventre strigne, ma ella non sottillia e l'opilationi non apre, sì come la predetta carne co l'aceto fa, a la quale ella assomillia. E la carne cotta col ribes o col sumach è de' nodrimenti ke ne la state giova, quando çuccha o porcellana o cederni o somillianti cose co llei si mescolano, imperciò ke tucte queste cose e la carne predetta, aparecchiata koll'aceto, nuoce a coloro ke ànno il petto aspro. La carne koll'aceto cotta temperatamente nudrisce e a lo stomacho e al fegato giova, la quale abiendo in sé la bontà de la carne ko l'aceto temperata non ritiene in sé neuno suo nocimento. E la carne cotta col grano e col lacte è grossa, la quale molto nodrisce et è congrua e buona a coloro ke ssono di calda natura e magri, e incongrua e rea a coloro ai quali acostumatamente avengono l'enfertadi flematiche. Ma ella fa bene a coloro ai quali acostumatamente avengono febri acute e le terçane. E la carne che ssi cuoce col latte acetoso è somilliante a quella ke ssi cuoce kol lacte e col grano. E la carne cotta koll'acqua de l'orço è sì come quella co la quale si pone il sugo dell'uve acerbe, ma questa è emfiativa. E la carne cotta koll'uova e col pepe è sempre calda et ella è cibo del verno ke 'l corpo fa forte e robusto e più nodrisce di tucti li altri cibi, ma ella si diversificha secondo la quantitade de le calde spetie ke vi si mescolano. E questa ancora acresce il sangue e la sperma e 'l corpo redde robusto e lo humenta e bello e grosso il redde, ma di state fae fastidio e riscalda e crea pietra.
L. III, cap. 10 rubr.Capitolo de la virtù sissamorum, cioè di quelle kose ke col mèle si conficiono.
L. III, cap. 10Pheludes molto nodrisce ma nello stomaco lungamente dimora e crea oppilatione a colui ke llungamente l'usa e molto, ma a la gola e al polmone giova. Cambez è più lieve di pheludes ma meno nodrisce et è più dilungi a generare oppilatione nel fegato. Anaada è sì come pheludes, se non ke i· llui si pone sisaminum, e molto nodrisce e 'l corpo redde molto robusto, e 'l sangue e la sperma acresce. Cataif è di grossa natura, il quale fa fastidio e 'l corpo ingrossa. Leoçinegi è somilliante a cathaif, ma molto più lieve si giudicha e dice. Çulenigee risscalda e fa sete e rutto fumoso crea e fa. E universalmente ogne cosa ke di mèle si fae sangue e la sperma acresce e 'l corpo ingrassa e fae nocimento al fegato e a la milça, i quali aparecchiati e disposti sono a ricevere oppilationi e apostemi, ma a la gola e al polmone giovano, e fanno acrescimento a la midolla e al cerebro. Le quali tucte, s'elle avranno çucchero i· lluogho del mèle, saranno meno calde ke quelle ke si fanno di mèle. E dell'unctuositadi ke co lloro si mescolano, l'olio de le mandorle è il milliore. E quelle cose ke ssi fanno de mèle e di noci, o con fistici, o con noce indicha sono troppo kalde.
L. III, cap. 11 rubr.Capitolo .xj. De la virtude e propietade dell'uova. Rubrica.
L. III, cap. 11(+i) L'uova sono di lor natura temperate, ma perciò ke ssono di diversa substantia, sì come d'albume e di tuorlo, sì dovete sapere ke 'l tuorlo è kaldo e humido temperatamente, e però sì è convenevole a natura d'uomo. L'albume fie freddo e humido e si cuoce molto tardi ne lo stomaco e ingenera grossi homori. E per bene sapere la natura de l'huova, sì vi conviene sapere ke lloro natura si diversificha in quatro maniere: la prima sì è per la diversità delli ucelli che lle pongono; la seconda sì è per lo tempo; la terça sì è per la frescheza de l'huova; e la quarta sì è per lo aparecchiamento ke l'huomo ne fae per mangiare. La prima diversità, ke aviene per li ucelli ke lle dipongono, sì è ke l'huova k'è d'ucello di buona complexione sì è milliore, e spetialmente quello de la gallina e de la pernice sono più convenevoli dell'altre huova e mellio nodriscono e millior sangue ingenerano. (i-) Dopo le quali l'uova dell'anitra in bontade sono seconde, advengna k'elle facciano reo nodrimento. E l'altre huova, sì come son quelle de' piccoli uccelli e magri, non sono da mangiare se non per kagione e via di medicina. Ma le due generationi d'uova primamente dette, cioè de la gallina e de la pernice, acrescono molto la sperma, e ancora stimolano e conmuovono molto la luxuria. E apresso queste, l'uova de l'ocha fanno fastidio e ànno reo e grave odore. (+i) Ma s'elle si cuocono bene ne la forcella, sì nodriscono più ke ll'altre, ma elle sono grosse e pesanti et emfiano la forcella. E quelle ke dipo queste pegio valliono sono quelle de lo struçolo ke ssopra tucte altre sono ree. E quelle del paone sono pessime e meno konvenevoli a natura d'uhuomo, k'elle sono pesanti e di male odore e ingenerano grossi omori e velenosi. Quelle ke ssono sopra tutte l'altre più calde sono quelle de la passera e dipo queste quelle del colombo. La diversità k'aviene per lo tempo sì è ke ll'uova ke ssono di giovani uccelli valliono mellio e mellio nodriscono ke l'huova ke ssono de' vecchii. La terça diversità ke aviene di ciò k'elle sono o fresche o stantie e quelle ke ssono intra questo mezo. E quelle ke sson fresche valliono mellio, perciò ke ssono più temperate e nodriscono mellio e confortano più il calore naturale. Quelle ke ssono vecchie stantie sì sono del tucto malvagie e si corrompono ne lo stomacho legiermente, e ingenerano mali homori, e si tengono a natura di veleno, e di tanto quant'elle sono più stantie e vecchie di tanto valliono pegio a usare. La quarta sì è per l'aparechiamento ke l'huomo ne fa per mangiare. E l'aparechiamento fae l'uomo diversamente, sì come di farle kuocere in brascia e fricte e nell'acqua, e mangiare con esse cipolle, o pepe, o in altre maniere, o in brodetto kon esso karne. Quelle ke ssono kotte im brascia sì sono diverse, sì come dure, molli, o in quel mezo. Quelle ke ssono dure sì ssono grosse e pesanti e si cuocono molto tardi a lo stomacho e ingenerano grossi homori. E tali huova possono usare quelli k'ànno menagione, e spetialmente le tuorla. Le molli sono contrarie a queste, ké elle amolliscono il ventre e vi fanno picola dimorança ne lo stomaco e amolliscono la secchità del petto e del polmone. Quelle ke ssono in quel mezo, né dure né molli, si tengono la natura dell'une e de l'altre e valliono mellio a usare ke neuno de le dette due. Quelle ke ssono cotte in acqua sì confortano il calore naturale, e spetialmente quand'elle sono kotte ke non sieno né dure né molli, ké per l'acqua si amendano e perdono lor malitia; e mangiarle in tal maniera valliono mellio e nodriscono mellio di tutte altre maniere ke l'huomo le possa mangiare. L'uova fritte sopra tucte altre maniere ke l'huomo possa usare di mangiare valliono peggio ke elle si convertono in malvagi omori, e ingenerano fummi e abhominationi, e perciò sono ree a usare. Quelle ke ssono mangiate in brodetto o in altra maniera, sì le dee huomo lodare o biasimare secondo la compagnia dell'altre cose ov'elle son messe e mischiate, ké quelle ke ssono mangiate com buone spetie, sì come pepe, gengiovo, kannella e con carne, si cuocono mellio e donano millior nodrimento e acrescono il talento d'usare con femina più ke quelle ke ssono mangiate con formaggio ke non amendano neente, ançi acrescono la maliçia. (i-) E nota ke 'l tuorlo de l'huovo è temperato in caldeza e ben nodrisce, ma l'albume è freddo e viscoso e duramente e tardi si digere e 'l sangue ke di lui s'ingenera no è buono. E le molli si digerono più tosto e sono utili a coloro a chui è uscito molto sangue e ai quali le forçe sono menomate. E nota ke ll'uova sono utili a l'aspreza de la gola e del polmone, de le quali si genera sangue temperato e di molte forçe. Et elle tengono alcuna volta il luogo de la charne, le quali non debbono usare coloro ke ssono molto grassi.
L. III, cap. 12 rubr.Capitolo .xij. De la virtù e propietade del lacte.
L. III, cap. 12(+i) Lo latte k'è novellamente munto e tracto sì è temperato, k'elli è kaldo e humido nel primo grado e ingenera buon sangue, perciò ke sua natura sì è pressoké ssembiante a natura di sangue, ke, ssì come dicono i filosafi, lacte sì non è altra cosa ke sangue due volte ricotto e il bianco colore k'elli àe sì ll'àe per le mammelle ov'elli si cuoce. E perciò k'elli si convertisce legiermente, sì ahumida e ingrassa il corpo, e per questa ragione sì vale a coloro ke ssono tisichi. (i-) E fae aiuto alli etici, e a la tossa seccha, e a l'arsura dell'urina, e a coloro ai quali fuor dati jusquiano e kanterelle; e ai corpi secchi dae opptimo nudrimento, e mena a temperamento e acresce il sangue e la sperma; ma la sua conversione e mutamento sono molto tosto, per la quale cosa in neuna maniera è da dare a coloro ke ànno febbre aguta, né a coloro ke acostumatamente ànno dolore di capo, né a coloro ke ànno male di fiancho, né a coloro ai quali acostumatamente solliono advenire fredde infermitadi. Il quale latte si truova essere diversificato in molte maniere, cioè a ssapere secondo la spetie de l'animale, e secondo la sua etade, e secondo i luoghi ne' quali elli pasce, e secondo la propinquitade del suo tempo. E 'l latte de la vaccha si giudicha più grosso d'ogne lacte di qualumque altro animale, il quale è più convenevole a tucti coloro ke volliono ingrassare. E il latte dell'asina è più sottile di tucti li altri latti, il quale si de' dare a coloro ke ànno male nel polmone, (+i) e ke ssono etichi per kalde e per lunghe malatie. (i-) E il lacte de la capra tiene temperamento in questi due, ma quello de la pecora genera più superfluità di tutti li altri. (+i) E di sua natura è più grosso ke quello de la capra e più sottile ke quello de la vaccha, ma elli non è buono a usare perciò ke ingenera malvagi homori e assai superfluità, e di ciò vi potete acorgere ke d'um poco di lacte di pecora fae l'uomo assai formagio. (i-) (+i) Latte di jumenta sì è di natura di latte d'asina, ma elli non è così sottile, e perciò si trae a natura de la capra e il puote huomo usare sì come quello de la capra, tutto sia ciò k'elli non sia così buono. (i-) (+i) Lacte di chanmello sì vale mellio a usare per malatia rimuovere ke per santà guardare, ké di sua natura elli è sottile e perciò apre le vie e mena il dolore del fegato. E vale molto a coloro ke ànno il fegato corrotto e 'l polmone e ke ànno la complexione corrotta. (i-) (+i) Latte di troia sì è reo a usare perciò k'elli è mal cotto e ingenera mali homori e freddi. (i-) E ancora in quella medesima maniera il latte delli animali grassi e giovani, i quali discorrendo pascono buone erbe e ke ssono ancora vicini al parto, si giudica più temperato e milliore. E quello k'è contrario ad questo opera contradie cose. E 'l lacte che ffa dimorança nell'otre al meno per otto dì, onde si fae grasso, il quale in arabico è kiamato sieres, è più freddo ke non è il lacte ricente, il quale, spengnendo il calore, dinançi a ongne cibo si dee mangiare nel die de la fatica e del caldo, (+i) perciò ke tutte maniere di latte sì dee l'uomo mangiare a digiuno e non dee huomo mangiare apresso altre vivande infino a tanto k'elli sia dello stomacho dipartito. (i-) Ma il rob è molto più freddo del siero, il qual è più convenevole a lo stomaco caldo e a coloro ke ssono kaldi per natura, ma a' nervi e a le fredde infermità nuoce. E 'l lacte ke rimane quando n'è tratto il biturio giova a coloro ke ànno fluxo di ventre e menagione per l'acumine e caldeza de la collera rossa, e a coloro ke ssono magri e deboli. Il quale sarà milliore acciò se, dopo ke 'l bituro n'è tracto, il ferro caldo tante volte vi si spegne k'elli diventi spesso; e, in questo modo aparecchiato, il fluxo e menagione di ventre (facta per cagione di caldeza di collera rossa) e a coloro ke ànno ne le budella, per quella medesima cagione, fedite o roptura giova. E 'l siero manda fuori del corpo la collera rossa e fa aiuto e giova a la scabbia, a le pustole, e a' papici, e a sapha (cioè a quella infertà), e a iteritia (cioè al giallore del corpo), e a colui a cui fece male il bere del troppo forte vino. E azub fa aiuto e giova a l'aspreza de la gola, e a coloro ke ànno la impetigine, e a la rosseza del volto co la grosseza de la buccia, e a le pustole secche e aspre quando con esso si fregano, ma fa fastidio e monta suso e sale a la boccha de lo stomaco. E 'l bituro cotto indebolisce e ramollisce li apostemi duri quando di lui si fae empiastro e giova ai morsi de le vipere da' veleni molto acuti e forti; e a colui che lli userà ne' suoi mangiari, sì lli averanno fredde infertadi, ma più nodrisce di tucte l'altre cose untuose et è di magior virtude. (+i) E notate ke il latte k'è facto sì è di tre diverse substançe, sì come gaghiosa, serosa, e d'altra k'à natura di formagio, e altro k'à natura di burro; e secondo la diversità di queste cose si aopera diversamente: ke quella natura è (k'è dianeuse) kaghiosa sì è calda e seccha, e di sua natura purga il ventre e apre le vie del fegato e purga la collera; l'altra substanza, ke tiene a natura di formagio, sì è grossa e ingenera mali omori e pietre ne le reni e altre cose ke noi diremo del formagio; la terça substança, ke à natura di burro, sì è kalda e humida e di sua natura amolla il ventre, ma elli dona abominatione e vale a tutti quelli ke ànno tossa fredda e seccha, e spetialmente mangiato con zukero e con lacte di mandorle. E non à il latte questa diversità solamente ke detta avemo, ma elli diversificha sua natura per la diversità de le bestie ke 'l portano e per lo tempo loro, e per la diversità del tempo nel quale si trae, e per le diverse vivande ke elle usano. La diversità ke aviene per le bestie ke 'l portano avemo diterminato. Ma tanto arogiamo e diciamo ke il lacte più convenevole a natura d'uomo e al corpo de l'huomo sì è il lacte de la femina, e spetialmente quando elli è usato sì com'elli esce de le mammelle. (i-) (+i) La diversità ke aviene del latte per lo tempo de le bestie sì è ke quello latte k'è di vecchia bestia sì è malvagio, e quello k'è di giovane vale mellio. E quello ke vale mellio di tucti sì è quello k'è di bestia ke non sia troppo vecchia né troppo giovane e spetialmente quando la bestia è grassa. La diversità ke aviene per lo tempo sì è ke voi dovete sapere ke quello k'è fatto ne la primavera vale mellio di tucti li altri, e questo è per due ragioni: l'una sì è per lo tempo k'è temperato, e truovano allora le bestie millior vivande per usare, l'altra sì è ke il latte vale, perciò ke in questo tempo filliano più le bestie ke in altro tempo. E notate ke, ançi ke il lacte sia buono per usare, si conviene passare .XL. dì dopo ciò k'elle ànno partorito. Lo latte ke l'huomo trae nell'autunno non è sì buono, percioe k'elli trae più a natura di formagio, sì enfia la forcella e il ventre e ingenera ventosità e fa male assai. Latte di state sì ssi tiene a natura di questi due. Quello del verno, avengna ke ssi ne truovi pocho, elli è reo più ke tutti li altri perciò k'elli è più grosso e più seccho, e cioe perciò k'elli è sì dilungi dal tempo ke le bestie ànno filliato. La diversità del latte ke aviene per lo nodrimento ke le bestie prendono. Perciò ke le bestie ke ssono nodrite d'erbe fredde, sì kome lactughe, borage, bitole e altre maniere di cavoli e di chamangiari, lo lacte k'elle portano sì è aguto e sottile. Altre bestie sono sì come le capre ke non mangiano se non li tenerumi delli arbori e de' rami. Questo latte vale mellio a lo stomacho. Altre bestie sono ke mangiano tucte altre maniere d'erbe e di totomallio. Cotale lacte sì è malvagio a lo stomacho e al corpo de l'huomo. E intendete generalmente ke, secondo la diversità de l'erbe e del nodrimento k'elle prendono, si conviene ke il lacte sia sano e infermo. La diversità del latte ke aviene per lo tempo, quando huomo lo trae, sì come huomo lo trae novellamente, tale latte vale mellio di tucti li altri e ingenera millior sangue, ma conviene ke l'huomo ne prenda secondo la natura ke ciascuno può portare, ke ki nne prende oltre ciò k'elli non dee, sì fa male a lo stomacho e fae mala testa e mali denti. Perciò dovete sapere ke di tanto, kome l'huomo l'usa, più tosto quando elli è tracto e munto di tanto vale elli mellio et è più sano. (i-) (+i) Formaggio, sì come disse Ysaac, è generalmente tutto reo, perciò k'elli ingrossa et è pesante et emfia la forcella. E di ciò vi potete acorgere ke quelli ke ll'usano lungamente si conviene k'abbia dolore di fianco, e malvagia testa, e grosso intendimento, e pietra ne le reni e ne la vescica. Ma elli è meno reo per la diversità dell'usare ke l'huomo lo fae, ké ki 'l mangia quando elli è fresco, sì è grosso e freddo, sì à natura di rafreddare l'adustione de la forcella percioe k'elli è freddo e humido nel primo grado; e se ssi cuoce bene ne lo stomaco, sì nodrisce molto e no è buono a coloro ke ssono freddi di natura. (i-) E 'l vecchio si diversificha secondo la quantità de la vecchieza e quello k'è di sapore aguto e pugnente è chaldo, e arde, e fa sete, e mal nodrisce. Ma, tuctavia, quando dopo mangiare di lui si prende piccola quantità, corrobora e fortificha la boccha de lo stomacho. E la troppa satietade e fastidio ke viene de le cose dolci e untuose ne la boccha de lo stomaco lieva, ma tuctavia elli conviene ke l'huomo lasci stare il ricente e 'l vecchio. E 'l lacte spesso dee l'uomo del tutto in tucto fugire e schifare, perciò ke genera pietre ne le reni. E lacte rapreso fa fastidio et, essendo grave, non fa apetito sì come il chascio e non fa sete; il quale in sapore si truova più untuoso ke llatte né ke 'l kascio. (+i) E il kascio vale mellio per malatie rimuovere ke per santà guardare, ké elli vale molto mangiato arostito a que' k'ànno menagione, e conforta lo stomacho, e fae la vivanda advallare, s'elli è mangiato dopo ciò ke l'huomo à mangiato grande quantità di vivande, e spetialmente quando elle sono grasse e abbominabili. Formagio ke non è troppo vecchio né troppo novello e k'è di buon savore e non è troppo grasso, quello vale mellio a usare, con tutto sia ciò k'elli non sia sança malitia. (i-) Masal rafredda fortemente e la sete e la collera rossa riprieme e indebolisce e a' nerbi e a l'enfertà fredde è reo. E 'l siero dal lacte acetoso fa meno impedimento ai nerbi ke il masal.
L. III, cap. 13 rubr.Capitolo .xiij. De la propietade de' pesci freschi e salati.
L. III, cap. 13(+i) Voi dovete sapere ke tucte maniere di pesci ricenti generalmente sono freddi e humidi, e ingenerano grossi homori e viscosi, e (i-) sono duri a digerere, e ne lo stomacho fanno gran dimorança, e fanno sete. E 'l sangue ke n'è ingenerato de' freschi è flematicho. (+i) E valliono a coloro ke ànno lo stomacho kaldo e sono di calda e seccha complexione e magri e di state sono milliori a usare ke di verno, avengna ke 'l nodrimento di tutti pesci sono malvagi e no li debbono usare coloro ke ànno la complexione fredda e flenmaticha, ké elli distrugge la complexione et empie di malvagi homori. E ki usare li vuole, sì vi aprenderemo quali sono buoni e quali sono rei. I pesci ke l'huomo dee usare per milliori sì sono quelli ke ànno la carne viscosa e non troppo grossa, e sono di buono odore e ànno buon savore, né non sono neente troppo grassi, e ke ànno la charne dura, e ke nom putono né micha, sì tosto com'elli sono fuori de l'acqua, e ke non sono neente dimorate in istagno, né in fosse ov'elli abbia ordura, e ke non siano dimorati in acqua corrente ke i venti possano da tutte parti ventare, ançi conviene k'elli sieno di riviere petrose ove sabione non usi, e ke non sieno ordi e corrano lungamente discoperti ke i venti vi possano ventare. E ancora conviene k'elli sieno nodriti in luogo ov'elli abbia buone erbe ke non sieno velenose, ke ciò è una cosa donde ciascuno si dee prendere guardia, sì come di sapere il luogho ov'elli sono stati nodriti e al tutto konviene k'elli sieno con iscallie. E sappiate ke perciò ke noi nom possiamo dire la natura di ciascun pesce per sé, sì vi diremo dell'insegnamenti generalmente ke voi dovete sapere. Sappiate primieramente ke tutti pesci sono di tre maniere. La prima maniera sì è de' pesci di mare i quali son nati e nodriti dentro il mare e tuctora vi dimorano. La seconda maniera sì è di pesci d'acque dolci, sì come di riviere e di stangni ov'elli si nodriscono e in che elli dimorano. La terça maniera sì è de' pesci del mare ke vanno in acque dolci ke vanno nel mare. Quelli ke ssono nodriti nel mare, v'à di tali ke vengono ne l'acqua dolce e loro piace e vi si dimorano. Cotali pesci sono konvenevoli a natura d'uomo, perciò ke lloro karne non è sì grassa né troppo magra, ançi è savorosa e nodrisce più ke karne d'altri pesci. Quelli k'escono del mare e vengono ne l'acqua dolce e non piace loro il dimorarvi, ançi ritornano adietro, non sono neente sì sani, né ssì convenevoli a natura d'uhuomo, né non donano neente sì buon nodrimento, perciò k'elli non sono sì savorosi ke le vivande savorose di tanto, kom'elle sono più savorose e dilettevoli a la boccha, di tanto nodriscono mellio e valliono per santade guardare. Pesci ke dimorino in mare sì possono essere diversificati di diversa maniera, k'elli ne sono di tali ke dimorano in una parte del mare ov'elli à pietre o ssabione, ke llungi è di cittadi, e ordura non vi può entrare né andare; e questi sono i milliori pesci e ke milliore sangue fanno sopra tutti altri pesci. Quelli ke dimorano nel mare morto e cheto k'è presso di città et è altressì come maroso, questi non sono buoni a usare, ançi si ne dee ciascuno guardare. Pesci ke ssono d'acque dolci sì sono di quatro maniere. La prima sì è nodrita in istagni o in marosi. Quelli ke ssono nati in riviere, e la riviera sia grande e chiara e corra lungamente, e sia discoperta ke i venti vi possano ventare, e corre il fiume sopra pietre e sopra sabbione, e sia lungi di città, i pesci ke vi sono valliono mellio di tucte maniere di pesci d'acqua dolce; ma s'elli sono pesci ke ssieno nodriti in picole riviere ke sieno in cittadi, e corrano sopra malmetta e sopra mota e ordura, tali pesci non sono utili né buoni a mangiare, perciò k'elli nodriscono malvagiamente e ingenerano grossi omori e viscosi. L'altra maniera di pesci d'acqua dolce sì sono quelli ke ssono nodriti in stagni, e li stagni possono essere di molte maniere, ké elli sono stagni ke ssono presso del mare e ke 'l mare v'entra et esce. E di quelli sono ke dimorano keti ke acqua non vi entra né non n'esce. Li pesci ke ssono nodriti in istangni, kenti k'elli sieno, valliono peggio che i pesci di riviera, ma quelli ke ssono in tal luogho ove il mare puote entrare e uscire e di riviera, valliono mellio ke di stangni ke ssono tuctavia keti e non corrono; ke i pesci di stagno ke ssia keto e non è rimondato né purgato de due anni, o de tre, una volta, questi sono sopra tutti li altri pegiori e non sono buoni a usare a natura d'uomo. E intendete generalmente ke i pesci del mare valliono mellio e più nodriscono ke non fanno i pesci d'acque dolci, perciò k'elli non sono sì viscosi e ànno la carne più dura. E non solamente dovete sapere ke natura di pesci si diversificha per le cose di su dette, ma ancora si diversifichano in cimque maniere: la prima sì è per le scallie; la seconda sì è per la vivanda ond'elli sono nodriti; la terça per li venti; la quarta sì è per le cose ke i venti anmenano ne le riviere, nel luogo ove i pesci dimorano; la quinta sì è La prima diversità per le scallie sì è in due maniere ke o elli sono pesci ke n'àno assai de le schallie e grosse, o elli non n'ànno nulle, o elle sono sottili. Quelli ke ànno schallie grosse e assai sì valliono mellio ke quelli ke n'ànno poche o nulle, perciò ke le schallie sono ordure ke la natura del pesce kaccia fuori, donde la charne rimane più netta e più pura. E cosie sono le schallie ai pesci kome le piume e penne a li ucelli e i peli a le bestie. Quelli che ànno schallie sottili non valliono neente tanto e assai vallion peggio quelli che non ànno, e ciò è per la ragione che detta avemo. La seconda diversità sì è per lo nodrimento k'elli prendono in diverse maniere, ké elli sono pesci ke ssono nodriti di buone erbe e di buone radici, e di grano, e d'altre buone cose, e questi sono quelli ke nnodriscono bene e sono più sani. Ma quelli ke ssi nodriscono di malmetta e d'ordura o di mota e dimorano in marosi, quelli non dee huomo usare, ançi si ne dee huomo guardare, perciò k'elli fanno le genti alcuna volta morire subitamente. La terça diversità de' pesci sì è per li venti ke ventano nel luogho ove sono li pesci, però ke i venti ke ventano di septemtrione o d'oriente, quando elli ventano nel mare o in riviere ove i pesci dimorano, sì lli fae più sani e mellio valere ke non fanno i venti di mezodì, né quelli d'occidente. E percioe ke quelli di septemtrione e d'oriente sono di loro natura più secchi, si conviene ke la karne de' pesci ne sia più dura e meno visscosa. La quarta diversità sì è de' venti ke portano ordura, o polvere, o follie, o fiori, o altre cose in riviere o in altri luoghi ove i pesci sono, ond'elli si possono nodrire. E secondo la diversità di queste kose sono i pesci buoni e rei. La quinta diversità sì è de l'aparecchiamento ke l'huomo ne fae di mangiarli o arostiti, o fritti, o in acqua, o in altra maniera. Quelli che ssono salati vallion mellio, ma ch'elli sieno mangiati di due dì, o di tre, dopo poi k'elli sono salati, perciò ke il sale amenda lor malitia de la viscosità k'elli ànno. Li arostiti valliono mellio ke i fritti, perciò ke i fritti prendono viscosità nell'olio ov'elli sono cotti. Quelli che ssono cotti in aqua o ne l'olio sì valliono peggio ké elli sono visscosi, sì fanno male a lo stomacho e gravallo troppo. Ma quelli che ssono chotti in acqua pura e col sale valliono mellio delli altri, ma sieno mangiati con savore di gengiovo, di pepe, e di channella, e d'altre buone spetie, e di vino agro, cioè d'aceto. Un'altra maniera di pesci sono sì come sono screvetes e altri cotali pesci ke, secondo la sententia di Galieno, non sono neente convenevoli a lo stomacho, ma sse usare si volliono, si conviene k'elli sieno nodriti in buon luogo. E questi sono l'insengnamenti ke ssapere dovete generalmente di tucti pesci. I pesci freschi e tuti pesci sono duri a digerere e fanno sete e generan sangue flematico. (i-) E questi cotali pesci humentano il corpo, sì come i barbi, fanno uscire e acrescono la sperma, i quali a coloro ke ànno male di fiancho, e a cui suole venire fredde infertadi, son rei. Ma elli giovano a coloro k'ànno la complexione calda e a cui signoregia collera rossa, avengna ke, come detto avemo, il loro nodrimento in tucto in tucto sia reo. E quando elli sono mescolati con altri cibi sono migliori a spegnimento di collera rossa, imperciò ke i pesci, sempre ne lo stomaco facendo lungha dimorança e generando sete, ragunano nel corpo male viscositadi, de le quali molte infermità pervengnono. E di tucti li altri pesci eçie e buny sono milliori e' somiglianti a lloro. E a la perfine quelli pesci debbono essere scielti, la carne de' quali no è molto viscosa né molto grassa, e ke non à grave odore e reo, e ke tosto non si putrefa, sì come detto avemo, e ke non siano presi a' laghi, né im paludi, né in luogora ove sia ordura, né i· lluogo ke abbia reo o male odore, né in acqua ke abbia male erbe e non siano tragrandi. Questi cotali pesci sono i milliori di tucti altri pesci, e quelli ke ssono contrari a questi son pigiori. E ' pesci salati in neuna maniera si deon mangiare, se non il dì ke l'homo si vuole medicare. Ma tuctavia se alcuno i disidera di mangiare, picola quantitade pillii di loro, i quali sieno aparecchiati con cose untuose e con cose ke faciano satietade. E s'elli, così come sono o in acqua salati sono posti, si manuchano, confortano e fortificano um poco l'apetito. E ' pesci salati e rafreddati tengnono in sé e ànno la distrutione de le due predette cose, imperciò k'elli non rafreddano, né spegnimento di calore non generano, né talliamento, né subtilliamento non fanno, i quali, facendo gran dimorança ne lo stomacho, creano e fanno sete.
L. III, cap. 14 rubr.Capitolo .xiiij. Del sale e de' semi e speçie necessarie a la cucina.
L. III, cap. 14(+i) Sale sì è caldo e seccho nel primo grado e seccho nel secondo, il quale cibo tolliendo, il nocimento del fastidio sottillia (i-) e l'appetito excita e commuove e fa acuto. E ancora arostisce e riarde il sangue di coloro ke di lui prendono grande quantitade, e 'l vedere indebolisce, e la sperma menoma, e genera piççicore e scabbia. (+i) Sale sì è di molte maniere ma noi non usiamo se non di due, sì come di quello ke l'huomo fae de l'acqua del mare e si cuoce al calore del sole, e l'altro ke ssi fae di poççi e di grandi stangni ke l'huomo fa bollire in chaldaie di piombo e di metallo. E tale sale sì s'apella sale sottile ke noi kiamamo salina, e l'uno e l'altro dee essere kiaro, e bianco, e netto di pietre e d'altre cose. Il quale moderato dona talento di mangiare e leva l'abominatione, ma ki ll'usa a oltragio sì ingenera rongna e malvagio sangue, e tollie il talento d'usare kon femina. (i-) (+i) Aceto è di sua natura freddo e seccho, ma elli tiene più di fredura e àe natura di disecchare, di partire, e di passare, e fa dimagrare, (i-) e la virtù distruge, e menoma la sperma, e la collera nera fa crescere e corrobora, e la collera rossa e 'l sangue indebolisce, e sottillia i cibi ai quali si mescola, (+i) e vale più per malatie rimuovere ke per santade guardare. E si puote l'aceto fare in questa maniera: prendete buon vino e mettetelo in uno vasello, ma non sia pieno, e lasciatelo dimorare discoperto, e così diventerà aceto, e 'l potete metere al sole .iij. die o quatro. E se più tosto il volete fare, tolliete un ferro chaldo, o una pietra di riviera, e scaldatelo, e spengnetela dentro il vino e diventerà aceto. E quando sapere volete s'elli è buono, sì ne digociolate sopra la terra, e s'ella il bee e schiuma, sappiate k'elli è buono, e se no 'l fa sì è reo. Cotale aceto sì dee l'huomo usare in salsa per ristrignere il ventre e stangnare il vomire, et è buono a usare in tutte kalde malatie, e spetialmente vale a usare quando l'aiere è corrotto per troppo grande kalore. E sappiate k'elli àe un kalore sì come li autori dicono di tal virtù ke ss'elli truova lo stomaco pieno, sì 'l fa bene andare a kamera, e s'elli il truova vòto sì 'l ristrigne. (i-) Moripsia opera quello ke ffa il sale, avenga k'ella sia più forte di lui e più soptile, la quale muove il ventre e tallia la visscosità, e grossi cibi sottillia, e fa sete, e lo stomaco e il fegato riscalda. (+i) Pepe sì è kaldo e seccho nel quarto grado, e di sua natura sì conforta lo stomaco freddo, e ditrugge li omori freddi e viscosi, e fae ben cuocere le vivande, e perciò vale a usare a coloro ke ssono di fredda complexione e ke ànno tossa di freddi e di grossi homori. Ma non è buono a usare a coloro ke ssono di calda complexione e spetialmente pepe lungo. Il pepe lungho sì è de la natura del nero, ma elli non è così caldo di state. (i-) Il pepe nero digere il cibo e la ventosità disolve. Essendo fortemente caldo e seccho, lo stomaco e il fegato riscalda; la cui caldeza, conciosiacosak'ella sia forte sì come detto è, fae nocimento a coloro ke ànno i corpi kaldi e magiormente di state. Il coriandro è freddo e seccho, la cui natura è ke quello ke dee nudrire, sì llungamente faccia stare ne lo stomaco k'elli si compia la sua digestione, e perciò konviene ke di lui si pongha molto ne' cibi ke ssono di grossa natura. (+i) Comino sì è caldo e seccho nel secondo grado et è seme d'un'erba ke cresce in grande abondanza e la puote huomo guardare .v. anni; (i-) il quale, dando aiuto a la digestione, l'emfiatione et enfiamento disolve, (+i) e fa bene orinare e comforta la virtù de lo stomacho, se im polvere o in salsa è usato. E ancora ki usa il vino ove sia cotto komino e fichi secchi, sì val molto a coloro k'ànno tossa di fredi omori, e vale a quelli che ànno corruptione e dolore di ventre per freddo, sì vale molto ad farne impiastro, ma sia mischiato con farina d'orço e arosato di vino. E ancora per sangue k'è nelli ochi per battiture sì è buono a prendere comino, e mischiare kon tuorlo d'uovo, e mettere sopra un chaldo testo, e porre sopra li occhi. Ancora se 'l visagio è perso e livido per battiture, o per altre cose, prendete polvere di comino, e mescolate con cera virgine, e scaldatelo, e ponetelo di sopra. E dovete sapere ke l'asiduatione del comino, cioè troppo usarlo, sì fae l'uhuomo palido e di male colore. (i-) Il carvi in caldeza e seccheza è sì come il comino, ma più è abile a lo stomacho e chonvenevole e 'l ventre ristrigne. Kessimi, o kessynii, è kaldo e seccho, il quale la digestiva atando, la ventosità e l'enfiamento disolve. Amiden è kalda e seccha, la quale, ne lo stomacho lunghamente dimorando, l'enfiatione non dissolve né disfa, ma la luxuria konmuove. L'origano è kaldo, il quale, stando et essendo molto abile e convenevole, molto è amato da lo stomacho, imperciò k'elli excita l'apetito e manda via la ventosità. (+i) Lo cinnamo, overo kanella, è kaldo e seccho nel secondo grado e sonne di due maniere sì come grosso e sottile. Il grosso non è sì caldo et è scorça d'albero ke nasce in Yndia e 'l dee huomo scielliere k'elli sia sì come rosso e non sia né biancho né nero; e si conviene sagiare com boccha; e s'elli pungne et è dolce sì è buono; e si puote guardare .xx. anni, salvo k'elli non sia tenuto in luogho troppo kaldo, né troppo seccho; e di sua natura à virtù il fegato e lo stomacho, fortificandolo, aiuta la digestione e manda via la ventosità; e s'elli àe malatie ne lo stomacho ke ssieno per freddi omori ke non possa ben cuocere la vivanda, adunque sì fa buono usare polvere di channella mischiata com polvere di karvy, con salsa di pretosemoli e di salvia e d'aceto. Kotale salsa dona talento di mangiare e conforta il cerebro, e fa buono alito. La chanella k'è grossa non è sì buona né ssì profitabile, né di tanta efichacia a le cose ke dette avemo kome la sottile. (i-) (+i) Gengiovo sì è kaldo nel terço grado e humido, kon tucto k'elli nom paia né micha, e di sua natura conforta lo stomacho freddo, e amolla il ventre, e fa ben cuocere la vivanda, e si dee elegiere k'elli sia biancho e duro e novello. (i-) (+i) Galanga sì è kalda e seccha nel terço grado e dicono molte genti ke ciò è albero, ma Diascorides disse ke ciò è radice ke ssi truova in parti et è radice d'un albero ke cresce in Persia e si puote guardare .v. anni sança coruptione, ma ke ssia rossa, novella e pesante, e abbia savore ke a l'uscire de la boccha pungha la lingua, ké galanga palida, e legiere, e pertugiata, e con poco savore non è da neente, ma quella ke noi avemo nomata di sua natura conforta la virtù de lo stomacho per bene cuocere la vivanda. E ki bee vino de la sua dicotione, sì menoma il dolore k'avenire puote a lo stomaco per freddi e per grossi omori e per ventosità. E solamente l'odore di lei scalda e conforta lo cerebro. Ancora ki prende polvere di galanga kon sugho di borrana, sì vale a coloro ke ànno il cuore fiebole dinançi cibo usandolo. (i-) Marath è kaldo e seccho, il quale corrobora e fortificha lo stomacho e 'l feghato.
L. III, cap. 15 rubr.Capitolo .xv. De' camangiari et erbe e quali di loro s'aministrano in dicotione, e prima de le latughe.
L. III, cap. 15(+i) Lattughe sono di due maniere: salvatiche e dimestiche. Le dimestiche che noi usiamo sì sono fredde e humide temperatamente e valliono sopra tutte altre erbe a buon sangue ingenerare. E di lor natura son buone a lo stomacho e si cuocono legiermente, e spetialmente quelle ke non sono lavate, perciò ke le lavate perdono e chambiano la bontà di sua natura, onde il buon sangue s'ingenera e acresce la freddura. E sono milliori a usare a coloro ke ànno la forcella chalda ke a coloro ke ll'ànno fredda, perciò k'elle raffredano più che no scaldano, e donano talento d'usare con femina e di sua natura non ristrigne né non ramolla il ventre, e mitigano la caldeza de lo stomacho e l'ardore, e la sperma menoma, e fa sompno. (i-) Endivia, essendo fredda, genera spengnimento di mala kaldeza, e giova et è di grande eficacia alli ardori de lo stomacho e del fegato, e àe grande virtù di disolvere l'oppilatione. (+i) Porri sono caldi e secchi nel terço grado e valliono mellio per malatie rimuovere ke per santade guardare, perciò ke di sua natura fae lo stomaco dolere e grava la vista per la fumusità ke viene a la testa, ke ssi dipartono da lo stomaco quando huomo li mangia. E voi vi ne potete acorgere a le strane visioni ke coloro ke lli mangiano vegono in dormendo. E però si ne debbono guardare di mangiare koloro k'ànno mala testa e ke sono di chalda natura. Ma chi lli mangia e li vuole usare, sì li faccia cuocere in due acque e mangi latughe o porcellane dop'essi, ké ciò fanno lor malitia amendare. Usargli per malatie rimuovere valliono molto, k'elli donano apetito di mangiare e ristringono il sangue del naso. In questo modo aconci prendete sugho di porri, e mischiate con olio rosato e con aceto e con um poco d'incenso, e mettetelo ne le nari del naso con una tasta lina intinta in esso, e stangnerà. Ancora vale a coloro ke ànno le vie del fegato e del polmone turate di freddi e di grossi omori. Lo salvaticho sì è kaldo e seccho nel quarto gradoe à natura di fare bene orinare e di fare venire i mestrui, cioè le private malatie de le fenmine. (i-) Il coriandro ricente è freddo, del quale non è da pilliare grande quantità ke per l'aventura se ne seguiterebbe morte, la cui piccola quantità opera quelle medesime cose ke lla latugha, ma elli non humenta. (+i) La rucha è kalda nel secondo grado e humido nel primo, la quale essendo emfiativa genera dolore di capo e tardi si digere, ma la vergha fa drizare. (i-) (+i) Ma perciò k'ella è di buono odore et è afretta, sì conforta lo stomaco, e dona apetito di mangiare, e tolle l'abominatione ke per mali omori possono avenire ke ssono ne lo stomaco. E ancora ki la prende e fa pestare e trane il sugo e mischilo con vino di melograne, sì ristrigne il vomire e tolle il singhiozo. E ancora ki ne fa empiastro e póllo sopra le mamelle emfiate per troppo grande abondança di latte, sì le fa venire a sua natura. (i-) Il nasturço è kaldo e seccho e aiuta l'apetito, avengna ke emfiamento e dolore di capo faccia e ancora ritarda la digestione. Il fieno greco è kaldo e non fa emfiatione. Andacoca fa dolere il capo, la quale è calda et emfiativa, cioè genera emfiatione. Thyacon è kalda, la quale emfia e la digestione ritarda. (+i) La ruta è chalda e seccha in secondo grado, la quale il viso sottillia e la ventosità e l'emfiatione disfae. (i-) (+i) Et ènne di due maniere: salvaticha e dimesticha, la salvaticha è detta pigamo. Le frondi e 'l seme è konvenevole in medicina, e i semi possono essere guardati per .v. anni, e le foglie seccate per anno, e à virtù dureticha, e disolve e consuma. E con dollia di capo et epilensia sia messo um pocho del suo suco chaldo per lo naso nel bagno, imperò ke purgha flemma e mondificha il cerebro. E 'l vino de la sua dicotione vale a cciò con difetto diviso per humidità collerica; sia posta la ruta nel dollio con vino e lo 'nfermo usi tale vino. Anche mescolata con acqua e posta sopra li occhi cisposi li mondificha. Contra dolore di denti la ruta cotta nel vino sia impiastrata sopra 'l luogo dolliente, o altrimenti tolli il frusto suo e ardilo um poko al fuoco, e con quello kauteriça la concavità del dente, assai fa utilità. Contra frigidità di stomaco e membri (paralisi) sia dato il vino de la sua dicotione e del castoro, con l'opilatione de la milça sia dato il vino de la sua dicotione e de la radice del finocchio, il polvere suo con sugho di finochio. Anche contra stranguria e dissuria sia cotta la ruta in vino e olio e sia impiastrata sopra 'l petignone con tenasma. Per fredda cagione sia cotta la ruta nel vino, e sia facto antenasma, e sia scaldato buono vino, e sia gittato sopra la ruta, e lo 'nfermo riceva il fummo per embuto. A provocare il sangue mestruo e diducere il filio morto e la secondina sia data trefora magna con sugo di ruta. E questo medesimo adopera il sugo suo solo bevuto o pesariçato, o le tenerità sue fritte nell'olio e sopraposte. Contra dolore di membri di fuori per contusione o per altra cagione la ruta sia schaldata in tosto, sança alcuno liquore sia aposto sopra il luogo dolliente. Contra li occhi cispi e rossore il polvere del comino con sugo di ruta sia confetto e la bambagia intinta sia posta sopra li occhi. La ruta bevuta vale contra veleno e contra morsi d'animali velenosi impiastrata. E s'alcuno fosse tucto circondato di ruta verde sicuro potrebbe andare al basalischio. Dicono Plunyio e Diaschorides e Constantino ke la donnola, la quale dee combattere col serpente, manuca la ruta e, guernita de l'odore e de la virtù sua; sicuramente assalisce e uccide il basalischio. L'odor suo chaccia delli orti i ranocchi e tucti animali velenosi, imperò ke convenevolmente è piantata ne lluoghi ove sono le sedie de l'api. Anche quelli i quali sono unti del sugo de la ruta non sono punti da scarpioni, né da ragnateli, né da vespe, né da api. Salvia sì è kalda e seccha nel terço grado e di sua natura è buona a lo stomaco e confortalo, e spetialmente lo stomaco freddo, e vale a quelli ke triemano e sono paralitichi. E no è buono usare di state quando elli è gran kaldo, ké di sua natura schalda e diseccha. E ki ne fae vino salviato sì è buono a usare di verno e spetialmente a quelli k'ànno la forcella fredda e 'l petto turato di grossi e di freddi homori. E ancora vale a usare a coloro ke ànno malvagio alito per la corutione delli omori che ssono ne lo stomacho. E nota ke la salvia dee essere piantata com picole piante e kon rami jovani nel mese d'ottobre o di novembre ma mellio è di março. Menta sì è kalda e seccha in secondo grado, e perciò k'ella è di buono odore et è afretta, sì conforta lo stomaco; e dona apetito di mangiare, e tolle l'abominatione ke per malvagi omori possono avenire ke ssono ne lo stomacho. E ancor ki l'aprende, e pestala, e trane il sugo, e mischialo con vino di pome granate, e donala a bere, sì ristrigne il vomire e leva via il singhiozo. Ancora ki ne fae impiastro e póllo sopra le mamelle emfiate per troppo grande abondança di latte, sì le fa rivenire a sua natura. (i-) (+i) Bassilico sì è kaldo e secho di sua natura. Altri sono ke 'l kiamano albethoari, il qual è ko le foglie larghe et è kaldo, (i-) il quale fa dolere il capo e male nodrisce, il cui mangiare turba il vedere quando di lui molto s'usa, e la sperma e lacte disecca, e tollie il talento d'usare con femina, e a la boccha de lo stomaco giova, imperciò k'elli il corrobora e fortificha, e al cuore fa aiuto, (+i) e distruge i malvagi omori e fummi ke intorno al cuore possono avenire e ingenerarsi. (i-) La mellisa è calda la quale, essendo subtilliativa, è congrua e buona a coloro ke ànno triemito di cuore; e faccendo emfiatione, diriça la vergha e dà vollia di mangiare e tollie il vomito e il singhiozo. Appio è kaldo, il quale, aprendo l'opilationi, emfia e la luxuria commuove e al reo odore de la boccha dà e fa rimedio. E non si dee manicare se non quando huomo temesse de la puntura de lo scorpione. L'appio romano è sì come il predetto, avengna ke elli sia più sottile e più fortemente operi. (+i) Allio è caldo e seccho al cominciamento del quarto grado e sonne di due maniere, salvatichi e dimestichi. Il salvaticho è più kaldo e più seccho, ma il dimesticho, ke noi usiamo a mangiare, fanno sete e fanno libidini, cioè vollia di luxuria, e mandano fuori la ventosità, e 'l corpo riscaldano e fanno nocimento ne le calde regioni e ne' caldi tempi e a' caldi corpi, e sono convenevoli e utili a coloro ke ssono contrarii a questi, e fanno la testa dolere. Ma quando elli è cotto e tienlo huomo in boccha, sì menoma il dolore de' denti, ma elli apiccola il vedere e atrae malvagi omori alli occhi. Ma elli schiara la voce e rimuta vecchia tossa ke ssia ingenerata di freddo e di grossi homori. E ancora di sua natura dona appetito di mangiare e vale contr'a' morsi di velenose bestie e per la malitia amendare de le vivande ke velenosi omori potrebbero ingenerare, e perciò il kiama l'uhuomo lo triacha del villano. (i-) (+i) Cipolle sono kalde e secche secondo Raxis, ma secondo Avicenna sì è kalda nel terço grado e humide nel quarto e valliono mellio per malatie rimuovere ke per nodrimento donare, ké di loro natura danno sete e ingenerano grossi homori e viscosi. Ma elle confortano l'apetito e secondo Avicenna confortano molto e nodriscono. Ma s'elle sono mangiate crude, sì fanno la testa dolere, e tucte nature di cipolle fanno acrescimento di libidine, cioè donano talento d'usare con femina. E crude manichate generano superflui omori e flemma, e se impiastro n'è fatto con aqua e sale, e sia posto sopra 'l morso del chane rabioso od altra velenosa bestia, sì vale molto. E ancora valliono a usare dopo mangiare per amendare la malitia de le vivande ree ke potrebboro velenosi homori ingenerare. E ancora per buon colore avere le fa buon usare. (i-) Troximel domestica è somilliante a la salvaticha, ma è più sottile e più fortemente opera. Arsey è chaldo e seccho e a lo stomaco è convenevole. Chavolo romano e cavolo di Syria, il qual è kiamato imperiale, è kaldo e seccho. Il quale, generando collera nera, fa vedere rei sogni, ma tuctavia la gola lenisce, cioè pulisce, e ramorbida e fa uscire, e tollie ebbreza. Lo 'mperiale medesimamente opera quello medesimo, avengna ke ssia di minore kaldeza. E ancora si truovano altri kavoli, i quali son chiamati mosali, kamenden, e sono più freddi, le cui operationi sono somillianti a l'operatione de' navoni, cioè de le rape lunghe, e la sperma aumentano, cioè acreschono. (+i) Ma come k'elli sieno o salvatichi o dimestichi o verdi o rossi, sappiate ke di loro natura ingenerano grosso sangue malinconico, e fanno malvagia alena; ma ki lli mangia con grassa karne, e ke la prima acqua ov'elli sieno cotti sia gittata, sì amendano molto la lor malitia. Et essendo così aparekiati, l'acqua ov'elli sono cotti amolla il ventre e la substança lo 'ndura; e valliono mellio a usare per malatie rimuovere ke per santà guardare, ché per malatie rimuovere vale elli a ffare bene orinare. E 'l sugo bevuto col vino vale a quelli che ssono morsi da kane rabbioso. E 'l seme quando elli è cotto e bevuto non lascia inebbriare e vale a molti dolori ke avengono al corpo, ki ne fa empiastro spetialmente kotto in aqua. E a questa medesima natura si tiene il torso, se non k'è più duro a cuocere a la forcella, cioè a la boca de lo stomacho. Navoni sì sono kaldi e humidi nel secondo grado, e di loro natura nodriscono più ke ll'altre erbe se elli si cuocono bene ne la forcella. E la carne del corpo ke nn'è ingenerata sì è molle et emfiata, ma elli ànno gran virtù di donare talento d'usare con femina. E ki usare li vuole per lor malitia amendare, konviene k'elli sieno cotti in due acque e ambindue sieno gittate, e ne la terza sieno ancora cotti con charne ben grassa. E l'acqua ov'elli sono cotti alenta, e giova molto al dolore de' piedi e de le kavillie, e a coloro ke di malatie si lievano. Radice è kalda nel terzo grado e seccha nel secondo e di sua natura nodrisce mellio ke navoni, ma il nodrimento ke dona è malvagio e grosso, e fae emfiare la forcella, e fa male alli occhi e ai denti e a la gola, e vale mellio per malatie rimuovere ke per santà guardare. Ki le mangia dopo pasto, sì fa la vivanda avallare, e amolla il ventre, e fa bene orinare, e rompe la pietra de le reni e de la vescicha, e vale molto a coloro ke ànno tossa di grossi homori e d'umidi. E se mangiata a digiuno non è sì convenevole a natura d'huomo kome dopo mangiare, ké dopo mangiare non fae neente sì emfiare, ançi conforta lo stomaco a cuocere la vivanda. (i-) Melogia è kalda e molto seccha, la quale genera collera nera, e 'l sangue arrostisce, e ne la boccha fa pustole e bolle, se alcuno l'userà. E s'ella si cuoce ne l'aceto, ne la boccha non fa pustole, ma la collera rossa spengne e riprieme fortemente, e apre l'oppilatione del fegato e de la milza. Il cui modo di mangiare è pigiore quando ella si manucha cruda, dipo 'l quale modo di mangiarla sì è arrostita, e dipo questo è il modo per lo quale ne la padella si cuoce. (+i) Baucie, cioè pastinache, sono kalde nel secondo grado e humide nel primo. E sono di due maniere: salvatiche e dimestiche. Ma le dimestike e le salvatiche sì nodriscono poko e grossamente e sono emfiative, le quali appena con dureza si digerono, e a la sperma danno acuitade e chaldeza, e fanno orinare, e usarle fanno abondanza di grosso sangue di malvagio, e nodriscono meno ke i navoni. Ma elle provocano orina e aprono le vie de le reni e del fegato turate e de la vescicha, e danno talento d'usare con femmina. E ki le vuole usare per lor malitia amendare, sì le faccia cuocere in due acque, o in tre, e le mangi com pepe e channella e con altre spetie kalde. (i-) Sparagi sono kaldi e humidi, i quali danno acrescimento a la sperma, le reni riscaldano e a lo stomaco non sono konvenevoli, ançi fanno alcuna volta nauscha, cioè volglia di reddere. Rubea, o ubea, sono fredde e grosse e generano flemma, e 'l crudo, il quale di loro à rroseza, è reo. Il molto mangiare di loro genera colica, cioè dolore di fiancho, e non sono da manichare sança kaldi condimenti. (+i) I funghi sono di molte maniere, e dovete sapere k'elli sono freddi e humidi nel terzo grado. E sonne ancora di quelli che ssono freddi e humidi nel quarto, ke strangolano e avelenano e uccidono li homini subitamente. E intendete, secondo ke dicono li autori di fisicha, k'elli sono d'altri funghi ke non sono né micha sì rei, avengna k'elli sieno tucti da ridottare per lo grande perillio ke v'è, ke quelli ke di loro sono buoni sì generano nel corpo flemma viscosa. E tucti sono ingenerati di malvagi e puçolenti fummi ke de l'altra nascono, ké quelli ke mellio valliono sì ingenerano nel corpo grossi omori e viscosi. E sappiate ke la malitia k'elli ànno, sì la tragono del luogo dov'elli sono nati. E perciò sì è buona cosa a conoscerli e di sapere k'elli sieno nati in buon luogo, e sì vi aprenderemo a conoscere quelli che ssono mortali. Quelli ke sono mortali sì sono molli e grossi e viscosi e nascono in malvagi luoghi, e quando huomo li parte per mezo e li lascia um pocho dimorare all'aria, sì lli truova l'uomo tutti verminosi. E perciò ke molte genti non si ne prendono guardia, sì vi insegneremo kome voi li dovete mangiare per loro malitia amendare, con tutto ch'elli sieno tutti rei. Ma l'huomo li de' mangiare in tale maniera. Primieramente li de' huomo kuocere in kalamento, origamo, cannella e pepe, e poi quella acqua gittare e farli cuocere in un'altra. E allora si deono mangiare con pepe, gengiovo, carvi, kalamento (cioè nipitella), kannella e con altre somillianti spetie, e debbono bere buono vino apresso. E que' ke ssono di fredda natura k'elli ànno mangiati, sì usino dop'essi lattovari, sì come zenzeverata, diecimino, diacethon, diatheion piperon ke queste cose sono buone per lor malitia amendare. (i-) Alcarsof kalde sono, le quali, aitando l'apetitiva, cioè la vollia del mangiare, danno acrescimento a la sperma, provochano l'orina e sono expulsiva, cioè mandano fuori, e tolgono il puço del sudore, quando di loro si prende grande quantità, e riscaldano le reni. Gosie sono fredde e humide, le quali sono prociane a' tuberi, ma meno sono fredde e milliori di loro. Fesiche sono fredde e humide, le quali sono vicine e prociane a gosie. Cantar è caldo et emfiativo, il quale, acrescendo la sperma, fa nauscha e dolore di capo, cioè vollia di reddere. Sahara è calda e seccha e diseccha lo stomaco e 'l fegato. Cuscute, essendo temperata e seccha, fa lo stomaco e 'l feghato robusti e forti. Talea è freda e seccha, la quale, faccendo lo stomacho robusto, diseccha, e l'ebollitione del sangue riprieme e menoma. Sicile, o sicle, sono kalde, et essendo ree a lo stomacho fanno uscire e la flemma talliano. Firfir, o flosyr, essendo freddo, tollie la sete. (+i) Porcellana sì è fredda nel terzo grado e humida nel secondo. E vale di sua natura per malatia rimuovere più ke per nodrire, ke ella vale a coloro ke ànno la vescicha, le reni e lo stomacho caldo; (i-) sete e adustione spengnendo, il ventre strigne e la congelatione e l'allegamento de' denti tollie. E a coloro ke ànno superfluità di collera rossa, e a coloro ke ànno fluxo e menagione di ventre per cagione di collera rossa giova, e la sperma menoma. (+i) E ristrigne il sangue da qualunque parte k'elli vengna; e ki nne fa empiastro a la testa, per dolore ke per kaldo aviene, sì 'l mitigha. (i-) Atrebici sono freddi e humidi, i quali mollificano il ventre e molto nodriscono, onde all'iterici e a koloro ke ànno il feghato rischaldato sono buoni e hutili a usare. Litri, overo bliti, si truovano più chaldi ke lli atriplici, ma meno sono humidi. La malva si truova vicina alli atreplici, ma è più lieve cibo di loro, (+i) e tiensi a natura di bietole, e secondo Galieno è temperata, e vale più a malatie rimuovere ke a nodrimento donare, ké di sua natura matura apostemi. E ki bee il sugo kol vino, sì purgha le reni di pietra e di grossi homori, ma usarla per nodrimento donare sì tollie l'apetito del mangiare e fae abominatione e la forcella emfiare. (i-) (+i) Spinaci sono freddi e humidi ne la fine del primo grado e sono temperati, i quali a la gola e al polmone, e ancora a lo stomacho e al feghato, sono buoni e convenevoli, e muovono il ventre. Il cui nodrimento è buono e optimo e valliono mellio a nodrire ke li atreplici. E sono buoni a usare a coloro ke ànno il petto seccho e il polmone caldo e ke ànno tossa di calda natura e di caldi homori, k'ànno lo stomaco kaldo e ànno sete. (i-) (+i) Bietole amolliscono il ventre percioe ke ssono fredde e humide, e valliono a usare a coloro ke ssono di calda natura e di caldi omori, e tengosi a natura di spinaci e più amollano il ventre. (i-) (+i) Borrana sì è calda e humida nel primo grado, e di sua natura fa l'uhomo lieto, perciò ke 'l sangue ke nn'è ingenerato sì è caldo e temperato, e conforta il corpo, e spetialmente quando huomo bee il suo sugo col buon vino, e vale a tucte malatie che al cuore possono avenire, et è di sua natura più convenevole a natura d'huomo ke erba che l'huomo possa trovare. (i-) La coregiuola è kalda, la quale, essendo rea a lo stomacho, fa menagione di ventre e fae abominatione e angoscia. (+i) Çucche sono fredde e humide nel secondo grado; la quale, essendo rea a lo stomacho, l'apetito distruge e la sete mitigha, la quale strigne il ventre e lo stomaco fa aspro, e la collera rossa e la sete spengne, e perciò vale mellio a usare ai sanguigni e ai collerichi ke ssono di calda natura ke a coloro ke sson di fredda; e di state è milliore ke di verno, k'elle rafredano il calore del fegato e de la forcella, e amorta il calore ke di state si può generare. E valliono mellio a calde malatie rimuovere ke al korpo nodrire, e spetialmente l'acqua de la zuccha, e si ne può trare in questo modo: prendete la çuccha e fatela radere e imbiutare di pasta molle, e poi apresso farla cuocere al forno in una teghia e, quando sarà cotta, si creperà la crosta; allora la traete del forno e talliatela e gittate via la crosta e premetela, e dell'aqua ke n'uscirà sì fate sciroppo, e datolo sempicemente com um pocho di zuchero a coloro k'ànno kalde malatie, ké ssopra tucte cose à virtù di rafreddare il grande kalore de la febre e di spegnere la sete. E se non ne fate sciroppo, date l'acqua sempice kol zuchero. (i-) L'acetosa è fredda e seccha, la quale stringne il ventre e lo stomacho fa aspro e la colera rossa e la sete spengne. (+i) Aneto sì è kaldo e seccho in secondo grado e 'l suo seme spetialmente si conviene a la medicina, perciò ke 'l seme suo mondifica il ventre de la putrefatione delli omori e à propietade di spengnere il singhiozo, ma non è a mangiare konvenevole a lo stomaco, e fa abominatione. (i-) E 'l lacte acresce e 'l ventre muove. Il rafano sì è kaldo e grosso, cioè di grossa substantia, il quale, facendo ne lo stomaco lungha dimorança, il flemma tallia, e 'l cibo lieva a la boccha de lo stomacho, e conmuove vomito e fa reddere; le cui follie il cibo digerono e aiutano l'appetito, quando di loro si pillia pocho. (+i) E bere il suo seme vale molto a morso di velenosa bestia. (i-) Keneyviri fa menagione del ventre e fa oppilatione del fegato e de la milza. (+i) Enula, cioè ella, sì è calda in secondo grado e di sua natura ingenera buon sangue et è buona a coloro k'ànno pieno lo stomaco di molti omori, (i-) e apre l'opilationi del fegato e de la milza. E ki di lei manucha grande quantità avrae, corruptione del sangue e menomeràgli la sperma. Garus è caldo e seccho e fae sete, ma tuttavia purgha lo stomaco de la flemma e giova e fa bene al reo odore de la boccha. Assanetu è kaldo e secco, il quale, faccendo sete e radendo lo stomacho, sì 'l purga di grossa flemma. E 'l sangue di colui che ll'usa si corrompe, e del suo usare e manichare scabbia e simillianti infertadi a llei si generano. Robdie sono kaldi, i quali, faccendo apetito di manicare, generano sete e lo stomaco nettano e stimolano di mandare fuori la sperma. Simiechet kaldi sono, i quali, radendo l'omore de lo stomaco, fanno sete. Cappari salimura condita è kalda e seccha, la quale è rea a lo stomacho, e fa sete, e 'l corpo fae dimagrare. Amiden condito col sale è molto kaldo e fa dolore di capo, e a lo stomacho ripieno di molti homori e a colui la cui digestiva è molto diversa fae aiuto e giova. L'aneto condito col sale è kaldo, il quale è convenevole a colui ke vuole redere, e quando si manucha dopo 'l cibo si nuoce. Universalmente la virtù di tutti questi ke ssono konditi col sale, la virtude è sì come la virtù di coloro de' quali elli si fanno. Le quali, poscia, per lo sale e per la putrefatione aquistano un'altra natura seconda, ne la quale sono superflua caldeza, e superflua seccheza, e acuitade, e aguçamento. E tucte quelle cose ke co l'aceto si condiscono aquistano da llui molta subtilità, e 'l fegato raffredano. E 'l capparis, la quale si conde co l'aceto, è meno kalda ke quella ke ssi condissce salimura, e a l'opilatione del fegato e de la milza è convenevole e buona. Le cipolle che ssono ko l'aceto condite non riscaldano e non rafreddano e non fanno sete, ma l'appetito aiutano e confortano. Cedroni e cochomeri conditi coll'aceto molto raffredano e con questo sono sottili. E tucte le cose condite con l'aceto e co la salmuria, cioè un savore, nocciono a coloro ke ànno aspreza ne la gola. E ancora quelle cose che ssono condite con la salmurra si truovano nocive a color ai quali aviene scabbia e piççicore e sahapha, e a coloro ai quali solliono avenire infertadi somillianti a quelle le quali si generino d'adustione e 'mbrasciamento del sangue e de la sua corruptione. La senape è fortemente caldo e acuto e pugnente, la quale rade e lava la flemma, e lo stomaco e 'l fegato riscalda, e non è da manicare spesse volte, (+i) perciò k'ella è kalda e seccha in quarto grado, (i-) e non si de' mangiare se no si mescola con cibi e nudrimenti molto grossi. (+i) E di sua natura sia disecchare i grossi homori e humidi de la testa e de lo stomaco, e spetialmente a quelli ke ll'ànno freddo. Ma ella è rea a usare di state a coloro ke ànno la complexione kalda e seccha. E dovete sapere ke 'l suo kalore apicola, quand'ella è distemperata con aceto. E s'ella è distemperata kon vino novello sì è meno seccha et è amabile a lo stomacho per la dolceza del vino novello. (i-) Le rape condite coll'aceto sono fredde, le quali, avengna k'elle non faciano infiamento, spengono la collera rossa. L'ulive de l'acqua kalde sono e secche, le quali, se ssi manucano dinançi al cibo, fanno uscire e fanno la boccha dello stomaco robusta e forte. L'ulive dell'olio sono più calde, le quali fanno la boccha de lo stomaco meno robusta e meno forte, e 'l ventre fanno meno uscire. Seragar condita koll'aceto riscalda e la digestione aiuta. I bruncoli, i quali non sono salati, um poco riscaldano ' essendo emfiativi acreschono la sperma. E quelli che ssono salati più rischaldano e fanno sete, e sono di reo nodrimento, e 'l sangue arostiscono e riardono. E la salsa, la quale si fa d'aceto e charvi, il cibo digere e cuoce e non riscalda molto. E quella che ssi fa d'allio e di senape, ne la quale non si pone aceto, è caldissima, e quella ne la quale si pone il siero del latte acetoso riprieme il loro kalore. Phezneregegi è kalda e l'omore il qual si fa di lei è reo, il quale i nerbi impedimentisce e fae emfiatione.
L. III, cap. 16 rubr.Capitolo .xvj. De la propietà de' frutti e pomi e prima de' dateri.
L. III, cap. 16Datteri kaldi sono e danno molto nodrimento, i quali, se ne' manichari s'usino molto di pilliarne, dentro generano il sangue grosso, e i denti corrompono, e 'l sangue e la flemma fanno acrescere, e 'l cibo fanno tosto de lo stomacho discendere, e mandano fuori del ventre se ssi manucano dinançi al cibo. Rotab, o ratab, sono una maniera di datteri ke ssono sança noccioli e sono meno kaldi che i datteri, i quali essendo lenitivi, cioè ke puliscano, lo stomacho rettifichano. (+i) Datteri sono kaldi e humidi nel secondo grado e loro natura si diversificha secondo i paesi ov'elli nascono: ké certi sono ke nascono in paese kaldo, e altri sono ke nascono in paese freddo, e altri sono ke nascono in temperati. Quelli che nascono in chaldo paese sì sono più caldi e viscosi e più dolci, ma elli nodriscono meno e si cuocono più tosto a lo stomaco, e ànno natura d'amollare il ventre, e d'aprire le vie, e ingrossare il fegato e la milza. Quelli ke nnascono in terra fredda sì ssono più secchi e meno viscosi e mellio nodriscono e più dimorano a la forcella. Quelli ke ssono nati in terra temperata sì ssi tengono a la natura delli uni e delli altri. (i-) L'uve molto dolci sono kalde, ma di minore kaldeza sono ke non sono i datteri e non fanno oppilatione sì come i datteri, ma elle emfiano il ventre e tosto ingrassano e fanno dirizare la vergha de l'huomo. E quelle le quali ànno la scorza sottile più tosto discendono e meno enfiano, e quelle ke ssono contrarie a queste fanno contrarie operationi. Ma quelle ne le quali àe acetositade non riscaldano, ançi, coll'acqua fredda lavate e dinançi al cibo mangiate, spengono quasi il calore. E l'acerbe uve sono fredde, le quali il ventre stringono e la collera rossa e 'l sangue ripriemono e atutano e mitigano. E l'uve passe sono temperate in caldeza, le quali bene nodriscono e oppilacione non fanno sì chome i dacteri, advegna ch'egli più fortemente e più nodriscano. (+i) I fichi sono di diverse maniere: verdi e secchi. I verdi sono kaldi e humidi di loro natura, e fanno il ventre emfiare e ingenerano grossi homori, e fanno bene andare a camera e spetialmente quando la scorça n'è levata; e per lo poco dimorare k'elli fanno nel ventre, sì nodriscono poko, ma elli non ne donano sì pocho k'elli no ne donino più ke neun altri fructi. E secondo la 'ntentione di Galieno, quelli ke ssono verdi sì sono rei a lo stomaco, ma elli sono buoni per distoppare e aprire le vie de la milça e del feghato e de le reni. Fichi secchi sono kaldi e secchi nel primo grado e di loro natura scaldano, e danno sete, e danno assai nodrimento, e sono convenevoli a lo stomaco, e non emfiano la forcella sì come fanno i verdi. E se ciò è ke lo stomaco sia pieno di grossi omori o di grosse vivande e di ree allora non sono buoni a usare, perciò k'elli ingenerano allora ventositade e ingenerano polso più k'altra volta, avegna ke per lo lungo usare abbiano tuctavia grande abondança di polso. Ma chi li mangia quando lo stomaco non è pieno di mali omori, sì ingenerano sangue buono, e purgano i mali omori del corpo, e fanno bene orinare, e purgano il petto, e allargano le vie del polmone. E perciò ke l'huomo non è sança ventosità, sì dee usare dop'essi anici, gengiovo, seme di finocchio e altre cose per la ventosità levare. Il molto uso de' sechi fae e crea piççicore e vermi e 'l ventre muovono usandoli ançi cibo. E ki vuole ke i fichi ingenerino buono sangue sì li mangi kon noci o kon mandorle. E valliono mellio a mangiare ançi mangiare ke dipo mangiare, e kome ke huomo li usi sono più convenevoli a natura d'uomo ke neuno altro fructo. (i-) Fumez sono caldi, i quali, essendo rei a lo stomaco, fanno nauscha e abominatione, ma di più sottile natura sono ke i fichi e più tosto discendono. Musa è kalda, la quale, conciosiacosak'ella sia rea a lo stomaco, fa fastidio e si convertisce in collera rossa, e tollie l'apetito del mangiare, e il ventre muove, e rimuove e lieva l'asperità de la gola. (+i) Cannamele è kaldo e humido in primo grado e sì è molto convenevole a natura d'uhomo a usare, ké di sua natura pulisce la gola e provocha l'orina, cioè fa bene orinare. E ancora lieva l'ardore, il quale si sente ne l'orinare, e fae rimedio a la tossa, e purga le reni e la vescicha, e amolla il ventre, e allargha il petto e il polmone. Ma ki ne mangia troppo, sì emfia il ventre, e tura le vie per la grande atrattione ke i membri ne fanno, e purga lo stomacho per vomire apresso quando huomo n'à preso assai prendendo acqua chalda. E 'l çuchero ke ssi fa del cannamele sì si tiene a quella natura. (i-) (+i) Melegrane sì ssono di diversa maniera, sì come dolci e afre. Le dolci non sono sì fredde come l'afre, e di loro natura non rafreddano ma sono emfiative, e fanno sete, e la gola fanno pulita sanza asprezza. L'afre, overo acetose, sono più fredde e valliono a coloro k'ànno lo stomaco caldo e il fegato scaldato, e ke ànno febre di collera kalda e rossa, e vomiscono legiermente, e fanno aspreza di petto, e vagliono insomma mellio per malatie rimuovere che per santade guardare. (i-) (+i) Mele cotongne sono di diverse maniere: dolci e acetose. Le dolci sono fredde e secche, ma non sono sì fredde né sì secche come l'afre. E intendete ke tutte maniere di mele cotongne afre o dolci fanno lo stomaco forte e confortallo, e donano apetito di mangiare, avengna ke l'acetose sieno più forti, acciò la cui propietade è di costrignere il ventre. E se queste dipo 'l cibo si manuchano, tutto questo no llasciano avenire, ké ss'elle sono mangiate dinançi cibo si ristringono e dopo cibo si allargano. E quelle che ssono più acetose nel costrignimento sono più forti. (i-) (+i) Pere sono fredde nel primo grado e secche nel secondo. E intendete di quelle ke ssono mature ke dell'altre no. E sappiate ke tucte pere ristringono il ventre dinançi mangiare e dopo mangiare tosto fanno uscire lo sterco, perciò ch'elle sono pesanti, sì fanno la vivanda avallare, dipo la cui 'spulsione e mandamento fuori è la loro propietade di costrignere il ventre. E valliono mellio a usare per malatie rimuovere ke per santade guardare, ké in santà guardare non fanno pro, se non per grosse vivande avallare. E quelle ke l'huomo dee usare sono quelle ke ànno la scorza tenera e ke non sono né troppo grosse né troppo picole, e ke ànno colore mischiato di verde e di giallo, e che al savore sono dolci in maniera di zuchero. Cotali sono le pere ke l'huomo dee usare, ma perciò k'elli ne sono di diverse maniere, sappiate ke tucte maniere di pere, generalmente sono ree a digiuno e non valliono in santà guardare se non usandole dopo mangiare da ssezo a la vivanda. (i-) E le pere de' semi, avengna k'elle sieno di minore nodrimento, nel costrignimento del ventre sono più forti e più atutano la sete. (+i) Le sorbe sono fredde e secche e di loro natura confortano, e ristringono il ventre, e spengono e atutano la collera rossa, e valliono molto a quelli ke vomischono per boccha e ke ànno menagione, ma il loro nodrimento sì è piccolo e malvagio. (i-) Naubach, ciò sono uve d'abrostini, fredde sono e secche, le quali stringono il ventre e la collera rossa repriemono e spengono. E quelle ke di loro sono più dolci, a queste cose sono più deboli. (+i) More sono di due maniere, sì come mature e verdi. Quelle ke ssono mature e dolci sì sono kalde e humide, e ànno natura d'amollire il ventre e di fare orinare, e non sono convenevoli a lo stomaco, ançi vi fanno fastidio e affiebolisconlo e tolgono il talento di mangiare. E se l'huomo le 'mprende quando la forcella è piena, sì ssi corrompono e ingenerano malvagi omori e fanno lo stomaco enfiare e la testa dolere. Ma s'elle sono mangiate a digiuno e sono rafredate ne l'acqua frescha, sì tolgono la sete e raffreddano la forcella e il fegato. E perciò ki le vuole usare, sì le dee prendere a digiuno e non dopo mangiare. Quelle ke sono verdi e non mature sì ssono fredde e secche e di lor natura confortano lo stomacho, e raffreddano, e donano talento di mangiare, e valliono più per malatia rimuovere ke per santà guardare, ké 'l vino di tali more vale a gargarizare a dolore di gola ke viene di caldo, e vale ad menagione di collera e di caldi homori sì la ristrigne. E la radice del moro cotta in acqua sì amolla il ventre e fae bene andare a kamera. Le foglie cotte in aqua, e quella acqua tenere in boccha, sì conforta i denti e le gengie e rimuove il calore, e a quella medesima natura si tengono quelle de' pruni. (i-) (+i) Mele di loro natura sono fredde e humide, e intendete di quelle ke ssono mature e ke ànno poco di savore. E tucte mele diversifichano loro natura diversamente, e diversamente adoperano nel corpo de l'huomo secondo il tempo ke l'huomo le mangia, ké ki le mangia verdi e ànno agro savore, sì confortano lo stomacho e valliono a usare a coloro ke ànno la forcella calda, per la natura del vino, cioè del loro sugho; ma per la natura de la substantia, sì ingenerano homori flematichi e puçolenti, onde febbri si possono ingenerare e dolore di fiancho. Quelle che l'huomo mangia mature sì raffreddano la forcella e ingenerano sangue freddo e aguto, e lunghamente usarle sì fae venire dolore di nerbi, e spetialmente usarle di verno. Ma elle sono buone a usare a quelli k'ànno bevuto troppo vino puro, ké elle avallano le vivande e i fumi del vino ke 'l cerebro potrebbero empiere e fare l'uhomo ebbro. (i-) (+i) Le prune, ciò sono le susine, sono di loro natura fredde e humide: fredde nel cominciamento del secondo grado e humide ne la fine del terzo, le quali, avengna k'elle muovono il ventre, la collera rossa ripriemono e spengono, et tolgono l'apetito. (i-) (+i) Ma voi dovete sapere ke elli ne sono di diverse maniere, sì come bianche e nere, citrine, grosse e piccole. Le bianche e le grosse sì fanno male a lo stomacho e donano menagione e pocho nodrimento. E queste prune non dee homo mangiare s'elle non sono ben mature. Le nere sì ssono di diverse maniere o elle sono salvatiche o elle sono dimestiche. Le dimestiche sono ancora di tre maniere sì come bene mature, verdi, e in quel mezo né verdi né mature. Le nere mature sì ssono meno fredde e più humide de l'altre e di loro natura sì amollano il ventre e lo stomacho, e le dee homo usare a digiuno per purgare la collera, ma elle gravano molto a la forcella e la travalliano, ma elle sono più frede e meno humide dell'altre e di loro natura amolliscono. Le verdi dure e afre sì ssono ree per nodrire, ke elle travalliano la forcella e l'agravano e ingenerano vermini, ma elle sono più frede e meno humide de l'altre, e ristringono il ventre, e donano apetito di mangiare. E sono altre maniere di prune che amollano il ventre, sì come dice Galieno. Altre sono, sì come Diascorides, ke dicono ke ristringono. Per sapere ki disse melliore sperimento, si giudicha intra questi due le salvage, ke di loro natura ristringono o picole o grosse k'elle sieno, ma per santà guardare sono tutte malvage. (i-) (+i) Pesche sono fredde e humide. Fredde sono ne la fine del primo grado e humide ne la fine del primo, (i-) e sono di grosso nodrimento, le quali, avegna k'elle sieno buone a lo stomaco troppo caldo, kom pena discendono e con dureza de lo stomacho, e com pena e con dureza si convertiscono in sangue. E ki ll'userà di manichare kadrà in febbri flematike (+i) ke di lor natura sì ingenerano flemma e amollano il ventre, spetialmente quelle ke ssono ben mature e donano appetito di mangiare, ma konviene k'elle sieno mangiate a digiuno e bevuto buon vino dop'esse; ké ki le mangiasse dopo mangiare, sì ssi corrompono e ingenerano mali homori e fanno malvagia alena e putente. Ma elle donano molto mal nodrimento e dimorano molto a la forcella. E quelle ke ssono grosse, e pilose, e rossette, e tengonsi al nocciolo de nero, sì ingenerano più grossi homori e più viscosi ke le piccole. E 'l sugo de le fogle bevuto vale contra i vermini, e spetialmente le follie poste sopra 'l bellico a modo d'impiastro. (i-) (+i) Grisomole sono piccole peschette ke noi kiamiamo humiliache. E sono fredde e humide nel secondo grado, le quali mature muovono il ventre et emfiano, e ripriemono la collera rossa, e lo stomacho indeboliscono spegnendo il suo calore. E ki spesse volte l'userà nel sequente tempo avrà febre. E per brievemente parlare, elle sono tucte malvagie, avengna k'elle si tengano a la natura de le pesche. E se usare le conviene per loro maliçia schifare, sì ssi convengono mangiare a digiuno e bere buono vino, e mangiare anici e altre somillianti cose per loro malitia amendare. (i-) Ribes sì è fiore di salce di fiume korrente, è fredda, la quale il ventre strigne e la collera rossa e 'l sangue spegne. (+i) Melloni sono freddi e humidi in secondo grado. Melloni dolci si convertiscono in collera rossa e li altri tolgono la sete e ànno a humentare. Il seme de' melloni provocha orina e mondificha la vescicha da la renella e da pietra. E s'alcuno userà molto di manicare i melloni, averàgli il male del fiancho. (i-) Cochomeri e cederni sono fredi, i quali tolgono la sete, e lo stomaco raffreddano, e l'orina provocano. (+i) Cocomeri sono freddi e humidi nel secondo grado, e sono grossi e duri per kuocere ne la forcella, e di loro natura sì fanno mal stomaco e tolgono talento di mangiare. Ma quando dopo mangiare sono mangiati, sì tengono cruda la vivanda e nolla lasciano cuocere. Ma impertanto elli sono meno rei a lo stomaco ke i melloni, ké i melloni sono di più malvagia natura ke i chocomeri, avengna ke quando elli si cuocono bene a la forcella valliono mellio ke i cocomeri ké, ssì come disse Ypocras, i cocomeri ingenerano più grossi homori ke i melloni e fanno più orinare e amollare il ventre. I cedriuoli sono più freddi ke i melloni, ché elli sono freddi ne la fine del secondo grado, e di loro natura sì sono più grossi e più viscosi ke i cocomeri, e percioe sì ingenerano flemma. E se elli non si cocessero a lo stomaco, sì ssi convertono a natura di rei omori, e ingenerano ventosità, e gravano più lo stomacho ke i melloni o ke i cocomeri, e perciò non sono buoni a usare se non a coloro ke ànno lo stomacho forte e kaldo. Cederno. Pome citrino, ciò sono cederni, sì ànno diversa natura, perciò ke elli sono di quatro cose diverse fatti, sì come de la scorça, cioè buccia, la quale è kalda nel primo grado e seccha nel secondo. E ki la mangia sì non si kuoce né mica bene a lo stomaco, perciò k'ella è amara um poco et è di buono odore, a lo stomaco sì konforta, e dona apetito di mangiare e fa buona alena di boccha. E ki 'l prende kontra veleno com buono vino puro sì distruge il veleno, sì come disse Diascorides. E ancora sì vale incontra lo snaturato apetito de le femine ke ssono incinte ke mangiano karboni e altre male cose. E ancora ki prende la scorça e la tiene tra le robe, tra ' panni, sì li guarda da coruptione e da tignuole. E con quella medesima scorça stropiciare i denti la mattina sì conforta le gengie e fa buono odore di boccha. La seconda cosa sì è il bianco ke à presso la scorça k'è freddo e humido nel primo grado e di sua natura raffredda lo stomacho, ma ella non si cuoce bene, e ki la vuole usare si conviene k'elli sia mangiato dinançi a tucte vivande. E vale mellio a usare di state ke di verno e si dee mangiare kol mèle o kon çukero. La terça cosa sì è la midolla k'è acquidosa, la quale è fredda e humida nel secondo grado, e usarla per nodrimento dare non fa prode, ma ella vale per lo calore del fegato e de lo stomaco rimuovere, e leva l'amaritudine de la boccha ke l'huomo sente la mattina di state, e dona talento di mangiare e tolle la sete, e ancora sì tolle le litigini e altre ordure ke possono avenire nel viso. E ciò potete provare per questo spermento: prendete sugho di questa midolla e stroppiciatene la roba che ssia nera d'inchiostro, e le mani che sono tinte di scorçe e malli di noci verdi sì le netta e le fae rivenire il loro primo colore. La quarta cosa sì come le granella sue ke ssono kalde e secche nel primo grado e non valliono nulla per mangiare, ma elle valliono stemperate col vino contra veleno, e fa buona alena, e conforta lo stomaco a cuocere la vivanda. La follia de l'arbero ke tale pome porta si tiene a la natura de la scorça. Fraole sono calde e humide temperatamente, ma elle si tengono più in freddura ke in calore e di loro natura, quando elle sono bene mature, sì amollano il ventre, ma s'elle sono verdi, sì ristringono. E sappiate k'elle nodriscono pocho e dimorano poco ne la forcella, e conviene ki usare le vuole ke l'huomo le mangi a digiuno, ké ki le mangia dopo mangiare, sì ssi corrompono e si ingenerano rei e malvagi homori nel corpo de l'huomo. (i-) Le ghiandi sono fredde e secche, le quali costringono il ventre (+i) e non donano nodrimento al corpo de l'huomo. (i-) (+i) Le corniuole sono fredde e secche, ma quando elle sono bene mature sì confortano lo stomaco, e donano apetito di mangiare, e valliono molto a quelli ke vomiscono, e ma ingenerano malvagi omori e poco nodriscono. (i-) (+i) Ginepere sono chalde e secche nel secondo grado, e secche nel cominciamento del terzo, e valliono mellio per malatie rimuovere ke per lo corpo nodrire, ké di loro natura nodriscono pocho, ma elle confortano lo stomacho e ristringono il ventre, e fanno buon alenare di boccha, e fanno il sudore ke pute odorare soave da tucte parti del corpo. E ki sse ne fae lavare la testa, sì la scalda e ristrigne la rema ke viene per freddura. (i-) (+i) Noci sì ssono di due maniere: verdi e secche. Le verdi sì ssono kalde nel terço grado e secche nel cominciamento del secondo. Ma s'elle si cuocono, sì nodriscono molto, e no le dee usare se non colui ch'à la forcella calda, k'elle si convertono legiermente in kaldi omori secondo Avicenna; ma Ysaac dice k'elle valliono mellio a quelli che ssono de lo stomaco temperati intra caldi e freddi humidi, e tanto kom'elle sono più vecchie, tanto valliono meno per nodrire. E tanto kom'elle si tengono più a verdi valliono mellio ke le verdi, non sono né micha sì ree a la forcella, ançi nodriscono bene e donano apetito di mangiare; e s'elle sono mangiate con sale sono meno kalde e meno secche de le vechie. E intendete ke tucte maniere di noci sono triacha, ki ll'usa contra tutte maniere di veleno e spetialmente ki pesta le noci col sale e co la cipolla, e fanne impiastro e póllo sopra il morso del cane rabbioso e d'altre bestie velenose. E sappiate ke ll'olio sì è molto caldo e non è buono a usare come quello dell'ulive, k'elli si tiene tuctavia a la natura de le noci ond'elli è facto, le noci sono kalde, le vecchie, le quali fanno vescike ne la bocha e rischaldano. (i-) (+i) Nocelle sì ssono più fredde e più secche ke le noci e di loro natura sì nodriscono più ke le noci. Ma elle sono più grosse e più pesanti e dimorano più a la forcella; e ki ll'usa, sì ingenerano ventosità, e spetialmente ki le mangia co la scorza. E valliono molto peste col mèle a coloro ke ssono malati di vechia tossa. E valliono ancor a ki le mangia contra tutte maniere di veleno, e arostite ristringono il ventre, se a digiuno sono mangiate. (i-) (+i) Chastangne sono calde nel primo grado e secche nel secondo e fanno di lor natura ventosità e dolere la testa per la flemma ke ssi diparte da lo stomaco de la gran dimoranza k'elle vi fanno. Ma quando la forcella è forte k'elle si cuocano bene, sì nodriscono molto il ventre s'elle sono mangiate a digiuno e apresso la mollano. E ki le fa cuocere im brascia o in acqua, sì amendano lor malitia, ma elle ànno loro virtù di più forte restrignere il ventre. A malatie rimuovere sono buone perciò k'elle donano apetito di mangiare, e ristringono il vomire s'elle sono a digiuno mangiate. E ancora contra i morsi di chani rabiosi ki le prende e fa mischiare col sale e col mèle, e fanne impiastro, e pòllevi sopra, sì vallion molto. (i-) (+i) Mandorle sono di due maniere: dolci e amare. Le dolci sono chalde temperatamente nel primo grado e di loro natura nodriscono a maniera di noci, ma le noci si cuocono più legiermente e si convertono più tosto in omori collerici ke non fanno le mandorle. Le mandorle sono pesanti a lo stomaco e sì vi dimorano molto, ma non fanno tanto di male come le noci, e s'elle sono mangiate verdi con tucta la scorça, sì confortano le gengie. E quando elle sono mature, quando la scorça si comincia a maturare e a indurare, sì valliono mellio a usare a coloro ke ànno la forcella calda e ke ssono malati di febri, con tucto k'elle nodriscano poco. Ma ciò k'elle nodriscono è buono e lacte ke nn'è facto e l'olio è più legiere ke non sono le mandorle. Le mandorle dolci fanno lenità e pulimento ne la gola e tolgono l'aspreza, ma tuctavia elle sono gravi e lungamente stanno a lo stomaco, ma elle non solamente fanno opilatione e mangiate col çuchero sì acrescono la sperma. (i-) I fistici sono più chaldi ke le mandorle e aprono l'oppilatione del fegato. E l'avellane sono meno kalde de le noci, sì come avemo detto, e prestano ancora benificio a coloro ke ssono puncti da scarpioni. Naragil sono le noci d'India e sono calde, le quali la sperma acrescono e le reni riscaldano e quelle parti ke ssono intorn'a loro. Taro ortolana nasce in Gerusalem et è calda, la quale dà acrescimento a la sperma, e riscalda le reni, e l'ingrassa, e provoca i mestrui. Faffasa grana son calde, le quali la sperma acreschono e 'l corpo ingrassano. (+i) Il fructo del pino. Sono kalde ne la fine del secondo grado e secche nel cominciamento e sonne di due maniere, piccole e grandi. Le picchole sono più kalde e più secche de le grosse e di loro natura le grosse e le piccole, se l'huomo le fa dimorare ne l'acqua kalda, sì s'aprono, e di lor natura monde sì valliono a coloro k'ànno tossa e caricato il petto di grossi e di mali omori, e peste con seme di çucche distruge l'arsura e 'l dolore de le reni e de la vescicha ke per orinare aviene, e ingrassano e danno talento d'usare con femina, e giova a coloro k'ànno triemito in alcuna parte del corpo. (i-) (+i) Nespole sono fredde e secche nel primo grado e di lor natura confortano lo stomaco e ristringono il vomire e menagione ke viene per caldi homori, e fanno bene orinare e valliono più per malatie rimuovere ke per nodrire il corpo, perciò k'elle nodriscono pocho e ingenerano grossi homori. E ki le vuole usare sì le dee usare a digiuno, ké allora confortano più lo stomaco e danno appetito di mangiare. (i-) Kicil sono kalde, le quali acrescono la sperma e fanno dolere il capo. Grana çelanus, o zelen, sono kalde e acrescono la sperma. Il seme de la canape è kaldo, il quale fa fastidio e ne la boccha genera mal odore, e lo stomaco mollificha, e 'l ventre liniendo muove. Il seme del papavero biancho è freddo, il quale è buono a la gola e al petto e fa sonno e talento di dormire. Geboan, o gebran, sono fredde e secche, le quali il ventre stringono e 'l vomito ritengnono. Iuiube sono temperate in caldeza e sono buone al petto e a la gola e l'acuità e 'l bollore del sangue e la sua sottillieza spengono um pocho. Silique, le quali nascono in terra gesorolimitana, ànno temperato calore e 'l ventre stringono. E quelle ke nascono nell'altre terre sono più forti a constrignere il ventre e non è i· lloro caldeza. Lutun da mangiare è freddo, il quale fae la bocca de lo stomaco robusto e forte, e tollie il fastidio ke ssi fa dipo mangiare, e ne la boccha fa buono odore. E ki di lui a digiuno mangerà grande quantità, avrà oppilatione del fegato e corruptione di sua complexione. Il luto pulito e leve è caldo, il quale fa nel fegato oppilatione, e la milça ingrossa, e distrugge l'appetito e guasta, e fae lo stomaco lordo. I penniti sono caldi, i quali leniscono la gola e 'l ventre e la vescicha e riscaldano in quelle parti ke ssono intorno alle reni. (+i) Il mèle sì è kaldo e secco nel secondo grado di sua natura, sì diparte e purgha i malvagi homori ke ssono dentro il corpo, e perciò sì vale mellio a coloro ke ssono di fredda natura e d'umida, sì come ai vecchi e a quelli che ssono flemmatichi, ké sse quelli che ssono di chalda natura l'usano, non è lor sì convenevole, perciò ke lli scalda e non dona punto di nodrimento. E sappiate ke 'l mèle si diversificha secondo la diversità del tempo ke ll'api, ke 'l fanno diversamente, si nodriscono. E sappiate ke 'l mèle è di tre maniere sì come quello de la primavera e de l'autunno e del verno; e quello k'è fatto ne la primavera sì è quello ke mellio vale; e quello k'è facto ne l'autunno è malvagio, e quello del verno è più malvagio assai. E non solamente la diversità del tempo diversifica la natura del mèle, ma i fiori onde l'api sono nodrite, ké quelle ke sono nodriti di fiori di mandorle e d'altri somillianti, sì come di pomieri di meli, di peschi, di ciriegi, sì è più temperato e di milliore savore di tutte altre maniere di mèle; ké voi dovete sapere ke 'l mèle k'è fatto quando elle sono nodrite di fiori d'origamo, di calamento, di thimi, di petimi, d'isapo e d'altre somillianti erbe, non si tengono neente a la natura di quello ke detto avemo, ké quello è più caldo e più seccho e non è sì temperato. E per più brievemente parlare sapiate k'elli si tiene a la natura dond'elli è fatto. Il mèle si convertisce in collera rossa e 'l flemma quasi discorrendo distruge e guasta, il qual è buono ai velliardi e a coloro k'ànno fredda complexione e la state è reo a coloro k'ànno kalda complexione. (i-) Il çuchero lenisce la gola e 'l ventre e non riscalda se nom poco. Tenerabyn è kaldo e 'l ventre muove e la gola lenisce e fa pulita sança asspreçça.
L. III, cap. 17 rubr.Capitolo .xvij. De l'erbe odorifere, overo de' fructi bene odoriferi. Rubrica.
L. III, cap. 17E sabran apartiene a kaldeza, la quale, quando sopr'essa acqua rosata s'arosa o ispruça, sì raffredda e provocha sonno. La maiorana, cioè la persa, è kalda e seccha, la quale fa prode a tucte le fredde infertadi ke ssono nel cerebro. (+i) Serpillo è kaldo e seccho in secondo grado et ènne di due maniere: salvaticho e dimesticho. Il dimestico sparge i rami per terra, il silvestro cresce per lungo e alto, i fiori e le follie sono konvenevoli in medicina, le quali, scaldate in pentola roçça e posto in uno sacchetto sopra 'l capo, vale contra rema fredda del capo. Il vino de la sua dicotione e del sugo de la regolitia vale contra tossa e contra dolore di stomacho per ventosità. Anche la fomentatione dell'acqua de la sua dicotione vale a la stranguria e dissuria, e mondifica la matrice, e riscalda e conforta lo stomaco infredato e il fegato e la milza. (i-) La rosa è fredda e tollie il dolore del capo, il quale viene per caldeza e la crapula tollie, cioè la superflua repletione del cibo e del beveragio, ma ella fae rema e starnutatione. (+i) Le viuole sono fredde e humide e de le viuole verde è facto zucchero violato e facto in quel modo nel quale è facto il rosato. (i-) Le viuole sono fredde e fanno dormire e mitigano il dolore del capo, il qual è fatto per kagione di troppo kaldo. (+i) Le viuole ànno virtude lenitiva, humentativa, rifrigerativa e laxativa e purgano principalmente la collera rossa, onde valliono a la febbre terzana, e contra distemperamento di fegato e iteritia, e contra difetto d'apetito per collera. Anche le viuole poste sopra li apostemi caldi nel cominciamento sono utili, e questo medesimo fa l'erba. E la fomentatione fatta dell'acqua de la dicotione di quella erba sopra i piedi e le tempie e la fronte provocha sonno ne le 'mfermità agute. (i-) Le mortine e il loro arbore sono fredde e secche, le quali fanno i membri forti e robusti quando sopr'essi si ministrano, lavando o impiastrando. Le melerance ànno la scorza calda e sottile, la carne de le quali, avengna k'ella sia temperata, a digerere e a cuocere ne lo stomako è grossa. E 'l loro aceto è freddo e seccho e la collera rossa mitigha e riprieme e spengne. E i loro semi a tucti veleni sono utili e profitabili. Le pomi de la mandragora sono fredde, le quali fanno nel capo gravezza e subbetto, cioè una infertà ne la quale sempre vuole l'uhuomo dormire. E se l'huomo le mangia, sì fanno nausca e abominatione e vomito, e fanno subbeth, e forse uccidono. Neufar è freddo e fa dormire e seda e lieva il dolore del capo. Otheon è calda e fa graveza di capo e fa sibeth. Schaflos è caldo e seccho, il quale fae rimedio a coloro k'ànno il naso oppilato. Geusinum è calda e seccha, la quale a l'opilatione e al dolore del capo per kagione di freddeza o per grossa ventosità pervegnente giova e vale, e 'l cerebro fa robusto e forte. Nesin, o kesyn, o nesryn, è kalda e secca, la quale tollie il dolore del capo tostamente. Narcyscus è kalda e seccha e sottile e fae aiuto al cerebro. Felengemuscoli è kalda e sottile, al tremore del cuore presta e fa rimedio. Floschyles, o flosryles, è fredda e 'l cerebro corrobora e fa forte, e riprieme e atuta e mitigha il fummo kaldo. Keny, o reny, kalde sono e sottili, e propiamente i citrini ànno questo. E ancora ongne herbe, ne l'odore de le quali si sente acuitade e agreza e stimolamento, sì come il fiore de lo sticades arabicho e mentastro, sono calde. L'odore de le quali è dilicato, per lo quale l'animo se seda e mitiga e apacificha e apacia, sì come il fiore del neufar, e 'l fiore del salce, e la rosa, tucte sono fredde.
L. III, cap. 18 rubr.Capitolo .xviij. De la virtù de le spetie odorifere e prima del moscado.
L. III, cap. 18Il moscado è kaldo e seccho, il quale a color ke ssono di calda natura tostamente fa dolore di capo, ma giova molto a tutti i mali che ssono nel corpo de l'huomo per kagione di fredeçça, e a la nausca e abominatione è buono, e a coloro k'ànno reo apetito giova. (+i) Çafferano è kaldo e humido nel primo grado et è di due maniere: l'uno sì è di quello ke cresce in giardini e l'altro sì è orientale. E sono fiori ke crescono assai in Lombardia e in Toscana, e dee essere scelto quello ke ssia rosso ke non sia mischiato d'altre cose gialle e ke ssia puro e netto di tucte ordure. (i-) (+i) Çafferano puote l'uhomo guardare .v. anni essendo tenuto strettamente in uno sachetto di kuoio, e il luogo ov'elli dimori non sia troppo humido, né troppo seccho. Cotale çafferano àe virtude di confortare la fieboleza del cuore e de lo stomaco, e spetialmente quand'elli è sopra il brodetto di gallina o di carne o d'altre cose stemperato. E non si ne dee usare troppo, perciò k'elli fa abominatione e dona talento di vomire, e ancora vale contra coloro ke ànno li occhi rossi et emfiati e sanguinosi. Tolliete polvere di zafferano orientale, ma k'elli sia seccho in uno testo kaldo, e mischiatelo con albume d'uovo e mischia um poco, e ponete sopra lli occhi, e fae la malatia trapassare. (i-) (+i) Cubebe sono kalde e secche temperatamente, sì come alcune genti dicono, ma secondo Avicena sono calde e secche nel secondo grado. E sappiate ke ciò è frutto d'uno albero ke cresce oltre mare, o India, e le dee huomo scelliere quelle ke pungano sopra la lingua quando huomo l'usa, ma non troppo. E siano di buono odore e amare, e ke ssieno piccole e c'abbiano la coda sottile, tali cubebe si possono guardare .x. anni., e confortano e scaldano di loro natura lo stomaco e il cerebro, e perciò valliono molto a usare a coloro ke ssono infreddati e rematichi di rema fredda. E valiono ancora a usare a coloro ke ànno lo stomaco freddo e ke ànno malvagio colore e possonsi usare in lattovario ke ssia fatto di kubebe e di mèle e d'altre spetie. (i-) (+i) Cardamone sì è caldo e seccho in terço grado, et è fructo d'uno albero ke ne la primavera gitta boççeti, sì come seme di ruta, e dentro è il cardamone. E sì nne sono di due maniere: grosso e picolo. Il grosso vale mellio perciò k'elli è di milliore odore, e dee avere un savore mischiato di dolce, e quando usare si conviene, si conviene k'elli sia bene triato e netto di petruze e d'altre cose, e stropiciato con uno drappo per netarlo di polvere. E kardamone si può guardare .x. anni e à natura di confortare e di distrugere la ventosità e i grossi e i malvagi omori contra la fieboleza de lo stomaco e, per la virtù ke kuoce la vivanda, confortare: prendete cardamone e anici e fatene spetie, sì donano apetito di mangiare. E odorare solamente il cardamone sì vale a coloro ke ànno fieboleza di stomaco e di cerebro. (i-) (+i) Noci moscade sì ssono calde e secche nel secondo grado et è fructo d'albero ke cresce a maniera d'avellane, e le dee homo elegere e scelliere quelle ke ssieno grosse e pesanti, e ke ssi rompino legiermente, e ke abbiano buon odore e il savore um poco afretto. Cotali noci ànno natura di confortare lo stomaco e 'l fegato e la milza, e fanno buon alito, ma elle ristringono il ventre ki le pesta col sale e usale. E sappiate ke la mace sì è la follia de la noce moscada ke dimora intorno la noce, sì come quella dell'avellana. Et è la mace calda e seccha, e àe natura di confortare lo stomaco e di fare buona alena, e tucte altre cose come fa la noce moscada. (i-) (+i) Garofani sono caldi e secchi nel terzo grado e spetialmente quelli ke pungono sopra la lingua e ke ànno buon odore. E sappiate ke garofani sono frutti d'albero ke crescono in Indya, e si colgono la state quando elli sono maturi. E si possono guardare .v. anni, ma k'elli non sieno tenuti in luogho troppo humido né troppo seccho, ké s'elli stessero in troppo humido, elli putirebbero. E dee l'uomo heleggiere quelli ke ssieno bozzuti e pieni diverso la testa, e ke a l'assagiare de la boccha pungano um poco la lingua e ke abbiano buono odore, e ke quando huomo li strigne koll'unghia k'elli divengano humidi. Cotali garofani sì ànno di loro natura di confortare il corpo e di distrugere la ventosità e i malvagi omori grossi e viscosi ke ssono ingenerati per freddo, e fanno ancora ben cuocere la vivanda, e spetialmente ki li prende in tal maniera: prendete garofani e seme di finocchio e fateli bollire in vino, e bevete poi quel cotale vino. Ancora valliono molto a quelli ch'ànno a gran pena loro alena, per omori grossi e freddi e viscosi ke ànno il petto turato. Ma ki lli prende in cotale maniera, sì com'è di prendere gomma adragante, e fare dimorare una notte in acqua d'orço, e prendere poi i garofani e mastic e goma arabica, e farne polvere, e mischiare co la gomma adragante ke ssia dimorata in acqua d'orzo, e farne pillole e tenerle que' ke ssarà malato sopra la lingua una gram pezza, e poi le potrà avallare e usare il vino ov'elli sarano cotti. I garofani sì scaldano e confortano il cerebro, e intendete ke a questa natura si tiene la foglia del garofano, salvo ke ella non conforta sì bene e no è di sì calda natura. (i-) Ambra è calda e humida e 'l cerebro e 'l cuore fa robusto e vigoroso. La chamfora è fredda e humida e sottile, la quale al dolore del capo e ancora a tutte le sue infermitadi calde giova. La quale cosa ella opera in tucto il corpo, ma chi molto userà il suo odore sentirà e avrà detrimento e male di veghiare. E le reni si rafredderanno a color che la beranno, e i suoi testicoli e la sua sperma si congelerae e rafredderae, e fredde infermitadi si procreeranno e faranno in queste luoghora. Legno aloe è caldo e congruo e buono a lo stomaco humido e pieno di vescositade. Çaffanus, o zaffoca, è kaldo e seccho, il quale, essendo a lo stomaco incongruo e non convenevole, fa nausca e male e dolore di capo e provoca il sonno. Sandali sono freddi e secchi, i quali sono utili e giovano a l'agute infermitadi quando li 'mfermi li odorano o kon essi si epithimano, cioè s'impiastrino. E ancora tucto 'l corpo se con esso sia epithimato nel bagno guirrae dal piççicore e da la pruçça. Bune è caldo e seccho, il quale, essendo congruo (cioè convenevole) a lo stomaco, tollie il malo odore del sudore e del silotro, cioè del dipelatoio. Maaleb caldi sono e mollificando i nerbi ke ànno grosseza de' quali la 'mfertà fue lunga e cronica. L'acqua rosa è fredda e sottile, la quale tollie il dolore del capo ke aviene per caldeza, e la crapula, e la nausca (cioè l'abominatione e 'l vomito), ma tosto fa incanutire ki molto l'usa. Sigia è kalda e fa gravitade di capo e dolore. Braethebisonçe kalde sono, le quali fanno nel capo graveza e dolore. Costo, essendo kaldo e seccho, apre l'oppilatione e purgha e la carne corrode, il quale colui ch'àe rema per fredezza aiuta, se con esso si suffomiga il naso. Ciperi, essendo caldi e secchi, sono convenevoli e buoni al reo odore de la boccha e a l'humido stomaco e ripieno di viscositade. Usmon, o uzen, è kalda e seccha, la quale purgha e apre l'opilatione e corrode la carne superflua. E universalmente di tucte queste erbe ke ànno buono odore le più sono calde, se non se quelle de le quali si sente quello ke noi dicemo, sì come si sente ne l'acqua rosata e camfora e sandali.
L. III, cap. 19 rubr.Capitolo .xLj. De la virtù delli oli, overo unguenti.
L. III, cap. 19L'olio è kaldo, e quello è più caldo nel qual è magior mordimento e più forte odore si sente. Et elli non fae fastidio, secondo ke fanno l'altre cose ke ssono untuose. (+i) E dovete sapere ke ll'ollio ke l'huomo fae dell'ulive sì ssi diversificha secondo la diversità dell'ulive ond'elli è fatto, ké ll'olio k'è facto de l'ulive mature sì è kaldo e humido, e di sua natura sì amolla il ventre, e sì converte a natura di collera rossa. Quello k'è facto d'ulive, ke ssono in quel mezo tra verdi e mature, sì è di millior natura per lo stomaco confortato, perciò k'elli è più freddo e più seccho, e perciò dicono i filosafi k'elli tiene natura d'olio rosato. Holio ke l'huomo fa d'ulive verdi sì ssi tiene a la natura dell'ulive di confortare e di ristrignere il ventre e d'altre cose ke dette avemo de l'ulive. (i-) L'olio ke ssi fa de le noci è fortemente kaldo e disolutivo, cioè disfae e distruge le cose dure, sì come duri apostemi e cotali cose. E l'olio ke ssi fa de neriden e de' ciperi è caldo e riscalda le reni. E l'olio resin è kaldo e purgha i nerbi de la viscositade, la quale a lloro s'accosta, apiccha e invescha. L'olio de le mandorle è temperato, il quale fa aiuto al petto e al polmone e a la vescicha e a le reni, ma ffae fastidio e tardi discende de lo stomaco. L'olio seracino muove il corpo e fa uscire. E se huomo l'userà di bere molti dì, sarà medicina a le ragadie e gioverà a l'aspreza di tutto il corpo. L'olio del rafano è kaldo e sottile e disolutivo et è medicina al dolore dell'orecchie ke fosse venuto per fredezza e per ventositade grossa. L'olio del lillio è caldo e sottile, e lenisce e amorbida i nerbi, e lieva il loro dolore, e giova al dolore de la matrice. L'olio del narcisco è sì come quello ke ssi fae del lillio. L'olio violato è freddo e fa dormire, (+i) e fàssi in questo modo: siano cotte le viuole in olio e la colatura sarae olio violato, e vale ricevuto dentro contro distemperamento per faticha. Anche la sua untione, fatta sopra 'l fegato, vale contro la sua kalefatione, anche de la sua untione fatta sopra la fronte e sopra le tempie, fatta per kaldeza, giova. (i-) L'olio del neufar è somilliante a questo, ma più fortemente opera. L'olio del seme de laza è giudicato somilliante a quelli due che ssono detti, il quale congruo si truova al calore e al veghiamento. Il biturio nodrisce più ke tucte le cose ke ànno untuosità et è più grosso. L'olio rosato è freddo e dà rimedio al dolore del capo e a tucte l'altre sue infermitadi ke ffossero venute per kagione di caldeza. E a la perfine tucte quelle cose ke ànno untuositade tengono similitudine di quelle cose de le quali si fae. L'olio del costo è kaldo e riscalda i nervi e fae aiuto a coloro ke ànno triemito e ai paralitichi, il quale vale ancora a lo stomacho freddo, se con esso si epithima, cioè s'impiastra o ungne. Olio di mortine è freddo e fa i capelli robusti. L'olio de kyri è caldo, e sottile, e resolutivo, e lenitivo, e propiamente quello ke ssi fa del citrino, cioè del giallo. L'olio del balsamo è kaldo fortemente, il quale rompe la pietra e, fattone passario, cioè una cotale tasta, e unta con esso e messa ne la natura de la femina, vale a ingravidare e concepere. L'olio de lo spico, cioè de lo spicanardi, sì è caldo et è di grande eficacia a lo stomaco freddo quando con esso s'epithima. L'olio de la mastice similliantemente è buono soposto, mescolato all'impiastri e posto sopra lo stomaco freddo e, somilliantemente nell'impiastri posto, presta benificio e giovamento.
L. III, cap. 20 rubr.Capitolo .xx. De la proprietà dei vestimenti.
L. III, cap. 20Ongne vestimento morbido e pulito fae minore calore al corpo e a la persona, il quale a vestire di state è milliore, al quale somilliante vestimento si giudica quello che, quando si texe, rimane rado. E quello k'è piloso e non è forachiato e tralucente e truovasi spesso, magiormente riscalda il corpo, il quale huomo dee usare nel verno. E 'l vestimento del panno lino è più freddo di tucti li altri vestimenti al corpo, e meno s'accosta a llui, e meno li si apiccha, onde si dice ke meno riscalda. E 'l vestimento fatto di bambagia è più kaldo ke quello k'è fatto di lino e più s'achosta e apiccha al corpo. Ma il vestimento facto di seta è più kaldo ke quello k'è facto di lino, et è più freddo ke quello de la bambagia, e acresce la carne. E ancora ogne vestimento ke àe aspreza fae dimagrare la carne e falla sentire dura. E quello k'è contradio a questo fa il contrario. E in quel medesimo modo i vestimenti facti di lana, o di peli, sono kaldi e aspri e ànno a indebolire il corpo e propiamente la state. E quelli vestimenti ke ssi fanno di peli di kanmelli e de le capre sono caldissimi, e al corpo molto s'acostano e apiccano e fortemente riscaldano. E agasdia, quello cotale vestimento, altrettanto riscalda quanto quelli ke ssono fatti e tessuti di lana o di peli, advengna k'elli non abbia e non faccia aspreçça, né a le carni non noccia. E la pelle d'asizent è meno kalda di tucte le pelli ke ànno peli. E la pelle de la volpe è più calda di tucte l'altre pelli, la quale i· neuna maniera è buona a coloro ke ssono di calda complexione. Dipo la quale, la pelle de fiberis in caldezza è seconda. E phanez, o coabun, e guaasil temperatamente riscaldano, e sono morbide, e sono buone ai corpi ke ànno temperamento, cioè ke ssono temperati. E l'altre pelli e peli, de' quali noi non facemo mençione, conciosiacosak'elle in quantità sieno di soperkio e superflue, a nniuno non sono buone se non a coloro ke ànno i corpi grossi e aspri.
L. III, cap. 21 rubr.Capitolo .xxj. De la virtù de' venti e dell'aiere.
L. III, cap. 21Il vento che viene dal polo septentrionale, cioè da la tramontana, da la parte de la minore orsa (cioè di quella stella) e de la magiore orsa (cioè da quella altra) è freddo e secco, il quale fae i corpi duri e robusti e 'l sentimento e 'l capo fa lievi. Et elli è migliore di tucti i venti e più lieva e tollie la putrefatione, ma tossa e mena l'enfertadi e mali ke ssi fano nel gorgozule e nel petto e nel polmone, e rematismo (cioè rema) e coriça (cioè rema per lo naso), e strigne il ventre e fa urinare. E 'l vento ke viene dal polo di mezodie i corpi disolve e indebolisce, e rallenta, e senni e sentimenti turba, e fae dolore di capo e infertà d'occhi, e fa venire l'epilensia (cioè il male maestro), ançi 'l tempo ke suole venire, e aparecchia la febbre per la sua putredine e corruptione. Ma non fae aspreza a· petto, né al polmone, né a la gola. E ancora è più aparecchiato di tucti li altri venti di fare infertadi e magiormente molto s'elli soffia ne la state e ne la fine de la primavera. E 'l vento il quale soffia e trae da la stremitade del nascimento de la primavera infino a la stremitade del nascimento del verno, e quello ke viene da la stremitade de l'occaso del verno (cioè del cadimento della primavera infino all'estremitadi dell'occaso del verno) sono in caldeza e fredezza di tucto in tucto temperati. E quello ke da oriente tende ad noi è milliore, ma quello k'è da occidente è più grosso e pigiore. (+i) L'aiere sì è uno de quatro elimenti de' quali tucte le cose sono fatte e formate. E non vale solamente l'aria a formare il corpo de l'huomo, ma elli è una cosa speciale a guardare e a mantenere il corpo de l'huomo, poi k'elli è formato, sança la quale l'uhomo non puote vivere. E sì vi diroe come l'aiere aiuta ' vivere l'uomo per due cose. L'una sì è per k'elli raffredda il calore del cuore in tre maniere: l'una è per l'aria k'entra nel corpo de l'huomo per la boccha; l'altra sì è per li pertugi de la carne ke ssono per tucto 'l corpo de l'huomo. E dovete sapere ke 'l cuore sì è il principale membro del corpo de l'huomo, e dal cuore conviene che tucta la virtù e tucto il calore vengna a tutti i membri del corpo de l'huomo, e perciò li conviene avere più calore che la sua natura non aporta. Si conviene dunque k'elli sia raffreddato per l'aiuto de l'aiere ké, avengna ke ll'aiere sia caldo di sua natura e humido, impertanto elli è molto freddo e temperato a comparatione del calore del cuore. La seconda cosa per che ll'aria aiuta ' vivere il corpo de l'huomo sì è questa: cioè ke àe a spurgare le superfluità e i malvagi fummi ke ssi possono ingenerare intorno al cuore. Dumque, dapoi ke sança l'aria non si può vivere, sì vi insegneremo a conoscere quale aiere è buono e quale malvagio. Per elegiere quello k'è buono per santà guardare, sì è quello ove non à mescolato neuno fummo, e là ove l'uomo può vedere il cielo apertamente e lungi, e k'è più sottile e più kiaro, nel quale sono mossi i vapori e non si truova in riposo né profocato (cioè non troppo incalciato e dibatuto dai venti), ma i venti che vengono a llui il conmuovono, e ke quando i venti ventano k'è mosso legiermente, e quando huomo il sente dilettevole alitando, e sentelo dilicato e buono, il quale quando il sole si lieva schaldi legiermente, il quale tosto si rafredda dopo il cadimento del sole. E questo è il buono aiere e il naturale. Il malvagio aiere sì è tucto contrario a questo e a quelle cose ke ssono dette k'elli è mischiato in fummi, (i-) e prieme e charica la boccha de lo stomaco e 'l cuore, e ke per la molta sua caldeza e grosseza l'alito suo ritiene; è quello nel quale molti grossi vapori si sentono per la vicinitade e propinquitade de' laghi e de li stagni, ne' quali si truovano l'acque stare e non muovere, o ne' quali i puççi sono per le cose puçolenti e per li cadaveri, cioè per li animali morti, o ne' quali il calore è fortemente ardente, (+i) e di terre ove crescono malvagi alberi e herbe velenose sì kome di noci. (i-) E quello k'è costretto e non si muove dai venti (tucti questi generalmente sono pistilentiali e fanno pestilentia) è certo l'aria k'è prefocata ne' luoghi che ssono posti intra molte fosse e quelli che monti altissimi e laghi acerchiano, a le quali si truovano non molti venti. (+i) E certo poche cose sono ke mettano la natura de l'huomo sì al di sotto kome il malvagio aiere. Ma come l'huomo lo dee amendare per guardare sua santade, noi ne parleremo altrove a tempo e a luogho. (i-)
L. III, cap. 22 rubr.Capitolo .xxij. De le cittadi ke ssono sane per habitare e come si conoscono.
L. III, cap. 22(+i) Sappiate ke tucte cittadi ove genti dimorino poche o molte sono sane e inferme secondo la diversitade del luogho ov'elle sono assise e situate, ossia in verso oriente, o ssiano in verso septemtrione, o in verso occidente, o in verso mezodì, o in alto o im basso, o in pietre, o sopra terra. E i luoghi ke ssono sopra la terra, o è sopra marosi ov'elli àe assai alberi, o in terra seccha e secondo la diversità di questi luoghi ànno le cittadi diverse nature per habitare e per dimorare. (i-) Da ssapere è ke magior mutamento è ne le cittadi da la parte de le sue latitudini, imperciò ke le cittadi ke ssono septentrionali, cioè da la parte di septemtrione, sono più fredde, e quelle che ssono da la parte del mezzodì sono più calde, e le cittadi fredde sono più sane. Onde quelli che i· lloro dimorano sono magiori del corpo e più forti e mellio digerono, cioè cuocano il cibo, e sono più belli de le persone, e ànno le persone più lievi e più legieri. E le calde sono contrarie a queste. E in quel medesimo modo le cittadi, le quali i monti septemtrionali cuoprono, per la qual cosa i venti septemtrionali a lloro vengono meno, perdono l'uttilitadi, le quali i suoi venti septemtrionali dovieno dare. Per la quale cosa, se con questo i venti meridionali a lloro passano e vanno, fassi la loro complexione calda e humida. Ma la complexione de le cittadi septemtrionali è fredda e seccha, la quale fa poche febbri e poche putrefationi. E quelle cittadi sono milliori e più temperate, le quali, conciosiacosak'elle sieno discoperte da la parte d'oriente, da la parte d'occidente son coperte. E ancora le città che da la parte di septentrione ànno il mare sono septemtrionali, e quelle ke ànno i monti da la parte di septemtrione, e sono discoperte da la parte di mezodì, sono dette meridionali, cioè del mezodie. E ancora le cittadi le quali i monti accerchiano da tucte parti, le quali cioè a ssapere sono ne le predette foci, o fonti, o falci, generano molte infertadi. E l'aiere è di buono odore de le città, e bene sottile, ke ssono poste e situate in alto, le quali sono soffiate da molti venti. Similliantemente quelle cittadi ne le quali multitudine d'acqua e d'arbori si truovano sono più humide, ne le quali infertadi d'occhi più spesse volte si suole generare. E le cittadi ke ssono poste im piano, le quali sì come rase e ignude sono de le predette cose, ne le quali è pocheza d'acqua, sono secche, le quali somilgliantemente sono situate e poste sopra pietre, sono più secche. Le cittadi somilliantemente de le quali il fango è rosso sono mezzane intra seccheza e humiditade; e quelle sono ree e puçolenti, il fango de le quali et è nero e ordo e ke à reo odore. E l'altra somilliantemente di palude, la quale è con aria calda, è pigiore: la quale quando è fredda à meno malitia. E a la perfine la città calda infice e minuta il corpo e corompe di caldo e di giallezza e di nereza. La qual, facendo menomamento di charne e di sangue, il corpo indebolisce e disolve la virtude. E la città, stando et essendo fredda, è chontradia a questa del tucto in tucto. E la cittade, apartengnendo e pendendo a humiditade, fa i chapelli lunghi e la persona morbida e grassa, e i nerbi fae lenti e deboli. E la città, stando seccha, si redde et è contraria a questa.
L. III, cap. 23 rubr.Capitolo .xxiij. De le virtù de' lattovari facto di fiori e di fructi.
L. III, cap. 23Çucchero rosato giova e vale a lo stomaco ripieno d'omori, se ssi pillia a digiuno e bene si mastica, quando dipo llui si bee acqua calda. Il quale quelli ke ànno kaldo e arsura in neuna maniera debbono mangiare, e magiormente se fosse di state, imperciò ch'elli riscalda e fa sete. La qual cosa s'elli è mistiere di manicarlo, per quello ke noi dicemmo, prendasi con isciroppo rosato fatto con çuchero. Çucchero violato la gola lenisce, cioè pulisce e lieva l'asprezza, e tolle la tossa e la mitica, e agevolmente fa sputare, e 'l ventre lenisce, cioè liniendo fa uscire, ma lo stomaco disolve e indebolisce, e l'appetito distrugge e guasta. Il lattovario fatto di mirabolani, indi fatto con çucchero, lo stomacho corrobora e fortificha, per la qual cosa la superfluitade delli homori ke rimasero del cibo precedente, exprimendo, mena fuori. Il quale se alcuno spesse volte userà, aquisterae buono colore e i capelli non diverranno sì tosto canuti. La trifera minore in questa operatione è più forte, avengna ke menomi la sperma. Il gengiovo col mèle condito è di molto grande kaldeza, il quale aiuta la digestione rischaldando lo stomaco e 'l fegato e fae diriçare la vergha. E 'l secacul fae fastidio e distruge l'apetito, ma la sperma adcresce quando alcuno l'usa spesse volte. Il pepe nero e lungo condito è procciano al gengiovo condito. E li altri lattovari si manucano tanto solamente per kagione di diletto.
L. III, cap. 24 rubr.Capitolo .xxiiij. De le spetie le quali si possono usare a ongne ora. Rubrica.
L. III, cap. 24L'assaro sì è caldo e seccho, il quale giova a colui ch'àe oppilatione nel fegato, e l'orina provoca, e fa aiuto ad coloro ke ssono ydropici in quella spetie. Lo squinanto è caldo e seccho, il quale giova a l'apostema duro de lo stomacho e del fegato, quando con esso si fae empiastro sopr'essi. Usnee um poco è caldo, il quale, retinendo, lo stomaco fae rigido e forte. L'anthimonio è freddo e seccho, il quale fae l'occhio robusto e forte, e la sua santade guarda e conserva e, posto di sotto ne la natura de le femine, i mestrui constrigne. Echel è chaldo e seccho e i mestrui provocha fortemente e fae abortire, cioè scipare le femine. Acatia è fredda e seccha, la quale constrigne il fluxo del sangue quando esce troppo, e 'l longaone (cioè il budello del fondamento di sotto) recha dentro quando esce fuori, e 'l ventre strigne dentro. Sarcocolla giova a coloro ke ànno lippitudine nelli occhi e a le fedite ricenti fa rimedio e giova. E l'epithimo è caldo e la collera nera purgha e la paura menoma. Erberi, o berberi, è freddo, il quale strigne il ventre, e la sete tollie, e giova a coloro ke ànno ardore nel fegato e ne lo stomacho. Elli emblici sono freddi e secchi, i quali fanno lo stomacho robusto e forte e fanno forti le radici de' capelli. Acederach è calda e seccha, la quale è congrua e buona a l'oppilatione k'è nel fegato e prolungha i capelli, ma il suo fructo è molto nocivo a lo stomacho e reo, il quale si truova alcuna volta pernicioso, cioè velenoso da ffare morire. L'urticha è kalda, la quale stimula la volontade d'avere a ffare a ffemina e manda il flemma visscoso fuori del petto e fa uscire. Ogne coagulo è caldo, cioè quello ventricino ke si trae fuori delli animali piccoli ke popano e da' nonnati, il quale constrigne il ventre fortemente e non lascia il sangue uscire. La squilla è calda e acuta et è di grande efficacia a la pilensia, cioè al mal maestro, e a l'emfiamento de la milza e a la sua grandeza, e a' morsi de le vipere, e a l'angoscia vechia e anticha de l'alitare. (+i) Assenço sì è caldo in primo grado e seccho in secondo e à due virtù contrarie, cioè laxativa e constrettiva. E a' lombrichi ke ssono ne le budella di sotto dee esser dato com polvere di centaura o di persicaria (o di quello k'è ne' noccioli de le pesche o de le follie), e a provocare il sangue mestruo sia pensaurizato il suo sugo, o sia facta sopposta d'assenço e appio e arthemisia cotta in olio. Contra ebrietade sia dato il sugo suo col mèle. E aqua tiepida vale contra affogamento per funghi, dato il suo sugo con aceto e con acqua calda. A la dureza de la milza sia impiastrato l'assenzo cotto. Contra livoro e dolore di membri per percossa sia facto empiastro di sugo d'asenço e di polvere di comino col mèle. Contra vermi d'orecchi sia distillato il sugo suo. Il sugo suo bevuto kiarificha il viso e, posto nelli occhi, rimuove la rosseça e 'l panno, e colto del mese di magio, nel mezo mese, e seccho a l'ombra redde i libri e i panni sicuri da topi e da tignuole, e lo 'mcostro e le carte da corruptione vale etiandio. (i-) Redde lo stomacho robusto e apre l'oppilationi del fegato e a le febri di lungo tempo dae aiuto e rimedio. (+i) Tasso barbasso è kaldo e seccho, e altri dicono k'è freddo e seccho. La fomentatione sua facta del vino de la sua dicotione vale contra le morici, e ciò vale se la natura de lo 'mfermo, dopo l'asselatione, ne sia forbita, e la sua dichotione l'acqua vale a tenasmo e contra fluxo di ventre. (i-) Lo sticades è kaldo e purga la collera nera e la flemma e al male maestro presta e fa benificio e prode, quando si bee molte volte, acciò ke ffaccia purgatione del ventre. Meliloto è caldo e mollifica i duri apostemi, i quali sono nati nelli articoli de' membri, sì come ne' piedi e ne le mani e dentro. L'aniso è kaldo, il quale è disolitivo de la ventositade (cioè disfalla) e apre l'oppilatione del fegato e stimola la volontà de la luxuria. (+i) Et è erba ke cresce a grande abondanza e 'l semo suo si dee elegere ke ssia grosso e novello e netto di polvere e di pietre, tale anici si può guardare tre anni. E cotto nel vino vale con masticha ben cotto a coloro ke ruttano e ke non cuocono bene lor vivanda, e spetialmente cotti col vino e con masticha, e bea il vino poi. Ancora il pesto, anici mischiato, cera nuova, vale a coloro k'ànno il viso perso, e intendete ke elli trae a natura di comino in tucte cose, e perciò s'apella da alcune genti comino dolce. (i-) Armoniacho è kaldo e mollificha i duri apostemi e disolve le scruofole, cioè le gavine ke non sono ancora rotte né aperte. Seme di balsamo, e 'l suo legno, è congruo e buono ai morsi de' serpenti e de le vipere e ancora al dolore de la matrice. (+i) Diptamo il qual è depto per altro modo frasinella, imperò k'àe le foglie a modo di frassino, è kaldo e seccho nel quarto grado et è radice d'un'erba apellata con similliante nome, la quale maximamente è trovata ne' luoghi caldi petrosi e secchi e à virtù di disolvere e consumare e trare il veleno contro morso delli animali velenosi. Questa medesima erba, o la radice trita, si aposta al morso, e 'l sugo suo sia dato con vino. Il polvere suo sia confetto con sugo de la menta, e sia sopraposto e dato a bere. E sappiate ke 'l dittamo è di tanta virtude ke trae il ferro del corpo onde di suo notricamento le bestie percosse kacciano le saette, le quali sono nel corpo loro. Epatica, cioè fegatella, è fredda e seccha in primo grado et è erba la quale cresce nei luoghi aquosi, e maximamente ne' pretosi, e àe molte foglie, le quali si giungono a la terra e a le pietre, e à virtù dureticha per sottilità di substantia, et è infreddativa, onde vale contra l'opilatione del fegato e de la milça l'acqua de la dicotione sua, e imperò è detta epatica. Lo sciroppo de l'acqua de la sua dicotione, agiuntovi il ribarbaro in fine de la dicotione, è optimo contro erteticha. (i-) Anacardi sono kaldissimi e fanno aiuto a le fredde infermitadi e a la mala memoria, ma generano adustione e imbrasciamento di sangue, e forse producono e menano le persone a paçia e stoltezza. Baurach è caldo e seccho, il quale provoca il vomito, cioè dà volontà di reddere et, quando si mette di socto e fassene sopposta e cura, fae uscire.corallo è freddo, il quale, bene trito e dato a bere, aiuta ad coloro ke sputano il sangue, e ancora corobora e fortifica l'occhio e ristrigne le lagrime. Bedegar apartiene a chaldeza e fae remedio a le febri ke ssono durate lungho tempo. Ebulo è caldo, il quale i duri apostemi mollificando disolve (cioè disfae) e posto sopra 'l volto sì nne lieva il panno ke v'è. La cui viscosità giova a la dureza e grossezza ke rimase nel membro, poi ke ffue raconcio dipo 'l dislogamento; e le corde secche fa molli, e i nerbi riscalda, e a lo stomacho è reo e fa nauscha, cioè vollia di reddere, e fae uscire. Fanghest è kaldo e seccho, il quale giova a l'emfiamento del feghato e la vergha no llascia dirizare. Ogne spetie di iusquiamo, cioè dente kavallino, trito e posto sopra li apostemi, inebria o stupefa, cioè sciabordisce. E 'l nero si giudica piggiore di tucti li altri, perciò k'elli uccide. E 'l giusquiamo trito e posto sopra li apostemi, nel quale è forte battimento e caldo e dolore, disfae il sentimento e mortifica sì che non si sente il dolore. Il psillio è freddo, il quale se ssi berà col juleb, spegnerà la febre aguta, e mitiga l'ardore, e 'l petto lenisce, e lieva l'aspreza. E ancora aiuta, se ssi bee arostito, Z coloro ke ànno le fedite e le rocture ne le budella e l'uscita e menagione troppa e sanguinosa. E se co l'aceto e col latte huomo il muova tanto k'elli si prenda e coagoli, seda e mitiga li appostemi caldi, i quali sono nelli articoli, cioè ne le dita de' piedi e de le mani, se vi si pone suso; e 'l been rosso è kaldo e fa venire volontà di luxuria. Il capello venero sì è caldo, il quale, se fia arostito e i luoghi ignudi de' capelli fieno uncti con esso, fae nascere i chapelli e disfae le scruofole ke non sono ropte, e purgha il polmone di grossi homori, il quale di loro è imbevuto e pieno. Bulbus è la cipolla ke ssi manucha, la quale stimola molto la volontà de la luxuria, e quando si pone in sul volto si ne leva e toglie via il panno. Sathirion è caldo, il quale acresce la sperma e giova a le gotte. Polipodio è kaldo e purga la collera nera e guerisce il male del fiancho. Borangi, overo dorongi, manda fuori del corpo la flemma e li ascaridi, cioè i vermi che ssi fanno in corpo. I bellirici ne la sua natura sono vicini a la natura delli emblici. Il castoro è caldo, e i nerbi riscalda, e i mestrui de le femine fa venire, e l'emfiamento disolve, cioè disfa. Gilbenach, cioè noce vomica, è calda, la quale fa rendere fortemente e giova ai paralitici se con essa sieno sforzati di reddere, la cui operatione è vicina a l'operatione dello eleboro, del quale non si de' dare se non il peso d'una drama, imperciò ke forse, per lo molto reddere ke ffa, ne perverebbe la morte. La noce methe fa stupore, cioè sciabordimento, la quale alcuna volta essendo pericolosa, cioè mortifera, fa nascha, cioè abbominatione e vomito. La noce moscada è kalda e seccha, la quale strigne il ventre, giova a lo stomaco e al fegato freddi, sì come naramo nel capitolo de le spetie odorifere. La gentiana è calda, la quale è congrua e buona a la puntura de lo scorpione, e al fegato freddo, e a la oppilatione de la milza e al suo emfiamento. Poponax è caldo, il quale, conciosiacosak'elli sia fortemente disolitivo di ventositade, a coloro ai quali aviene grossa ventositade giova, e al dolore de la matrice k'è per cagione di fredeza aiuta e giova. Jadac è calda, la quale, avegna che generi dolore di capo, tuttavia a le febbri antiche e di lungho tempo e a l'idropici e a l'yteritia, cioè al giallore, e a la puntura de lo scarpione porta rimedio. Gesso è freddo e seccho, il quale, mescolato co l'albume de l'huovo e posto sopra il luogo, ritiene il sangue. E i· neuna maniera il dee huomo bere, imperciò ke forse bevuto fa pernicie, cioè uccide. Le balaustie (le meluçe de' fiori di melograno k'elli gitta) sono fredde e secche, le quali stringono il ventre e non lasciano uscire il sangue. Arsesahan è kaldo e ponticho, cioè laçço, il quale a le vesciche de la boccha, se con esso si faccia gargarismo, cioè gorgolliamento, overo ke co la sua dicotione la boccha si lavi, giova. E ancora è utile uncto e giova a la graveza e a la dureza de' nerbi e al puzo del naso, se il lucignolo intinto ne la sua dicotione si metta nel naso. Durofolya, o dubefolia, e le noci fredde sono e secche, le quali, se trite e con aceto mescolate in luogo d'impiastro e poste sopra 'l luogo arso e cotto di fuocho, fanno rimedio. La cui scorça ko l'aceto cotta al dente dollioso giova, se con esso si lava. Vescovo è caldo e seccho, il quale disolve la ventosità e li apostemi. Daumanech, o dauanech, è kaldo, il quale, giovando a la grossa ventositade, giova e fa aiuto al dolore de la matrice k'è per kagione di fredeza, e al triemito del cuore kon fredeza, e a la puntura de lo scorpione. Oleander è kaldo e giova a la scabbia e al piççicore e, manichata, uccide li animali, asini e huomini, ma ffae aiuto e rimedio a l'anticho dolore de le ginocchia e de le reni, se ssi ne fa impiastro. Deudar, o devidax, fortemente è kaldo, il quale a le fredde infertadi del cerebro o de' nerbi giova et è buono a lo stomacho e al fegato freddi, la cui propietade è da ffare rimedio a l'epilensia e a la parlasia. La feccia del vino è calda e disolve i duri apostemi. La feccia de l'aceto non riscalda, ançi riprieme e miticha il calore de li apostemi epitimatha e posta sopr'essi. Mirabolani citrini traghono del corpo la collera citrina. Mirabolani neri aconciano lo stomaco korroborando e fortifichando e giovano a le morici. Ilboe è kaldo e seccho e sottile e dae aiuto a lo stomacho e al fegato. Ypericon è kalda e sottile, la quale è apertiva d'oppilatione e al dolore de le coscie giova. Ipoquistidos è kiamata barba ircina, è fredda e ponticha, cioè laçça, la quale sì s'usa ove è mistiere di ristrignere e sticiditade. Acoro è caldo e secco, il quale a la grossa ventosità e a la milza dura, e ancora a graveza de la lingua giova. Asma, overo gasura, è kalda e pontica, cioè lazza, co la quale si fa la tintura de' kapelli. Il gengiovo è kaldo e humido, il cibo cuoce e 'l ventre muove e giova a lo stomaco e al fegato freddi. E ancora a la scurità delli occhi per humideza, posto nelli ochi o manichato, giova. Tucte le spetie astorlogie sono calde e aprono l'opilatione e giovano a le punture dello scorpione. Le quali muovono e fanno venire i mestrui, e fano aborso, cioè fanno scipare. L'isapo è kaldo e secco, la quale vale sì come l'origamo, e vale al petto e al polmone, e giova all'asma e a l'antica tossa. E in quello medesimo modo il flemma e i vermini mena fuori del corpo. E l'ysopo, la qual è kiamata korodes, la qual si fa de le sordi e dell'ordura de la lana matura e mollifica i duri apostemi, e propiamente quelli che ssi fanno ne la vescicha e ne la matrice. Zirubeth è calda e seccha, la quale la ventositade disolve e giova molto ai morsi delli animali velenosi e ingrassa. L'argento vivo è ardente, il quale quando si spengne è ardente, il quale fae aiuto a la scabbia e ai pidocchi. Alçegi, essendo caldo e seccho, la scabbia ch'è per humiditade diseccha. E ancora la saphati, fatta per kagione d'umidità, monda e netta e strigne il sangue k'esce del naso soffiata nel naso, e 'l sangue ke esce per percossa se vi si pone suso. E tucte le spetie de l'arsenicho sono calde e, incendendo e abrusciando, giovano a la putredine e a la sapha humida, e a l'orpite estinomeno (cioè a quella infertade), e a' pidocchi fa rimedio, e ancora all'asma del petto giova, se con esso si fae soffumichamento o impiastro, e lieva la macula del sangue k'è facta per percossa. La spiuma del mare à più spetie, le quali tucte essendo calde e secche aiutano e sono buone a la schabbia e a la morfea e a la elopitia, cioè al dipelamento del capo. La propietade del vetro sì è di rompere la pietra k'è ne la vescicha e lieva le forfori se con esso si lavi il capo. Çarnab, stando caldo e seccho, giova a lo stomacho e al fegato freddi e strigne il ventre. Çimar, o zinyar, è caldo e corrode la carne. Amomo è caldo e seccho, il quale giova a l'oppilatione del fegato, e lieva il dolore de la matrice, e genera nel corpo dolore o graveza o scotomia. Alcanna dae aiuto a le pustole ke ssono ne la boccha, cioè a le bolle e ropture, e al cocimento e a l'arsura del fuocho. Litio, essendo temperato intra caldeza e fredeçça, giova ai caldi apostemi delli occhi se con esso sieno impiastrati o epithimati, cioè in alcuna substantia molle, con spungna e chon feltro, o con istoppa o kom bambagia suposto. Il quale ai molli apostemi e ai duri giova e lieva il panno del volto epitimato, e ancora gorgolliato tollie la dureza del tranghiotire, cioè la malagevoleza del tranghiotire, e giova a le pustole de la boccha, cioè a le bolle e a le rotture de la boccha. Hors, stando caldo, riscalda lo stomacho e 'l fegato, e mollificha e muove il ventre, e mette fuori i vermini del ventre, e fa disiderio e volontade di luxuria, e 'l polmone netta e mondificha, e giova all'asma e a la grosseza de la milza, e fae aborso, cioè scipare la femina. Asse è calda, la quale, posta ne l'occhio e manicata, giova a la deboleza del vedere, e giova all'asma del petto, e vermini manda fuori del corpo, e fa abborso, cioè scipare le femine, e fae aiuto a digerere il cibo. Armel è kaldo, e inebria, e fa dolore, e conmuove il vomito, e fae reddere, e provoca l'orina e i mestrui. Hassetth è fredda, la cui dicotione la pietra rompe e lo sperma acresce e fa urinare ki nom puote. Habenil manda fuori la flemma e giova a la morphea bianca e albaras, ma ffa conturbatione e nausca, cioè vollia di reddere. La coloquintida è calda e seccha, e mette fuori il grosso flemgma, e netta il corpo, e al dolore de' nerbi e a l'emfertà sciatica, cioè k'è nell'uovol dell'ancha, e ancora a le gotte fredde e a la helefantia fa benificio, cioè giova. Elefantia sì è una spetie di malattia. La scuma del ferro lo stomaco corrobora, cioè fa forte, e strigne il sangue de le morici. E l'acqua in ke il ferro si spegne fa disiderio di luxuria e giova a la grosseza de la milza. Tamerici è freddo e seccho, de le cui follie empiastro posto sopra il molle apostema giova e fa aiuto. E la sua dicotione ne la boccha seda e mitiga il dolore de' denti. E ancora il vino, nel quale le sue foglie sieno cotte, bevuto sottillia la spiena, cioè la milza. E quel medesimo fae il vino e 'l siroppo acetoso se llunghamente si bee col piccolo nappo facto de la sua radice. Tulupf, o tulup, è freddo e giova a li apostemi caldi quando di lei si fa e ponvisi suso. Tharathit è fredda e seccha, la quale strigne il corpo e non lascia uscire il sangue. Lo spodio è freddo e seccho, il quale giova a le febri agute e a la menagione e al vomito, cioè al reddere, e aiuta a le bolle ke nascono ne la boccha e a triemito del kuore. La terra sugellata e l'armenica, cioè de Herminia, e ll'una e l'altra giovano e sono convenevoli a coloro ke sputano il sangue, e a coloro ke ànno il male de le morici, e ancora a ogne luogo onde sangue escie. Ma l'altra terra, la quale da alcuni acostumatamente si manucha, fae oppilatione nel fegato, e distrugge e guasta la complexione, e magiormente di coloro ke a cciò sono aparecchiati e disposti, ma la boccha de lo stomaco, ke fosse fastidioso o avesse fastidio, redde e fa rigido e forte, e leva e tolglie nausca, cioè fastidio e la vollia di reddere, ke ffosse per cagione de' cibi fastidiosi. E alasafar è kalda e seccha, la quale tollie e lieva via la menagione, e le fedite e le ropture de le budella, e le moreci. Mandragora è fredda e fae sciabordire. E s'ella si mette nel vino sì fae inebriare fortemente e, mescolata a le medicine, sì tollie e lieva il dolore, de la quale se in grande quantitade si bee, sì duce a la morte. E le spetie e le maniere del tottomallio sono molte, le quali tutte, essendo calde, arostiscono, e abrusciano, e fanno uscire, e fanno abominatione, e ulcerano il corpo, cioè rompono e scorticano le budella. Sebunt, o sebant, è freddo e seccho, il quale ristrigne il ventre e 'l suo sugho bevuto medica il giallore de la persona e cura. La vite de la quale si fa il vino, le folglie o i vignuoli triti. E fattone impiastro, e posti sopra li apostemi caldi, e al dolore del capo presta beneficio. E ancora il suo sugo, se ssi bee, ristrigne la vollia del reddere e la menagione, e la sua goma rompe la pietra de le reni e de la vescicha, e guerisce de la scabia e de la rongna. Lo 'ncenso è kaldo e seccho, e genera ne le fedite carne, e la menagione e 'l vomito guerisce, e fae sottile lo 'ntelletto e la mente; del quale, se grande quantità si pillia, arostisce e riarde il sangue e fae elguesegres, cioè quella infertade quando huomo solo favella seco, e aiuta e giova al triemito del cuore. Kampitheos è caldo e giova a la costrintione de l'orina, cioè quando l'uhomo non puote orinare, e al giallore de la persona e a la gotta de l'ancha. Condisi è kaldo, il quale fortemente provocha e fa venire la solutione del corpo e 'l vomito e fa starnutire. Karisic, o narmesic, è freddo e seccho, il quale stringne il ventre, e ristrigne il sangue ke esce, e aiuta i denti ke ssi cominciano a rrompere e a muovere e a crollare. Kosile, o resile, kaldi sono e secchi, i quali, conciosiacosach'elli ingrassino il corpo, sì sono buoni a lo stomacho. Karabe, essendo freddo e seccho, fae rimedio ai mestrui e a le morici e a lo sputo del sangue, e ancora ai disinterici (cioè a coloro che gittano di sotto ne l'uscita sangue), e a la rasura de le budella, e al triemito del kuore. Keste, o resche, è caldo e, aprendo l'oppilationi, netta i pori e uritides, cioè le vie onde vae l'orina, e netta la gola dentro e strigne il corpo. E 'l solfo è kaldo, il quale, faccendo adustione (cioè abrusciamento), giova a la scabbia, se con esso si fa untione, e ancora fa aiuto a l'asma se l'huomo il bee. Camadreos è caldo, il quale, conciosiacosak'elli apra l'oppilationi, e la grosseza de la milça e l'iteritia, cioè il giallore, manda e lieva. Il diedraganto pulisce e leniscie la gola, cioè lieva l'aspreza dentro il polmone, e giova a la tossa. Kebikengi, essendo caldo, arustisce e riarde e fa sete, e la scabia lieva e manda via, se di lui fai untione. Kaldarii, o raldarii, è kaldo e manda fuori li ascaridi del corpo, cioè lombrichi ritondi. Le mandorle amare sono calde, le quali aprono l'oppilationi e giovano all'asma del pecto e a la pietra ch'è ne la vescicha e ne le reni. Plantagine, cioè la petacciuola, è fredda, la quale è congrua e buona alli apostemi kaldi e a l'arsura del fuocho quando a modo d'impiastro vi si pone suso, e aiuta al dolore de l'orecchie, s'elli è per cagione di caldeza. Il cui seme giova a le fedite e a l'ulceragioni de le budella e alle rotture. La dragontea è kalda, la quale apre l'opilationi, e stimola il disiderio de la luxuria, e presta benificio all'asma del petto antica. La laccha è kalda e giova al dolore del fegato all'idropici. Lingua avis, cioè erba kiamata lingua avis, cioè lingua d'uccello, acresce la sperma e lieva via e tollie il triemito del cuore. (+i) Lingua avis è calda e humida in primo grado e in altro nome è detta pillia, e àe folglie piccole e acute somillianti a lingua d'ucello, e à fiori picoli e rotundi bianchi. E ne' fiori sono .v. follglie, a modo de le foglie del .v. foglio. La verde è di molta efficacia e la seccha di neuna e à virtù di conmuovere la luxuria e d'uhumentare. Questa erba cotta col carvi, o con olio condita in luogo di saime, indica luxuria e vale cotta agiuntovi çucchero a' consumpti. Contra la siccità del petto sia data l'acqua de la dicotione sua, agiuntovi draganto vale più. L'erba pesta e stemperata con vino biancho, posta nelli occhi a modo di collirio, sottillia il viso e al postucto redde il viso malato infra .xx. dì kiaro, se la pullula (cioè la luce) non è ladita. E altretanto vale il cimquefoglio. (i-) Bulliosa a la malinconia è buona e giova al triemito e a le vesciche de la boccha. L'aglia, o giallia, è kalda e arustisce e riarde, la quale muove il ventre e muove il vomito, cioè fa reddere. E 'l meu è caldo a l'orina troppo constretta (cioè quando non si puote orinare) s'ella si bee o sopra il femur, cioè sopra 'l petignone, si pongha a modo d'impiastro. La mastice è calda e corrobora e fortifica lo stomaco e 'l fegato. E 'l delio iudaico è caldo, il quale disolve i duri apostemi. E ancora si dice k'è buono a le morici. E 'l delyo de metha è freddo e seccho e stringne il ventre. La mummia è buona a coloro che sputano il sangue e tosto ristora e guerisce la rottura e la spezatura de' membri e quando sono disconci, e 'l dolore de la gola e de la contusione (cioè schiacciagione) de le fedite seda e mitigha e tollie. E coloro ke dicono k'ella perfettamente guerisce ànno in ciò ismarrita la verità. E ancora aiuta al dolore per cagione di fredeza, s'ella è insoffiata nel naso coll'olio del sambuco. Mellicaria è kalda, la quale il ventre muove e giova a le gotte e al dolore de le costi e de le coscie. La mirra è kalda, la quale è buona a la tossa anticha e la boce fa kiara, ma ella aduce e mena e fa scotomia, cioè quella infertà ne la quale pare ke 'l mondo si volga e giri intorno intorno. E ancora fa dormire e provoca i mestrui, e quando si bee, sì fae aiuto e giova a le punture delli scorpioni. Memithe è freddo e giova alli apostemi caldi se vi si pone suso a modo d'impiastro. Meubecletia sono caldi e 'l corpo muovono, e provocano il vomito fortemente, e giovano a le gotte. Marchasida è kalda e l'occhio freddo erade fortemente. La fuligine giova a l'arsura del fuocho, se di lei si fae impiastro. Staphysagria è kalda e arostisce e riarde, la quale uccide i pidochi e cura la schabia e la rogna, de la quale piccola quantità presa provoca il vomito, e perciò forse ella, data e administrata, sì darebbe la morte. (+i) La celidonia è kalda e seccha in quarto grado, et ènne di due maniere: l'una è indica, la quale è di magiore eficacia, l'altra è comune, la quale si truova ne le parti nostre e àe la radice gialla et è di minore efficacia l'altra. Ma ll'una si pone per l'altra, e quando è trovata ne la receptione dee essere posta la radice e non l'erba, e à virtù disolutiva, consumptiva e atractiva. Contra il dolore de' denti, per cagione di freddo, sia posta la radice intra denti um poco pesta, e poscia sia posto l'allio. A purgare il capo e la vulva ripiena d'omor freddo la radice kotta nel vino sia sopposta a lo 'mfermo, e riceva il fummo per la boccha, e poscia gorgolli il vino; imperò ke seccha la vulva, purga il capo e la testa. Ancora vale la celidonia predetta a la biancheza delli occhi e fae buono vedere. E per lo sugo de la celidonya li occhi de' rondinini, tratti o magagnati, tornano a lo stato primo. (i-) Mugath è buona, se di lei si fae impiastro sopra i membri disoluti e deboli. Mezzereon è kalda, la quale è buona et è molto acuta, e avenga k'ella mandi fuori fortemente l'acqua citrina, cioè l'acqua gialla fuori de' corpi delli ydropici, tuctavia ella nuoce al feghato. Merdafengi è freda e seccha, il quale giova a lo scorticamento de le budella e al puço del sudore, e dae acrescimento a la carne, e ponsi ne l'impiastri. Ongne generatione di fiele è kaldo e tolgono la tenebrositade e l'oscuritade delli occhi. Moscatamosor è caldo e provoca ' mestrui. Nil giudaicum, o nulus giudaicum, è caldo e pontico, cioè laçço, e diseccha li apostemi molli. Ameos è caldo e seccho, e lo stomacho rischalda, e 'l fegato e la pietra rompe, e l'orina provoca. E 'l vitro è kaldo e àe a radere e a nettare e a mondare. E la calcina è kalda, e arustisce e abruscia e corrode la carne superflua, constrigne il fluxo del sangue, la quale, quando si lava, giova a l'arsura del fuocho. Il sale armoniacho è caldo, il quale fa aiuto all'uvola che cade e al dolore de la gola, il quale né lascia tranghiottire, e a la biancheza delli ochi. Nonhermysch è kaldo e fae rimedio a lo stomacho e al fegato freddi. Napra è kalda, la quale è congrua e buona all'asma e a la ventositade e, messa di sotto nel fondamento, uccide i piccholi vermini. La spiga indica, cioè de Yndia, è kalda la quale fa prode a lo stomacho e al fegato freddi e fae urinare. Ciperi caldi sono e secchi, i quali riscaldano lo stomaco e 'l fegato, e rompono la pietra, e giovano a la corruptione e a la putrefatione e al malo odore ke ssi fae nel naso e ne la boccha. Malegehra è kalda e seccha e aguza il vedere e l'orina provocha. Folium è kaldo e l'orina provocha e fae aiuto al tremore del cuore e a la febbre. Sandarahos giova a coloro ke sputano il sangue e a coloro ke ànno le moreci. Sel è kaldo, il quale giova al dolore de' nerbi e a la ventositade. Le noci del cipresso e le foglie del cipresso sono calde e pontiche, cioè laçe, le quali fanno aiuto a la rottura de la 'nguinaia, se di loro si fae empiastro. E 'l summac è freddo e seccho, e 'l ventre strigne, e lo stomaco aparecchia e dispone. Sidre è freddo e seccho e 'l ventre strigne. La carne de' granchi aiuta et è buona ai tisichi e fae crescere la sperma. Li ermodattili sono buoni a la podragha, cioè a le gotte, e acrescono la sperma. Scedauran è fredda e seccha, e ritiene il sangue, e conferma i capelli ke non cagiano. Sumbedegi, radendo, absterge e netta le concavità de' denti. Secacur, o secacul, è caldo e stimola il disiderio de la luxuria, la qual cosa le sue reni propriamente operano. La requilitia giova a la gola e al polmone mandando fuori le sue superfluitadi ke i· lloro sono, e ancora la sete e l'ardore dell'urina lieva. Sebesten la gola lenisce e lieva l'aspreza. Siselcus, essendo caldo, giova all'asma, a la rententione de l'urina e a l'emfiamento del ventre; e 'l parto fa più tosto venire ke non verrebbe. Sekebinegy è caldo, il quale giova a la grossa ventositade e a la pilensia e a la parlasia, e tollie la tenebrositade e oscurità delli occhi, e aiuta a la puntura delli scorpioni. La scamonea manda fuori fortemente la collera rossa e fa nocimento a lo stomaco e a le budella e al fegato. Arar è arbore, il cui fructo è kaldo, e provocha l'orina, e a lo stomacho giova. Assari, o ascardi, è freddo, il quale giova ai caldi apostemi e a l'arsura e a lo stomacho, quando a modo d'impiastro vi si pone suso. Achelcalibit è kaldo e giova a le fessure e a le fedite. Piretro è kaldo e giova al dolor de' denti e a le pustole, cioè a le bolle della boccha. Afur è caldo e giova a la morfea e al panno del volto. E 'l solatro è freddo e fae rimedio al fegato ardente. Curcuma è calda, la quale, conciosiacosak'ella rada, fae buono vedere e manda via l'albula dell'occhio, cioè il panno. Le giugiube sono temperate in caldeza, le quali la gola leniscono e puliscono levando via l'aspreza, e fanno il sangue kiaro, avengna ke pocho, ma elle sono gravi e fanno fastidio, e tardi discendono de lo stomaco. Fu è caldo e provoca l'orina. Felenge è caldo e seccho. E 'l fiele è caldo e giova al dolore de' nerbi. Fellite è caldo, la quale, conciosiacosak'ella rada e netta i panni, e le litigini grandi manda via. Farascinbucine, o farastrobione, o farastiri, è similliante a la brionia, e provocha l'orina e ' mestrui, e giova a la epilensia. L'argento è freddo e giova al triemito del cuore. Fufelemenie kalde sono e giovano a la kolica, cioè al male del fianco, e a la ventositade. Faufel è freddo, il quale vale alli apostemi caldi se vi si impiastra. Euforbio è kaldo fortemente, il quale manda fuori fortemente l'acqua dell'idropici e giova a la parlasia e a le somillianti infertadi e, posto ne l'occhio, aiuta le cateracte ke ssi cominciano. Feluzaaragi fae i capelli rigidi e forti. Il marobbio è kaldo e giova molto a l'ambascia dell'alito e a l'itiritia, cioè a la gialleza. Il mentastro è kaldo e seccho, il quale a la vecchia asma e a la difficultà e malagevoleza de l'urinare dae aiuto. (+i) Finocchio è di diverse maniere: dimesticho e salvaticho. Lo dimestico ke noi usiamo sì è caldo e seccho in secondo grado, e vale mellio per malatie rimuovere ke per nodrimento donare, k'elli dona mal nodrimento e mal si cuoce a lo stomaco. L'acqua ke ssi fae del finochio a maniera d'acqua rosata conforta il viso, e fae bene orinare, e rompe la pietra de le reni e de la vescicha. E tucte maniere di finocchi dimestichi e salvagi valliono a tucte febbri ke ssono lunghe e ingenerate di freddi e di grossi omori. E contra panno d'occhi e piççicore il sugo de la radice del finocchio in vasello di rame sia posto al sole per .xv. dì, e a modo di collirio sia messo nell'occhio. Contra piççicore delli occhi (è certo spermento) sia confetto aloe optimo con sugo di finocchio, e sia posto al sole per .xv. dì in vasello di rame. Poscia sia posto alli occhi a modo di collirio. Contra l'oppilatione del fegato, e de la milza, e stranguria, e vitio di pietra per freddo omore, sia data l'acqua de la sua dicotione. Anche questa medesima acqua, o vino, solve il dolore de lo stomaco per frigidità o ventosità, e conforta la digestione, e questa cosa fae il polvere suo. Pretosemoli sono caldi e secchi in terço grado e di sua natura nodrisce poco, ma elli fa bene orinare e distrugge enfiature e ventosità, e dona talento d'usare con femmina, e fa sudare legiermente, e vale a lunga febre e a ydropisia e al dolore de le reni e de la vescica. Crescioni sono di due maniere sì come di riviera e di campi. Quelli de' campi e de le coltora sono caldi e secchi nel cominciamento del terzo grado, e di sua natura conforta lo stomaco e le gengie, e fae buona veduta, e apre le vie del feghato e de le reni, e fae bene orinare. Quello de la riviera sì ssi tiene a questa medesima natura, ma non è sì caldo né ssì seccho. Ma di sua natura fae mellio orinare e rompe la pietra de le reni e de la vescicha, ma non dona sì buono apetito di mangiare come l'altro. Matricale sì è caldo e seccho e di sua natura conforta lo stomaco e dona apetito di mangiare, et è buono a usare a quelli k'ànno dolore ne la forcella per ventosità e per grossi omori, e uccide e caccia fuori i vermini ke nel ventre sono ingenerati. E ki 'l prende e fa pestare con grasso di porco ke non sia salato e póllo sopra ciccioni, sì li fae maturare subitamente. (i-) Pionia ai fanciulli k'anno il mal maestro giova, s'ella è apiccata loro sopra, overo di lei se ne suffomichino. La rubea è calda e provoca e fa venire l'orina e ' mestrui, e giova a la morfea bianca e a l'alboras se n'è impiastrata. Le concule marine arrostite, radendo, sì purgano i denti, e de le no arrostite trite si faccia impiastro, e pongasi a l'adustione, e a l'arsura del fuoco posto su giova e aiuta. Il sapone è caldo, il quale, ulcerando e viscicando e rompendo la carne, fa forte abstersione, e radimento, e stropicciamento. Aloe è kaldo, il quale, purghando la collera rossa, purgha il capo e lo stomacho e genera karne ne le fedite. Il gummo arabicho è freddo e 'l ventre strigne e giova a la corrosione de le budella e al loro scortichamento. Cordumeni è kaldo, il quale giova a l'epilensia, cioè al male maestro, e a l'asma e a la parlasia, e mette fuori del corpo li ascardi, cioè quella generatione de' vermini e de' mignatti, e fae rimedio a la puntura de lo scorpione. Il calamo aromaticho è kaldo e aiuta a lo stomacho e al fegato, se vi si pone per modo d'impiastro. Il cartamo è kaldo, il quale muove il ventre e la sperma acresce, ma a lo stomaco nuoce. Kytran è fortemente caldo e i mestrui muove e provocha, e la creatura manda fuori del corpo, e non lascia discendere l'acqua ne l'occhio, e giova a la scabbia e a la rogna, e muta la sperma, sì che di lui non si può generare creatura ne la matrice de la femina. Centaura purga il crudo flemma del corpo e giova al dolore de' nerbi e al male del fianco. (+i) Centaura sì è calda e seccha in terzo grado et è erba amarissima, e altra è magiore e altra è minore. Ma la magiore è di magiore efficacia e conviensi a la medicina principalmente secondo le foglie e ' fiori; onde, quando incomincia a ffiorire e fare fiori, dee esser colta e seccata i· lluogho ombroso, e con molta efficacia può esser servata per uno anno, e àe virtù duretica e comsumptiva. E 'l vino de la dicotione sua vale a l'oppilatione del fegato e de la milça de le reni e de la vescicha, onde, dice Galieno, ke la centaura è la più nobile e millior medicina a l'opilatione del fegato et è molto utile a la dureza de la milza impiastrata. Contra i vermi delli orecchi è messo nelli orecchi il sugo suo col sugo del poro. Anche ai lombrichi è dato il polvere suo cum melle. A kiarificare il viso de le radici de la centaura magiore sia mescolato coll'acqua rosata e li occhi ne sieno unti. Consolida magiore è di seccha e di fredda complexione, ma propiamente la radice sua è medicinale e àe virtù di constrignere la substantia grossa e servata per .v. anni. Il polvere, se dato ne' cibi, vale contra fluxo di sangue mestruo e contra fluxo del ventre, e, sopposto, vale contra fluxo di sangue mestruo. Tapsia è kalda e seccha in terço grado et è servata per tre anni, e truovasi in Arabia, e in India, e in Calabria, et è posta ne le medicine vomitive, e dee essere trita scalteritamente. E se aviene ke quindi sia facta emfiatione, sia fregato com panno messo in aceto. Tapsia è erba de' turtanni, imperò ke trita fae emfiare la faccia e 'l corpo come se fosse leproso et è curato con pupuleon e aceto e con sugo di sempreviva. Sempreviva e barba jovis è una medesima cosa et è erba così detta perké sempre è trovata verde, et è fredda in secondo grado, et è seccha in primo, e la verde è di molta efficacia, e la seccha non è d'alcuna, e à virtù d'infreddare. E le peççe intinte nel suo sugo e ne l'aceto, o in agresto, e poste sopra 'l fegato, molto valliono contra la sua caldeza e contra dolore per kagione kalda. Anche l'erba trita e sopraposta vale contro li apostemi caldi nel cominciamento a ripercussione de la matera, avengna ke poi noccia spessando la matera, vale contra arsura di fuoco o d'acqua calda, sia facto unguento del suo sugo e d'olio rosato e di cera, ma non dee esser facto ne' primi quatro dì, ma dee essere ricevuto il fummo de la sua evaporatione, onde in prima ungnamo con sapone, o con simili cose, poi col predetto unguento. Vale contra fluxo di sangue, lo quale, fatto per isbollitione sua nel fegato e a' giovani, ne la state faldelli intinti nel suo sugho si aposti a la fronte e a le tempie e al goço. (i-) Cuth è freddo e strigne il ventre. Cambil è caldo e mette fuori li ascaridi del ventre, cioè i mignatti. Kerse è caldo, e lo stomaco riscalda, e la nausca, cioè l'abbominatione, reprieme e mitigha. E 'l milliosolis è kaldo, il quale l'orina provocha e la pietra rompe. Kinya, overo cuna, è caldo e provoca i mestrui, e disolve la ventosità, e ingenera carne ne le fedite, e disolve e disfa le scruofole, cioè le gavine, ançi ke ssieno rotte. La cadimya de l'argento, cioè la sua spuma, è buona a la scabbia e a la rongna ke nasce nel corpo. (+i) Lapatio, cioè l'acetosa o rombice, è calda e seccha in terzo grado o in secondo et è di tre maniere: l'uno è acuto, il quale àe le foglie acute, e questo è più efficacie; et è alapatio dimesticho, il quale àe le foglie late, e questo più si conviene all'uso; et è rotunda, la quale àe le foglie rotunde e à virtù di disolvere e di relaxare e d'aprire e di sottilliare. Contra rogna il sugo de lapatio acuto e olio muscellino e pece liquida insieme bollano, poi sia colato. E a la colatura sia agiunto polvere di tartaro, cioè di gromma di vino e di filigine, e sia facto unguento, il quale è assai buono ai rognosi. E a la radice sua cotta con aceto è buona a la rogna ulcerosa e a la impetigine, e la dicotione con acqua calda è buona al piçicore; e anche la radice nel bagno è optima. Contra impetigine e serpigine sia fatta la dicotione del sugo de la lapatio e del polvere de l'aurpimento. A maturare l'apostema vale il lapatio rotundo trito e cotto nell'olio e co la sugna pesto. Contra stranguria e dissuria sia facta la dicotione de la lapatio nel vino e olio, e sia posto sopra il pettignone, provoca orina in molta quantità. L'acqua, o vino de la sua dicotione, vale contra l'opilatione del fegato e de la milza, contra le scruofole nuove sia facto impiastro da lapatio acuto e sugna trita insieme, e 'l sugo suo dato con melle vale contra lombrici. (i-)
L. IV, Index rubr.Qui cominciano i capitoli del quarto libro, il quale libro tracta del conservamento de la sanitade.
L. IV, IndexCapitolo primo. De la misura delli essercitii e faticha e de la dispositione del lor tempo. Capitolo secondo. De la misura del sonno e de le sue ore e del suo giovamento e del suo nocimento. Capitolo terzo. Del regimento del mangiare. Capitolo quarto. Del regimento del bere. Capitolo quinto. Del purgamento del corpo da le superfluitadi. Capitolo .vj. Di temperare le case e le magioni. Capitolo .vij. Di pronostichare i mali accidenti e di dirli dinançi k'elli signoregino e che elli creschano. Capitolo .viij. De l'operatione de' pensamenti de l'anima, cioè de l'operatione de' pensamenti animali. Capitolo .ix. Di conservare lo costume. Capitolo .x. Di torre la malitia de' salvatichi e rei nodrimenti. Capitolo .xj. Di levare e di torre il nocimento ke proviene del vino. Capitolo .xij. Delli altri beveragi ke ssi prendono i· lluogho del vino. Capitolo .xiij. Del giovamento e del nocimento del torre sangue e come si dee fare. Capitolo .xiiij. Del giovamento del purgamento e del suo nocimento. Capitolo .xv. Del giovamento ke viene del vomire, cioè rigitare, e del suo nocimento e come si dee fare. Capitolo .xvj. De l'avere a ffare con femina e del suo giovamento e nocimento. Capitolo .xvij. Del giovamento del bagno e del suo nocimento e come si dee fare. Capitolo .xviij. De l'abitudine del corpo, cioè grasseçça e magrezza. Capitolo .xviiij. Del giovamento e del nocimento de la fricatione de' labri ko le scorçe de le noci, e del suo nocimento e quando si dee fare. Capitolo .xx. Del conservamento de' denti. Capitolo .xxj. Da conservare li occhi e da farli chiari e sani. Capitolo .xxij. Da conservare l'udire. Capitolo .xxiij. Di guardarsi de l'enfermitadi e mali che passano d'uno in altro. Capitolo .xxiiij. De la mortalitade e de la sua cautela e guardia. Capitolo .xxv. Del regimento del corpo secondo i quatro tempi dell'anno. Capitolo .xxvj. De le femine pregne e de la conservatione de la sua sanitade. Capitolo .xxvij. De la malagevoleza del parto e del suo reggimento. Capitolo .xxviij. Del regimento del fanciullo. Capitolo .xxviiij. Di sciellere la baglia e del suo regimento. Capitolo .xxx. Del regimento dell'altre etadi e de la vekieça tardare. Capitolo .xxxj. Di considerare e provare kente è il medicho.
[L. IV, Incipit]Qui comincia il quarto libro.
L. IV, cap. 1 rubr.Capitolo primo. De la misura delli exerciçii e fatica e de la dispositione del loro tempo. Rubrica.
L. IV, cap. 1Chi vuole conservare e guardare la santade (+i) per lo corpo muovere e fatichare, si conviene k'elli sappia l'ora k'elli il dee fare e la quantità de la fatica quando ella sarà poca o assai. Ma perciò ke lli exercitii e le fatiche sono di diverse maniere, le quali conviene a l'huomo usare per bisogno e per suo pane guadagnare, sì come fabri, mastri di pietre o di legname e d'altri mestieri assai, de' quali noi non intendiamo a dire ke ciascuno lo dee fare secondo k'elli à costumato e ke sua natura li aporta, ma noi vi diremo delli exercitii e fatiche propie a la santade guardare e l'ora ke l'huomo il dee fare. E per faticare, (i-) è mistiere ke ssi muova e affatichi dinançi mangiare. E ciascuno dee usare movimento e faticha (quella ch'elli àe accostumata), il quale movimento e faticha non passino la sua força e 'l suo potere. (+i) E l'ora ke l'huomo dee guardare per faticare sì è quando la vivanda è cotta per tucti i membri e che la forcella cominci a dimandare la vivanda; e questa ora potete conoscere per orina ke, quando l'orina comincerae a ispessare e a avere um poco di colore, allora si comincia la vivanda a cuocere. E quando l'orina sarà um poco più tinta e più spessa, allora è la vivanda cotta e potete faticarvi e lavorare secondo la quantità ke noi diremo. E quando l'orina è infiamata di calore allora è reo il fatichare, perciò ke seccha il corpo e mette tucte le virtù a nneente; ké assai vale mellio l'afatichare e 'l travalliare, s'elli il conviene fare, di farlo quando la forcella è um poco piena, ke quando ella è tucta vòta, perciò ke 'l faticarsi quando la forcella è ben vòta fae il calore crescere e inforçare. Donde avengono febbri e altre malatie. E non intendete neente perciò ke, quando la forcella è vòta, ke elli sia reo travalliare e faticare, e ke, quando ella è piena k'elli sia buono, ke sopra tucte cose fae la faticha e 'l travallio male dopo mangiare, perciò k'elli fae atrare i membri la vivanda tucta cruda de lo stomacho onde molte malatie possono avenire e ingenerarsi. E non sia vostra intentione ke del tucto sia reo lo travallio e l'exercitio dopo mangiare, se non il forte travallio ke l'huomo può faticare e travalliare e andare dopo mangiare et è buono per la vivanda avallare. E poi che voi sapete de l'ora, sì vi conviene sapere de la quantitade. A la quantità dee huomo sapere tre cose, sì come di conoscere il calore del corpo, ké quando il calore scalda temperatamente i membri per lo travallio e non sì che faccia sudare, allotta è buono il travallio. (i-) E sia il suo movimento andare o essere portato. Il quale movimento e la quale faticha neuno presumi o ssia ardito d'usare sì llungamente k'elli perciò senta lasseza o molta graveza. (+i) La seconda cosa sì è il muovere, ché quando il corpo si muove legiermente e non si truova pesante allora è buono il travallio. La terça cosa sì è di guardare i membri, ké quando elli cominciano um poco a ingrossare e non affondare né a sudare allora è buono il travallio. (i-) Ma quando elli usa il movimento (e la faticha) del quale elli si sente già allassare, incontanente, lasciato il movimento e la faticha, si riposi innançi k'elli senta alcuna lesione o nocimento. E de la natura del movimento è ke, quando elli si fa dinançi al manicare, k'elli fa crescere il calore naturale. Per la qual cosa il cibo truova il calore naturale acceso e 'l corpo e la persona di cioe aquista grosseza e durabilità e forçe. E ancora con grande senno e opera è da observare ke colui ke vuole usare grandi movimenti e forti, e fatiche forti e grandi, k'elli in loro proceda a grado a grado e a ppoco a poco, tuctavia, salliendo, e k'elli non passi e vada di quiete e reposo subitamente a grande movimento. E se 'l suo corpo sarà grave o pesante e grande, sì si dee constringnere e fasciare ko una largha fascia. E di tutto in tucto si dee huomo guardare dipo mangiare da forte movimento e faticha e ke molto duri. E così come il movimento facto dinançi il manicare conserva la santade, così si truova ke genera infertà quando si fa dopo mangiare. (+i) E ancora è buona cosa ke ciascuno guardi il fatichare secondo la sua complexione, ké quelli ch'è caldo e seccho di natura e suda agevolmente nolli è né mica sì buono il travallio come a colui che àe contraria natura a questa. A quelli che ssono fieboli e che ssi lievano di malatie, dee esser più temperato il travallio ke a quelli ke ssono forti e visti. E perciò è buona cosa di guardare ke l'huomo faccia tucte cose secondo ke la sua natura può portare, ché ssì come dissero i filosafi tutti exercitii ke l'huomo fa oltre k'elli non dee e ke sua natura nom puote portare, conviene k'elli metta il corpo a nneente. E del riposare non diremo or più se non ke ki ssi sente pesante per travalio k'elli abbia facto, il riposo è la medicina. E ki ssae la medicina del travallio dee sapere la medicina del riposare. (i-)
L. IV, cap. 2 rubr.Capitolo secondo. De la misura del sonno, e de le sue hore, e del suo giovamento e nocimento.
L. IV, cap. 2Elli conviene ke l'huomo si sofferi del dormire tanto dopo 'l mangiare k'elli senta ke ssia disceso il cibo da la boccha de lo stomaco e senta la graveza e l'emfiamento menomare e giù discendere. È cosa convenevole e buona ke sse huomo sente ke 'l cibo tardi a discendere, k'elli usi d'andare bellamente tanto k'elli discenda. E ancora si dee l'uhuomo guardare di tornare e volgere d'uno lato in altro spesso, imperciò ke la digestione si ritarda, percioe se ne seguitano emfiamento di corpo e gorgolliamento. E similliantemente konviene ke 'l piumaccio sia più alto e maggiormente se 'l cibo non è ancora disceso da la bocca de lo stomaco. E l'uttilitade del dormire sì è k'elli lieva e toglie la faticha all'anima e la fa più sottile, e sottillia il pensamento e la ragione e lo 'ntellecto ke ierano grossi e quasi lassi e travalliati, e ancora mitiga la fatica del corpo, e fa milliore digestione, e ingrassa il corpo. E 'l molto dormire diseccha il corpo, e fàllo tenero, e crea e genera in lui moltitudine di flegma, e 'l raffreda, la qual cosa egli opera e fa magiormente ne' corpi grossi e grassi. E 'l molto veghiare inforça il calore e corrompe la forma, cioè la complexione, e 'l corpo diseccha e fa crescere i· llui la collera rossa, la quale cosa fanno magiormente in coloro ke sson magri. Onde conviene ke huomo non sia isforzato di veghiare quando huomo è lasso e disoluto e dormillioso, e non sia isforçato di dormire quando huomo è isvelliato e à la mente e lo 'ntelletto e il senno sottile, e 'l movimento lieve, e i senni e i sentimenti forti.
L. IV, cap. 3 rubr.Capitolo terço. Del regimento del mangiare. Rubrica.
L. IV, cap. 3Lo millior tempo e la milliore hora di manichare fie poi ke la feccia del cibo ke andò dinançi sì è giù discesa e la parte del corpo di sotto è alleviata, nella quale neuna tensione (o enfiamento) sia rimasa, e convenevol movimento sia andato dinançi, cioè sia facto, e l'apetito signoreggi. E ancora si dee l'uhuomo guardare di non tardare il manichare da che l'apetito e la vollia fie venuta, s'elli non avenisse ke ll'apetito fosse falso, sì come suole avenire alli ebbri e a coloro k'ànno fastidio, ke ànno vollia di manichare sança ragione per crudezza del molto beveragio ke ànno in corpo. Ma poi ke l'huomo ke non è ebbro komincia ad avere vollia e disiderio di manichare, e 'l cibo k'elli prese nel manichare ke andoe dinançi non fue né molto in quantitade né grosso, incontenente allora dee manicare sança neuno prolunghamento, imperciò ke questo è mellio; imperciò ke sse 'l mangiare si tarda tanto ke l'apetito si distrugha e vada via, il quale imprima iera grande e acceso, sì dee quel kotale allora prendere e bere sciroppo, il qual è kiamato juleb, o acetoso, o acqua calda, o elli dee tardare il manicare per una ora infino a tanto k'elli vomisca e rigitti, o vada a ssella, o ke l'apetito e la vollia del manicare reggha. Dipo la quale cosa e dipo le quali cose avenute dee l'uhomo mangiare. E dicemo ancora ke molto sì de' l'huomo guardare ke l'homo nom si empia sì del cibo ke llo stomacho perciò si discenda, o molto si gravi, o ll'alito si costringha e si faccia com pena. Per la quale cosa se alcuna volta questo avenisse, il cibo ke l'huomo àe preso si dee rigittare inançi ch'egli discenda giù al fondo de lo stomaco, il quale s'elli nom può rigittare, si dee allora acrescere il dormire e 'l movimento, acciò ke 'l cibo discenda o ssi cuocha mellio, e dee pilliare cose k'abbiano a muovere il corpo e a ffare uscire; il cibo ch'elli era acostumato di prendere nel die ke viene apresso, cioè la 'ndimane, dee essere meno. E dee l'uhomo, con grande studio, guardare e osservare ke ciascuno pigli i cibi k'elli àe acostumati di prendere e tante volte manuchi quante è acostumato di mangiare, se non fosse cosa ke la costuma fosse rea e perversa, da la quale allora si dee partire e mutarla a poco a pocho. La quale rea costuma non dee lasciare repentemente e subitamente, ma ordinatamente e a pocho a ppoco, cioè passando di quella rea a la buona. E nel mangiare si dee observare questo cotale ordine, cioè a ssapere ke quelli ke ssono sani manuchino almeno intra 'l die e la notte una volta, o al più due volte, o ke quello k'è più temperata cosa è mellio, cioè intra due dì tre volte, imperciò ke 'l manicare pur una volta il die nuoce a coloro ke ànno i corpi secchi e magri e manicare due volte il die nuoce a coloro ke àno i corpi loro grossi e grassi. E coloro ke molto si muovono e molto s'affaticano ànno mestiere di più cibo e di più grosso; e a coloro ke ssono contrarii a questi cotali convengono e sono buone le contradie cose a queste ke ora sono dette. Per la qual cosa la costuma di ciascuno huomo si dee considerare e dêsi domandare il quale cibo li è buono e convenevole, imperciò k'elli adviene spesse volte ke alcuni cibi ke ssono rei a alcuno fieno convenevoli e buoni, dai quali egli non si dee guardare sì chome gli altri huomini. E forse adiviene anchora che alcuni cibi che ssono buoni ad alcuni fieno rei, da' quali elli si debbono guardare del tucto in tucto. E s'egli aviene ke ssieno alcuni cibi convenevoli a alcuno, i quali cibi elli disidera e, advengna k'elli sieno meno buoni, sì li dee l'uhuomo dare e concedere a l'apetito e al disiderio, se cosa non fosse k'elli fossero del tucto in tucto pessimi. Ma tuctavia non dee l'uhomo sempre usare mali cibi e rei, per la qual cosa s'elli avenisse ke alcuno questo avesse facto, cioè d'usare sempre mali cibi, sì dee elli usare medicine ke mmuovano e ke facciano uscire e ke ssieno achostumate di muovere quelli cotali homori ke fossero generati di quello cotale cibo, o cibi. E quando elli manucha quello cotale cibo, alcuna cosa dee mangiare con esso o bere dop'esso, ke quello cotale temperi e faccia meno reo, sì kome noi diremo, se piacerà a dDio. E la cagione per ke la digestione è rea e k'ella si corrompe sì è perké molti cibi e diversi si prendono e manuchano in una ora, e perké 'l cibo grosso si manuca e prende dinançi al sottile, e ké molti cibi si prendono kol brodo, nel quale sono li minuzoli del pane, e ancora se grande dimorança è intra 'l cominciamento del mangiare e la fine. E conviene ke 'l cibo ke l'huomo prende di verno sia caldo actualemente, cioè caldo a tocchare, nom troppo freddo, e ne la state attualmente freddo. E dêsi l'uhuomo guardare e sofferire da' cibi molto caldissimi, sì come sono quando si lievano dal fuocho, e da quelli ke ssono molto freddissimi, sì come quelli che ssono raffreddati sopra la neve, i quali niuno dee usare, imperciò ke in neuna maniera dee l'uomo usare il cibo raffreddato sopra la neve, se non nel tempo del gran caldo, cioè quando il corpo fosse quasi infiamato. E le millior hore a prendere il cibo sono l'ore fredde, le quali se avere non si possono, almeno le magioni e le case sieno fredde. E somilliantemente sieno l'ore del mangiare tali, dopo le quali l'uhomo possa dormire o riposarsi. E i fructi ke l'huomo dee mangiare al mangiare dee l'uhuomo prendere dinançi a ongne altro cibo, s'elli non fossero di quelli cotali ke ne lo stomacho fanno gran dimoranza, ne' quali è punticitade (cioè laçeçça) e acetositade, sì come sono mele cotogne e pome e melegrane. E s'elli avenisse ke di questi, per kagione di medicina, volesse pilliare um poco, manuchine. Ma tuctavia in conservare la santade giudica l'uhuomo d'esser mellio di lasciare tucti i recenti frutti, o almeno ke l'homo di loro prenda piccola quantitade, o de' quali, s'elli aviene cosa ke molti se ne prendano e mangino, sì v'è da ssocorrere co le medicine ke ffacciano uscire e chol movimento. E ancora è diligentemente da observare ke l'huomo non usi i fructi ricenti se non in quel die nel quale elli avesse usato molta faticha e quando ne lo stomaco si sente arsura e ardura, imperciò k'elli è konvenevol cosa ke in questa cotale ora e dispositione i fructi ricenti si manuchino sì come sono fichi, uve, pere, grisomule raffreddate ne l'acqua. E poi k'elli avranno manicati i predetti fructi, alcuno poco stante, manuchino i cibi k'elli debbono mangiare. E con gran senno e grandissima opera dee l'uomo guardare ancora dal fastidio, cioè ke l'huomo non si riempia e satolli sì k'elli abbia fastidio. E se alcuno avesse fastidio in quello medesimo die menomi il cibo, e somilliantemente nel sequente die prenda meno e più lieve cibo. E s'elli aviene cosa k'elli abbia avuto fastidio per molti die, sì dee pilliare e bere medicina tale ke non muova troppo, sì come quella ke ssuole lo stercho mandare fuori, e suole mondificare e nettare lo stomacho e le budella e i forami del fegato, sì come la trifora minore, la quale riceve in sua confettione la pigra e turbitti, o le pillole ke ricevono spetie di buon odore, o pillole confette di mastice e d'alloe, o diacithonyten laxativo, cioè ke nmuove, confetto, o lattovario laxativo di datteri o seriebezen, e somillianti a questi. E sono ancora huomini ne' quali si digerono e cuocono bene i grossi cibi e si corrompono i cibi sottili ne' loro stomachi. E dunque dee l'uhuomo dare a questi cotali i cibi ke non si corrompono ne lo stomaco e che ssi digerono e cuocono. E le cose contradie a queste sono da dare a coloro ke ànno la dispositione contraria a questa. Et espedisce et è utile cosa ke più di quello nodrimento, nel quale corruptibile generatione d'alcuno omore si suole multiplicare, faccendoli nocimento, sia contrario a questo homore e non lasci generare.
L. IV, cap. 4 rubr.Capitolo quarto. Del regimento e regola del bere. Rubrica.
L. IV, cap. 4Nel regimento del bere questa regola si dee observare: ke neuno a digiuno bea acqua a ttavola se nom poi ch'elli avrae manichato e le parti del ventre e del corpo di sotto sieno alleviate. E s'elli la volesse usare per kagione di ripriemere e di mitighare la sete, non ne pigli a ssatietade, ma pilline poca poi che le parti del ventre di sopra sieno alleviate, sì come detto primieramente, e 'l cibo da llui fie desceso. E ancora con somma e grandissima opera sì dee l'uhomo guardare ke niuno non beano troppa acqua e ch'elli non prendano acqua a tavola se non fredda, imperciò ke quando ella fia fredda, piccola quantità di lei fie assai. E ancora dall'acqua de la neve si debbono guardare quelli ke ànno i nerbi deboli e che ànno lo stomaco e 'l fegato freddi, e coloro i quali ne la loro digestione truovano diversitade, e colui la cui anima (e corpo) si vede debile e quasi consumpta. E quelli non dee avere alcuna paura de l'acqua il quale è pieno di carni, e che à molto sangue e molta collera, e 'l cui appetito è forte. Imperciò ke niuno digiuno dee bere l'acqua, se non quelli che à grande ardore o colui ch'è ebbro. E ancora si dee ciascheduno digiuno guardare k'elli nom bea subitamente molta acqua fredda o dopo 'l bagno, o dopo 'l coyto, o dopo forte movimento e fatica, il quale movimento e fatica fanno l'alito spesso e forte. Ma s'elli aviene k'elli ne bea, si ne dee bere pocha e poca insieme, la quale cosa elli dee fare infino a tanto ke quello accidente si parta e k'elli si spengna la sua impressione. E ancora l'acqua no è da bere la notte se la sete è falsa e bugiarda; e sengno k'ella è falsa è ke colui che à la sete è ebro, o k'elli abbia beuto tanta acqua ke lli dee bastare dinançi k'elli dormisse, sì com'elli era acostumato. La qual cosa s'elli aviene ke alcuno bea molta acqua, e ke la sete cresca, sì ssi dee sofferire di lei bere e dee sofferire molto la sete, imperciò ke tosto si partirà la sete. E l'uhuomo vòto e famelicho non dee bere vino né dipo cibo aguto, né dipo bangno, né dipo forte movimento, né dipo satolleza e pieneza de' cibi se non poi ch'elli sieno giù discesi de lo stomaco, né dipo la crapula, cioè empimento di cibi. E ancora non dee huomo pilliare tanta quantitade di vino ke perciò lo stomacho se ne gravi o ssi discenda, se non quando alcuno si volesse medicare dipo 'l suo bere, cioè volesse reddere. E ciascuno dee scielliere quello vino ke lli è più convenevole secondo ke noi dicemmo, imperciò ke 'l vino si diversificha ne le sue spetie in molte maniere. E i· neuna maniera dee l'uhuomo usare spessa ebbreza, imperciò ke l'ebreza genera pessime e ree infermitadi, avengna ke una ebbreza o due nel mese fanno aiuto e giovano s'elle non sono continue, cioè l'una lungo l'altra. Sia, dunque, lo 'nchinamento di ciascuno huomo a llui e da llui, secondo ke a llui è più convenevole, imperciò ke ssono alcuni ke in neuna maniera sança vino possono digerere o cuocere il cibo; e alcuni sono i quali il vino grava, e ne' quali col vino il cibo si corrompe, e mena tosto la febbre a coloro e fa venire ai quali fece kalore o repretione.
L. IV, cap. 5 rubr.Capitolo quinto. Del purghamento del corpo da le superfluitadi.
L. IV, cap. 5Molto si conviene studiare ke 'l corpo stea netto da le superfluitadi, la qual cosa si puote fare con solutione e movimento di korpo, e com provocatione d'orina, e con movimento et exercitio, imperciò ke ciascuno di questi manda fuori del corpo alcuna spetie di superfluitade. Per la qual cosa se noi troviamo l'egestione, cioè l'uscita, pocha e piccola, per comparatione de' cibi ke homo avrae presi, e ancora minore ke non solea essere, sì dobbiamo muovere il corpo kon alcuna cosa ke temperatamente questo abia a ffare. E somilliantemente se ll'urina è meno k'essere non dee, temperatamente la dobiamo provocare con cosa ke faccia orinare, la qual cosa farano il vino sottile, e 'l sciroppo acetoso, e seme di melloni e di cedrini, e appio, e finocchio, e cocomeri, e cetriuoli, e melloni, e altre cose simillianti a queste. E quando quello ke si suole mandare fuori per sudore menoma, e ke gram tempo è già passato ke noi non abbiamo usato grande fatica et exercitio, né ll'aria, ove noi siamo, no è caldo, sì dobbiamo provocare il sudore e fare venire con exercitio, e fatica, e bagno. E s'egli aviene cosa ke noi usiamo cibo ke abbia a generare collera rossa, sì dobbiamo pilliare kosa ke temperatamente la mandi fuori e la purghi, sì come sono mirabolani citrini, e susine, e tamarindi, e siero, e sugho di melegrane trite co la sua polpa. La qual cosa se elli aviene ke, per cagione d'errore, noi questo avessimo lasciato a ffare tanto ke ne' nostri corpi fosse ragunata grande quantitade di questo homore, allotta converebbe ke noi usassimo più forti medicine, le quali noi nomineremo e diremo ne la parte e nel tractato ove insegneremo guerire l'emfertadi, cioè ne· lluoghi più degni di loro nominarle e dirle. E allora converrà ke noi usiamo forte medicina, sì chome fanno quelli che medicano l'enfertadi e i mali e non sì come coloro ke conservano la santade. E se 'l cibo suole generare collera nera, sì dobbiamo pilliare mirabolani indi e polipodio et epithimo. E se homori, cioè flegma, suole generare, si conviene usare trifora minore ke rriceve ne la sua confettione pigra e turbith o lactovario facto di turbith, e di gengiovo, e di çucchero. E se noi vediamo ancora lo stomaco quasi stupefacto, o sança sentimento, e che la virtù de l'apetito e del disiderio e de la vollia del mangiare e del bere sia quasi distructa, e ke l'huomo non à appetito e non disidera se non alcune cose acute, e ' cibi il gravano, e propiamente i dolci e lli unctuosi, sì dobiamo allora provocare e fare venire il vomito in questa maniera: imprima manuchi cose salate, e senape, e bietole, e rafano, e poi bea sciroppo acetoso, o ydromel, o medicine le quali solliono purgare temperatamente, le quali noi abbiamo nominate. E se noi vegiamo alcuna volta il corpo grave al movimento, e infiato, e 'l suo colore rosso, e caldo a toccare, vegiamo le vene piene et elevate, sì dobbiamo tostamente torre sangue e menomare le quantitade de' cibi, e sforçeremo di lasciare carne e vino e tucte le cose dolci, e sforçerenci ke tucti suoi cibi sieno ponthici o acetosi, la quale cosa tanto si convien fare lungamente ke tucti i predetti accidenti si cessino e vadano via. E ancora li homini e le femine quando ànno vollia di fare insieme la bisogna, sì facciano e non contrastieno a la natura. E ancora sono certe altre cose ke con gran diligentia si debbono fare, sì come fregamento di denti e de le gengie e de' labri co le scorçe de le radici e de le noci, e gargarismi, e starnutamento in alcune ore, imperò ke neuna de le superfluitadi dee l'uhuomo ritenere, imperciò ke per ritenere troppo l'orina, sì aviene difficultade e malagevoleza d'orinare, e vengono per quella cagione l'emfertà ke ssogliono avenire a la vescicha e a le sue parti. E l'egestione, cioè l'uscita, quando si ritiene, genera ventositade e thenasmo, cioè una infertà per la quale huomo ponta spesse volte per fare e nom puote, e à melancolia, e se distruge o perde l'appetito e 'l disiderio del mangiare e del bere, e aviene fastidio.
L. IV, cap. 6 rubr.Capitolo sexto. Di temperare le case e le magioni.
L. IV, cap. 6Conviene attendere e guardare ke in questi luoghi non sia tale caldo per lo quale il corpo si risolva e si distrugha in sudore, e in humectatione, e in acqua, e ke 'l freddo non sia tamto ke perciò il corpo si ratragha e s'arricci, e la terra non sia humida, né molle, né molto seccha, e non sia sordida e lordosa, né molto polverosa, ma sia mezana intra queste dispositioni, la qual cosa sarà se 'l luogho ordo e polveroso s'innaffia e arrossasi d'acqua, k'elli da llei riceva temperamento; e se 'l luogo è molle, sì ssi seggha sopra i letti e ne' palchi. E le case e le magioni temperate, sì com'è detto, giovano e sono buone a coloro e a quegli corpi la cui santade è perfetta e la chui natura è temperata. E ai corpi che ànno la dispositione contradia a questi, cioè ke ssono magri e collerici, sì ssono buone le magioni molli e humide, se con questo sieno ancora fredde. E le magioni e case secche e calde, le quali con questo non abbiano mollezza né humiditade, giovano e son buone ai corpi ke ànno la dispositione contradia a questi, ai quali quelle, le quali sono diverse da queste, fanno nocimento. E ancora si dee diligentemente guardare k'elli non vi si senta reo odore, il quale s'elli avenisse ke vi fosse, (+i) sì ssi conviene argomentare e procacciare di melliorare e di rimuoverlo co le suffumigationi e suffumigi buoni e utili a ciò rimuovere. (i-)
L. IV, cap. 7 rubr.Capitolo septimo. Di pronosticare i mali accidenti e di dirli dinançi k'elli signoregino o k'elli creschano.
L. IV, cap. 7Questo capitolo delli elimenti di conservare la sentade è nobile, e sarebbe assai convenevole cosa ke nnoi in lui moltiplicassimo le parole e guardassimo e ponessimo mente a quelle cose ke i· llui sono da considerare infino all'unghia. Ma perciò ke noi non volliamo trapassare la 'ntentione di questo nostro libro, i· neuno de' suoi capitoli faremo dimorança, ponendo poche somme e agregationi, cioè dicendo brievemente e in somma le cose che ci sono a dire. Diciamo, dunque, ke quando il dolore del capo è forte e fermo e stabile è dolore di capo, il qual è kiamato migranea; è da dottare ke ll'acqua non discenda alli occhi e si dilati e allarghi la pupilla, cioè il ritondo de la luce. Per la quale cosa se il dolore del capo, lungamente perseverando, gravemente infesta e assalisce e non si puote levare e guerire con medicine, sì ssi dee soccorrere a la 'nfertade, traendo fuori l'arterie ke ffanno polso e battono ne le tempie. E 'l salto del volto, cioè il movimento de' lacerti, nel quale movimento alcuna volta si muove la buccia e cotenna k'è giunta e apiccata a quelli cotali lacerti, se quello cotale salto, lungamente dimorando, s'elli è molto e forte, sì mostra il torcimento de la boccha, cioè quella infertade sì prociana chome se incotanente dovesse assalire e venire. Dumque, poi ke l'huomo sentirà questo avenire e komincerassene a avedere, sì ssi debbono dare medicine fortemente solutive, cioè forti a ffare uscire, e vomiti, cioè cose e medicine a ffare reddere. E 'l volto si dee fregare e strupiciare con forte aceto ke ssia fatto di vino, nel quale mentastro sia cotto. E 'l manicare si dee dare piccolo e del tucto in tucto si dee ancora abstenere dal vino, e dee usare forti medicine da purgare e forti fricationi, e strupicciamenti, e gargarismi, e starnuti. E 'l salto di tucto il corpo, molto e lungamente durando, si pronosticha e indovina spasmo, cioè contratione e ritraimento di nerbi. Dumque conviene, quando questo aviene, fortemente evacuare, e votare, e freghare, e stropiciare il corpo, e sottilliare il regimento, cioè dare meno cibo e più sottile e lieve. E dovrannosi dare le medicine kalde, le quali noi nomineremo e diremo nel suo capitolo. Stupore e adormentamento de' membri si pretende e significa parlasia a venire, cioè quella infertade. Per la qual cosa quando averrà il regimento si dovrà sottilliare, cioè dare meno a mangiare e cose più lievi, e 'l corpo si converrà evacuare co le medicine acute, le quali noi diremo nel capitolo de la parlasia. E rosseza del volto e delli occhi, e manifestamento de le vene in loro, e discendimento di lagrime, e impotentia di nom potere vedere la kiareza e lo sprendore del lume e de la luce, tucte queste cose, s'elle sieno con grande e forte dolore di capo, sì ssignificha e pronosticha di venire firnesia. Per la qual cosa è da soccorrere col torre sangue e con medicina ke faccia uscire, e 'l capo si vorrà infondere e mollare con olio rosato mescolato con aceto, e tucto il corpo si converrae raffreddare. Incobus, cioè quel male nel quale pare ke di notte huomo abbia una fantasima in sul pecto e nom possa favellare, e vertigo, cioè quel male quando pare ke 'l mondo si giri intorno intorno, se questi due mali lungamente perseverranno o ssieno forti, sì dimostrano e significhano a advenire epilensia, cioè il male maestro. No è, dumque, da avere neghienza che a quelli cotali noi non socorriamo con quelle cose ke noi diremo nel capitolo de la epilensia. Tristitia sança manofesta cagione lunghamente durante, e malignitade di cuore, e disperamento significano malitia, per la qual cosa è da ssoccorrere sì come noi diremo. E quando a alcuno pare le vegha quasi mosche volare o peli stare dinançi agli occhi, o elli vede intorno a quelle cose k'elli riguarda fummo o vapore, sì ssi dimostra cominciamento di discendimento d'acqua. E questo dee l'uhomo considerare diligentemente, sì come noi diremo nel suo capitolo, e si dee huomo afrettare di medicare. Rema e coriça, cioè acqua per lo naso, se spesse volte averrano, fia da temere e da avere paura di tisichezza ke non vengha, o asma di petto, o infertadi al polmone, per la qual cosa incontanente sia da soccorrere. Molto sudore e lungamente perseverante significa repletione del corpo e de la persona, onde sarà da soccorere col torre e scemare sangue e col poco cibo. E se 'l sudore fie di reo odore, sì significherà ke la febre sia vicina e procciana. Per la qual cosa si dovrà dare quelle cose ke ànno a purgare la collera rossa. E 'l tremore del cuore spesso e forte si protende ' singnificha la morte subitana a avenire, per la qual cosa si de' soccorere col torre sangue e co le medicine ke muovano il ventre leggiermente. E quando l'uomo è troppo ripieno, si ffa paura de la 'nfertà emothoica (cioè de lo sputare del sangue) nel tempo ke è a venire e de l'appoplesia e de la morte subitana, onde incontanente si conviene soccorrere ko la flebothomia, cioè kol torre sangue. E se elli aviene ke l'huomo abbia turbamento de' senni e de' sentimenti, e deboleza de' movimenti, e sieno con repletione, è da avere paura ke non sopravegna appoplesia, cioè quella infertà ne la quale parendo ke huomo dorma spesse volte muore. Dumque è da ssoccorrere ko la flebotomia e col gargarismo. E se graveza fie nel lato diritto presso a le costi di sopra, overo di dietro (cioè a ssapere ove le coste sono meno), e puntura e discendimento, sì ssegnificano male di fegato, onde sia da ssoccorrere, sì come diremo nel suo capitolo. L'egestione, cioè l'uscita, più tinta ke non suole sì significa yteritia. E 'l volto e le palpebre e l'estremitadi se ffieno emfiate sì pronostikeranno ydropisia. E quando elli viene puço dell'uscita, sì dimostra fastidio e graveza k'è ne le vene. E 'l puço k'è nell'urina sì ssignifica putrefatione e ke ffebre dee venire. Lassezza e dissolutione con distructione d'apetito sì ssignificano febre. E distrutione de la virtude apetitiva, e nausca e abominatione, sì ssignificano kolica, cioè il male del fianco. Dunque è da soccorrere con lungho sonno e dormire e com poco mangiare, e poi co le medicine ke ivi noi nomineremo e diremo. Gravitade e discendimento ne le parti del ventre di sotto e ne le budella, com permutamento de l'urina da la sua dispositione, sì dimostra nocimento kominciato ne le reni, per la qual cosa tosto si dee soccorrere. Ardore d'orina, lungamente perseverando, avrae pustole, cioè bolle, ne la vescicha e ne la verga. Dunque fia da ssoccorrere sì come noi diremo nel suo capitolo. E l'uscita molle ke ffa adustione, e arrostiscimento, e ardura, e pugnimento nel fondamento di socto, sì ssingnifica ke dee venire la disinteria, cioè menagione con sangue. Dunque è da ssovenire e soccorrere. E piççicore nel fondamento singnifica ke verranno le morici, se quello non aviene per cagione di molti vermini piccoli ke ivi sieno e per moltitudine de adennenul, cioè di quelli apostemi ke ssono kiamati carbuncoli, sì ss'à paura ke non venga alcuno grande apostema. E de molti nodi sì nasce suspictione e paura di grande colletione e apostema. Morfea bianca mostra paura de albaras bianca, cioè di quella infertade. Molta rossezza di volto con offuscatione, cioè torbideza di colore, e angoscia d'alitare, e kon rakeza di boce, fanno avere paura di malattia e lebrosia, la quale già è cominciata a venire. E se alcuna de le dispositioni del sano, sança quello k'è acostumato, sarà mutata, cioè a ssapere se l'appetito è più forte o più debole ke non suole, o ke quelle cose ke escono del corpo sieno più o meno ke ssolliano, o ke 'l sonno e 'l dormire sia più lungo e più brieve, o agittamento, cioè gittamento di qua in là, o ke non possa dormire, queste avengano, o sudore non acostumato di venire li esca del corpo, o ke quelle cose ke ssolliono uscire del corpo si ritengano, sì come il sangue de le morici e de' mestrui, o vomito di sangue, il quale era acostumato di venire in certi tempi, o ssangue ke solea uscire del naso, o ss'egli si fae disolutione di tucto 'l corpo, o pigreza ne le ginocchia, o ne la boccha si senta strano sapore, o che quelle cose facciano dilettatione ke non solieno fare, o 'l contradio a questo advengna, o ke alcuno si senta crescere o menomare la voglia de la luxuria, o ke nel dormire advengha sogno tale kente avenire non solea, o ke 'l colore del corpo si convertisca d'uno in altro o ssi muti, o 'l toccamento altrimenti ke ssoglia, e a la perfine, quando alcuna cosa ke non sia acostumata d'avenire averrà e dimori lunghamente e comincia ad crescere, si pronosticherà infertà futura, cioè ke dee venire, per la qual cosa la chagione di ciascuno de' predetti si dee investigare, e inchiedere sottilmente, e ffestinare, e tosto mettervi consiglio a la sua santade. E se alcuna volta l'uhuomo vedrae repletione nel corpo d'alcuno, incontanente si dee flebbotomare, cioè torre sangue, e 'l manicare menomare. E se la signoria e l'abondanza d'alcuno omore aparisse incontanente, se à ' soccorrere col purgamento di lui e co le medicine ke quello cotale homore solliono trare fuori del corpo, e ancora se alcuna infertade com periodo (cioè con revolutione e cercuito), sì come terçana e quartana e cotidiana, congnosciuta suole avenire, sì ssi dee flebotomare ançi ke vengna l'ora del parossismo, o è da dare quella cosa ke faccia assellare. E tucte l'altre cose ke averranno dopo l'avenimento de la 'nfertade si debbono fare ordinatamente, sì come noi diremo ne' suoi capitoli se dDio piacerà.
L. IV, cap. 8 rubr.Capitolo .viij. De l'operatione de' pensamenti dell'anima, cioè de l'operatione de' pensamenti animali.
L. IV, cap. 8Qualumque è quelli il quale di quelle o per quelle, cioè de' pensamenti animali o per li pensamenti animali, faccia l'anima (cioè il cuore e la mente) gaudere e rallegrare, o qualunque di queste operationi fa queste cose, sì dae força e vigore a le virtudi del corpo, e muove et excita la natura ne le sue operationi, e giova a tutti quelloro ke ssono sani, se non se a coloro ke ànno mestiere di dimagrare, imperciò ke ssono troppo grassi, ai quali non sono sani daché sono troppo grassi. E per contrario intendi e dei intendere di quelle cose e operationi animali ke fanno atristare, imperciò ke quello che fa tristare e dà ira e tristitia fae nocimento a tutti sani, se non se solamente a coloro ke ànno mistiere di dimagrare.
L. IV, cap. 9 rubr.Capitolo .ix. Di conservare lo kostume e l'usança.
L. IV, cap. 9Elli vi conviene observare e guardare il costume e quello ke l'huomo àe acostumato di fare (e secondo quella cotale regula andare ke l'huomo àe acostumato ne la sua vita), se cosa non fosse ke quelle cotali costume fossero pessime. E quando avenisse k'elle fossero cotali, cioè pessime e molto ree, allora conviene ke l'huomo si parta da lloro a poco a poco e ordinatamente. Per la qual cosa ciascheduno si dee bene guardare k'elli non si rechi a costuma d'alcuna cosa, la cui costuma li conviene servare, del cui observamento elli patischa distretta e constrignimento, sì come s'alcuno usasse sempre un cibo o alcuno beveraggio solamente, o da lloro di tucto in tucto s'astengha e si guardi, o sse dormire o assellare o muovere o avere a ffare con fenmina s'acostumi, o elli sia costretto da alcuno di questi gravemente, cioè ke nom possa fare secondo ke ssuole, grande nocimento line averrà se da questi s'astiene. Per la quale cosa ciascuno dee sì ordinare e disporre il suo corpo k'elli possa sofferire e chaldo e freddo, e k'elli sia aconcio a' cibi e a' movimenti e a le fatiche ke lli sono mestieri, e ke elli possa mutare le magioni e le case e l'ore del dormire e del veghiare sanza nocimento, e forse a alcuno conviene questo fare di necessitade.
L. IV, cap. 10 rubr.Capitolo .x. Di torre la maliçia de' salvatichi nodrimenti.
L. IV, cap. 10Quelli è più salvo e più sicuro de' mali cibi ke nogli usa. E s'elli aviene cosa ke alcuno li usi, si dee prendere medicina laxativa ke purghi quello cotale omore ke è generato di quello reo cibo, o cibi. E molte volte alcuno scamperà del loro nocimento e ke di quelli cotali mali cibi può venire, s'elli sae temperare e aconciare. Et elli si possono temperare se dinançi a lloro, o dipo lloro, si manuca alcuna cosa ke ripriema e attuti la loro malitia o, digerendo e cocendo nel corpo, rechi a temperamento; sì come se alcuno ama le cose dolci, le quali li facciano male, sì bea dop'esse sciroppo molto acetoso, o aceto con acqua, o elli mangi dop'esse melegrane e acetose, e a la perfine ogne cosa acetosa, e comincisi a torre sangue e de' pilliare medicina ke purghi la collera rossa. Ma quelli che ama i cibi acetosi, sì come carne cotta con aceto, e alkarys, e kalmosos, e simillianti a questi, del mangiare de' quali elli prenda nocimento e riceva, dop'essi manuchi mele e bea vino vecchio e potente. E quelli ai quali nocciono le cose untuose e ' cibi unctuosi, si dee mangiare dipo lloro cibi stitichi, e amari, e salsi, e agri, sì come sono lenti e ghiandi, e almury, e garus, e kauguanuch, le quali si condiscono con sale, e cipolle, e agli. E quelli ai quali queste cose e queste vivande e cibi nocciono sì debbono raffrenare la loro malitia e amendare coi cibi unctuosi e humidi e solutivi. Ma koloro ai quali i grossi cibi sono rei, sì come è il frumento kotto koll'acqua sança altra cosa, o kol lacte, e simillianti cibi, e di loro manucano, sì debbono, dinançi loro e dipo lloro, bere um poco de almuri, e conviene loro più muoversi e faticarsi, et è convenevol cosa di prendere del tricon piperon e del diacimino. E s'elli avenisse cosa ke nn'avessero molto manichato, sì debbono muovere il corpo con forte medicina ke purghi flegma. E se alcuno è acostumato di sentire e di sofferire graveza nel fegato o pugnimento per lo mangiare de' grossi cibi, sì bea assiduamente e spesso sciroppo acetoso, fatto con molte radici e con molti semi. E se ancora alcuno avesse manicato molto di fructi ricenti dipo 'l mangiare de' dolci, sì prenda sciroppo acetoso, sì come sono rotab, cioè datteri molto molli, e musa, e co melloni dolcissimi e fichi; e dipo 'l mangiare de' cibi stitichi e fructi stitichi e acetosi bea ydromel. Se cosa non fosse k'elli perciò li avesse manichati ke ssi volesse medicare, cioè reddere o uscire, depo ' quali s'elli facessero emfiamento, sì ssi conviene prendere diacimino e vino forte e possente bere ke ssia vecchio, e acqua ove sieno cotti semenzi a cciò valevoli, e simillianti cose. E dipo i fructi secchi e di quelli de' quali tanto solamente quel dentro si manuchi, i quali solliono riscaldare coloro ke lli manucano, è konvenevol cosa e utile di bere sciroppo acetoso e dicotione ke ssi fanno de' sughi di fructi acetosi cotti a spessitudine, e dee manicare cibi acetosi. E dipo ' fructi ke ssolliono emfiare e torre l'appetito, mina o muna si dee prendere (o muna ke ssia), et è sciroppo di sugo di mele cotongne e melegrane e dolce e acetose. E poscia manuchi diacimino e diatrithon piperon e gengiovo condito, e l'acqua grossa, ke tardi discende de lo stomaco, non si dee prendere né bere sança vino. E ancora se alcuno avrae bevuta l'acqua troppo spesse volte, konviene ke ssì spesse volte entri nel bagno infino k'elli sudi e cominci a pilliare le medicine ke abbiano ad solvere e a muovere il ventre, le quali noi nomineremo quando noi tratteremo de l'enfertadi de' nerbi.
L. IV, cap. 11 rubr.Capitolo .xj. Di torre via il nocimento ke proviene del vino.
L. IV, cap. 11Se 'l vino à a riscaldare il fegato e tucto il corpo, sì è da bbere molto inacquato, dipo 'l quale sono da manicare le melegrane acetose, e l'acetositade del cederno, e le somillianti cose (o cibi) a questi ke ssono detti. Et elli è allotta da bere quando huomo avesse mangiati cibi acetosi, sì come quelli cibi ke ànno mescolato seco il sugo dell'uve acerbe e simillianti a questi. E se alcuno per lo vino avesse grave dolore di capo, non bea vino se non kiaro, il quale sia molto inacquato, e quando elli àe voglia di berlo, sì manuchi mele cotongne e simillianti cibi ke abbiamo stipticitade, cioè lazeza. E apresso poi k'elli avrà bevuto, sì usi cibi lievi ne' quali sia stiticità e spegnimento di vapore, sì come sono cibi raffreddati ke abbiano il sugo de l'uve acerbe e somillianti a questi. E se alcuno àe il ventre infiato, o v'abbia dolore, sì bea vino puro e poco mescolato, col quale elli non manuchi neuna cosa ke abbia grosseza, né dipo llui manuchi.
L. IV, cap. 12 rubr.Capitolo .xij. De' beveragi e sciroppi ke ssi prendono i· lluogo del vino.
L. IV, cap. 12Il vino riscalda lo stomacho e 'l fegato, e dissolve e disfa l'enfiamento, e 'l cibo digere e aiuta a cuocere, e l'orina provoca, e 'l ventre solve e fa muovere, e sanza questo letifica l'anima e fa gaudere. E noi non troviamo ancora questo sezaio modo de la bontade del vino in alcuno ke tenga i· lluogho del vino e ke i· lluogho del vino compia, ma nelli altri modi alcuna volta si possono trovare alcune cose ke possono supplere e tenere i· lluogho del vino, advengna ke in queste operationi sieno più deboli del vino. Sciroppo ke riscalda lo stomaco e 'l fegato, e ke tollie e lieva l'emfiatione, e aiuta la digestione del cibo, e fae penetrare o passare il nodrimento per li membri. Recipe (cioè pillia): del mèle de api libra .j., e acqua libre .vj., e queste insieme mescolate tanto lunghamente si cuocano e si spumino infino ke tengano e abbiano simillianza di juleb, e apresso una libra di questo ydromelle ke rimase, polvere sobtilissimo legato in panno sottile, il quale riceve: gengiovo, pepe nero, pepe lungo, cinnamomo, mastice, garofani, e spigo di catuno dr. .j., e iv'entro si spriema ko le mani e si lasci stare e così si bea poscia. Sciroppo il quale solve e muove il ventre. Recipe: fichi bianchi, ai quali .x. cotanti d'acqua vi si gipti sopra (e l'altra lettera dice due cotanti) e sì lunghamente si cuocano infino k'elli si comincino a disolvere e a disfare, e si lascino così stare per ispatio d'una notte, e poi si coli e in quella colatura vi si giunga mèle ad misura de la metade, cioè quanto è la metade de la dicotione, e si lasci bollire tanto k'elli regha a ssimillianza di juleb, e si riponga. E sono alcuni che a ciascuna libra di questo sciroppo mescolano due dr. di lattificcio de la fulcunea, cioè de l'albero fico, acciò k'elli muova mellio e più il ventre.
L. IV, cap. 13 rubr.Capitolo .xiij. Del giovamento e del nocimento del torre sangue.
L. IV, cap. 13(+i) Voi dovete sapere ke 'l torre sangue vòta li homori ke ssono dentro le vene le quali vanno per tucto il corpo. E tale votamento non dee neuno fare se non per due cose: la prima sì è quando il sangue abonda troppo, acciò ke l'huomo si possa mantenere in santade e le malatie schifare ke per sangue possono avenire. (i-) Ma per lo spesso torre sangue spesse volte solliono avenire mala complexione, e ydropisia, e tostana vecchieza, e distrutione d'apetito, e picoleza del polso, e deboleza di stomaco e di fegato e di cuore, e triemito, e parlasia, e ancora applopesia, e a la perfine imbecillitade e deboleza di tucte le virtudi naturali. E per neghienza e pigrezza di non torre sangue, quando elli è mestiere, avengono demenul, cioè karbuncoli (cioè apostemi), e altri apostemi, e febri continue, e frenesia, e pleuresi, cioè appostema nel costado, e vaiuolo, e morbillo, et è hemothoyca, cioè sputo di sangue per boccha, e morte subitanea, e pistilentia, e appoplesia sanguinea, cioè di sangue, de la quale il volto appare verde o nero, e sinantia, cioè apostema ne la gola, e lepra, cioè malattia. E ancora la flebotomia, cioè il torre sangue, sì è gran medicina in conservare la santade, et è molto utile e buona a guerire l'enfertà s'ella si fa secondo ke ssi conviene. E quelli che possono più sofferire la flebotomia delli altri sono coloro ne' cui corpi grandi vene si veggono e ampie, e i loro corpi sono pilosi, e bruni, e rossi, e ricenti, e pieni di carni, cioè carnosi, s'elli non sieno grassi. E sono quelli ke ssi tolgono sangue giovani o vecchi. Ne la prima vecchieza e fanciulli o decrepiti, cioè i travecchi, non sono da flebotomare sança grandissima necessità. E quelli ke n'ànno grande mestiero sono coloro ai quali avengono pustole e grandissimi apostemi, e ademenul, e febbre. E a coloro è mistiere la flobotomia, i quali ànno acostumato di mangiare molta carne e d'usare molto vino e cose dolci. E quelli si debbono abstenere e guardare da la flebotomia, cioè dal torre sangue, ke ànno lo stomaco e 'l fegato deboli e a' quali fredde infertadi solliono avenire. E perciò questi non si debbono flobotomare, cioè torre sangue, sança grande necessitade. E l'altre kose che ssi convengono sapere de la flebotomia già abbiamo detto nel suo capitolo, ma pienamente e più distintamente ne diremo nel septimo libro, nel vigesimo secondo capitolo, e dêsi con grande diligentia guardare ne la flebotomia k'ella non si faccia grande in tempo molto caldissimo né in tempo molto fredissimo.
L. IV, cap. 14 rubr.Capitolo .xiiij. Del giovamento e nocimento del purghare il corpo.
L. IV, cap. 14Usare muovere e disolvere lo ventre, sì come si conviene, sì è somma medicina a conservamento de la santade (+i) e fae schifare molte malatie. E prima ke noi diciamo del purgare, sì vi conviene sapere ke quatro homori sono dentro il corpo de l'huomo. Lo primo sì è sangue k'è caldo e humido, lo secondo sì è flemma ch'è freddo e humido; lo terzo sì è collera rossa k'è calda e seccha; lo quarto sì è collera nera (cioè a dire malinconia) k'è fredda e seccha. Ma la flemma sì ssi parte ancora in cimque maniere: la prima sì è apellata flegma salsa ke è più calda e più seccha dell'altre maniere de flemma, perciò k'è mischiata di collera rossa. La seconda maniera sì è flemma dolce k'è kalda e humida, perciò k'è mischiata in sangue. Et ènne un'altra maniera, ke la fisica apella flegma acetosa, k'è fredda e seccha, perciò k'ella è mischiata di malinconia. La quarta maniera sì è quella ke la fisica apella flemgma vitreum, ke viene di troppo grande freddura, sì come agenti di gram tempo. La quinta maniera sì è la naturale flemma k'è fredda e humida e non à punto di savore. La collera rossa si divide in cimque maniere: la prima sì è la collera rossa naturale ke viene del fegato, k'è kalda e seccha, sì come noi avemo detto; la seconda maniera sì è collera citrina ke à colore d'uno fructo ke à nome cederno, k'è facto di flemma e di collera rossa, ma non è così calda kome la prima; la terza maniera sì è collera vitellina k'è somilliante a tuorlo d'uovo, k'è facta di flemma ke viene di grande freddure e di collera rossa e di kiara, et è meno kalda de l'altre. La quarta maniera di collera sì è verde sì come sugo d'erba, ke lla fisicha apella pressine, e sì nasce spetialmente ne lo stomaco. La quinta maniera sì è collera ruginosa verde k'è ssomilliante a schallia di rame ke viene di troppo gran calore et è natura di vin. Di quella nera sono due maniere: la prima sì è la naturale k'è la feccia del sangue, e questa sì è veracemente fredda e seccha; la seconda sì viene per grande arsura di caldo, e questa è apellata veracemente collera nera et è più calda de l'altre. E queste sono le maniere delli homori ke nel corpo de l'huomo possono riposare e abondare, e i quali convengono essere purgati per medicina. Ma de la prima, sì come del sangue, noi sì n'avemo detto alcuna cosa, e più ne diremo nel septimo libro, come huomo lo dee purgare per flebotomare e per medicina di cassia, e di malva, e viuole, e fiori di borana; ma il flebotomare è più propio, perciò ke 'l seggio ove il sangue dimora sì è tuttavia dentro le vene. E li altri omori sì ànno loro luogo di fuori de le vene. E non intendete ke di questi omori non possano entrare, mischiare col sangue dentro le vene, ke tuttavia con esso il sangue àe di questi tre homori ke noi avemo nomati ke ssono col sangue dentro le vene mischiati. E sì ssi possono bene col sangue purgare per flebotomare, ma quando elli sono fuori de le vene, si conviene ke ssieno purgati per medicina. E ançi ke noi vi insegniamo come voi li dovete purgare quando elli abondano troppo, sì vi conviene sapere i sengni come voi li conoscerete, li quali abondano troppo per tucto il corpo. Li segni di flemma, quando ella abonda troppo, sì potete conoscere ke quando l'orina sarà bianca e bene spessa, allotta sì abonda la naturale flemgma. E altra ke è verde di grande freddura quando l'orina sarà bianca, e sua substança sarà intra spessa e kiara, allora sì sarà abondança di flemma acetosa. E s'ella è colorata in tale substança, sì ssarae flemma salsa; e s'ella è spessa colorata, sì sarà flemma dolce. E con questo ciò ki tale orina avrà, sì avrà dolore ne la testa ne la sinistra parte da la terça ora de la notte e innançi, e avrae il viso palido e dormirà fortemente, e sognerà tuttavia piove e d'essere in riviere, e li abonderanno tutti secondo la maniera del savore de la flemma, e li bullirà il ventre, e cocerae male le vivande, e sarae pesante e grave e lento del corpo, e avrae usato vivande fredde. E dovete sapere ke questi segni sono segni di flemma. Li segni di collera ke abondi troppa per tucto il corpo sì è quando l'orina è rossa e kiara e di sottile substança, e alcuna volta sì può essere di substanza grossa; se la collera vitellina abonda e se collera citrina abonda, il polso sì v'à tosto, e à dolore di testa ne la fronte sì come dentro li occhi, e à dolore magiore da la terça ora del dì infino al vespero, e 'l viso e 'l bianco delli occhi si trarrà in citrinità, cioè in gialleza, e tucto il corpo, e avrà la boccha amara, e la lingua aspra e seccha, e piccolo apetito di mangiare, e grande talento di bere, e tuttavia sognerà fuoco e rosse cose. Li segni di collera nera, k'è malinchonia, sono quando l'orina è kiara e bianca, e alcuna volta gialla, et è sottile e piena di sschiuma. E alcuna volta, quando la collera spurgha, sì è l'orina spessa e persa, e 'l polso sarà tardi, e pesante, e perso, e 'l savore del ruttare sarà sì come d'aceto, e i songni gravi, e strane visioni e paurose, e il dolore de la testa, sarà pesante e grave, e piue ne la parte sinistra di dietro che in altro luogo; e 'l dolore sarà nel corpo più verso il vespero, e tucto il corpo sarà pesante e lento e male colorito; e 'l ventre li bullirà. E questi sono i sengni delli homori ke abondano per tutto il corpo. E vi conviene ancora sapere, prima ke noi v'insegniamo purgare il corpo, queste cose, cioè a ssapere di conoscere il tempo e la complexsione, l'etade, la maniera del corpo, l'usança, la virtù e s'elli è huomo o femina e 'l paese, perciò ke ssecondo la diversitade di queste cose si conviene il purgare diversificare sì come voi udirete. De la prima cosa, sì come del tempo del purgare, si conviene k'elli si purghi ne la primavera e ne l'autunno, secondo i comandamenti d'Ypocras, ke ciò sono le due stagioni dell'anno più temperate. E s'elli aviene ke 'l corpo si purghi di state o di verno per bisogno, si conviene ke ll'aria de la magione sia raffreddata con foglie di salci, di folglie di vigna, o di rose, o d'altre erbe, o di junghi, e di verno si conviene l'aiere de la magione riscaldare e suffumicare. E in questi tempi si dee guardare quando è mellio a dare o di die o di notte, ke sse la primavera tiene la natura del verno, sì come d'essere freddo, sì vale mellio a darla di die ke di notte, per lo freddo de la notte, se ciò non è medicina di grossa substantia, sì come sono pillole. Se l'autunno tiene la natura de la state, sì come il caldo, sì vale mellio a darla di notte ke di die, per lo calore del die. Ora vi diremo de la complexione ke ki sarà collerico caldo, e seccho, e magro, a costui si conviene dare legieri medicine, perciò ke i loro homori sono legieri, sì li puote il medico co llegieri medicine purgare, e questi si può legiermente purgare, sì come per vomito, salvo k'elli abbiano il petto largo. A quelli che ssono sanguigni si conviene legieri medicine, ma elli la sofferano più forte ke i collerici. Flematichi e malinconici sì la sofferano più forte ke i sanguigni, e li puote huomo legiermente purgare di sotto, perciò ke ' lloro homori sono pesanti. Ancora dee l'uomo l'etade guardare ki ssi vuole purgare, perciò ke ' fanciulli e quelli di gram tempo non sofferano né micha legiermente le medicine per la loro fiebole complexione, ma que' ke ssono di .xx. anni, o di .xl., sofferano più forti medicine per la natura k'è i· lloro più forte. La maniera del corpo dee il fisico guardare, ké quelli che ssono grossi e charnuti sofferano le medicine forti; e quelli che ssono magri e asciutti, a costoro dee il fisico donare legieri medicine. La virtù de l'homo dee il fisico guardare s'ella è o forte o ffiebole ke ssecondamente k'ella è o forte o fiebole dee il fisicho la medicina donare, ké sopra tucte cose dee il corpo fiebole ridottare a prendere medicina. L'usanza dee il fisico konoscere, e s'elli è usato di prendere medicina e se 'l ventre si commuove legiermente o a gram pena, e s'elli vomita più volentieri ch'elli non vae di sotto, ké secondo queste diversità si convengono le medicine diversificare e donare. E ancora dee il fisico guardare se ciò è huomo o femina ke ssi vollia purgare, perciò ke la natura de la femina è più fiebole ke la natura de l'huomo, e perciò le si conviene più legieri medicine donare. Lo paese dee il fisico conoscere, perciò che in caldi paesi si dee donare più legieri medicine per li homori ke ssi purghano più legiermente di sotto ke di sopra. In freddi paesi dee il fisicho donare più forti medicine, perciò ke lli omori sono grossi e pesanti, e si possono mellio purgare di sotto ke di sopra. Dipo a queste cose ke dette avemo, dee il medico guardare se la matera è piccola, o grande, o calda, o ffreda, e in qual luogo ella è, ké ss'ella è la matera in gran quantità sì ssi conviene più forti medicine donare ke ss'ella è in picola. E secondo il luogo dee il fisicho la medicina donare e diversificare, e riguardare in prima ke le cose ke noi avemo detto e nomate non siano contrarie, sì come la vertù e altre cose, ché ssança queste cose guardare e considerare nom puote l'uomo dirittamente operare, se non a tastone, ke nel tempo ke ora corre lo fanno ancora i malvagi fisichi. Ora vi conviene sapere come voi dovete la matera maturare, ché secondo la natura de' comandamenti d'Ipocras, sì ssi conviene la matera cruda maturare ançi ke ssi convengna purgare. E perciò s'elli conosce ke la collera rossa abondi per l'insegnamenti ke detti avemo, sì li conviene in questo modo operare: primeramente konviene ch'elli si guardi di mangiare cose salate e arostite e tucte cose secche; ançi conviene k'elli usi kose molli, sì come brodetto di pollastri o huove molli, e kamangiari sì come atrebici, borrana, spinaci, bietole, e altre cucine k'amollino il ventre, ke ssì come disse Ypocras ki vuole lo corpo purgare sì lli le conviene prima amollare; e si guardi bene di bere vino forte e possente, e di spetie calde, e mangi poco; e usi la sera e la matina sciroppo acetoso con acqua calda, e cioe dee fare tanto ke la matera sia matura, e se ne puote acorgere quando il ventre li comincerà a bruire e l'orina a ispessare. E poi sì ssi pensi di questa medicina, prima si faccia fare una dicotione di viuole, e di prune, e di semi di zuche, e di melloni e di cetriuoli, e d'erbe fredde, sì come di politrichon, adiendos, citarac, capel venero, e una radice di finocchio, e di fabrate, e di jemgibres; e quando queste cose saranno cotte ne l'acqua, sì ssi deono colare e distemperare una oncia di cassia monda e meza oncia d'oxi laxativo, overo di lattovaro di sugho di rose o di silitique, o di frigido cophonis, ké tutti questi lattovari purgano la collera e rafreddano il corpo. Ma non dee prendere questi lattovari in sua medicina ki àe febre o ki àe il fegato scaldato, perciò ke ssono agessati di scamonea. Ma elli può prendere .v. drame di ribarbaro o di mirabolani citrini, e farne polvere, e mettere ne l'acqua de le cose ke noi v'avemo nomate, e sia fredato, e si dee porre due sere infino a la matina al sereno, e poi si puote prendere, e questa medicina si può donare a coloro k'ànno febbre e k'ànno riscaldato il feghato. Ancora si può prendere ribarbaro kon kiaro lacte ki coll'acqua no 'l vuole prendere. Chi vuole purgare la flemma ke troppo abonda, sì ssi conviene maturare imprima sì come amollare il ventre con tal cucina, sì come di bietole, di borriana, di spinaci, d'atrebici, pretosemoli, finocchio, kom buone spetie sì come di kannella, zafferano, gengiovo, kardamone; brodetto di gallina è buona kon queste medesime spetie. E poi beia acqua calda ciascun dì la mattina e la sera oxsimel sempice o composto, facto di radici di finochio, o di pretosemoli, e d'appio, e di sparagi, e di bruth. Se la flemma è più grassa poi, quand'ella sarà matura, sì ssi puote conoscere per l'orina k'è più colorata e non sì spessa e 'l ventre sarà più molle e potrà prendere questa medicina; faccia primieramente una dicotione ove siano cotte queste cose, sì come polipodio, radici di finocchio, di petrosemoli, allume, anici, coriandro; e quando la dicotione sarà facta e colata, sia distemperata ne la detta dicotione meza oncia di benedetta, o .v. dramme di latovario dolce. E s'elli avesse febre di flema, si conviene k'elli prenda ne la dicotione mirabolani kebuli dr. .v., quando l'acqua sarà fredda e la matina sia colata. Chi vuole la malinconia purgare, si conviene la dieta usare ke noi avemo detta de la flemma e ancor più chalda, e conviene usare oximele, squilliticum, overo oximel composto, la mattina e la sera, tanto ke la natura sia matura. E di ciò si puote l'uhuomo acorgere quando l'orina sarà colorita e più spessa. E prenda poi apresso questa medicina: elli farà cuocere ne l'acqua polipodio, senethine e sepithime, custote, agarico, radici di finocchio, pretosemoli e anici. E poi quando saranno cotte si conviene distemperare 1/2 on. di cassia, e una 1/2 on. di diecimino laxativo, e prendala la matina. Ma ki àe febre, sì dee prendere dr. .v. di mirabolani indi, o lapislazali, e così sì dee purgare li homori che noi avemo detti sança guardare a la virtù e a la complexione e all'altre cose ke ssecondo queste cose si conviene la medicina versificare. De le medicine ke ssi danno im pillole e d'altre maniere lasscieremo di dire al presente. Dipo queste cose ke dette avemo, sì vi conviene ancora sapere in qual maniera l'uhomo dee prendere la medicina, cioè k'elli non si travagli né fatichi troppo, ma stea in riposo in magione ke non sia troppo calda né troppo fredda. E poi quand'elli l'avrae presa, se ciò sono pillole, sì dorma sopr'esse, e se ciò è latovario, vi si dee poco dormire; e s'ella è stemperata in dicotione et ella è forte, sì è buono dormire di sopr'essa. E s'ella è legiere e fiebole sì non vi si dee dormire (sì come disse Avicenna) e sì tosto come l'huomo l'àe presa, sì non si dee muovere tanto k'ella sia avallata; e quand'ella comincerà a muovere il corpo, sì de' l'uhomo muovere per la medicina fare operare, sì come disse Ypocras. E non dee l'uhuomo dormire tanto com'ella opera, perciò che la medicina ne perde sua virtù. Né no 'l conviene mangiare né bere infino a ttanto ke la medicina avrà operato, se ciò non fosse um poco d'acqua calda per la medicina confortare quando ella avrà operato tre volte o quatro. E conviene prendere aqua fredda a quelli ke prendono ribarbaro o mirabolani. E quando elli, sopra k'elli sarae purgato, sì 'l potrà sapere quand'elli sarae ben noto k'elli comincerà ad avere um poco di sete e k'elli vedrae a sua digestione venire altri homori, ké quelli ch'elli vorrà purghare e non si vòterà più, sì potrà mangiare chaponi, galline, e bere vino temperatamente, e acqua calda, se ciò non è medicina di ribarbero o di mirabolani, ove li conviene bere vino in acqua fredda e poi si puote dormire e riposare; e s'elli dorme bene, si dee sapere ke la medicina è stata buona; e 'l secondo die apresso o 'l terzo si può bagnare in aqua tiepida, ov'elli abbia rose per lo corpo lavare e per le superfluità ke la medicina àe purghate fuori kaciare. E perciò ke molti pericoli avengono apresso, poi ke le medicine sono donate (o per la colpa del medico, o per la colpa di colui che la prende), sì vi aprenderemo kome si possono amendare. E diremo primieramente de la menagione, ke sse managione n'aviene, cioè k'elli escha più ke non dee, sì ssi faccia legare e fasciare con due bende il grosso del braccio ben forte, e le mani, e le gambe, e facciasi stropicciare bene le mani e i piedi, e faccia cuocere una gallina o una tortore in acqua ov'elli abbia gomma, e draganti, e goma arabica, e sommach, e bol'armenich. E di quella acqua berà, e conviensi fare uno bagno d'aqua tiepida per la medicina affiebolire, ma stea un poco dentro. E tal medicina si puote conoscere quando quelli che prende la medicina avrae troppo gran sete, e purgherà li omori k'elli non dee purghare. Se febre li aviene per la medicina, o per altra mala guardia, sì bea dell'aqua de l'orço e si facia fare uno bagno d'acqua tiepida per sudare; se ciò è febbre effimera, cioè una febbre ke dura un giorno o infino in tre, sì come terzana cotidiana o altra febre, e se ciò è putrida, sì ssi conviene da capo la matera purgare. Se atortione li aviene per la medicina o per freddo k'è per la medicina, aviene k'ella non purgha l'omore che dee purgare, si prenda drappo di lino e metteteli in acqua calda e sì siano posti sì caldi kome potrae sofferire sopra la forcella, o avere vesciche d'arain piene di vino o d'aqua calda, e testi caldi invilupati in drappi con millio arrostito in uno sachetto, o intrare im bagno d'acqua calda. Se esprasions aviene, o per grossi omori, o per freddi, o per fredde medicine, se per grossi omori aviene, si conviene fare un cristeo d'acqua ove sia ben cotta marcorella e sale per li omori purgare; se cioe è per freddo, sì tolliete cruscha e la fate cuocere in vino, e poi la metete in uno sacchetto e seggha il malato di sopra; se ciò è per la medicina, sì 'l conviene dimorare in acqua infino al bellico, là ove sieno cotte scorçe di castangne di melegrane di caucie, ysipotiquites, scorçe di susini e di nespoli, e di sorbe, e di meli cotongni, o faccia questo altro sperimento, il quale è molto buono, sì come di prendere fummo d'un poco di grioise sopra i carboni. E se vomito li aviene per la medicina ke ssia a la substantia de lo stomacho, si bea acqua là dove sia cotta mastich, goma arabica, sciroppo rosato; se ciò è per li omori ke ssieno ne lo stomacho per l'atratione de la medicina, sì ssi conviene purgare per medicina vomicha. Se singhiozo li aviene al cominciamento del purgare o ne la fine, konviene, se ciò è al cominciamento, la forcella scaldare per stropiaciare, o per muovere il corpo, o per mettere testi caldi sopra la forcella, e vesciche d'arain piene d'acqua calda, ké questo singhiozo adviene per la medicina ke atrae li omori a la forcella. Se ciò è ne la fine per troppo votare, sì ssi conviene affrectare di lui confortare, perciò k'elli v'àe pericolo di morte, e li si dee donare brodetto di gallina o suppa in vino bene temperata, e ugnere lo stomaco di burro, o d'olio violato, o di dialtea. E s'elli aviene k'elli abbia troppo grande sete, perciò k'elli sia troppo vòto, sì prenda goma arabica, goma adragant, psilio, cotti in acqua, e di questa acqua bea tiepida; e sì può bere sciroppo rosato con acqua tiepida o con acqua, ove sia cotto seme, e tengna sotto la lingua kandi, e lavi spesso sua boccha d'acqua kalda fredda, ma no ne avalli giù punto. E s'elli aviene menagione di sangue ke le 'ntestine sieno scortichate per la medicina ke ssia stata troppo forte, o per li omori ke sono troppo agri, sì come collera, pressine e rogionsa, si bea brodetto di gallina ove sia cotto gomma arabica, goma adragante, sonmach, bol'armenich, sangue di dragon, e sian cotte queste cose in acqua di piova; e poi bere di questo sciroppo il quale sia facto di balaustie di buccie di melegrane, e d'acacie e di sugo di plantagine, e d'acqua di piova e di zuchero, e ancora puote usare diacedion e thanasie. E s'elli aviene a colui ke prende medicina troppo grande fieboleza per li omori ke ssieno usciti fuori troppo abondantemente e a la forcella per la forte medicina, si conviene il malato scaldare, e i piedi e le mani stroppiciare, e fare per alcuna medicina rendere per la boccha, sì come caustopoucis, noci vomiche e acqua tiepida. E se la fieboleça aviene per ke ssia troppo purgato, si dee prendere brodetto di gallina e fare suppa dentro, e polvere di cardamone e di cannella, e mangiare um poco de la gallina o de la pernice, e bere vino temperato in acqua kalda, e fiatare, e odorare rose, mardelees, moscado, legno, aloe. E s'elli aviene k'elli sia contracto per la medicina per troppo votare, sì non à mestiere di medicho ké, ssì come disse Ypocras, questi è mortale, se la contrattura è per tucto il corpo. Ma sse la contratione sia im parte del corpo, sì li conviene ugnere la schiena di dietro, e per tucto il corpo di dialteo, di burro, e d'olio violato, e farlo bagnare ove sian cotte malva, viuole, e brancorsina, e all'uscire del bagno ugnere di lacte di femina. (i-) E usare il muovere e disolvere il ventre, sì come si conviene, è somma medicina a conservamento de la santade, dona grande aiuto, imperciò k'elli è possibile che, per cagione di questa cotale opera, il corpo si monda e netta da l'homore ke ssuole generare. Per l'errore de' cibi, o per negligentia de la dieta, o per intemperança del corpo, e per questo può essere e avenire che 'l corpo stea sempre mondo e netto, e ke i· llui non si ritengnano superfluità ke ssieno aconcie a ffare infertadi. Per la qual cosa ciaschuno dee usare medicina ke ssolva e muova il ventre, cioè a ssapere quella la quale suole purgare e mettere fuori l'omore ke li suole nuocere, o ke ssi suole generare magiormente per la secca dispositione del corpo, o per kagione dell'errore del suo regimento. E ancora conviene k'elli si guardi da la medicina che suole purgare e votare il contrario homore al predetto che t'è nel corpo, e che tu vuoli purgare, imperciò ke questo cotale nocimento è grandissimo. E noi abbiamo già detto e nominato in uno capitolo quale homore ciascuna medicina laxativa ke ffa muovere vòti e purghi e ai quali sia buona e ai quali no. E quelli che à magiore mestiere di purgarsi e di prender medicina da muovere il corpo, sì come quelli che à il corpo grande e grasso, e ch'è guloso e ghiotto, e ke manuca molti cibi e molti fructi, e che poco si muove e poco s'affaticha; e quelli che à il corpo ke llegiermente e per picola cagione si muove et esce; e quelli il cui ventre à ssolutione e menagione e che è tale, a cui tosto aviene disinteria, cioè menagione con sangue, e magiormente se la menagione fosse forte, questi cotali si deono sofferire di pilliare medicina laxativa e che muova. E notate ke prendere spesse volte medicine laxative e ke facciano uscire indeboliscono il corpo e la persona, e menano e conducono ad eticha e a tisicheza, e magiormente se quelli cotali ke le prendono sono secchi e magri. E dêsi l'uomo molto guardare, sì come avemo detto, di non pilliare medicina k'abia a purgare e a ffare uscire, s'elli primieramente il corpo non mollificha coi brodetti untuosi, e se dinançi che pilli la medicina no è intrato nel bagno per due dì, e s'elli non s'àe nel bagno molta acqua tiepida gittata adosso et entro vi sia seduto, e se non à preso sciroppo acetoso. E sì de' huomo bem porre mente di non pilliare medicina ke molto sia forte e fortemente abbia a muovere e a ffare uscire ne' tempi caldissimi e ne' tempi freddissimi. E ancora sì dee l'uhomo sofferire del tucto in tucto del dormire e guardarsene da ke la medicina à cominciato a muovere infino ke resti, sì come detto avemo, e di non pilliare alcuno cibo infino ke l'huomo sente alcuno sapore o odore de la medicina quando huomo ructa, e infino ke 'l movimento non si indebolisce e non menoma, infino ke la sua operatione si compia, sì come detto avemo di sopra. Del quale medicamento, s'elli sia purgato sì come si conviene, sì ssi dee cibare di lieve taffeda (o steafeda ke abbia nome), de la quale non dee pilliare troppo avidamente e ghiottosamente, ma meççanamente e temperatamente. E nota ke la detta taffeada è un cibo ke ssi fae in due maniere, imperciò ke ll'una thaffeada è bianca e l'altra verde. La biancha si fa solamente d'aqua e di carne, la verde si fa d'acqua e di carne e di coriandro, o kon altra verde erba. E neuno non si dee satollare il die k'elli è purgato, ma dee manichare mezanamente. E s'elli avenisse ke alcuno uscisse, o fosse troppo uscito o troppo purgato, sì dee pilliare cibi facti con sommacho o col sugo de le melegrane acetose o col sugo de l'uve acerbe, e de' pilliare per molto grande spaçio, ançi ke manuchi polvere facto di semençi. E s'alcuno fosse molto riscaldato per cagione de la medicina, o ch'elli avesse presa medicina da purgare la collera rossa, è mistiere ke 'l suo beveragio sia juleb, s'elli non fosse troppo duramente purgato, e se fortemente fosse purgato sì dee bere rob di pere o di mele cotogne o di melegrane e di simillianti. Et è mistiere che quegli che è troppo purgato, o molto, che egli si sofferi di pigliare iulep, e sciroppo acetoso, o ydromel. E s'elli aviene ke per la medicina l'uomo non si riscaldi e che del corpo non escha e sia uscito alcuna altra cosa se non flemgma e collera nera, sì ssi dee prendere acqua temperata kon vino, la qual cosa se non si puote fare, sì ssi de' temperare l'acqua col mèle. E s'elli aviene ke la medicina laxativa operi più ke non dee, sì ssi dee mettere nel bagno quelli ke ll'avrà presa. E s'elli aviene cosa che perciò non si stringa, si dee usare polvere fatto di melagrane, e s'elli basta, bene sta, non si faccia più. E se per questo non si ristrigne, sì li dea polvere così fatta: recipe, cioè tolli: collellarum, o tollellarum, de Syria dr. .x., incenso, bolo armenich, gummo arabico, ghiande, silocaratte de Romania, arilli, cioè le granella ke ssono dentro nell'uve, e semi de le melegrane di ciascuno dr. .x., seme di jusquiano bianco dr. .v.; e di questo polvere tanto dee prendere tra tre volte quanto puote impugnare col pugno. E se questo non giova, sì lli si dea trocisci di balaustie e simillianti, i quali si diranno nel capitolo de la solutione del ventre. E s'elli aviene cosa ke lo 'nfermo indebolischa e ch'elli non si possa muovere e tramortischa, sì ssi dee sovenire e atare astivamente, ne la maniera che noi diremo nel capitolo del male del fiancho ke si chiama colicha.
L. IV, cap. 15 rubr.Capitolo .xv. De· giovamento ke viene del vomire e del suo nocimento.
L. IV, cap. 15Se 'l vomito, cioè il rigittare, si fae temperatamente kome si conviene, lo stomaco purga e la digestione fa milliore, e rinuova il corpo e 'l netta e monda, e 'l capo e 'l senno e 'l sentimento fa più lievi, e fae milliore vedere; e se 'l vomire si fae troppo grande e forte e troppo spesso, sì diseccha e dimagra il corpo, e nuoce al fegato, e al petto, e alli occhi, e al polmone. E alcuna volta rompe e fende le vene, per la quale cosa aviene la 'nfertade e 'l male k'è kiamato hemothoicha, cioè sputare il sangue. E la santà di colui nel cui stomaco si raguna molto flemma si guarderà e si conserverà per lo vomito, cioè per lo rigitare, i cui sengnali noi abbiamo già posti e nominati, cioè quando il flemgma abonda ne lo stomacho. E a questi cotali è mistiere il rendere una volta o due il mese, la qual cosa si conviene fare quando huomo è satollo, imperciò k'elli è dura cosa di rendere se lo stomaco non è pieno e non si puote fare sanza gran fatica e grande studio. E 'l vomito non si dee fare spesse volte, imperciò ke lo stomaco si corrompe e la sua virtude si distrugge e guasta. E dee l'uhuomo observare che, quando alcuno vorrà rendere, k'elli avolga imprima intorno intorno due bende o due fasce sopra li occhi e coll'altro panno leghi molto bene e no le lievi tanto ke 'l vomito sia compiuto. E quando il vomito è compiuto, sì ssi de' lavare il volto coll'acqua rosata e la boccha si dee lavare e ugnere collo ydrimelle e collo sciroppo acetoso. E quelli che àe il collo lungho, e 'l gorgozule pinto in fuori, e 'l petto stretto e ingnudo e asciutto di carne, del tucto in tucto si dee guardare di vomire, cioè di reddere per boccha.
L. IV, cap. 16 rubr.Capitolo .xvj. D'abitare e avere a ffare kon femina e del suo giovamento e nocimento.
L. IV, cap. 16(+i) Ciascuno ke à senno e discretione sì dee mettere sua cura e intentione e suo potere di sapere kom'elli dee usare e avere a ffare con femine, perciò ke ciò è una cosa principale del corpo sanamente mantenere e del corpo mettere a neente ki temperatamente no 'l sa fare e usare e perciò ne diremo il bene e 'l male k'elli può fare. (i-) L'usare con femina allieva e fae legiere il corpo ripieno, e l'anima fae lieta e allegra, e acresce la sua levità, e mitica e tollie il pensamento. La qual cosa si fae alcuna volta tanto infino ke la malinconia per la sua cagione guerisce. E se alcuno è tanto costrecto per l'amore d'alcuna femina, e sì inamorato ke quasi divengha a la morte, usi spesse volte con femina, avengna k'elli non abbia quella femina ch'elli ama, imperciò ke mitiga el suo furioso amore, perciò ke furioso è colui ch'è compreso d'amore, perciò ke neuno è magior furore ke l'amore. Ancora il coito, cioè l'avere a ffare con femina, allieva il capo e 'l senno e 'l sentimento. E a la perfine se alcuno userà molto il coyto, scamperà del male ke può avenire per troppa repletione, e questo farae votando quella repletione delli homori. E dêsi l'uhuomo molto guardare di non usare troppo il coyto, imperciò ke l'huomo ne 'ndebolisce molto, e perdene l'apetito del mangiare, e li occhi si fano chavi e infossati. E quelli che ssono magri e secchi si debbono guardare dal coyto sì come dal suo nemico mortale, il quale se alcuno molto userae, diverrà etico, cioè si consumerà tucto. E quelli ke ssi lievano d'infertà e deboli e magri, e ancora quelli k'ànno lo stomaco e le budella sottili e magre, e i cui nerbi sono deboli, di tucto in tucto si debbono guardare dal coito. E imperciò ke 'l molto koyto e spesso fa gran nocimento ai nerbi, e molto male fa alli occhi, e distruge le forçe e le virtudi del corpo, e il corpo indebolisce e corrompe, e tosto mena a vecchieza. E questi nocimenti avengono meno a coloro ke ànno i corpi robusti e forti e grossi. E somilliantemente neuno dee usare il coyto ke ssia famellico, cioè ki àe gran fame, né quando elli è ripieno di molto cibo e di molto vino, né quando elli esce del bagno, né quando huomo à vomito, né dopo la solutione del corpo, né dopo la flebothomia, cioè quando s'à tolto sangue, né dipo faticha. E s'alcuno avrae molto usato il coito, sì si dee abstenere e guardare da la faticha e da la flebothomia, e dêsi guardare k'elli non sudi nel bagno, e dee usare cibi ke abbiano a crescere la sperma, cioè quella matera k'esce e rende la vergella quando l'uhomo usa co la femina, e dee bere vino grosso e dolce, e dee inficere e riempiere il volto e tucto il corpo co le cose odorifere, cioè di buono odore, e questo dee spesse volte fare e usare suffomigii odoriferi e dormire assai.
L. IV, cap. 17 rubr.Capitolo .xvij. Del giovamento del bagno e del suo nocimento e come si dee fare.
L. IV, cap. 17Possibile cosa è de humentare e di diseccare il corpo kol bagno, per la qual cosa quelli che ànno i corpi magri e secchi ànno mestiere di ricevere humentatione del bangno, e perciò si debbono guardare k'elli non sudino nel bagno, ma stieno nel suo luogo temperato e gettino molta acqua kalda nel pavimento, cioè nel lastricato, intorno ad sé, acciò ke ssi levi vapore, il quale abbia molta humiditade; e infondano e bangnino il corpo koll'acqua calda, la quale faccia soavitade e dilecto, e v'entrino entro, cioè nell'acqua del bagno, ne la quale tanto lungamente debbono dimorare infino ke 'l corpo faccia leno e morbido e um poco emfiato; e poi si debbon guardare k'elli non gittino sopra ssé acqua calda, ançi si debbono infondere e mollare koll'acqua fredda per una ora una volta, e poi si debbono ungnere d'olio. E se alcuno entra nel bagno per volersi diseccare, dee molto sudare, e molto stropicciarsi, e fregarsi ko la farina de le fave e de' ceci, e di baurace, e usnen. E 'l mangiare si dee tardare dipo 'l bagno per lungho spatio, e quando il sudore comincia a uscire si conviene istropicciare e fregare sanza ugnere. E de' giovamenti del bagno sono: humentare il corpo e rinovellarlo, e aprire i pori, e scoprire, e lavare, e nectare d'ordura ke v'è ragunata, e menomare la repletione, e disolvere la ventositade, e fare vollia di dormire, e subtigliare li homori. E ancora il bagno riprieme e menoma le doglie, e strigne il ventre, e tollie la lasseza, e fae il corpo aconcio ai cibi. E i suoi nocimenti sono di distrugere le virtudi e le forçe e tanto riscaldare il corpo ke alcuna volta fa tramortire, e fae alcuna volta abominatione e vollia di reddere, e dà chagione ai rei homori di discendere tosto. Per la qual cosa koloro ke ànno febbre e quelli che à contusione, e apostema, o piaga, o quelli ke àe le budella scorticate de' temere il bagno. E ciascuno si guardi d'entrarvi dopo 'l cibo se non colui che vuole ingrassare. La qual cosa se alcuno (o alcuna) per alcuna necessità convengna entrare nel bagno satollo, poi ch'elli ne fia uscito, alquanti die bea sciroppo acetoso, e astengasi da' cibi grossi, e subtilgli il suo regimento.
L. IV, cap. 18 rubr.Capitolo .xviij. De l'abitudine del corpo e de la sua grasseça e magreçça.
L. IV, cap. 18Il corpo troppo grasso non è buono, né 'l troppo magro, imperciò ke 'l corpo molto grasso è disposto e aparecchiato a molte infertadi, imperciò ke l'huomo k'è così grasso muore alcuna volta subitamente e abondagli molto sputo di sangue per kagione de le vene ke ssi fendono, e a gram pena puote alitare, et è aconcio e disposto di pocho generare filii. E i corpi magri sono aparecchiati ke diventino (e divenire) ethichi e tisichi tostamente, e ke tosto chagiano e vengano meno, e che le loro forçe e le loro virtudi ne l'enfermitadi tosto si dissolvano, e distruggono e vengano meno, e che tosto ricevano impedimento e male dal troppo caldo e dal troppo freddo. E quello corpo è da llodare et è bene disposto k'è temperato in charnositade, e che aproccia e pende um poco a grassezza, imperciò ke questo cotale corpo, kosì disposto, è dilumgi da infermare e non cade leggiermente in infermitade.
L. IV, cap. 19 rubr.Capitolo .xix. Del giovamento e del nocimento de la fricatione de' labbri co le scorçe de le noci.
L. IV, cap. 19(+i) Molto si dee l'uhuomo penare di forbire e stropiciare i denti, perciò k'elli donano grande biltade al corpo e sono necessari per la vivanda masticare, acciò k'ella si kuocha più legiermente a la forcella. E notate ke (i-) questo cotale fregamento e stropicciamento de' denti asterge e netta e monda i denti e fagli forti, e duri, e rigidi, se ssi fae temperatamente, e corrobora e fortifica, e ingrassa le gengie, e non lascia fare i· lloro concavitade, e fa buono odore a la boccha, e fae lieve um poco il capo e la boccha de lo stomaco. Il quale fregamento di su detto si conviene fare co le scorçe delli arbori ke abbiano i· lloro lazeza e amaritudine. E se questo cotale fregamento e stropiciamento se molto si fae, leverà e torrà la biancheza de' denti. Per la qual cosa è mistieri ke non si facia troppo spesso, imperciò ke sse ssi fa tropo spesso, sì n'aviene moltitudine di sordi e d'ordura, e ' denti se ne muovono, e le gengie se ne sottilliano e ne indeboliscono.
L. IV, cap. 20 rubr.Capitolo .xx. Del conservamento de' denti in santade.
L. IV, cap. 20(+i) Chi vuole i denti conservare in santade, sì 'l conviene guardare dette cose. La prima sì è di schifare vivande e beveraggi ke ne lo stomacho legiermente si cuocano o corrompano, sì come pesci salati e altri piccoli pesci freschi, e di beveraggi sì come di cervisgia, di vino, di pome, e di vino grosso mosto. La seconda sì è k'elli si guardi di vomire (cioè di reddere) molto spesso, imperciò ke 'l molto reddere corrompe e guasta i denti e le gengie e riempie d'omori ke vi si corrompono. La terça cosa sì è di masticare cose viscose dolci spesso e lungamente, sì come sono vivande fatte di mèle cotto e datteri e d'altre vivande somillianti a queste. La quarta sì è di guardarsi ke cose dure non si rompano coi denti, ke sse perciò dolore n'aviene, sì vi potrebbero discendere homori ke gravare li potrebero. La quinta cosa sì è ke l'huomo non metta in sua boccha kose gelate, sì come ghiaccio e neve e cose somillianti, percioe k'elli distrugono la virtù e la santade de' denti. La sexta cosa sì è di guardare ke l'huomo nom prenda cose troppo fredde apresso cose calde, né cose troppo kalde, dopo kose fredde, e propiamente è konvenevole di guardarsi dal cibo caldo. La septima cosa sì è di purgare e di nettare la vivanda e l'ordura k'è ne' denti, o s'elli dimorò o rimase tra denti alcuna parte del cibo; e magiormente se quel cotale cibo ke vi rimase fue di latte, sì conviene essere solicito i· llor lavare e mondificare con isciroppo acetoso, o con ydromelle, e fregarli, forbirli, e stropiciarli temperatamente, non sì k'elli faccia le gengie insanguinare e i denti muovere, né crollare e stroppiciarli, e forbilli com polveri e con altre cose ke confortino i denti e le gengie, sì come noi diviseremo qui apresso. L'ottava cosa sì è ke l'huomo non mangi cose ke di loro propia natura fanno i denti distrugere e gravare, sì come sono porri, cipolle, scalongni e molte altre cose, e ciò sono le cose ke ssi convengono guardare per li denti conservare e mantenere in santade. E non solamente queste cose ke noi avemo nomate, ma forbire i denti de le cose ke noi vi diremo k'elli mantengono im biltà e fanno loro molte malatie schifare. Ma conviene ke 'l forbire e lo stropiciare sia facto temperatamente e non sì forte ke distrugha li homori de' denti e de le gengie, e ke faccia le gengie emfiare, e ke elle sieno preste di ricevere i fummi ke venghono da la forcella, cioè da la boccha de lo stomaco e d'altra parte. E sì facto stropiciare (cioè non temperatamente) fae più male ke bene. Per guardare i denti e conservarli in santade, prendete del corno del cerbio arostito e seme di tamerici, cipero, rose e spigo, di ciascuno di questi una oncia, salegemmo la quarta parte d'una oncia; e tucte queste cose bene peste si staccino, e fatene polvere sottile, e la mettete in uno, e forbitene e stropicciatene i denti, e poi li lavate di buono vino caldo, sì à virtude di guardare e di confortare le gengie e i denti. Ancora prendete la radice del totomallio e fatela bollire in vino, e de la detta dicotione (cioè del vino ove sarà cotta) vi lavate la boccha due volte o tre il mese, ke ciò è una cosa ke ffa buono odore di boccha e guarda e conserva i denti di dolori e d'altre malatie, sì come disse Avicenna. Ancora per le gengie confortare e per li denti imbianchare, tolliere: marmo biancho, corallo biancho, osso di seppia, salegemmo, incenso, mastice, di catuno igual peso, e fatene polvere sottile e la mettete in uno sacchetto di tovallia e stropiciatene e forbitene i denti, e lavate poi com buono vino, e poi li forbite legiermente com un poco di panno scarlatto. Ancora per le gengie che sanguinano, e per li denti imbiancare, e per fare buona alena, prendete: galla moscata, e pome de marina, e sale arostito, e corno di cerbio arso, di ciascuno dr. .iiij., e allume, e nitro, e bucce di melegrane, galle balaustie, di ciascuno due drame, spigo, costo, ligno alloe, cardamone, di ciascuno una drama, e ne fate polvere sottile, e stropicciatene e forbitene i denti, ke tutte queste cose valliono molto a conservare i denti. E si conviene guardare da quelle cose ke lli allegano. E se voi volete rimuovere l'allegamento de' denti ke spesso aviene, masticate porcellane, o mandorle, o nocielle, o formagio arostito, e vino caldo tenere in boccha, e sale, e tucte cose calde tolgono tale malatia. (i-)
L. IV, cap. 21 rubr.Capitolo .xxj. Di conservare e guardare li occhi in santade.
L. IV, cap. 21Coloro ke volliono guardare e conservare la santade delli occhi (+i) si deono guardare da le cose ke noi nomineremo. E avegna ke ssança li occhi l'uomo possa vivere, impertanto è utile cosa a sapere kome si deono guardare per la biltà del corpo mantenere, perciò ke per lo vedere schifa l'uomo molte cose ke 'l corpo potrebbero gravare e mettere a neente. Ke lli occhi, secondo ke dice Avicenna, fuor messi nel più alto luogho del corpo per ben vedere tucte le cose che 'l corpo potrebbero gravare, e per loro nobilitade loro donoe la natura assai di covertura, sì come le cillia, i palpebri per mellio guardare da le cose che avenire lor potrebbe. Et è da notare ke ki vuole la santade delli ochi guardare, di tucti agrumi e leghumi si dee abstenere e guardare, perciò che distrugono di loro natura e corompono la vista. E (i-) si debbono guardare dal sole la state, e dal fumo, e da la polvere, e dal vento, e si debbono guardare k'elli non riguardino i colori bianchi e molto radiosi e splendienti, (+i) ke ciò è una cosa ke più distruge e tolle lo vedere, e perciò disse il filosafo ke la troppo chiarità tolle il vedere e 'l troppo grande suono tolle l'udire. E dêsi guardare (i-) di non riguardare alcuna cosa picciola sempre fisamente, e ancora si debbono guardare di non riguardare lettere troppo minute e sotili intagli, e del tutto in tutto si dee huomo guardare di molto piangnere e del lungho dormire dopo mangiare. E non dee l'uhomo dimorare né stare lungamente ove freddo vento trae e forte soffia. E dêsi guardare da' cibi molto secchi sì come sono le lenti e altri legumi e cose salate, e debbonsi del tucto in tucto guardare di non avere a ffare con femmina spesse volte, (+i) ké ssopra tutte cose grava la veduta, e ciò potete vedere in coloro che ll'ànno fatto troppo k'elli ànno li occhi gravati sopra tucti altri membri. (i-) E spessa ebreza impedisce il vedere, e 'l vino e ' cibi grossi aguti, sì come sono cipolle, o senape, et eruca, e agli; e ancor quelle cose che fanno nocimento e che fanno dolere il capo, sì come sono datteri, porri, fieno greco, ulive mature, kavoli, oççimo, cioè bassilico e seme di bassilico, la cui propietade sì è d'obscurare il vedere se di lui si prende grande quantitade e spesse volte. E 'l molto dormire, e il molto veghiare (+i) impedisce il vedere. E il reddere per boccha kon tucto ke 'l vomito faccia bene, perciò ke purga lo stomaco delli omori onde fumositadi si potrebbero levare e gravare lo vedere, ma elli è reo in ciò k'elli ismuove li omori de la testa e fàlli alli ochi venire. E per più brievemente parlare, sappiate ke tucte le cose ke riempiano, overo votano troppo la testa, sì gravano la veduta. Apresso questi insegnamenti, sì vi insengneremo experimenti ke vi conviene usare per la veduta e forçare e schiarare. (i-) Al vedere è da notare ke giovano i colliri, cioè l'acque lavorate dalli occhi, ke mandano via et espengono le lagrime, e che conservano li occhi ne la sua sanitade, e che non lasciano a lloro discendere i rei homori, s'egli si pongono alcuna volta negli occhi. E a questo giova molto porre e mettere il litio distemperato coll'acqua alquante volte il mese nelli occhi, perciò ke questo non lascia i mali omori discendere alli occhi. Anchora del numero di quelle cose ke fanno buon vedere (+i) è uno de' provati spermenti per lo vedere inforçare e schiarare: sì è di mettere la testa ne l'acqua kiara fredda e lunghamente tenerai entro li occhi aperti buona peza, (i-) imperciò ke questo li fa kiari e rigidi e forti. E molte volte si corroborano e diventano li occhi forti quando alcuno comincia a riguardare nel libro nel quale non sono lettere troppo sottili, e comincia a intedere ke v'è dentro e che cosa è ne le dipinture. E quello ke conserva la santade dell'ochio e che 'l netta sì è la tuçia confetta col sugo de la maiorana (overo de l'asenço, come dice l'altra lettera), cioè quando la tutia spesse volte si mette nel sugo de la maiorana, overo de l'asenzo, e si diseccha poscia e s'usa. Ancora di quelle cose ke ll'ochio abstergono e nettano sono ke 'l sugo ricente del finochio si metta ne l'occhio, (+i) o fare acqua di finocchio a maniera d'acqua rosata fae molto bene a questa medesima cosa. Ancora la tuçia polveriçata e stemperata con sugo di calamento, cioè di nipitella, e poi colata sotilmente, e riposata un giorno, e messa nelli occhi, guarda maravigliosamente la veduta e non vi lascia homori venire ke lli ochi gravino. (i-) Ancora il collirio de le melegrane, il quale riceve queste cose: prendi una melagrana dolce e un'altra ke ssia acetosa, cioè agra, e poi si tragha il sugho di ciascuna per sé, e pongasi e mettasi in due ampolle, le quali abiano le bocche chiuse al sole, impiccate dal primo die di giugno infino al seççaio dì d'agosto, e ciascuno mese si vòti quello ke ffia sottile una volta, e quello ke ffia grosso si gitti via. Poi di ciascuno si prenda iguali parti e si mescolino insieme e in ciascuna libra di questo cotale mescolato si metta ana, cioè igualmente, una drama di polvere d'alloe, pepe nero e lungo e sale armoniaco, tucti sottilmente pesti. E questo cotale collirio quanto fia più vecchio tanto fia milliore, nel quale lo stile si dee metere e torne um poco e metterne nell'occhio, imperciò k'elli è maravillioso e di grande efficacia ad astergere e nettare li occhi. E questo è un altro collirio, il quale guarda e conserva la santade delli ochi e guarda che non riceva nocimento. Recipe, cioè prendi: antimonio molte volte lavato coll'acqua, il quale si lavi poi coll'acqua piovana per una settimana, e ancora si faccia quello medesimo lavamento de la tutia; del quale antimonio kosì apparecchiato dr. .xx., e de la tutia e de la cathimia, overo camea aurea lavata, sì come noi dicemo, di ciascuno dr. .xij.; e di marchasitha lavata dr. .xij. (e l'altra lettera dice .viij.), e perle piccole non forate, e corallo di catuno dr. due (e l'altra lettera dice .j.), folii indi, cioè de foglio d'Indya, e di zafferano orientale di catuno dr. .j., camphora la terza parte d'una dr., moscado la sexta parte di dr. Le perle sopradette insieme per tre dì si pestino coll'acqua piovana, poi si mescolino tutte insieme, (+i) e lasciate riposare tre die e apresso le colate e si ripongano, e pongasene ne' palpebri la mattina e la sera, o volete la matina lavarvi d'acqua di finocchio. E tutte queste cose sono buone a usare a coloro ke volliono malatie d'occhi schifare. (i-)
L. IV, cap. 22 rubr.Capitolo .xxij. Di conservare e guardare li orecchi in santade Rubrica.
L. IV, cap. 22(+i) Molto è buono di studiare di conservare li orecchi in santade. E nel modo ke noi avemo parlato delli occhi dovete sapere delli orecchi, ké così come l'homo può vivere sança il vedere, altressì puote huomo vivere sança l'udire. Ma perciò ke per l'udire àe l'uhuomo perfettione di savere, sì dee ciascuno penare tanto quant'elli puote delli orechi in santade guardare, perciò ke le cose ke noi sapiamo noi le sapremo o percioe ke noi le troviamo di nostro ingengno o perciò ke noi l'udiamo d'altrui. E a questo medesimo s'acordano i filosafi ke appellano li orecchi porta di savere. E voi dovete sapere ke lli orecchi per la cagione dell'udire sono bene necessari, e pertanto si penò natura di fare li orechi sottilmente k'ella li fece di tenerume, ké ss'ella li avesse fatti di pura carne, elli nom avrebbero potuto lungamente ritenere loro forma, e s'ella li avesse fatti d'osso, elli sarebbero gravati da molte cose. E fece li orechi avolte a tale usci per la voce ke viva e mellio risonare e per guardare ke ll'aire non vi entrasse kaldo o freddo ke lli potesse danegiare. Ora conviene, dumque, per li orecchi mantenere sanamente ke l'huomo si guardi di mangiare cose grosse e d'empiere troppo lo stomacho, e di dormire sì tosto come l'huomo àe mangiato, e di guardarli di freddo di vento, e di troppo grande caldo, e di gran suono udire, ké ciò è una cosa ke troppo distruge l'udire. E si conviene, per le malatie schifare, ciascuno die li orecchi nettare di lordura e studiare di netarli e di purgarli, sì come noi diremo nel capitolo delli orechi. (i-) (+i) E dêsi prendere guardia ke acqua né altra ordura non vi possa entrare né cadere, sì (i-) ke nolli vi nascha entro pustola, o bolle acute, cioè kalda e pugnente, de la qual cosa si potrà l'huomo (+i) acorgere, se l'huomo se ne à da sé, (i-) incontanente, poi che l'huomo vedrà nascere acute (cioè caldi e pugnenti) pustole nel volto e ke sentirà cominciamento di dolore dell'orechie, il quale dolore sia con ardore del capo e con acute pustole e bolle nel volto; e distemperi un pocho di scief, memithe koll'aceto, cioè di quella cotale medicina ke ssi kiama scief, e 'l ponga nell'orecchie, cioè v'il metta entro, la qual cosa se ssi fa quando l'orecchio è sano, ciascuna settimana sì 'l guarda (+i) di non correre in rema. (i-) (+i) E ciascuna settimana si dee mettere nelli orechi um poco d'olio di mandorle amare. Ma nota ke ll'olio conviene ke ssia um poko tiepido, ké cose kalde né fredde non dee huomo mettere nelli orecchi. E sappiate ke ll'acqua, quando ella v'entra, tollie l'udire, e perciò vi affrettate di trarlane fuori in questo modo: prendete uno kannellino di penna o d'argento e soavemente il mettete ne l'orecchie e succiate. E ancora starnutire e tossire è molto buono salvo ke la testa sia chinata inverso l'orecchie dove l'acqua è entrata. E ancora vi potete metere una tasta di banbasgia dentro a l'orecchie sì llungha ke nne soperchi di fuori, e quello di fuori sia molle con olio d'uliva e acendetelo percioe ke 'l calore del fuoco trarrae a ssé l'acqua. (i-) E molto si dee guardare dal fastidio, cioè di non mangiare tanto ke l'huomo abbia fastidio, e di non dormire quando àe lo stomacho pieno.
L. IV, cap. 23 rubr.Capitolo .xxiij. Di guardarsi de l'emfermitadi e mali ke ssi apichano.
L. IV, cap. 23La terra (e 'l paese) si dee fugire ne la quale terra à antrace (cioè quello cotale reo apostema) e pestilentia sarà. La quale terra se alcuno non può fugire, e sia in magione o è exercito, cioè oste, nel quale queste cose saranno, allora dee dimorare in luogo più alto e de' eligere e segliere il lugo, il qual è sopra il vento, dello 'nfermo. Le 'mfertadi e i mali che passino d'uno ad altro sono lepra, cioè malattia, scabbia, e tisichezza, e febbre pestilentiale, le quali allotta avengono quando alcuni segono sotto 'l vento, o ne le case strette ko lli ohomini, i quali ànno queste infermitadi. E ancora il male delli occhi passa e vae d'uno in altro, s'elli v'è insieme riguardo, cioè se 'l sano guata lo 'nfermo e lo 'nfermo il sano fisamente. E le pustole ree e molte, cioè bolle e papici, passano alcuna volta d'uno ad altro. E ancora è molto da observare ke lli huomini sani si dilunghino da tucte le 'nfertadi ke ànno malo odore e ch'elli segghano o stieno sopra 'l vento.
L. IV, cap. 24 rubr.Capitolo .xxiiij. Di guardarsi di pistolença e mortalitade e corruttione d'aiere.
L. IV, cap. 24(+i) Chi guardare si vuole di pistolença, cioè a ddire di malatia ke aviene per corruptione d'aire, sì come febbri, aposteme, pustole, vaiuoli e altre malatie e infermitadi assai ke fanno la gente subitamente morire, si conviene a lloro sapere la cagione de la corruptione de l'aiere e i segni per li quali elli la potrae conoscere e le malatie schifare. Or dee dunque ciascuno sapere ke la pistolenza per due cose aviene: o per lo cambiamento de l'aiere di sua complexione o per la coruptione di sua substantia. E questo cambiamento sì aviene ancora per due cagioni: sì come per fummi puzolenti de la terra ove avrae charogne d'uhuomini o di bestie, sì come di battallie in hosti e in exerciti, o di stangni, o di marosi, o di laghi, o d'altri malvagi luoghi che corrompono la natura e la sustantia dell'aiere; ké ll'aria non corrompe sua natura sança operamento e cagione d'altre cose. La seconda kagione per che l'aire si corrompe sì è quando le stelle sembrano cadere, e le grandi fiame ke apaiono in cielo, e non cambiano queste cose ke noi avemo dette la substanza de l'aiere, ançi la cambiano le qualità, cioè a dire ke ll'aria k'è calda e humida di sua natura ne la primavera sarà più humida e più kalda ke ssua natura non apertiene, allora saranno le qualitadi cambiate. E di state, quando dee essere l'aiere caldo e seccho et elli sarà freddo e humido, allora sarano le qualità cambiate. E 'l somilliante intendete nell'altre stagioni de l'anno. E questo cotale cambiamento fae venire pestilentia ke la fisicha apella epidemie, ma non è neente cosie perilliosa come quella ke viene de la corruptione de la substantia de l'aiere. Ora vi diremo de' segni kome voi la potrete conoscere. Voi dovete sapere ke le pistolençe avengono più nell'autunno ke 'nn altra stagione de l'anno, e maximamente quando voi vedete ke i venti ne portano per l'aiere la kiarità delle stelle ke paiono kadere e una gran fiama di fuocho ke sembra essere nel cielo. E quando ne la state dinançi avrae avute gram piove e l'aiere sarae tuctora spessa di nuvole, e ke i venti di mezo diventeranno assai, o ke ll'aiere sia a riposo ke non si rimuovi, o ke i venti di verso mezo diventerano tuctavia, e ke rane e botte picciole apariscono sopra la terra a grande abondança, o ke sorici, o llupi, o altre male bestie escano di fosse, o ke uccellaci stranii volino per aiere, questi sono segni di pistolença ke dee venire. Ora vi diremo kome l'huomo si dee guardare. Primieramente dovete l'aiere rettificare e mettere a sua natura ke, ssì come disse Ysaac, pegio fae il reo aiere nel corpo de l'huomo ke non fae il mangiare né 'l bere, perciò ke 'l mangiare e 'l bere s'amenda di sua malitia ne lo stomacho, ma ll'aiere k'è velenoso sì sse ne va tucto diricto al cuore e al polmone e sì mette la natura a nneente. (i-) La pistolenza suole il più de le volte avenire ne l'autunno e ne la fine de la state. E sappiate ke l'autunno è quello tempo ke dura da mezzo septembre infino a mezo dicembre. Per la qual cosa se ne la state molte piove averanno e nebbie, e moltitudine di piove dureranno e sieno di notte e di die, e molti venti da la parte del mezo die ventino e soffino, o ke l'aria sia sì queta e im pace ke non si muova, e ancora con questo il vento meridionale è torbido, allora da la carne e dal vino e da quelle cose ke ssono fatte di mèle, sì come confectioni facte di mèle, e da' fructi ricenti e dolci e dal bagno e da lavacro, cioè lavamento, d'acqua calda del tutto in tucto si dee sofferire e astenere. E in ogne manicare dee usare l'aceto e dee mangiare tucte cose e cibi ne' quali si pone aceto; e saranno da prendere e da usare rob de' fructi molto acetosi e stitici, cioè lazzi, sì come robbo del sugo de l'uve acerbe, e sugho de ribes, e de le melegrane acetose, e di mele acetose, e del sugo del somach, e l'acetositade del cederno si dee prendere. E ancora è da bbere spesse volte grande quantità di sciroppo acetoso. E s'è grande necessitade, si sforçi di mangiare karne, galli, starne, pernici maschi, e vitello, e kavretto, konditi e aparecchiati ko l'aceto e col sugo dell'uva acerba, e col sumacho e con somillianti cose a queste, e ancora ulen e mesos si debbono mangiare. E se nel corpo apare alcuno movimento di sangue, sì ssi tolgha sangue sança dimoranza. E le case ne le quali si dee sedere debbono essere frede, le cui porte e finestre sieno da la parte di tramontana, imperciò k'elli è possibile cosa ke quelli ke userano questi regimenti, co l'aiuto di Dio, scampino dall'aria pestilentiale e dai vaiuoli, e da' morbilli, e dall'antrace, e dai mali e dai rei apostemi, e da la febbre sinocha. E ancora quando la dispositione del tempo fia cotale, i fanciulli e i giovani e quelli ke ssono grassi e che ànno il colore rosso si debbono guardare più delli altri. E quando ne la fine de la state fia gran caldo, e l'autunno molto seccho e molto polveroso, e 'l freddo e la piova peneranno e tarderanno molto ad venire, le magioni si debbono raffredare e humentare koi panni grossi inaffiati coll'acqua e impiccati e penduti per la magione e inaffiando lo spazo de la chasa coll'acqua. E conviene ke ssi guardi da ffatica e d'avere a ffare con femina, e dêsi ancora lavare con acqua fredda e bere l'acqua ke esce de la neve, e dee bere la mattina sanich (o sanit) con molta acqua e con um poco di çucchero, e dêsi bere acqua raffreddata co la neve. E si conviene guardare da' ccibi ke abbiano a riscaldare e dal vino, se non è molto inacquato. E si dee usare l'acqua del chokomero, del cederno, o de la zuccha, e de la porcellana, e d'altre cose somillianti a queste. E si conviene molto guardare di non sedere al sole. E non dee l'huomo digiunare, né 'l mangiare non si dee tardare, né ssete non si dee sofferire in niuna maniera. E se alcuno vuole dormire di merigge, sì dorma e si riposi ne' luoghi freddi. E mangino i cibi tali chente noi abbiamo detti, e se volliono mangiar pesci sono da usarli arostiti sopra i carboni. E prendansi uve ne le quali sia ancora acetositade. E in cotali tempi giova molto bere ognendie dell'acqua dell'orzo e magiormente a coloro ke ànno i loro corpi caldi e secchi, imperciò ke questi cotali ànno magior mestiere di questo cotale regimento, e per questo cotale regimento è possibile cosa di scampare, in questo cotale tempo, de le febri acute e calde. E quando la notte apaiono molte aparitioni somillianti al baleno, e 'l colore de l'aiere è somilliante a l'yteritia, cioè al giallore, e i venti soffiano e ventano, dipo ' quali molti huomini e animali infermano, e la notte si vegono e appaiono radii e splendori, e lo 'mfermo molto tosto muore, e l'aria s'atrae com pena, e de la boccha dell'imfermi esce reo odore, e l'imfermi ànno grande angoscia e grande ardore e gran sete, e le loro stremitadi, cioè piedi e gambe, si raffredano e redono e agiettano di sotto homori puzolenti e di diverse maniere. E quando queste cotali cose avengono, i fructi e i camangiari ke nascono in questi cotali tempi si debbono lasciare, e si dee bere l'acqua ke è manofesta sopra la superficie de la terra, e si dee dimorare ne le magioni e ne le case fredde, e l'aria calda si dee fuggire, e ciascuno die si dee inaffiare la casa con aceto e con acqua mescolati insieme. E se con questo ancora è nell'aria similitudine d'odore puzolente, si debbono li homini suffumigare con sandali e canfora, e con acqua rosata si debbono arosare e inaffiare, e le case si debbono suffumigare kon costo, e con incenso, e com bonch, overo lyonch, e con sandali, e con canfora; e i cibi sono aceto, e lenti, e sumacch, e sugo d'uve acerbe; e aceto temperato si dee bere, e 'l vino si dee lasciare stare; e in questa dispositione giova di prendere in beveraggi uno de' trocisci di camfora, e l'acqua co la neve si dee bere, e dee huomo usare di lavarsi con acqua fredda. E ancora uno delli antiki filosafi disse ke ssi pigli due parti d'alloe e di zafferano orientale (e l'altra lettera dice zafferano ortolano) e di mirra, di ciascuno igualmente una parte. Si dea loro nel cominciamento de la pistolenza di ciascuno il peso di .xij. alchith (nota che alchith sì è uno peso il quale pesa tre granella d'orço), ciascun die con una oncia di vino temperato, fae grande giovamento, imperciò k'elli disse ke non vide neuno bere questa medicina nel chominciamento de la pestilentia e mortalitade k'elli non iscampasse. E Galieno disse ke bolo armenicho con aceto e con acqua bevuto a queste dispositione è convenevole e buono, e ancora triaca diacignes gli è molto convenevole, e giova ancora a la fredda dispositione se nel tempo dell'aiere putrefacto e fracido si fae suffumigamento kon costo e con incenso, e con torace, e xilloalloes, e buchit, e con sandali, e kon canfera, e con mirra. E aviene in alcuni anni ne la primavera a molti sinantia, cioè quella infermitade, et è rea e mortale. Dunque conviene in questo tempo prevenire e soccorrere a queste infertà col torre e scemare sangue, e col porre le ventose ne le gambe e con medicina ke faccia uscire e con gargarismi, i quali gargarismi si debbono fare ciascuno die e ciascuna notte con acqua rosa, ne la quale somaccho sia stato in molle, e con rob di more e di noci. E aviene ancora ke in alcuno verno molte volte avengono apoplesia e paralasia e somillianti a queste. E ancora è mistiere ke quando cotale anno sarae spesse volte, si vòti il corpo co le pillole, le quali noi nomineremo ne' capitoli di queste infermitadi, e usare gargarismi e starnutationi e untioni di tucto il corpo colli olii i quali ivi, in quel capitolo, nomineremo, e 'l cibo si dovrae menomare e sottilliare. (+i) E ki userà le sopradette cose, sì scamperà de la mortalità e de l'enfertadi e pistolentie k'avengono per la coruptione de l'aiere. (i-)
L. IV, cap. 25 rubr.Capitolo .xxv. Del regimento del corpo secondo i quatro temporali de l'anno.
L. IV, cap. 25Ne la primavera konviene ke l'huomo prevengha e avacci col torre sangue e col muovere il ventre, e si soccorra ançi che 'l caldo monti o crescha (+i) per li homori che nel verno sono ingenerati, i quali potrebbero ingenerare febri e altre malatie per lo calore del tempo de la state ke ffae li homori bollire, ke con tucto sia ciò ke ne la primavera avegnano malatie impertanto non vengono neente per sua natura, ma per lo verno ke lli homori àe ingenerati, ké questo è il tempo più temperato per prendere medicina, e ciò debbono fare quelli ke ssono carnuti e di grossi homori pieni, e deono mangiare legieri vivande ke raffredino sì come sono pulcini, cioè pollastri, kavretto in vergius, e carne di castrone in vergius, e kamangiari sì come atrebici, borrana, bietole, e brodetto di tuorla d'uove a vergius, e pesci a ischallie, e bea vino temperato ke non sia dolce, perciò ke in questo tempo da tucte cose dolci si conviene guardare, e dorma la mattina e di die non dorma punto. (i-) E in questo tempo dee huomo meno bere vino, e meno mangiare carne, e meno usare ogne cosa dolce. E magiormente deono questo observare quelli ai quali solliono avenire infertadi di repletione. E affiedesi ke im questo tempo pigli l'uhuomo cibi sottili e ke raffredino, i quali solea pilliare la state, e usi le cose di su dette. D'istate (e quando la state fia venuta), sì ssi menomi il movimento e la faticha, e meno si conviene porre al sole; e i cibi grossi e caldi si deono lasciare, (+i) e mangiare legieri vivande sì come pollastri a vergius, lattughe, porcellane, melloni, cederni, cedriuoli, çucche, prune, mele afre, pesci ke noi avemo nomati, molsa di pane in acqua fredda, e tucte altre vivande ke raffreddino. E dee l'uhuomo mangiare pocho e spesso, e dee l'uomo mangiare la mattina ançi ke 'l sole monti e la sera quando elli è coricato, e si dee guardare di cose dolci e di grasse, e usare tanto quanto elli puote tucte le sue vivande in cose acetose, e può bere la matina sciroppo acetoso e nel mezo di çuchero kon isciroppo violato a acqua fredda, o çucchero kon acqua bollita rafreddata; e ciò dee fare tucte l'ore k'elli vorrà bere, salvo ke a ora di mangiare, ké a ora di mangiare dee l'uhuomo bere vino fiebole bruschetto mischiato con acqua tanto k'elli senta più d'acqua ke di vino. E si dee spesso bagnare in acqua fredda per lo kalore fiebole k'è nel corpo, e inforzare, e si guardi di giacere con femina e d'affaticarsi a oltragio, ké in questo tempo è la cosa che più affiebolisce il corpo e diseccha. E si lasci stare il vino forte possente e vecchio. Nel tempo de l'autunno sì dee l'uhuomo purgare e flebotomare e temperare li homori, ké ciò è la stagione de l'anno più inferma, e ove più perilliose malatie avengono, e perciò si conviene mangiare buone vivande sì come capponi, polli, huova, pipioni ke comincino a volare, e carne di porco, e bere buono vino, e non si dee l'uomo troppo empiere, e si dee huomo guardare di tucti fructi, ké ciò è la cosa ke più fae febbri ingenerare, ke ssì come disse Galieno elli non ebbe umque febbre perciò k'elli non mangioe umque fructi. (i-) E dêsi observare ke neuno di merige si pongha al sole, e 'l capo si dee guardare il die e la notte dal freddo; e dêsi guardare di bere acqua fredda e con essa non si bagnino in questo tempo; (+i) ma debonsi lavare con acqua tiepida, e guardarsi che non giacia i· lluoghi che corpo sofferi oppilationi e reprezi, e non dormano dopo repretione di cibo, e non conviene ke vomito si provochi, cioè ke l'huomo si sforçi di reddere, imperciò ke in quel tempo fae avere la febbre; e guardinsi ancora k'elli non sofferino né fame né sete, e si guardino dal coyto, cioè d'avere a ffare con femina, e non pensi troppo, e non si riempia di cibo troppo a una volta, e 'l vino si temperi in tal maniera ke elli faccia diletto a l'anima e a lo stomaco, né gravamento, né distensione, e non sofferi fame né sete, ma mangi e bea quando elli n'àe talento, ma non tanto k'elli si senta pesante e la forcella emfiare. (i-) E in questo tempo si guardi il corpo secondo più cose sança intermissione, cioè sempre, e reggasi secondo ke ne la state si solea guardare infino a tanto ke venga la piova, la quale piova, poi ke fia venuta, redde sicuro da molti mali e rei nocimenti. E s'elli adviene ke l'autunno sia lungo et estivale, cioè somilliante a la state, allora si converrà fare magiore guardia. E tucta la guardia de l'autumpno dee essere in repressione, e temperamento, e inspegnimento de le mali qualitadi delli homori, magiori ke nel loro votamento kon flebotomia (cioè col torre sangue) e col muovere il ventre. E se ne l'autupno avenisse alcuna infertade, tosto si dee sovenire e soccorrere ko la medicina ançi ke ll'acrescimento vengna e ançi che 'l male crescha, imperciò ke in questo tempo le 'mfertadi sono ree e pessime, e a la perfine tutta la 'ntentione sia in humentare il corpo, imperciò ke in questo tempo è maggiore mestieri che non è ne l'estate; imperciò che questo tempo, per la grandeza e malignitade de la sua complexione, non soffera errore di regimento e di vita, e non lascia usare larghi cibi, né la dieta dispregiare e mettere a non calere. Il verno soffera errore di regimento e largheza di cibi, (+i) e dee huomo mangiare carne di bue, huova, charne di porco, e di cerbio, e di daini, e di pernici, e di fagiani, lievri, konilgli, ucelli di riviera e altre vivande ke più li piaciano, ké questo è il tempo nel quale la natura soffera più grande quantitade di vivande per lo naturale calore che dentro il corpo è forte, e dee bere buono vino, o vino salviato, e usare buone spetie in sue vivande, e ciò è il tempo più sano ke l'huomo non à quasi malatie se nom per grande oltragio ke l'huomo faccia a sua natura. (i-) E a la perfine il verno conserva la santade acciò k'e· llui, cioè nel verno, le 'nfertadi non vengono sança grande cagione d'errore. Nel quale l'uhuomo si dee guardare di troppo grande solutione di corpo, e conviensi usare se alcuna volta febbri si muovano e vengano il verno, e tosto si sovegna e si soccora loro ko la medicina e propiamente con votamento, imperciò ke queste cotali febbri vengono più spesse volte per cagione di repletione, per la qual cosa crescono e fanno più forti se nel chominciamento non si fae evacuatione. E quelli ke è di fredda complexione si potrà nodrire con caldi cibi, sì come sono agli e cipolle e altre cose calde, le quali si mescolano coi cibi per condirgli e per dare loro savore, sì chom'è pepe, komino, e rucha, senape, e somillianti a questi. Ma s'elli è giovane e di kalda complexione, più convenevole cosa è ke di questi cotali cibi elli pigli meno, overo ke del tucto in tucto i· lasci stare; imperciò ke sse queste cose non 'l fano infermare nel verno, sì 'l faranno infermare nel kominciamento de la primavera, o ne la sua fine d'infertade acuta, s'elli no è sovenuto e socorso ko la flebotomia e con solutione di corpo. E ancora quelli il quale nel tempo del verno molto avidamente avrà mangiato e avrae ricevuto insieme ne lo stomacho, e che moltitudine di cibi riceve col vino, sì ssi dee tosto soccorrere co la flobotomia, cioè col torre sangue. E colui che usa grossi cibi e rei si dee soccorrere con solutione di ventre.
L. IV, cap. 26 rubr.Capitolo .xxvj. De le femine pregne come si deono guardare.
L. IV, cap. 26(+i) Per brievemente intendere ciò ke nnoi diremo, sì dovete sapere ke 'l fanciullo nel corpo de la femina è altressì kome il fructo de l'albero, ke voi vedete primieramente ke 'l fiore ove 'l fructo viene k'elli si tiene fiebolemente all'albero e per poco di vento o di piova kade. E poi apresso quando il fructo ingrossa, sì ssi tiene ben forte all'albero e non cade volentieri. E quando il fructo è maturo, sì cade sì come il fiore leggiermente. E così, per somigliante modo, dovete voi intendere de la femina ke nel primo mese e nel secondo e nel terzo puote aneentire sua grosseza s'ella non si sae guardare. Ma nel quarto o nel quinto non vi àe punto sì gram perillio e la puote huomo segnare e purgare in quel tempo s'è mestieri e secondo ke dice Ypocras; perciò ke 'l fanciullo si tiene forte sì come il fructo ke non è neente maturo; ma al tempo k'ella è presso di partorire, sì v'àe perillio, kome dinanzi sì diviseremo kome ciascuna femina prengna si dee guardare. Primieramente si lor conviene guardare da (e abstenere) da tucti i cibi ne' quali è acuitade e amarezza e di cose troppo salate, perciò ke per queste cose mangiare potrebbe il fanciullo nascere sança unghie e sança capelli; e si dee guardare di tucte cose ke mestrui e loro privata malatia lor facia venire, sì come ceci, fagiuoli, ruta, capari, appio, lupini e ulive non mature e di tucte cose ke provocano orina; e loro conviene guardare di salti, da cruccio, da travallio, e da pensieri, e da paure, e da cadimento, e usare cose di gioia e di sollazo, (i-) e magiormente nel cominciamento e ne la fine de la pregneza. E dêsi del tucto in tucto levare e partire del coito, cioè de l'usare co l'huomo, imperciò ke tucte queste cose sono molte volte cagione di fare scipare. E somilliantemente si dee nodrire di cibi sottili, i quali generino buoni homori e che ripriemano e spengano la nausca, e l'abominatione, e che facciano forte la bocca de lo stomacho, sì come è la carne de la gallina e del cavretto, e de la pernice, e del vino ke à buon odore, il quale sia inacquato temperatamente, e a digiuno bea rob e fructi acetosi laççi coi quali prenda um poco di trocisci, xilloalloes, acciò ke ssi ripriema la nausca e la vollia del reddere, e alguardas, sì come apetito di carboni e di fango e di somillianti cose; e usi movimento et exercitio temperato; e si guardi ke non facia troppo grande dimorança nel bagno, o nel sole, e dee acrescere e usare le canzoni e i giuochi e quelle cose ke ffanno dilettationi, e odorino cose di buono odore, e portino robe fresche e nette. E dee usare intorno al capo e al volto cose odorifere, e fumigationi e fumigi dee usare. E allievi il cibo e 'l sonno dee acrescere, e mangi il die molte volte, e non si riempia di cibo insieme a una volta. E se l'apetito si distrugesse e perdesse molte, sì le si vorrà dare de le cose agre um poco, sì come sono cipolle, e senape, e simillianti cose, le quali cose disgregando conmuovono e auzano l'apetito. E conviene masticare mastice, e oncenso, e mele cotongne, e melegrane; e ancora manuchi mele martiane, (+i) pome citrino, ciò sono cederni, i quali valliono molto contra lo snaturato apetito de le femine incinte, ke mangiano karboni e altre male cose. (i-) E si guardi di rei cibi, e non mescoli ne lo stomaco rei cibi e diversi, perciò k'elli è possibil cosa ke con questo regimento ne la pregnezza scampi d'infertadi. E s'elli aviene ch'ella infermi, si conviene k'ella si medichi sança torre sangue e sança muovere il ventre, e questo si faccia con gram paura e con gran diligentia, acciò ke la creatura dimori e stea e il parto si faccia e sia leggiere. (+i) E faccia fare questo lattovario ki fare lo puote, ke conforta lo stomaco e tucto il corpo de le femine pregne. Tollete perle ke non sieno forate, e piratro di ciascuno dr. .j., gengiovo, mastice, di ciascuno dr. .iiij., zetovario, cassia lignea, cardamone, noci moscade, mate, cinnamomo di ciascuno dr. .ij., pepe lungo, di ciascuno tre dramme, e fare polvere di queste cose, e poi apresso farne lactovario con çucchero. Ancora possono usare quelle ke llor filliuoli non possono avere a diritto termine, usino d'una erba a mangiare, ke la fisica apella bistoire, ciascuna matina, kon um poco di vino e d'aqua, o ne faccia fare lattovaro. E di queste cose si deono guardare e usare le femine incinte, se volliono la creatura guardare e conservare a diritto tempo. (i-)
L. IV, cap. 27 rubr.Capitolo .xxvij. De la malagevoleza del parto e del suo regimento e a partorire legiermente.
L. IV, cap. 27(+i) E quando il tempo e l'ora del parto s'aprocia di .xv. dì o di tre setimane, sì ssi dee mettere nel bagno, e ciascuno die sedere ne la tina del bagno, ove sian bollite malva, malbavischio, seme di lino, fieno greco, camamilla, e si de' il ventre, e il dosso, e le cosce, e l'anche ugnere, e 'l petignone e il luogo privato con olio di camamilla e di grasso di gallina o d'anitra, o di bituro, o di dialteo; e a l'uscire del bagno, s'ella è riccha, bea due danari peso di balsamo in vino tiepido, e s'ella è povera si faccia cuocere in vino radici di coste e d'arnoise e apresso col vino bea due danari peso di fiele di toro.(i-) E le si debbono dare cibi k'abiano buon sapore, e quelli cotali cibi sieno lenitivi, cioè ke muovano il ventre bellamente, sì come sidabogi e alma (overo alma) facto di zucchero e d'olio di mandorle ricenti. E quando l'ora del parto fia venuta, il dosso si dee ugnere koll'olio di kenty e con olio di sambucho caldi, overo tiepidi. A la quale si dee ugnere il pettignone e 'l corpo e sotto le costi, e si ne dee mettere nel luogho privato dinançi, e dee andare a poco a poco. E poi k'ella fia andata a pocho a pocho, seggha e distenda i piedi igualmente, e poi sopr'ambindue si lievi insieme. E se 'l dolore del parto sia forte, sì ssi expriema prendendo il naso e la boccha. E la bailia lievi il suo dosso e priema le budella e 'l mirach da la parte di sotto. E se lungamente stesse in questo modo, a costei darai cosa untuosa facta di polli, nel quale grasso di grassa gallina e d'anitra si pone e mette, e (+i) bea buono vino; e s'elli è freddo, si faccia l'aiere scaldare de la magione com buoni carboni e di state la rafreddi. (i-) E se 'l parto è duro e non s'abbia paura che quella che sopra il partorire muoia, sì le si dea acqua libra una, ne la quale fieno greco e datteri sieno cotti, ne la quale acqua, ançi k'ella le si dea, um poco d'olio di mandorle dolci si pongha, la qual non si dee bere a una volta, ma tra due volte o tra tre, acciò k'ella non si rigitti, o dipo questa acqua prenda trocisci di mirra, o se ancora stea stretta e nom possa partorire, si prenda sugo di ruta sempice o con trefora magna, e si pigli atthrix, gensith, galbano, di tutti igualmente, de' quali si debono dare dr. .ij. E s'elli aviene cosa ke la femina sia dilicata e nom possa molto sofferire l'odore de le medicine e de l'erbe, sì ssi converrà disolvere e darle bere il peso d'uno aureo de agalia disolvuta e distemperata in vino bene odorifero. E la dee huomo confortare col sugo de la carne e col buono vino. (+i) E se avenisse ke 'l parto fosse forte e perillioso sì come del fanciullo ke non venga dirittamente sì com'elli dee venire, ke vengha i piedi inançi o 'l braccio (ké voi dovete sapere k'elli dee venire la testa inançi naturalmente, e le braccia distese sopra le sue coscie, e s'elli così non viene, ma ssì come noi avemo detto), sì non v'àe altro consillio se non d'avere savia baglia ke ss'ungha bene le mani ke 'l rimetta a punto k'escha sì com'elli dee. E si conviene affretare de la femina di liberare perciò ke v'à troppo gram perillio, e sì le sia dato a bere dell'aqua ove fieno greco e dateri siano cotti, sì le sia datone a bere tre volte o quatro o più, se mestiere è, con sugo di ruta dr. .ij. in vino tiepido, o con sugho di savina, o bere kannella in vino, o trefora magna con sugho di ruta, e questo medesimo aopera il sugo suo solo bevuto, o pessarizato, o le tenerità fue fricte nell'olio e sopraposte al luogo privato. E se la femina è grossa e grassa sì ssi corichi bocchoni, e tragha sue ginocchia diverso la testa, e abbia uno kuscino sotto il suo ventre ke ssì fattamente dimorare fae più legiermente tucte femine partorire. (i-) E se la secondina vi sia dimorata dipoi ke 'l fanciullo fia nato (cioè quella pelle ne la quale il fanciullo è involto nel corpo de la madre), sì la dee huomo isforzare k'ella starnuta col condisi, cioè kon quello cotale starnuto, e prendendola per lo naso. E s'elli aviene cosa ke per questa cotale maniera la secondina non escha, sì ssi dee ricorrere a le medicine ke noi avemo nominate, e dêsi fare fumigio e suffummigamento di sotto con mirra, kon kima, e gensit, e çolfo; e di queste cose mescolate insieme col fiele de la vaccha si facciano pillole, de le quali l'una dipo ll'altra si metta nel fuoco; il quale fuoco sia in focolare, il qual si cuopra con una grande scodella di terra, la quale abbia un foro nel miluogo. E questo cotale foro si metta di sotto a la natura de la femina acciò k'ella riceva il fummo nel luogo privato. La qual cosa allocta si dee fare quando il fanciullo è morto e non si muove, o non si muove fortemente. E s'elli aviene cosa ke dipo 'l parto molto sangue escha, onde la força e 'l vigore venga meno, sì ssi dee soccorrere e sovenire con quelle cose ke noi nomineremo e diremo nel capitolo del ritenimento e costringnimento de' mestrui. E sì la dee huomo riconfortare coll'acqua de la karne e kol buono vino o atibii, cioè ko le cose odorifere, mollandolene il volto e fumigandolane. E se ssangue non viene dopo 'l parto, o poco ne venga, sì ssi de' suffumigare la femina kon fumigi ke ssono scripti di sopra, de' quali si dee mettere ancora nel luogho privato. E dêsi medicare ko le medicine ke noi diremo nel capitolo del provocare e fare venire i mestrui. E questo non dee huomo lasciare stare né avere a schifo, se non quand'ella fosse magra e debole, imperciò ke per questo le s'ingenerano alcuna volta infertadi ree e dure. (+i) E poi ke la femina sarae diliberata, sì ssi dee bagnare e riconfortare di buone vivande e legieri. (i-)
L. IV, cap. 28 rubr.Capitolo .xxviij. Del regimento del fanciullo sì tosto com'è nato.
L. IV, cap. 28(+i) Dapoi ke la femina sarae diliberata del filio, sì vi conviene sapere come voi dovete il fanciullo nato aparechiare. Sappiate ke ssì tosto come il fanciullo è nato, sì ssi conviene inviluppare in rose mischiate e peste con salina. E dêsi talliare il bellicionchio a lungheza di quatro dita e porre di sopra polvere di sangue di dragone, e sarquol, e comino, e mirra, e uno drappo di lino molle in olio d'uliva, e questo è lo 'nsegnamento di molti phylosafi. Ma elli è più sicura cosa di prendere un filo sottile e legare il bellicionchio, e poi porrevi drappi di sopra molli in olio e lasciarlo infino a quatro die, e cadrae. E quando elli sarà caduto, sì vi si dee porre sopra salina mischiata com polvere di cose, o ddi sommach, o di fieno greco, o d'origamo, e di ciò potete salare tucto il corpo, salvo ke le labra e la boccha per lo bellico e per tucto il corpo adurire e corroborare, perciò ke ssì tosto come 'l fanciullo è nato tucto il corpo è tenero e sottile, e sente agevolmente cose calde, e fredde, e aspre, ke troppo legiermente il graverebbero e potrebbero la sua naturale forma kambiare, e 'l puote huomo più d'una volta salare, se mestiere è, e spetialmente quelli k'àe assai di superfluitade. Apresso si dee lavare d'acqua tiepida e incontanente dopo 'l parto dee la nodrice, o la madre, li orecchi del fanciullo distendere e tirare, la qual cosa si dee ancor fare molte volte; e al bagnare dee le nari e li orecchi purgare, ma abbia sue unghie tondute, sì ch'ella non possa il fanciullo gravare, e mettere nelli ochi um poco d'olio d'uliva. (i-) E conviensi molto guardare ke 'l lacte nolli entri nelli orecchi quando li si dae la poppa, e ke 'l palato si tocchi col mèle, apreso si dee lavare, e i fori del naso si nettino molto bene koll'olio e coll'acqua tiepida, e le superfluitadi si ne spriemano fuori. E dêsi tutto prima fregare e stropiciare um pocho e poi ugnere, e somilliantemente i suoi membri si debbono distendere in ciascuna parte e strignere co la fascia, (+i) e 'l picolo dito mettere dentro il fundamento per le superfluità purgare, e sua vescicha priemere bellamente per mellio orinare e, tanto quant'ella puote, dal freddo guardare. E al fasciarlo sì 'l dee savie coricare, e stendere, e dirizare, e metterli a punto, e rettificare i suoi membri, cioè a ssapere il capo e 'l naso e la fronte, e donarli bella forma ke ciò è legier cosa di fare a savia nodrice, ké tutto altressì kome la cera quand'ella è molle prende la 'mpressione e la forma ke l'huomo le vuole donare, così tale fanciullo tenero prende la forma ke la nodrice lor dona, onde in cioe sappiate ke bellezza e rustichezza avere tiene gram partita a le nodrici di dare. E quando elli sarà fasciato e le braccia e le mani in verso sue ginochie stese e la testa legiermente fasciata e coperta, imperciò ke sse questo regimento si guarda si scamperà da molte infermità. (i-) E in tal maniera popi ke 'l suo ventre perciò non emfi, e che di lui non esca molta ventosità, e ke nolli avegna dissolutione e pigreza, né troppo lungho sonno. (+i) E la culla ove dorme non vi abbia cose aspre né dure, ma morbide e soavi ke 'l guardino dal freddo e no li rendano troppo gran calore, e sia la testa quando dorme più alta ke ll'alto corpo, e dorma diricto, sì che 'l corpo non penda né d'una parte né d'altra. E la magione ov'elli dormirà sia obscura, ma non troppo, ke la grande chiarità a la veduta il potrebbe tosto gravare, (i-) e non si rivolgha di lato in lato, e non piangha e non renda per boccha. E se aviene che alcuno di questi segni appaia, sì ssi sforçi e si tengha del popare più ke non è acostumato, e dorma più ke non suole, e poscia si bagna in acqua calda, e poppi meno che non suole. (+i) E quando elli avrae assai dormito, sì ssi dee levare e bagnare con acqua tiepida, calda, e si puote ciò fare due volte o tre il die. E se ciò è di state ke ssia caldo, sì ssia l'acqua um poco tiepida, ma di verno sia più calda. E al bagnare si guardi ke ll'acqua nolli entri nelli orecchi, e 'l dee prendere per la mano destra e distenderela sopra 'l petto verso la sinistra, e la sinistra inverso la destra, e i piedi e le gambe piegare legiermente di dietro inverso la testa per le giunture de' ginocchi fare più legieri e preste al muovere. E quando elli sarà bagnato, sì sia rasciutto kon drappi di lino asciutti, e morbidi, e soavi, e poppi um poco, e riporrelo a dormire prima sopra 'l ventre e poi supino. (i-) E la culla si dee muovere igualmente, la qual cosa si dee fare poi ch'elli avrà poppato. E i suoi occhi ne' primi die de la sua natività si debbono coprire col pano. E si dee molto guardare k'elli non sia il luogo molto luminoso e molto risprendiente e radioso, e dinançi a llui si debbono inpiccare margherite di vetro e panni di diversi colori. E dee huomo dinançi da llui usare cançoni, le quali si dicano con voci soavi, e dilettose, e riposate, e quiete, e che faciano dilectatione e gioia, e non cançoni kom boci aspre e rauche. E poi k'elli verrà il tempo e l'ora ch'elli vorrae parlare, la balia sua freghi e stropicci spesse volte la sua lingua, cioè a ssapere la parte de la lingua di sopra si dee fregare con salegemma e con mèle, e questo si dee fare magiormente a colui ke pena e tarda molto a favellare. E dinançi da llui dee l'uhomo spesse volte favellare, e dee l'uhuomo dire parole lievi e agevoli, e insegnarli parlare parole agevoli a dire. (+i) E in questo modo si dee il fanciullo guardare quando la femmina l'àe partorito, ora vi diremo in qual maniera si dee lactare. Sappiate ke il lacte ke lli si dee dare e quello ke mellio vale sì è quello de la madre, perciò ke di quello medesimo dentro il ventre de la madre è elli nodrito, ke naturalmente poi k'elli è fuori del ventre ritorna il lacte a le mamelle, e dee avere assai d'essere lactato due volte o tre il die, ke ciò è assai. E si dee pocho lattare al cominciamento, e sarebbe mellio dinançi il lattare k'elli si mettesse um poco di miele im boccha, e si conviene spriemere la mamella e lassciare um poco uscire, e poi apresso si puote lactare. E non conviene ke quando si viene a lattare k'elli sia disteso, ma k'elli si riposi tucto bellamente dopo il lattare, tanto ke 'l lacte sia avallato, e poi la culla soavemente menare. (i-) E quando elli verrà il tempo ke dovrà mettere i denti, sì è buono di stropicciare le gengie e sfregare spesse volte col bituro e col grasso de la gallina e la cola e li sponduli del collo si deono spesse volte ugnere co l'olio. E s'elli aviene cosa k'elli esca troppo, ponghalisi impiastro i· sul corpo di comino e di rose inmollati in un poco d'aceto e d'acqua, e si dee mescolare al lacte gom'arabico e bolo armenicho, e così darlisi mescolati. E s'elli è stitico e nom può uscire, sì li si dee mettere di sotto ne la natura sopposta facta di mèle cotto, e di sale, e di mèle, o di sterco di topi. E quando elli verà il tempo k'elli comincerà a manicare, sì si facciano kotali bocconcelli piccoli simillianti a ghiandi o a datteri de succula, e di lacte, e di çucchero, e diensi al fanciullo ch'elli si tengha in mano, e che ssi giuochi con essi, e ch'elli si sughi e si dispongha a poco a pocho k'elli ne mandi giù alcuna cosa. E sì li si dee dare la carne del petto del pollo tenero o de la pernice. E poi ch'elli incomincia ' assaporare e cominceranne a desiderare e ad apetire di mangiare, sì li si de dare la poppa meno e disusarlone a poco a ppoco, e non si lasci poppare la notte, e apresso a pocho a pocho s'avezi e meni a quello k'elli nom popi né 'l die né la notte. E si conviene molto guardare ke nolli si tolgha la popa nel tempo caldo.
L. IV, cap. 29 rubr.Capitolo .xxviiij. Di scielliere la buona balia per nodrire il fanciullo e del suo regimento.
L. IV, cap. 29(+i) Ma perciò ke le madri nom possono tuttavia loro filliuoli nodrire, sì lor conviene avere nodrici e perciò vi diviseremo kenti nodrici elle debbono avere. Per nodrici buone avere sì ssi convenghono queste infrascripte cose guardare, cioè a ssapere l'etade, sua forma, suoi costumi, sue manmelle, e s'ella àe buono lacte, e 'l tempo k'ella àe avuti filii s'elli è lungo o corto. E ki troverà queste cose buone secondamente ke noi vi diremo, sì è buona a torrela per suo filio nodrire. E primieramente vi diremo de l'etade de la nodrice. Sapiate ke la nodrice e balia conviene che ssia giovane da .xxv. anni infino in .xxxv., ké questa è l'etade ove il naturale calore è più forte per buoni omori ingenerare. La forma dovete guardare, ke conviene ch'ella sia somilliante a la madre tanto quanto ella puote, e k'ella abbia buono colore kiaro, lo quale abbia biancheza messcolata con um poco di rosseza; e abbia il collo grosso e forte, e il petto largo, e la carne soda, e non sia troppo grassa né troppo magra, e sia sana tanto quanto l'uhuomo la potrà più trovare, perciò ke le 'nferme nodrici uccidono i fanciulli, ançi ke ssieno lor die compiuti. Suoi kostumi dee l'uomo guardare k'ella sia ben costumata, né non conviene k'ella sia adirosa né trista, né paurosa, né sciocha, perciò ke queste cose rimutano la complexione de' fanciulli e li fae diventare sciocchi e malcostumati, e perciò i filosafi anticamente aprendevano ai loro signori ke i loro filliuoli facessero nodrire a ssavie e ben chostumate nodrici, acciò ke per difetto di male nodrici i filii loro nom potessero la loro diritta natura cambiare. La forma de le mamelle si deono guardare ke non sieno troppo molli né troppo dure, né non sieno né troppo grandi né troppo piccole, ké lle troppo grandi mamelle fanno i fanciulli camussi, quando di sopra il naso lor mettono le poppe, e diventa il naso schiaciato. La quantità e la natura del latte. Si dee guardare ke il lacte sia bianco, né troppo kiaro, né troppo spesso, né verde, né rosso, né nero, e l'odore del latte non sia acetoso, né forte ma soave, e il savore sia dolce. E dovete guardare ke 'l lacte non sia troppo grosso né troppo sottile. E s'elli è troppo grosso, o troppo sottile, sì 'l potete conoscere in questo modo: prendetene una gocciola e la ponete sopra l'unghia vostra, e s'elli cade sança l'unghia rimuovere sì è troppo kiaro, e s'elli non cade sì è troppo spesso, or lo prendete ke non sia né troppo spesso né troppo kiaro. Lo tempo ke la nodrice àe avuti filii si dee guardare ke non sia molto presso al tempo k'ella fece il fanciullo, né molto di lungi. E almeno conviene ke ssia un mese o due k'ella abbia avuto filii. E s'elli è uno anno o due dall'ora k'ella àe avuto filii, per fanciullo lattare non vale neente. E vale mellio k'ella abbia avuto filio maschio ke femina. E vi guardate k'ella l'abbia partorito a diricto termine e k'ella non abbia perduto suo filio e per battiture o per altra cosa. E queste sono quelle cose ke si convengono guardare per buone nodrici avere. (i-) E le pope abbia grandi nel modo detto, e 'l petto ampio, e sia mezana intra grassezza e magreza, ma penda in grasso. (+i) E quando huomo l'avrae cotale, si conviene a la nodrice usare buone vivande sì come caldelli di mandorle, karne d'agnello, kavretto, kastrone, e buoni pesci, lactughe, borrana, e dêsi guardare di non mangiare cose salate, né acute, né acetose, né cipolle, né ruca, né senape, né appio, né menta, né bassilico, né agli, né scallogni, né taguebil, cioè spetie ke ssi mescolino ai cibi ne le quali è forte caldeza, né porri. (i-) E magiormente l'appio del tucto in tutto lasci, imperciò ke non è convenevole cosa k'ella v'apressi. (+i) E si dee guardare di tucte altre cose che malvagio sangue fanno, e si dee fatichare temperatamente e non tuttavia stare in riposo. (i-) E si dee nodrire con cibi fatti di grano, cioè di frumento, e di riso, e di carni giovani, e buone, e ben condite. (+i) E guardinsi d'avere a ffare con huomo, che ciò è la cosa ke più corrompe il lacte. (i-) (+i) E perciò k'ella non diventi incinta, ké quando ella è incinta e dea poppa tale latte distruge i fanciulli. E quando la nodrice dà poppa, sì dee spriemere la mamella e poi lactarlo e darlile poco e spesso, ké troppo lactarlo a una volta fae il ventre enfiare e per la boccha del fanciullo rigitare. E quando l'avrae lactato, sì 'l pongha a dormire, ma ssia prima um poco riposato. E sì 'l dee la nodrice guardare di dure cose masticare, ançi li dee donare la nodrice pane k'ella avrà masticato, e fare pappa di midolla di pane e di mèle, e di lacte, e d'u· poko di vino, e darline um pocho. E se per questa cosa avenisse ke 'l fanciullo emfiasse o rendesse per boccha, sì 'l dee tanto raconsolare ke 'l mal talento sia passato, e usi de' boconcelli picoli somillianti a ghiandi ke noi kontamo di sopra, o tortelletti di pane e di çuchero a modo di dateri fatti. E quando elli comincerà ad andare, si conviene ke nolli faccia tenere i piedi sopra cose dure, ma i· lluogo morbido e soave, e non tengha l'una gamba alta e l'altra bassa, ke ciò fae i fanciulli sciancati, e non dee la nodrice il fanciullo fare andare, né sopra sue gambe troppo dimorare se uno anno o più non passa, per la tenereza de' membri ke agevolmente si piegano e dirompono. (i-) E se 'l lacte de la nodrice menomasse, polti di farina di fave, o di riso, o pane fatto di semola secco e fatto di çucchero le si dee dare a bere, ai quali um poco di sugo di finochio sia mescolato. E se 'l latte suo sia molto grosso, sì ssi dee sottilliare il cibo et ella non si dee affaticare se non poco. E se 'l suo latte fosse molto sottile, sì le si debbono dare cibi grossi e forti e molti, a la quale sciroppo acetoso e vino sottile non dee dare né usare. E se 'l suo lacte è sottile molto, grossi cibi e forti, e più in quantitade le si debon dare e 'l dormire si dee fare più ke non suole. E se 'l fanciullo esce troppo, sì ssi dee nodrire con quelle cose ke stringono il ventre, al quale non si debbono dare né cose dolci né cose untuose. E se nel corpo del fanciullo aparisce bothor, o apostema, sì ssi dee dare a la nodrice acqua d'orzo, la quale non manuchi né cose dolci né cose calde, ançi si nodrischa con altiçiçeth, cioè kon cose e con cibi i quali abbiano acetositade in sé con alcuna dolceza, sì come melegrane, musa, cioè ke ssieno intra dolci e agre, e ancora le si scema sangue. E se 'l fanciullo avesse passato quatro mesi, sì ssi puote ventosare e porre coppette. E quello latte è giudicato milliore il quale, se quando se ne prende una gocciola e mettasi i· su ll'unghia, no è troppo sottile o korrente, né troppo grosso e spesso e congelato, e ke à buono odore e buono sapore dolce. E lacte salso e ke à reo odore in neuna maniera non è convenevole al nodrimento del fanciullo, sì come noi avemo detto e narrato di sopra nel presente kapitolo.
L. IV, cap. 30 rubr.Del regimento dell'altre etadi e de la vecchieza tardare. Capitolo .xxx.
L. IV, cap. 30I fanciulli piccoli non si debbono medikare né col torre e scemare sangue, né con medicina ke molto abbia a muovere, ma dêli huomo medicare con ventose, s'è mestiere, e dare loro acqua di fructi ke li facciano uscire legiermente, e deeli huomo molto guardare k'elli non manuchino de le confettioni ke ssi fanno del mèle o de' fructi, acciò k'elli non incorrano molte infermitadi, e si debbono abstenere dal lacte e dal cascio e da' cibi grossi, acciò ke non si ingeneri pietra ne le loro vesciche, ai quali si dee dare semi di melloni mondi e scorçati kol çucchero, acciò ke le vie e li strumenti de l'orina si nettino e ke pietra non vi si cominci a generare. E nolli dee huomo troppo riempire di cibo, né troppo satollargli, e no li dee huomo lasciare cibo infino a tanto ke 'l primaio fie cotto e digesto e k'elli non fia disceso de lo stomaco. La qual cosa percioe si dee fare acciò ch'elli sieno sicuri da le scruofole e gavine. E lli adoloscenti e i giovani dee huomo guardare da l'acute infermitadi, scemando loro sangue e purgandoli, co le quali (cioè col torre sangue e col purgare) fortemente repremendo e spegnendo le dette agute infermitadi incontanente, da ke la significatione de l'acute infertadi sarae apparita, sarae da dottare ançi ke le infertadi si compiano e crescano. E quelli ke ssono da trentacimque anni infino in .Lv., o ivi intorno, debbono essere cosie guardati ke ss'intenda più a votare i loro corpi ko le medicine ke co la flebotomia, cioè ko lo scemare sangue. I corpi de' quali si convengono conservare, acciò ke non divengano a malo stato, menomando in loro la fatica e l'usare de la femina, acciò ke le forçe de' loro corpi lungamente durino e non si bagnino per lungo spaçio, cioè no stieno lunghamente nel bagno. E quelli ke ssono di .Lx. anni in suso, o ivi intorno, si debbono partire da la faticha e dall'uso de la femina e da lo scemare sangue, se non in grande e per grande necessitade; i quali debbono essere nutricati di buoni cibi, i quali abbiano buono sapore e sieno agevoli a smaltire, e debbono spesse volte usare i bagni, e molto dormire, e apressare al volto e al capo cose di che vengha odore, e usare fummigii e fummicamenti, e riposo, e quiete. E conviensi k'elli facciano quelle cose le quali fanno molto dilettare, e ancora beano vino di temperata natura sottile e kiaro, lo quale sia inacquato mezanamente, e beanne temperatamente. E questi cotali s'elli sono retti e guardati in questa maniera, per questo cotale regimento è possibile cosa k'elli penino molto a venire all'ultima vecchiezza e consumtione, e che loro corpi non si destrughano, né ssi consumino, né ssi abbattano sì tosto.
L. IV, cap. 31 rubr.Capitolo .xxxj. Di considerare e provare kente è il medico.
L. IV, cap. 31Molto dee huomo konsiderare in che il medico avrae ispeso la sua vita, e in ke elli avrae operato quello k'è passato del suo tempo, et elli se pensa quando elli è solo, s'elli passoe lo spatio de la sua vita riguardando e cercando i libri de' medici e phylosafi, e se il suo studio è, quando elli è solo, di riguardarli diligentemente, buona sospictione e credenza si puote di lui avere e sperança. E s'elli aviene cosa k'elli abbia trapassato lo spatio de la sua vita studiando in altre cose ke in quelle ke noi abbiamo facto mentione, e stando solo si diletta in canzoni e in stormenti, e disidera d'innebriarsi e simillianti cose a queste, mala sospiccione si puote di lui avere. E poi che l'huomo avrà saputo k'elli riguarda spesse volte i libri, sì ssi consideri kente è la sua astutia e subtillieza e ingengno, e s'elli àe conversato coi parlatori e disputatori, e se i· llui è potenzia di medicare e de riguardare o no. E dêsi inchiedere s'elli ebbe compagnia kom quelli homini ke noi abbiamo detti, e s'elli àe acquistato da lloro la virtude di medicare e de riguardare e di cerkare. E dêsi porre mente s'elli intende quello k'elli legge o nno, o 'l contrario. E poi che ssi saprae k'elli legge e intende i libri, si dovrae inkiedere diligentemente s'elli s'è travalliato e affatichato ne la cura e nel medicare dell'infermi, e s'elli li à medicati, e se ne le cittadi famose e di grande nome, ove medicina e molti infermi sono, questo abbia facto o no. E quegli ke ffie trovato avere queste due cose in sé è savio e dee essere proposto alli altri. E s'elli aviene ke ' alcuno vengna meno dell'una di queste cose dette, più convenevol cosa è k'elli falli il magisterio d'operare (in tal maniera tuctavia ch'elli non sia del tucto in tucto ingnorante e non sapiente operare, ma ch'elli sappia parte de l'operare), k'elli del tucto in tucto ignorasse e non sapesse la sapientia e quelle cose ke ssi contengono ne' libri delli antichi; imperciò ke quelli che ssa quello ke ssi contiene nei libri, e imagina, e pensa com poco conoscimento d'operatione, perverrà a quello di che i· neuna maniera potero pervenire molti di quelli i quali quelle cose ke ne' libri si contengano non seppero e non imaginarono, impercioe k'elli non sanno niuna cosa, se non quello k'elli apresero da coloro ke ebbero lungamente compagnia e usança con coloro i quali questo ne le cittadi famose e nominate, ove sono molti medici e infermi, sono insengnati e ànno apreso. E se alcuno abbia apreso di questa dottrina il quale non sa lettera e, pognamo ke ssappia lettera, non intende le parole e no è stato coi savi, non si dee avere fidança di lui, e non è da credere al suo sapere. Ançi dee l'uhuomo sapere k'elli in alcuna maniera puote perficere né fare cosa ke vallia di questa parte, imperciò k'elli è impossibile cosa uno huomo, ancora in lungho tempo, per sé solo aquistare e aprendere gram parte di questa dottrina, s'elli non vae secondo la regola di quelli che sono andati dinançi, imperciò che la quantitade di questa dotrina trapassa molto la misura de la vita de l'homo. La quale cosa non si truova e non aviene solamente in questa dotrina, ançi aviene in molte altre dottrine. E coloro ke di questa dotrina alcuna cosa infino ad aguale ànno acquistato non fuoron pochi, né im brieve tempo l'ànno acquistato, ma fuoron mille, e questo in mille anni l'aquistarono; i libri de' quali, se alcuno spesse volte riguarderà, porrà k'elli in brieve tempo vegga tucti, quasi come s'elli vivesse mille anni e portasse e sofferisse la fatica di coloro per mille anni. Ma sse i lloro libri s'abbiano a schifo, huomo ne la sua vita quanto potrà vedere e perscruptare? O i suoi sperimenti e i suoi trovamenti kente misura avranno, e ancora non di tucti li huomini, ma de' più ricchi e più sobtili? Per la qual cosa se alcuno non riguarda i libri e non intende le forme de le 'nfertadi, avegna k'elli l'abbia vedute spesse volte, lascile stare, imperciò ke no le cognosce e passale sança riguardarle come dee, in niuna maniera intendendo di loro alcuna cosa. E qui termina la sententia del quarto libro.
L. V, Index rubr.Qui cominciano i capitoli del quinto libro, il quale libro tracta di decoratione, cioè di belleza e netteza e da farsi bello.
L. V, IndexCapitolo primo. De le forfori del capo. Capitolo secondo. Di curare il dipelamento del capo e de la barba. Capitolo terço. Di fare nascere i peli nei luoghi ignudi e vòti. Capitolo quarto. Del conservamento de' capelli, acciò ke non chagiano e k'elli diventino lunghi, e 'l medicamento del cominciamento quando huomo diventa chalvo. Capitolo quinto. Di quelle kose ke no llasciano kadere i capegli. Capitolo sexto. Del fendimento de' kapelgli ke ssi kiama alopiçia, overo loppoli. Capitolo septimo. Di fare i capegli crespi. Capitolo ottavo. Di quelle cose ke ffanno i capegli piani. Capitolo .viiij. A ffare i capelli neri. Capitolo .x. Del regimento acciò ke l'huomo non incanutischa troppo tosto. Capitolo .xj. De la tintura de' capelli rossa, overo ruffa. Capitolo .xij. Da imbiancare i capelli. Capitolo .xiij. Di quelle cose ke tolgono i capelli e li asubtilliano e ke lli divellono e che nolli lasciano nascere. Capitolo .xiiij. Di quelle cose ke al tutto in tucto tolgono via i peli. Capitolo .xv. Di quelle cose ke distrugono e mandano via il puço del dipelatoio e del silotro. Capitolo .xvj. Di quelle cose ke non lasciano ke 'l silotro e 'l dipelatoio faccia arsura né cocimento, né bolle, né vescike. Capitolo .xvij. De sapha, cioè de le pustole e de le bolle del volto e del capo. Capitolo .xviij. Di quelle cose ke 'l volto imbiancano, e la buccia sottilliano, e fano il volto lucente e kiaro. Capitolo .xix. Di quelle cose ke fanno il colore giallo. Capitolo .xx. Di quelle cose ke fanno il colore nero. Capitolo .xxj. Di levare il panno del volto. Capitolo .xxij. De le grandi letigini e lordura. Capitolo .xxiij. Da disfare e distrugere le margini e le cicatrici de le fedite. Capitolo .xxiiij. Di sapha rossa, la quale si fae nel volto. Capitolo .xxv. Da curare e distrugere e rimuovere la verdeza k'aviene per percossa. Capitolo .xxvj. Da distrugere e disfare algesen. Capitolo .xxvij. Di quelle cose ke mandano via i segni de' vaiuoli. Capitolo .xxviij. Del piççicore, e de la rongna, e de le papici e bolle. Capitolo .xxviij. De sare. Capitolo .xxviiij. De la phasaf, cioè di sudationi. Capitolo .xxx. De l'empetigine, cioè volatica. Capitolo .xxxj. De la morphea biancha. Capitolo .xxxij. De la morphea nera. Capitolo .xxxiij. De l'albaras. Capitolo .xxxiiij. De la malattia e lebrosia. Capitolo .xxxv. De le veruche e porri. Capitolo .xxxvj. Di quelle cose ke genera peli ne' nipitelli. Capitolo .xxxvij. De' pidocchi ke ssi generano ne le nipitella. Capitolo .xxviij. De l'orçaiuolo. Capitolo .xxxviiij. Di gesse, cioè quando e dopo 'l dormire non si possono aprire li ochi. Capitolo .xL. Delli occhi che strabuçano in fuori per vomire o per altre cose. Capitolo .xLj. Del puço del naso. Capitolo .xLij. Del puço de la boccha. Capitolo .xLiij. Di quelle cose che l'odore del vino spengono e ripriemono. Capitolo .xLiiij. Di quelle cose ke ripriemono, e spengono, e tolgono l'odore delli agli, e de le cipolle, e porri, e altre cose simili. Capitolo .xLv. Di quelle cose ke colgono il fluxo e 'l gociolamento de la saliva o de la bava k'esce de la boccha quando homo dorme. Capitolo .xLvj. Di quelle cose ke non lasciano i denti corrodere. Capitolo .xLvij. Di quelle cose ke non lasciano kadere i denti ke ssi crollano. Capitolo .xvLiij. Di quelle cose ke mondano e nettano le superfluitadi che sono nelli orecchi. Capitolo .xLviiij. Di quelle cose ke non lasciano venire puçço de le ditella. Capitolo .L. Di quelle cose ke no llasciano i piedi sudare. Capitolo .Lj. Di quelle cose ke 'l sudore di tucto 'l corpo fanno avere buono odore. Capitolo .Lij. Di quelle cose ke tolgono via il puço de l'orina e de lo stercho. Capitolo .Liij. Di guardare i corpi morti che nom putischano. Capitolo .Liiij. Di quelle cose ke i testicoli de' fanciulli ne le mammelle de le pulcelle e fanciulle non lasciano tosto crescere né pendere giuso. Capitolo .Lv. De le rusticheze ke addivengono nell'unghie. Capitolo .Lvj. De le fessure del volto, e de' labri, e de la cotenna e buccia k'è ne la parte di fuori de la mano. Capitolo .Lvij. De l'emfiamento e piççicore ke avengono ne le mani nel verno e ne l'autumpno. Capitolo .Lviij. Di quelle cose ke ingrassano il corpo de l'huomo e de la femina. Capitolo .Lviiij. Di quelle cose ke dimagrano il corpo de l'huomo e de la femina. Capitolo .Lx. Di quelle cose ke acresscono la sperma e fanno dirizare la verga. Capitolo .Lxj. Di quelle cose ke riscaldano la natura de la femina. Capitolo .Lxij. Di quelle cose ke acrescono la dilettatione del coito, cioè quando huomo usa co la femina. Capitolo .Lxiij. Di coloro ke a la fine quando ànno usato ko la femina escono a ssella e del loro medichamento. Capitolo .Lxiiij. Di coloro ke per lo troppo usare kon femina sono indeboliti. Capitolo .Lxv. Di quelle cose ke la vergha fanno cresciere. Capitolo .Lxvj. Di quelle kose che costringono la natura de la femina dinanzi. Capitolo .Lxvij. Di quelle cose ke tolgono e mandano via l'umidità de la natura de la femina. Capitolo .Lxviij. Di quelle cose ke giovano a impregnare e ke riscaldano la natura de la femmina. Capitolo .Lxviiij. Di quelle cose ke non lasciano imprengnare e fanno scipare. Capitolo .Lxx. Di quelle cose ke giovano a bere molto vino. Capitolo .Lxxj. Di quelle cose ke fanno tosto venire l'ebbrezza. Capitolo .Lxxij. Di quelle cose ke allievano l'ebbro e che tosto il gueriscono. Capitolo .Lxxiij. Da curare e da guerire la crappula, cioè il soperchio riempimento del cibo e del bere.
[L. V, Incipit]Qui comincia il quinto libro che tracta di decoratione, cioè da fare bello e addorno il corpo.
L. V, cap. 1 rubr.Capitolo primo. De le forfori del capo.
L. V, cap. 1Le forfori del capo si tolgono radendo il capo kontinuamente e spesso, e ungnendolo ogne notte, e lavandolo poscia la mattina kon molta acqua calda nel bagno o ne la stufa o in casa. Le quali cose se nom bastano sì ssi lavi tre die ko la farina de' ceci e col seme de la malva e coll'aceto. E somilliantemente coll'acqua de la dicotione de la bietola e um pocho di sale si lavi il capo. Lavamento forte in levare via le forfori. Recipe: farina di ceci dr. .C., farina di fieno greco, di cruscha di grano, sale nitro, senape di tucte queste cose ana dr. .xx., seme d'altea dr. .x.; mescolinsi tucte queste cose kon um poco d'aceto e d'acqua e ciascuna settimana se ne lavi il capo. E se le forfori non se ne vanno dipo questo cotale lavamento, sì ssi de' mollare il capo ciascuna notte coll'olio rosato mescolato con um poco d'aceto, e dêsi sempre muovere il corpo e fare uscire.
L. V, cap. 2 rubr.Capitolo secondo. Di curare il dipelamento de' kapelli del capo e de la barba.
L. V, cap. 2Quando i capegli del capo o de la barba kagiono, sì ssi dee freghare il luogho con uno panno aspro tanto k'elli diventi rosso, e poscia si strupicci fortemente ko le cipolle infino a tanto ke llo 'mfermo senta in quel luogho incendio e cocimento; il quale si lasci così stare il die e la notte e la mattina si regha somilliantemente. E se in quel luogo apariranno ampolle, sì ss'ungha col grasso de l'anitra o de la gallina e lo stropicciare si lasci stare per alquanti die tanto k'elli si riposi. E se allotta i peli cominciano a nascere, il luogho si rada molte volte, e si stropicci ongne dì col panno, e ungasi coll'olio nel quale siano cotti keassun, e capello venero, e kamomilla, la qual cosa si facia in questa maniera. Prendasi .j. on. di ciascuno di queste cose, e mettansi nell'acqua, e soavemente si cuocano infino che ssi disfacciano e disolvano, e poscia si coli l'acqua, e una libbra de quella acqua si mescoli con una libbra d'olio di been, e si cuoca soavemente infino ke ll'acqua fia tucta consumata, e quello ke rimane si lievi dal fuoco e si serbi per usare quando fie huopo. E se per queste cotali medicine i peli non vengono e non nascono, sì ssi dee homo inkiedere del regimento e de la vita dello 'nfermo, e kente regimento e kente vita abbia usato nel tempo passato, e sì dee investigare kente sia allotta la dispositione del corpo (secondo ke ssi contiene nel capitolo del conoscimento delli homori ke abondano nel corpo e nel capitolo de le virtù de' cibi); e se huomo puote conoscere k'elli abia usato spesso cibi i quali abiano a generare flemgma, e 'l colore de la cotenna onde i capelli kagiono penda in biancheza, sì ssi debbono dare queste pillole, de le quali questa è la discriptione. Recipe, cioè tolli: di bianco turbitto e de la polvere de la pigra ana, cioè di catuno, dr. .x., coloquintida dr. .iij. e terzo di dr.; e di queste cose trite e stacciate e uncte coll'olio si formino pillole de le quali si dea ogne mese tre volte o quatro infino a peso di dr. .ij. o di tre. E lo 'mfermo si dee nodrire con i cibi ke generino buoni homori e poi si dee reddire e tornare a le medicine co le quali il luogho si dee o suole medicare. E se lo 'mfermo avrae usato di mangiare cibi ke abiano a generare collera rossa, e 'l colore de la persona e la dispositione significherà quello medesimo, queste pillole ke noi nomineremo si dovranno dare spesse volte e 'l suo regimento e la sua vita si dovrà recare a quelle cose ke generano homori freddi. La confettione de le pillole. Recipe: mirabolani citrini, e rose rosse ana dr. 1/2, cioè di catuno dragma meza, alloe sucoltrino dr. .j., schamonea la quarta parte d'una dr., e di tucte queste cose si facciano pillole e diensi tucte a pilliare a una presa. E se lo 'nfermo avrà usati cibi ke generano collera nera, e 'l colore del luogo e l'ofuscamento e la sua aspreçça significheranno quel medesimo, e 'l luogho sia molto seccho, sì gl'è da dare decoctione de epithimo, e l'epithimo col siero, e similgianti cose a queste che soglino purgare la collera nera, sì come noi diremo nel capitolo de la malinconia. E lo 'nfermo usi buoni cibi e poi si dee reddire e tornare a medicare il luogho predetto. Epithima et empiastro ke ffa nascere i peli ne la 'nfertà dell'alopicia e del dipelamento. Recipe: spuma marina dr. .x., sale nitro, çolfo, euforbio ana dr. .ij., strasisagria, kanterelle ana dr. .j., tucte queste cose si mescolano kon olio vecchio e poi il luogho, quando fie stropiciato, ko le cipolle sì vi si impiastrino. E se nel luogo aparissero ampolle, sì ssi lascino stare alquanti die e col grasso de l'anitra e coll'unguento de la cerusa si medichi tanto k'elle vadano via.
L. V, cap. 3 rubr.Capitolo terço. Di fare nascere i peli ne' luoghi ignudi.
L. V, cap. 3Se ' peli de la barba o de le cillia fieno subtili e molli, sì ssi dee fregare e stropicciare ko la spuma marina e ko la cennere keison mescolate koll'olio vecchio, e ogne notte se ne dee ugnere. E lo 'nfermo bea vino forte, il cui regimento si dee recare a quelle cose ke temperatamente riscaldano. A quello medesimo un'altra confetione la quale è ancora più forte. Recipe: de l'olio de been on. .j., e di canterelle ke abbiano levate i capi e l'ale via dr. .iij., e conficiansi in questa maniera: le kanterelle trite si mettano nell'olio e apresso l'olio con esse messe in una piccola ampolla ko llento fuocho, sempre mescolando e mestando, si cuocha tanto k'elli diventi spesso, e poi si lievi dal fuoco e si ripongha kon um pocho di moscado e d'ambra, acciò ke nne vengna buono odore; del quale se 'l luogho se ne fregherà tanto ke vi si faciano vesciche, tostamente vi nasceranno i peli.
L. V, cap. 4 rubr.Capitolo quarto. Del conservamento de' capegli, acciò ke non cagiano e a farli lunghi, e 'l medichamento di coloro ke kominciano a ddiventare calvi del chapo.
L. V, cap. 4Lavamento il quale fae i capelli lunghi. Prendasi le foglie açederage, overo azederach, con capel venero verde, e mirra, e mirabolani emblici, e pongasi ne la lavatura, overo lavamento, e cuoprasene il capo conn essi, poi ke 'l capo fia molle koll'acqua ne la quale li emblici mirabolani fuor messi in molle. L'altro lavamento da ffare i capelli lunghi. Prendasi l'acqua ne la quale fia cotta la bietola, ne la quale si pongha um poco di senape, e con essa si lavino i capelli e poi s'ungha coll'olio, e cresceranno quando i capelli spesse volte se n'ungneranno con esso.
L. V, cap. 5 rubr.Capitolo quinto. Di quelle cose ke no llasciano chadere i chapelli. Rubrica.
L. V, cap. 5E ancora i· conferma se laudano si distempera kon vino, e con altrettanto olio di mortini se mescoli, e usisi spesse volte, cioè a ssapere se la sera le radici de' capelli se ne freghino e strupicino la sera, e poi la mattina s'entri nel bagno o ne la stufa e lavisi coll'acqua calda. Olio ke fae ritenere i kapelli che caggiono. Recipe: mirabolani emblici e foglie di mortine si prendano e tanto si cuocano nell'acqua infino ke ll'acqua intorbidi; e poi si pilgli di questa cotale acqua una libra, e olio onfacino libre .ij., e si mescolino insieme o si cuocano insieme, tanto ke tucta l'acqua si consumi. E poi quello ke rrimase ne la dicotione s'agiunga e si mescoli .j. on. di laudano distemperato e disfatto nel vino, o kol vino, e con questo cotale olio si freghino e stropicino le radici de' capelli. Olio il quale fae i capelli duri, rigidi, e aspri, e neri, se kon esso huomo se n'ungha. Prendi di tucte queste cose di ciascuno quanto puoi prendere con una mano, cioè de le foglie de le mortine, e delle folglie del papavero rosso, e del capello venero, e de lo spigo, e de' ciperi, e del seme de la sicla, cioè de la bietola, e del seme de l'appio, e de' mirabolani emblici. E tucte queste cose si cuocano in tre libre d'acqua tanto ke reghano a una libra, poi si coli. E apresso questa cotale colatura con una libra d'olio alkera, o alkery, si mescoli o ssi cuoca infino ke ll'acqua sia tucta consumata. Al quale si debbono poscia mescolare dr. .j. d'acacia e altrettanto di cennere di scorça di pino, poi si dee porre giù e ciascuno die se ne dee ugnere. Medicamento ke non lascia fare kalvo e guerisce quelli ke ssono già facti calvi. Recipe: capello venero, foglie di mortine, scorça di pino, incenso per iguali parti; le quali cose si debbono arostire tanto ke ssi possano pestare. Poi si mescolino con essi laudano e mirra igualmente quanto fue ciascuna de le predette cose, de le quali cose, mescolate kon vino vecchio e con olio di seme di rafano, il capo se ne 'mpiastri la sera e 'l die si lavi, e questo faccia assiduamente e spesse volte, e questo guerisce coloro ke ssono già facti calvi e ke cominciano a diventare kalvi.
L. V, cap. 6 rubr.Capitolo .vj. Del fendimento de' capelli, overo de' loppoli.
L. V, cap. 6Se questa cotale cosa de' kapelli averrae sì come è alopiçia, sì ssi dovranno lavare e ugnere spesse volte kon acqua e olio dibattuti insieme tanto ke ssieno ben mescolate. E si converanno ancora lavare co le muscellagini viscose, sì come è quella ke ssi fae del seme del lino, e del seme del psilio, e de le foglie del sisamo, e d'altre cose ke ssono somillianti a queste. E se queste cose nom bastano, e ssì si debbono acrescere la quiete e 'l riposo, e 'l manicare, e 'l bere, e ll'uso del bagno. E s'elli aviene ke com questo nel corpo sia grasseza, e la sua figura sia bella, e questo accidente sia piccolo e di poco tempo, sì ssi dee lasciare stare le medicine e non farle. E se questo accidente è grande, sì ssi converrae dare medicina da purgare spesse volte, e torre sangue altressì, e menomare il bere e 'l mangiare.
L. V, cap. 7 rubr.Capitolo septimo. Da fare i capelli crespi.
L. V, cap. 7I capelli si debbono spesse volte stropiciare co le foglie de la sicla bianca e co le galle arrostite. L'altra cosa è medicina forte a questo: farina di fieno greco, e mirra, e seme di jusquiamo bianco trito, e sydre, e galle, e calcina, e merdasengy si prendano, e di tucte queste cose si freghino i capelli.
L. V, cap. 8 rubr.Capitolo .viij. A ffare i capelli piani.
L. V, cap. 8In questo cotale medicamento quelle cose si volliono usare ke ss'usano nel medicamento de' loppoli e de' capegli fessi, e si dovranno ugnere koll'olio de sisamo, e spesse volte gittare e fare effusione, cioè fondere, acqua tiepida sopra i capelli.
L. V, cap. 9 rubr.Capitolo .ix. Ad fare i capelli kanuti neri.
L. V, cap. 9Prendasi la terça parte d'una libra di galle, e ungasi coll'olio, e freghinsi, e strupicino infino a tanto ke diventino neri. E poi si pilgli del rame arso e arostito, dragaganto ana dr. .v.; salegemmo dr. .ij.; allume dr. .j.; e tucte queste cose si pestino sottilissimamente, e poi s'inaffino e bagnino con um poco d'acqua calda, e si lasciano così infondere e stare per .viij. ore (overo per quattro sechondo l'altra lettera). E 'l capo e la barba si lavano prima con l'acqua calda e poscia, rasciugati fregando co le mani, sì sse ne imbutino e ungano de la predetta medicina, e si pongano foglie di sopra, acciò ke 'l medicamento non si disecchi. Il quale medicamento, poi ke ffie così stato per .vj. ore, sì ssi dee lavare coll'acqua tiepida. L'altra tintura. Prendasi merdasengy e de la calcina ke non sia spenta, d'ambindue iguali parti, luti (cioè fango) quanto de le predette due cose, e de la cerusa quanto sono tucte queste cose. E tutte queste cose spruçate e mollate um poco koll'acqua se n'unghano i capelli e ssi cuoprano di sopra co le foglie. E poi ke ssieno kosì dimorati per tre hore, sì ssi lavino con alcune mucillagini: sì nn'averrà e diventerà bella nereza. L'altra tintura. Merdasengi e kalcina si prendano e sopr'essi si mettano, e si getti sei cotanti d'acqua, e si lascino stare al sole kosì per tre die, mescolandole spesse volte. E poi si coli questa cotale acqua, e mettavisi entro la lana, e s'ella diviene nera sì è buona, e se non diviene nera in questa cotale acqua, la sexta parte di merdasengy e calcina, sì come si fece prima, vi si mettano e lascino stare, la qual cosa tanto lungamente si conviene fare tanto ke la lana ke vi si mette si tingha. E poi alchanna, ko la predetta acqua inaffiata e mollata um poco, si lasci fermentare e stare e poi se ne dee tingnere, imperciò ke questo annerisce perfettamente e vale a mysul, o mynuful (cioè quando le radici de' kapelli sono bianche e le cime nere), se co la lana intinta in questa acqua le radici de' capelli si strupicino.
L. V, cap. 10 rubr.Capitolo decimo. Del reggimento acciò ke l'huomo non inkanutisca.
L. V, cap. 10Spesse volte a alcuni huomini solliono venire e nascere i capelli canuti troppo tosto e alli altri tardi per cagione della sua complexione. E di quelle cose ke ffanno ritardare lo 'ncanutire sì è questo: ke de la trifera minore spesse volte si prenda la mattina, la cui descriptione è questa. Recipe: mirabolani neri, kebuli, bellirici igualmente, e pestinsi e ungansi coll'olio, e conficiamsi col mèle. De la quale ciascuno die si dee prendere a quantitade d'una noce, e magior parte del loro nodrimento e del loro cibo sia kalagie (o balagie) e cose arostite, e dêsi guardare dal lacte, e da' cibi ke abbiano mescolato seco minuçoli di pane (e per questo intendo brode), e da le polte molto spesse, e dal frumento cotto, e da queste cose ke ssi conficiono kol mèle, e da bere acqua di neve, e da bere molta acqua, e de bere vino vecchio e puro, e di quello poco, o ydromelle. E quelle cose ke ssi condiscono ko la salmurya e sono salate si debbono manicare (salmurya sì è solcio, il quale alcuno conde con sale ' alcuno sanza sale), e 'l pane si dee intignere ne l'almurii (ciò è savore ke ssi fa ne le parti di septemtrione) e se ne dee bere um poco a digiuno, e ancora si manuchi la sicla co la mostarda. E s'elli aviene cosa ke quelli ke usa questo regimento si riscaldi troppo, sì 'l repriema o spengha co l'aceto e co lo sciroppo acetoso. E 'l molto uso del bagno kon acqua e l'avere a ffare con fenmina si debbono menomare, e sì ssi conviene molto guardare ke i capelli non si mollino coll'acqua rosa, e magiormente se con quella cotale acqua fosse kamfora mescolata. E se questo avenisse alcuna volta, sì ssi convengono incontanente diseccare. E si conviene usare unguenti ne' quali si mette spetie kalde e odorifere e stitiche, sì come l'olio ke noi dicemo. E se alcuno molto intendesse, a queste cose tenda e vada ordinatamente al lattovario delli anacardi e ne pigli, la quale cosa si converrà kominciare di verno.
L. V, cap. 11 rubr.Capitolo .xj. De la tintura de' capelli rossa, overo ruffa.
L. V, cap. 11Prendasi de' lupini triti dr. .x., e de mirra dr. .v., e d'alaxinti, o horinty, cioè fiore di sale il quale usano i tintori, e de la feccia del vino seccata e arostita ana dr. .iij., e poi si prenda la cennere de' sermenti, e vi si gitti suso de l'acqua, e si lasci stare così una notte e poi si coli. E di questa cotale acqua si conficiano le predette medicine, e poi si n'ungano i capelli e si lascino così stare per una notte, e poi si lavino. La qual cosa si conviene fare molte volte e diventeranno imprima ruffi e poi rossi.
L. V, cap. 12 rubr.Capitolo .xij. Di quelle cose ke fanno inbiancare i capelli.
L. V, cap. 12Prendasi lo stercho de la rondine, et ella secca, ameos (o mes), e semi di radici, e semi neris, overo nesryn seccha, e cruscha, solfo, e fiori di cappari, e 'l sugo di tucte queste cose kol fiel de la vaccha e aceto mescolato insieme s'ungano i capelli poi k'elli fieno affumicati col solfo, e non si lavino, ançi si lascino così stare, e poi s'affumichino col zolfo, la qual cosa si conviene fare molte volte. E poi k'elli si cominceranno a imbiancare, sì ssi convengono ugnere spesse volte co l'olio del sambucho.
L. V, cap. 13 rubr.Capitolo .xiij. Di quelle cose ke tolgono via i capelli, e asottilliano, e divellono, e no li lasciano nascere.
L. V, cap. 13Prendasi de la calcina bianca molto forte e acuta, e de la cennere de' rucchi marini parti eguali, e arsenicho citrino, cioè giallo, molto trito, l'ottava parte d'uno de' sopradetti; e tutte queste trite nel mortario coll'acqua si lascino stare per due ore, de le quali cose così apparecchiate si debbono ugnere i peli, o de la spuma marina e del gesso si faccia quello medesimo. E queste cose ke ssono dette sono buone. E di quelle cose ke i capelli sottilliano è ke la cennere de la vite, e baurithyn, o baurach, si metta nel silotro, cioè nel dipelatoio, del quale la cotenna si ne dee fregare spesse volte. E poi ke 'l silotro ne sarà levato a terra, sì ssi dee stropiciare e fregare co la farina de l'orzo, o de le fave, o de' semi de' melloni.
L. V, cap. 14 rubr.Capitolo .xiiij. Di quelle cose k'al tutto tolgono i peli.
L. V, cap. 14Prendasi kalcina ben forte sopra la quale sei cotanti d'acqua si gitti e metta, e si lasci stare cosie per tre dì, e poi si coli, e poi in questa medesima acqua si ponga la sexta parte di calcina e si lasci stare così per tre die. E queste cose così fatte, l'altro dì si pongha e metta ne la predetta acqua la terza parte d'orpimento giallo trito e pongasi al sole, e tanto vi si lasci stare ke la penna che vi si mettesse si dipeli quando se ne trae fuori. E poi si freghi e ungasi il corpo ke ssi vuole dipelare ko la bambagia, o lana, intinta in questa medicina, e questo tosto torrae i peli. E poi si dee quel cotale luogho ugnere koll'olio rosato. E di quelle cose ke i capelli in questo modo distrugono è che i capelli si vellano, e s'ungha il luogo pelato coll psillio e koll'aceto molte volte, e kol giusquiamo, cioè dente kavallino, e oppio e aceto, o il luogho pelato s'unga kol sangue de le rane ke stanno ne l'acque ke non si muovono, o kol sangue de la testugine, o ungasi il luogho pelato coll'olio, nel quale il vispistrello sia cotto tanto k'elli vi sia tucto disfatto entro nel cuocere, o koll'olio nel quale lo spinoso sia cotto, o s'ungha col castorio e col mèle molte volte primieramente ciascuna volta i capelli velti. E di quelle cose che non lasciano nascere i peli ne la barba, e nel petignone, e sotto le ditella se non dipo lungo tempo, sì è ch'elli si prendano iguali parti de thimo, o di thimolea, e di cerusa, e d'allume, la metade d'uno di questi predetti, e mescolinsi col sugho del jusquiamo verde o coll'acqua mescolata coll'aceto, ne la quale il seme del jusquiamo sia cotto. E di queste cose se ne lavino i luoghi, la qual cosa si de' fare molte volte, imperciò ke per questo si ritarda molto il nascimento de' peli e forse no ne lascia nascere neuno.
L. V, cap. 15 rubr.Capitolo .xv. De le cose ke tolgono il puço del dipelatoio e silotro.
L. V, cap. 15(+i) Per rimuovere e mandar via il puço del silotro, cioè del dipelatoio, si dee sovenire in questo modo. (i-) Il luogho si dee strupicciare e freghare co le foglie del pescho, e con scophis del gruogo ortolano, e con alchanna, e kolle rose, e kon ciperi insieme, o ciascuno per sé.
L. V, cap. 16 rubr.Capitolo .xvj. Di quelle cose ke non lasciano ke 'l dipelatoio e 'l silotro faccia ardore, né puntione, né nocimento, né bolle, né pustole, né vesciche.
L. V, cap. 16Psilotro non farà adustione o arsura se 'l luogho kon esso non si stropiccia troppo, o se tosto se ne levi a terra, e ancora se 'l corpo sia unto d'olio rosato, ançi k'elli s'ungha del psilotro. E quello ke no llascia fare pustole o vescike nel corpo è k'elli si lavi coll'acqua calda tanto ke nne vada a terra, e poi vi si getti suso (cioè su quello luogho) molta acqua fredda, kosì arosando e inaffiando, e gettivi suso acqua molto fredda, e propiamente sopra i luoghi ove le pustole e le vesciche solliono nascere e arsura si suole fare. E se vi si fa arsura e abrusciamento, lenti scorticate e trite, e mescolate koll'aceto e con acqua rosa, e poste sopra le luogora arrostite e abrusciate, si leghino e fascino kol panno e co la fascia. Ma quando l'ampolle ke nascono e la carne s'arde e arrostisce, sì ssi curi e medichi ko l'unguento ke ssi fae di cerusa e con l'unguento ke ssi fa di merdasengy, cioè aghetta, e olio rosato, e albume d'uhuovo, imperciò ke questo non lascia fare le pustole e le bolle e le vescike nel corpo, cioè a ssapere se quando il silotro n'è levato e si sstropiccia fortemente e fregha con olio rosato e aceto.
L. V, cap. 17 rubr.Capitolo .xvij. De la safa, cioè de le bolle e de le pustole del volto e del capo.
L. V, cap. 17(+i) Sapha ke ssi fa nel volto e nel capo, cioè pustole e ulceragioni (i-) e rotture ke ànno croste, le quali nascono nel capo e nel volto, le quali molte volte sono sechissime, e rughose, e crespe, e bianche, e alcuna volta sono humorose e humide, e gettano marcia velenosa. Questa si guerisce ko le ventose poste ne la nucha, cioè ne la parte del capo e de le spalle e del collo di dietro. E per aprire alcuna vena k'è ne la cotenna del capo e dipo lli orecchi, e aprasi la magiore di quelle cotali vene, e s'astengha da le cose dolci e da le salse e da l'acute, e si notrichi coi cibi insipidi, cioè sança sapore, e buoni. E se lo 'nfermo il puote sofferire, sì ssi purgha co la dikotione de' mirabolani e alloe; e schamonea poi s'impiastri koll'impiastri. Epithima a sapha quando è ricente et è nel corpo del fanciullo: vene de curcuma, alacanna, aristologia, merdasengi, scorçe di melegrane si togliano, e, tutte queste cose trite, e coll'aceto e olio rosato mescolate, il luogho s'epithimi ' empiastri. E quando la sapha sia vecchia, sì ssi prenda sale e calcanto, cioè vetriuolo, arsi e arrostiti, e solfo, e terra d'ariento vivo, e galle, e vene di cucurma, merdasengy, aristologia, e tucte queste cose trite e con aceto e olio rosato mescolate vi si 'pithimino e impiastrino. Ma quando la sapha sì è seccha e biancha, sì ssi converrà fregare spesse volte kon olio, e cera, e grasso d'anitra, e si lavi con acqua kalda colle mucillagini. E lo 'mfermo si converrà sempre nodrire kon cibi humentativi e ke abbiano a humentare e ramollire. E li si dee gittare e mettere per lo naso kapopurgio d'olio di seme di çucche, e d'olio di mandorle dolci e violato, e somillianti olii a questi. E se la 'mfertà fie grave a guerire, il luogho si converà scarpellare sì ke 'l sangue n'esca fuori, al quale luogho medicina di polvere molto acuta e pugnente si vorrà fregare infino a tanto k'ella se ne vella infino a le radici; e poi coll'unguento rosso, il quale si confice di merdesengi, e aceto, e olio rosato, e vene di cucurma, si medichi. E di quelle cose ke tolgono e lievano via la sapha molle del tucto in tucto è fregamento coll'aceto, e sale, e usnen verde, molte volte facto, imperciò ke queste cose la llievano via e la distruggono del tucto in tucto.
L. V, cap. 18 rubr.Capitolo .xviij. Di quelle cose ke 'l volto imbiancano, e assottilliano il buccio, e fanno il viso lucente e kiaro.
L. V, cap. 18Prendasi farina di ceci e di fave, e d'orço, e amido, e dragaganto, e seme di rafano, e col lacte s'aspergano e innaffino, e di queste cose si epithimi e impiastri il volto la notte, e coll'acqua calda, ne la quale viuole secche sieno cotte e cruscha, si lavi la matina; e questo si conviene fare .x. volte. L'altra gumera convenevole e forte. Prendasi mandorle monde, e amido, e draganto, e mescolinsi tucte queste cose koll'acqua del çafferano orientale, e di queste cose si epithimi la notte il volto, e impiastri, e si lavi il die coll'acqua, ove le viuole secche e la camamilla fieno cotte, o si prenda amido e dragaganto e mandorle dolci schiaciate e mondate, e s'innaffino col lacte, e si epithymi con esse il volto; e quando si comincerà a ssecchare, sì sse ne levi l'epithima, cioè quello cotale empiastro, la qual cosa poi ke ffia facto per una septimana, sì ssi dee lavare il luogho coll'acqua calda. Gumera ke fa il colore fortemente rosso. Prendi di senape bianco e aurpimento rosso per igual parte, e queste cose peste si cospargano e inaffino col lacte, e poi se ne epithimi il volto per una septimana, e sia l'epithima soave, morbido e sottile. L'altra gumera. Recipe: çafferano orientale, e de la robbia ko la quale i tintori tingono, oncenso, mirra, mastice per iguali parti, e del sugo de la cipolla k'è kiamato bulbus, tanto ke sse ne possano conficere. E di questa confectione se ne 'mbuti la notte il volto e 'l die si lavi. E di quelle cose ke fanno il colore rosso sì è il cece, e 'l ficho, e le melegrane dolci; e manicare karne, e bere vino rosso e grosso, e di quelle cose usare ke ssi fanno del mèle, e spesse volte lavarsi coll'acqua kalda dolce, e mangiare tuorla d'uova, è propietade di fare rosso di mal colore; la qual cosa si truova nelli altri somilliantemente. Medichamento ke ssi fa per colore rosso avere. Recipe: ysapo seccha dr. .x., zafferano orientale dr. .iij., çucchero dr. .xiiij.; e di queste cose si facia polvere de la quale ciascun die si prenda dr. .ij.
L. V, cap. 19 rubr.Capitolo .xviiij. Di quelle cose ke fanno il colore giallo e citrino.
L. V, cap. 19Le cose ke fanno il colore citrino, cioè giallo, sono queste, cioè: dimorare in luoghi caldi, bere acque ke non si muovano e non corrano, e usare nel manicare spesse volte aceto, e kathaplasmare e impiastrare il volto col komino. E azarenth fae il volto giallo e manicare il luto, cioè il fangho, e molto veghiare, e stare tristo, e usare cibo nel quale sia molto comino mescolato, o odorarlo spesse volte, fanno il colore giallo. E colui che stae ne la casa ov'è molto komino diventa giallo.
L. V, cap. 20 rubr.Capitolo .xx. Di quelle cose ke fanno il colore nero.
L. V, cap. 20Le cose ke fanno il colore nero sono queste: stare al sole, mangiare cibi salsi, lasciare stare il bagnare, cioè nom bangnarsi né lavarsi. E di quelle cose ke fanno nereza ne la superficie del corpo è: se col silotro e merdasengi s'eptimi e impiastri e ungha, e il suo colore diventerà nero fortemente, il quale non si potrà mandare via se non con grande pena, il quale, se ffia mestiere di torre e levare coll'aceto nel quale sia cotto usnen ricente, il luogo sì ssi lavi; e kol latte acetoso, e co l'acetosità del cederno, e farina di ceci molte volte si freghi e strupicci. E le gumere si convengnono fare per molti dì, tanto ke il luogo regha a ssua dispositione. E quelle cose ke 'l colore anerano è mangiare spesse volte l'origamo e usare i mirabolani conditi.
L. V, cap. 21 rubr.Capitolo .xxj. Di levare e rimuovere il panno del volto.
L. V, cap. 21Quello ke il panno del volto leva sì è spesse volte epithimare il volto kol seme del rafano, o kol seme de la ruta, o ko la feccia del gruogo ortolano cotta tanto ke ingrossi e spessi, e fare epithima di cost e di cennamomo triti e inaffiati e cospersi con essa; o ssi pilgli la senape e si pesti coi fichi, e con essi il luogo con acqua kalda s'epithimi o panno molle, e s'infonda ne l'acqua kalda, e si ponga in sul volto tanto k'elli arossi e poi vi si faccia medicamento a guardare ke 'l volto non si rompa. E quando comincerà a dolere sì è da llevare il medicamento, e 'l volto si dee lasciare riposare, e poi si dee tornare e reddire al medicamento. Medicamento il quale rimuove il panno. Mahalel e mandorle e seme de' melloni si prendano e si scortichino tucti, e terra d'ariento vivo per uguale mesura, e se ne faccia epithima; e seme di mahalel, e mandorle, e dellio molle se pestino koll'aceto e se ne faccia epithima. L'altro medicamento ke llieva via il panno. Recipe: lupini, seme del rafano, e de la erucha, e del costo, e de le mandorle amare, e del baurach, e del pepe, e del dellio iguali pesi, e conficilo; così il dellio ne l'acqua azedereth si disolva e disfaccia, del quale l'altre medicine si cospargano e s'inaffino, de' quali poi si faccia epithima.
L. V, cap. 22 rubr.Capitolo .xxij. De le grandi letigini e de la loro cura.
L. V, cap. 22Le cose ke tolgono e lievano le litigini grandi o piccole k'elle sieno, quando elle avengono, sì è scemare sangue e spesse volte purgare la collera nera del corpo, e bere il siero co l'epithimo (de l'epithimo). La qual cosa similliantemente si convien fare quando il panno non si puote levare kolli empithimathi, cioè co lo 'mpiastrare e ugnere e imbutare, e poi ritornare a l'empithimare. Epithima a le litigini piccole e grandi. Farina di lupini e mandorle amare scorticate, e baurach, e seme di rafano si prendano, e di queste cose, konfette kolla mucillagine del fieno greco, s'impiastri il volto. La quale com panno infonduto e mollato ne l'acqua kalda si molli, o quelli che vuole usare il medicamento escha fuori del bagno. L'altro medicamento et epithima. Recipe: farina di lupini, e mandorle amare, e seme di cavoli si prendano, e di tucte queste cose, raunate kol lacte del fico, si faccia epithima o si faccia empiastro di sapone. E quando egli incomincerà a pugnere, sì ssi lavi il luogo, e ungasi coll'olio de le mandorle, e poi vi si pongha il sapone sì come dinançi, o egli si faccia epithima kon armoniaco disoluto. O imhabrath, o muchluo, si disolvono kolla mucillagine del fieno greco, e vi si epithimi e impiastri. E ogne epithima ke è buono a' nerbi si dee fare a le litigini grandi e piccole e al panno, poi ke lo 'nfermo fie uscito del bagno, o il luogho fie humentato o bagnato col panno infonduto coll'acqua calda molte volte tanto ke ssi faccia rosso e sottile.
L. V, cap. 23 rubr.Capitolo .23. A disfare le margini de le fedite.
L. V, cap. 23Le cicatrici e le margini de le fedite si debbono epithimare e 'mpiastrare kon merdasengi, kon olio rosato inbiancato. E ancora in loro dee huomo usare spesse volte il grasso de l'anitra in luogho d'epithima, sopra le quali ancora empiastro diaquilon, o de fermento, vi si dee porre. E ancora a lloro empiastro di pane similageno, kon datteri mescolato, fatto, vi si dee porre suso.
L. V, cap. 24 rubr.Capitolo .xxiiij. De la safa rossa la quale si fae nel volto e sua cura.
L. V, cap. 24Sapha rossa ke ssi fae nel volto, la quale infertà apare nel verno, la quale è rosseza del volto com pustole e bolle. A questa infermità giova spesse volte intrare nel bagno, e coprire spesse volte il volto suo con acqua kalda, e torresi sangue de la fronte, e mettere le mignatte sopra i luoghi, e fregare, e stropicciare i luoghi inançi col panno fortemente tanto ke di loro escha sangue, e poscia con sale e aceto e apresso ko l'unguento rosso, ke noi nominamo nel capitolo de la sapha, ungnere. E a questa infertà giova se i luoghi s'epithimino e 'mpiastrano kol sapone, o ssi lascino così stare tanto ke 'l sapone sughi e faccia sugamento. E poi coll'acqua calda si lavi, la qual cosa è convenevole ke si faccia molte volte.
L. V, cap. 25 rubr.Capitolo .xxv. Da curare e da distrugere e rimuovere la verdeza k'aviene per percossa.
L. V, cap. 25Quando nel luogo non rimarrà dipo la percossa né dolore, né ffedita, né calore in neuna maniera, e sarae mistiere di levare e di disfare la verdeza ke ivi fosse, le foglie del cavolo o del rafano o di mentastro verde vi si pongano suso, il quale è più forte delli altri due. Empiastro forte a quello medesimo. Prendasi parti iguali d'arsenicho citrino, e de la pietra alkilkil, o alcalkal, e incenso meza parte, e di tucte queste cose si faccia epithima et empiastro molte volte. E mellio è ke ssi epithimi col sugo del coriandro, imperciò ke questo è l'epithima milliore; o elli si faccia di solo arsenicho, cioè orpimento giallo, o d'armoniacho.
L. V, cap. 26 rubr.Capitolo .xxvj. Da distinguere e disfare algessen. Rubrica.
L. V, cap. 26Là ove è algessen si dee epithimare kol mèle anacardi infino ke nel luogo si faccia pustola o vescicha, la quale si dee poi medicare e guerire, overo ke ssi faccia epitima koll'unguento korrosivo, il quale in cuocere e arostire tiene i· lluogo del ferro caldo, et è scripto nel capitolo de le medicine adurenti e ardenti. E dipo questo il luogho col nitro (o vetro) e coll'acqua calda si dee lavare e stropiciare, e apresso gummo de bithum col mèle disoluto e disfacto vi si ponga suso, e così stea tre die ke non si sciolgha, né disleghi, e poi se ne lievi a terra; il luogho e si freghi e stropicci molto col sale, e poi s'epithimi e impiastri kol medicamento ke noi dicemo di mandare via i segni de le percosse e de le cadute. E di questo cotale epitimathe il luogho, due volte il die si dovrae ugnere e imbutare in tal maniera ke neuna cosa, o neente, di lui si ne lievi, ma ll'una sua parte si pongha sopra ll'altra. La qual cosa, poi che ssia facto per tre die continuamente, il luogho col nitro si dovrae lavare, e apresso si dee reddire a quello medesimo regimento. E questo in questa maniera distrugge, e disfa, e manda via la chagione.
L. V, cap. 27 rubr.Capitolo .xxvij. Di quelle cose ke curano e mandano via i sengni e margini del vaiuolo. Rubrica.
L. V, cap. 27Se dipo 'l vaiuolo fieno rimasi segni neri e quelli cotali segni sieno iguali co la superficie del volto, sì dovrae homo usare ne la loro cura e nel loro medicamento quelle cose ke noi usamo nel medichamento e ne la cura de le margini de le fedite, pognendovi suso cose ke ll'abiano a imbiancare il volto. E se i luoghi paiono chavi, sì è mestiere di ringrassare il corpo o di rinovarlo. E se i luoghi sieno neri cavi, ambindue le predette cose fieno mestiere. E ancora di quelle cose ke disfanno e mandano via i segni de' vaiuoli è il bagno, e usare spesse volte senapismi, cioè polverizarvi, e porrevi suso cose ke ciò abbiano a ffare. Epithima e impiastro molto forte ad mandar via i segni de' vaiuoli. Recipe: merdasengi, mirabolani, radici secche di channe, farina di ceci, ossa vecchia, farina di riso, semi di melloni mondi, semi di alben, costo, tucte queste cose co la mucillagine del fieno greco e di seme di lino si conficino, e se ne senapismi, e ponga in sul volto.
L. V, cap. 28 rubr.Capitolo .xxviij. Del piçicore, e de la rongna, e de le papici e bolle.
L. V, cap. 28La scabbia e la rogna e le bolle avengono molto a coloro ke mangiano spesse volte cibi ke abbiano a corrompere il sangue, sì come sono cose salate e le cose ke ssono fatte in solcio kon sale, e tranguobil calda (cioè spetie ke ssi mescolino coi cibi per condimento), o agli, o mèle, o ki bee vino vecchio; e aviene a coloro ke spesse volte lavorano, e veghiano, e ke non usano spesse volte bagnio, ai quali giova primieramente di scemare sangue e poi la dicotione de' mirabolani citrini. Prendasi dr. .xv. di memite seccho dr. .ij.; d'epithimo, sene, e del seme del fumosterno ana dr. .v.; seme di scaruola, antera, cioè quel seme k'è dentro a la rosa, polipodio e assenço ana dr. .iij.; e tucte queste cose si cuocano in tre libre d'acqua tanto ke reghano a le due parti d'una libra, fuor ke l'epitimo che vi si dee mescolare ne la fine de la dicotione. E poi apresso tutte queste cose si stropicino con mano e si colino, ne la colatura de' quali dr. .x. di teremabin vi si metta, la quale si bea per molte volte. Pillole ke molto valliono al piççicore, e a pruza, e a scabbia, e a rongna. Recipe: aloe, mirabolani citrini ana dr. .j., scamonea, rose rosse ana la quarta parte d'una dramma, e si ne facciano pillole, e si pilglino a una volta, le quali si debbono prendere molte volte. E poi che 'l corpo fie evacuato e vòto ko lo scemare sangue o con purgamento di ventre, sì ssi dee dare ognendie questo beveragio: prendi susine di damasco .xv., e di thamarindi mondi e netti de' loro semi, e di zucchero bianco ana dr. .x., e sopra queste cose le due parti d'una libbra d'acqua bolliente si geti e si lascino stare kosì una nocte, e poi si stropicino ko le mani, e si colino, e si dieno a bere, e sse si cuocono, sì operano più fortemente. Lattovario a la rogna e al piççicore valevole e buono. Recipe: mirabolani citrini una parte, sene, fumusterno ana 1/2 parte, sugo d'assenço tanto quanto basta, e sia assai a cospargerli e mollarline. E alcuna volta a questa medicina s'agiugne assenzo quanto è la quarta parte de' mirabolani. E tucte queste cose si conficino col mèle, e pigliasene ogne die quanto è la grandeza d'una avellana, e a la pruça seccha giova bagnarsi ne l'aqua calda, e stropiciarsi nel bagno d'acqua calda, e d'olio rosato, e d'aceto, e di sugo d'appio, e giova altressì bere il siero koi mirabolani e col çucchero. E sse dipo lo spesso purgare non seguita rimedio e non guerisca, a lo 'nfermo cotidianamente, la mattina e la sera, dipo 'l sole tramonto, grano infranto cotto ko mmolta acqua, kon molto çukero bianco si dee dare a bere, e dee bere lacte di vaccha acetoso. E quelli che à scabbia e rogna e pruça si dee guardare e abstenere da ogne cosa salsa e acuta e dolce, e dee manicare kamangiari freddi, e cose acetose e leggieri, e lievi carni; e s'elli bee vino, sì ssia bene inacquato. Epithima valevole e di grande efficacia a rogna seccha. Recipe: de baurach, costo, sale, de condisi ana dr. .j., de sigia dr. .vij., e d'aceto e olio rosato quanto è mistiere, e acciò ke sse ne possa epithimare nel bagno e, poi ke ne fie unto e imbutato, dimori e stea così e poi si lavi. Epithima a scabia e a rogna humida. Recipe: argento vivo, kathimia d'ariento, oleandro, kondisi, alcali, merdasengi. E di queste cose mescolate kon aceto e olio rosato si faccia epithima e stea cosie tucta la notte. E la mattina entri nel bagno, e si stropicci kon aceto e usnen verde, e poi si lavi coll'acqua kalda. E queste cose facte, sì li si spargha acqua fredda adosso e ungasi con olio rosato ' escasene fuori. E a la scabbia e rogna vecchia giova molto pilliare ciascuno de' tre dì il peso d'uno aureo d'alloe, la qual cosa si conviene anche fare intramessi altri tre die. E se per questo avenisse scorticamento de le budella, sì ssi converrà medicare e guerire. E questo manda via la rogna e 'l piççicore e la pruça. Epithima a la rogna ke, essendo buono e forte, non fa né ampolle, né adustione, né nocimento. Recipe: merdasengi e attramento giallo iguali pesi, e queste cose per una septimana si pestino co l'aceto, e poi si ripongano. De le quali cose, quando fia mestiere, se ne faccia epithima.
L. V, cap. 28 bis rubr.De sare e sua cura .xxviij.
L. V, cap. 28 bisQuando questo male aviene, scemisi sangue. E se 'l ventre è molle, cioè solubile e largo, da' ssugo di melegrane muze, cioè um poco acetose. E s'elli è stitico, da' i beveraggi ke ssono detti di sopra, e metti lo 'nfermo ogne die ne l'acqua calda tre volte, e dàlli a mangiare cibi ne' quali sia aceto e olio di mandorle. E ancora a questa infertade giova il latte acetoso, e aiuta trocischo de spodio o di camphora col sugo de le melegrane. E se questa infertade fosse molto grande, purga il corpo co la dicotione de' mirabolani citrini. E se con questo abbia grande adustione e arsura, pestisi la melagrana ko la scorça sua e priemasene fuori il sugo, nel quale si metta zucchero biancho, e diesi a bere. E a questo male giova prendere il siero, e bere del seme de la porcellana kol julep e del psillio dr. .ij., e usare cibi i quali si fanno ko l'aceto e col sommaccho, e prendere thisana, cioè bollitura d'orço, e latte e aceto.
L. V, cap. 29 rubr.Capitolo .xxviiij. De fafaf, cioè sudationi. Rubrica.
L. V, cap. 29La phafaf, cioè le sudationi, non esce fuori se nom per moltitudine di sudore, a la quale infertade giova stare ne le case fredde, e lavarsi con acqua dolce e fredda, e ungnere le luogora ove di sudatione suole nascere con acqua fredda e acqua rosata e olio. E ancora a questa infertade giova, poi ch'ella è nata, atarsi col çafferano orientale, e co le vene de la celidonia, e aceto, e olio rosato. E alcanna e sale si prendano e si mescolino koll'aceto, di ke i luoghi nel bagno s'epithimi tanto ke un'ora passi; si lasci così stare e poi si lavi, e freghi, e stropicci co la cruscha.
L. V, cap. 30 rubr.Capitolo .xxx. De la impetigine, cioè volaticha.
L. V, cap. 30Quando la 'mpetigine, cioè la volaticha, comincia et ella non fia fitta ne la carne, sì ssi puote guerire kol grasso de la ghallina, o dell'anitra, o con cera e olio rosato, o con dragaganti, o gummo di susino, o coll'olio del grano, o con bituro, cioè burro, cotto o col crudo si freghi. E ancora vi si gitti suso acqua dolce tiepida e si tengha da quelli cibi ke generano kollera nera quelli che ll'àe. E s'ella è profondata ne la carne, e vi sia scorçe e aspreza, sì ssi conviene purghare e votare kol torre sangue e co la dicotione de l'epithimo, e col siero coll'epithimo, e ancora con tutte quelle cose ke noi dicemo nel capitolo de la rogna, e che noi diremo nel capitolo de la maninconia. E le mignatte si debbono pore ivi suso, il quale luogho si dee lavare coll'acqua kalda quando ne fieno levate et elle avranno sugato, e dovrassi priemere il luogo altressì. E le sanguisciughe vi si debbono porre molte volte nel modo k'è detto e tanto si faccia infino ke ssugando si ne traghano tucte le superfluitadi k'è ivi. E dipo questo, l'epithima di sapha vi si pongha. E se questo non basta, il luogho tanto si strupicci ke 'l sangue n'escha e poi vi si gitti suso polvere d'acuto medicamento, la quale cosa tanto si dee fare ke la carne appaia rossa e sana, e poi si medichi ko l'unguento tanto ke guerischa. E di quelle cose ke mandano via e gueriscono la volaticha sì è: stropicciarla co l'acetositade del cederno, cioè suo sugho, e armoniacho, e aceto, o kon massacumia mescolata coll'aceto e è epitimatha, o kon mugath e aceto. E ll'olio del grano è buono a la volaticha quando comincia, il quale si fae in questo modo: prendasi il grano netto e mondo, e mettasi in uno bossolo di vetro, e sia intorno intorno inbiutato ko la mota (o altra terra di ke ssi fanno le vasella) il volto; la cui boccha si turi con una palla facta di fila di rame, la quale si costringa nel collo del detto bossolo, acciò ke non lasci uscire fuori del bossolo il grano quando il suo capo è tornato di sotto. E poi si prenda un testo nel quale huomo suole tenere il fuocho, nel mezo del quale sia uno foro per lo quale il capo del predetto bossolo si ponga. E poi intorno lui e di sopra si pongha sterco di vacha (o di bue) seccho, nel quale s'acenda il fuoco a poco a poco, e sotto 'l foro k'è nel testo si ponga alcuno vasello nel quale si riceva quello ke esce del grano, del quale la volaticha si conviene epithimare e ungnere, imperciò ke questo è maravilliosa kosa a guerirla.
L. V, cap. 31 rubr.Capitolo .xxxj. De la morfea bianca e sua cura.
L. V, cap. 31A la morfea bianca giova se ssi fregha al sole kon seteregy, e kol seme del rafano, e co la robbia, e kol condisi, e ko la senape trite, e kol forte aceto mescolate. E si pigli la cipolla k'è kiamata bulbus e si stropicci con essa al sole spesse volte ogne die; le quali cose se nom bastano, de la trifora minore si prendano dr. .ij.; e del turbitto, e de la polvere, de la pigra ana dr. .j.; e de la coloquintida la quarta parte d'una dr.; e questo si dee prendere ciascuno mese tre volte o quatro. E nelli altri dì che non userà questo medicamento, pigli continuamente il peso di tre dramme di sola trifora e usi quello regimento ke noi nominammo nel capitolo di quelle cose ke rritardano la canutezza.
L. V, cap. 32 rubr.Capitolo .xxxij. De la morphea nera.
L. V, cap. 32Quegli che à la morphea nigra sì gli si dee scemare sangue, e sì ssi dee purgare coll'epithimo e, dopo questo, col seme del rafano, e col condisi, e seme dell'eruca, e coll'aceto, si dee il luogho epithimare. E quegli che ll'à entri nel bagno spesse volte e usi cibi humettativi, cioè che abbiano a umettare e ammollire, e regasi e guardasi col regimento che ssi reggono colloro che ànno il male della menanconia.
L. V, cap. 33 rubr.Dell'abaras.
L. V, cap. 33Nel medicamento de l'albaras si dee usare quello medesimo reggimento kente s'usa nel medicamento de la morfea bianca, e spesse volte si conviene fare reddere per boccha, e si debbono dare de' cibi diseccativi, e quello regimento si dee usare ke ritarda lo 'ncanutire, e ordinatamente s'aparechi a prendere del lattovario delli anacardi e usi questo epithima. Recipe: de seteregy d'Ynda, e de kebikegy, e de saphisagria e de' ventri de le kanterelle (cioè levatine i capi) ana parti iguali. E tutte queste cose si mescolino coll'acqua ne la quale la robbia sia cotta, e di queste cose si freghi il luogho fortemente o stropicci col bulbo, e pongavisi suso l'epithima. E a questa infertà giova d'epitimarsi col sangue del nero serpente e de la nera serpe, imperciò ke 'l nero serpente àe propietade di questo adoperare. E s'elli aviene cosa ke 'l luogho ove appare la 'mfertade sia piccolo, sì ssi vorrà cuocere col fuoco, e poi tanto lungamente medicare infino ke ssi lievi e tolga il fuoco e l'arustiscimento, o elli si dee tanto lunghamente strupiciare col sugho delli anacardi ke vi si faccia vescicha. E la carne ov'è l'albaras si corroda e apresso si dovrà medicare il luogo infino k'elli sia guerito, o il luogho si dee tignere con quelle cose ke fanno rosso o nero. Tintura, la quale il luogho de l'albaras reca al colore del corpo, sì è ke ssi prenda aloxanth, mirra, feccia di vino, rubea, macra, albume, e di queste cose si strupicci il luogo molte volte tanto ke lo 'nfermo n'abbia angoscia, imperciò ke questo tigne il luogo, e la sua tintura dura .xx. dì. E se questa infertà aviene ne le luoghora ove ventose si solliono porre, sì ssi dovrà di loro primieramente trarre sangue ko le ventose. E poi k'elle ne fieno tracte e levate, il luogho si dovrae epithimare: di merdasengi imbianchato, e robbia, e aceto s'epithimi; o quando il sangue ne fie tracto, la ventosa amarath ke abbia sugo vi si pongha suso e lascivisi stare lunghamente, o in sul luogo, poi ke le ventose ne fieno levate, epithima di robbia e satharagi mescolate koll'acqua, ne la quale bracil sia cotto, vi si pongha. E se la quantitade di questa infertade prenderà e occuperà il luogho de le ventose tucto, sì ssi lascino stare le ventose e se scemi sangue de la vena spesse volte.
L. V, cap. 34 rubr.Capitolo .xxxiiij. De la malattia e lebbrosia. Rubrica.
L. V, cap. 34Se a questa infertade si soccorre incontanente k'ella comincia, possibil cosa è k'ella si guerischa o si ripriema e ssi menomi; ma poi k'ella avrae i membri fediti e rossi e avrà corropte le lor figure, forse non si potrà guerire. Poi ke l'huomo vedrae offuscare e abrunire la biancheza delli occhi, e la boce diventare rocha, e 'l sudore sarà puçolente, e 'l volto fia emfiato kome otre con gran rosseza, e alcuni nodi vi si cominceranno a ffare, e i peli de le cillia si sotilieranno, sì lli si conviene soccorrere. Dumque conviene ch'elli si socorra a lo 'mfermo nel cominciamento co lo scemare sangue de la vena comune del braccio diricto, poi si lasci riposare alquanti die. E in quelli ke ssi riposa kon carne di cavretto e di castrone si notrichi, e vino kiaro e di buono odore e molto temperato bea, e mettasi ogne die nel bagno. E poi li si tolgha sangue del braccio mancho, e si lasci riposare per alquanti dì, e notrichi sì come noi dicemo. E ogimai li si dea molte volte la dicotione de l'epithimo, entra le quali avengha ke ll'una seguiti l'altra, sì ssi converrae avere in mezo riposo. E lo 'mfermo sì usi cibi ke abbiano a humentare e ranmollire; e ongne die si metta nel bagno; e da la faticha, e dal veghiare, e ancora da tucti quelli cibi, dai quali melancolia si genera e ke noi comandiamo ke lli infermi si guardino, sì ssi abstengano e guardino. E 'l siero col çucchero si dee dare spesse volte et elli si dee reggere in cotale maniera, sì come quelli che disidera d'innumidire il suo corpo e la sua persona, e dêsi strupicciare nel bagno ko la farina de' ceci, e de le fave, e del barac, e usnen, e si dee spesse volte inmollare e bagnare coll'acqua tiepida, e ungasi coll'olio del seme de le zucche e col violato, e così esca fuori del bagno. E quando questa infertà fia apiccata ad alcuno fortemente e dimorrae in lui quasi fixa e ferma, sì ssi dovrae medicare ko la carne de le vipere. E 'l corpo di colui che usa questa medicina si emfia e raffredda, e stae per alquanti die sança sentimento, e poi si viene scortichando, et esce del suo luogo scorticato carne tenera. E così si cura e sana lo 'mfermo da la sua infermitade, sì come noi abbiamo saputo e inteso per lo racontamento delli antichi, la qual cosa noi crediamo ke ssia vero, e sì come nel nostro tempo k'elli aviene non molto di lungi, imperciò ke mi racontoe uno k'elli guerì una femina con queste medicine, la quale la malattia avea già molto assalita fortemente, e guerì. E 'l medicamento de la malattia colle vipere è questo. Piglisi le vipere de' monti ove non è né palude, né fango e luto, e taglinsi i loro capi e le loro code, e gettisi via ciò ke ssi truovi nei loro ventri, e si lavino, e poi si pongano ne la pentola nuova ne la quale sale e aneto, e galanga, e pepe, e acqua si debbano mettere, e tanto si debbono cuocere ke tucta la carne si disfaccia. E questo fatto, lo 'nfermo bea quello brodetto e manuchi la carne. E s'elli averrà scotomia, cioè ke li paia il mondo girare intorno intorno, e caggia, già lgli basta. La qual cosa se nolli aviene, sì lli si conviene ancora dare quello medesimo, la qual cosa tanto si conviene fare ch'elli emfi. E quando elli komincerà a emfiare e ad avere scotomia già li basta. E io medicai uno adolescente, cioè dintorno a .xiiij. anni d'etade, nel cui volto si cominciavano già a ffare nodora e peli inchominciavano a cchadere, al quale io cominciai a ssoccorrere ko lo scemare sangue e col purgare co la dicotione de l'epithimo e co le pillole che purgano la collera nera, e fecilo entrare spesse volte nel bagno e nella stufa, e dielli cibi ke avieno a humentare e a inhumidire, e poi il feci riposare per alquanti die, notricandolo con cibi ke fanno buono nodrimento. E dipo 'l riposo sì ritornai al purgare, la quale cosa io feci tante volte ke più di .xL. volte il purgai in ispatio di .v. mesi e di pochi die. Le quali cose facte, i peli che lli erano kaduti kominciarono a rinascere, e 'l volto e 'l colore melliorare, e lli occhi si cominciarono a rischiarare, e fu interamente prociano a la santade. E apresso, imperciò ke da noi si dipartì, il regimento e la vita (kon che noi il guardavamo) lasciato stare e abandonato, dipoi .vij. mesi il trovai del tutto in tucto perfettamente guerito. E mi racontoe k'elli avea quello medesimo regimento usato quando elli era fuori k'elli solea essere retto da me, fuori ch'elli nom prese medicina da purgare, fuor ke siero.
L. V, cap. 35 rubr.Capitolo .xxxv. De le verruche e de' porri e loro cura.
L. V, cap. 35Le veruche e ' porri se ne lievano e tolgono se ko le foglie de le mortine molte volte si strupiccino fortemente, e co le foglie verdi de' cappari o ko l'aceto saranno fregate e stropicciate, e s'elle s'epithimano ko lo 'mpiastro ke apre li apostemi, sì come noi diremo nel capitolo, o ss'elle sono scorificate. Le quali cose certo sono medicamenti acuti e freghamento e stropiciamento koll'aceto e col sale, e molte facta volte il die giova, overo ke ssi faccia epithima kon karmesich e aceto, o elle si freghino molte volte coll'aceto, imperciò ke l'evella e heradica infino a le barbe, o ssi stropiccino co le sirokaratte recenti de Romania. E le verruche e i porri ke ànno molte radici, konviene scarifigere tucte le radici e i luoghi ke ssono intorno a lloro, e sopra la scarificatione del luogo spargere polvere d'aguto medicamento, la quale cosa tanto si dee fare infino a tanto ke tutta la carne si corroda e se deniegri, e poi vi si pongha suso il biturio, tanto ke ssi dolgha e lievi quello k'è annerato. Le quali cose così fatte, a quello medesimo si conviene tornare molte volte ponendovi suso l'una volta il bituro e l'altra volta il medicamento acuto. E poi che del tucto in tucto fia corrosa, si dovrae medicare il luogo con quelle cose ke generano karne. E se moltitudine di veruche o di porri sono nati ne la persona d'alcuno, togli spesse volte sangue e purgalo kon quelle cose ke noi diceremo nel capitolo de la malinconia. E in quel mezo coi cibi e col bagno, mentre ke tu ffai queste cose, sì l'humenta e ramollisci. E nel suo medicamento usa quelle cose ke tu usasti nel medicamento de la lebbrosia e malattia.
L. V, cap. 36 rubr.Capitolo .xxxvj. Di quelle cose ke generano i peli ne' nepitelli.
L. V, cap. 36Collirio il quale fae i peli spessi ne le nipitella. Recipe: l'ossa de' mirabolani arsi e arrostiti dr. .v.; fummo d'oncenso dr. .iiij.; spigo d'India e di carpobalsemo (cioè del seme e del frutto), e del balsamo ana dr. .iij.; e de la pietra lazuli dr. .x.; e di tucte queste cose fa' kollirio nel quale il radio, cioè lo stile del medico da occhi, si metta ciascun die, si tragha e meni intra le nipitella. E a le nipitella alcuna volta aviene dipelamento, la quale in questa maniera si de' medicare. Il radio, cioè quello stile o istrumento, ke ffia molte volte il die intinto nel sugo de la cipolla, si tragha e meni per le nipitella e apresso vi si metta il collirio. E d'alcuno delli epithimati ke noi nominamo vi si faccia epithima.
L. V, cap. 37 rubr.Capitolo .xxxvij. De' pidocchi de le nipitella.
L. V, cap. 37Le nipitella si ne nettino imprima finemente, e poi si lavino koll'acqua ' il sale, e poi si pesti allume iameni, del quale si metta col radio ne le nipitella. E se ne le nipitella sarae moltitudine di pidocchi, sì ssi metta il volto spesse volte sopra ll'acqua calda, e si nettino le nipitella de' pidocchi, e vi si metta sief di queste cose. Recipe: de la terra de l'ariento vivo, e de l'arsenico rosso, e de staphisagria ana iguali parti, di gommo la quarta parte d'una de le parti, e di queste cose si faccia sief. De' quali, quando fie mistiere, alcuna cosa si risolva e disfaccia ne l'acqua, ne la quale quel radio (cioè strumento) mollato si traggha e meni per la stremità de le nipitella e per le radici di peli con grande sottiglieçça e cautela. La qual cosa facta, sì ssi convengono tenere le nipitella lunghamente ke non tochino l'occhio.
L. V, cap. 38 rubr.Capitolo .xxxviij. De l'orçaiuolo.
L. V, cap. 38Quando nell'occhio fie orçaiuolo, cioè apostema lungo somilliante all'orço o al panico, comanda a lo 'nfermo ke la mattina si bagni spesse volte, e k'elli si tengha da la cena, e non dorma pieno il ventre, quod si non fecerit pone de super parum de unguentum quod vocatur diaquilon, il quale noi nomineremo nel capitolo de le scruofole, o tu disolvi la cera, e 'l radio intinto ne l'acqua calda trai e mena sopra llui, o i minuçi del pane mescola coll'acqua tanto ke diventi sì come la massa, e pollovi suso. O tu ll'ugni ko la storace liquida, e lo 'nfermo entri spesse volte, sì come detto, nel bagno, e tengha il volto sopra ll'acqua calda.
L. V, cap. 39 rubr.Capitolo .xxxviiij. Quando dopo 'l dormire non si possono aprire li occhi.
L. V, cap. 39S'alcuno dopo 'l dormire no à potentia d'aprire li occhi, konviene spesse volte entrare nel bagno, l'acqua calda coll'olio spargere i· sul capo, e porre il volto sopra 'l vapore de l'acqua calda, e imbiutare e mollare li occhi col panno mollato nell'acqua calda, e ancora huovo e olio rosato mescolati con grasso di gallina insieme dibattuta e conquassata, e mettasi in su le nipitella nell'ora del dormire; o scariola pesta con l'olio rosato vi si ponga suso.
L. V, cap. 40 rubr.Capitolo .40. Delli occhi che strabuçano in fuori per vomire. Rubrica.
L. V, cap. 40Se per vomire o reddere ke ssia facto, o per molto isforçarsi, o per molto gridare, o per percossa, o per cose somillianti a queste li occhi strabuçino in fuori, incontanente in quella hora si scemi sangue e diesi cosa ke faccia uscire fortemente. E gli occhi s'epithimino d'alloe, e di litio, e d'acacia, e col sugo taratraich, e si ripriemano, e nel luogho de la repercussione (o repensione) ruotola piccola de colla si pongha, e stringasi di sopra, e lo 'mfermo giaccia e stea supino, e si guardi da starnutire e dal reddere, e tenga ne la boccha alcuna cosa ke lli faccia uscire il flemma per la boccha, e faccia gargarismi, e menomi i cibi, e vino in niuna maniera bea.
L. V, cap. 41 rubr.Capitolo .41. Del puçço del naso e sua cura e medicamento.
L. V, cap. 41Se nel naso sì è reo odore, allume, mirra e galla prenda, di ciascuno igual parte, e tucte queste cose si pestino. Le quali cose facte, lo 'nfermo sughi kol naso vino odorifero molte volte, e apresso si soffi nel naso del predetto medichamento, o lucignolo vi s'intingha entro, e mettasi nel naso. L'altro medicamento. Recipe: calamo aromaticho, seme nefin, seme di rose e di garofani ana dr. .j., galle e mirra ana dr. 1/2, moscado tanto quanto pesa un granel d'orço pestinsi, e con essi si medichi il naso. L'altro medicamento. De spica inda, galla, garofani ana dr. .j., kuokansi tucte queste cose in tre libre di vino bene odorifero e buono, il quale si sughi col naso e se ne faccia gargarismo, e lucignolo vi si intingha entro e mettasi nel naso.
L. V, cap. 42 rubr.Capitolo .xLij. Del puço de la boccha.
L. V, cap. 42Se ne la boccha sia dente corrotto, o ne le gengie putrefatione, dal quale reo odore si creda venire, procura di trare il dente. E le gengie corrotte medicha kon chaliditon, cioè trocischo facto d'auropimento, e la chavitade; e noi l'abbiamo già nominato e detto. E se dal palato a la boccha fosse disceso homore ke avesse mal sapore, imperciò ke lo 'nfermo l'à per senno e sentimento manifestamente konosciuto, farai gorgolliare lo 'nfermo kotidianamente sciroppo acetoso ko la senape. E ancora in quel medesimo die fae gargarismo di vino, nel quale sieno cotti garofani, e gallide, e spigo d'India, e cipari. E se col puço de la boccha non fosse alcuna cosa de le predette ke noi abbiamo nominate, fate lo 'nfermo rigittare, poi ch'elli avrae manicato cose salate, e senape, e bietole, e avrae bevuto l'ydromelle. E donateli a pilliare spesse volte de la gerapigra, e guardalo da' cibi grossi e unctuosi, e non manuchi se non le cose fricte e quelle cose ke ssi cuocano ne la padella. E manuchi pane intinto ne l'almury de Romania, e ne bea a digiuno anzi k'elli manuchi. E ancora il vino k'elli usa abbia seco mescolato um poco di cipari, spigo e garofani, e pilli di queste pillole de le quali questa è la loro descriptione. Recipe: gallia, garofani, cennamo, noci moscade, spigo, cipero, scorça di cederno, e legno aloe per iguali parti, e del moscado, de le .xx. parti l'una de le predette cose. E di tucte queste cose, mescolate con vino bene olliente, si facciano pillole a la grandeza di cece, de le quali si pigli ogne dì la mattina .iij. dr., le quali lo 'nfermo mastichi um poco e traghiotischa il sugho. Medicina provata che molto giova al puço de la boccha, il quale medichamento è milliore di tucti li altri et è manichare spesse volte de l'appio, imperciò ke questo è medicamento molto forte. L'altro medicamento. Prendasi de la sommitade e de le frondi dell'albore ke ffae le mortine quando è verde, e insieme coll'uve passe e altretante in quantità, de le quali sieno tratte le granella loro, o loro semi si prendano e si pestino insieme, e se ne facciano mandaleoni e pallottole a grandeza di noce, de' quali uno ne prenda la mattina e uno la sera quando vae a dormire. Demtifricio, cioè cose da stropiciare i denti, ke ffae venire buono odore de la boccha. Recipe: spigo, ciperi, rose e foglio, gallia, scorçe di cederno, garofani, amomo, scorça di legno alloe, mastice, sale arso e del mèle ana iguali parti, e si mescolino e freghi con esso i denti.
L. V, cap. 43 rubr.Capitolo .xLiij. Di quelle cose ke l'odore del vino spengono.
L. V, cap. 43Se i cipari si masticano dopo 'l vino, sì ripriemono il suo odore, e sse le kubebe fieno co lloro mescolate, sì operranno assai mellio. L'altro medichamento. Ciperi, cubebe, zedoario, si mastichino e si freghino i denti con essi. E di quelle cose ke ripriemono e spengono l'odore del vino è, quando huomo l'ae bevuto, è manichare cose acetose (sì come sono senape e cipolle condite e concie ko l'aceto), e bere aceto, e mastichare del coriandro.
L. V, cap. 44 rubr.Capitolo .xLiv. Di quelle cose ke spengono l'odore delli agli, e de' porri, e de le cipolle, e dell'altre cose simili.
L. V, cap. 44Cascio talliato piccoli pezzuoli e morselli e fritto nell'olio onfacino, cioè k'è fatto d'olive mal mature, kol quale sieno mescolati molti garofani, si manuchi. Quando huomo avrae mangiato alkuno de' predetti agrumi, o koriamdro verde o seccho, sì mastichi dipo essi fortemente. E del suo sugo si mandi giuso um pocho, o ssi manuchino dop'essi fave o lente arrostite, o ssi mastichi ruta e se ne mandi giuso um poco; o la sumità o la stremità de alaulaich si mastichi, dipo 'l cui mastichamento um poco di vino odorifero si bea, o menta o mentastro si mastichi, e dop'essi si prenda um poco d'aceto.
L. V, cap. 45 rubr.Capitolo .xLv. Di quelle cose che tolgono il fluxo e 'l gociolamento de la saliva e de la bava.
L. V, cap. 45Quelli a cui questo aviene manuchi scaruole ricenti col sale a digiuno per molti die, e açuech, e spesse volte faccia gorgolliamento; e bea ogne die la trifera minore, e spesse volte redda e vomischa, imperciò ke questo lieva e manda via di tucto in tucto. E a questo male giova bere l'acqua calda la mattina, e almuri de Romania, e vino cotto bere, e grano infranto arustito kosì asciutto manichare; e giova mangiare la sera presso a la notte tortelle con almury nabati.
L. V, cap. 46 rubr.Capitolo .xLvj. Di quelle cose ke non lasciano i denti corrodere e nettano i denti.
L. V, cap. 46Dentifrycio il quale netta i denti e tolle via e lieva le cave. Pestisi il salegemma e la spuma di mare e se ne freghino i denti, imperciò ke molto giovano. L'altro da fregare i denti. Ciperi, alkaly, salegemma, spiuma di mare si prendano per iguali parti, e di queste cose trite si freghino i denti. L'altro. De' testi delli orciuoli verdi e del nitro de Syria, alkaly, si prendano per iguali parti e se ne pestino e se ne freghino i denti solamente, ma la carne de le gengie se ne guardino molto bene. E i denti si guardino k'elli non si facciano cavi, se ciascuno die elli s'unghono con l'olio.
L. V, cap. 47 rubr.Di quelle cose ke non lasciano corrodere i denti .xLvij.
L. V, cap. 47I luoghi de' denti corrosi si riempiano di mastice e d'allume, e i denti che fossero già corrosi si medichino kon questo medesimo medicamento, e ancora si strupicino com pepe e con ciperi triti. E le galle del cipresso, e 'l guscio, e 'l fructo del tamarici si prendano e si pestino e facciasi con essi dentifricio. E se la corosione fosse grande e avesse cominciato a ffare male a molti denti, sì ssi conviene purgare il ventre de la collera rossa molte volte, e dare cibi ke abbiano a humentare, e guardarsi da le cose salate e agre, e conviensi usare quelle cose e quello regimento kente acostuma a usare quelli che vuole ingrassare.
L. V, cap. 48 rubr.Ancora di quelle cose ke non lasciano kadere i denti ke ssi crollano .xLviij.
L. V, cap. 48Balaustie, allume, e galla, acacia, ypoquistidos si pestino, e con esso si stropiccino le radici de' denti conmossi e che ssi crollano. Mirabolani citrini, emblicy, galle, allume, si pilglino per iguali parti e tritinsi, e si mischino coll'aceto, e se ne faccia trocisci. E quando fie mestiere, sì sse ne freghino e stropicino le radici de' denti ke ssi crollano. E s'elli si crollano fortemente, quelli che ssi crollano sì ssi leghino coi sani kon katena e filo d'oro.
L. V, cap. 48 bis rubr.Capitolo .xLviij. Di quelle cose ke nettano le superfluitadi delli orecchi.
L. V, cap. 48 bisQuando verrae l'ora del dormire, sì ssi metta nelli orecchi olio tiepido, e la mattina entri nel bagno e giaccia sopra l'orecchie che ssi vuole nettare, e faccia l'orecchie procciano a lo spaço del bagno, cioè pongha l'orecchie suso lo spazzo de la stufa, e tengalo ivi tanto k'elli n'esca fuori ciò ke nne puote uscire, e poi quello ke vi rimane dentro si ne metta fuori col radio, cioè con quello cotale strumento, avolto da banbasgia intorno intorno. L'altro. Aceto e baurach si metta nell'orecchie, e quando vi sieno um poco stati entro, sì sse ne tragano fuori, la qual cosa si conviene poscia fare nel bagno molte volte, e si dee tenere l'orecchie una peçça sopra l'acqua kalda ke riceva il fummo e 'l vapore, e poi si dee l'orecchie nettare col radio involto di bambagia dentro, e dee spesse volte intrare nel bagno (cioè ne la stufa) e guardarsi ke quella cotale ordura non vi cresca nell'orecchie troppo dentro.
L. V, cap. 49 rubr.Capitolo .xLix. Di quelle cose ke non lascia venire puço de le ditella.
L. V, cap. 49Litargiro imbiancato s'imbiuti o ssi spruzi koll'acqua rosa, ne la quale sia spruçata kanfora. De le quali cose, fatti trocisci, si cuoprano di sotto e di sopra ko le rose e stieno così tanto ke ssi disecchino, poi si ripongano e con essi, quando fie mistiere, si faccia il medicamento. O tutia kon acqua e con sale, lavata con acqua rosata e champhora si comficiano e usisi quando è mistiere; o di rose rosse libra una, o di gallia di spico, e di ciperi, e di mirra, e d'allume ana on. .j. si prendano, e con essi e acqua rosa si formino troicisci koi quali si faccia epithima quando fia metiere.
L. V, cap. 50 rubr.Capitolo .L. De le cose ke non lasciano i pie' sudare.
L. V, cap. 50Le cose ke non lasciano i piedi sudare sono queste. Strupiccinsi i piedi coll'allume dissoluto ne l'acqua e disfacto, o co le foglie del cipresso, o cho le foglie del tamerici, o ko ll'acqua de le mortini (o del suo arbore ke le porta) expressamente sia virtù e propietà di torre e di levare via il sudore de' piedi.
L. V, cap. 51 rubr.Capitolo .Lj. Di quelle cose ke 'l sudore no lasciano avere se non buono odore.
L. V, cap. 51Le capita de' cardi si manuchino, e 'l seme del ginepero si bea ogne die ko la cassia lingnea, e 'l corpo si stropicci coi trocisci de le rose, i quali noi nominamo nel capitolo del puçço de le ditella, e com questo si strupicci e bea vino inacquato, imperciò k'elli fa buono odore, e manuchi de l'appio.
L. V, cap. 52 rubr.Capitolo .Lij. De le cose ke tolgono il puçço de l'orina e dello stercho.
L. V, cap. 52Vino bene oloroso si dee bere, e 'l seme del ginepero si dee manichare nel tempo freddo, e la cassia lignea si dee manicare, e 'l cibo, il quale userà, abbia in sé molto di cennamo e di galanga. E fieno greco, o kose arustite, overo amuden, e huova, et erucha, e agli, e cipolle, e senape, e stagara in niuna maniera manuchi, e guardisi dal fastidio.
L. V, cap. 53 rubr.Capitolo .Liij. Di guardare i corpi morti che no putiscano.
L. V, cap. 53Coloquintida, baurach rosso sì fae suppositorio, cioè supposta o cura, e mettete di sotto del fondamento del morto stando il capo di sotto, e fortemente si conmuova e scossi, e poi il diriçino e ripriemano tanto ke la sopposta n'esca. E poi di quello medesimo si faccia ancora l'altra supposta e cura, la qual cosa tante volte si conviene fare che tutto lo sterco esca fuori ch'è nel ventre. E queste cose fatte, alloe e mirra, e acoscia, e ramich, e ganfora se prendano, e de tutte queste cose destemperate ne l'aqua rosa fata sopposta, overo cura, si metta di sotto nel fondamento, e poi si richiuda il fondamento di sotto ko la bambagia involta in questa medicina, e se ne turi bene; e poi che ne l'aceto e nell'acqua rosa stemperati insieme la soposta, overo la cura, sia facta, tucte le sue giunture s'ungano, poi che co lloro fia mescolato um poco di sale. E nel naso si gitti um po' d'ariento vivo puro. E poi tucti suoi forami del corpo, kon questo ke noi abbiamo detto, si costringono e si condischa con aloe, e mirra, e gallia, e allume, e sale per igual mesura preso di ciascuno. E ongne morto che giace sopra 'l suo volto e sopra la sua faccia non avrae il ventre imfiato. E quando nel suo naso si mette argento vivo, il suo celebro nolli colerà per lo naso né per altra parte. E di quelle cose ke 'l corpo del morto non lasciano infracidare è k'elli s'imbiuti e ungha con alkitran, cioè pece liquida.
L. V, cap. 54 rubr.Capitolo .Liv. Di quelle cose ke i testicoli (cioè i collioni) de' fanciulli né le mammelle de le pulcelle non lasciano crescere né pendere giuso.
L. V, cap. 54Il comino si pesti e di lui, inaffiato coll'acqua, si faccia empiastro, il quale con panno lino molle in acqua e in aceto si stringha e non si disciolga infino a tre die. I quali tre die trapassati, cipolla di biancho lillio si pesti e di loro con aceto e acqua mescolati insieme si faccia impiastro, e vi si pongha suso e vi si leghi e, per tre die stando, non si sciolgha. La qual cosa si conviene fare alquante volte il mese. E ancora due pietre di mesen insieme con acqua e aceto si conviene strupicciare e freghare, e di quello ke ssi risolve e cade e gocciola da lloro s'empithimino et empiastrino, o ungano i testicoli e le poppe, imperciò ke questo li conserva e guarda in suo stato. O allume con olio rosato si pesti e le mammelle con eso ogne die s'ungano, imperciò ke per questo cotale medicamento la loro piccioleza durrae lungamente. O ssi prendano bolo armenico e galle verdi trite parti iguali, de le quali cose, inaffiate e consparte kol mèle, si faccia empiastro o epitima, il quale, poi che ffia così stato, per uno die sì ssi lavi coll'aqua fredda, e questo si faccia il mese più volte; e la picoleza durrae loro lungho tempo. E quelle cose ke i testicoli, cioè i collioni, konservano e nolli lasciano crescere è ke ssi prendano timolea e cerusa per iguali parti, de' quali col sugo del giusquiano e coll'olio de le mortini bagnate e comsparte si faccia epithina, imperciò ke queste cose né i collioni crescere, né ' peli nel pettingnone non lascia nascere, usandole nel modo di su detto.
L. V, cap. 55 rubr.Capitolo .Lv. De le rusticheçe k'avengono ne l'unghie.
L. V, cap. 55Inperciò ke sse l'unghia è uncinuta in entro, per tre die impiastro di grasso sopra ssé dee avere, e poi si disleghino. E ss'elli aviene cosa ke poscia ke lo 'mpiastro ne fie levato l'unghie si truovino molli, tanto si debbono freghare e stropicciare k'elle sieno iguali. E s'elli fia mestiere, a questo medesimo si converrà reddire e tornare tanto ke ssieno iguali. E se ll'unghie sono tignose o scrignute, coll'aceto, e afragi, e sale, e feccia d'aceto si debbano epithimare, o elli si faccia empiastro de la squilla e dell'olio sisamino, cioè del sisamo. E l'unghie ke ssi fendono, da le quali parti secche si dipartono, coloro ke ll'àno così fatte si debbono purgare de la collera nera; e i corpi di quelli cotali si debbono humentare e ranmollire. E l'unghie con cera, e con olio, e con grasso, e midolla, si debbono mollifichare e ramollire. E per la gialleza ke aviene all'unghie, sì ssi faccia epithima del seme de la ruca e aceto molte volte. E se i· lloro aparissero punti bianchi, sì ssi debbono epithymare spesse volte com pece liquida. E ancora l'unghie che ssono molto rustiche si debono medicare con grande studio e con grande faticha, kon quelle cose ke noi abbiamo detto nel medicamento di ciascuna infertade di sopra, tanto ch'elli ramolliscano e cagiano. E poi ke questo fie facto, quella unghia ke comincerà a nnascere in niuna maniera si tocchi kon mano, acciò ke nolle incontri niuno torcimento.
L. V, cap. 56 rubr.Capitolo .Lvj. De le fessure del volto, e de' labbri, e de la cotena e bucia k'è ne la parte di fuori de la mano.
L. V, cap. 56Prendasi cera gialla, olio rosato, ysopo cerotes, grasso d'anitra colato, amido, dragaganti e mucillagine, seme di mele cotogne, e se ne facia unguento in questa maniera: la cera e ll'olio e 'l grasso si disolvano e distrugano, ai quali l'altre cose s'agiungano insieme; e nel mortaio tanto lungamente si muovano, o ssi menino insieme, tanto che ssi facciano un corpo, e ke sieno bene insieme incorporati, e con essi si faccia strupiciamento e fregamento. E poi ke lo 'nfermo se ne fie strupicciato e uncto entri nel bagno. E poi ke 'l luogho fesso fie fregato e strupicciato, draganti bene triti vi si ponghano suso, e poi si lavi. Medicamento a le fessure de' labbri. Se le fessure fieno grandi, pongansi le galle col mèle o sse ne faccia epithima, o de la feccia dell'olio e di terbentina, e di grasso d'anitra insieme mescolate si faccia epithima; o galle molto tritissime si mescolino, co la terebentina distructa nell'olio si mescolino, e si ne faccia epithima, o si faccia epithima de la mastice e de l'ysopo ceroto, e del mèle. E se le labra avessero fessura, la quale quando da alcuna cosa si toccha le fa male, la buccia de l'huovo dentro vi si epithimi, cioè vi si apicchi.
L. V, cap. 57 rubr.Capitolo .Lvij. De l'emfiamento e piççicore k'aviene ne le mani nel verno.
L. V, cap. 57Sopra le dita acqua salsa kalda si dee versare e si debbono mettere nell'acqua, ne la quale la bietola sia cotta, e si debbon ungere coll'olio di behen o kolli altri olii somillianti a questi. E s'elli avenisse cosa ke questo cotale male fosse grande, empiastro si faccia di sale e di fichi triti d'olio, e cipolle, e vino.
L. V, cap. 58 rubr.Capitolo .Lviij. Di quelle cose ke ingrassano il corpo de l'huomo e de la fenmina.
L. V, cap. 58Quelli che disidera d'ingrassare sì usi cibi untuosi e dolci e che molto nodriscono spesse volte, sì com'è grano cotto e polte da bere e dure. E si guardi di tutto in tutto da' cibi salsi e acetosi e acuti, se non fosse per savore e acciò ke l'apetito ne melliorasse. E usi il dormire e quiete e riposo in case fredde e humide spesse volte. E conviene ancora dopo 'l cibo bagnarsi e ugnersi imprima coll'olio e poi acqua tiepida gittarsi adosso, e dêli essere comandato ke dinançi dal cibo lungamente si muova usando molle e subtile andamento, e si sofferi e si tengha dal forte e ratto movimento. E ancora il suo letto sia molle. E sempre dinançi da ssé abbia giuochi e canti. E 'l corpo dinançi dal cibo si strupicci e freghi infino a tanto ke um pocho cominci a arossare, e manuchi il die due volte, e dipo 'l primo manichare entri nel bagno. E 'l vino, il quale elli usa, sia rosso, e grosso, e nuovo, e dolce. E de le granella ke ingrassano è il frumento, e 'l riso, e fave. E frumento infranto cotto kol lacte dae molto nodrimento e spesso. E ancora il brodetto ke ssi fae de le brisce del pane secco e del fiore de la farina, e la farina de le fave, e 'l riso, e 'l lacte, e baacca (cioè cibo ke ssi fae di lacte e di grano e di zucchero) quando si manicha col çuchero, e cascio ricente, e i fructi de' quali si manucha tanto solamente l'anima dentro col çucchero sì come mandorle ' avellane, fistuchi, lacte, e uve fresche dolci, tucte queste cose ànno a ingrassare. E ancora di quelle cose ke ànno a ingrassare son carne di castrone, e galline, e huova arostite, e juleb, e meliche, e thamy, e chafea di panas, thauguebil, e usare sempre vino, e sempre essere a giuochi, e a letitie e rade volte scemarsi sangue, e rade volte pilliare purgatione, e non spesse volte bagnarsi, né usare con femina, né lavorare, né stare sotto 'l sole, né veghiare, e pocho soffrire fame e sete fanno ingrassare. Medicamento buono a ffare ingrassare. Semi di çucche scortichate e monde si pestino molto bene, e s'innaffino e inmollino col lacte de la vaccha, e facciansene trocisci sottili de' quali, disecchati la mattina, se ne prenda una uncia, e trita col lacte e con çuchero si mandi giù e si tranghiottischa; e sorbinciuncole (cioè mangiari liquidi da bere) e somillianti cose di ceci, e di riso, e di latte, e di bituro si facciano, e di tortelli e si beano e manichino. Sorbiciuncule, cioè brodetti da bbere i quali ingrassano, si fanno in questo modo. Prendasi farina di riso, farina di fave, e di ceci, e di tortelle, e mandorle scortigate e monde. De le quali cose si facciano i liquidi manicari e cucine da beere col lacte e con çukero. E poi k'elli avrà preso ongne die di queste cose e di questi mangiari, sì entri nel bangno, dal quale, quando ne fia uscito, sì ssi pascha con nodrimento di lui proprio (cioè ke ssia propio a llui). Cosa buona da ingrassare. Mandorle scorticate e avellane, seme di papavero bianco, e grano verde, e bituro di vaccha, e di zuchero si prendano. E tucte queste cose, uncte dinançi e prima col bituro e çucchero distructo, s'innaffino, de' quali la mattina e la sera elli manuchino um pocho. Suppositorio e cura ke ingrassa. Il capo del castrone ben grasso e bene nettato si prenda e bene si pesti, al quale meza libbra caude e due di lacte, e di grano, e di riso, e di cece, di ciascuno ana la quarta parte d'una libra s'agiungano, a le quali tanto d'acqua vi si mescoli ke ssi possano coprire, e kuocansi tanto ch'elli sieno tucti disfatti. E poi de l'acqua colata on. .iij., e del grasso on. .ij., e dell'olio rosato e olio di noci ana on. .j. si prendano. De' quali la notte, poi ch'elli avrae assellato (cioè ito a ssella), se ne faccia suppositorio, il quale elli tengha tucta la notte nel ventre dormendo, e questo si faccia .v. volte o tre il mese, la quale cosa è mellio se ssi fae più volte. E di quelle cose ke ingrassano è di manicare le cose humide, la qual cosa la scama del ferro àe a aoperare e a ffare. E noi in quello che verrae apresso nel capitolo dello stomaco questo nomineramo e diremo.
L. V, cap. 59 rubr.Capitolo .Lviiij. Di quelle cose che dimagrano il corpo de l'huomo e de la femina.
L. V, cap. 59Se alcuno vorrae dimagrare, sì lasci stare i cibi che molto nodriscono e carne, e lacte, e vino, e ancora tucte le cose dolci lasci stare, e maggiormente nel suo nodrimento usi chamangiari e manuchi magiormente le cose salse e l'acute e l'acetose. E usi largho movimento del corpo, cioè ke non istea stiticho, ançi largo e solubile, e faccia e pigli cose ke 'l facciano orinare e sudare. E usi molto movimento e tosto e molta fatica ançi ke manuchi, e stea molto nel bagno, e non manuchi incontanente dopo 'l bagno, ma alcuna volta lunghamente dinançi al manichare stea e dorma. E ancora dorma così digiuno, e disponghasi e ordinisi di manicare una volta il die, e molto veghi e bea vino vecchio e sottile, e a la perfine usi il regimento contrario a quello ke noi dicemo. E di quelle cose che ffanno il corpo dimagrare è prendere spesse volte la trifora minore, e latovari caldi ke abiano a ffare orinare (sì come dyatrichon piperon e diacimino), e dipo 'l loro prendimento tanto lunghamenti, ançi ke manuchi, dimorare dee ke l'apetito, k'era grande, menomi e si spengha; e ancora sofferire fame e sete, e sudare nel bagno, e prendere medicine ke abbiano a dimagrare, e dormire nel letto duro, e dimorare sotto il sole e in magioni e case calde. Medicamento ke ffae magro il corpo. Recipe: ameos, seme d'appio, seme finocchio, e di ruta, e di comino di tucti iguali parti; maiorana, bietola, e baurach, ana la quarta parte d'una de le predette cose, laccha due parti polverizise; de la polvere de le quali cose tranghiotischa ogne die, usandolo al peso d'uno aureo, imperciò che questo medichamento diseccha il corpo. E di quelle cose ke fortemente disecchano è di prendere il calcanto, cioè il vetriuolo, la qual cosa fare è timorosa e dottosa. Medicamento ke 'l corpo diseccha. Recipe: de la trifera minore dr. .iij., e de la polvere de la pigra e del turbit ana dr. .j.; prendasi questa medicina ciascuna septimana una volta.
L. V, cap. 60 rubr.Capitolo .Lx. Di quelle cose ke acrescono la sperma.
L. V, cap. 60Lactovario de l'anima de' noccioli de' fructi. Recipe: avellane, mandorle, noci d'India, pine nette fuori de' noccioli, granella kalkyl, granella çeilen, grani viridis di tucti per iguali parti; e di gengiovo, pepe lungho, seme di pionia ana la terza parte, penniti di çucchero tanto solamente ke coprire e distemperare si possano, e se ne prenda la mattina ogne die a la grandeza de l'huovo, e la sera altrettanto. Lactovario di sementi ke acresce la sperma. Recipe: del seme de la pastinacha, e de' navoni (cioè del seme de le rape lunghette subtili), e di cipolle, e di rafano, e di sparago, e del seme alsafasa, e de la ruca; e di tucti questi, del seme di tucti questi, e de la midolla dentro de le pine, e de le granella del kikyl, e de le granella çalen, tuderi, lingue avis, seccacul, been bianco, satiryon, costo dolce, gengiovo, pepe lungho, nasturçio, di tucte queste cose igualmente e pestinsi e col mèle si conficiano. Del quale peso di dr. .iij., kon una on. di lacte allora munto, e penniti si prendano. E pulmento di carne di castrone kon cece infranto e cipolle, facto il quale abbia seco mescolato sottile polvere di cennamo e di galangha, manuchi. E alcuna volta il predetto lattovario si dee bere col vino novello. Medicamento ke riscalda e ke giova a coloro ke ssono secchi. Recipe: del lacte de la vaccha agual munto libre due, nel quale terramabyn generati si mettano, e cuocansi infino a spesseza del mèle, e ongne die a digiuno se ne prendano dr. .xx. quasi sorbendo, cioè vinando; dipo 'l quale bere pesci recenti ne lo schedone arostiti sopra la brascia si manuchino, i quali ancora caldi co le cipolle si debbono manichare, e ancora vino grosso e mezanamente inacquato con essi si dee bere. Unguento ke ffa diriçare la vergha. Prendasi olio di liglio e metavisi entro de l'euforbio, e del pepe, e de la senape, e del nitro, di tucti ana dr. .j., e del moscado la terza parte d'una dr. E di questo unguento le reni, e 'l dosso, e le sponduli, e 'l pettignone, e la vergha, e tucte quelle parti che ssono intorno di lui s'ungano. E ancora la scorça del pino, e ' ciperi, e aneto si debbono cuocere nel vino, e panno bagnatovi entro si dee mettere nel fondamento di sotto. Medicamento per lo quale tosto si diriça. Asa mescolata col mèle infino al peso d'uno aureo, con una oncia di vino si manuchi per due hore, dinançi ke manuchi.
L. V, cap. 61 rubr.Capitolo .Lxj. Di quelle cose ke rischaldano la natura de la femina.
L. V, cap. 61Prendasi cardumeni e, raso di fuori, sì si pesti. De la cui polvere nell'olio del sambucho si metta, tanto del quale elli possa diventare spesso e metasi ne la natura de la femina dinançi. Medicamento buono a la fredeza e a l'humidità de la natura de la femina. Cordumeni e ciperi, pepe, bellirici, si mettano e cuochano nel vino, nel quale panno bagnato si metta ne la natura de la femina dinançi.
L. V, cap. 61 bis rubr.Capitolo .Lxj. Di quelle cose k'acrescono la dilettatione d'avere a ffare con femina.
L. V, cap. 61 bisQuelli ke disidera questo, cioè ke v'abbia grande diletto, si mastichi a digiuno le cubebe o piretro, o prenda de l'asa fetida dr. .j., e olio di sambucho dr. .x., e li metta insieme e li lasci stare cosie per alquanti die. E poi questo unguento la vergha ungha, e molte volte lievi alte le ginocchia e le coscie de la femina fortemente, e stringha sopr'essa le sue coscie. E così operando ciascuno avrà gran diletto. L'altro. Recipe: piretro, gengiovo, cennamo parti iguali, e queste cose trite in uno poco d'acqua ove um poco di gommo sia disoluto o distemperato s'inaffino, e facciane trocisci piccoli i quali si tengano in bocca. E quando elli fieno disoluti e disfacti colla saliva, sì è d'avere a ffare co la femina.
L. V, cap. 62 rubr.Capitolo .Lij. Di coloro ke a la ffine quando ànno usato co la fenmina escono a ssella. Rubrica.
L. V, cap. 62Quelli cotali ançi k'elli usino ko la femina, sì lli conviene andare a ssella e uscire. E conviensi dare loro quelle cose ke stringono il ventre, cioè alchache, e ancora oramich, e oncenso, e balaustie, e gummo arabicho. Di tucte queste cose si prenda per iguali parti, de le quali si facciano sopposte somillianti a noccioli di datteri e si mettano di sotto nel fondamento quando si de' usare co la femina. E ll'altre volte olio di neriden si metta di sotto e si n'ungha con esso.
L. V, cap. 63 rubr.Capitolo .Lxiij. Di coloro che per troppo usare con femina sono indeboliti.
L. V, cap. 63Questi cotali si debbono lavare ne l'acqua fredda e sono da nodrire coll'acqua de la carne con cocitura di carne e brodetti ov'è cotta la carne. E beano um pocho di vino bene chiaro e bene odorifero e olgliente. E lavisi la faccia e la barba, e s'ungha tucto il capo di quelle cose ke ànno buono odore, e i suoi panni e tucto il corpo affumichino co le cose odorifere e ollienti, e stieno in riposo e quiescano nel letto ke ssia molto morbido.
L. V, cap. 64 rubr.De le cose ke la sperma e 'l diriçamento de la vergha menomano .Lxiv.
L. V, cap. 64Le cose ke la sperma e 'l diriçamento de la vergha menomano sono d'usare di mangiare cose stitiche, cioè laçe e acetose, sì come è l'aceto e 'l sugo de le uve acerbe, e ribes, e somillianti cose. E di quelle kose ke menomano l'arretare sono quelle cose ke ddisolvono la ventositade e la disfanno, sì com'è la rutha e l'agnocasto, e 'l mentastro, e 'l comino, e ameos. Medicamento ke menoma l'arettamento de la vergha. Recipe: seme de angnokasto dr. .x., e de le follie, del mentastro, e de la ruta seccha, e del chomino, ciperi, e balaustie ana dr. .ij.; e de la polvere di queste cose la mattina e la sera si notrischa. L'altro medicamento quando caldeza è la cagione. Recipe: seme di lattughe, seme di porcellana dr. .x., psillio, seme di coriandro seccho dr. .iij., balaustie, neufar dr. .ij.; e di tucte queste cose insieme mescolate dr. .iij. colla quarta parte d'una oncia si prendano per alquanti dì, e usinsi cibi stitichi e acetosi.
L. V, cap. 65 rubr.Capitolo .Lxv. Di quelle cose ke la vergha fanno crescere.
L. V, cap. 65Molte volte il die si dee tanto freghare e stropiciare k'ella si faccia rossa, e poi si dee gittare sopr'essa l'acqua calda, e poi co la cera disoluta e distructa ne l'olio violato si freghi e stropiccii. E col lacte de la pecora s'ungha .x. volte il die, e si epithimi il die coi lombrichi de la terra, diseccati e triti coll'olio del sambucho. L'altro medicamento. Recipe: çolfo giallo, pepe ana parti iguali. E queste cose trite s'abburattino o staccino, coll'orale o kon altro panno sottile; e con essi e con mèle puro mescolati si faccia epithima, il quale fie così stato per una ora, sì ssi lavi con l'acqua calda. O noccioli triti di semi accolti si tritino, e col lacte di presente munto si mescolino, de' quali la vergha, inançi ke usi co la femina, si freghi e crescerà. E se alcuno il predetto regimento userà, sì passerà e andrà la vergha in grandeza non naturale, cioè si farà grande sança misura, e così rimarrà e starae sempre.
L. V, cap. 66 rubr.Capitolo .Lxvj. De le cose che la natura dinançi de la femina ristringono.
L. V, cap. 66Gallie (o galle) dr. .iij., garofani dr. .j., moscado la sexta parte d'una on. si prendano, e triti in una on. di vino si mettano, nel quale panno molle in esso si mettano ne la natura de la femina dinançi. L'altro medichamento ke redde quasi la corropta e la spulcellata vergine. Recipe: de galle, d'allume, de squinanto, foglie di lillio e di ciperi ana per iguali parti, e tucte queste cose si cuocano ne l'acqua, de la quale la femmina si metta ne la natura dinançi molte volte. E quando la natura de la femina fie molto stretta e l'uomo vuole avere a ffare ko la femina, um picolo budello di colombo s'empia del sangue del colombo, e si metta la femina quello poco del budelluço pieno di quello cotale sangue ne la natura dinançi quando huomo dee usare co llei. E quando huomo comincerà ad usare co llei, il budello si fenderà e 'l sangue si spanderae.
L. V, cap. 67 rubr.Capitolo .Lxvij. Di quelle cose che tolgono e mandano via l'umiditade de la natura de la femina.
L. V, cap. 67Antimonyo, allume iameno se prendano parti iguali e trite, si staccino e aburrattino e si mettano di sotto ne la natura. O salegemmo e allume triti vi si mettano e si lavi la femina la natura dinançi coll'acqua ove fieno cotte le galle e le coppe de le ghiande. E balaustie, o scorçe de le pine, e allume, e ciperi si cuocano in vino, nel quale pane mollato si metta ne la natura de la femina dinançi, e così si tengha.
L. V, cap. 68 rubr.Capitolo .Lxviij. De le cose ke giovano a impregnare e che riscaldano la natura de la femina.
L. V, cap. 68Le cose ke la natura de la femina riscaldano sono queste, cioè: cordumeni exortichato si prenda e si pesti, e se ne metta nell'olio del sambuco tanto k'elli divengha spesso, e si metta dinançi ne la natura. E a quelle cose ke giovano a impregnare sono queste: a questo vale ke l'huomo e la femmina non usino insieme e non abbiano insieme a ffare se non dipo lungo tempo, cioè ke 'l facciano rade volte; e ch'elli non sieno ebbri quando usano insieme, e ke l'huomo si sollaçi e giuochi tanto kolla femina k'elli vegha ke la femina n'abbia voglia, la quale cosa si può conoscere nelli occhi de la femina e ne l'alito. E sia questo che l'huomo abbia a ffare co la femina dopo 'l mondificamento de' mestrui, cioè quando la femina avrae avuto suo tempo, e fia già mondificata e netta di sua privata malatia. E quando huomo avrae cominciato a usare co llei, sì lievi suso in alto le coscie de la femina fortemente sì ke 'l kapo de la femina sia chinato in giù e le gambe alte in suso. E l'uhuomo si sofferi e si tengha tanto ke nom compia sua volontà ke ssappia ke la femina à compiuto ella e allotta elli lasci andare il suo seme. E la femina giacia poi lunghamente, e questo si conviene fare incontanente dopo 'l bagno, ma chonviene ke, ançi ke queste cose si faciano, ke la femina si metta dinançi ne la vulva medicine calde. Pessario buono a impregnare. Prendi storace liquida, kastorio, galbano, opoponaco, karpobalsamo, seme di been, kost, spica de Inda, bidellio, e di tucte queste cose trite e con vino mescolate si ne facciano cotali cure, facte a modo di ghiandi, le quali, messe ne la natura dinançi, si tengano per quatro ore.
L. V, cap. 69 rubr.Capitolo .Lxviiij. Di quelle cose ke non lasciano impregnare e ke ffanno scipare.
L. V, cap. 69Se la femina, quando l'uhuomo avrae co llei usato karnalmente, incontanente apresso um poco d'alkytran si metta dinançi ne la natura, o quando huomo vuole usare co la femina si n'ungha il capo de la vergha, sì nom impregnerà la femina. La quale cosa fae somilliantemente il sugho de la ruta, o 'l pepe, se la femina si ne mecte d'alkuno di loro dinançi ne la natura poi ke l'huomo avrae usato karnalmente co llei. E se la femina, abiendo i piedi aperti dipo 'l coyto (cioè quando huomo avrà co llei usato) salti indietro (o adietro) fortemente, la sperma k'ella àe in sé o k'ella contiene e àe ricevuto cadrae; e ancora se l'huomo compie sua volontà prima che la femina, non impregnerà. E di quelle cose ke ffanno scipare sono le medicine ke noi nomineremo nel capitolo de l'agevole parto, e pesario d'alkitran, o del sugho de la ruta, o de l'artemisia, cioè il matricale, o de la coloquintida, o bere il sugho de la ruta. E di quelle cose ke fortemente mandano fuori del corpo la creatura è da dare kotidianamente a quella k'è prengna dr. .iij. del seme de la savina .x. die continui, s'ella innançi non àe avuto febbre, la qual cosa se aviene è da llasciare stare. Ma s'è sana prenda questo spesse volte, tanto ke ne la sua urina e nel suo sudore si senta l'odore del seme del kebel. E ancora si debbono usare tucte quelle cose ke noi diremo nel capitolo di provocare i mestrui e del legière e agevole parto; o le si dea il lattovaro d'asa. Lattovario molto forte nel fare scipare. Recipe: del seme alkebel dr. .c., mentastro seccho, e de le follie de la ruta ana dr. .xx., e tucte queste cose polveriçate se conficiano col lacte de' fichi, del quale la mattina e la sera prenda a la grandeza d'una uva.
L. V, cap. 70 rubr.Capitolo .Lxx. De le cose ke giovano a bere molto vino.
L. V, cap. 70Se alcuno vuole usare a bere molto vino, konviene ke quello die nom si empia molto di cibo e non mangi cose dolci. Canfera, overo kanfea, o kose untuose, vini o sughi, e i minuçoli del pane molli e untuosi, nel predetto manuchi, e carne che abbia seco mescolato grasso, temperatamente manuchi. E quello medesimo die dinançi al mangiare lavori e s'affatichi. Ma incontanente ch'elli fie isvelliato, sì cominci a bere s'egli non àe graveza ne lo stomaco per cagione del cibo precedente. E di quelle cose che molto giovano al bere è la carne coi cavoli, e kon kanavit, e colle lenti. E dipo 'l vino l'acetositade del cederno, o rribez, o mele cotogne, e melegrane acetose, o cose acetose o salse, giova molto. Medicamento ke ritarda l'ebbreza. Recipe: cavoli nabati selan (o semi), comino, mandorle scorticate, mentastro, sale, absenzo, ruta seccha, ameos, di tutte queste cose insieme trite dr. .ij. si prenda a digiuno coll'acqua fredda, se quelli che la dee prendere non àe kalore. E s'egli aviene cosa k'elli abbia calore, si llasci stare. E ancora a questo giova ke quelli che vuole bere mandorle salate, o ulive condite e aconce col sale e con cappari manuchi.
L. V, cap. 71 rubr.Capitolo .Lxxj. De le cose che fanno tosto venire l'ebbreçça.
L. V, cap. 71Mandragora, oppio, seme di iusquiano nero, di tutti questi ana si prenda dr. (l'altra lettera dice dramma terza), noci moscade dr. .j., gallia, xillaloes, cioè lengno alloe, ana la terza parte di dr. E di tucte queste cose trite si formino trocisci, de' quali quando uno fie distemperato col vino s'inebrierà fortemente. E di quelle cose ke inebriano è ke l'iusquiano nero e scorçe di mandragora tanto si cuocano ne l'acqua ch'ella sia rossa, la quale si de' poscia mescolare nel vino. L'altro medicamento più lieve, nel quale seilem si cuoce, se prenda e col vino si mescoli, o l'acqua ne la quale usneen o kosa si dea ke ssia mollata in cosa ke abbia mucillagine, o si dea vino nel quale sia stato in molle il sillaloes, cioè il legno alloe. L'altro medicamento ke è molto forte. Recipe: mirra, storace liquida, jusquiamo, di tucte queste cose ana la sexta parte d'una dr., de gallia e de garofani ana .j. terza parte d'una dr., e queste cose trite mescolate col vino si deano.
L. V, cap. 72 rubr.Capitolo .Lxxij. Di quelle cose k'allievano e giovano all'ebrietade.
L. V, cap. 72L'acqua e l'aceto molte volte si debbono dare, o acqua mescolata con latte molto acetoso, o kon siero acetoso si debbono dare, e aceto e olio rosato fondere sopra 'l capo e spargere, e camphora e acqua rosa li si debbono porre al naso, acciò k'elli l'odori. E se nello stomaco fosse rimaso alcuna parte del vino, si dee isforçare k'elli la rigitti, e le sue mani e i suoi piedi si debono mettere ne l'acqua fredda, e si debbono fregare e stropiciare col sale. Ancora fette di pane molli nel sugho dell'uve acerbe li si debbono dare ko le lenti cotte, e ancora cavoli cotti o kanavit fieno a ddare.
L. V, cap. 73 rubr.Capitolo .Lxxiij. Di curare il soperchio riempimento del mangiare e del bere.
L. V, cap. 73Conviene questo cotale ke à tanto manicato e bevuto lunghamente dormire e, quando fie svegliato, intrare nel bagno e sedere nel luogho temperato. E poi che ssopra il suo capo fie gittata molta acqua tiepida, sì nn'escha e manuchi pollo col sugo de l'uve acerbe, e ancora karis, e ulen, e somillianti cose manuchi. E poi dorma un'altra volta. E se cosa fosse ch'elli avesse dolore di capo, ko ll'aceto mescolato koll'olio rosato s'infonda, cioè si gittino, in sul capo, e sieno l'aceto e l'olio rosato raffredati ne la neve, le quali cose fatte ancora dorma un'altra volta. E se dipo queste cose non guerisse, o tardasse di guerire, bea um poco di vino kon molta acqua. E di quelle cose ke ssono buone a ciò sono: non molto parlare e andare moto e soavemente, e olio violato, e fiori di salce, e rose, e acqua rosa, e kamfora odorare, e mollare il capo coll'acqua tiepida. L'altro. Seme di lattughe, seme di cavoli e sonmach, e lenti scorticate o digusciate, rose e spodio ana dr. .x. si prendano; de le quali .iij. dr. co la sexta parte d'una dr. di kamphora, kon una oncia de l'acetositade del cederno cotta tanto ke ssia spessa, o con sugho di melegrane acetose, o kol sugo di ribes si deono bere. L'altro. Del seme del coriandro secco e trito mescolato col çucchero biancho a quella medesima quantitade ke è il coriandro, quanta elli puote, ne prenda tre volte. E ' robub ke valliono a llevare e a mandare via la crapula, cioè questo male de riempimento di troppo manicare e di troppo bere, sono: rob del sugo de l'uve acerbe, e 'l rob de l'acetositade del cederno, e 'l rob de ribes. L'altro sì è: l'acqua ne la quale il sommac, e thamarindi, e susine sieno state in molle si prenda, e col sugo de l'acetositade del cederno in quella medesima quantitade si mescoli, a le quali si mescoli tanto çucchero quanto è il tucto di queste cose. Le quali cose tucte si debbono cuocere tanto ke diventino spesse, de le quali poi, quasi sorbendo o ssugando, alcuna cosa o alcuna quantitade se ne dee prendere. E qui si termina il quinto libro, overo tractato. A dDio ne rendiamo grazie. Amen.
L. VI, Index rubr.Cominciansi qui i capitoli del sexto libro. Del regimento di coloro ke kanminano.
L. VI, IndexCapitolo primo del sexto libro de Rasis. Del regimento e de la vita di coloro ke kamminano, e de la kautela e de la guardia del caldo, e kome si dee soccorrere al nocimento che di cioe aviene. Capitolo secondo. De la guardia de' dì caniculari e del medicamento e de la cura del nocimento ke ddi loro procede e viene. Capitolo terço. Da torre via la sete e di torre via la sua rokeza e nocimento ke ne viene. Capitolo quarto. Del regimento di coloro i quali nel tempo fredissimo e per molta neve konviene kanminare. Capitolo quinto. Del medicamento e guerimento di coloro ai quali per la detta kagione adiviene congelamento nel camino. Capitolo sexto. De' sincopi, cioè tramortimento k'aviene per la fame e de la sua cura e medichamento. Capitolo septimo. De la guardia de l'estremitadi de le dita e de le mani, e ke tosto si soccorra a colui o a quella parte ke ss'è già cominciata a corrompere, e de la sua cura e medicamento di quello k'è già corrotto e fracidato. Capitolo ottavo. De la cagione quando l'occhio si congela e per la troppo grande biancheza de la neve nom può vedere. Capitolo .ix. De l'ardore e del dolore ke aviene all'occhio per cagione del grande freddo e del grande vento nel chamino. Capitolo .x. D'insegnare guerire de la faticha e de la laseza coloro che ssono indeboliti nel chanmino. Capitolo .xj. D'insegnare a conciare e disporre il corpo a canminare e del reggimento del cibo nel canmino. Capitolo .xij. Di levare via il nocimento ke perviene de le diversitadi de l'acque. Capitolo .xiij. De le magioni di coloro i quali sono ne le castella. Capitolo .xiiij. Del regimento di coloro ke volliono navichare per mare. Capitolo .xv. Di quelle cose ke non lasciano generare pidocchi e ke uccidono quelli che ssono già nati. Capitolo .xvj. Di quelle cose ke non lasciano mutare il colore al sole e al vento. Capitolo .xvij. Di quelle cose ke non lasciano fare le fessure nel calcagno. Capitolo .xviij. De lo scortichamento e dibucciamento ke aviene per lo cavalcare o per li calçari nel chaminare. Capitolo .xviiij. Del cadimento e de le percosse ke avengono nel capo o in altra parte del corpo.
[L. VI, Incipit]Qui si comincia il sexto libro di Raxis.
L. VI, cap. 1 rubr.Capitolo primo. Del regimento e de la vita di coloro ke kanminano, e de la cautela e de la guardia del caldo, e come si dee soccorrere al nocimento che di cioe adiviene.
L. VI, cap. 1Colui ke kanmina nel tempo de la grande caldeza konviene k'elli non sia troppo pieno di cibo, e ke elli non sia ebbro, e k'elli allotta, e in quell'ora di presente, non abbia bevuto vino; ma non sia inanito e famelico, né del tucto in tucto vòto di cibo e di vino, se non advenisse k'elli avesse fastidio, imperciò ke se cosa fosse k'elli l'avesse, allora è mellio ke, del tucto in tucto, si sofferi de l'andare, e ch'elli si riposi e ssì lunghamente dorma ke quello cotale fastidio k'elli avea per troppo manicare e per troppo bere si diparta e vada via. E se cosa fosse k'elli non avesse fastidio, ançi avesse um poco di buono apetito, sì manuchi per ragione e mezanamente e ançi pocho che troppo. E i cibi k'elli usi sieno freddi e tali che spengano e atutino la sete, sì come sono alkaris e alkiren, e sugho de l'uve acerbe, e aceto coll'olio, e somillianti cose di quelle cose ke ssono fredde. E s'elli aviene cosa k'elli i· niuna maniera abbia vollia di manicare e abbia troppo grande caldo e troppo grande sete, frumento infranto cotto con molta acqua kon zuchero e acqua fredda bea. Dipo 'l cui bere non incontanente poi vada, ma stea um poco, e maggiormente s'egli avrae bevuto molta acqua, imperciò ke ss'elli incontanente si movesse e andasse, il cibo ke fosse ne lo stomaco, passando e andando dell'uno lato all'altro, si enfierebbe lo stomacho e male lo smaltirebbe. E s'elli aviene cosa k'elli il pur convengha andare, sì bea um poco e in una ora vada troppo forte e troppo tosto, e tucti i suoi membri guardi dal sole e magiormente il capo, e magiormente s'elli disidera e vuole andare lunghamente. Imperciò ke llunghamente andare, quando elli fae gran caldo, e lungamente digiunare, sì nuoce più ai corpi magri e meno ai corpi grassi. E alcuni grassi corpi si truovano e sono ai quali le predette cose giovano, cioè l'andare e 'l digiunare. E noi abbiamo già detto in questo nostro libro ke elli non è nostra intentione di diterminare né di distinguere tutte queste cose, imperciò k'elli ci converrebe entrare in questa nostra dottrina più profondamente, onde noi consideriamo quelle cose ke ssolliono avenire più spesse volte. E ancora l'uso in questo contiene gram parte, imperciò ke i corpi, calore, o fatica, o fame, o altre cose acostumati di soferire, si truovano in queste cose più forti e più soffrenti, e meno di ciò ànno male o danno ke quelli corpi ke queste cose non ànno acostumati. E poi che colui che si mise ad andare avrae compiuta la sua via, sì ssi dee um poco riposare, e poi si dee bagnare in acqua dolce e tiepida, e poi dee manichare fructi k'abbiano a inhumidire e a raffredare, et è utile cosa di dormire i· lluogho ove i venti possano soffiare e ventare, e perdoni e lasci stare l'avere a ffare kon ffemina. E s'egli adviene cosa ch'egli senta doglia di capo, con acqua rosa e rob d'olio e d'aceto si medichi, e usi spesse volte bagno d'acqua. E tutti i cibi ch'egli usa sì apertengono a fredeçça e a humiditade. E ancora olio violato e di seme di çucche e di fiori di salici odori. E s'elli aviene cosa k'elli non senta alcuno male, vada e faccia il suo kammino. E s'elli avien cosa k'elli avengha alcuno male o alcuna infertade, tanto stea k'elli non vada ke quel male o quella cotale infertade vada via. E s'elli non puote stare k'elli non vada, sì vada a pocho a poko guardandosi molto bene dal sole. E ançi ch'elli cominci ad andare, sì bea di quelli beveraggi e di quelle cose ke molto tolghono la sete, sì come orço infranto, kotto e mescolato kol çucchero e coll'acqua rosa, o kolla mucillagine del pisillio, o julep con l'acqua de l'orço. E quando elli fie riposato, cibo e fructi ke raffredino e lacte, s'elli no à febbre, usi. E s'elli aviene cosa k'elli abbia male, né llacte, né burro, né alcuna cosa facta di lacte presumma di tocchare, s'elli non fosse molto acetoso, imperciò ke 'l latte acetoso, o seres, o masal, non nocciono a questa dispositione; ma sse la febbre perdurrae, avremo mestiere di parlare di lei per più lungo sermone ke non è quello ke noi volliamo expieghare in questo libro, imperciò ke in queste cose ci è mestiere medico, il quale sia in cotali cose usitato acciò ke lla sappia reggere. E noi diremo de le cure e de' medicamenti de le febbri, quanto elli pertiene a questo nostro libro nel suo luogho, se Dio vorrae.
L. VI, cap. 2 rubr.Capitolo secondo. De la guardia de' die kaniculari e de la cura del nocimento ke di loro procede e viene in quel tempo.
L. VI, cap. 2Quando a alcuno konviene andare e kanminare nei dì kaniculari, dee manicare mezanamente de' cibi di cosa unctuosa, e quando elli li àe presi, dee guardare k'elli non bea molta acqua. E 'l capo e 'l volto kuopra kom panno sottile lino, il quale elli porti e sofferi patientemente. E s'elli aviene k'elli il molesti in alcuna maniera, si distorni il volto dal rincontramento del sole e del vento, e si torni in altra parte, s'elli puote (o in quanto e' puote) si nasconda e si distorni da lloro, e sempre gargarizi e gorgogli e temgha in boccha de l'acqua e non la mandi giuso, se non quando ella è fredda. E se il caldo elli nuoce, molto si tengha sempre il capo sotto i panni, e sempre odori olio di zucche e di mandorle dolci, e ne mandi giuso um poco. E 'l pecto e 'l ventre, dinançi k'elli cominci a andare e k'elli entri in via, de la mucillagine del psillio o del sugo de la porcellana coll'olio de le zucche si dea e, mescolati coll'albume dell'uovo, s'epithimi. E s'elli prende de' rami e de le frondi de la porcellana, sì fie grande rimedio e li gioverà, e magiormente se ne manucha de le cotte col latte molto acetoso e col bituro (overo buro) ançi k'elli manuchi. E s'elli aviene cosa k'elli non si possa trovare de lacte acetoso, sì usi il masal col bituro, imperciò ke questo cibo tollie il nocimento de' dì kaniculari e la sete. E se alcuno ançi ke elli cominci a andare e ch'elli entri in kanmino prenda grande quantità de l'olio de le çucche, sì lli si leverà il nocimento de' dì kaniculari. E di quelle cose ke magiormente lievano il loro nocimento è ke cipolle talliate nel latte acetoso si lascino stare per un die o più, de le quali elli manuchi ançi ke elli entri in camino, e quando elli l'avrae prese, sì bea di questo latte il quale, poi che ssi fie riposato, no incontanente bea l'acqua, ma sse ne lavi sempre la boccha e de la fredda mandi giuso um poco. E dipo questo, di quelle kose ke raffredano mangi quanto vorrae, dipo 'l mangiare de' quali bea de l'acqua a poco a pocho. E se alcuno userà questo cotale regimento, sì ssi difenderae e preseverae da la sete rea e mortale, se Dio vorrae.
L. VI, cap. 3 rubr.Capitolo terço. Di torre via la sete e di torre via la sua rocheçça e nocimento ke nne adiviene.
L. VI, cap. 3Ciascuno ke teme le sete in chanmino si dee guardare di non satollarsi ançi k'elli vada, ma manuchi um poco de' cibi freddi e acetosi, o de hanic e di zucchero, e molta acqua freddissima bea, e s'astenga e sofferi di mangiare cose dolci e salse e agre, e propiamente da' pesci sì ricenti, come salsi e conditi kon salmuria, e da tutte le sue spetie, imperciò k'elli fanno sete. E cangianich e generationi di lacte ke ssi condiscono e aparecchiano ko la salmuria salata o acetosa lasci stare, e propiamente cappari e olive, imperciò ke fanno la sete venire. E cipolle messe in aceto, e quelle cose ke loro assomilliano, tolgono la sete. E sì 'l conviene guardare ke non vada troppo tosto, ma soavemente e con dimorança e riposo, imperciò ke 'l tosto andare e 'l ratto muovere fae l'uhomo spesso alitare e fae grande sete. La quale cosa è pigiore ke tucte l'altre in fare venire la sete. E si dee guardare da molto parlare, imperciò che 'l molto parlare fae la sete venire e la genera. E se elli è mistiere k'elli favelli, parli e favelli kon sottomessa boce e più piano ke puote, imperciò ke 'l gridare grande caldo e gran sete suole generare e fare venire. E ancora di quelle cose che tolgono la sete lunghamente e ke ll'attutano sono: latte molto acetoso, e porcellana, e latugha, e çuccha, e cedri, e melloni non dolci, e pere molto homorose e um poco laze e non molto dolci, e pome, e melegrane, e quelle cose (overo quelli cibi) ke ssono somillianti a' fructi acetosi, e l'acetositade del cederno, e 'l sugo de l'uve acerbe, e ribes, o susine. E se alcuno manuchi queste cose ançi k'elli vada, non sofferae sete. E di quelle cose ke ssi tengono im bocca nell'ora ke l'huomo vae e ke aducono temperamento nel levare la sete sono: pere secche acetose, quando uno dipo ll'altro si prende, e tamarindi, e le granella de le melagrane acetose, e prendere assiduamente um pocho de massal, e tenere ne la boccha tanto che ssi disolva e si distrugha. E in questo non vale rechis, né ssumach, né somillianti cose a queste. E a questo avengna che poco giova um peço di cristallo tenere im boccha e sathapha o ariento puro pulito. E ancora strignere fortemente i labbri e i· neuna maniera non atrare l'aire per boccha giova, s'elli studia di fare questo più ch'elli puote. E odori alcuna cosa de le cose fredde odorifere ora dopo ora, e odori i camangiari freddi, e pongha impiastro de le cose fredde sopra il ventre, o il ventre medesimo si epithimi e impiastri delli epitimi ke ssono nominati nel capitolo de' dì kaniculari. E s'elli aviene k'elli abbia poca acqua, sì vi mescoli de l'aceto con essa, imperciò ke, pilliandone allora picola quantitade, sì spengne la sete fortemente, e manuchi quelle cose ke spengono e mitighano la sete, e lasci stare quelle cose ke la fanno venire. Trocisci, i quali spengono il calore, e mitigano le sete, e giovano più che cosa ke ssia a le febbri acute e accese, se Dio vorrae, de' quali, ançi ke elli vada, e ancora quando elli vae, alcuna cosa ne tengha im boccha, impercioe ch'elli tolgono le sete e l'ardore spengono. Recipe: de' semi mondi, scorçati de' cederni, de le çucche iguali parti; e del seme de la porcellana e del seme de le lattughe di ciascuno ana meza parte; del sugo de la riquilitia la quarta parte d'una de le parti; e tucte queste cose si pestino e col sugho de le porcellane o colla mucillagine del psillio si conficiano. De le quali cose piccoli trocisci a similitudine di lupini si ne formino, de' quali, quand'elli vae, tengha in boccha uno dipo ll'altro, il quale non mastichi, ma llascigli così stare in boccha tanto ke ssì si disfaccia a poco a poco e si disolva, e quello ke di lui si disolve si mandi giuso. E innançi k'elli vada o quando elli vorà con essi spegnere o mitighare la febbre acuta, sì bea di loro il peso di dr. .iij. col rob d'alcuno frutto acetoso, il quale noi abbiamo nominato. E se nel petto fosse alcuna asprezza, sì li bea col julep o kol sciroppo violato. E ancora questi trocisci sono optimi a l'ardore e al cocimento de l'orina. E quando alcuno in kanmino àe grande sete, non conviene k'elli incontanente si satolli de l'acqua quando elli l'avrae trovata, ma ménisene per boccha gram peza e a poco a poco ne mandi giuso, ne la quale elli metta ancora le sue extremitadi, sì come i piedi e le mani, e se ne lavi il volto; e se elli vuole, sì vi entri entro e non ne bea se non pocho, de la quale il meno ch'elli potrà, a poco a poco sughando, prenda una volta dopo ll'altra. E poi manuki de' cibi che noi nominammo e a pocho a pocho, tuctavia, crescendo più una volta che ll'altra, bea, de la quale tuctavia non si satolli. E quanto elli crederà ke la sete sia più accesa, s'elli vuole, acresca il bere tanto k'elli se ne satii. E com questo regimento da la mortale sete e dai mali accidenti ke co llei sono si potrà difendere.
L. VI, cap. 4 rubr.Capitolo quarto. Del regimento di coloro ai quali per lo tempo freddissimo per la molte neve konviene loro kanminare.
L. VI, cap. 4Sì come per lungo andamento nel tempo del grande kalore ' seccheza di corpo, e tisicheza, e dolore di capo, e febbre, e anche simillianti mali advengono, somilliantemente per l'andare e kaminare nel tempo del grande e molto freddo avenghono altre infermitadi, de le quali sono: kongelamento e aghiacciamento, e fame, e sincopi, e applopesia, e stupore, e disolutione, e lugegi, e putrefatione de l'estremitadi, e somillianti a queste. Ma queste infertadi a coloro propiamente advengono i quali a lloro sono naturalmente disposti; ma forse a coloro le complexioni de' quali repugnano e sono contradie a queste infertadi, e a coloro i cui corpi sono acostumati d'essere nei luoghi ove sono i grandi freddi, queste cotali infertadi non avengono se non rade volte e quando la cagione fosse fortissima. E noi diremo in quello somilliante cosa a quello che noi dicemmo in quello k'è passato e detto dinanci. Dunque diremo noi ke sse a alcuno conviene kanminare e andare nel tempo del grandissimo freddo, sì ssi dee riempiere prima molto bene di cibo e bere grande quantitade di vino. E quando elli avrae preso queste cose, sì ssi sofferi e attengha um poco de l'andare tanto ke 'l cibo si riscaldi, e 'l movimento k'era fatto nel corpo si mitighi e temperi. E i cibi i quali elli usi actualmente e potentialmente e, secondo la loro natura insieme, sieno caldi. E se 'l freddo fosse fortissimo e lui incontanente dopo il manicare sia mestiere di canminare, sì bea vino puro tiepido, o vino al quale tanta acqua calda è mescolata ke ssi possa fare tiepido, e 'l vino sia forte e sottile e non stiticho, né brusco, né acetoso. E cuopra il volto con uno sottile panno, e magiormente se 'l vento freddo li viene a la 'ncontra al suo volto. E da queste cose si conviene guardare magiormente quelli che ssi sente aspreza nel petto e aspritade o ke à tossa, o colui il cui polmone e 'l cui petto è debole, imperciò ke sse questo cotale trarrae a ssé l'aria fredda, perverrà tostamente a tossa o a sputare sangue. E di quelle cose che nel tempo del gran freddo si prendono dinançi ke l'huomo muova sono cibi fatti con noci, e con agli, e con cipolle, e con bituro. E all'agli e a le noci è grande propietade di molto giovare a queste cose, imperciò k'elli riscaldano tutto il corpo e acrescono in tanto il calore naturale, infino k'elli si spanda per tutto il corpo e per tucta la persona e si multiplica ne l'estremitadi, nonché nel mezo del corpo. E l'asa opera somilliantemente se una dr. con una libra di forte vino, o con ydromelle, fie presa. E 'l pepe somilliantemente, se di lui si mette molto ne' cibi e se bee co l'ydromelle, è di quello medesimo giovamento. E ancora cipolle crude, e porri, e thafea bianca, ne la quale molto si mette del taguebil, valliono a quello medesimo. E questo cotale non incontanente, poi ch'elli avrà compiuto la via de l'andamento e ch'elli fie ristato d'andare, non si dee riscaldare al fuocho, né intrare nel bagno, né dormire, ma per una ora vada intorno al luogho caldo nel quale sia fuoco da la lungha e apresso si vengha aprociando al fuocho a poco a pocho e a grado a grado, observando l'ordine. E apresso, s'elli avrà avuto grande freddo nel canmino, sì entri nel bagno, nel quale, stando lunghamente, si strupici e freghi. E s'elli aviene cosa k'elli non possa trovare bagno, ne la chasa riscaldata col fuocho così lungamente si stropicci e freghi tanto ke 'l suo corpo kominci ad arrossare, e poi dorma e si riposi in lecto morbido. E possibile cosa è che quelli che observerà e userà questo cotale regimento e vita k'elli scampi e si preservi e guardi da febbre sì che non li verrae, se a dDio piace.
L. VI, cap. 5 rubr.Capitolo quinto. Del medicamento e churamento di koloro ai quali aviene per lo freddo kongelamento nel chanmino.
L. VI, cap. 5Quello cotale al quale congelamento aviene per lo fredo, del quale non è ancora da disperare, sì li de' huomo aparecchiare luogho riscaldato al fuoco, il quale non fia sposto a' venti, nel quale, quando elli vi sarae fortemente e tosto, sì dee stropicciare kon mani molto calde; la qual cosa sì dee fare acciò ke tucto il corpo si riscaldi fuori che 'l capo, e si conviene riscaldare koi panni riscaldati. E quando tucto il corpo fie riscaldato, huomini ke abbiano i corpi caldi e lievi debbono giacere co llui, i corpi de' quali il suo corpo konviene tocchare e magiormente il ventre, e 'l corpo, e 'l dosso e 'l petto al quale poscia um poco d'asa e di mirra e di pepe kon forte vino e acqua si dee dare. E poi ke 'l suo alito fia um poco ritornato, sì si nodrischa ko la chaphea biancha e nolli si dea vino in grande quantitade, e li si aparecchi morbido letto, nel quale si cuopra kon molti panni, e li si comandi k'elli dorma lungamente. E poi ch'elli fia isvelliato e comincerà a melliorare, sì entri nel bagno caldo nel quale elli faccia lungho dimoro e molto vi si stropicci e freghi, e si ungha con olio di lillio o di narcisco, o con olio ove kastoro, o kosto, o euforbio, e moscado sieno mescolata.
L. VI, cap. 6 rubr.Capitolo sexto. De sincopi, cioè tramortimento k'aviene per la fame e sua cura.
L. VI, cap. 6Alcuna volta a coloro ke vanno per kammino nel tempo del grande freddo aviene fame molto grande, e poi no stanno tanto ke quella fame si tolgha e sopraviene loro tramortiscimento e forte estasis, cioè ke stanno kolli occhi aperti e non possono parlare, e forse ke sse ne muoiono. Onde quando questa fame aviene e comincia a venire, tosto e subitamente si debbono cibare kol pane molle in forte vino, e dêlisi dare il brodetto de le athafee untuose, acciò k'elli ne sughi e bea; e dee huomo dare loro bere vino forte, nel quale sia posto um poko di pepe. E s'elli non sono gueriti, se la sincope nolli assalisce innançi, sì ssi debbono inaffiare coll'acqua rosa, e si dee soffiare nel naso loro moscado e kalamo aromaticho, e le labbra e i grinoni si debbono ugnere colla gallia, e la boccha de lo stomacho e l'estremità tanto lungamente si debbono stropicciare che comincino ad arrossare. E apresso l'extremitadi si debbono sì legare co le legature e sì strignere k'elle dolliano. E poi ch'elli fia scampato da la predetta sincopi e tramortiscimento, sì ssi debbono reggere sì come noi dicemo dinançi. E s'elli non sono scampati, vino e acqua di carne li si debbono gittare in gola, e si debbono stropicciare lunghamente ko le mani e inaffiare coll'acqua rosa, e si debbono isvelliare o gridando o tocandolli co le mani. E s'elli avranno avuto estassim, per questo line difendi da quello quanto più si puote fare, e leghisi le mani e i piedi che dolliano, e dà loro a ssughare una volta dipo ll'altra, e muovilli e grida sopra lloro, e ancora vino caldo di pepe, cioè com pepe, si dee loro dare a bbere. E ancora loro de sagazene um pocho o del latovario fatto de l'asa si dee dare. E ancora sança questo li porai presso al fuoco e ugnerai i loro corpi di cost, o con olio d'euforbio.
L. VI, cap. 7 rubr.Capitolo septimo. De la guardia de l'estremitadi, cioè de le mani e de' piedi, e come tosto si socorra a colui o a quella parte ke già si comincia a corrompere, e de la sua cura e medichamento di quello ke già è korrotto.
L. VI, cap. 7E ancora le dita de' piedi primieramente co le mani sança niuno licore, cioè sança acqua o sança vino o olio o altra cosa, si debbono stropiciare fortemente e poi, con olio vecchio, ungnendoli, si dee fare freghamento e strupiciamento, e poi si debbono coprire coi panni, e intra lloro e sotto loro e sopra loro ponendo i panni, e sopra tucto il pecto e sopra llui mettendo lana molle, e poi si debbono calçare con calze morbide e sottili. S'elli si calça di sopra ' kalçari, sì ssi conviene molto guardare ke i calçari non s'inmollino e k'elli non inumidiscano per alcuna cosa ke lloro avengha. E di quelle cose de le quali l'estremitadi fregate o strupiciate el nocimento ke viene per kagione del freddo mandano via sono olii caldi sì come olio di sambuco, e arazachi, e olio di benet e debel, e del lillio, e d'alloro. E alkitran opera più fortemente in queste cose ke non fa alcuna de le sopradette cose, imperciò k'elli non lascia solamente conrompere l'estremitadi al freddo, ma ancora quello ke ssi cominciò a corrompere guarda ke non si putrefaccia e infracidi. E 'l caminatore e 'l viatore si dee ancora guardare ke non si acostumi di patire sete e freddo di che l'estremitadi si guastino, imperciò ke forse per questo si corromperebbero. E di questo è sengno ke 'l freddo ke lli noccia si ssente già alleviare, avengna ke la loro copertura non sia mutata né cresciuta, né ke dall'aria il freddo sia partito o mosso, imperciò ke questo allotta non viene se nnom per menomamento del senno e del sentimento; ma certo elli conviene, quando il freddo comincia a nuocere ke la copertura de' piedi incontinente si muti, e ke i· lloro si faccia molto fregamento e stropiciamento, e che poscia si cuoprano e, andando, si muovano, imperciò ke niuna cosa è pigiore a rechare tosto nocimento del freddo k'essere i piedi penzolati. E s'egli aviene kosa ch'elli apostemino e ke il loro sentimento menomi, ancora si potrannno guerire s'elli non diventano verdi o neri, s'elli si metano ne l'acqua ne la quale pallia e frumento sia cotta (o ne la quale rape o cavoli avranno bolliti, o aneto kon chamomilla, o sticados arabico, o sisembro, o maiorana, o meliloto, o seme di fieno greco, o seme di lino, o ciascuno per sé o tucti insieme), e se con alcuno delli oli ke noi nominammo presso al fuocho spesse volte fieno stropicciati. Ma ss'elli si fanno verdi o neri, conviene ke incontanente huomo li scalpi, cioè li vengha pugnendo ad poco a pocho, non troppo adentro, ko la saetuça o altro feruço, e sì profondamente ke ssi pervengha e si tocchi infino a la carne, e tanto se ne lasci uscire del sangue ke per sé stesso si ristringha. E in questo mezo elli steano ne l'acqua calda, la qual cosa perciò si fae acciò ke ne la boccha de le vene o ne le fedite il sangue si congeli e non ne possa uscire. E poi ke 'l sangue fie ristretto e 'l suo fluxo e 'l suo uscire fie menomato, epitima di bolo armenicho, dissoluto in acqua, e um poco d'aceto vi si dee porre suso e vi si dee lasciare stare per un die o per una notte, e poi si dee lavare di vino tiepido, overo d'acqua. E dipo questo si dee epitimare due volte o tre, e a la perfine tanto lunghamente si dee usare del predetto epithimare, tanto ke tu veghe ke i luoghi ke erano annerati sono già fatti duri. E s'elli aviene cosa ke dinançi a lo scarpellamento si sia pervenuto a questo che la dureza del luogho si sia disfacta, e redda reo odore, e se ssia tornata in putredine e im puçça, già lo scarpellamento allotta i· neuna maniera nom compierà, imperciò k'elli è mestiere ke cagia tucto quello k'è in quelle parti e in quelle luoghora. Per la quale cosa vi si dee dare aiuto acciò k'elle kagiano, la qual cosa si conviene tosto fare, acciò ke la corruptione non pervengha infino a la sana karne ke è vicina a quel luogho. E molti medici meno sono savi ke llievano la cotenna e la bucia da quelle luoghora, e quello ke v'è fracido lievano via col ferro, avengha ke non vi si truovi grande concavità, ma sia il luogho sottile. Per la quale cosa molte volte i nerbi e le corde, molto timorose e d'averne paura, operando in questa maniera tragghono fuori e distendono e talliano, onde fanno ingenerare ree infertadi. Imperciò ke la carne putrida e fracida kol ferro dal membro non si dee levare, ançi empiastro de le foglie de le bietole o di cavoli cotti e mescolati com caldo biturio, e confetti in modo di pane, si conviene fare e vi si dee porre suso caldo, il quale si dee mutare il die molte volte. E poi ke quello k'è putrido e fracido ne fia caduto, e nereza o verdeza in niuna maniera vi fia dimorata, sì dee huomo considerare e pensare se la corrutione e la putrefacione sia entrata ne l'osso o no. E s'elli aviene cosa k'ella non vi sia entrata, sì ssi dee il luogo medicare kon quelle cose che ànno a creare e a generare la charne. E s'ella è intrata ne l'osso, allotta fie mestiere ke ssi rada inançi inançi l'osso e levarne alcuna parte di lui, o levare via tutto l'osso de la sua giuntura. E questo sermone trapassa la 'ntentione del nostro tractato, imperciò ke trapassa quello ke puote fare colui ke non è povero di questa arte medicante, il sapiente pietoso.
L. VI, cap. 8 rubr.Capitolo ottavo. De la cagione quando l'occhio si congela per la troppa grande biancheçça de la neve ke nom puote vedere. Rubrica.
L. VI, cap. 8Colui ke à paura ke questa infertade non vengha ai suoi occhi sì ssi vesta di neri panni, e cuopra il capo con uno panno nero, e pongha panno nero sopra i suoi occhi. La quale cosa perciò si dee fare acciò ke li ochi quello kotale panno sempre riguardino, o elli tengha in mano panno nero, il quale spesse volte riguardino. E li huomini che vanno intorno lui sieno vestiti di neri vestimenti. E di quelle cose che in questo giovano più che altra cosa è di leghare sopra lli ochi una cosa, la quale i Parti, cioè le genti di quello paese, acostumarono di portare ne' suoi viaggi, la quale si tesse di peli neri, i quali si divellino e si tragono de le code delli animali.
L. VI, cap. 9 rubr.Capitolo .viiij. De l'ardore e del dolore ke aviene all'occhio nel chanmino per kagione del grande freddo o di grande vento. Rubrica.
L. VI, cap. 9Quando in questa dispositione all'occhio aviene cocimento, e dolore de la fronte, e malagevoleza di movimento de le palpebre (cioè quelle carne e buccie ove i nipitelli sono apiccati) e grasseza di loro, e perciò forse l'occhio si fae rosso, e forse obtalma (cioè apostema dell'occhio) forte e rea se ne smuove e viene. Per la quale cosa da queste cose si conviene molto guardare ke ll'occhio sia coperto quanto più è possibile, e intorno a lui panno sottile si dee avolgere in tal maniera ke non sia fior discoperto, se non quello cotanto k'è molto necessario. E rimuova e lieva il volto il più ch'elli puote da l'opponimento del vento. E ancora s'elli leghi alcuna cosa sopra li occhi, ne la quale dinanzi a la pupilla e luce sia un grande foro, sì ne sentirà e avrà grande rimedio e giovamento, e s'egli è sì grande k'elli invironi e acerchi tucto il volto, sì fie mellio e di magiore utilitade. E ancora bere vino tollie e lieva questo male sempre. E fare susorno e vapore alli occhi in ogne hora in questa disposicione sarà grande ardore. E quando l'occhio si riscalda per imbrochamento, cioè per gittare sopra lui acqua o vino o altra cosa, sarà più grande impedimento del freddo. E se all'occhio aviene alcuna volta quello che noi abbiamo detto, giova ke 'l vapore e 'l susorno de l'acqua calda, ne la quale acqua la pallia del grano fie bollita, riceva nel volto; o 'l volto sopra 'l vapore e susorno ove sia cotta la maiorana o l'aneto o la chamomilla di ciascuno per sé o ddi tucti insieme ponga. E di queste cose ke a le predette cose valliono è ke pietre si roventino tanto al fuocho ke diventino rosse e poi si spruççi vino sopra quelle cotali pietre così roventi, sopra 'l cui vapore il volto si dee tenere. E ancora starnutire fae rimedio e giovamento a cciò. E s'elli aviene cosa che ll'occhio arossi, sì ssi dee torre sangue incontanente de la vena cefalica, cioè de la testa, e dipo questo il seguente dì entri nel bagno; al quale se dee dare a manicare alcuna cosa e gli si dee dare a bere vino forte e puro. E quando avrae preso queste cose, sì dee dormire lunghamente. E s'elli aviene cosa ke alcuna cosa sia rimasa, allotta faccia un'altra volta quello imbrocamento più e più compiutamente ke non avea facto dinançi, e usi l'altro reggimento dinançi più che non avea facto fuor ke lo scemare sangue, e pigli cosa ke facia fortemente uscire di sotto.
L. VI, cap. 10 rubr.Capitolo .x. D'insegnare guerire coloro ke ssono indeboliti nel chammino.
L. VI, cap. 10Ongne huomo a cui aviene grande labore e grande faticamento, quand'elli verrae a rriposo, si quescha e si riposi per una ora tanto k'elli entri nel bagno. La qual cosa elli faccia, cioè k'elli stea tanto nel bagno ke la sua carne diventi morbida e rossa. Il cui corpo, dipo queste cose, si strupicci e freghi morbidamente e lievemente, e le giunture co le dita grosse, quasi comprimendo e pontando e calcando giù, si palpino. E poi se elli è verno, sì è da ungnere koll'olio nel quale aneto fue cotto o kamomilla, e magiormente le sue giunture. E s'elli è state, con olio violato si faccia quel medesimo, e poscia si riposi e dorma lunghamente, e abbia il lecto più molle che non suole, e si cuopra più de' panni che non suole. E quand'elli fia isvelliato, sì ssi stropicci e faccia stropiciare ancora, kome dinançi e all'uso del bagno e de l'ugnere, e apresso regha al suo usaggio.
L. VI, cap. 11 rubr.Capitolo .xj. Come si dee disporre il corpo ki vuole kaminare, e del reggimento del cibo nel chammino.
L. VI, cap. 11Colui ke vuole andare grande viagio e lungo, dinançi k'elli entri in canmino, sì ssi dee scemare sangue e prendere medicina da ffare uscire e magiormente s'elli è gran tempo k'elli non fece né ll'uno né ll'altro, cioè ke non si scemò sangue e che non prese medicina. E colui che vuole chanminare ançi ke 'l corpo sia mundificato e purgato e netto, appena potrà scampare k'elli non kaggia in febbre. E s'elli aviene cosa k'elli ne scampi alcuna volta, imperciò ke 'l suo corpo è disuluto e la sua cotenna e buccia è rada, sì non scamperà elli ke non abbia apostemi, e bolle, e papici, e katarro. E lli conviene studiare ke la sua costuma muti in quella costuma ke lli conviene usare nel cibo e nel dormire e nel movimento. E s'elli aviene cosa k'elli konvengha usare il veghiare nel cammino, sì ssi dee isforçare d'usare di veghiare ançi ke kominci il viagio, e somilliantemente l'ora del manicare dee mutare all'ora ne la quale elli saprà k'elli si possa riposare nel cammino. Et exercitio e movimento debbono usare più ke non ànno acostumato e dêsi isforçare k'elli sia sanza uso di bangno. E quando elli comincerà ' andare, de le medicine k'elli era acostumato d'usare porti seco, e l'uso del cibo k'elli avea ne la sua vita o ne la sua terra lasci, o non manuchi in neuna maniera di quelle cose k'elli era acostumato di mangiare, il quale usi cibi di grande e di molto nodrimento e di piccola quantitade, e non manuchi ançi k'elli sia albergato e ch'elli sia riposato. E s'elli àe grande mistiere di manicare, avengna k'elli pigli um poco, non tucto, il cibo ke lli è mestiere; né tucto il bere, se non quando elli sia riposato, presumma di prendere; e ' kamangiari e i frutti magiormente in niuna maniera prenda, imperciò ke queste queste cose riempiono il corpo sança grande nodrimento e generano nel corpo homori crudi e grossi e rei. E se nel tempo caldo elli n'àe mestiere, sì ne mangi, sì come noi abbiamo già ordinato. E s'elli è mestiere k'elli vada di notte, sì non dee cenare, ma llasci stare e aspetti il suo intero manichare infino al tempo nel quale elli saprà ke elli si possa riposare lungamente. E dal fastidio e da movimento pieno il ventre del tucto in tucto si dee sofferire e abstenere, imperciò ke queste cose generano apostemi et exiture, e conviene usare bagno.
L. VI, cap. 12 rubr.Capitolo .xij. Da potere levare via il nocimento che puote avenire de le diversitadi de l'acque.
L. VI, cap. 12Di quelle cose ke tolgono e mandano via i nocimenti ke avengono de le diversitadi de l'acque sì è k'elle non si beano sempici, ma l'acqua di ciascuna magione si temperi koll'acqua de la precedente magione, cioè de la magione ke andò dinançi, mescolandola con essa. E a questo vale bere l'acque mescholate col vino e coll'aceto, le quali elli porti seco. E lo 'mpedimento de le diversitadi de l'acque tolle manichare cipolle, agli o latughe coll'aceto. E ancora al viandante giova portare seco de la terra de la sua terra, de la quale, quando elli fia riposato, elli pilgli um pocho e coll'acqua mescoli, la quale elli lasci così stare tanto ke 'l fangho sia disoluto e disceso al fondo, e che ll'acqua sia rischiarata, e di quella cotale acqua bea poi. E le ree acque, ne le quali si cognoscano manifestamente le qualitadi, si debbono temperare sì come noi diremo. L'acqua grossa e torbida si dee rischiarare mutandola spesso e molte volte d'uno vasello in un altro. La quale cosa se non si puote fare, per lo colatoio ke ssi fae de la farina molle de le tortelle coperto si coli. E di quelle cose ke ll'acqua colano è k'ella si bolla inançi inançi e poi si raffreddi e cholisi. E di quelle cose ke la colano è ke vi si gitti entro um poco d'allume giameno trito, imperò ke questo la rischiara molto tosto. E se ll'acqua è salsa, sì ssi dee bere coll'aceto e sirokaratte mabatie, cioè di quello paese, vi si debbono mettere dentro o seme di mortine o sorbe o fangho karasen di quello paese; o quelli che la vogliono usare si manuchino le mele cotogne, imperciò ke le mele cotogne lievano il nocimento da l'acqua salsa. E se ll'acqua sarae molto spessa e convengha ke 'l viandante l'usi, sì la metta in una pentola di vetro netta, e in vasello di pietra legnie per traverso pongha; sopr'esse, sopra le quali legne, velli di lana, o llana karminata netta, pongha. Le quali cose così fatte, acenda il fuoco sotto la pentola, e quello ke in quella lana si racollie, spremendo, si colgha e pigli, e si bea quello ke nn'uscirà. E l'aceto riprieme e atuta il sapore de l'acqua salsa, e lo sciroppo acetoso è utile a ccioe. E se ll'acqua è stante ke abbia mescolata seco putrefatione, sì ssi mescoli col rob de' fructi acetosi, sì com'è rob ke ssi fa del sugho de l'uve acerbe e de le melegrane e de le mele. E quando elli bee quella cotale acqua, sì lasci stare tucti i cibi caldi e vino nom bea in neuna maniera, s'elli non fosse cauba, imperciò ke questa cotale acqua stante, ke non si muove, è quello ke più tosto puote generare febbri ke niuna altra cosa. E se ne l'acqua fosse amareza, sì le si mescoli julep quando huomo la bee, overo çucchero, e manuchi cose dolci. E se ll'acqua facesse uscire, manuchi di quelle cose ke stringono il corpo, e per contrario, se ll'acqua strignerae il corpo, sì manuchi quelle cose ke ffano uscire. E se nell'acqua fossero cose minute o erbe ne le quali è acuitade e malitia, sì manuchi sempre cibi untuosi e sia studioso e solicito di colarla, e acqua non bea se non per alifen, cioè per quello strumento, e magiormente se vi sono entro mignatte, overo sanguisciughe. E se per kagione de l'acqua l'orina si ristrigne, vino che abbia acqua mescolata, ne la quale sia cotto il seme del finocchio e de l'appio, sarà da bere. E se ll'acqua farà fastidio, sì ssi dovrà bere col rob de le melegrane. E acciò k'io comprenda brievemente, sì ssi converrae considerare ke lli aviene e allotta si converrae reggere col suo contradio.
L. VI, cap. 13 rubr.Capitolo .xiij. Del regimento de le magioni di coloro i quali sono ne le chastella.
L. VI, cap. 13Quelli che ssono ne le castella, se elli è di state, debbono stare nelli alti luoghi e suso i colli. E lli usci de le tende si debbono tornare verso la tramontana, et entra ll'una tenda e l'altra si dee lasciare grande spatio, e le bestie s'allunghino quanto si puote più. E nel verno sia il loro regimento contrario a questo, cioè ke stieno ne' luoghi profondi, e vadano a le radici de' monti e de' colli, e tornino li usci de le tende a mezodie e a oriente, e le tende si tocchino insieme. E se ll'aria è kalda e humida, sì ssi menomi la dieta, ma l'exercitio venga a incremento, cioè sia più che non suole. E se l'aria fia seccha, sì ssi faccia il contrario. E s'elli aviene cosa ke molti huomini sieno infermi, sì stieno separati lungi da le castella, in tale maniera ke elli non steano di sopra al vento, ançi stieno di sotto. E se ne le luogora de le castella fossero rei rettili, cioè serpi, o altri animali velenosi, sì ssene converrano cacciare e gittare fuori quanto più fie possibile, e poi si converano fare medicamenti ke lli caccino via da quelli luoghi e che lli uccidano, i quali noi diremo. E se erbe o arberi rei vi fieno, de' quali vengono odori nocivi e acuti, si debbono ardere o da la loro parte si converà sedere sopra 'l vento. E ancora il cibo o la chagione per la quale elli infermano in molte castella si dee bene considerare e fare quelli rimedi k'elli possono essere contradii, o lasciarle stare del tutto in tutto.
L. VI, cap. 14 rubr.Capitolo .xiiij. Del reggimento di coloro ke volliono navichare per mare.
L. VI, cap. 14Conviene a colui ke vuole andare per mare ke elli porti seco rob de' fructi e de le medicine k'elli acostumoe d'usare, ma tuttavia, inançi ke elli entri in mare per aliquanti dì, dee menomare il manichare k'elli àe acostumato d'usare, nel quale tempo usi cibo ke ssia di quelli che comfortano lo stomacho. E quello die k'elli entra primieramente in mare non riguardi l'acqua, ma cominci a odorare e a manichare a poco a poko quelle cose ke atutano la nauscha, cioè la vollia del rigitare, le quali noi nomineremo nel suo luogho. Le quali cose kosì facte, come è detto, s'elli aviene cosa ke la vollia del reddere avengha, sì ssi dee lasciare reddere alquante volte, imperciò ke questo nolli nocerà, ma ss'elli aviene kosa che 'l vomito si moltiplichi, cioè ke pure crescha, si bea del rob de' fructi quasi succiando e lappando, e li si dea summach e granella di melegrane, e simillianti cose li si deano. E s'elli aviene cosa ke 'l reddere pur crescha più ke mestiere no è e l'assalgha gravemente, sì ssi medicha co le medicine de la 'mfertà collericha.
L. VI, cap. 15 rubr.Capitolo .xv. Di quelle cose che non lasciano generare pidocchi e che lli uccidono.
L. VI, cap. 15Alchuna volta per cagione del mutamento de l'acqua, e per molta fatica e ordura, e per poco bagnare, e per pocho mutare i panni lini, aviene ke 'l corpo e i panni s'empiono di pidocchi. E queste cose, cioè poco bagnare e poco mutare i panni, sono kose ke avengono di necessitade al viandante. E di quelle cose ke questo kontradiano è k'elli studi nell'uso del bagno e del lavare, e ch'elli muti i panni il più k'elli puote, e propiamente ke 'l panno k'è presso a la carne sia lino, imperciò ke tardi si riempie di pidocchi. E di quelle cose ke lli uccidono è l'ariento vivo spento, quando elli si mescola coll'olio e ch'elli se ne ungne un cintolino fatto di fila di lana, il quale alcuno appende o porta sopra ssé o ke ssi cinge, o le foglie de l'açederach, o de l'oleandro, si mettano nell'olio del quale lo 'mfermo se n'ungha, o ciasche .x. dì co l'arsenicho rosso e ko la staphisagria, e condisi, e baurach coll'aceto s'epithimi. La qual cosa, poi che fia così lasciata stare per una hora, sì ssi lavi coll'acqua calda. E ancora i panni se epithimino kol kondisi, e lupini, e baurach, e aceto, o elli s'affumikino con lupini o kol çaudarach o ko l'arbaratath; o lo 'nfermo coll'olio, nel quale la terra de l'ariento vivo sia messa o ne la quale il condisi sia messo, si dee ungnere.
L. VI, cap. 16 rubr.Capitolo .xvj. Di quelle chose che non lasciano mutare colore al sole né al vento.
L. VI, cap. 16Le cose ke non lasciano mutare il colore del loro numero sì è fare ombra e coprire il volto kom panno. La quale cosa se ffare non si puote, dragaganti, e amido, e gumo arabico, e mucillagine di pisillio e de seme di mele cotogne si prendano e si mescolino coll'albume dell'uovo, o col sugho de la porcellana, e se n'epithimi il volto nel viagio, e quando elli fie riposato, sì ssi lavi. E se questo si fae, o di ciascuno per sé o di tutti insieme sì varrano a questo. E a questo ancora giova infondere tortelle nell'acqua, tanto ch'elle si disolvano, de le quali il volto s'epithimi, e s'epithimi coll'albume dell'uovo e koi draghanti. E s'elli aviene cosa ke il colore del volto sia mutato, sì giova ch'elli s'epithimi la notte kol ceroto che ssi fae de la cera e dell'olio ke stanno al sole per tutti i die kaniculari, e col grasso de la gallina, e co la farina del cece. E s'elli aviene cosa ke 'l mutamento del colore del volto sia molto, sì ssi converà medicare koi sinapismi ke noi nominammo nel trattato de la decoratione, cioè di fare bello.
L. VI, cap. 17 rubr.Capitolo .xvij. Di quelle cose ke non lasciano fare le fessure nel calcangno.
L. VI, cap. 17Le fessure nel calcagno e nell'altre parti de' piedi di sotto si contradiano di fare se 'l piede si tenga ne l'acqua molto calda tanto ke ranmollischa. E poi k'elli fia tracto de l'acqua, dragaganti triti sottilmente vi si polverizino suso e poscia si freghi e stropicci fortemente, imperciò ke le calcagna non si lasciano fendere s'elli sono epithimati kolla pece liquida, o panno intinto ne l'olio si pongha sopra 'l piede e sempre sia calçato, e si guardi da la polvere. E ancora molto giova s'elli si prende il sevo de la capra e si distruga, al quale um poco di galle trite sottilmente vi si polverizino suso, il quale poscia tanto quanto è liquido e molle si ponga. Ne l'antiche fessure e a le ree fenditure ke passano infino a la carne giova ke del merdasengi trito dr. .v. si prendano, le quali, mescolate con .xx. dr. d'olio, si cuocano in uno ramaiuolo di ferro e si muovano allotta spesso spesso tanto k'elli si faccia alkitran, al quale, poi k'elli fie cotale, il peso di dr. .iij. di galbano ke ssi kiama borset vi s'agiunga e tanto si cuoca ke diventi spesso. E quando fia raffreddato, sì diventerà sì come pece liquida, del quale caldo e liquido sopra le fenditure si digocioli, kadendo a poco a pocho. E questo giova a l'antike fenditure ke passano infino a la carne, cioè ke sandarach e olio de' semi del lino si prenda e mescolate si cuocano tanto ke diventino spesse e vi si gettino suso a gociola a gociola, o elli si prenda grasso di pecora, al quale s'agiungha um pocho di galbano e poscia si cuocha um pocho tanto ke diventi spesso e poscia s'aministri. E conviene, ançi ke le fenditure comincino a guerire, si mettano ne l'acqua calda tanto ch'elle ramollischano e si nettino, e poscia si forbano e s'asciughino, e poi si gueriscano ko le medicine, e poi dipo 'l medicamento il piede si calçi.
L. VI, cap. 18 rubr.Capitolo .xviij. De lo scorticamento che aviene in chanmino per lo cavalcare o per istretto kalçamento.
L. VI, cap. 18Quando alcuna parte del corpo per essere portato, o per altra chagione, si scorticherà, sì ssi richiede incontanente, poi che ffie riposato, tanto s'arrosi e inaffi kon molta acqua fredda tanto ke 'l dolore si mithighi. La quale cosa, così fatta, sì ssi discuopra il luogho e si ventoli; la quale cosa, se non si puote fare, panni lini mollati ne l'acqua rosata raffreddata vi si pongano suso, e poi, quando il luogho si comincerà a intiepidire, sì vi si pongano suso panni mollati un'altra volta. E poi quello ke vi era di caldeza e d'acuitade fie riposato e passato via, sì si faccia epitima kon litargiro trito mescolato coll'acqua rosa. E s'elli aviene cosa che l'arsura e 'l dolore vi sieno ancora rimasi, sì ssi guerischano ko l'unguento de la cerusa. E le vesciche ke ssi fanno per la streteza de' calçari, primieramente si debbono fendere e poi inaffiare coll'acqua rosa, e poi s'eppithimino col litio e coll'akacia, o kol bolo armenicho, o co le galle strupiciate coll'acqua, o balaustie bene trite vi si pongano suso.
L. VI, cap. 19 rubr.Capitolo .xviiij. Del cadimento e de le percosse ke avenghono nel chapo o in alchuna altra parte del corpo.
L. VI, cap. 19Se per cagione di caduta del dosso d'alcuno animale al capo, o altra parte del corpo, fie venuta percossa, optima cosa è ke a lo 'mfermo si scemi sangue incontanente da la parte contradia. E s'attengha da la carne e magiormente dal vino, e 'l luogho s'epithimi (o ve si pongha empiastro) de le cose da confortare. E se elli aviene cosa che per cagione di caduta sia lesione e male, sì lli si scemi sangue de la vena del capo. E dipo la flebotomia aceto mescolato con olio rosato, il quale sia tre cotanti ke l'aceto, vi si pongha suso, e panno bagnato ne l'acqua rosa vi si pongha suso. E lo 'mfermo dee bere la mattina e la sera aqua d'orço, il quale per tre die nom prenda neuna altra cosa tanto che ssia a ssicuro ke appostema caldo non nascha ne la parte del cerebro. E segno ke queste cotali luoghora e 'l celebro sono sane è ke lo 'ntelletto non si turba, il quale s'elli aviene cosa ke dipo la chaduta elli si turbi, si conviene ke ssi faccia maggior traimento di sangue e che 'l capo con acqua rosa e con olio rosato con aceto di vino si mollino. E dipo queste cose si mescolino a le foglie de le mortine e a le balaustie, e a le scorçe de le melegrane, e a l'aceto kotte, tanto ke ssi disolvino um poco di moscado e di galla, e di xillaloes, cioè di legno aloe, e calamo aromaticho, de' quali tucte queste cose, e con aceto di vino brusco vecchio iuncte, si facia quasi uno empiastro conficiendo, e si ponga lo 'mpiastro in sul capo. E 'l ventre si muova kol sugho de' frutti o kon lieve cristeo e le sue stremitadi si strupiccino. E ancora di quelle cose ke molto giovano al cerebro k'è conmosso è ke lo 'mfermo manuchi le cervella de la gallina, de' quali elli si dea primieramente dipo 'l quarto dì quanto prendere potrae, o elli usi solamente a bere acqua d'orço, a la quale elli sia mescolato um poco di sugho di melegrane muze. E questo è il mellio ke noi vogliamo qui. E 'l magagnamento ke aviene per caduta, e s'ella è nel petto o in quelle parti, sì ssi converrà scemare sangue de la vena del fegato e 'l suo regimento e la sua vita si converrà sottilliare. E s'elli aviene cosa k'elli getti sangue per sputo col reddere o kon urina o di sotto ne l'uscire, sì li si dea a bere alcuna de le medicine ke noi nomineremo. E se queste cose perseverassero lungamente, la perfectione del loro medicamento si dee prendere da le luogora ove noi nomineremo queste infertadi. E segno, s'elli è forte magagna per la caduta del capo, è turbamento d'intelletto. E questo sarà misura di forte magagnamento nel capo. O di picola magagna, o di picola lesione o del pecto o del ventre per caduta, e misura d'angoscia e di streteza di attrare l'aiere è segno de l'uscimento del sangue. Medicamento il quale si dae a bere a colui al quale fia advenuta caduta o forte percossa. Recipe: ribarbaro, robbia, laccha monda, e de bolo armenicho, o di terra sugillata, di tucti ana parte meza. E la dese, cioè la quantità di questa medicina, sia due dr. infino a .iiij. koll'acqua ne la quale il cece fie messo a molle. E a costui si dea a manicare ames, e riso, e lenti, e cece. Medicamento a forte kaduta e a grande sputo di sangue: mummia, e bolo armenicho, o terra sugellata com picola quantità di vino brusco si dea a bere. Epithima a percossa e al levamento di carne. Recipe: mugath, mes excorticati parti iguali, bolo armenich parte meza, acacia, alloes ana la quarta parte d'una de le parti. E tucte queste cose s'inaffino coll'acqua de le mortine, de le quali il luogo debole si conviene epithimare. L'altra epithima a caduta, quando con essa fia febbre e apostema caldo. Recipe: rose, lenti scorticate, bolo armenico, sief, memithe, sandali, fauvel, e di tucte queste cose insieme coll'acqua rosa si faccia epithima. Medicamento il quale li si dae a bere. Recipe: carabe, bolo armenico, balaustie, sangue di dragone, laccha parti iguali, di tucte queste cose dr. .iij. si dieno a bere ko una oncia d'acqua, ne la quale summac fia stato a molle, e oppio ricente la sexta parte d'una dr., imperciò ke questo incontanente ristrigne il sangue (dal quale molto sangue esce per cagione di percossa o di caduta). E lo 'mfermo manuchi le cose laçe. Medicamento a llieve movimento di carne e deboleza, il quale conforta e mitigha il dolore. Il luogo s'ungha coll'olio rosato al quale la polvere de le mortine di sopra si spanda e leghisi meçanamente. E vestigi verdi, cioè il lividore che rimane dopo la percossa o dopo la caduta, sì ssi gueriscono e medicano ko le medicine ke ssono nel tractato ke noi nominamo tractato di dicoracione, cioè di belleza. E qui si termina e finisce il sexto libro, overo il sexto trattato, kolla misericordia di dDio, a dDio remdiamo gratie. Qui finisce il sexto tractato del regimento di coloro ke fanno viaggio per terra o per mare e comincia il septimo libro dell'arte de la cirurgia, de la ricordança de l'agregationi, de l'arte alchebra o algebra, e de le fedite e de le loro somme.
L. VII, Index rubr.Qui cominciano i chapitoli del septimo libro. De l'agregationi e somme dell'arte di cirugia.
L. VII, IndexCapitolo primo. De l'agregationi e somme dell'arte de la cirugia e de le fedite e delli apostemi. Capitolo secondo. Di ramollare le dureçe ke rimanghono nei membri dipo lloro raconciamento. Capitolo terço. De le colletioni e dell'agregationi del guerimento de le fedite e delli apostemi, o agregationi e somme de l'essiture de le fedite. Capitolo quarto. De' medicamenti e medicine ke generano e ristorano la charne. Capitolo .v. De' medikamenti ke menomano la charne superflua. Capitolo .vj. Di quelle cose ke saldano l'ulceragioni e generano karne nelli ulceri ke ànno molte humiditadi e lievano via la loro humidità superflua. Capitolo .vij. Di quelle cose ke rompono l'esciture in tale maniera ke non è mestieri ke huomo le fori con ferro. Capitolo .viij. De le scruofole e gavine. Capitolo .ix. Del cancro e sua cura. Capitolo .x. De' carbuncoli e sua cura. Capitolo .xj. De l'apostema kaldo e sua cura. Capitolo .xij. De l'apostema molle e sua cura. Capitolo .xiij. De l'apostema duro e sua cura. Capitolo .xiiij. De le grandi ghiandole. Capitolo .xv. De' nodi ghiandolosi. Capitolo .xvj. De formicha. Capitolo .xvij. Del fuoco di Persia. Capitolo .xviij. De l'arustiscimento e adustione del fuocho o dell'acqua o de l'olio. Capitolo .xviiij. De' patereccii ke ssi fanno presso all'unghie e sua cura. Capitolo .xx. Del fluxo del sangue. Capitolo .xxj. De la flebotomia, cioè de lo scemare del sangue de la vena. Capitolo .xxij. De le ventose, overo koppete. Capitolo .xxiij. De le sanguisciughe, cioè mignatte e a ch'elle sono buone. Capitolo .xxiiij. De la vena civile. Capitolo .xxv. Di trare le saette. Capitolo .xxvj. De le percosse ke ssi fanno nel capo. Capitolo .xxvij. De' falsi e frodolenti medici inghanatori e de' loro inghanni e frodi.
[L. VII, Incipit]Qui comincia lo septimo libro.
L. VII, cap. 1 rubr.Capitolo primo. De l'agregationi e somme de l'arte de la cirugia e de le fedite e delli appostemi.
L. VII, cap. 1I più di coloro ke fanno questa arte e sono kiamati ristoratori, cioè medici di raconciare l'ossa rotte e dissconce, nolla fanno bene,saviamente né sotto certa radice a la quale si ritorni, ançi la maggior parte di loro operano kasualmente, a aventura, e sì com'elli apparano da un altro. E rade volte troverai alcuno di loro ke abbia letti i libri di questa arte o ke ll'abbia apparata da maestro ke ssappia lettera; ançi coloro ke più la fanno sono ydiote e foresi di villa, e matti e stolti. E imperciò, per kagione de la loro matteza, pessime infertadi si generano nelli huomini. Ma nnoi le somme e le agreghationi di questa arte in tal maniera raporteremo e racconteremo, le quali quando alcuno sarae astuto e ingengnoso medico potrà, secondo questa arte, ciò ch'elli vorrae optimamente operare. E primieramente del regimento de la dieta, e poi de lo stendimento e rettificamento, e de le legature, e de le rotture e speççature ke rompono, ne le quali le suptili parti de l'ossa e acute e sottili e ancora i piccolini peççuoli divisi si veggono, e a la perfine tratteremo de la dislocatione. E lli huomini stolti e matti comandano ke qualunque avrae rompitura, o dislocatione, o contusione e schiacciamento di carne, k'elli si notrichi kon alluchisat e ashiht e co la carne arostita ne lo spedone o sopra la brascia, e bea vino. E neuna cosa è ke più tosto faccia venire e che più tosto generi l'apostema caldo ke questo cotale regimento, ançi conviene ke, da che a lo 'mfermo fie advenuto rottura, o dislocatione, o rottura, o calcatura, o contusione di carne, ke 'l suo reggimento e la sua dieta nel mangiare e nel bere si sottigli. E s'elli àe il ventre duro e stiticho, sì ssi converrà fare kosa ke 'l facia uscire e similliantemente li si converrae scemare sangue secondo ke noi diremo innançi. La quale cosa perciò si conviene fare acciò k'elli sia sicuro ke matera d'altra parte non corra a quel luogho, la quale matera possa generare grandi appostemi e putrefatione. E poi che alquanti die fieno passati e sia sicuro ke non avengha caldo apostema a lo 'mfermo, comandigli che elli torni al regimento e a la vita k'elli solea usare, se la sua infertade fia dislogamento o kontusione, o schiaciamento, e kalterimento di carne. E colui che à rottura d'osso, sì dee arogere al suo sangue e prendere cose e cibi ke ssieno grossi e viscosi, acciò ke la natura abbia materia aparechiata, de la quale si genera il poro e quello cotale tenerume ke rilega insieme e kongiugne l'osso rotto. E di quelle cose e di quelli cibi ke operano e fanno queste cose è il grano tanto cotto ke paia quasi polta, e terich (o cetherit), e ancora i chapi e ' piedi delli animali, e ancora i cui de' cavretti e delli angnelli e de' vitelli, e i ventri de' buoi e de le vacche, e ll'uova, e 'l riso, e i pesci ricenti, e 'l nudrimento di queste cose e le somillianti ne le quali è grosseza e viscositade, de' quali elli dee manichare in questo tempo, e dipo lloro prendimento bere vino grosso, imperciò ke per questo cotale regimento la rottura de l'osso mellio e più tosto si potrà leghare; ma nel cominciamento kamangiari freddi e musagent tanto solamente dee manicare, e carni d'ucelli e di cavretto, ma al vino non apressi in neuna maniera. E quando elli fie mestiere di distendere o di retificare e dirizzare, sì ssi faccia in maniera ke meno dolore si senta ke ssentire si puote, imperciò ke neuna cosa è ke più tosto faccia venire l'apostema ke ffae il duolo. Ma molti di questi stolti e matti distendono i luoghi debili e diriççano ov'elli si sforzano di fare gran suono, acciò ke 'l vulgo e le genti sempici credano ke elli operi bene. Ma elli non conviene che la giuntura, ove non àe dislogamento, k'ella si priema né distenda in alcuna maniera, ançi vi si dee porre suso lo 'mpiastro ke noi diremo; e la legatura si dee fare sì soave e sì agevole ke a le sue cagioni neuna dollia non si senta. E ancora le mateze e 'l pocho senno e la pocha scienza di questi medici molte volte ingannano il vulgho e le genti sempici, imperciò ke quando nel membro sarà dollia si presumano e osano dire k'elli v'è roptura o dislocatione. Ma le rotture e le dislocationi sono sì manofeste k'elle non si possono appiattare, imperciò ke di questo aviene ke la figura del membro si torca e distorni e ke la buccia e la cotenna dall'una de le parti sia gibbosa e colma e dell'altra sia cava. Per la qual cosa se alcuno considererà e penserà diligentemente, è impossibile ke ss'occulti o apiatti a colui che quello considererà e penserae diligentemente, se il disloghamento non fosse de la giuntura de l'aiutorio coll'omero, o de l'ancha co la coscia, imperciò ke quando il capo de l'aiutorio si disluogha intra la concavità k'è sotto le ditella, el capo de la coscia entra ne la carne ghiandolosa k'è nella 'nguinaia da la parte de l'ancha; onde conciosiacosaké ivi sia molta carne, la tortione e 'l dislogamento non v'è molto manifesto. E segno che la giuntura de l'homero sia dislogata è ke v'è rilevato e kolmo, retondo, il quale aviene e appare sotto le ditella e quando si tocca co le dita si sente. E ancora somilliantemente il disleghamento ke aviene all'ancha sì è segno l'alteza di fuori, sì come ne la 'nguinaia, e ke lo 'nfermo nom puote distendere la giuntura ch'è intra la gamba e la coscia, nonché la giuntura dislocata. E se la roptura del membro no è molto picolina, e tu co la mano investigherai e cercherai diligentemente la gibbositade o scrignuteza e alteza dall'una parte, e la concavitade dall'altra parte non si oculterà e non si apiatterà, e sentirai altressì il suono de l'osso cigolare quando tu merrai in qua e in qua colle mani. E quando i· lluogho non sarae manofesta tortione e dislogamento, né scrignuteza e alteza, né koncavità, né quando il luogho si malmena co le mani e cerca, non si sente cigolamento, né scoppiare l'ossa, non vi sarà disloghamento né rottura d'osso la quale vollia forte stendimento o fforte premimento, imperciò ke ivi non sarà se nom contusione e mangangnamento di carne, o molto piccolina roptura, per la quale cosa in neuna maniera distendendo si de' fare con movimento, imperciò ke 'l distendimento genera nel luogho magiore angoscia, onde in questo aviene magiore erore. Per la qual cosa se alcuno de' matti e delli sciochi in queste luoghora vorrae usare compressione o instensione, cioè priemere o distendere, sì lli si vorrae dire k'elli no 'l faccia, ma dêlisi comandare k'elli palpando il luogho soavemente l'ungha, e poi si leghi soavemente, acciò ke non si ne seguiti dollia; e neuna cosa più ke questo è qui da ffare né d'operare. E io vidi la matteza d'uno di questi stolti e inghannatori, ond'io molto mi maravilliai. Uno forse kadde sopra il luogho k'è nel miluogho dell'aiutorio, cioè quella parte del braccio k'è dal gomito infino all'omero de la spalla, onde se ne comincioe a ddolere, onde vi si comincioe a nascere un piccolo apostema. La qual cosa quando il predetto scioccho vidde, disse ke 'l predetto adiutorio era dislocato. Nel quale non era tanto di senno k'elli sapesse ke dislogamento nom potea avenire se non ne le giunture e non nel mezzo de l'osso. Per la quale cosa elli, aparecchiato da ciascuna parte a estendere fortemente l'osso, noglile lasciai fare. Ançi unsi primieramente il luogho koll'olio rosato e poi pestai molto bene tre granella di mortine. E apresso questo sì lleghai soavemente e tolsigli sangue dall'altra parte del braccio. E poi ke 'l terço die fue venuto, sì sciolsi la leghatura e cognobbi ke non v'era mestiere più medicamento. E certo a parlare di questo ke ciascuno membro del corpo de distendimento e rettificamento e di leghamento e dell'altro medicamento ke à mistiere, tanto ke la sanità sia compiuta e che ssia bene guerito, de la misura di questo nostro libro e de la sua intentione si truova, impercioe ke per questa cotale inquisitione di questo nostro tractato avremo mestiere di molte cose, a le quali cose poi sarebbe mistiere ke ll'opera si vedesse colli occhi come si fae. E noi non intendiamo in questo nostro libro se non quelle cose ke quando li huomini di buon ingengno legeranno e in queste cose avranno medicato, avengna k'elli non sieno buoni medici, sì ssi potranno elli igualliare e acompagnare ai medici. E quando la legatura si fae, si conviene ke 'l luogo rotto ke elli si leghi con tre o con quatro fasce, de le quali la prima tenda e vada a la parte di sopra, la quale sia più forte, e la cintura sia sopra 'l luogho infermo, dal quale luogo, quando si comincerà a partire, soavemente si cominci a alentare. E quanto più si dilungha dal luogho infermo, tanto si faccia più lenta. E questa leghatura in questo modo si dee distendere tanto k'ella prenda e occupi grande quantitade de la parte sana. E dipo questa si prenda l'altra fascia, la quale primieramente si pongha sopra il luogo infermo e poi distendendo tenda a la parte di sotto, la cui strettura e 'l cui allarghamento, sì come noi dicemo ne l'avolgimento de la primaia fascia, fare si conviene. E intra queste le 'stelle si debbono alloghare, acciò ke per loro il membro si rectifichi, acciò ke né gibositade o alteza o concavità non vi rimanga. E apresso tutto questo si dee avolgere con un'altra fascia soavemente, le cui avolte in ciascuno luogho debbono essere iguali; sopra la quale le 'stelle si debbono porre e coll'altra fascia si debbono leghare, la cui strettura in tutte le luoghora all'altre stretture sia eguale, e poi tutte queste cose si leghino poi di sopra ko le fila, e questo modo dee essere di leghatura. Ma l'ingannatori fanno il cominciamento de la legatura ne le luoghora sane, ove, leghando fortemente, stringono e poi, rilaxando e allentando, discendono al luogho infermo; il quale modo di leghatura è pessimo e pigiore di tutti, imperciò ke 'l sangue expremuto da le due parti a le luogora inferme si manda, ne le quali luoghora si generano fedite e aposteme, sì come herpes hestinomeno e herispilla, e putrefationi avengono loro molte volte. E la misura del legare dee essere tale ke a lo 'mfermo non faccia niuno dolore se non molto picolino, né ancora non sia sì lenta ke lo 'nfermo nolla senta in niuna maniera. E se per kagione de la legatura kominciamento d'apostema, o forte dolore avenisse, in tal modo ke ssi faccia verde e s'empia di sangue, incontanente si dee sciolliere la fascia e la sua stretura si dee menomare. E se lo 'nfermo nel luogho de la leghatura senta forte prurito e piçicore, sì ssi sciolgha, e il luogho si molli coll'acqua, e sia sì kalda k'elli ne giovi e si ne diletti, la qual cosa tanto si conviene fare ke 'l piçicore si parta e allenti. E poi che 'l luogho fie così stato per una ora, sì ssi rileghi co le fascie sue, le quali sieno bagnate con acqua, e olio, e aceto mescolati insieme e molto bene dibatuti. E la misura del tempo de la legatura è questo, imperciò ke elli conviene ke, nel chominciamento, elli si sciolgha ciascuno die, e magiormente se vi fosse apostema o dolore; e s'egli aviene cosa ke non vi sia niuno di questi, non si dovrae sciolliere se non due o tre dì messi in mezo, salvo se alcuna cosa avenisse poi che fue sciolta, sì come dolore o movimento. E se alquanti dì sono già passati ne' quali la legatura non fu disciolta e non vi appare apostema, né dolore, né arsura, non si sciolgha se non dopo quatro die o .v., e quanto più tardi si sciollie tanto fia più aconcia a consolidarsi. E ancora konviene, quando il male aviene primieramente, la legatura sia lenta, acciò ke non faccia dolore ke faccia o apporti nocimento. E poi ke 'l quinto die o pochi più sieno passati, e luogo sicuro da l'apostema, la legatura a poco a poco incominci a essere più stretta. E quando molti die fieno passati, e la fiacchatura fie consolidata, e sarà mestiere che la carne k'è sopra la rottura si pillii, converrà ancora allotta ke la leghatura a ppoco a pocho s'allenti e la dieta (cioè il regimento del vivere) si cresca, cioè pilgli più che non suole, sì come noi abbiamo detto. E conviene ke lle 'stelle si ponghano sopra alcuna kosa ke abbia morbideza, e ke le loro stremitadi non tochino in niuno luogho al membro ove non sieno cose morbide, e ke la magiore e la più grossa di loro in quella parte s'alluoghi a la quale l'osso pende. E quando ne la rottura pezi dell'ossa punghano e fegghano e rompano la carne, konviene ke la fascia primaia nom si pongha sopra la fedita ma presso al suo osso e s'involgha con due fascie, la cui involutione, ascendendo, tenda e vada a la parte di sopra, e l'altra fascia presso all'osso de la fedita a la parte di sotto si dee porre, la quale, discendendo, tenda in giù; e l'osso de la fedita si lasci discoperto. E ancora la legatura sia tutta più molle e um poco più lenta, la quale ogne die si conviene sciolliere o due dì messi in mezo, e a la boccha de la fedita si pongha un turaccio di bambagia infino a tanto ke virus, cioè ke la putredine velenosa, cominci a menomare, e il luogho sia assicurato de l'apostema. E quando quella cotale ordura fia levata via, sì ssi pongha sopra le fedita l'unguento da generare carne, il quale noi diremo. E se le rotture e le fiacchature, ne le quali sono le parti de l'ossa somillianti a le 'stelle, le quali non rompono la buccia né la cotenna, s'elle non stimolano fortemente, sì ssi debbono rettificare e aconciare, e stringnere il più ke ffare si puote, palpandole e malmenandole, e lievemente legandole; e s'elle astimulano e faciano grande duolo non si dovranno leghare, imperciò k'elle generebbero apostema e putrefatione in tutto l'osso, ma in luogho si converrae fendere. E se quelle cotali astelle e cotali peççuoli d'osso fieno partite dall'osso, sì sse ne converano trare, de le quali, s'elle non sono separate né divise, quella extremitade e punta aguta ke stimula si converrà talliare ko la segha e poi ko le medicine de le roture ke rompono si dovranno medicare. E konviene ke le dislocationi, quando elle averanno, ke incontanente si racconcino e si rechino al luogho proprio innançi ke apostema vi si comincia a ffare, imperciò ke se 'l dislegamento si lasci stare nel suo cominciamento tanto ke vi si cominci a ffare appostema, non si fie da ingengnare ke in tucto questo tempo elli si rechi al suo luogo, imperciò ke sse lunghamente elli fie in questo modo e si stenda alcuna volta, averae spasmo, cioè contratione. E di queste intentioni e somme le quali noi dicemo, quando non si observano congruamente e bene, pessima malaventura averrae, al quale niuno nom puote socorrere. Per la qual cosa se ai cirugiani ke non sanno nulla tu comande ke elli si guardino da tucte queste cose, tue sarai libero dal loro male e le loro opere ti faranno prode e uttilitade.
L. VII, cap. 2 rubr.Capitolo secondo. Di ramollare le dureççe che avengono dopo 'l raconciamento de' membri.
L. VII, cap. 2Alcuna volta dopo 'l racconciamento e diriççamento de la speçatura e de la rottura, e del recamento de la dislocatione al suo luogho, dureçça e constrintione solliono rimanere ne' membri, le quali molte volte sono nocive e non lasciano muovere il membro e tolgono il suo movimento. E questo aviene propiamente quando le predette cose avengono e sono presso de la giuntura. E quando tu ffarai stropiciare o fregherai o strupiccerai queste cotali molte volte co le mani, e con olio, e kon acqua calda, e l'acqua kalda kagendo da alti per la fistola, cioè per quello cotale strumento, sarà gittata sopra il luogho, e grasso e sugne kon midolle, quando di loro si fae empiastro, si ramorbidano e ramolliscono. E alcuna volta aviene ke delle predette medicine si compone medicamento, il cui effetto e la cui operatione è più forte dell'operatione di quelle cose semplici, cioè di ciascuna de predette per sé sole. L'altro medicamento ke à buono odore, convenevole a coloro ke ssono dilicati, ke ranmollisce la streteza e la dureza, k'è ssì come corda ' il suo tendimento. Recipe: cera gialla, grasso d'anitra disoluto e kolato ana on. .j., olio di lillio on. .vj., de la midolla de la gamba de la vaccha on. .ij., e di queste cose mescolate si faccia il medicamento. L'altro medicamento forte il quale giova ai membri ke ssono pressoké rattracti. Recipe: feccia d'olio di lillio, feccia d'olio di semi di lino, del dellio ana on. .j., storace, galbano, oppoponaco, armoniaco, ana di ciascuno on. 1/2, grasso d'orso on. .ij.; e se 'l grasso de l'orso non si truova nel suo luogo, si pongha il grasso de l'anitra o de la gallina. E in questa intentione è mellio ke 'l grasso del porco vi si metta, e poscia le gome con um poco di vino nel mortaio si disolvano, e poscia, ançi ke ssieno troppo ranmolliti, l'altre cose si mescolino e tanto si menino nel mortaio k'elle divengano una cosa. L'altro medicamento che à buono odore et è convenevole ai dilicati. Recipe: cera gialla on. .ij., olio di been on. .vj., mastice, nitro e storace ana on. 1/2, e di queste cose mescolate si faccia il medicamento.
L. VII, cap. 3 rubr.Capitolo terço. De le collectioni e de le agregationi del guerimento de le fedite, delli apostemi e somme dell'arte di cirugia.
L. VII, cap. 3La dispositione delli scriptori a questa arte è procciana a la dispositione de' ristoratori, cioè a coloro ke raconciano li ossi rocti e sconci, la quale noi abbiamo già nominata in pokeza di scienza de le radici e dell'insegnamenti, per li quali si fae e redde competente rettificatione di guerimento. Per la qual cosa ci conviene qui dire di questi principii, o radici, e nature a ssapere queste cose, acciò ke huomo si guardi da quello grande errore ke aviene del loro medicare. Dumque noi diremo ke ss'elli aviene cosa ke la fedita sia picola, possibile cosa è ke, quando la legatura il prende, ke le parti si congiungano insieme e che tucta la sua conchavitade si continui; imperciò ke no à mistiere d'altro medichamento se non ke ssi substenti e stea per l'aiuto di due astelle, e si leghi, e la leghatura cominci da due capi. E lo 'mfermo si guardi del tucto in tucto da repletione e da vino e ke non cagia intra le sue labbra né pelo né unguento, e di ciò si conviene guardare per kagione ke queste cose non lasciano saldare, e molti di questi matti operano e fanno il contradio di quello ke noi abbiamo detto, imperciò ke elli pongono ne la fedita olio e comandano ke lo 'nfermo manuchi carne e polte grasse e dure, ond'elli se ne acquista e amena a lo 'nfermo reo apostema e ordura velenosa ne la fedita, la qual cosa durrae lungo tempo; per la quale cosa, per l'aventura, n'averrà putrefatione e coruptione de' membri. E magiormente ne la state avengna ke le fedite ke noi abbiamo dette si possano cuerire ko la sola legatura, e non àe mestiere di neuna altra medicina da uno die infino a tre. E quando la fedita è grande e profonda, allora àe mestiere d'esser medicata e guerita kolle medicine ke noi nomineremo, ke ssono generative di carne, e ke la fedita si guardi d'apostemare in tale maniera ke al luogho a cui aviene vi si pongha suso panno mollato in aceto e in acqua, e s'epithimi colli epitimi freddi, e si raffreddi ogne ora, e se vi fosse caldeza e arsura e poco sangue ne fosse uscito. Imperciò ke in questa dispositione conviene ke lo 'nfermo si scemi sangue da la parte contradia e tucto il suo corpo e ancora tucto il suo regimento si converranno raffreddare. E se la fedita è profonda e non ampia, sì ssi converà guardare ke l'huomo non vi metta suso umguento ke congiungha la sua boccha, imperciò ke se la boccha de la fedita si continua e si salda, ançi ke 'l suo fondo sia saldo, molto virus, cioè molta putredine velenosa, vi si ragunerà dentro, per la qual cosa e' converrae ke huomo l'apra una volta; e forse il membro s'infraciderà dentro e vi si farà rea e pessima fedita, per la qual cosa ne la boccha di questa fedita vi si converrae mettere cotu, cioè stoppino di bambagia o di panno o d'altra cosa. E se ttue vedrai che la fedita saldi troppo tosto, sì si vi metti entro um poco di bituro o un poco d'olio. E di questo luogho erano i predetti folli, quando elli puosero olio ne le fedite, la 'ncarnatione e 'l saldamento de' quali era possibile. E conviene poscia ke tucti i medicamenti ke ss'apichino a le fedite o a le taste uncte, o vi si gittino entro per aliseum, cioè con quello strumento. E quando la fedita fia profonda, si conviene allora, se la sua boccha è ampia, questo observare: ke sse la legatura non strigne bene la boca de la fedita, si conviene allora ke ella si cuscia. E questo aviene più volte e si conviene fare quando la fedita tende in latitudine. E la volgitura de la legatura sia più forte, e 'l suo ritenimento al profondo de la fedita, e sia più lieve a la boccha. E 'l membro si dee figurare in tale maniera e in tale figura ke la fedita sia di sotto, acciò che ll'ordura ne possa uscire. E s'elli aviene cosa ke quello non si possa fare, converrae ke la fedita si consideri il secondo die e 'l quarto, la cui profundità si comincerà a menomare e non vi si colga né molta putredine, né molta ordura, il medicamento non vi si converrae mutare. E se tu vedrai uscire la puça da la parte di sotto a la parte dell'ulcere di sopra, cioè a ssapere a la sua boccha, quando tu premerai, più convenevol cosa è ke tue il fori in quel luogho ke ivi è apo la fine de la profundità de l'ulcere. La qual cosa si fae acciò ke la putredine abbia via onde possa uscire. E 'l reggimento de lo 'nfermo ne' cibi s'ordini, sì come noi dicemmo nel capitolo de l'algebra, nel principio, e si sottigli e dal cominciamento de la fedita, quando ella aviene, si raffreddi. E s'elli è troppo ripieno, sì li si conviene scemare sangue e dare medicina da ffare uscire s'elli è lungho tempo ke non è solvuto, cioè k'elli nom prese cosa ke 'l facesse uscire, acciò che ssi redda sicuro ke apostema non li vengha. E da indi innançi il suo reggimento si converrà ingrossare a pocho ad pocho secondo il processo de' die, accioe ke la carne crescha. E conviene, quando li apostemi sono maturi e ànno mestiere d'aprire, k'elle si forino ne la parte di sotto ke ssi troverà i· lloro e nel più sottile, e nel più alto, e più colmo, e più scrignuto, s'elli è possibile cosa. E l'apertione si conviene fare ne la lungheza del corpo quando si fae ne' membri distesi che non si curvano, o ke non si ratragono o ripieghano, e si distendono. Ma quelli che ssi curvano e si piegano e si stendono, il talliamento dee tendere secondo la curvatione di quello luogho e 'l suo distendimento. E conviene ke l'escitura, cioè l'apostema ove è marcia overo putretudine, quando ella è in luogho ove sono moltitudine di vene o intorno a le giunture, ke 'l talliamento si faccia presso, imperciò ke sse il talgliamento in questi cotali luoghi si tardi e non si faccia tosto, l'osso alcuna volta apparrà in fuori e 'l legamento de la giuntura si discoprirae. E buona cosa è che i· luoghi carnosi, cioè che sono pieni di carne, si lascino così stare tanto ke ssieno ben mature, imperciò ke sse ançi k'elle sieno bene mature elle si forano, puçça n'uscirà lungamente. E quello cotale ulco e apostema aperto avrà grande abondança d'ordura e di puçça. E le sue labbra alcuna volta e 'l suo profondo, overo infino al fondo, fieno dura, e quella cotale fedita gitterà continuamente putredine e puzza. E s'elli aviene cosa ke ll'uscitura (cioè quella cotale appostema putridosa) sia grande, non si ne dee trare tucta la putredine e la puçça a una volta subitamente, acciò ke a lo 'nfermo non avengha sincope, cioè tramortimento, ma a poco a poco se ne dee gittare fuori, e magiormente se lo 'mfermo è debole. E la santade de la fedita si ritarda o per lo poco sangue k'è nel corpo, o per la sua malitia, o imperciò ke puçça o karne dura cresce sopra le sue labbra, per la cagione de' quali la karne non vi cresce e non vi nasce o per k'elli v'è la carne morta, o per osso e molta putredine v'è entro, o perké il medicamento kon che elli si medica nolli è convenevole né buono, imperciò ke la fedita in sé medesima è profonda e rea e putridosa. E quando piccola rosseza de l'ulcere vi fosse o di quelle parti che ssono intorno lui, cioè che ll'ulcere o quelle parti fossero um poco rosse, e fossero secure d'apostema, e fossero secche e um poco dure, e 'l corpo magro e di poco sangue, kagione per ke ssi ritarda la sua santade no è se non povertà di sangue. Dumque il luogho cotidianamente si de' molte volte infondere e mollare col panno mollato nell'acqua calda tanto ke diventi rosso, e 'l reggimento de lo 'nfermo, ingrossando, e dêsi medicare e curare co l'umguento nero, e con esso si freghi e stropicci intorno. E se il colore del corpo fie reo e la sua forma rea, in questo sì è la cagione: la malatia del sangue, onde li si dee primieramente sovertire kollo scemare sangue kon medicina ke purghi di sotto e poi si conviene tornare a medicare la fedita. E se ssopra le labra de l'ulcere sia carne dura, sì vi si dee fare freghamento e stropicciamento tanto k'elli n'esca sangue. E ss'ella è grossa, sì ssi dee primieramente talliare e poi medichare. E se questo fie nel fondo de l'ulcere, la sua boccha sia seccha e foscha, cioè lividetta, alcuna cosa vi si dee mettere e freghare e stropicciare tanto ke nne chominci a uscire sangue, e poscia si dee medicare, o nel fondo dell'ulcere si fori, e poi si freghi e stropiccii, e si medichi col biturio, tanto ke la mala carne del tutto in tutto si corroda. E poscia si curi e medichi con quelle medicine ke rimasero da la parte del guerire. E se l'ulco primieramente lungo tempo stea kiuso, e poi s'apra, e virus (cioè putredine velenosa sottile) n'escha, così disposto dimori, osso corrotto è nel suo fondo. Dumque co la tenta messavi entro si tenti e, quando elli fie trovato, sì ssi fori l'ulco tanto ke ssi pervengha a l'osso, il quale si converrae fregare o sseghare tanto ke llievi e tolgha via, secondo che tu vedrai de la corruptione de la sua moltitudine e poi si medichi colle polveri ke generano karne. E s'elli è impossevole cosa di forare, sì lli si converrà sovenire kol medichamine corrosivo e col bituro, tanto ke ll'osso si discuopra, e poi si medichi con quelle cose ke noi diremo. E se l'ulco fie profondo e la sua carne molle e morbida e rea, sì vi si dee porre suso il medicamento ke corroda tanto ke quella karne si disecchi. E poi è da mettere ne la fedita bituro tanto che tutta mondi e necti e lunghamente si medichi col biturio tanto che la scarra (cioè la schianza e corteccia) nata ne la fedita kagia e poi si medichi. E se all'ulcere sopravengono varici, cioè quella infertade quando emfiano le vene de le ghambe, sì ssi tolgha sangue a lo 'mfermo, e 'l suo corpo si solva molte volte co la dicotione de l'epitimo, e nodrischasi col suo cibo, e poi si curi l'ulco, cioè quella fedita putrida e fracida. E se 'l medichamento è inconveniente all'ulco, imperciò ke forse li riscalda più che non dee, il cui segno è ke elli reca rosseza e caldeza, kominciamento alli apostemi con acrescimento, e allotta coll'unguento freddo ke noi diremo si dee medicare. O forse più raffredda ke non dee, il cui ingengno a conoscere e segno sì è ke ll'ulco è allotta verde o nero, e duro o freddo, e allotta si dee medicare coll'unguento nero. O forse deseccha meno ke non dovrebbe, il cui segno è ch'elli è molle e lento, e à molta puça velenosa, cioè virus; e allotta si dee medicare ko l'unguento molto disecchativo, sì come è quello ke ffae venire la buccia e la cotenna ne le fedite ke ssi fae de le balaustie, cioè fiori de le melegrane, e di galle. O fforse meno monda e netta ke non dee, il cui sengno è ke moltitudine di putredine e ree carni e molli vi sono appicchate, per la quale cosa colle medicine fortemente mondificanti e seccanti si dee medicare, sì chome è l'unguento verde. O elli mordicha e konsuma la sua carne, il cui sengno è dolore e calore e ardore e cominciamento d'appostema e ke l'ulco ongnendie si dilata e allargha. E si dee fare mutamento a unguento ke sia più soave di lui, e questo aviene alcuna volta, imperciò ke la complexione del medicare dichina a una de l'extremitadi, per la qual cosa il medichamento si dee fare con cose ke lli sieno konvenevoli, imperciò ke i corpi più secchi richegiono ke lli unguenti, kon che e' si medicano quando la carne si dee generare ne' sui ulceragioni, k'elli abiano spetie molto fortemente diseccative. E lli umidi corpi ànno mestiere d'unguenti molli e humidi. E a le fedite del ventre, cioè del casso dentro, ke 'l rompono e forano, è mestiere medicho savio e soavemente operante. E noi diremo la colletione di questo medicamento e onde ve se ne teme errore. E quando le budella o 'l çirbo uscirà per la fedita e fieno sì emfiate ke non vi si possano rimettere dentro, panno bagnato in vino vecchio kaldo vi si pongha suso tanto ke l'emfiamento si disfaccia. E quando l'enfiamento fie disfacto, sì vi rimetano dentro. E s'elli aviene cosa ke 'l tempo o 'l luogho sieno freddi, lo 'mfermo si meni nel bagno e si penda per le mani e per li piedi in tal maniera sì che 'l suo dosso si pieghi e curvi e 'l ventre faccia arco. E per questa cotale dispositione le budella vi si rimettono più lievemente e più agevolmente. E se huomo socore al çirbo tosto, ançi ke diventi verde o nero, sì ssi dee rimettere nel ventre. E s'elli nolli è soccorso ançi che elli diventi verde, tucto quello ke di lui è verde facto si tagli; e poi tucte le vene ke i· llui sono si leghino kon sottile filo; e poi vi si rimettano e 'l ventre si ricuscia. E s'elli aviene cosa ke per quello cotale mollamento del panno non vi si possano rimettere dentro, sì ssi sciampi la fenditura e im questa maniera vi si rimetano. E quando vi sieno rimesse, el ventre si coscia primieramente, e poi vi si pongha suso la polvere da ssaldare, e si comandi a lo 'mfermo k'elli giaccia sopino in tal maniera ke 'l dosso sia um poco scrignuto. E 'l suo regimento, vita e dieta si dee sottilliare, e in niuna maniera si dee nodrire koi cibi emfiativi, cioè ke ffaciano ventositade. E ancora se la fedita fie facta allato al nerbo (o nel nerbo), e la fedita sia stretta, non si saldi infino ke tu ssie assicurato de l'apostema ke non vi vengha, ançi vi si pongano suso i medicamenti apertivi, cioè ke abbiano a aprire le fedite, e tucto il luogo s'unga con olio tiepido, e poi ke due die o tre fieno passati e la dollia fie allentata, e 'l luogho fie sicuro ke apostema non vi vengha, allora medica e guerisci la fedita usando le cose da ssaldare. E s'elli adviene cosa ke per la fedita k'è nel nerbo a alcuno advengha spasmo, cioè contrattione, tosto li si dee soccorrere. E la corda ke ssi comincia a contrare, overo rattrarre in latitudine (cioè per lato) si tagli, e la schiena e li sponduli con olio palpando e premendo ugni, e olio sia mollificativo e tiepido. E se ttu vedi alcuna volta ke ll'ulco, passando per lo membro, vada d'uno luogho all'altro e corroda la carne, tosto socorri talliando o ardendo e distrugendo la carne ke ivi fosse, ançi che molto si dilati e allarghi, e poscia il dei medicare e guerire colle medicine colle quali tu ài usato di medicare e di guerire l'altre ulceragioni, cioè fedite fracide e corrotte. E queste sono le somme e intentioni le quali, quando li homini non le observano, fanno grande nocimento. E quando elli medicano adtentamente e diligentemente e vi si sforçano, fanno grande giovamento, quando a Dio piace.
L. VII, cap. 4 rubr.Capitolo quarto. De' medichamenti ke generano la carne.
L. VII, cap. 4Medicamento il quale genera carne e fae continuare e saldare le fedite ricenti et è maraviglioso a cciò. Recipe: incenso, alloe, sarcocolla, sangue di dragone parti iguali pestinsi e pongansi su la fedita e vi si leghino suso, imperciò ke questo è maravillioso. Unguento a generare carne maravillioso. Recipe: litargiro bene sottilmente pesto on. .j. kol quale si mescolino on. .iij. d'olio e tanto si cuochano al fuocho che si distrugano. Poscia si prendano incenso, sarcocolla, sangue di dragone, calbano, colofonie ana dr. .ij., e queste cose mescolate a la predetta dicotione tanto si cuocano ke ingrossino e inspessino e si medichino kon esso li ulceri quando non so' sanguinose. Unguento da generare karne, il quale si dee usare ne le cure e ne' medichamenti de le fedite la state e quando ne le fedite è kalore e ardore e 'l tempo è caldo. Recipe: litargiro, cioè aghetta, molto trito on. .v. (e l'altra lettera dr. .v.), e pestisi coll'aceto tanto ke ssi risolva e ramollischa, e poi olio rosato vi si gitti suso e si pesti tanto ke ingrossi. E quando si pesta in questa maniera, sì ssi ramollischa l'una volta coll'aceto e l'altra koll'olio rosato si dee infondere e mollare, tanto che elli emfi e crescha e si faccia unguento, al quale poscia .v. dr. di cerosa e um pocho di camphora vi si conviene agiungnere e pestare con essi e usarli nel medicamento. Unguento nero il quale si dee usare quando la fedita è nera e asciutta. Prendasi per iguali parti di cera e d'olio comune e pece e si distrugano e si ne faccia unguento nero.
L. VII, cap. 5 rubr.Capitolo quinto. De' medichamenti che menomano la charne superflua.
L. VII, cap. 5Usnen si pesti molto bene e si polverizi sopra il luogo ov'è la carne superflua, imperciò k'elli la liquefae e distruge. L'altro k'è più forte di questo: kaly si pesti e vi si polveriçi suso, o çimar trito vi si pesti suso. Discriptione de l'unguento verde ke corode e ke mondifica l'ulceragioni putride. Recipe, cioè prendi: zimar (verderame), pepe, mèle ana on. .j., e di queste cose insieme trite si faccia il medicamento. E sono alcuni che a questo unguento agiungono sarcocolla, armoniacho ana on. .j., pestando tucte queste e coll'aceto e col mèle mescolando. E allotta questo medicamento giova a le fistole ke ssono nell'orecchie, e mundificha tucte le fedite putride, e corrode la karne morta. Medicamento il qual è kiamano kalidicon, ke corrode la carne morta, e a le fistole, e a le putrefationi ke ssono ne le gengie, e ne la boccha, e in tucto il corpo giova. Recipe: calcina viva parte una, arsenico citrino, cali, acacia, arsenico rosso, di tutti ana parte meza. E tucte queste cose si pestino koll'acqua k'è kiamata prima. E l'acqua si fae in questa maniera: di calcina e 'l chalis si prenda per iguali parti (e 'l chalis si pesti primieramente) e poi sei cotanti del loro peso dell'acqua vi si mescoli e si lasci stare per tre dì, ogne die tre volte menandolo e dibatendolo. E poi si coli e pesti tanto ke ssi faccia bene sottile e si lasci stare al sole tanto ke ingrossi; poscia se ne faccia trocisci e si disecchino e si riponghano i· lluogho ove nom possano essere tocchi da verdeza; e quando fie mestiere, sì se ne pesti uno e si ne faccia il medicamento. Medicamento acuto e corrosivo, destokenti (o desterigy). Recipe: arsenico citrino trito, kali, kalcina, zimar (verderame), di tucti igualmente libra 1/2; argento vivo libra .j., sale armoniaco la quarta parte d'una libra, pestinsi tucte queste cose koll'acqua prima, tanto ke l'ariento vivo sia spento. Poi si disecchino, e diseccati sì ssi pestino un'altra volta; e poi ne lo strumento (il quale coloro che fanno alacina kiamano aluchel) faccendoli il fuoco di sotto tanto ke levati si subblimino. E quello ke di loro fia soblimato si prenda e si riponga in una ampolla di vetro, del quale le morici di fuori che apaiono kon superflua carne, e le scruofole e gavine (le quali huomo disidera ke ssi disfaciano e si distrugano e disolvano poi k'elle fieno ulcerate) pulveriçate, e a la perfine in tucti quelli e quelle la distrutione de' quali si disidera, si dee usare imperciò k'elli fia sì come kauterio di fuoco, sì ch'elli disecchi e anneri, e tiene il luogo del fuoco in molte luoghora.
L. VII, cap. 6 rubr.Capitolo sexto. Di quelle cose che saldano l'ulceragioni e generano carne nelli ulceri, cioè fedite, e lievano la loro humidità superflua.
L. VII, cap. 6Le cose ke saldano l'ulceragioni e generano karne nelli ulceri ke ànno molta humidità e ke ricavono la loro humorosità superflua sono queste. Recipe: litargiro (cioè aghetta) pesto e s'inbea e bagni nel mortaio d'aceto e d'acqua e d'olio insieme tanto ke elli emfi e imbianki, e apresso kalkucemon e anthimonio, e balaustie, e vene de curcume, e galle, e sangue di dragone, seta, allume, e kathimia d'argento, di tucti ana quanto è la sexta parte de l'unguento si prenda. E poi tucte queste cose, polveriçate e bene peste, vi si mettano suso e tanto si menino nel mortaio ke ssi uniscano e facciano una cosa. E poi di questo unguento si pongha in su la bambagia e ponghasi in su la fedita ov'è la carne fracida nata e poi si leghi e s'involgha col panno soavemente. E questo cotale unguento tanto si de' usare ne la curatione de la fedita infino ke tanta quantità di carne vi si generi k'elli basti e la induri e la bucia e la cotenna induri perfectamente. E con questo unguento tutte l'ulceragioni ke abondano di molto homore si debbono guerire e curare. Polvere forte. Prendasi: alloe, vene di cucurma, balaustie, mirra, galle parti iguali, de le quali si faccia polvere, il quale polvere sopra la fedita si polverizi. E questa polvere è buona e forte.
L. VII, cap. 7 rubr.Capitolo .vij. Di quelle cose che rompono l'escitture, cioè aposteme, sança ferro.
L. VII, cap. 7Tolli: mele ancardo, pece liquida di katuno iguali parti, le quali in una kaça (o ramaiuolo di ferro) mescolate si riscaldino tanto k'elle si mescolino. E quando tu vorai aprire l'apostema sança ferro, il luogho nel quale tu vuoli fare il forame konsidera, il quale luogho tu ungnerai del predetto unguento e lascialo così stare per uno meço die, imperciò ke 'l corroderà.
L. VII, cap. 8 rubr.Capitolo .viij. De le scruofole e gavine.
L. VII, cap. 8Le scruofole sono più acostumate di nascere ne la 'nguinaia e nel collo, le quali più de le volte sono insieme. Onde quando in questa infertade, o in questa habitudine, tu vedrai il luogo apostemato, il quale tocchando tu troverai duro e non si potrà talliare, ma ssieno sì come ghiandi o noci, sappie k'elle sono scruofole, le quali avenghono per lo male smaltire e per fastidio e molte volte crescono tanto k'elle fieno molto grandi. De le quali de la loro guerigione è kominciamento ke tu ffaci ke lo 'nfermo sempre patischa fame e lasci le cene, e no li lasci bere molta acqua, né non si nodrisca con grossa dieta, cioè ke non usi grossi cibi e nom pigli troppo cibo a una volta. E se nel suo corpo sono troppi homori e troppe superfluitadi, scemali sangue e dàgli medicina da ffare uscire e fagli empiastri a queste cose nominati e lodati e utili. De' quali a queste cose è milliore lo 'mpiastro k'è kiamato diaquilon e se vi si aministra pur solo, il quale sarae milliore. E più giova se nel diaquilon si mette de la polvere de le radici de l'yteos, cioè ghiagiuolo, quanto ne puote passare (overo ricevere) e con esso se ne faccia impiastro. Diaquilon si fae in questo modo. Recipe: litargiro, cioè aghetta, trito on. .j., al quale nella padella logato e messo due on. e mmezo d'olio vecchio vi si agiungano e si menino, e lento fuocho si faccia sotto loro, e tanto si cuoka infino ke tucto si disfaccia e disolva il litargiro; e apresso de la mucellagine del fieno greco e de la mucillagine del seme del lino ana on. .ij., e de la mucillagine del mavavischio si prenda on. .j. e s'agiungano ai predetti. E dipo questo si cuoca tucto tanto ke ingrossi, tuctavia menando. E quand'elli fia cotto, sì ssi levi dal fuoco, ma non si lasci ke non si meni tuctavia. E poi si meni tanto tra mani k'elli diventi spesso e viscoso e poi si ripongha e se n'usi. O lo stercho de la capra antiqua si prenda, e col mèle e co l'aceto insieme caldi infino a tanto ke ssi mescolino si consparghano, imperciò ke a cciò è molto buono. O semi di rafano si prendano e si pestino kon mandorle amare e se ne faccia impiastro. O stercho di vaccha seccho si prenda e, polverizato e cosparto kolla mucillagine del malvavischio, sì vi si pongha suso. O fieno greco o seme di cavoli e seme di lino si prendano e si pestino e stacino e, cospersi e mescolati diligentemente co la mucillagine del malvavischio, vi si pongha suso.
L. VII, cap. 9 rubr.Capitolo nono. Del cancro e de la sua cura e guerigione.
L. VII, cap. 9Il cancro sì è una infertade ne la quale è grande fatigatione e pena et è quasi inkurabile, cioè quasi da non guerire, a la quale se incontanente, quando comincia, li si soccorre e si regge sì come si dee reggere, forse per l'aventura starà in quello modo k'elli non crescerà. E quando elli fie cresciuto sempre starà così, il quale è pigiore s'elli s'ulcera, imperciò ke 'l cancro è duro apostema, il quale àe grande radice nel corpo, la quale radice inbeono et empiono vene verdi, ne le quali è caldeza. E l'ulco ke ssi fae nel cancro è fetido e puçolente e àe le labre grosse e verdi pinte in fuori. E 'l cominciamento del suo nascimento alcuna volta è kom'uno cece o com'una fava, il quale poscia cresce infino a tanto k'elli si facia sì come grande milon, cioè come quello grande apostema, e ancor magiore. E forse questo apostema nasce ne' luoghi e ne le parti dell'alito, o ne le parti del tranghiotire, e forse allotta mena a reo die e molte volte uccide lo 'nfermo. E quelli che questo cotale apostema talliano kon ferro non guadagnano più se non che lli fanno kancro ulcerato, s'elli non è in tale luogho ove talliare si possa, e disfare, e distrugere del tucto in tucto, e ardere, e diradicare. E ' questo cotale, quando elli comincia, giova di scemare sangue de la vena mediana, cioè del cuore, e muovere spesse volte il corpo co la cura de l'epitimo. E lo 'mfermo si dee sofferire e astenere da' cibi che generino la collera nera, sì come sono lenti e cavoli imperiali, e karne di vaccha e d'ocha, e vino grosso e nero, e simillianti a questi, i quali generano homore molto reo. E conviene ancora ke la sua dieta sia carne di castrone e vino sottile e ke ssi guardi da' cibi kaldi, imperciò k'elli fanno il sangue nero. E poi ke elli fie cresciuto e si è compiuto, non è mestiere k'elli si facciano se non cose da llui lusingare, acciò ke i· llui non si faccia ulco. E questo è a dire k'elli si guardi il mellio ke guardare si puote, ke elli giamai non si riscaldi o ko le medicine e choll'altre cose, ançi si raffreddi koi kamangiari freddi pestandolli e ponendolivi suso. E s'elli aviene k'elli sia alcuna volta ulcerato, questo unguento li giova molto. Il quale unguento, questa è la discriptione. Recipe: cerusa, tutia lavata parti uguali, e pestino queste coll'olio rosato, e col sugo de la porcellana, o col sugo del cavolo, o ko la mucillagine del psillio, o kol sugho de la çuccha o del cederno, qualumque di questi tu potrai avere, e ponghavisi suso, imperciò ke questo kotale unguento la carne, ov'elli non è ancor fatto e àssi paura ke non vi si faccia, giova.
L. VII, cap. 10 rubr.Capitolo .x. De' carboncoli e sua cura.
L. VII, cap. 10Carboncoli nascono per molta humiditade di sangue e per molta faticha, dipo saturità e dipo troppo manichare. I quali, poi che ssono avenuti e nati, non vi si dee avere neghiença ke non vi si soccorra, imperciò ke per aventura tucta la lor materia si racollierà in una parte del corpo de la quale si farà magiore uscitura e apostema putridoso. E di quelle cose ke nolli lasciano generare sì sono: lo scemare sangue e le ventose, e solutione di ventre coi mirabolani citrini, e col sene, e col fummosterno, e con la infusione, cioè koll'acqua, ove fieno state in molle le susine e le giungiube e thamarindi, e bere quella cotale acqua, e fugire le cose dolci, e nom bere vino grosso e dolce, e manicare cibi acetosi e stitici e quelle cose ke ragunano queste due qualitadi (cioè acetositade e lazeza), manichare kotte kol sugho de l'uve acerbe e col ribes, e colle mele, e subchabegy, e karis, e hulen, e musos, e simillianti a questi. E s'elli fie mestiere ke lo 'nfermo ke avrae i carbonculi bea vino puro e kiaro, vino dee prendere, imperciò k'elli giova. E poi che 'l karbuncolo fia venuto, è mistiere ke huomo metta studio di lui maturare. E di quelle cose ke tosto maturano il carbuncolo è ke ssi faccia impiastro de' fichi secchi molto viscosi triti, ne' quali è molto di mèle, de la carne, de l'uve passe; kom baurach e pani mescolati si faccia impiastro e vi si pongha suso e vi si metta suso lo 'mpiastro diaquilon, imperciò ke elli è a ccioe molto utile. E se il karbuncolo è duro ad maturare, senape coi fichi grassi e con um pocho d'olio di lillio si pestino e vi si ponghano suso. E si dipo queste cose elli si tarda ad aprire, sì ssi fori e si priema tanto ke n'escha fuori cioe ke entro vi si contiene; e intorno intorno unguento di cerugia e sopr'esso unguento di mèle si pongha. Unguento del mèle. Recipe: sarcocolle, mèlle per iguali parti, sarcocolla polverizata si mescoli col mèle e si ripongha. E sono alcuni di quelli ke cuocono solamente il mèle tanto k'elli si spessi e poscia la sarcocolla polverizata vi mescolano suso, imperciò ke questo cotale unguento mondificha ongne fedita putrida e lieva tutto il veleno. E quando il carbonculo fie mundifichato, tosto per sé medesimo si salderà. E se il suo saldamento alcuna volta tardasse, sì ssi medichi co l'unguento ke àe a generare carne. E se 'l carbuncolo fia ardente e intorno lui fie grande rossore, tosto vi si dee rigenerare carne ko l'unguento ke ssi fae de la cerusa. E quello è l'unguento kamforato ke noi diremo.
L. VII, cap. 11 rubr.Capitolo .xj. De l'apostema caldo e sua cura.
L. VII, cap. 11Quando in alcuna parte del corpo nasce kaldo apostema il chui tocchare si sente caldo, il suo medichamento si dee cominciare da lo scemare sangue, cioè a ssapere se ffosse ne la parte diritta, sì ssi tolgha sangue del lato mancho de la vena di mezo, cioè di quella del cuore. E, per contradio, s'è nel lato mancho, si dee fare scemare sangue de la vena del feghato, o di quella del cuore. E s'elli aviene cosa ke la vena del feghato non si possa trovare, sì ssi tolgha sangue in uno de' suoi rami, e s'elli aviene cosa ke ssia nato in quelle parti ke ssono sopra la forcella de la vena del capo, e poscia s'epithimi di questi epithimi raffreddati, e 'l regimento e la dieta si sottilgli; e da la carne, e dal vino, e da le cose dolci, e ancora dai cibi untuosi si guardi, sì come nasturtio, e usi i cibi acetosi. E quando elli si sente kaldo a tocchare, sì ssi raffredda kolli epithimi. E con questo regimento si potrà difendere e guardare ke non vi si generi putredine. E s'elli aviene cosa ke im questo apostema, in alcune dispositioni, sia forte caldo e tempellamento, sança fallo putredine vi si racollie, per la quale cosa non vi si dee allora usare se non cose ke poco raffredano. Ma se tuctavia per queste cose tu non vedessi il calore e l'ardore né sedare ' spegnere, né menomare, da queste cose ad quelle cose ke generano putredine ti conviene tramutare. La qual cosa perciò si conviene fare ke tosto pervengha a racoglimento di putredine e poscia l'escitura si converà sanare e medicare sì come noi abiamo detto. E le medicine ke fanno putredine sono quelle ke noi abbiamo dette ne l'apertione de' carbonculi; e le medicine ke raffredano, ke ssono utili ad aprire, sono quelle medicine le quali noi diremo, e 'l loro nominamento è questo. Medichamento k'è kiamato epithima de l'eresipila, il quale ancora in tucti membri ne' quali è apostema kaldo, se di lui si fae epithima, giova. Recipe: sandali, sif (o sieby), memithe, faufel, bolo armenico parti iguali, scorça de la mandragora, oppio, d'ambindue quanto è la metade d'uno de' sopradetti. E di tutti questi, ragunati coll'acqua, si faciano forme somillianti a l'avellana, de le quali, quando fia mestiere, se ne prenda um pocho e si pesti; e di quello, e d'acqua rosa, e d'um pocho d'aceto mollato si faccia epithima e vi si metta suso, il quale, poi che ssì è facto tiepido e intepidito, sì sse ne levi, e l'altro panno, ricentemente infuso e mollato nell'acqua viva, si pongha nel luogho di lui. E questo è di grande efficacia e giovamento.
L. VII, cap. 12 rubr.Capitolo .xij. De l'apostema molle e sua cura.
L. VII, cap. 12Appostema molle il quale quando si toccha col dito e si prieme, dal luogho seguita alcuna volta alcuna infertade, sì come sono l'emfertadi ke avengono quando la complexione si corrompe o tisicheza v'èe. E quando elli averrae in questa maniera, non si converae tanto kurare di quello cotale apostema, né tanto atendere a la sua guerigione, quanto elli si dee avere studio ad guerire quella cotale infertade e quello chotale apostema ke viene per sé medesimo, o ke sseguita le lunghe febbri. Quando di quelle lunghe febbre huomo guerisce, sì ssi conviene medicare in questa cotale maniera: un pocho d'aceto koll'olio rosato, e aqua rosata, e acqua di mortine, e acqua di che ssi fa il sapone si mescolino insieme, e in questo si bagni il panno e ponghavisi suso o mettavisi suso, ma non troppo fortemente. E la leghatura sia più fortemente stretta nel miluogho de l'apostema, la quale leghatura tenda e vada a ciascuna parte. E di quelle kose ke lo sparghono, cioè l'apostema, e disfanno sì è l'acqua de la cenere, la quale si fae in questa maniera: i sermenti s'ardano e ne la loro cennere si metta l'acqua, e si lascino stare per una notte, e poi si coli e si mescoli con essa aceto, ne la quale i panni si bagnino e poi vi si ponghano suso, giungnendo l'uno coll'altro ko la leghatura. O se l'appostema sia molto molle, sì ssi freghi e strupicci koll'olio, e col sale, o le fogle del tamerici, o de le mortine doppie vi si ponghano suso, o si faccia epithima de l'olio armenicho e de l'aceto; e lo 'mfermo sottigli il suo reggimento e la sua dieta e si guardi del fastidio e de la troppa acqua. Epithima ke giova a la molleza e al rallentamento ovedumque fosse e oveumque avenisse. Recipe: alloe, mirra (e l'altro libro dice mortine), litio, akatia, sief, memithe, ciperi, cruoco orientale, bolo armenicho, di tucti questi per iguali parti. E di tucte queste cose insieme mescolate si facciano forme somillianti ad avellane, de le quali, quando fia mestiere, si ne disolva e disfaccia um poco nell'aceto e nel sugo de' cavoli. E s'elli aviene cosa ke la 'mfertade sia nel volto o ne le palpebre, sì sse ne disolva um poco ne l'acqua rosa e nel sugho de l'endivia e in uno pocho d'aceto.
L. VII, cap. 13 rubr.Capitolo .xiij. De l'apostema duro e sua cura.
L. VII, cap. 13Quando elli avenisse ke in alcuna parte del corpo duro appostema fosse nato, il quale quando si toccha non si sente kaldo né non sia kancro, sì ssi guardi lo 'mfermo da tucti cibi ke noi dicemo ke l'homo si dee guardare nel capitolo del cancro. E quelle cose kon ke ssi dee medicare sono tucte quelle kose ke ànno a ramollire, sì come tucte midolle, e tucti grassi e sugne, e bdellio molle, e armoniacho, e storace, e galbano, e le somillianti cose. E se il luogho ove questa cosa è non guerisce, sì ssi converae studiare ke la matera si traspongha e si parta da llui collo scemare sangue e kon solvimento e solutione di corpo, kol quale e per lo quale la collera nera si purghi e si metta fuori del corpo, acciò ke l'apostema non crescha. Empiastro buono a quello medesimo. Recipe: del bdellio molle, armoniacho, galbano per iguali parti, le quali gomme mollate nell'olio, e coll'olio si pestino nel mortaio, e l'olio sia di lillio o di been. E poi si pigli mucillagine di fieno greco, seme di lino, tanto quanto fieno tucte le predette cose. E tucte queste cose si pestino e si uniscano e si mescolino insieme. E poi apresso di queste cose mescolate con fichi secchi grassi, sì ssi faccia impiastro a la dureza in qualumque parte del corpo fie, lo quale è di grande effichacia e giovamento.
L. VII, cap. 14 rubr.Capitolo .xiiij. De le grandi ghiandole.
L. VII, cap. 14Quando in alcuna parte del corpo alcuno acrescimento (escrescenza) apparrae, la quale, quando si toccha, si traspone d'uno lato all'altro, non si truova essere continuata e congiunta a la pelle, overo a la buccia, né duramente muoversi, ma stae quasi in tale maniera kome fosse divisa e separata dal corpo, né i· llui no à cominciamento né radice, questa cotale fie ghiandola. E le ghiandole si diversificano cominciando da le molto piccole e pervengnendo infino a la grandeza del mellone, onde la loro spetie si diversifica, ma il loro medicamento è pur uno, cioè a ssapere kavarlene fuori. E se la ghiandola si lascia stare, imperciò k'ella è piccola, e 'l suo medikamento e la sua cura sia messa al non chalere, si crescerà. Onde poi a trarlane fuori è mestiere medicho ke operi soavemente. E noi diremo ove e ne le quali si teme erore, e questo è perciò ke la magior parte di loro si contiene nel pannicolo, il quale è kiamato saccho de le ghiandole. Per la quale cosa con esse si ne dee trare fuori il saccho, in tale maniera ke in niuna maniera di lui non vi dimori e non vi rimangha fiore; imperciò ke sse di lui e' vi rimane fiore, avengna k'elli sia pocho, suole e solliono reddire e tornare spesse volte. E il luogho ove si contengono si dee fendere, ma molto si conviene guardare ke 'l saccho che le contiene non si fenda, ma solamente la karne k'è ssopr'esse. E 'l saccho coll'uncino si distenda e si vella, e si scarni e scortichi perfettamente infino a tanto ke la ghiandola e 'l suo saccho se ne possano trare interamente. E questo è mellio che ffare si puote ne la sua cura. E s'elli aviene cosa ke 'l saccho alcuna volta si rompa, sì ssi dee vellere colli uncini e levare, avengha che ssi tragha a pezzo a pezo, e continuamente si conviene investigare. E poi che ne fie tracto, koll'altro medicamento e kura, ke noi nominamo nel capitolo delli ulceri, si dovrae medicare. Ma elli si truovano alcuni inganatori i quali, disiderando di fare frode, lasciano stare un poco del saccho, a cciò k'elli penino a ffare più lunghamente quello cotale medicamento. E quelle ke non ànno saccho si debbono trare e metere lo studio solamente nel guerire le fedite ke vi dimorano.
L. VII, cap. 15 rubr.Capitolo .xv. De' nodi ghiandolosi.
L. VII, cap. 15Alcuna volta in alcune parti del corpo appare alcuna grosseza iguale a la grandeza d'una avellana, o poco magiore o poco minore, la quale, somilliata a le ghiandole, si genera spesse volte nel dosso de la mano o ne le luoghora ove è moltitudine di vene. La quale, quando ella fia fortemente stretta e premuta e stropiciata, si voterà e leverassine incontanente del tucto in tutto. E alcuna volta poscia riede, e alcuna volta non torna in niuna maniera, per la quale cosa il luogho si converrae priemere e stropiciare tanto ke ssi vòti e si faccia iguale. E poi si prenda uno pezuolo di piombo rotundo e, posto in su luogo, si stringha fortemente e così si lasci stare per tre dì, e poi, epithimato ko l'epitima de la calcina, si leghi. E se dipo 'l votamento il luogho fie costretto, sì non ritornerà. Ma ss'elli non fie stretto, spesse volte suole ritornare.
L. VII, cap. 16 rubr.Capitolo .xvj. De formicha apostema.
L. VII, cap. 16In alcuni luoghi del corpo com picolo apostema piccole pustole com puça, e piçicore, e arsura, e con forte kalore nel tocamento, si solliono fare alcuna volta; le quali molto tosto s'ulcerano, le quali, poi ke ssieno ulcerate, si cominciano a comprendere i luoghi ke ssono vicini e prociani e si dilatano. E 'l ventre si dee solvere e fare uscire com quelle cose ke spenghono e mandano fuori la collera rossa, sì come sono mirabolani e scamonea koll'acqua de' fructi. E il luogho ch'è ulcerato intorno intorno si dee epitimare ko l'epithima che noi nominamo nel capitolo del caldo appostema e su l'ulcere si dee porre dell'unguento de la cerusa. E se elli aviene cosa che elli non sia ulcerato, tucto il luogho si dovrae epithymare di questo epithima. E s'elli aviene cosa ke in questo apostema sia superfluo kalore e rosseza, il suo medicamento comincerai da la flebotomia, cioè da lo scemare sangue. Poi fa' fare l'altro regimento ke noi abbiamo detto e tucto il suo reggimento e 'l suo cibo reca all'altre cose che àno a raffreddare.
L. VII, cap. 17 rubr.Capitolo .xvij. Del fuoco di Persia.
L. VII, cap. 17Ad alcuni membri aviene alcuna volta puça e bollimento intollerabile, ove poi apresso ampolle piene d'acqua sottile si generano. Dumque si conviene, quando in alcuno membro alcuna cotale cosa si sente, li si soccorra incontanente ko la flebotomia. E s'elli aviene cosa ke l'ampolle non vi sono ancora nate, sì ssi soccorerà e l'ampolle se debbono rompere e aprire, e tucto il viro, cioè quella cotale putredine ke v'è dentro, si nne debbia cacciare et espriemere fuori. E poi vi si pongha suso impiastro facto de l'unguento di cerusa ke noi nominamo nel capitolo de l'arsura del fuocho. E l'ampolle non vi si debbono lasciare stare tanto ke acqua vi si raghuni dentro in alcuna maniera, ma intorno intorno vi si dee fare epithyma del bolio armenicho e d'acqua, d'aceto e d'olio, e co l'aiuto di Dio per questo modo si guerrae.
L. VII, cap. 18 rubr.Capitolo .xviij. De l'arostiscimento e adustione del fuoko di Persia.
L. VII, cap. 18S'elli aviene cosa ke, quando alcuno di questi aviene, quelli che 'l dee medicare sia presente, panno in acqua fredda, o in acqua rosata sopra la neve raffreddata si molli e si bagni e vi si pongha suso. I quali panni, poi che ffieno diseccati, sì sse ne debbono levare e vi si debbono porre suso li altri somilliantemente aparecchiati. E s'elli aviene cosa ke l'arsura o cottura sia molto grande, sì ssi dee fare la flebotomia dell'altro lato. E se vi fie il duolo fortissimo, tuorla d'uova dibatute coll'olio rosato ko la bambagia vi si deono porre suso; ma sse la dollia non vi fie molto forte, lenti scorticate o cerusa si pestino, e si mescolino insieme koll'aceto, e vi si ponghano suso, e poi vi si pongha suso panno molle ne l'acqua rosa raffreddata sopra la neve. E se vi si fanno vesciche, sì ssi medichi coll'unguento de la cerusa, il quale si fae in questa maniera: cera colata e quatro doppi di lei d'olio rosato si prendano, i quali distrutti, tanto di cerusa quanto possono ricevere vi s'agiungha e si muova intorno intorno. E apresso poi che fie kominciato a raffreddare, uno albume d'uovo si mescoli ai predetti tanto k'elli sia spessato; e poscia sança interponimento si dibatta, e meni tanto k'elli sia spesso, e si ripongha. E alcuni vi mescolano um poco di canfora. E se vi si fae ulco il quale se fia grande, ko l'unguento de la calcina si dovrae medicare, il quale si fae in questo modo. Prendasi calcina biancha ' netta, e tanta acqua vi si gitti suso k'ella se ne cuopra, e poi si coli e si parta da la calcina. E poscia a l'altra acqua si gitti sopra la calcina, la qual cosa, poi che ssi è fatto quatro volte, si lasci stare tanto ke ssia um poco raffreddata. E poi si dibatta nel vasello coll'olio rosato tanto ke ssia mescolato e unito e si ne faccia epithima.
L. VII, cap. 19 rubr.Capitolo .xviiij. De' patereccii ke ssi fanno presso all'unghia.
L. VII, cap. 19Alchuna volta intorno all'unghie si suole fare apostema kaldo, rosso, et emfiato, e doloroso, e ke fortemente batte, per lo quale spesse volte aviene febbre; e aviene e si scende la dollia infino a le luogora ke ssono sotto le titella e nella 'nguinaia. E s'elli aviene cosa ke ssia lungo tempo ke lo infermo non si scemò sangue, sì lli si conviene scemare. E di quelle cose ke ssono molto buone a cciò è ke il luogho s'umgha e s'embiuti sempre ko l'aceto e coll'oppio, tanto ke ssopra il luogho sia grosso epithima, e poi vi si pongha suso psillio conquassato e dibatuto kon aceto. E sopra tutto questo si pongha suso panno bagnato ne l'acqua de la neve, il quale si ne lievi poi che ffie passato una ora e l'altro vi si pongha in luogho di lui, la quale kosa tu ffarai molte volte. E s'elli aviene ke in questo luogho sia forte polso o batimento, questo medicamento, o similliante a llui per uno, cura di fare. La quale cosa fatta, se tu non vedrai sedare e menomare i predetti accidenti, epithima il luogho, o tu metti suso impiastro d'alcuna di quelle cose ke noi abbiamo nominate nel capitolo de' karbuncoli, imperciò k'elli perverrà a maturagione e a apertione e quello che v'è dentro n'uscirà fuori. E poi medicha e cura il luogo com quelle cose e con quello unguento kolle quali tu suoli medicare le fedite. E s'elli aviene piçicore all'origine e a la radice dell'unghia, l'unghia chadrae, per la qual cosa dipo 'l suo chadimento non si converrae giuchare co· llui, né in niuna maniera non si dovrae muovere, acciò ke ll'unghia ke si rinuova non nascha et escha torto e aspro.
L. VII, cap. 20 rubr.Capitolo .xx. Del fluxo del sangue e del suo medichamento e chura.
L. VII, cap. 20S'elli aviene cosa che de la fedita tanto sangue escha ke perciò huomo abbia paura ke la virtù ne indebolischa, sì ssi dee il membro fedito ond'esce il sangue diriçare in suso e legare in tale maniera che 'n llui non si senta dolore. E dipo questo i peli de la lievre mescolati co l'albume de l'huovo e involti nell'aloe, e incenso, e sangue di dragone pesti, si debbono mettere ne la fedita. O fila di lino sottile, talliata minutamente e involta di quelle cose ke noi abbiamo detto, vi si debbono somilliantemente mettere, overo ke la fedita si riempia di tela di rangnatelo. E se 'l sangue esce con salto e poi ritorna un'altra volta, o più volte incontanente, sappie ke quello cotale sangue esce de l'arteria talliata, cioè di quella vena ov'è il polso, de le quali noi tochiamo quando noi volliamo tocchare il polso. E s'elli aviene cosa ke 'l sangue esca pur in una maniera e sança salto, allotta esce pur de la vena talliata e non de l'arteria, le quali si debbono leghare e guerire kon quelle cose ke noi abbiamo detto. E s'è in questa maniera, il sangue rista e bene è. E s'elli aviene cosa che perciò il sangue non ristea, quella cotale vena, o arteria, si dee talliare, il cui talliamento sì è che quella cotale vena, o quella cotale arteria, leva in su kon uno uncino, s'ella si puote vedere, e se penda in alto e si ne tragha, e poi si tagli, e poi si riempia il luogho con quelle cose ke noi abbiamo detto. E s'elli aviene cosa ke questo non si possa fare, o ke le medicine non giovino, sì ssi incenda il luogo. E conviene ke il kauterio, cioè quello kotale strumento kon che ssi fae lo 'ncendimento, sia molto ardente e molto rosso, e sì ssi conviene molto guardare ke non si pongha in sul nerbo. E quelle kose ke ristringono il sangue sì è che la fedita si riempia di calcina o di açegi e si leghi. Medicina forte a cciò. Recipe: calcina, kolchatar, sangue di dragone, alloe, gesso, ypoquistidus, pesti bene sottilmente, si prendano per iguali parti, e poi si prendano le fila talliate ' mescolate ko l'albume de l'huovo, e s'involgano co le predette medicine. De le quali cose così aparecchiate la fedita si riempia, e intorno intorno a la fedita si getti e aspergha de la predetta polvere, e si leghi il luogho.
L. VII, cap. 21 rubr.Capitolo .xxj. De la flebotomia, cioè del torre sangue kome si de' fare.
L. VII, cap. 21(+i) Voi dovete sapere ke la flebotomia, cioè lo scemare sangue, vòta li homori ke ssono dentro le vene ke vanno per tucto il corpo, e questo votamento non dee neuno huomo fare se non per due cose: la prima sì è quando il sangue li abonda troppo, acciò ke l'huomo si possa mantenere in sanitade e le malatie e infermitadi schifare ke per sangue possono avenire; la seconda è poi che l'huomo è malato per le malatie rimuovere. (i-) Le vene de le quali acostumatamente si suole scemare sangue sono queste: la vena cephalicha, cioè la vena del capo, e matrix, cioè la vena comune la qual è kiamata funis bracchii, e la vena del feghato, e la salvatella (cioè la vena del dito k'è allato al dito grosso ne la mano), e la vena sophena (cioè la vena de la kavillia del piede dentro, la qual è apellata safena), e la vena de la pieghatura del polplete di sotto, e la sciaticha (cioè la vena k'è ne la chavillia del piede da la parte di fuori), e la vena k'è ne la testa, e le vene ke ssono ne le tempie da ciascuna parte, e le due vene ke ssono kiamate algudegy e sono ne la gola, e le vene ke ssono ne' kanti dell'occhi presso al lagrimale allato al naso, e quelle che ssono nel collo da ciascuna parte, e le vene ke ssono sotto la lingua, e quelle che ssono in ciascuno labro. Et è da notare che la vena del capo, e la comune, e quella del feghato si truovano ne la pieghatura del gomito da la parte dentro. E la vena del feghato è quella vena ke ssi vede e si truova da la parte dentro dal braccio, la qual viene dal luogho k'è sotto il titello. E la vena del capo è da la parte di fuori e vienvi da la parte de la spalla. E la vena comune sì è composta d'uno ramo de la vena del capo e d'uno di quella del feghato, la qual è posta in mezo di queste due. E la vena ch'è kiamata fune del brachio si sta di sopra all'ossa di sopra de le bracia, i quali ossi sono chiamati focili. E sappie ke 'l luogo de la vena salvatella è nel dosso de la mano, nel luogho ch'è intra 'l dito mignolo e quello ke lli è al lato; e 'l luogho de la saphena sì è nel chalcagno da la parte dentro, sì come il luogho de la sciaticha, o nel calcangno da la parte di fuori. E la vena de la fronte sì è quella ch'è in miluogho de la testa; ma le vene de le tempie sono due vene ke ss'avolgono e si truovano sopra le tempie. E quelle due vene ke ssono ne le cantora delli occhi sono molto e le più de le volte manofeste ne le cantora, e all'una volta non appaiono se la gola de l'huomo non si strigne molto fortemente. E la vena del naso no è manofesta, ma iscemasene sangue, quando il luogho è palpato o tentato si truova fesso e poi vi si fiede ko la lancetta. E 'l luogho de le vene ke ssono kiamate guidei è nel collo e di quelle che ssono chiamate algeberi è ne le labbra. E la flebotomia ne la conservatione de la santade e nel guerimento de le 'mfertadi è grande parte de l'operatione di medicina, s'ella si fae kente fare si conviene. E i corpi ke possono sofferire più la flebotomia sono quelli corpi ke ànno pilose le braccia, e ànno le vene ampie e manofeste, e sono bruni, colorati d'uno kolore mescolato di rosso e di fosco, e sono giovani e adolescenti, e ke non abbiano passati .L. anni o ivi intorno. (+i) Altre genti sì come i fanciulli e i giovani di meno di .xiij. anni, e l'imfermi ke ssi lievano di malatia, e huomini vecchi, e femmine pregne, e ki àe duro ventre et è stiticho, e homo ebbro, e ki àe abominatione e nauscha, e ki àe troppo giaciuto kon femina, e ki àe menagione, e ki àe per faticha troppo il corpo travalliato, (i-) non si debono scemare sangue se non in grande necessità (+i) o per gran bisogno, perciò ke ki ssi fae flebotomare, cioè scemare sangue, e non àe mestiere, elli pegiora molto sua natura e sua complexione, e invecchia più tosto, e fae venire ydropisia, e tolle l'apetito del mangiare, e affiebolisce la vertù del corpo, e del fegato, e de lo stomaco, e di tucto il corpo, e fae i membri tremare, e fae l'uhuomo divenire paraliticho e aplopeticho. Ma quando l'uhuomo lo fae quando n'àe mestiere, si guarda tutto il corpo e rimuove le malatie ke avenghono per pestilentie et esquinantia e malattia e altre assai. (i-) E sì ssi konviene guardare più che l'homo puote ke non si scemi sangue nel tempo kaldissimo, né nel tempo freddissimo, né in coloro ke ànno li stomachi distemperati a fredezza. E certo quando la vena del capo s'apre e si tallia o fiede, il sangue ke v'è di soperkio tosto ne viene fuori per quella vena. Per la qual cosa quando la 'mfertade è in quelle parti, la flebothomia si de' fare di quella vena. E quando si fiede o si tallia la vena basilicha, cioè quella del feghato, il sangue k'è nel petto o in tucto il ventre tosto passa per lei entro. Dumque, quando elli si dee torre sangue di queste luogora, sì ssi dee torre sangue di questa vena. E s'ella non si puote trovare, sì ssi dee torre sangue d'alcuno de' suoi rami. E la vena comune sì com'ella si compone di quelle due vene, kosì trae il sangue insieme insieme di queste due luoghora e si dee aprire quando l'enfermitadi advengono a queste due luogora, o quando tucto il corpo si dee votare e alleviare, e quando le predette due vene non si possono trovare. E la diferentia è 'ntra 'l torre sangue quando la 'mfertade è nel capo o no, imperciò ke la vena komune, avengna k'ella traggha del sangue ke è nel capo, si ne trae ella meno ke non fa la vena del capo e del sangue k'è nel ventre meno ke non fae la vena del fegato, ma tuctavia elli è mellio ke se ne scemi sangue quando la 'mfertade è nel ventre ke de la vena del capo. E impercioe quando la 'nfertade è nel capo, è mellio ke se ne scemi sangue k'è de la vena del fegato. Dunque, quando tolliendo sangue tu vorai talliare la vena del capo e non la puoi trovare, è forse mellio ke tue ne scemi d'alcuno de' suoi rami ch'è de la vena comune; e quelli cotali rami tu troverai molto ne la parte del bracio di fuori. E quando tu vorai scemare sangue de la vena del feghato e no la truove, alcuno de' suoi rami è mellio d'aprire k'è la vena comune. E questi cotali rami tu troverai ne la parte del braccio dentro più de le volte, e se tu nolli puoi trovare, si ne scema de la vena komune. E le vene ke ne la pieghatura de' poplici di sotto si truovano e la vena k'è kiamata saphena si debbono aprire o flebotomare quando il sangue si dee trare a la parte di sotto del corpo, e quando le 'mfertadi che avengono a queste parti sono croniche, cioè lunghe e di grande durata, et è dollia ne le reni e ne la matrice, e quando huomo vuole provocare e fare venire i mestrui. E la sciaticha si dee flebotomare quando la dollia si stende dall'ancha infino al piede. E la salvatella dritta si tallia e apre per la 'mfertade del feghato e la mancha si dee flebotomare per la 'mfertà de la milza. Ma le due vene ke ssono kiamate jugedi si debbono flebotomare quando l'alito è molto stretto e àssi a gram pena nel cominciamento de la lebrosia. De le vene ke ssono sotto la lingua si fae flebotomia quando huomo àe squinantia, cioè quando la gola si richiude per apostema ke vi si fa dentro, ma prima si dee fare flebotomia de la vena del capo. E la vena de la fronte si tallia e apre per l'antiche infertadi ke sono nel volto o nelli occhi, primeramente flebotomata la vena del capo. E le vene ke ssono ne le labra s'aprono quando in alcuno si moltiplica alcolla, cioè quella infertade, e lli ulceri sono ne la bocha e ne le gengie, la vena del capo prima flebotomata. E le vene che ssono ne le tempie si talliano e aprono per chagione de l'emigranea, o per grande dollia di capo, e si tragono e tagliano per lo male delli occhi (cioè per l'otalmya, male così kiamato, cioè appostemi d'occhi), quando molto dura. E le vene ke ssono nel capo si talliano per lo male del capo ke tiene tucto il capo e per li mali ulceri ke ssi fanno nel capo. E il grande errore ke aviene molte volte per lo scemare sangue de le vene è sì come io ti dirò, imperciò ke de la vena del capo, quando ella si fiede e apre, non solamente kon una percossa ma con più percosse, e quando il foro e la punctura è troppo stretta, e poi si salda e consolida e se flecte a la secondatione (cioè quando huomo vuole fare uscire sangue d'una medesima puntura quello medesimo die più volte o più volte im più dì), o quando fortemente si muove e fassi alcuna cosa kon mano, o k'elli sia isforzato e lli convengha durare alcuna faticha, sì vi si suole generare appostema. La quale, s'ella si tallia o apre a una sola percossa e puntura, è più sicura di tutte l'altre vene ne lo scemare del sangue. E si conviene guardare ke non si faccia la percossa nel cominciamento del lacerto, ma tastisi e cerchisi del luogho più molle e più morbido e ivi si faccia la percossa. E conciosiacosaké sotto la vena comune elli sia un nerbo, se la punta de la lancetta perviene infino a llui e 'l pungha, dopo la flebotomia averae stupore e adormentamento perdurabile, il quale forse durerà sempremai. Per le quali cose ciascuno sì dee guardare ke la puncta de la lancetta non a quello luogho ove il nerbo si sente essere, ma a la parte di lungi da llui si meni e a llui non discenda, e s'ella è intra due nerbi, sì si dee fendere la vena per lungheza. E in questo modo si conviene guardare dal nerbo ke è procciano e vicino de la vena quando homo il puote sentire e vedere. E s'elli aviene cose ke sottilissimo nerbo sia sott'essa, il quale nom appare e non si puote manifestare al sentimento, e se tallii, sì ssi ditrugge e guasta il senso di quello nerbo del tucto in tucto. Se la lancetta, quando si fae la flebotomia, viene infino al fondo e nel braccio, sì farae stupore e adormentamento, il quale durae lungho tempo. E ne la sua guardia no è milliore kosa che la fedita de la flebotomia non pervenga infino al fondo. E s'egli adviene alcuna volta che alcuno piccolo nerbo si tagli del tucto in tucto, non sarà loro nocimento ne' nerbi ke per sentimento si possono comprendere. E quello ke i ladici e li sciocchi ' stolti dicono ke per questo cotale facto si seguiti ariditade e ratraimento e dureza di mano, è busgia e falso, imperciò ke sse alcuno di sua buona volontà talliasse tucto questo nerbo, non averrebbe più che quello ke noi abbiamo detto. E sotto la basilica, cioè la vena del fegato, è allocata una grande arteria, la quale l'è presso. Per la quale cosa in lei si dee fare la flebotomia con gran kautela e con grande guardia observando tucte le cose, e magiormente s'ella no è grossa e manifesta. E la sua guardia è sì come noi diremo. Quando tu vedrai la vena del feghato e fie mistieri che di lei, trovata e congnosciuta per lo toccho, si scemi sangue, mellio sarae ke tue la lasci stare e un'altra ne tagli e punghi e apri. Onde konviene ke tu inchezi e cerchi alcuno de' suoi rami, sì come è la vena ascellata e le somillianti a llei. E se tu vuoli pur di lei, e non d'altra, trare il sangue, il luogho del braccio ko lleghatura si dee strignere. E poi che 'l luogho del polso e del baptimento fie conosciuto, sì ssi dee sengnare, e poscia si leghi, e s'osservi il più, e guardisi ke l'huomo puote ke dal luogho sengnato huomo s'allunghi più che l'huomo puote co la percossa e fedita, e si faccia la percosa a la parte, e verso la parte de la mano discendendo, imperciò ke ll'arteria discende verso la parte de la mano, tanto più si profonda e si parte da la basilica, cioè da la vena del feghato, il quale separamento e partimento comincia ne la pieghatura del gomito. E quando tu avrai leghato il braccio, se 'l luogho del polso ke tu avrai votato tu vedrai levare in alto et enfiare, sì ti guarda molto bene ke tu non tocchi quella vena, imperciò ke questo emfiamento non è se non emfiamento de l'arteria e suo riempimento. Onde se tue tagli o ffiedi la vena e tu vedrai il sangue uscire kon salto, il quale sia sottile e rosso, sappie k'elli escie da l'arteria. Dumque conviene allotta ke tue faccie uno lucignolo di bambagia incontenente e, bangnatolo e involto nell'albume de l'huovo, sì lo 'nvolgi ne la polvere dell'aloe e de lo 'ncenso, e del sangue del dragone, e póllovi suso, impercioe che questo medicamento fortemente ristringne il sangue. E dipo questo si llegha il luogho, il quale tue no sciollierai infino ai tre dì, ma ssopr'esso assiduamente vi spruça suso de l'acqua inaffiando, acciò ke 'l luogho non si riscaldi. E tucto questo non fare se nom poi ke tu avrai leghata fortemente quella parte k'è ssul luogho. La quale cosa perciò si conviene fare accioe ke 'l sangue si ristringha e si rifreni e salgha, imperciò ke poi che tu avrai questo fatto, sì potrai fare quello ke tu vorai. E quando elli fie venuto il terzo die, sciolgli il luogho soavemente. E se tu vedrai il medicamento esservi bene apicchato, nolne levare, ma del predetto medichamento vi poni intorno intorno e rilegha. E se tu vedrai ke del medicamento ne sia fiore spiccato, poni incontanente il dito tuo sopra il luogho. E quello ke n'è spiccato si nne lieva soavemente e poi vi riponi suso del medicamento e rilegha sì come tue facesti dinançi; imperciò ke im questo modo si ristrignerae il sangue de l'arteria, e l'arteria fia sicura e guardata da la diruptione e rompimento ke vi suole avenire, e guirae per lo comandamento di Dio. E s'elli si tolle sangue de la vena del feghato, e l'alteza che col toccho e kol tasto si sente sia molle e morbido, e quando tu priemi sopr'essa si discende o si bassa, mala e rea, e imperciò k'ella è alteza de l'arteria. Onde quelli ke avrà questo, sì ssi dotti e si guardi ch'elli non tochi alcuna cosa che la rompa, imperciò ke 'l sangue uscirà incontanente de l'arteria, ma pongavisi suso impiastro de le cose stitiche e laççe sempre, la qual cosa perciò si fa accioe che il luogho induri e così fie sicuro da la rottura. E quando elli si fae flebotomia ne l'arterie ke ssono ne le tempie, non ne seguita paura, imperciò ke sse astelle vi sieno suposte e leghate, il sangue si ristrignerà. E quando de la vena saphena e di quella k'è ne la pieghatura del poplite dentro si dee torre sangue, co la corda ne la parte di sopra del braccio si dee leghare, e poi il piè sopra un pezo di lacertolo, sopra il manicho del mortaio, si dovrà porre e strignere, e così si dovrà fare la flebotomia. E ne la sciaticha, ciò ch'è dall'ancha infino a le parti che ssono sopra il calcagno, per spatio di largheza d'una de le sue mani si dee leghare e in altra maniera non si manofesta in niuno modo. E se con questo non appare, sì ssi metta nel bagno lo 'mfermo e molta acqua calda si gitti i· sul piede tanto ke ssi manofesti. E se ancora così non appare nel suo luogho, alcuno de' rami che tu puo' conoscere, i quali si protendono ne la parte di fuori, flebotomia è milliore di quelli rami: e quello k'è intra 'l dito mignolo e quello ke lli è al lato. E la flebotomia de la salvatella si dee fare in questa maniera ke la mano si tenga ne l'acqua kalda tanto ke il luogho ke ssi dee flebotomare emfii e molto si manofesti, e poi si flebotomi, e poi si metta ancora ne l'acqua calda infino a tanto k'elli emfii, aciò ke il sangue ne la boccha de la vena flebotomata non si congeli e si pigli e non ne possa uscire. E quando elli ne fie uscito, quanto tu vorrai um pocho d'olio e di sale vi poni suso, acciò ke la fedita non si saldi troppo tosto. La quale cosa in ongne debole ramo e ne la flebotomia stretta ti conviene fare, e se la secundatione fie da ffare, sì ssi converae ke nel forte più tosto e nel debole più tardi si faccia; e non conviene quando l'uscire del sangue è malagevole, cioè quando escie malagevolmente, ke nel ristrignimento del sangue si priema e si pieghi per força il luogho, ma ssi lasci stare così kom'elli è, konciosiacosaké di ciò non si seguiti neuno male o ke quello ke del sangue è congelato sopra la fedita si lievi via col lato de la lancetta. E questo è mellio ke llevarlone via o stropicciandolo o koll'unghia freghandolo, sì come stolti ànno acostumato di fare. E se 'l luogho de la percossa de la lancetta sia apostemato per la flebotomia del luogho k'è ssopra llui, s'elli è mestiere di scemare sangue, flebotoma. E si dee observare ke dopo la flebotomia il luogho non si leghi troppo strettamente, imperciò ke questo à acostumato di fare venire apostema, né molti panni vi si ponghano suso, né sopra quel luogho alcuna di quelle cose vi si linischa o v'ungha, le quali alcuni, per chagione di farne venire buono odore, sempre acostumarono d'ungnere. E se il luogho è kaldo e ardente, niuna ora sia leghato, ma dêsi lasciare stare tanto ke sia alleviato, e acciò ke ssi raffreddi sì ssi dee inaffiare d'acqua rosata o d'acqua dolce raffreddata sopra le neve. E quelli a cui è scemato sangue in niuna maniera dee intrare im bagno, e magiormente se il luogho è kaldo e ardente, infino a tanto ke la fedita fia salda e che il caldo e l'apostema sia sedato e quietato. E quello cotale che ss'avrà in questa maniera, non presumma di bere vino in niuno modo, né il membro nel quale è la flebotomia muova, né niuna opera faccia con esso. E quelli ke ss'à scemato sangue, né 'l die de la flebotomia né 'l secondo die non si riempia di molto cibo, ançi moderatamente e più temperatamente, cioè a ssapere kon lieve cibo, il quale atuti la collera rossa e la ripriema e spengha, sia nodrito, sì come è sucaberegi molto acetoso, s'elli non àe aspreza nel peto ke questo non lasci a ffare o dimetti ad fare. La quale aspreza s'elli avesse, sì manuchi cibrabegi facto di carne d'agnello e huova molli. E ancora si dee observare ke niuno ebro, o k'abbia fastidio, non si scemi sangue infino a tanto ke tucte queste kose fieno andate via, se non fosse cosa ke per lo ritardamento de la flebotomia gram pericolo fosse, sì come quando l'atratione dell'aria è molto stretta, cioè quando homo nom puote avere l'alito, o quando il triemito del cuore è molto forte e spesso, il quale aviene con rosseza delli occhi del volto, o aplopesia, ne la quale il volto è rosso o nero, o squinantia e forte fluxo di sangue e repentino, cioè ke viene subito e repentemente, imperciò ke quando queste cose avenissero, sì ssi dee fare la flebotomia in ciascuna hora del dì e de la notte. E quando neuna necessitade non vi fie, sì come ne le sopradette cose, buona cosa è ke la flebotomia si facia poi che due ore del die o tre fieno passate, e poi che la digestiva avrae compiuto la sua operatione, cioè ke avrae bene ismaltito, e la superfluità de la fecia fia messa fuori del corpo, cioè fia uscito. E se alcuno àe acostumato di tramortire per la flebotomia, konviene che dinançi a la flebotomia elli manuchi um pocho di pane molle nel sugho de le melegrane, o nel sugho dell'uve acerbe, o mollato e intinto ne le cose somillianti a queste; e conviensi torre sangue quello cotale non a una volta, ma tra tre volte o quatro si tragha. E la sincope e 'l tramortimento si fae più de le volte per lo scemare troppo sangue nell'ora ne la quale esce troppo sangue im picolo tempo, imperciò ke queste cose allotta quando per forte flobotomia, cioè a ssapere quando dopo la flebotomia, piccolo spatio interposto (cioè posto in mezo) molto sangue si trae e alcuna volta aviene. La qual cosa se questo aviene, converassi che la sua uscita si contradi l'una ora dopo ll'altra. E noi nomineremo aguale i medicamenti de la sincopi, cioè del tramortimento, ke aviene per la flobotomia. E guardisi ke alcuno non si flebotomi in neuna maniera dopo la passione kollericha, e vomito, e fluxo di ventre, né dipo 'l coito (cioè ke àe avuto a ffare kon femina), né dipo molta faticha, e dipo molto veghiare, e a la perfine dipo tucte queste cose ke il corpo disolvono, o indeboliscono, o che fortemente riscaldano. E la misura del sangue ke ssi dee trare konviene ke ssia secondo l'uso e secondo la dispositione di quello per chagione del quale la flebotomia si fae e secondo la virtude. E colui ch'àe il kaldo apostema, sì come è pleuresi (cioè appostema nel costado) o ll'altre ke lli sono somillianti infertadi, quando si tolgono sangue, la mutatione del colore del sangue da la propia dispositione dee atendere. Ma colui che non à apostema quando si scema sangue, non dee questo observare nel suo sangue, conciosiacosaké tucto il suo sangue sia iguale. In coloro ke ànno apostema caldo, quando si scemano sangue, se 'l sangue tarderà il mutamento e la paura de la distrutione de la virtude sia presente, il sangue è da ristrignere, né non si dee aspettare tanto ke 'l sangue si muti. E s'elli aviene cosa che nel die de la flebotomia bea tanto k'elli inebbrii, il suo braccio si leghi con due leghature, al quale si dieno guardie ke veghino e 'l guardino. In molti, imperciò, el sangue in tale maniera korre infino ke alcuni muoiano e alcuni aproximino e aprocino a la morte. Per la quale cosa quando alcuna di queste cose avenisse, e a la perfine quando del sangue onde umque elli uscisse in grande quantitade tanto ke elli abatta la virtù, de l'acqua de la carne e 'l vino sottile e bene olliente nel quale sia forteza e possança subitamente li si dea e cosa bene olliente li si dea. E se elli è già pervenuto a quello ke nom possa già neuna cosa mandare giuso, i denti de lo 'mfermo s'aprano, e l'acqua de la carne com pocha miva moscata e vino bene olliente si metta ne la sua boccha, e a tucto il corpo kose ke reddano buono odore, e magiormente al petto e al ventre, si dieno, e 'l naso dentro s'ungha di ghallia. E lo 'mfermo una hora dipo ll'altra si fumichi, dinançi al volto di cui polli arostiti se speççino, e al suo naso cibi bene ollienti, i quali sollion conmuovere et excitare l'apetito, si pongano presso. E la sincope, cioè il tramortimento il quale aviene insieme quando si tollie sangue, seguitare e fare quelle cose ke noi abiamo detto la contradiano più di volte. E s'elli aviene cosa ke ko la flebotomia avengna vollia di reddere, sì ssi dee mettere una penna ne la boccha de lo 'nfermo acciò k'elli renda. E poi li si dee spargere sopra lui acqua rosa o acqua fredda, e vi si dee mettere entro, e dêsi chiamare a gran grida, e dêsi muovere. E s'elli aviene cosa ke per questo nolli rivengha la memoria, sì li si dee soffiare nel naso del moscado e ne la sua boccha si dee mettere de la gallia, cioè di quella confettione odorifera, e li si de dare vino temperato kon um pocho d'acqua, e li si dee strupiciare la boccha de lo stomacho e tucto l'altro suo corpo, e poi si dee tornare a metterli la penna ne la boccha, e a tutto l'altro suo regimento. E quella sincopi, co la quale è nauscha e abominatione e vollia di reddere, è rea. Per la quale cosa non si dee huomo allotta ingengnare di fare reddere, ma nel suo medicamento e ne la sua cura sì dee molto studiare e, più ke l'homo puote fare, ke lli si dea subitamente sugho di carne e vino e 'l dee huomo muovere e kiamare fortemente e sopra llui gitare acqua, inaffiandolne. E spesse volte quelli k'è tramortito riede a memoria e nel suo senno per lo suono del tamburo, e del cembalo, e per le sampogne, e per le garricité, e romori, e grida.
L. VII, cap. 22 rubr.Capitolo .xxij. De le ventose, overo koppette.
L. VII, cap. 22Le ventose (coppette) non tragono sangue se non de le piccole vene ke ssono sparte per la carne. Per la qual cosa non indeboliscono sì come la flebotomia, cioè quando si scema sangue de la vena; avegna k'elle menimino la ripletione del corpo. (+i) Le ventose spurghano il sangue k'è ne le vene picole intra 'l cuoio e la carne, e perciò non si debbono ventosare quelli k'ànno grosso sangue s'elli non si bagnano primamente, e poi k'elli sarà bagnato d'una ora si faccia ventosare; ma coloro ke ànno il sangue sottile non si deono bagnare, perciò ke le ventose operano diversamente nel corpo de l'homo secondo la diversità de' lluoghi ov'elle sono messe, sì vi ne diremo k'elle fanno. E 'l tempo e l'ora del ventosare sì è quando la luna è piena a meçço il mese ke, ssì come alcune genti dicono, i membri sono allora più pieni d'omori. L'ora la quale l'uhuomo si dee ventosare sì è a terça o intra terça e prima. E sapiate ke le ventose (i-) e i luoghi ove le ventose si solliono porre sono questi, sì come il luogho k'è intra le due corna del çucolo del capo di dietro, e ne le due corna del detto çucolo, e nel luogho k'è sotto il mento, e l'altro luogho k'è intra le due spalle, e i luoghi ke ssono ne le polpe de le ghambe dentro. E la ventosa ke ssi pone nel luogho intra i predetti corni del çucolo del capo giova molto a la graveza e a la vanitade k'è nel capo (+i) a coloro ke divenghono folli per malvagio cervello. (i-) Ma il sangue ke ssi trae ko le coppette ke ssi ponghono ne le due korna ke ssono dette sifaliche e allieva il volto e 'l capo e lli occhi e giova a la graveza k'è nel capo e al dolore de' denti. E per l'aventura a queste cose giovano altrettanto quanto la flebotomia. E la ventosa ke ssi pone sotto 'l mento a le piccole pustole e bolle ke ssi fanno ne la boccha e al nocimento de' denti fanno rimedio, e a la coruptione de le gengie, e ancora a tucti quelli mali ke ssi fanno ne la boccha e al nocimento de' denti fanno rimedio e giovano. E la coppetta ke ssi mette intra le spalle vale al triemito del cuore k'è con riempimento e con repletione e kalore. Ma quella ke ssi pone ne la polpa de la ghamba fortemente menoma la repletione, e ' li antichi dolori ke ssono ne le reni o ne la matrice e ne la vescicha giova e provoca e fae venire i mestrui, ma alcuna volta fae dimagrare il corpo, e suole fare tramortire alcuna volta, e giovano a coloro ai quali solliono avenire pustole, e papici, e karbuncoli.
L. VII, cap. 23 rubr.Capitolo .xxiij. De le sanguisciughe overo mignatte.
L. VII, cap. 23(+i) Voi dovete sapere ke una maniera di sanguisciughe sono le quali ànno veleno e sono velenose, sì come testimoniano li autori di fisicha. E per konoscere quali sono buone e quali sono ree, sì le v'insegneremo conoscere. Avicenna dice ke quelle ke ssono grosse il kapo (e ànno grosse le teste), e ke ànno kolore intra nero e verde vaiolate d'indaco, e ke dimorino in stagni putridi, di quelle si dee huomo guardare per lo veleno k'elle portano, ké apostemi e febbri n'avenghono e male piaghe, spasmo e fieboleza di membri. Quelle ke ssono buone sono quelle ke dimorano in acqua korrente, ove ranochi sono, e ke ànno colore rosso obscuro, e ke ànno la testa piccola, e sono somillianti a coda di topi. Ma quelle ke mellio valliono sono quelle ke ànno il ventre rosso e sono verdi sopra 'l dosso, ma ch'elle sieno in acqua korrente, e queste sono le milliori. E poi ke voi sapete quali sono le buone, sì vi diroe a ch'elle valliono. Elle valliono a quelli che ssono litiginosi, a quelli che ànno gotta, robbia, e mal colore rosse del viso, e a piaghe facte di lungho tempo ke nom possano saldare, ma ch'elli sieno di prima segnati de la vena. E 'l sangue che le sanguisciughe purgano si viene più di profondo che non fae quello de le ventose. E si dee observare quando le mignatte si prendono che ssi guardino un giorno o uno mezo die poi k'elle saranno prese, e le mettete in acqua kiara per purghare ciò k'elle avranno nel ventre, e sarebbe buono di nodrire di sangue d'agnello e d'altra cosa, dinançi ke l'huomo le si pongha. E apresso si conviene i· lluogho ov'elle si dee mettere stropiciare quel kotale membro, e bagnare koll'acqua calda tanto ke diventi rosso, e poi vi si debbono apicchare, e s'elle non vi si volliono apicate, sì ssi ungha il luogho kon sangue ricente, o con malmetta per più tosto prendere (i-). E quando le mignatte si pongono ne le luogora ove è volaticha, o safa, o fedita antica, primieramente tolto e scemato sangue, sì giovano molto. (+i) E quando elle saranno piene, e voi le ne vorete levare, prenderete um poco di cennere, o um poco di sale, o seta arsa, o lino arso, o spugna arsa, o lana arsa, e la gittate di sopra, sì kadranno incontanente. E poi ke ella sarà caduta, si conviene ke l'huomo lavi il luogho di buona acqua calda, e i· rimanente del sangue sia purgato per ventose, se 'l luogo (i-) è tale ke vi possano porre su coppete, acciò ke ssughino quello cotale sangue k'è rimaso presso a la buccia. E dêsi quello cotale luogho lavare con molta acqua kalda e strupicciare e priemere, quando elli è possibile. Quello ke noi abbiamo detto è mellio, e sì chome noi dicemo ke, poi ke le ventose vi sieno poste, ke vi si lavi. E s'elli aviene cosa che poi ke le mignate sieno cadute il sangue risudi o giema, (+i) et escha più ke non dee e voi il volete stagnare, (i-) panni lini molli in aceto vi si ponga suso. E se in questa maniera perseverasse, terra sigillata o tegholi ricenti triti molto bene, e balaustie arse trite poste suso, (+i) e polvere di cennere ben soctile ke maravigliosamente queste polveri stringono e stagnano il sangue. (i-)
L. VII, cap. 24 rubr.De la vena civile. Capitolo .xxiiij.
L. VII, cap. 24Questa infertade aviene ai corpi caldi e secchi, e asciuti, e ai membri ne' quali è picola humiditade; la quale, advengha ke ne le ghambe esca alcuna volta, alcuna volta appare nelli altri luoghi. E ançi k'ella cominci ad aparire nel membro, al membro aviene bollimento, poi che alcuno de le sue luogora komincia a vescichare, del quale poi comincia vena a uscire. E di quelle cose ke contrariano ke questa infertà non vengha è ke ss'umenti e ramollischa il ventre e 'l corpo kol bagno e con dieta e regimento nel bere e nel mangiare e comandare ke 'l paese, ove questa infertà suole avenire, non si manuchi né camangiari né fructa. E queste cose ke noi abbiamo aguale nominate generano la predetta infertade. Ma quando nel luogho si cominciano a ffare ampolle e vesciche e la vena comincia a uscire, giova ke 'l primaio die dr. 1/2 d'alloe, e nel secondo die dr. .j., e nel terzo dr. .ij. bea. E ancora il luogho s'epithimi d'alloe, imperciò ke la distruge e disfae del tucto in tucto. E poi k'ella fie uscita fuori, quello ke di lei appare fuori sopra una piccola kanna fatta di piombo, il cui peso sia d'una dr., si dee avolgere e co la predetta kanna leghare e si lasci stare ke penda, imperciò ke per la sua graveza komincia a discendere e prolungharsi (o dilungharsi) e piutosto n'esce. E quando alcuna parte di lei elli ne fie uscita, sì ssi avolgha e leghi intorno al piombo. E quello che nn'è gia uscito sì ssi tagli, e quello che ffie rimaso s'avolgha e non se ne chavi la radice. Di questo si conviene guardare, imperciò ke sse ssi facesse, sì ssi ratrarebbe ne la carne e genererebbe apostema puçolente e ulceragione maligna. Per la qual cosa a questa infertade si dee sovenire lusinghadola e a poco a poco si dee trare fuori la vena tanto k'ella ne sia tucta fuori e fior di lei non ne rimangha nel corpo. E s'elli aviene cosa ke la radice se ne tagli, nel suo foro si pongha e si metta radius, quello cotale istrumento, e si fenda per lungho, e aprasi finemente tanto ke ciò ke vi si contiene de la sua materia si vòti; e poi vi si pongha il bituro per alquanti die tanto ke ssi fracidi e la sua materia si consumi e po' si medichi con quelle cose ke generano carne.
L. VII, cap. 25 rubr.Capitolo .xxv. Di trarre le saette.
L. VII, cap. 25Quando la saetta fie fortemente passata et entrata im profondo non si dee fortemente crollare acciò ke non si rompa. E s'elli è possibil cosa, ke lo strumento il quale è kiamato forfici si metta ne la fedita e tanto vi si metta ke vengha all'asta. E se questo non si può fare, la fedita si dee prima allarghare, e poscia lo strumento vi si dee mettere, e tanto vi si dee pignere entro k'elli morda e prenda l'asta; e poi ke ffie così facto lo strumento ne le sue extremitadi ke ssono di fuori si dee strignere, e poi si dee crollare alquante volte, acciò ke perciò si pruovi quanto v'è entro fitta e poi se ne tragha, imperciò ke, poi che il predetto strumento avrae morso la saetta, appena si partirà da llei, imperciò ke la sua boccha è sì come lima. Per la quale cosa per poco kostrignimento facto ne la parte di fuori, fortemente si strigne la saetta. E se la saetta avrà passato nel lacerto in tale maniera ke il luogho, poi che ffie entrata, al suo uscire sia duro e malagevole e il luogho dell'altra parte a trarla sia agevole, sì ssi fenda l'altra parte e se ne tragha indi. E le parti de le spine e l'astelle e i ciçeçii e l'altre cose ke entrano nel corpo si debbono trare ko lo 'mpiastro fatto e posto ko le cose e de le cose ke ànno a rilaxare, e aprire, e ranmollire. E quando il luogho fia ranmollito, quello ke ffie entrato nel corpo si n'uscirae e verrae a llui. Onde sono alcuni i quali queste medicine kiamano extractive, e di quelle kose ke aoperano in questa maniera sono l'armoniaco, quando si mescola kol mèle, e se ne fae impiastro, e pollovi suso, e quando de le cipolle narcisci vi si ponghano suso, o quando di tucte queste cose mescolate insieme si fae empiastro e vi si pone suso, o quando le radici de le kanne trite col mèle vi si pongano suso, o quando di tucte le predette cose vi si ponghano suso mescolate insieme e fattone impiastro, imperciò ke iguale la loro operatione fie più forte.
L. VII, cap. 26 rubr.Capitolo .xxvj. De le percosse ke ssi fanno nel capo.
L. VII, cap. 26Quando per la percossa del capo l'osso non fie rotto, polvere d'alloe, e di mirra, e di sangue di dragone, e d'incenso, e di corallo vi si dee spandere, e per questo cotale medichamento guirrae molto tosto. Ma sse ll'osso fie così rotto k'elli discenda giuso e si tagli il craneo, non vi si dee avere neghienza, imperciò ke di questo averebbe turbamento d'intelletto e spasmo, cioè contrattione, e poscia seguiterebbe morte prociana. Per la qual cosa quello cotale osso si dee trarne incontanente, e conviensi guardare ke 'l pannicolo k'è sotto l'osso non si rompa. E a queste cose operare e fare è mistiere medico savio e soavemente operante. E quello per ke noi abbiamo facto mentione in questo luogho, non facemo per altra cosa se non acciò ke noi mostriamo kom'elli è gram paura in questa infertade, e subitamente si metta in studio nel trare l'osso innanzi ke i predetti accidenti avengnano, i quali sono rei e non si possono schifare. E 'l medicho si guardi in tucti modi k'elli puote ke 'l pannicolo k'è sotto l'osso non si rompa.
L. VII, cap. 27 rubr.Capitolo .xxvij. De' falsi e frodolenti medici e de' loro inganni e frodi.
L. VII, cap. 27Le frode e le falsitadi de' medici ingannatori sono tante e di tante diversitadi ke tucto questo nostro libro no le potrebbe comprendere, imperciò ke il loro ardire e il loro isvergognamento e la loro concessione per la quale elli congnoscono k'elli, per niuna cosa, affligono li homini, e in ultimo de fine più ch'essere possa poi ke altro non si truova, imperciò ke ssono alcuni di loro che dicono k'elli gueriscono l'epilensia, cioè del male maestro, per la qual cosa il cominciamento del capo da la parte di dietro fendono in modo di croce, e traghono de la fedita alcuna cosa ch'elli tenghono ne le loro mani, e fanno fede alli homini ch'elli la tragghano di quella talliatura. Altri sono ke fanno ke ssi creda k'elli traghano del naso una piccola lucertola, mettendo nel naso dello 'mfermo tasta aguta o fferro aguto, kol quale elli radono tanto ke 'l sangue n'esce. Poi fanno ke la cosa ch'elli tengono in mano, cosa similliante a llucertola, paia che escha del naso, la quale cosa elli fanno de le vene del feghato. E sono alcuni che fanno ke ssi creda k'elli tragghano l'albugine dell'occhio, i quali, poi k'elli misero il ferro nell'ochio, cominciano primieramente a ffreghare con esso e poi mettono nell'occhio uno sottile pannicolo, il quale, traendolo col ferro, dicono k'elli il tragghono dell'occhio. E sono alcuni ke dicono k'elli tragono, sughando, l'acqua dell'orecchie, i quali tenghono l'acqua ne la boccha, e uno kapo di kanna tengono ne la sua boccha e l'altro pongono ne l'orecchie de lo 'mfermo, e sughano, e poscia gitano l'acqua per la canna, la quale teneano im boccha e dicono ke de l'orecchie l'ànno tracta. E alcuni altri sono i quali di piatto mettono i vermini nelli orecchi e ne le radici de' denti, e dicono ke di quelli luoghi li traghono. E sono alcuni ke ffanno credere ke elli traghano uno ranocchio di sotto la lingua, onde ivi talliano e fanovi una fenditura, e pilliano la ghiandola ke v'è apicchata e la ne traghono, per ke nominerò io quello ke mettono ne le fedite e nelli ulceri, sì come l'ossa e, quando le v'ànno lasciate stare per alquanti die, sì lli ne traghono, e questo fanno spesse volte. E sono alcuni i quali, quando de la vescicha traghono la pietra, dicono ke v'è ancora un'altra pietra, e quello fanno aciò ke ssi creda k'elli traghano indi l'altra pietra, e alcuna volta tocchano la vescicha e, non sappiendo per certo ke ivi sia pietra, sì la talgliano, e se non vi truovano pietra, sì la vi mettono, e poi la ne traghono. Ché apertiene di dire ke lla carne talliano e le morici, e dicono ke elli l'àe, e questo fanno spesse volte, e a le moreci e a le rei fedite ke non erano inançi perduchano e menano. E sono alcuni ke affermano di trare flemma vitrea de la coscia o del membro, cioè de la vergha, o di qualumque luogho del corpo elli vuole, per la qual cosa il luogho scarifichano e ivi talliano. E con l'ambulla, la quale elli vi ponghono suso, o sopra 'l capo de la vergha, molte volte sughando alcuno homore, il quale alcuna volta elli tengono nascoso ne la boccha per embula, cioè per quello kotale strumento, gettano nel bacino. E sono alcuni ke dichono ke tucte le 'nfertadi ke sono nel corpo e ne la persona di ragunarle in uno luogho e di trarle indi. E questi cotali kon eliengi kominciano a strupiciare, onde ivi si fae piçicore e grande arsura. La quale cosa, poi ke ll'ànno fatto, sì domandano d'esserne rimunerati, acciò k'al predetto luogo elli traghano la 'mfertade. E quando elli sono paghati, sì unghono il luogho kon olio e vae via il piçicore. E sono altri ke ffanno credere ke o peli o vetro li sia dato, ond'elli prendono la penna e li le mettono im boccha, e 'l fanno reddere, e co la penna li mettono quello in boccha, poi ne traghono kose molte di questa generatione le quali elli fanno. Onde agli uomini fanno molti e grandi nocimenti e forse alcuna volta li uccidono. E tucte queste cose non sono ai savi occulte, né piatte, né nascose, se nom perk'elli si comettono in loro e si fidano di loro, non estimando né presumendo ke i· lloro sia male, né inghanno, né frode, né di loro dottandosi. Ma quando ne' loro kuori è alcuna sospetione et elli ànno kominciato a riguardare e a ppor mente ai loro fatti, e molti occhi abbiendo sospecione di quello medesimo, le loro busgie e le loro frode e inghanni, sì proveranno e le loro falsitadi. Per la quale cosa i savi non si debbono mettere ne le loro mani, né nom debbono pilliare alcuna de le medicine k'elli danno, perciò ke elli n'ànno già molti distrutti e morti. E qui si termina la sententia del septimo libro. A dDio, il quale ci àe atato, sieno infinite gratie. Amen.
L. VIII, Index rubr.Qui apresso cominciano i chapitoli de l'ottavo libro di Rasis, i quali sono in somma cimquanta e due capitoli.
L. VIII, IndexCapitolo primo de l'ottavo libro, overo tractato. De le somme e agregationi da medichare i veleni e i morsi de' velenosi animali e come l'huomo si dee guardare. Capitolo secondo. Del morso de la vipera. Capitolo terzo. De le punture de li scorpioni. Capitolo quarto. De le punture de' saraceti, o albarathen, cioè di scorpioni piccoli. Capitolo quinto. Del morso de la rutela e del ragnalo. Capitolo sexto. De la puntura de l'api e de le vespe. Capitolo septimo. Del morso de lo scellone e de la rutela. Capitolo .viij. Di quelle cose ke kacciano via li animali velenosi, e i serpenti, e i lupi, e le bellve e l'altre fiere rapaci. Capitolo .viiij. De' morsi de' cani non rabbiosi, e de le bestie, e de' furoni, e delli homini. Capitolo .x. De' morsi de' cani rabbiosi. Capitolo .xj. Di coloro ai quali i napelli si danno. Capitolo .xij. Di coloro a' quali sono dati a bere i cornispice. Capitolo .xiij. Di coloro ai quali il fiele del leopardo fu dato a bere. Capitolo .xiiij. Di coloro ai quali fu dato a bere il fiele de la vipera. Capitolo .xv. Di coloro ai quali fu data la sumitade de la coda del cerbio. Capitolo .xvj. Di coloro ai quali il sudore de le bestie fu dato a bere. Capitolo .xvij. Di coloro ai quali fu dato a bere le canterelle e la stafisagria. Capitolo .xviij. Di coloro ai quali fu dato a bere l'oppio. Capitolo .xviiij. Di coloro ai quali fue dato a bere il jusquiamo nero. Capitolo .xx. Di coloro ai quali fue dato a bere la mandraghora, cioè l'erba luccia. Capitolo .xxj. Di coloro a cui fuorono date a bere le noci kastaneole. Capitolo .xxij. Di coloro ai quali fue dato a bere i semi de iusquami albi. Capitolo .xxiij. Di coloro ai quali le foglie del coriandro verde fuorono date. Capitolo .xxiiij. Di coloro ai quali fuoron date il sugho de le foglie del psillio. Capitolo .xxv. De' funghi e trumbis mortali. Capitolo .xxvj. Del sangue e del lacte ke si prende nel corpo. Capitolo .xxvij. Delli arostiti ke ssi cuoprono sì che 'l fungho non ne puote uscire fuori. Capitolo .xxviij. Di coloro ke manucano i pesci freddi. Capitolo .xxviiij. Di coloro ke avessero manichato il lacte corrotto. Capitolo .xxx. De' nocioli muffati e corrotti de' quali viene reo odore e delli olii spessati di reo odore. Capitolo .xxxj. Di coloro ai quali fossero date le rane de:lagho o del fiume. Capitolo .xxxij. Di coloro ai quali fie dato la lievre del mare. Capitolo .xxxiij. Di coloro ai quali fue dato il reo kastoro. Capitolo .xxxiiij. Di coloro ai quali fue dato l'anacardo. Capitolo .xxxv. Di coloro ai quali fue dato l'oleandro. Capitolo .xxxvj. Di coloro ai quali fue dato a bere la cipolla squilla. Capitolo .xxxvij. Di coloro ke avessero bevuto o fosse dato bere il seme de l'orticha. Capitolo .xxxviij. Di coloro ai quali l'acqua fredda fece nocimento. Capitolo .xxxviiij. Di coloro ai quali fu dato a bere il gesso. Capitolo .xL. Di coloro ke bevero lo litargiro, cioè l'aghetta. Capitolo .xLj. Di coloro ke bevero l'ariento vivo. Capitolo .xLij. Di coloro ke bevero la biaca. Capitolo .xLiij. Di coloro ai quali fosse dato kalcina insieme, o arsenicho sobblimato, o grasso di sapone, o ne la cui gola la polvere de l'arsenicho, o kalcina, fosse entrata. Capitolo .xLiiij. Di coloro ai quali nocque la ferrugine del ferro o la sua limatura data a bere. Capitolo .xLv. Di coloro ai quali fue dato a bere çimar, cioè verderame. Capitolo .xLvj. Di coloro ai quali fue dato a bere molto allume o vetriuolo. Capitolo .xLvij. Di coloro ai quali fosse dato a bere totomalgli o altre velenose erbe. Capitolo .xLviij. Di coloro ke bevero l'eleboro biancho, e la noce vomicha, e 'l condisi o archaitha. Capitolo .xLviiij. Di coloro ke bevero l'eleboro nero. Capitolo .L. Di coloro ai quali fue dato a bere l'euforbio. Capitolo. Ai quali fue dato a bere il mezeron. Capitolo .Lj. Del mellioramento de le medicine ke ffanno uscire, nel quale si nomina le loro virtudi e la quantità ke ssi ne dee dare loro. Capitolo .Lij. De l'exempro da comporre le medicine.
[L. VIII, Incipit]Qui comincia l'ottavo tractato, overo l'ottavo libro coll'aiuto di Dio.
L. VIII, cap. 1 rubr.Capitolo primo. De le somme e de le agreghationi di medichare i veleni e i morsi de' velenosi animali e a guardarsi schalteritamente da lloro.
L. VIII, cap. 1Colui il quale àe alcuno cibo o alcuno nodrimento a ssospetto, conviene ke 'l cibo nel quale è troppa dolceza, o troppa acetositade, e a la perfine ciò ke àe superhabundante e forte, in niuna maniera manuchi, imperciò ke le medicine perniciose e mortali e velenose in niuna maniera si possono mescolare, se non a cotali nodrimenti e a cotali cibi kente detti sono. E se 'l cibo àe reo olore, sì ssi dee lasciare stare e nom prendere. E se alcuno teme ke alcuno veleno li sia dato, sì dee pilliare continuamente alcuna de le medicine ke l'operatione del veleno suole torre o indebolire, s'elli la puote bere ançi k'eli prenda il veleno; le quali medicine noi nomineremo e conteremo ne la fine di questo tractato. E s'elli adviene cosa ke, ançi k'elli abbia preso quelle kotali medicine contra il veleno, pilgli il veleno o li sia dato, si conviene ke, incontanente k'elli avrà cominciato a ssentire mutamento in sé e ambascia e riscaldamento o altra cosa, sì li si dea a bere acqua tiepida con olio de sisamo, de le quali due cose tanto bea infino ke 'l ventre ne sia ben pieno e poi li si dee dire che vomischa. E se tu vedi ch'elli è pigro a reddere e non redde sì tosto, cuoci l'aneto ne l'acqua, a la quale acqua tu mescola mèle e baurach (cioè salsume) o sale. E quando tu l'avrai facto redere molte volte, attendi se ne le parti di sotto del ventre elli senta arsura o cocimento. E s'elli aviene ke così sia, fagli cura o ssopposta e faglile mettere di sotto o tu lli fae fare cristere sì che escha. E s'elli aviene cosa ch'elli senta ai predetti accidenti (o predetti mutamenti) ne lo stomacho, sì li si dee dare medicina tale che, quando elli l'avrae presa o bevuta, elli escha a ssella; e mellio è che tu faccie l'uno e l'altro insieme. E s'elli aviene cosa ke dipo queste cose lo 'mfermo si riposi e non senta neente de le predette cose e de' predetti accidenti, è utile cosa e buona; e se non, considera ke accidenti e chenti novitadi à in sé in alcuna parte del corpo: stimulamento o talliamento e corrodimento, e s'elli à bollimento e sudore e rosseza del volto, et enfiamento di vene, e angoscia, e sete, e puço di boccha, e gialleza d'occhi, e congelatione e raffredamento, e leçençi, e stupore (cioè sciabordimento), e subbeth (cioè vollia di dormire), o k'elli apaia i· llui alcuna de le cose somillianti a le predette cose, et elli ancora comincia a pegiorare, e a cui aviene spesse volte sincope, cioè tramortimento e disolutione di virtude, imperciò ke lli acidenti ke noi nominamo primieramente sono accidenti di veleni kaldi e corrosivi. E i secondi accidenti ke noi abiamo contati aguale da ssezo sono accidenti di veleni ke con tucta la sua substantia e tucta sua natura si truovano contradi a la complexione delli homini. E s'elli aviene cosa ke tu lli truovi i primai accidenti, da' a bere a lo 'nfermo acqua co la neve, e sanith coll'acqua co la neve, e col çuchero, e acqua rosata, lacte, e bituro, e olio di mandorle, imperciò ke questo cotale medicamento rompe l'acuitade del veleno e riprime e spengne il suo mordicamento. E quando noi ci saremo aveduti e intenduti i secondi accidenti, sì lli dae a bere l'acqua co la neve, e 'l sanith coll'acqua e co la neve, e col zuchero, e olio rosato, e falli prendere trocisci di camphora, e konfortalo k'elli bea olio rosato raffreddato. E ancora atendi in quale luogho del corpo elli senta magiore infiammamento e magiore arsura, al quale luogo tu sopraponi impiastro facto di lenti raffredate in acqua di neve; il quale empiastro tue rinovellerai tante volte mutando infino ke il luogho per lo troppo grande freddo diventi stupido e adormentato, e poi li da' psillio, e lacte di vaccha del quale il bituro sia stato tratto, e 'l sugo de' fructi freddi. Nel quale infermo se tu vedrai sengni di repletione, sì lli fa' scemare sangue, e s'elli è stiticho, sì li dae medicina da ffare uscire di sotto e poi li da' a manichare cose ke abbiano a rafreddare e a spegnere. E se vedrai le terçe significationi, sì dae a lo 'nfermo agli, e senape, e de la medicina che ssi fae de l'asa, e fagli bere vino vecchio, forte, e potente, e puro, e no 'l lasciare dormire, ma fagli sofferire sete, e stropiccia il suo corpo, e riscalda il capo e 'l pecto kol panno caldo. E quando le quarte significationi aparranno, soccorri incontenente, imperciò ke queste significationi de' veleni sono pigiori di tucte l'altre, sì come quelle ke più tosto danno la morte. Dunque li dae tue incontanente triaca di vipere, o mitridato, e dàlli a bere vino, e 'l conforta col sugho de la carne e co le cose odorifere, e fàllo sedere in luogho ventoso e freddo, il quale tu dei vestire co le camisce molto sottili, bagnate e molli prima nell'acqua rosata, ne la quale sieno infonduti e messi in molle sandali rossi. E 'l luogo k'è ne la boccha dello stomacho si conviene stropiciare e fàllo rigitare e starnutire alcune volte. E s'elli è molto debole, soffia vento ne la sua boccha, o tu vi fa' entrare il vento per forza ventolando. Al quale s'elli aviene spesse volte tramortimento e sincope forte, e la luce delli occhi s'appiati sì che non si vegha e 'l polso e l'alito e a la perfine pervengha a grandissima deboleça, e s'elli sopraviene piccolo sudore e freddo, sança dotta elli ne morrae. E se la punctura e 'l morso delli animali velenosi non si sae cui si sia, né di chente animale, incontanente, poi ke lo 'nfermo avrae sentito il morso, quella parte k'è di sopra al morso si dee leghare e il luogho si dee sughare, e ventosa (cioè koppecta) molto ardente o con scarificatione vi si dee porre. E sopra il luogho infermo si dee porre impiastro di polli fenduti per mezo tucti caldi caldi. E poi che lo 'nfermo sentirà che 'l dolore sia andato via e ch'elli nom passa dentro nel profondo del corpo già v'è buona sperança. E se così non è, sì vi si pongha suso empiastro facto di sterco di colombo, e di mentastro, e di çolfo, e d'orina, e vi si pongha suso di questo empiastro, il quale riceva: di castorio, serapino, asa, solfo, sterco di colombo, mentastro, pulegio cervino, di tucti per iguali parti; e di pece e d'olio vecchio tanto ke basti a llor conficiere; e di tucte queste cose conquassate e peste nel mortaio, tanto k'elle sieno bene mescolate e fate una cosa, se ne facia empiastro. E se conciofossecosaké lo 'nfermo avesse innançi freddeza nel membro per lo ponimento di questo impiastro e senta rimedio, sì lo studia di medicare ko le cose calde, e 'l contradio ko le cose fredde. E s'elli è pervenuto a quello ke llo 'nfermo nel luogo del morso elli senta alcuno delli accidenti ke noi abbiamo nominati, sì ssi medichi e guerischa co le medicine ke noi kontammo ivi. Per la qual cosa e' conviene ke neuno non giuochi ko ll'animale ke non konosce e che non si metta cosa im boccha k'elli non conoscha, né 'l suo corpo non si faccia stropiciare con essa; e le finestre si chiudano de le case ove questi cotali animali usano e ove huomo n'àe paura. E guardisi sì come noi diremo poscia, apresso se Dio piacerà. De la discriptione del medicamento e de la medicina. Descriptione del medichamento de l'asa, la quale vale ai veleni freddi e a le punture e percosse di scorpioni e ai morsi de la rutela, e ancora è di grande giovamento a le 'nfertadi fredde. Recipe: foglie di ruta seccha, costo, mentastro seccho, piretro, cordumeni, di tutti iguali parti, e de l'asa quanto è la quarta parte di tucte queste cose, e tanto mèle ke basti; e la dose, cioè la quantitade ke sse ne pillia, sia a la grandeza d'una avellana, il meno e 'l più, infino a la grandeza d'una noce. Medicamento di noci e di fichi, il quale tucti modi de' veleni e de' velenosi animali contradice ke non nocciano. Recipe: noci scorticate e nette de le due scorçe parti una, sale grandinoso, cioè fatto come gragnuola, foglie di ruta di ciascuna ana la sexta parte d'una parte e de' fichi bianchi tanti che ssieno assai ad mescolare le predette cose. De le quali cose, quando fieno mescolate, sì sse ne facia palloctole a somilliança di noci e ssi manuchino, le quali cominci a usare kiumque à paura di perire e di morire di veleno, e ne pigli dinançi al suo cibo, impercioe ke questo è il medicamento e medicina ke manda fuori il veleno. Triacha di terra sigillata, la quale è provata, imperciò ke sse alcuna persona la berà ke abbia preso veleno, non finerà di rigitare infino k'elli avrae vomito tucto il veleno. Recipe: terra sigillata, orbache per iguali parti e si pestino, e si giungano com bituro di vaccha, e conficiano col mèle, e si riponghano; medicamento del quale dinançi al cibo, nel quale huomo àe mala sospectione, dinançi di lui o dipo llui alquanto se ne pigli, o quando e' sopravenisse alcuno reo accidente, imperò ke sse alcuno avelenato la pillierà, il farà reddere. E se non avrà preso veleno, in neuna maniera il farà reddere. Per la quale cosa tanto chom'elli rigiterà, si converae pilliare e ssi converrà bere. E poi si convengono atendere le significationi ke apaiono e si dee fare il medichamento co le medicine ke noi abbiamo dette. Medicamento, il qual è medicamento nobile, il quale se alcuna persona l'usa assiduamente e continuamente, a cui poscia si dea cosa o spetia alcuna pernitiosa e mortale, no li nocerà. E con tucto questo conforta l'apetito del cibo e dae vollia di mangiare, e conmuove, e dà vollia d'avere a ffare con femina, e fa bello colore, e tollie i rei pensieri ke avengono per la collera nera, e tollie le fabulationi e 'l soperchio favellamento ke viene dall'anima, e tollie la malagevoleza de l'orinare, e giova a l'anticha menagione e fluxo di ventre, e 'l vedere e tucti li altri sensi e sentimenti sottillia. Recipe: mirre, zafferano orientale, agarico, gengiovo, cennamo, di ciascuno ana dr. .x.; incenso, mace, spicanardi, nasturço, squinanto, eleboro, xillobalsamo, sticados, siseleos, costo dolce, galbano, terebentina, pepe lungho, castorio, ypoquistidos, storace liquida, oppoponaco, folio, di tutti ana dr. .viij.; cassia ligna, pepe nero, pepe bianco, meliloto, polio, scorgione, dauco, opobalsamo, carpobalsamo; del medicamento del sugho del deblio indayco ana dr. .vij.; spica celtica, armoniacho, mastice, gummo arabico, seme di finocchio, rose secche, olixantri, cordumeni, gentiana romana, pulegio cervino, di tucti ana dr. .v.; anici, men, acasie, faufel, ypericon, inquinis stinci, cioè de la 'nguinaia de lo stinco, di tucti ana dr. .iij.; assari, serapino, ana dr. .iij.; oppio dr. .ij. e 1/2; e conficiansi in questa maniera: le gomme si metano in molle in vino vecchio e nel mortaio si pestino e menino tanto ke ramollischano, e poi si conficiano kol mèle dispumato. E di questo cotale medichamento quanto è una avellana, o poco più o pocho meno, si dee dare. E quando sopraverrà alcuno accidente, e fie mestiere di bere questa medicina i· lluogho di triacha, sì sse ne bea quanto è una noce. De fusione de la triacha ke ssi truova nel mitridato e riceve et entra. Recipe: de l'uve passe monde dr. .iiij., terbentina dr. .xxiiij.; mirra, squinanto ana dr. .xij.; cennamo, deblio, blaccha bisanza, spica celtica, silocassia, meliloto, cipero, orbache ana dr. .iij.; calamo aromaticho dr. .viiij.; çafferano orientale, aspalto ana dr. .ij. 1/2. Conficiansi in questa maniera: quelle cose ke ssi possono mollifichare si mettano in vino vecchio e vi si risolvano e disfacciano tanto ke diventino liquidi; e tucte l'altre cose trite, e cribellate, e stacciate, si giungano conn esse, e col mèle dispumato confette e mescolate si riponghano. E questo è la somma del medicamento de' veleni, i quali l'uhomo non conosce, e quelli che ssi possono sapere per li loro segni, sì come noi diremo, sì ssi medichino e gueriscano ko le lor propie medicine.
L. VIII, cap. 2 rubr.Capitolo secondo. Del morso de la vipera.
L. VIII, cap. 2Quando la vipera avrae morso alcuna persona, il luogho k'è di sopra al morso de la vipera sì si dee leghare fortissimamente. E se il morso fie in picolo membro, e 'l morso fie grave de le vipere ke ssi cognoscono d'essere pessime, de' quali non s'à sperança di potere scampare, incontanente il membro di sotto a la leghatura si tagli. E se la vipera non sia cotale, a lo 'nfermo incontanente si dea triacha fatta de le vipere, imperò che nnoi infino al nostro tempo non abbiamo trovato medicina che potesse meglio guerire da' morsi de le vipere e propiamente quella k'è ricente. E se questa triaca non è presente, sì ssi deano de la triaca del mitridato e i trocisci de l'herbo. E questa è la descriptione de' trocisci de l'herbo. Recipe: del seme, de l'andacoke, aristorlogia rotunda, pigamo, farina de herbo ana. E di queste cose trite e coll'aceto mescolate si faciano trocisci de' quali si deano il peso d'uno aureo kon una on. di vino vecchio; e la virtude di questa medicina è vicina all'operazione de la magiore triaca in questo capitolo. O si dea allo 'nfermo il peso di duo aurei d'asa con una onc. di vino; e manuchi molte volte biturio di vaccha, e mèle, e cibi untuosi, e molti agli, e noci, e bea vino vecchio. E li si aparechi cibi fatti di noci e d'agli e dipo quello cotale manichare si bea vino forte e potente e vecchio. E al luogho ov'è il morso vi si tengha la copetta con scarificatione e vi si facia e pongha lo 'mpiastro ke noi dicemo nel capitolo delli ulceri. E le luoghora ke ssono intorno a la putrefatione s'epithimino di bolo armenicho e co le lenti scortichate e co l'aceto del vino. E lo 'nfermo si scemi sangue. E poi si considera quale de le due cose li faccia magior paura, cioè a ssapere li accidenti ke avengono a lluogho ov'è il morso, o lli acidenti ke avengono a tucto 'l corpo, imperciò ke ss'elli avenghono sincope o tramortimento, e cadimento, e sudore freddo, allora la tua sollicitudine e 'l tuo studio sia più a contrastare a questi acidenti ke alli acidenti ke ssono nel luogho ov'è il morso. Per la qual cosa il luogo ove è il morso non si dee medicare se non con quelle medicine ke ssolamente atraghono. E da ke tutti questi accidenti fieno andati via, e fieno tutti levati, e non si avrà paura de lo 'mfermo se non del luogho del morso, cioè a ssapere ke non vi si faciano rei ulceragioni e putrefatione, allora né triacha, né vino, né medicine kalde non si dieno a lo 'nfermo, ma certo elli si de' scemare sangue, e la sua vita e 'l suo regimento dee essere tale che rafreddi, e il luogho si dee medicare col medicamento e co le medicine kom che ssi medicano i pessimi ulceri, e si dee ancora talliare e ardere del tucto in tucto quando elli è mestiere, cioè a ssapere quando tu vedrai la putrefactione passare di luogho a lluogho. E di quelle cose ke ssono propie ai morsi de le vipere sì è che i kancri (o granchi) arostiti si dieno molte volte a lo 'nfermo. Et eccho l'ultima triacha, per la quale grande setta di questi fisichi e medici à testimoniato ke al morso de le vipere vale quanto la grande e la magior triacha; la cui discriptione è questa. Recipe: anisi dr. .x., pepe dr. .iij., aristorlogia rotunda, castoro ana dr. .ij. e 1/2, e si conficiano kol careno, de la quale si dea a bere quanto è grande una noce. E quelli k'è morso da la vipera, o quelli k'avrà bevuto il napello, si dee guardare k'elli non dorma quello die. Triacha de le vipere et ella è la magiore triacha. Recipe: de' trocisci de le vipere il peso di .xxiiij. aurei e de' trocisci squillitichi il peso di .xlviij. aurey, de' trocisci andarakardi o andaracharo aurey .24., pepe nero, pepe lungho ana aurey .xxiiij., oppio, cennamomo, rose rosse trite, seme di rapa salvaticha, scorgione, ghiagiuolo, agarico, sugo di requilitia, balsamo puro ana a peso di .xij. aurey, mirra, gruogho orientale, seme di radici cimquefollio, mentastro montano, prassio (cioè marobio), ollisatro, sticados arabicho, costo amaro, pepe bianco, pulegio cervino, oncenso, squinanto, fiore di terebentina, kassia lignea nigra, spico d'India, polio ana dr. .vj. aurey, storace liquida, seme d'appio, sermontano, nasturcio di Babillonia, ameos, calamandrea, camepiteos, ypoquistides, spiga celtica, follio d'India, gentiana romana, seme di finochio, terra sigillata, colcathar, amomo, nasturço bianco, acoro, karpobalsamo, ypericon, valeriana, gummo arabico, cordumoni, anisi, acacie, serapino ana .iiij., aurey; dauco, galbano, aspalto, oppoponaco, centaura minore, aristorlogia rotunda, kastoro ana aurey .ij.; mèle dispumato libre .x.; vino bene olliente e kiaro e puro libre .iij.; l'oppio e la mirra, e l'epoquistidos, e 'l serapino, e 'l sugo de la requilitia, e la storace liquida, e l'acacia, e l'oppoponaco si prendano e si pestino, e si metano nel mortaio kon um poco di mèle dispumato, e si muovano e menino tanto ke diventino molli, e poi s'infondano e si bangnino kol vino, e tre die si lascino stare in uno vasello invetriato. E poscia lo spico, e 'l cennamomo, e 'l gruogo, e la cassia lignea, e 'l nasturçio, e 'l castorio, e 'l folio, e la terra sigillata, e 'l cocathar, e l'aspalto, e l'amomo, tutte queste cose trite nel mortaio si mescolino e s'infondano e imbagnino kol vino tanto k'elle si mescolino, e apresso il mèle, e 'l gummo arabico, e la terbentina, e 'l galbano, e 'l balsamo si prendano e si metano ne la caza, e tanto si menino ke ssieno bene mescolate e, quando fieno kosì aparechiate e conce, sì ssi agiungano all'altre medicine ke ssono nel mortaio. E quanto tucte queste cose fieno insieme, sì ssi pestino e si menino tanto ke ssieno ben mescolate, e apresso quello k'è fatto di queste cose sì ssi ripongha in uno bossolo di stangno o d'ariento sì grande ke possa tenere questa medicina ne le due parti di lui, acciò ke questo cotale bossolo, o vasello, non sia pieno, la cui boccha si leghi molto bene kon uno chuoio, e ogne die si scuopra una volta e si lasci stare così scoperto per una hora. E di questa cotale medicina non si pigli fiore se non dipo i sei mesi. Trocisci de le vipere. Prendasi le vipere femine le quali si congnoscono a questo: imperciò k'elle ànno più denti di due, imperciò ke i maschi non ànno se non due denti solamente. De le quali si pillino tanto solamente quelle ke aprociano a kolore rosso, e ke tosto si muovono e menano il capo e muovono spesso, e che ssono di buono essere, e ke ànno li occhi rossi e i chapi ànno lati, il culo e 'l forame de le quali si truova presso de la coda, le quali si kolliono ne la primavera, cioè nel mezo de la primavera. E quelle ke ssi truovano ne' rivagi de l'acque del mare, e nell'isole del mare, e ne' laghi, e ne' luoghi che ssono vicini all'acque salse, in neuna maniera non si prendano. E quando elle fieno prese, incontanente si tallii di loro i capi e de le loro code quatro dita. E s'elli aviene kosa ke, dapoi ch'elle fieno così talliate, elle si muovano e si dibatano e di loro escha molto sangue, sì ssono dimestiche e buone. E s'elli aviene il contrario a questo, in neuna maniera non si debbono porre ne la medicina e poscia si prendano i loro cuoi e si gettino via. E quello ch'è nei loro ventri se ne tragha fuori e si gitti via e il rimanente si lavi coll'acqua dolce e si netti e, talliati per peçi, ne la kaldaia netta coll'acqua e col sale e co l'aneto si cuocha tanto ke la carne si divida dall'ossa, e poi si gittino via l'ossa, e la cocitura si coli da la carne. E 'l fuocho kon che si cuokono sì ssia forte, il quale si faccia di carboni di quercia e la charne si spriema acciò ke nn'escha fuori l'omore ke v'è dentro. E apresso si prenda quella cotale carne a peso, a la quale si mescoli la quarta parte de' tortellis, le quali tortelle abbiano poco di fermento, ançi sieno vicine e prociane a pane açimo e ke non abbiano in sé fiore d'acetositade, cioè ke non sieno fior acetose e si disecchino molto bene e si pestino, e si mollino um poco d'una picola quantitade di brodetto o de la cocitura. De le quali, quando molte volte fieno peste e mescolate, molto bene sì sse ne informino trocisci sottili. E quelli che lli farà e li conficerà sì abbia le mani e le dita unte di balsamo, i quali elli disecchi all'ombra, risolvendogli e volgendogli ogne hora. I quali quando si disecchano debbono essere in vasello seccho e asciutto, il quale non sia fiore omoroso. E quando elli fieno bene secchi, sì ssi riponghano in uno vasello invetriato, o di vetro. Trocisci squillitichi. La cipolla la qual è chiamata squilla nel tempo ke ssi miete il grano si pigli. Le quali cipolle non sieno molto grandi né molto piccole e, coperte di pasta, si mettano nel forno e si lascino arostire. E quando la pasta di ch'elle fuorono coperte fie arostita, sì ssi traghano del forno e la pasta si gitti via, e quello ch'è apicchato a la pasta e ke è dentro sì ssi prenda, a la quale, quanto è la metade di lei, si giungha de la farina de l'herbo ben trito e bene staciato si mescoli. E quando fieno così mescolati, sì ssi pestino e si mescolino, e alquante volte si bagnino col vino tamto ke ssieno bene mescolate e se ne formino i trocisci, i quali, ançi ke ll'informi, si ungha le sue mani coll'olio rosato e informi i trocisci, e faccia sì come noi abbiamo detto, e li ripongha in uno vasello di vetro. Trocisci andaracharon. Recipe: darsaham o darsesesahan, kalamo aromaticho, costo, silobalsamo, assaro, polio, amomo, mastice, e del fiore de la cocula biancha, valeriana ana peso di .v. aurey; e di fiore di squinanto il peso di .xx. aurei; laudesem, xillocassia, cinnamomo ana .xx. aurei; spigho de India, folio, ana aurey .xvj.; mirra aurey .xxiiij.; gruogo orientale aurei .xij.; e tucte queste cose si pestino e si stacino e con vino olliente si conficiano, de le quali cose s'informino i trocisci e si secchino nell'ombra (o all'ombra). Provamento de la triacha. A un pollo o a uno kane si dea um pocho di napello, o una vipera si faccia andare e conmuovere contra lui la quale il morde, ne la boccha del quale si metta incontanente um poco di triacha e sia guardato koll'aiuto di Dio sança alcuno perillio. O li si dea a bere la schamonea, a la quale, poi ch'elli comincerae a uscire, sì li si dea la triacha a la quantitade d'una avellana e ristringasi il ventre. E somilliantemente fa a colui k'è à grande vomito. E de le sue magiori utilitadi ke ella àe sì è k'ella guerisce e guarda sança male quelli che sono morsi da le vipere e dai veleni mortali e ke giova a la lebrosia e malatia e a molte altre cose fa rimedio sança queste.
L. VIII, cap. 3 rubr.Capitolo .iij. De le punture de li scorpioni.
L. VIII, cap. 3Di quelle cose ke giovano a le punture delli scorpioni sì è: bere il peso d'uno aureo de le radici secche de la koloquintida kon acqua o kon vino, o il peso d'uno aureo del medicamento de l'asa kon una on. di vino, o istrignere il luogho k'è sopra la puntura e 'mbroncarlo koll'olio di been, e acqua calda e col sambacino, nel quale kastorio et euforbio fossero stropiciati e freghati, ungnere o freghare e strupiciare con esso il luogho fortemente. Triacha che giova molto a le punture delli scorpioni. Recipe: de le scorçe de le radici, kappari, assenzo, nabathi, aristologia rotunda, gençiana per iguali parti. E di questo si dea a bere a la volta dr. .iij., imperciò ke n'è buona e convenevole. Triacha diatesseron la quale a le punture delli scorpioni e ai veleni mortali delli altri reptili, cioè di serpi e di somillianti animali, giova et è vicina in bontade a la grande triacha. Recipe: gentiana, aristorlogia, orbache d'alloro, mirra per iguali parti, e queste cose confette col mèle si riponghano nel vasello. E di questa medicina, quando fie mestiere, sì ssi bea da uno aureo infino a due ' mmezo kon una oncia di vino vecchio. Triacha ke a le punture delli scorpioni giova. Recipe: genciana, aristologia, mirra, costo, castorio, ruta, mentastro seccho, piretro, gengiovo, pepe, neella, asa, di tucti per iguali parti e si conficiano col mèle e se ne dea infino a la quantitade d'una noce kol vino. E s'elli aviene cosa ke tu non abbia alcuna de le predette medicine, sì li dae a pilliare vino vecchio e agli, e ancora fae di loro impiastro e pôllo in sul luogho, e riscalda il luogho assiduamente kol fuoco e co le medicine calde ke tu potrai avere. E quando tue avrai data la triacha e 'l dolore fia sedato e menomato, se lla febbre sopraviene il seguente die, bem per tempo scema sangue a lo 'nfermo, e dàgli acqua d'orço e cibi che ssieno molto humidi, e studia ne la sua guardia k'elli non cagia in infertade a cura e comando ke ogne huomo si guardi di manicare l'appio k'è ne' luoghi ove sono molti scorpioni, e ke l'huomo non giacia in quelli cotali luoghi.
L. VIII, cap. 4 rubr.Capitolo quarto. De le punture de' saraceti, o albateren, cioè scorpioni piccioli.
L. VIII, cap. 4Questi cotali scorpioni sono molto piccoli i quali tranano la coda depo lloro dietro e sono ne la terra di Coz, cioè così è kiamata, gli abitatori de la quale terra trovareno optima triacha, la quale è kiamata triaca exercituale, la cui descriptione è questa. Triacha exercituale. Recipe: de le scorçe de' cappari, de la coloquintida, absenço romano, aristologia rotunda, herba la quale è kiamata (ne la lingua de' Caldey) hezez, o anezez, troximel seccha e di tucte queste cose, fatto polvere sottile, si deano dr. .ij. E ancora quello che i medici usano nel medicamento di questo male sì è ke elli danno a colui ch'è punto da lo scorpione de la troximul salvatica seccha, tanto quanto si puote tenere con una mano; e che danno a mangiare pome (mele) acetose e ke sanith de mèle danno coll'acqua fredda o kol juleph. E s'elli aviene cosa ke molto caldo i· sopravengha, dàgli a bere acqua d'orço. E s'elli sente dolore di corpo kon incendimento e chalore grande, dàlli a bere olio rosato con acqua d'orço e cederni o çuccha, e dàgli lacte acetoso, e nel luogho de la puntura sì ssi pongha la coppetta, e incontanente si sughi il luogho, e ancora s'arda, e arrostischa e abrusci, e vi si pongano suso medicine caldissime. E acora non si dee avere neghiença nel medichamento di queste punture, avengha che il dolore ke i· lloro si sente sia debile, imperciò ke in queste punture non aviene e non si sente gran dolore nel cominciamento, ma dipo un die o di più dì si sseguitano pessimi accidenti, imperciò ke la lingua s'empie d'apostemi; e ancora aviene loro ke elli pisciano sangue, e sincopi e tramortiscimento, e triemito del cuore. E s'elli aviene cosa che 'l ventre di colui k'è punto sia stretto, cioè sia stitico, sì lli si faccia cristere del sugho de la bietola, o di sale, e d'olio violato. E s'elli aviene cosa k'elli avengha grande anghoscia, sì li si dea el sugho de le melegrane acetose o de altre mele acetose, e olio rosato, e l'acqua de l'orço, e latte novellamente munto. E s'egli aviene cosa che lo 'nfermo pisci il sangue, primieramente li scema sangue e poi li dae a bere de le medicine ke ssono a cciò nominate, e dàgli a bere brodetto di grassi polli. E s'elli aviene cosa ke la lingua sia piena d'apostemi, sì si tagli la vena k'è sotto la lingua e si faccia gargharismo del sugho de l'endivia e del siroppo acetoso. E se il triemito del cuore aviene forte, sanith di mele kol sciroppo de le mele e llacte acetoso koi trocisci di camphora dae a lo 'nfermo. E queste medicine, o somillianti a queste, usino i medici quando elli volliono guerire i morsi de jarares. E la triaca exercituale non si pone qui per altra cosa se nom per la fama k'è apo 'l vulgho, cioè apo lle genti volgari, cioè k'ella giovi a le punture delli scorpioni. La triacha che è buona ai morsi de jararet. Recipe: trosimel salvatica secca, e de le foglie de le mele acetose, e del coriandro seccho, di tucti per iguali parti; e se ne bea quanto se ne puote pilliare colla boccha a tre volte. E s'elli aviene cosa che nel luogho del morso sia corrosione e manicamento, sì ssi medichi col medichamento acuto e le parti che ssono intorno sì ssi epithimino col bolo armenicho, o kol forte aceto, e colli altri medicamenti che ssono ne le medicine de' pessimi ulceri e ke corrodono, ke noi abiamo nominati, si medichi e si guerischa.
L. VIII, cap. 5 rubr.Capitolo quinto de l'ottavo libro di Rasis. Del morso e puntura de la rutela e ragnolo.
L. VIII, cap. 5La rutela è uno animale il quale è assomilliato a picolo ragnatelo, il quale è kiamato phylphit, il quale suole chaciare e prendere le mosche. Ma il siphen assomillia il grande ragnolo ke àe lunghi i piedi. E de le rutele sono molte spezie. La spezie egiptiacha, cioè d'Egipto, si giudica e dice la pigiore. E di loro sono alcune ke pocho nocciono. E del mordimento di quella ch'è rossa, seguitano queste cose, cioè forte dolore e dureza di potere uscire. Ma del morso di quella ch'è verde avengono queste cose, cioè picola dollia e piçicore ke tosto va via. E del morso di quella che pare dipinta sì sse ne seguitano questi accidenti: forte dollia e nel corpo fredeza o triemito. E del morso de la rutela biancha piccolo dolore e piççicore e movimento di corpo aviene. Ma del morso di quella ch'àe in sul dosso ligne lucenti, ' è kiamata stellata, piccolo dolore, e piççicore, o stupore (cioè adormentamento), e relaxamento del corpo si seguitano. E del morso di quella ch'è gialla, e che àe sopra ssé velli o peli, aviene forte dolore, e tremito, e sudore, et enfiamento di corpo, e forse se ne seguita la morte. E 'l medicamento di tutti è comune: ke l'infermi si lascino tanto stare ne l'acqua calda, infino ke 'l duolo si parta da lloro, inperciò ke quando elli vi fieno seduti per una hora, sì ssi riposeranno, e quando elli usciranno dell'acqua, il duolo sì tornerà. E conciosiacosaché tue vedrai andare via il dolore poi che ffia uscito dell'acqua, molla e imbiuta il luogho coll'acqua ne la quale molto sale sia distructo e disfacto. E ' lor corpi riscalda e quello medesimo die i· fa entrare nel bagno e fagli sudare. E poscia per alquanti die poni in sul luogho empiastro ke ssi fae de la cennere del legno del fico e de la calcina e de' chali ennaffiati con acqua calda, e a lo 'nfermo dae la quantitade di due on. di neella. E quelli il quale siptu avrae morso (cioè quella cotale generatione), sì ssi guerischa e medichi con tale medicamento kente è questo. Altra triaca utile al morso de la rutela et è provata. Recipe: de la neella dr. .x., dauco, comino ana dr. .v.; seme di badel e galle di cipresso ana dr. .iij.; spigho de India e de orbache, aristorlogia rotunda, karpobalsamo, cennamomo, gentiana, seme anadacoche e seme d'appio ana dr. .ij. conficiansi col mèle e se ne dea a la grandeza d'una noce kon vino vecchio. E a questo giova ancora ke le medicine delli scorpioni si deano. E alcuni sono che del morso de' ragnoli si seguitano pessimi accidenti, cioè ke l'estremitadi si raffredino, e la cotenna abbia oripilatione e ss'aricti, e la vergha si dirizi e si distenda, e 'l ventre si riempia di ventositade, e a costoro si debbono dare ruta seccha o ciperi kon vino, e fare ke elli sudino nel bagno, e pocho di vino li si dee dare tutto quel die a poccho a pocho.
L. VIII, cap. 6 rubr.Capitolo .vj. De la puntura de l'api, e de le vespe, e de le formiche ke volano.
L. VIII, cap. 6A le punture de l'api e de le vespe e de le formiche ke volano è da sovenire e fare linire, e ungnere, e imbiutare il luogho ko ll'aceto o col fangho una volta ko ll'uno e una volta coll'altro, or questo or quello. E panno molle coll'aceto e raffredato sopra la neve porrevi suso giova molto et empiastro de la lenticula dell'acqua delli stagni molle coll'aceto postavi suso. E gittarvi l'acqua de la neve tamto infino ke il luogo paia stupido e adormentato giova molto. E dipo questo s'ungha il luogho co la kamphora e coll'acqua rosa, la qual cosa non si conviene fare pur una volta ma molte volte. E ' panni molli ne l'acqua rosa e ne la neve vi si debono porre suso, e del ghiaccio vi si dee porre suso um poco ogne die, e de l'acqua co la neve ancora molta bea tanta ke ssi ne satii, e poscia si dee stropiciare co le foglie del bassilico o col moscado. E s'elli aviene cosa ke ssia forte chalore nel corpo, sì li si dea a bere robbo del sugo de l'uve acerbe e pisilio. E lo 'nfermo manuchi de' cederni, e de l'endivia, e de le lattughe, e acqua, e aceto; e ancor bea sciroppo molto acetoso kol sugho de le melegrane e col psillio e il luogho si sughi incontanente molte volte. E ancora con questo giova ke vi si pongha suso cederni, o porcellana, o kavolo, o sopravivolo, o ssomillianti cose a queste. E ancora giova k'elli si dea a bere del coriandro seccho pulverizato, tanto quanto tra tre volte si puote pilliare con mano, kol çuchero e coll'acqua fredda e il luogo si strupicci co le foglie de l'embuch.
L. VIII, cap. 7 rubr.Capitolo .vij. Del morso de lo scellone e de la rutela e loro cura.
L. VIII, cap. 7Quando questi cotali animali avranno dato alcuno morso, sì llasciano i denti nel luogho del morso, per la quale chosa la doglia vi dura infino a tanto ke i denti si ne traggano fuori. E di quelle cose ch'elli ne fanno uscire è ke 'l luogho coll'olio e co la cennere mescolati insieme si strupicci tanto ke nn'escano e poi koll'olio e co la cennere mescolati insieme si faccia impiastro e vi si pongha suso. E se la dollia persevera, sì ssi sughi il luogho, e poi si metta lo 'nfermo ne l'acqua calda, e li si dea de la triacha facta al morso de la rutela.
L. VIII, cap. 8 rubr.Capitolo .viij. Di quelle cose ke cacciano li animali velenosi.
L. VIII, cap. 8E i serpenti, e i lupi, e l'altre fiere rapaci, i gatti, e i furoni, e ' paroni (o paoni), e ' grui, e lli ucelli ke stanno in acqua e simillianti a questi, la natura de' quali è di prendere li animali velenosi, sì ssi debbono tenere e nodrire ne le torri, e ne' luoghi molto paurosi e puzolenti si debono nodrire i cerbi e i furoni, e si dee tenere il milliore ismeraldo ke avere si puote, e una lampana luminosa accesa di lungi dal letto si dee porre, presso de la quale sieno homini i quali dormano a parte or l'uno or l'altro, i quali giaciano i· su' letti e leghano e favellino non troppo alto né troppo basso, imperciò ke lli animali velenosi andranno a lloro. E di quelle cose ke più che altre cose mandano via le serpi e i serpenti è ke ssi soffumichi la chasa ko le korna del cerbio, e coll'unghie de la capra, e com capelli humani; e se hasseth se ssi mette ne' forami de' serpenti e de le serpi, e se la chasa si soffumicha kon galbano, i serpenti fugerano. E se la chasa si innaffia koll'acqua ne la quale sale armoniacho fie disoluto, in niuna maniera v'aproceranno i serpenti, né le serpi. E si di questa cotale acqua si gitterà ne' loro fori, sì morranno. E se alcuno terrae tanto il sale armoniacho k'elli si disolva e disfacia in boccha, e poscia sputi ne la bocha del serpente, si morrà il serpente. E se la casa fia affumicata de la pece e del bidellio, si fugiranno i serpenti e le serpi. E somilliantemente fugono se ssi sufumicha col serapino. E i panni unti d'alkitran, o messi ne' lor forami, sì ssi scacciano. E se il luogho fia coperto d'abruotino, o ove l'abruotino fie gittato, si fugiranno via le serpi e i serpenti, per la qual cosa se ne fia molto nell'orto, sì ssi fugeranno via da quello cotale orto le serpi e i serpenti. E il fummo ke ssi fae de le legne de' meligrani kaccia e fa fugire le serpi e molti delli altri animali velenosi. E ancora la senape trita e messa ne' fori de le serpi e de' serpenti sì li chaccia via. E ancora si dice ke sse la vipera riguarda il buon ismeraldo, sì le distrughono incontanente li occhi in capo. E se molti scorpioni si pilliano, e di loro si soffumicha la chasa, tutti li altri fughono. E se la chasa fie affumichata col çolfo o koll'unghia dell'asino e col galbano si fugiranno tucti. E se ll'olio fia sparto nei loro fori, nonn usciranno fuori poscia, ançi fugiranno. E ancora le formiche manuchano li scorpioni e propiamente quelli ke ssono kiamati gerareth. E se l'asa si disolve e disfae ne l'acqua, e poscia di quella cotale acqua s'innaffia il luogho, non vi aproceranno. E se le penne s'unghano d'alkitrano o d'asa resoluta e distrutta e disfacta, e poi si n'unghano i fori intorno intorno, non usciranno poscia fuori. E quando l'erba k'è kiamata kancar, o karcar, si metterà nel letto, sì sse ne stupefanno le pulci e inebriano e nom possono saltare né muoversi, ançi si prendono molto legiermente e agevolmente. E se la casa s'innaffia de l'acqua ove sia stato in molle o cotto assenzo, e neella, e coloquintida, si morranno. E alcuni dicono ke in miluogho de la casa si faccia una fossa, kavando ne la quale um poco di sangue si metta, e tucte le pulci si raguneranno in quella fossa. E se la casa s'inaffi de l'acqua ne la quale sia cotta assech, tucte le pulci si distrugeranno e similliantemente l'acqua ne la quale fia cotta la ruta o l'oleander l'uccide tucte. E se le cimici e li scarabeci s'affumicano del fumo de la pallia, o del fumo de lo sterco de la vaccha, e molto magiormente del fummo de gizeci e de la neella, fugono. E se 'l volto si fummica de le predette, e avengha che poscia mordano, non fanno molto grande nocimento né molto grande male. E la saphea unta d'olio e posta presso al luogho giova molto a cciò. E alcuni dicono ke 'l fumo de le follie del dulp fugge e chaccia via li scharabei, o scharafagi ke ssieno. E l'acqua ove fia cotto l'eleboro nero uccide le mosche, e l'odore de l'orpimento giallo e ancora il fummicamento coll'oncenso l'uccide. E ' topi s'uccidono se d'aghetta, cioè litargiro, e schallia di ferro insieme mescolato, e gallia di metallo e d'eleboro (ciascuno di questi preso e con farina insieme mescolato) ne manuchino, si fugiranno o morranno. E ancora fugono se la casa s'affumica co l'azegi. E alcuni dicono ke sse alcuno topo si chastra e si lasci andare, tucti li altri topi ucciderà e li chaccia del tutto in tucto. E se ssi pillia uno de' topi e si leghi con una sottile corda in miluogho de la chasa, tucti li altri fugiranno e non uscirano de' suoi forami. E dicono ancora: se alcuno pillia um topo e li scortichi il volto (o la faccia), tucti li altri fugiranno. E somilliantemente le formiche si cacciano ko l'achitran, e col solfo, e co l'asa, o se di queste cose si mette, ne' loro fori si morranno. E se di queste cose si fae epithima intorno ai lor fori, non usciranno fuori. E de le bellule dicono ke il leone fugge per lo gallo bianco e per lo topo e nom aproxima al luogho ove è la squilla, cioè la cipolla squilla. E dicono ancora ke il leopardo àe paura de l'albore k'è kiamato arbore del leopardo, e che il leone à paura del legno k'è kiamato sirdan (o simdami). E le ghatte salvatiche e dalac fughono per lo sugho de la ruta e de le mandorle amare. E la cipolla ch'è kiamata squilla e lo eleboro uccide i porci e i chani, o i leoni, e molte dell'altre bellule. E l'erba k'è kiamata strangulatore del leopardo tosto uccide il leopardo.
L. VIII, cap. 9 rubr.Capitolo nono. De' morsi de' cani non rabbiosi, e de' furoni, e delli huomini.
L. VIII, cap. 9Il morso di questi cotali animali allora è pigiore quando elli sono affamati; ai morsi de' quali giova molto di porrevi suso cipolle e sale e mèle per uno die e per una notte. E poscia si medichino ko l'unguento nero, il quale si dae di cera e di sevo, e di pece, e di galbano, imperciò ke questo unguento giova più di tucti li altri unguenti ai morsi e ai fori che ssi fanno coll'unghie delli ucelli; e a tucte le fedite colle quali è atritione, cioè schiaciamento e tagliamento, molto giova. E ancora è utile cosa ke 'l morso del cane o de l'huomo si medichi dal cominciamento kon questo unguento. E a' morsi de' leoni o de' leopardi, nel cominciamento si debbono porre suso le medicine che ànno ' atrarre, e poscia si debbono lavare quelli cotali luoghi koll'aceto e col sale, e a la perfine si debbono medichare e guerire con questo unguento, se Dio piacerà.
L. VIII, cap. 10 rubr.Capitolo .x. De' morsi del chane rabbioso e del suo conoscimento.
L. VIII, cap. 10Il nocimento ke si seguita del morso di questo cotale cane è giudicato grandissimo e fortissimo, per lo quale ci conviene amplificare e multiplicare le parole, nominando i segnali perké questo cotale cane si possa conoscere, acciò ke tosto l'uhuomo il fugga o tosto homo l'uccida. E noi diciamo ke questo cotal cane più spesse volte à rabbia ne' dì caniculari e alcuna volta di verno. Il quale, poi che fie arrabbiato, nom puote manichare e s'elli vede l'acqua, sì lla fugge, e alcuna volta muore da ch'elli riguarda l'acqua, e apre la sua boccha e mette fuora la lingua, e de la sua boccha gocciola spuma e dal suo naso humiditade. E li occhi suoi sono rossi come sangue. E 'l capo suo inchina e porta chino a terra. E la coda bassa giuso e la porta intra le coscie. E per diversi movimenti vacilla (cioè in qua e in là) kome fa l'uhomo ebbro. E a tucti vae ch'elli vede e li vuole tucti mordere, e ancora non conosce il suo signore, e li altri cani il fugono tucti. Elli non latra se nom poco e quando elli chomincia a llatrare, la sua boce s'ode raucha (o rocha). Onde quando huomo vedrà questi cotali segni nel cane, incontanente si dee uccidere, o alcuno di questi segni, il dee huomo fugire. E quello cotale il quale questo cotale cane morderà, no estima nel cominciamento ke 'l suo morso li faccia molto di male, ma i rei accidenti vegnono um poco poscia, imperciò k'elli àe paura de l'acqua e no la bee, ançi quando elli la vede triema e àe angoscia e forse li si fiede spasmo e si muore. E ancora quando elli à rabbia, et elli pillia, e morde, e strigne li homini, sì nne avengono que' cotali accidenti chente avengono del morso del cane rabioso. Onde da che tu conoscerai il chane ch'avrae morso questo cotale huomo, cioè che in lui sia alcuno di questi cotali segni, tosto soccorri e metti e poni la ventosa sul morso, e molto lunghamente si sughi e scarifichisi, e molto sangue se ne traggha. E poscia vi metti suso medichamenti ke ll'alarghino e che non lascino saldare, sì come sono bietola, erucha e cipolle confette com bituro, e vi si dee porre suso unguento che abbia a ulcerare il luogho, il quale si fa del liquore delli anacardi e del loro sugho e de la pece, sì come nel suo capitolo è nominato. E se tu ardi e cuoci il luogho dal cominciamento, sì tosto kom'è morso, molto giova. E tu non dei porre le copette e fare le coture, se non sono infino a tre dì tanto solamente. E poi ch'elli fieno passati i tre dì, non dare faticha a lo 'nfermo, imperciò ke 'l veleno è già sparto per tucto il corpo, ma in neuna maniera non lasciare saldare la fedita, en tale maniera che lo 'mpiastro de l'erucha e del biturio, o alcuno di quelli ke noi dicemo, vi poni suso. E poscia torna al perfetto medichamento ançi ch'elli cominci ad avere paura de l'acqua, imperciò ke poi ch'elli comincerà ad avere paura de l'acqua nom potrà scampare. E di questi cotali sono ke per una septimana ànno paura dell'acqua, e ssono altri ke dipo le due septimane, e altri dipo i .xL. die, e alcuni che ssono dipo i sei mesi n'ànno paura. E questi sono quelli che ànno la complexione humidissima. Nel chominciamento del medicamento komincia ad muoverlo e a ffarlo uscire e andare a ssella colle pillole o ko le medicine nominate nel capitolo de la meninconia. E li guarda e reggi con quello medesimo regimento de' cibi e del bagno, e da' loro a bere lacte e vino temperato co l'acqua, e studia ch'elli ingrassino sì come noi diremo nel capitolo de la malinconia. E fa più ampia e più largha la loro vita e la loro dieta colla charne e col vino e co le confetioni facte col mèle. E ancora komanda loro k'elli dormano assai e si rallegrino e stieno in riposo. E a la perfine li guarda e reggi kol reggimento di coloro ke ànno maninconia e da' loro a bere la medicina di Galieno. Descriptione del medichamento di Galieno. Piglia i granchi del fiume e mettilgli ne la pentola nel forno, e tanto s'ardano che ssi possono pestare, e guarda che egli nom si pestino troppo. De' quali, poi che tue li avrai pesti, prendi .x. parti e d'incenso parte .j., e poscia li pesta insieme, e poscia li riponi. E quando elli fia mestiere, ogne die ne dae a lo 'nfermo dr. .ij. la mattina e due altre la sera con acqua fredda a bere que' dì che tu non dai medicina da muovere lo corpo e da ffare uscire, e questo dee fare molti dì. E Galieno raconta k'elli non vide anche neuno ke elli avesse paura dell'acqua, poi ch'elli avesse preso alcuna cosa di questa medicina e, poi ch'elli fia spaventato de l'acqua, apena ke elli guerischa giamai. E avengha ke noi abbiamo i· llui picola speranza, sì 'l mettiamo in un luogho freddo, e ingengna kome ne la sua boccha tu metti lungho chonio, e poscia il luogho scuro ke no la possa vedere, sì li vi metti de l'acqua. E 'l suo capo e tucto il corpo infondi d'olio rosato e inmolla, e poi li fa' cristere d'acqua d'orzo, e d'olio rosato, e di sugho di psillio, e di porcellana, e di somillianti cose acciò ke la sua sete si mitichi. E noi in un ospedale avemo uno il quale il cane rabbioso avea morso, il quale la notte latrava. E vidi k'elli non avea paura de l'acqua ke lli si dava, ançi la domandava e si lamentava de la forte sete. E quando noi i· davamo l'acqua elli l'abominava e diceva che vi era entro ordura e fracidume. E quando noi il domandavamo ke ordura vi fosse entro, diceva ke vi era entro budella di cani e di ghatte e ci preghava che noi li portassimo altra acqua. E quando noi li avemo portata altra acqua, diceva kome dinançi e litigava con noi, e si crucciava, e preghavaci e adoravaci per Dio ke noi i· dessimo buona acqua e netta. E i medici d'una setta dissero ke se cane morderà alcuno, et elli non saprà s'elli è arabiato o nno, prenda uno pezo di pane e intingalo nel sangue ke uscì del morso e dealo a un altro cane. E s'elli avien cosa k'elli il manuchi, sappiate ke 'l chane ke 'l morse non era rabbioso; e s'egli aviene cosa che egli no 'l manuchi, sappi ch'egli era rabbioso. O elli faccia uno impiastro di noci trite e ponghalvi suso, e lasci stare suso per una notte, e poi si gitti al gallo o a la gallina molto affamata, imperciò che se 'l cane fu arabioso no 'l beccherà, e s'elli il beccha la matina si troverà morto. Onde quando questi segni apparanno, allotta incontanente la fedita e 'l morso si dee allarghare kolla medicina ke noi nominamo, e se nom sì 'l dobbiamo kiudere e saldare.
L. VIII, cap. 11 rubr.Capitolo .xj. Di coloro ai quali i nappelli si danno.
L. VIII, cap. 11Quelli ai quali i napelli si danno incorrono in vertigine, cioè ke pare ke 'l mondo si giri intorno, e 'l male maestro, e poscia l'assalisce spesse volte sincope, cioè tramortimento, la cui lingua apostema e li ochi strabuçano in fuori, questo kotale dee homo fare rigittare spesse volte, poi k'elli avrae molte volte acqua cotidianamente ove il seme de le rape fia cotto kol biturio vecchio de la vaccha. E poi ch'elli avrà redduto molte volte, sì li si dea a bere de le ghiandi cotte nel vino .iiij. on., kol peso d'una meza dr. di lattovario moschato, overo elatterio, al quale la sexta parte d'una dr. di buono moschado sia mescolato. E di quelle cose che valliono molto a cciò sono biturio di vaccha, e pietra gialla o rossa, k'è kiamata bezar puro e provato, e triaca de le vipere e metridato. Dumque conviene ke, sse s'à alcuna di queste quatro medicine, ke tosto se soccorra dandoline un poco a bere, e se non se n'à alguna di queste, questo che noi abiamo detto si faccia molte volte. E ancora una de le sette delli antichi disse che la radice del cappare in tal maniera opera contra il napello, sì come baçahar del nappello, imperciò ch'elli è forte veleno e perciò pochi ne scampano.
L. VIII, cap. 12 rubr.Capitolo .xij. Di coloro a chui son dati a bere i cornispice.
L. VIII, cap. 12Se a alcuno sono dati a bere i cornispice, sì piscia il sangue e la sua lingua diviene nera. E più de le volte àe li accidenti de pleuresi, cioè di colui ch'àe apostema nel costado. E questo cotale si dee reggere in questa maniera: il peso d'uno aureo di kamphora kon una on. d'acqua rosa li si dee dare e sul fegato si dee porre impiastro di camphora trita kon acqua rosa. E poscia li si dee dare sanith d'orço con molta acqua di neve, e julep, e ne' suoi cibi si debbono moltiplicare le melegrane acetose, e bea lacte acetoso, e acqua d'orço, e sugho di cavolo.
L. VIII, cap. 13 rubr.Capitolo .xiij. Di coloro ai quali fue dato a bere il fiele del leopardo.
L. VIII, cap. 13Quelli al quale fu dato a bere il fiele del leopardo sì rrigitta subitamente la collera verde e sente ne la sua bocca subitamente sapore d'aloe. E se alcuno odora il fiato de la sua boccha, sì sentirae quello medesimo e i suoi occhi sono gialli. E a costui dumque si dee dare di questa medicina ke ssi fa in questa maniera. Recipe: bolo armenicho, orbache d'alloro ana parte .j.; e del coagolo, zeçel parti .iiij.; e de le foglie de la ruta e de la mirra ana parte meza.
L. VIII, cap. 14 rubr.Capitolo .xiiij. Di coloro ai quali fue dato a bere il fiele de la vipera.
L. VIII, cap. 14Quelli al quale fue dato a bere il fiele de la vipera, apena potrà scampare se nom per la virtude di Dio. Ma tuctavia s'elli è alcuna cosa ke acciò vaglia sì è la triacha de le vipere e 'l mitridato, se tosto li è socorso. E di quelle cose ke a cciò molto valliono sì è beazar se trovare si puote, e se trovare non si puote sì ssi dea biturio kaldo a bere più volte, ora um poco ora un altro, o lo 'nfermo si facia reddere kon esso. E se sincopi li aviene, cioè ke elli tramortischa spesse volte, sì li si metta im boccha vino e brodo di carne di polli com piccola quantitade di lattovario moscadato e del suo moscado.
L. VIII, cap. 15 rubr.Capitolo .xv. Di coloro ai quali fue data la coda del cerbio.
L. VIII, cap. 15Se ad alcuno è data la sumitade de la coda del cerbio, sì ssi dee fare reddere molte volte kon molto biturio vecchio e mèle um poco facto tiepido e acqua rosa e a ffare questa cosa si conviene tornare molte volte. E poscia si prendano avellane e festughi e bezahar, e di tucte queste cose mescolate quanto è una avellana se ne dea il die a quatro stagioni.
L. VIII, cap. 16 rubr.Capitolo .xvj. Di coloro ai quali fue dato a bere il sudore de le bestie.
L. VIII, cap. 16Quelli al quale fia dato a bere il sudore de le bestie, sì lli si apostema il volto e diviene verde e sì ll'assalisce la squinantia, cioè quello male, e del suo corpo li esce molto sudore e puzolente, per la qual cosa fàllo reddere molte volte coll'acqua e col mèle e poscia sì li si debbono dare spesse volte rob di mosto e olio rosato. Al quale si dee dare ancora meza dr. d'aristologia e altretanto di salegemmo koll'acqua tiepida, e de la triaca de la terra sugellata li si dea altressì.
L. VIII, cap. 17 rubr.Capitolo .xvij. Di coloro ai quali fue dato a bere le canterelle.
L. VIII, cap. 17Quelli al quale furono date le canterelle e la stafisagria a bere, sì lo assarrae dolore nel pettignone e punzione, e tagliamento, e ardore de l'orina, e piscerae il sangue con gran dolore, e alcuna volta nom puote pisciare, e poscia esce con sangue e mordimento e con forte arsura, e la vergella e 'l petignone e quelle parti che ssono intorno si appostemano, e sì lli avenghono arsura di boccha, e di gola, e forte infiamamento, e febbre, e si turba il suo intellecto e 'l suo senno. Dunque conviene ke ssi faccia rigittare molte volte ko l'acqua kalda e co l'olio del sisamo e co l'acqua ne la quale fichi sieno cotti. E poscia li si dea a bere lacte molte volte in grande quantitade e mucillagine di psillio con julep, o li si dea sugho di porcellane, e manuchi molto biturio ricente, e li si faccia cristere coll'acqua de l'orço e del malvavischio, e coll'albume de l'huovo e olio rosato li si gitti ne la vergella per la scirigna, cioè con quello strumento, e li si dea bere brodetto di polli grassi e olio di mandorle, e segha ne la tina da bagnare, e mangi fichi, e bea l'acqua ne la quale i fichi sieno cotti con sciroppo violato, e bea spesse volte il latte tanto quanto elli sentirà puntura e talliamento. E se ne le parti del pettignone elli sentirà grande gravezza o s'elli è gram tempo ke no li fu scemato sangue, sì lli si scemi sangue de la vena del feghato, e quello ke noi dicemo ke ssi doveva mettere per la vergha nom per mettitoio ma per istrumento, il quale è somilliante a la somitade d'una picola rosa ove sta il seme poi ke ' fiori ne sono levati, e sia una penna forata fatta di cera, la quale abbia di sotto il foro onde si dee mettere.
L. VIII, cap. 18 rubr.Capitolo .xviij. Di coloro ai quali fue dato a bere l'oppio.
L. VIII, cap. 18Colui al quale sarà dato l'oppio a bere, a cui ne sia dato dr. .ij. o più, sì ll'uccidrà. E a quelli che 'l berà sì aviene subbeth, cioè vollia di dormire, e alcuna volta nel suo corpo aviene molto piççicore, e ne la sua boccha si sente odore d'oppio, e quando in tucto il suo corpo si fregha, si sente alcuna volta l'odore de l'oppio. E alcuna volta li occhi diventano profondi, e la lingua si ritiene, e 'l colore dell'unghie sì diventa fusco, e lli esce sudore freddo di dosso, e a la perfine, quando elli apressa a la morte, si spasma, cioè si contrae: e 'l più proprio segno di questa infertade sì è subbeth e odore d'oppio ch'escie del corpo. E nel medicamento di questa infertade comincia a ffare regittare ko l'ydromelle e ko l'aneto e 'l sale indo, sì come noi dicemo. E poscia li si faccia cristere kolle cose de cristere ke noi dicemo nel capitolo de la colica, cioè del male del fianco. E dièlisi spesse volte a bere vino vecchio e puro nel quale cennamo polverizato sia posto e si faccia starnutire kol condisi e col chastorio; e 'l suo capo si rischaldi ko imbrocatione, cioè gittandovi suso da alti decotione di cose ke 'l riscaldino. E ancora non si lasci dormire, al quale si dea tre volte il die di questa triaca da la grandeza d'un'avellana infino a la grandeza d'una noce, cioè secondo che lli acidenti fieno più forti o più deboli. Triaca ke vale a colui al quale fu dato a bere l'oppio. Recipe: castorio, asa, pepe, seme di junepero, di tucti per iguali parti. E conficiansi col mèle de l'api, o li si dea a mangiare de sagzena e ancora i· darai noci e agli de le quali si faccia polta condita kol bituro crudo, e daràli vino forte e puro nel quale sia posto cennamo, e ugnerai tucto il suo capo d'olio di costo e di lillio scaldati, e sempredarai a bere il castorio. E s'elli aviene cosa ke elli abbia grande pizicore, mettilo ne l'acqua calda. E a questo vale molto di bere aceto fortissimo caldo.
L. VIII, cap. 19 rubr.Capitolo .xviiij. Di coloro ai quali fue dato a bere il giusquiamo.
L. VIII, cap. 19A cui questo è dato sì lli avengono offuscatione e tenebrositade del viso e stimulatione e fredeza de l'estremitadi e prostendimenti. Questo cotale si dee fare rigittare, e poi li si dee fare cristere con quelle cose ke noi dicemo, e poi li si dee dare a bere ogne hora vino forte, e li si dee dare molte volte de la triacha fatta de le vipere, o de la triaca che ssi fae contra l'oppio, al quale giova somilliantemente di dare una dramma di pepe con una dr. di vino.
L. VIII, cap. 20 rubr.Capitolo .xx. Di coloro a kui fu dato la mandragora.
L. VIII, cap. 20Quelli a cui fu questo dato primieramente, quando huomo l'àe bevuta, sì emfia e apostema il suo volto, e poscia li aviene vertigine, cioè ke pare ke ssi giri il mondo intorno, e inebriamento, e i suoi occhi diventano rossi, e poi a la fine li aviene subbet forte tale ke 'l vince. Questo kotale si dee fare rigittare e si dee cristerizare e in sul capo li si dee porre de l'oxirodino, al quale si dea a bere aceto fortissimo, nel quale sia messo aloe e assenzo. E poi ke il rossore del volto e delli occhi fia andato via e 'l subet fie rimaso, sì li si dea triacha contra l'oppio a bere col vino e vi si facciano tucte quelle cose ke noi dicemo nel capitolo de l'oppio e com quelle cose si medichi.
L. VIII, cap. 21 rubr.Capitolo .xxj. Di coloro ai quali fue dato a bere le noci chastaneole.
L. VIII, cap. 21Quelli al quale fia dato le noci castaneole da tre dr. infino a la metade d'una on. tanto solamente, sì ssi n'ebbria fortemente; e se ne fia data grande quantitade, si dae la morte, e questo cotale si dee medicare kon quelle medesime cose kolle quali si medicha quelli che prese la mandragora, ma tuctavia è mistieri ke elli mandi giuso biturio caldo cotto e crudo, e le sue extremitadi si debbono mettere ne l'acqua kalda, e dêsi fare com'elli rigitti molte volte, e poi si dee curare con quelle cose ke noi dicemmo.
L. VIII, cap. 22 rubr.Capitolo .xxij. Di coloro a cui fu dato bere il giusquiamo bianco.
L. VIII, cap. 22(+i) Quelli a cui fue dato i semi de jusquiami albi. (i-) Quelli a cui fie dato questo a bbere, sì lli adviene forte ebbrietade e relaxamento e ramollamento de' membri, e la spuma li gociola e li cola de la boccha, e lli occhi arossano; a questo cotale sì si dee dunque soccorrere nel cominciamento kol rigittare ko l'ydromelle nel quale e fichi e 'l baurach sieno cotti e poscia li si dee dare lacte ricentemente munto molte volte. E se questo basta, non fare più, e se nom basta, sì ssi dee medicare kolle medicine de l'oppio.
L. VIII, cap. 23 rubr.Capitolo .xxiij. Di coloro a chui fue dato a bere le foglie del coriandro.
L. VIII, cap. 23Quelli al quale fia dato le foglie del coriandro verde secondo la quantità d'una meza libra, o di lui ricente molto avrà mangiato, sì li avengono forte vertigine e turbamenti d'intellecto, e poscia subbet, e poi in tucto 'l suo corpo si sente l'odore del coriandro, e la sua voce si fa rauca. E primieramente si dee fare ke elli renda e poscia li si debbono dare tuorla d'uova molli kom pepe e con sale, li si dee dare brodetto di galline grasse, dipo 'l quale si de' dare vino forte e puro, cioè finissimo vino, ben kiaro, a poco a poco. E se queste cose nom bastano, sì li si dea vino con cennamo e com pepe.
L. VIII, cap. 24 rubr.Capitolo .xxiiij. Di coloro a chui fu dato a bere il sugo del psillio.
L. VIII, cap. 24Quelli al quale fu dato a bere il sugo de le follie del psillio e bee molto del suo sugo, sì lli avengono angoscia, pianto e cadimento di polso, e strettura de l'alito, e kadimento di virtude, e sincopi. E quelli ke 'l bee muore spesse volte. E a questo cotale si dee soccorrere e dêsi fare k'elli rigitti koll'aceto, e co l'ydromelle caldo, e baurach, e sale yndo, e poi li si debbono dare tuorla d'uhuova molli col sale e col pepe, e asa si dee dare e vino puro e forte a bere.
L. VIII, cap. 25 rubr.Capitolo .xxv. De le speçie de' mortali funghi.
L. VIII, cap. 25Di questi cotali alcune male speçie si truovano e propiamente funghi, e da questi si dee homo del tucto in tucto guardare se non fieno kolti in luoghi conosciuti, imperciò ke quelli cotali non fanno quasi neuno nocimento. Ancora se ssono buoni, impertanto non si ne conviene molto manichare. E di quelli ne' quali è nereça, o verdeza, o colore di paone, o dai quali viene reo odore, o quelli che nascono presso de' fori dell'animali velenosi e non si sa se elli son buoni o rei, o presso a arbori ke abiano male qualitadi, sì sse ne conviene abstenere e guardare. E di grande mangiare di funghi, avengha ke elli sieno buoni, sì n'aviene squinantia e male di fianco. E quando huomo manuca i rei, sì n'aviene stretteza de l'alito, e sincopi, e sudore freddo, e alcuna volta si ne muoiono. E quando questo averrae, si dea a bere incontanente almury col sale, il quale si pone nel sale o chol sale indo, e li si dea il sugho del rafano kol baurach, o sciroppo acetoso fatto di mèle kon um pocho di baurach; o il legno del ficho s'arda, e ne la sua cennere si metta ne l'acqua e poscia si coli, e de l'aqua si dea alcuna cosa poi ke avrà rigittato ko l'ydromele. Al quale si dee dare lactovario diatriton pyperon, o diacimino, e a poco a pocho si dee prendere vino vecchio, puro e forte, cioè il milliore vino ke puoi trovare.
L. VIII, cap. 26 rubr.Capitolo .xxvj. Del sangue e del lacte il quale si raprende ne lo stomaco.
L. VIII, cap. 26Quando il lacte novellamente munto si bee, molte volte si suole prendere ne lo stomaco e magiormente se i· llui è ispessezza e grosseza, per la quale da ch'elli è preso avengono ne lo stomacho sincopi, cioè tramortimento, e freddo sudore, e rigore, e alcuna volta uccide se non si soccorre. E di quelle cose ke a cciò valliono sì è ke ssi soccorra e li si dea del coagholo de la lievre a peso d'uno aureo kon una on. di fortissimo aceto, o ke ssi dea de l'asa a la grandeza d'una fava; o li si dea del latte del ficho secchato la quantità d'una dr., e si bea con um poco di nasturzo, e con acqua calda si bea; o li si dea il sugho del mentastro; o sciroppo acetoso facto di mèle, il quale sia molto agro, li si dea. E poi che il lacte per boccha per rigitare o di sotto fie mandato fuori, dàgli a bbere di quello ydromelle koll'acqua ne la quale l'appio sia cotto, e l'acqua calda li si dee dare a bere molte volte. E in questi accidenti spesse volte adviene ke il lacte si prende nello stomacho, kon questi medicamenti si dovrà medikare. Ma sse 'l sangue è congelato ne la vescica, sì ssi dovrà medichare kolle medicine ko le quali la pietra si purgha.
L. VIII, cap. 27 rubr.Capitolo .xxvij. Delli arostiti ke ssi cuoprono sì che 'l fummo non ne puote uscire.
L. VIII, cap. 27Se quello che ssi arrostisce incontanente ke ssi lieva dal fuocho si cuopre e s'avolge per molte envolutioni o involgimenti, ançi che 'l fumo e 'l vapore possa isfiatare per una hora, quando huomo l'avrà mangiato, sì n'averrae fluxo e menagione di ventre, e vomito, e accidenti kenti solliono avenire a coloro ke ànno il male del fiancho e vollia di reddere, e forse alcuna volta uccide, e lo 'ntelletto alcuna volta per uno die, o per due, falla e viene meno. E poi apresso tucto questo per sé va via e si diparte. E quelli al quale per kagione di mangiare li arosti averrae tristitia e vertigine, e tu domanderai per lui e fieti detto perké questo fia avenuto, socorrilli incontanente e fàllo reddere molte volte. E quando tue l'avrai purghato, dàlli miva e meisos, cioè quelli cotali manichari, e vino bene olliente col sugho de le mele cotogne e dell'altre mele. E s'elli aviene vomito e grande menagione di ventre, sì 'l medicha colle medicine del male del fiancho.
L. VIII, cap. 28 rubr.Capitolo .xxviij. Di coloro ke manucano i pesci freddi.
L. VIII, cap. 28Quando i pesci s'arostiscono e, raffredati, sieno stati i· lluogho homoroso, e 'l seguente die si manuchino, pessimi accidenti vengono kente solliono avenire a coloro ke manucano i mali funghi. Onde, quando a costoro averrano questi cotali accidenti, sì li dee huomo fare rigittare, e apresso si dee loro dare vino col pepe, e a la perfine si deono medicare kon quelle cose ko le quali si medichano koloro ke àno presi e manichati i rei funghi.
L. VIII, cap. 29 rubr.Capitolo .xxviiij. Di coloro k'avessero preso latte corrotto.
L. VIII, cap. 29Il lacte alcuna volta si convertisce i· mala qualitade. E da l'acetositade ne la quale si suole spesse volte mutare, sì ssi trasmuta a dispositione di putrefatione e di malignitade, del cui manicare forte infertà collericha n'aviene, cioè che gitta di sotto e di sopra con grande pena e con grande dollia di corpo. E se alcuno, per kagione k'elli abbia manichato latte di reo odore, voglia di redere e vertigine e dollia de la boccha de lo stomacho asalgano, incontanente si faccia rigittare coll'idromele, e poi li si dea vino puro e triton piperon, e lo stomacho s'imbrochi coll'olio de neriden.
L. VIII, cap. 30 rubr.Capitolo .xxx. De' noccioli muffati e corrotti, de' quali viene reo odore e delli oli di reo odore.
L. VIII, cap. 30Se alcuno di questi noccioli fie corrotto per la muffa, del tucto in tucto è reo, sì come sono noci, e noci d'India, e simillianti a questi, sì come olio de le granella de kerva e di grisomule, humiliache, e di pesche, imperciò ke tucte queste sono pessime e magiormente se alcuno di questi cotali ne manicherae molto. E s'elli aviene cosa ke quelli che ll'userà a manicare avrae mistiere di medichamento, sì ssi pensi di fare reddere, e poi li si dea a bere rob d'uve acerbe, e di mele matiane, e ribes, e simillianti a questi, e si nodrischa di cibi lievi ke abbiano a ffare buono appetito e vollia e talento di mangiare.
L. VIII, cap. 31 rubr.Capitolo .xxxj. Di coloro a' quali fosse dato le rane del lago o de' fiumi.
L. VIII, cap. 31Se ad alcuno queste cotali rane di laghi o di fiume fieno date, sì lli averanno ramollimento e mollitie di tucto il corpo, e tenebrositade di colore, e ancora sì lli uscirà la sperma; e s'elli aviene ke la cosa ingrossi, e i denti e i peli li chagiono, allotta si conviene fare ke ll'infermi rigittino molte volte tanto k'elli sieno ben netti. E quando elli avranno redduto e fieno assai usciti, sì entrino nel bagno nel quale elli stieno tanto ke 'l corpo si risolva bene in sudore. E poi si dieno loro i lattovari, cioè diacurcuma maiore e dialaccha, ma se quello i· mena a corruptione di complexione, sì ssi medichino kon quelle cose ke ssono scripte nel suo capitolo.
L. VIII, cap. 32 rubr.Capitolo .xxxij. Di coloro ai quali fie dato la lievre del mare.
L. VIII, cap. 32Quelli al quale fie dato la lievre di mare, sì lli averrae grande dolore di stomaco, e solutione di ventre, e costrintione d'orina, e stretteza d'alito, e asma, e sputo di sangue, e puzzolente sudore, e molto vomito, il quale se cosa è k'elli non muoia, molto tosto sì diventerà tisico, s'elli non è soccorso com buona medicina e competente, e se né lli sono dati molte volte lacte e vino mescolati insieme, o ciascuno per sé; ma dinançi a questo si conviene dare a bere sugho di mele cotogne e sugho di foglie di malvavischio verde, e 'l secondo die, poi ke lli accidenti fieno menomati, pillole. Recipe: scamonea, heleboro nero, agaricho, sugho di liquiritia e dragaganti per iguali parti, de' quali confetti si dea al peso d'una dr. col julep. E s'elli aviene cosa ke quello perducha a tossa e sopravengna asma, prendasi il loro medicamento dal suo capitolo, ma innançi si scemi sangue e si medichi co le medicine di coloro ch'è apostema nel polmone.
L. VIII, cap. 33 rubr.Capitolo .xxxiij. Di coloro a cui fu dato il reo kastoro.
L. VIII, cap. 33S'elli aviene cosa ke alcuni abiano molto mangiato del reo kastoro e del pessimo avrà presa rea cosa, sì lli averranno accidenti di calda frenesia, e forse ke costoro tosto morranno. E poi ke huomo li avrà fatti reddere, sì dee prendere il sugho de l'erba acetosa o aceto di vino, e lacte di vaccha acetoso, o elli dee prendere sugho di mele acetoso, imperciò ke la propietade del sugho de le mele acetose sì è di giovare a coloro ai quali fia dato il reo castorio. E ancora il lacte de l'asina vale et è di grande eficacia a questo.
L. VIII, cap. 34 rubr.Capitolo .xxxiiij. Di coloro a cui fue dato la gomma de la ruta.
L. VIII, cap. 34(+i) Quelli al quale fia dato la gomma de la ruta. (i-) Di questo si aviene ne lo stomaco e ne la gola arsura molto grande, e li ochi strabuçano fuori, e 'l volto arossa, e nascono nel corpo sare, cioè quel male. Quel kotale si dee imprima fare reddere, poscia li si dee dare a bere lacte, e biturio cotto e crudo, e olio di sisamo, e si conviene prendere l'acqua de l'orço infino a tanto ke lli accidenti fieno menomati, e poi si debono fare gargarismi molte volte di lacte e d'olio rosato.
L. VIII, cap. 35 rubr.Capitolo .xxxv. Di coloro a chui fue dato bere l'anachardo.
L. VIII, cap. 35(+i) Quelli al quale fue dato l'anacardo. (i-) Questo kotale beveragio è pessimo e n'avengono acute infertadi, e forse alguesugues li aviene per ciò. Nel cominciamento si debono dare biturio cotto e crudo e olio de sisamo infino a tanto ke nel corpo si sente alcuna cosa di mordicamento e ne la gola vada via. E poscia bea acqua d'orço e latte di vaccha acetoso e odori olio violato, e 'l capo s'epitimi de le medicine che ssono nominate nel capitolo de alguesesi, e bea la mucillagine del psillio col julep e col sugho de le melegrane, con quelle cose ke ànno a raffredare si debbono sempre raffredare e humentare. E di quelle cose ke, ko la propietade k'è i· lloro, valliono contra l'anacardo sono le noci, le quali a cciò sono utili.
L. VIII, cap. 36 rubr.Di coloro a chui fue dato a bere l'oleandro. Capitolo .xxxvj.
L. VIII, cap. 36La propietade de l'oleandro sì è d'uccidere li asini, e li animali dimestichi, e molti animali salvatichi, e lli huomini. E al suo nocimento fa rimedio ke dipo 'l vomito si prenda decotione di dateri e di fieno greco. E 'l seme de l'agnokasto, per la propietade e per la virtude k'è i· llui, imperciò k'è per lo manicare di lui, se nel mangiare e nel bere elli si dae, sì fa rimedio non solamente alli homini, ma alli animali magiormente manda via il nocimento ke aviene da l'oleandro, ko la propietà k'elli àe e ch'è i· llui, imperciò ke per lo manichare dell'oleandro sì avenghono imfiamento di ventre e tristitia et enfiamamento. E se incontanente quando huomo l'avrae bevuto huomo redda e 'l sugho de l'erbe mucillaginose si dea, sì come del malvavischio e de sisamo, sì fa rimedio. E a questo giova di fare clistere col mèle e col baurach primieramente, e poscia ko le mucillagini e co le cose unctuose. E sì aiutano a mangiare fichi, e mèle, e çuchero, e rob di mosto, e tutte le cose dolci e unctuose. E del tutto in tucto si dee huomo guardare dall'acqua ne la quale elli nasce, e i· neuno modo si dee bere se in lei non si raguna moltitudine d'acque, la quale se per grande necessitade si debbia prendere, co le cose dolci, sì come julep o simillianti cose, si dee mescolare.
L. VIII, cap. 37 rubr.Capitolo .xxxvij. Di coloro a cui fue dato a bere la cipolla squilla.
L. VIII, cap. 37Quando alcuno avrà preso grande quantitade di squilla, sì ssi fanno ulceragioni ne le budella e ne le vene del fegato. Dumque conciosiacosaké per lo suo beveragio pugnimento e talliamento avengha, si conviene ke ssi dea lacte cotto koi pezzi del ferro rovente. E la polvere de' sementi si dee dare bere, e dêsi nodrire co le tuorla dell'uova, e si dee medichare koll'altre medicine ke ssono nominate nel capitolo del medicamento delli ulceri de le budella.
L. VIII, cap. 38 rubr.Capitolo .xxxviij. Di coloro a chui fue dato bere il seme de l'orticha.
L. VIII, cap. 38Quelli ke avrae bevuto il seme de l'urticha per aventura incorrerà quello accidente kente incorre quelli che avesse bevuto la squilla. Dunque si dovrà medicare koi suoi medichamenti e forse n'aviene tossa ke ffa male per questo, onde si conviene fare medicamento de l'acqua de l'orço kol julep e de le medicine che ànno a llenire la tossa e giovare.
L. VIII, cap. 39 rubr.Capitolo .xxxviiij. Di coloro a chui fu dato bere acqua di neve.
L. VIII, cap. 39Per lo bere dell'acqua de la neve fredda, quando huomo ne prende quando huomo è uscito del bagno, o dopo faticha, o a digiuno, o quando huomo è molto pieno di cibo, forse aviene subita dollia nel feghato, per la quale se perviene a malicia di complexione e a idropisi. E quando quello che noi abbiamo detto aviene, si dee bere vino forte e buono e possente e si dee abstenere per alquanti dì da' cibi freddi, bevendo diversi vini: e sopra 'l feghato dee porre impiastro caldo, il quale noi nominamo nel suo capitolo.
L. VIII, cap. 40 rubr.Capitolo .xL. Di coloro a chui fue dato bere il gesso.
L. VIII, cap. 40Nel bere del gesso forse aviene male di fianco molto forte, e strangolamento de la gola, e seccheza di gola. Dunque a lo 'mfermo sì si debbono dare acqua di mele o kose mucillaginose (cioè muschiose) primieramente, e poscia di psilio dr. .iiij&., e di scamonea la terça parte d'una dr. si dea col julep. E quando per questo lo 'nfermo fia mosso e uscito, sì ssi conviene atendere se lli acidenti k'elli avea sono andati via o menomati, imperciò ke allora fia utile; e se non sono sedati, un'altra volta si dee muovere e fare uscire. E se perciò disenteria avenisse, cioè scorticamento di budella, sì ssi medichi kol medichamento della dissinteria.
L. VIII, cap. 41 rubr.Capitolo .xLj. Di coloro a' quali fue dato bere il litargiro.
L. VIII, cap. 41Nel bere del litargiro sì si seguita ritenimento d'urina e di sterco, e graveza di lingua, e apostema del corpo, sì lli si dee dare la dicotione de' datteri, e dell'aneto, e del nitro. E se llievemente il vomito si fa e il rigitare, sì ssi faccia un'altra volta. E se 'l vomito è picolo e lli acidenti si faciano più forti, la schamonea si dee dare, sì come noi dicemo, a bere. E quando l'opera del muovere fia ristata, sì ssi conviene dare questo medicamento ke noi diremo, la cui confettione: recipe: seme d'appio e d'assenzo per iguali parti e si ne dea a peso di due aurey kon una on. di vino e con una on. di dicotione d'appio. E poi ke ll'orina fia provocata e 'l ventre fia vòto, cioè fie uscito e mosso, sì sarae la santade ristituita.
L. VIII, cap. 42 rubr.Capitolo .xLij. Di coloro a chui fue dato bere l'ariento vivo.
L. VIII, cap. 42Io non extimo de l'ariento vivo, quando elli si bee sano, ke grande nocimento si seguiti se non ne le budella e in ventre forte dolore, poi ch'elli esce del corpo sì com'elli è, e magiormente se l'huomo ke ll'avrà preso si muova. E io il diedi a bere a una scimia ke io avea e non vidi k'ella perciò avesse altro accidente se non quello che io dissi, la qual cosa io kongnobbi perciò k'ella si torcea, e dibatea, e mordeasi il corpo co la boccha, e si tirava e traeva ko le mani. Ma alcuni delli antichi dissero ke di lui aviene certo accidente ke sseguita del litargiro, cioè de l'aghetta, e ke lo 'mfermo di quelle medesime medicine si dee medicare. E quando elli si mette nell'orecchie, sì fa molto crudel nocimento. Ma quando elli è trito e sotilliato sì è molto reo e mortale, imperciò ke elli fa conmuovere nel corpo grande dolore, e grande puntione, e uscita con sangue. Medichi, dunque, dandogli spesse volte de l'ydromelle e facendoli spesse volte cristere kol baurach, infino ad tanto ke alquante volte il corpo si vòti, e li si deano a bere medicine konvenienti ke ssono buone ne la disinteria, sì come fichi cotti e semi lievi, e mucillagini, e sevo di beccho o di capra, e si faccia cristere di queste cose e de le somillianti che noi nominamo nel capitolo de la disinteria. E di quello ke getta ne l'orecchie sì n'aviene fortissimo dolore, e perturbamento d'intellecto, e spasmo, e pungnimento con grande graveza di quella parte ove sia gittato e messo. Onde quelli che à questo male si dee inchinare il capo a quella parte e, molte volte tornato a alcuna cosa, salire e saltare sopra uno piede. E si dee fare starnutire per força kol condisi, del quale elli dee tenere alcuna cosa im boccha, e ne l'orecchie dee mettere l'olio sì caldo chome elli puote sofferire e, quando fie raffredato, gittarlone fuori, e i· lluogho di quello sì vi dee mettere dell'altro caldo. E lo 'nfermo dee giacere sopra quel lato, ma il capo non tengha sul piumaccio, ma più oltra il tengha. E alcuna volta si fae uno radio, cioè uno strumento di piombo, e si mette nell'orecchie, e si muove e mena per l'orecchie; e quando n'escie, sì li si truova intorno lui de l'ariento vivo appicchato ke vi era. E poscia si dee forbire e stropiciare e metterlovi un'altra volta, e questo si conviene fare molte volte. E forse alcuna volta aviene de l'ariento ke ssi mette ne l'orecchie non si seguita reo accidente a colui di cui elli esce, e alcuna volta vi rimane dentro, e alcuna cosa di lui ne perviene al bucino dell'orecchie, e vi si appiccha, e poscia n'avengono pessimi accidenti. E uno medico mi disse k'elli vide uno a cui perciò n'avenne il male maestro e poscia l'apoplepsia. Et ezufur e de zincar, quando huomo li prende, n'avengono quello ke aviene de l'ariento vivo spento, ma cincar, o zincar, è pigiore, imperciò ke molti dicono ke di lui neuno non si scampa, il cui medicamento è somilliante a quello de l'ariento vivo e de l'aurpimento.
L. VIII, cap. 43 rubr.Capitolo .xLii&[j&]. Di coloro che bevero la biaccha e del suo nocimento e de la sua cura.
L. VIII, cap. 43La lingua di colui ke beve la biaccha imbiancha, al quale viene grande singhiozzo e tossa, e i suoi membri si mollificano e ramolliscono. A costui si dee dare dicotione di fichi o ydromelle kon olio, e si faccia reddere, e molte volte li si dea a bere al peso d'uno aureo del sugo dell'asenzo koll'idromelle. La quale cosa tante volte si facia infino ke ll'orina si provochi. La quale cosa si conviene fare poi ch'elli avrà preso la quarta parte d'una on. di schamonea koll'idromelle. E poi che ll'orina fia provocata e li accidenti sederanno e andranno via, e s'elli nom puote urinare, sì li si dee dare cosa da ffare urinare, le quali cose sono nominate nel suo capitolo.
L. VIII, cap. 44 rubr.Capitolo .xLiii&[j&]. Di coloro ai quali fosse dato kalcina insieme, o arsenico soblimato, o grasso di sapone, o ne la cui gola polvere d'arsenico o calcina fosse entrata.
L. VIII, cap. 44Se ad alcuno fosse dato kalcina insieme o arsenico soblimato, o grasso di sapone, o ne la cui gola de la polvere de l'arsenico o calcina fosse entrata, di queste cose aviene ne le budella pugnimento e ulceragioni. Dumque si conviene dare acqua calda kon julep molte volte tanto che ssi lavi molto bene, e poscia li si dea l'acqua del riso o de l'orço, o ssomilianti a queste ke giovano a le fedite de le budella, de le quali cose si conviene altressì fare clistere. E se tossa aparisse, sì ssi medichi co le cose lenitive ke amolliscono e puliscono.
L. VIII, cap. 45 rubr.Capitolo .xLv. Di coloro ai quali fue dato a bere la fferrugine, o la limatura del ferro, e de la sua cura.
L. VIII, cap. 45Se ad alcuno fia data a bere la ferugine del ferro o la sua limatura, a questi cotali aviene nel corpo forte dolore, e ne la boccha seccheza e infiamento, e nel capo forte dolore. Ai quali conviene dare lacte kon cose ke abbiano molto a ffare uscire, e poscia li si dea a bere biturio cotto e crudo, tanto ke li accidenti e i sintomi sieno sedati e andati via. E 'l capo si dee infondere e mollare koll'oxirodino e coll'acqua rosa, imperciò ke li farà grande giovamento.
L. VIII, cap. 46 rubr.Capitolo .xLvj. Di coloro ai quali fue dato a bere çimar.
L. VIII, cap. 46Se ad alcuno fia dato a bere zimar, cioè verderame, a questi cotali aviene forte dolore e rigittamento, e ne le budella ulceri e ne la boccha seccheza e scorticamento. E questi si debono medicare kome quelli che bevero l'aurpimento.
L. VIII, cap. 47 rubr.Capitolo .xLvij. Di coloro ai quali fue dato a bere allume o vetriuolo.
L. VIII, cap. 47Se alcuno avese bevuto molto allume o vetriuolo, di queste due cose, si seguita tossa nocevole e seccha sì ch'ella mena altrui al tisicho, onde si dee dare a lo 'nfermo lacte kon çucchero e kom biturio crudo, e questo è milliore di tutte l'altre medicine.
L. VIII, cap. 48 rubr.Capitolo .xLviij. Di coloro a cui fosse dato il totomallio.
L. VIII, cap. 48Tintimallio è ogne erba che àe il latte kaldo ke il corpo ulcera sì come schamonea, e sabran, e astro, e letigia, e le somillianti a queste, imperciò ke sse di questi molto si bea, sì ànno a uccidere, e se sse ne prende temperatamente, sì ssono medicine. E il loro nocimento comunemente lievano il lacte e 'l biturio crudo e cotto, imperciò ke queste cose indeboliscono la loro forteza e operatione. E queste cose date sì ssi convengono medicare li accidenti ke avengono a le loro cagioni, imperciò ke di questi sono alcuni onde viene forte menagione di corpo e grande. E alcune di loro sono de' quali proviene l'orinare del sangue e vomito, e il loro medichamento si conviene fare secondo ke noi ponemo nel capitolo del medicamento de l'enfertadi singulari.
L. VIII, cap. 49 rubr.Capitolo .xLviii&[j&]. Di coloro ai quali fosse dato a bere l'eleboro biancho e la noce vomica e 'l condisi.
L. VIII, cap. 49Quelli al quale fosse dato l'eleboro bianco, o la noce vomicha, e 'l condisi, e arkaytha, quando d'alcuno di questi si prende grande quantitade, si provoca forte vomito e, forse, per la moltitudine delli homori ke lle atraghono all'isoffagho, si seguita soffocamento, cioè affoghano, perciò che quelli cotali homori volliono uscire fuori subitamente, e forse per l'aventura ne proviene forte tramortimento. E quando non si provocha il vomito, sì cagiono per quello tramortire il polso e la virtude. E 'l tramortimento aviene spesse volte, e 'l sudore freddo esce fuori, e se tosto non si socorre, sì sse ne seguita la morte. E alcuna volta se ne seguiterà tramortimento e vomito di lungho tempo e di grande quantitade, e inanitione, e consumamento del corpo tanto ke ne viene spasmo e contratione. Dumque quando il primaio sinthoma e accidente fie venuto a lo 'nfermo, sì ssi dee cristerizare kolla colloquintida e col sale, e alcuni homori si trarranno giuso. E se 'l vomito verrae grandemente e a pocho e a pocho kon forte faticha e nociva, sì lli si dee dare spesse volte l'acqua tiepida, e dêsi fare che ne pilgli molta tanto ke 'l vomito si faccia venire soavemente. E quando avrae redduto, ancora li si dee dare, imperciò ke allora lievemente si provocha il vomito, e spesse volte sarae la trestitia più lieve e la vollia del reddere. E dipo queste cose si medichi co le medicine della collericha infertade. E se spasmo sopraviene, latte e bituro cotto si dee dare spesse volte, e 'l collo, e 'l petto, e le ghambe, e le coscie, e le braccia si debbono freghare e stropicciare, e vino molto inacquato si dee bere. E se lo spasmo si comincerà, sì ssi dee mettere ne la tina de l'acqua calda, e de l'olio tiepido ke non sia di calda virtude si dee ungnere. E si driçi in ungnere e stropicciare e mollificare l'operatione del membro spasmato, e a quello membro, secondo che noi nominamo nel capitolo de lo spasmo, è da sovenire.
L. VIII, cap. 50 rubr.Capitolo .L. Di coloro ke bevero lo eloboro nero e del suo nocimento e cura.
L. VIII, cap. 50Se alcuno homo avrae preso e bevuto molto dell'eleboro nero, sì lli averrà fortissimo fluxo di ventre e movimento. Questa cotale virtude si conviene indebolire dandolli del lacte, e farlo entrare ne l'acqua fredda e gittandoline in sul capo lunghamente e per lungho spatio di tempo; e li si debbono dare quelle cose ke ssi fanno del rob de' fructi acetosi a costrignere il corpo.
L. VIII, cap. 51 rubr.Capitolo .Lj. Di coloro a chui fue dato a bere l'euforbio e del suo nocimento e cura.
L. VIII, cap. 51Se ad alcuno fie dato l'euforbio a bere, questa speçie fortemente muove il corpo kon rinfianmamento, e riscaldamento, e angoscia grande, la cui força si dee debilitare col biturio kotto e crudo, e poi li si dee dare l'olio rosato. E quando i sinthomi e li accidenti kominceranno a menomare, il grano cotto kon molta acqua con julep e con acqua li si dee dare. E lo 'nfermo segha in acqua fredda e sughi de l'acqua rosa, e spesse volte bea del sugho de le melegrane e martiane ke ànno il sapore um poco acetoso.
L. VIII, cap. 52 rubr.Capitolo .Lij. Di coloro ai quali fue dato a bere il mezeron e de la sua cura.
L. VIII, cap. 52(+i) Choloro ai quali fue dato il mezeron e ne presero più ke non fue mestiere. (i-) Di questo si ne seguita vomito e fortissimo fluxo, e managione di corpo, onde la virtude di questo nocimento si dee indebolire kol bituro e col lacte ricentemente munto, e julep, e koll'acqua, e colla neve si dee dare a bere, dandola spesse volte a bbere. La chui virtude si riprime coll'aceto quando huomo il darà spesse volte a bere. E quando per alquanti die il vomito e 'l fluxo del ventre fie cessato, sì ssi dovrà dare sciroppo acetoso e 'l sugho de l'endivia.
L. VIII, cap. 53 rubr.Capitolo .Liij. Del mellioramento de le medicine ke fanno uscire, nel quale si nominano e diterminano le lor virtudi.
L. VIII, cap. 53La schamonea purgha la collera rossa fortemente, e 'l meno che di lei si dae sì è la sexta parte d'una drama, e 'l più ke sse ne dea sì è li due terzi d'una dr. E quando noi avremo paura del suo nocimento e 'l vorremo fugire e levare via, allotta la dobbiamo conficere e mescolare col sugho de la mela cotongna acetosa o matiana, o con acqua rosata ko la quale sia mescolato il somaccho in tanta quantitade ke ssi possa conficere. De la quale così mescolata e malaxata, cioè menata per mano, si facciano pezuoli ritondi sottili e piccoli a modo di trocisci, e secchisi ne l'ombra (o all'ombra), e si sappia di quanto peso sia ançi ke si conficia, e si ne dea de la quarta parte d'una dr. infino a una 1/2 drama. E la polpa de la coloquintida purgha fortemente il flegma. E s'ella si dee dare ad alcuno ke abbia disinteria o ke per picola kagione la sollia avere, sì le si converrà mescolare draghaghanti di quella quantità ch'ella sarà. E li mescoleremo nel mortaio abindue insieme pestando tanto che ssieno fatti una cosa e se ne facciano trocisci sottili, e si secchino all'ombra, de' quali si dea da la quarta d'una dr. infino a una 1/2 dr. Turbith manda fuori l'umiditadi ke ssono ne la boccha de lo stomacho e ne le budella, e non à mestieri che ssi aconci altrimenti se non ke ssi scortichi, e quello si scelgha di lui ch'è buono e si pesta e rompe, del quale si dee pilliare da una dr. infino a .ij.; e se ssi dee mettere in dicotione, sì ssia da .iij. dr. infino a .iiij.; e quando homo intende di rettificarlo, sì ssi conviene mescolare quando huomo il vuole usare allotta allotta kon olio di mandorle dolci ke ssia buono. L'agaricho purgha diversi homori del quale si dee dare de le due parti d'una dr. infino a due; e non aè mestiere di conciliarlo o mescolarlo con altro, altrimenti se non ke l'huomo il dee scielliere buono e bianco, cioè a ssapere ricente; ma sse alcuno da llui si vuole guardare, sì 'l mescoli con isciroppo acetoso. Alloe purgha la collera rossa e l'umiditadi del quale si dee pilliare da uno aureo infino a due aurei. E se alcuno àe male di sotto nel fondamento, se no è di calda complexione e 'l vollia prendere, sì 'l mescolli col dellio. E quelli ke fia di calda complexione, sì lli mescoli dragaganti. E quelli ke à male ne lo stomacho o nel fegato, ko la mastice e rose prenda l'alloe mescolato. E la centaura in sua operatione e in suo aparecchiamento si truova somilliante a questo e di lei si dee più prendere. Sebron e mezeron sono calde, l'acume de le quali riprieme e spengne l'aceto quando elle fieno i· llui infondute e messe a molle, e di loro si prende misuratamente; e si dee di loro prendere di una 1/2 drama infino a una dr. E somilliantemente si faccia de' totimagli ke ssomilliano loro. Del lacte sebra non diremo altra cosa se non quello che noi dicemmo de la scamonea, imperciò k'elli e li altri titimagli purghano la collera rossa e ll'acqua fortemente. L'euforbio è kaldo e manda fuori l'acqua e li homori spessi, del quale si dee prendere da la sexta parte d'una dr. infino a la terza dr., la cui acuitade si riprieme koll'olio de le mandorle e con dragaganti, quando si mescola con esso e si ne gitta suso. Albecul, o zibenil, manda fuori lo flegma adusto, e quando si prende, sì genera fortemente tristitia e nausca, cioè vollia di reddere e abominatione, del quale si dee prendere da .iij. dr. infino a una on., poi k'elli fie scorticato. Latterides menano fuori del corpo acqua e collera rossa, le quali sono somillianti ai titimagli. Almezera è uno de' titimalgli, il quale giova tanto solamente a le gotte e alli homori spessi e freddi. Sticados mena fuori la collera nera lievemente e agevolmente, del quale si dee prendere da .ij. drame infino a tre; né non à mestiere d'altro aconciamento ma, tuctavia, s'ella è presa kol sciroppo acetoso, sì fie milliore. Epithimo vòta la collera nera, del quale è konvenevole cosa di prenderne da .iiij. dr. infino a .vj. dr., e no à mistire d'altro mellioramento o aparecchiamento. E se alcuno il vuole altrimenti melliorare, sì 'l mescoli coll'olio de le mandorle dolci. Il sene e 'l fumosterno mandano fuori li omori adusti, e giovano a la scabbia e rongna e piçicore, de' quali si dee dare da .iiij. dr. infino a .vij. Mirabolani citrini menano fuori la collera rossa e lli homori de' quali si danno alcuna volta da dr. .x. a .xx. De la manna, e de la cassia fistola, e de le viuole secche, e susine secche non ci è mistiere di parlare, imperciò che pocha pena fanno e tucte purghano la collera rossa soavemente. E quelle cose ke fanno discendere a le budella molte volte bastano quelle ke noi nominamo nel capitolo de lo stomacho, imperciò ke in questo libro noi nomineremo i movimenti di tucti i luoghi nei quali noi avremo mestiere di nominamento. La quale cosa noi faremo in tal maniera acciò ke in loro non ci convenga alcuna cosa revochare.
L. VIII, cap. 54 rubr.Capitolo .Lii&[ij&]. De l'exempro da chomporre le medicine da muovere.
L. VIII, cap. 54Di ciascuna spetie de le quali la medicina si dee comporre tanto se ne prenda quanto basti a una dose a una volta al purgare. E poscia se quello tucto ke ssi confice si compongha di .x. erbe, sì ssi prenda la quarta parte, e se di .v., la quinta. E se noi vorremo comporre la medicina da muovere di scamonea e d'alloe, e d'agarico, e di coloquintida, prenderemo de l'aloe dr. .iij., e de la coloquintida dr. 1/2, e de la scamonea la sexta parte d'una dr., e de l'agarico dr. .j.; e quando fie mestiere, sì ssi prenderà di questo composto dr. .j., e la quarta parte d'una dr. E se ad alcuno è grave cosa di bere la dicotione, sì prenda de le pillole e de le confetioni ke quello homore ke vuole mettere fuori (solea mettere fuori) quella decotione. Compiuta è la parte ottava e a Dio, il quale ci àe atato, sieno grazie infinite. Explicit liber octavus. Laus deo patri atque unigenito Christo et Spiritui Sancto per omnia secula seculorum. Amen.
L. IX, Index rubr.Qui comincia la nona particola e il nono libro ke contiene in tucto novanta kapitoli. E sono questi essi.
L. IX, IndexCapitolo primo del male del capo, de la migranea, cioè quando la dollia è pur nell'una metade del chapo. Capitolo secondo. De la vertigine e de la scotomia, cioè quando pare ke ogne cosa si giri intorno et elli àe tenebrositade e vuole kadere. Capitolo terzo. De la frenesia. Capitolo quarto. De l'apoplexia. Capitolo quinto. Del subet, cioè di grave sonno. Capitolo sexto. Del congelamento, quando alcuno giace quasi sì com'elli dormisse. Capitolo septimo. De la parlasia. Capitolo .viij. De l'adormentamento de' membri e del triemito e ratraimento de' membri. Capitolo .viiij. Del travolgimento de la boccha. Capitolo .x. De lo spasmo e contratione. Capitolo .xj. De l'epilensia, cioè del mal maestro. Capitolo .xij. De l'incubo, cioè la nocte quando dorme si sente kadere adosso una cosa grave. Capitolo .xiij. De la malinconia. Capitolo .xiiij. Di catarro e rema. Capitolo .xv. de obtalomia, cioè d'apostema dell'occhio. Capitolo .xvj. Delli ulceri delli occhi. Capitolo .xvij. Di quelle cose ke chagiono nelli occhi, o pelo, o pallia, o altro ke ssia, e de la biancheza ke ssi fa nell'ochio. Capitolo .xviij. De la scabbia e del sebel ke apaiono nelli occhi. Capitolo .xviiij. De' lacrimali com pizicore. Capitolo .xx. De l'ungula o unghiella de l'ochio. Capitolo .xxj. De la macula rossa o d'altra cosa com percossa. Capitolo .xxij. Del vedere debole. Capitolo .xxiij. De l'enfiamento de le palpebra e de' pele de le palpebra ke tornano inn entro più che non debbono e pungono l'occhio. Capitolo .xxiiij. De l'acqua ke kade ne l'ochio. Capitolo .xxv. Di coloro ke non vegono dopo il sole tramonto. Capitolo .xxvj. De l'alargamento de la pupilla. Capitolo .xxvij. De le fistole ke ssono ne le cantora de' lacrimali delli occhi. Capitolo .xxviij. De' medicamenti delli ochi. Capitolo .xxviiij. De la dollia dell'orechie. Capitolo .xxx. Del tonamento delli orecchi. Capitolo .xxxj. Dell'ulceragione de l'orechie. Capitolo .xxxij. Del suono e del tuono de l'orechie e de la sua cura. Capitolo .xxxiij. De la graveza de l'udire. Capitolo .xxxiiij. De' vermini delli orechii e del panno delli animali che v'entrano entro. Capitolo .xxxv. Di quelle cose ke di fuori sono entrate nell'orecchie. Capitolo .xxxvj. Quando elli esce troppo sangue del naso. Capitolo .xxxvij. Dell'ulceragioni del naso. Capitolo .xxxviij. De le morici ke nascono nel naso, cioè del polippo. Capitolo .xxxviiij. Del perdimento de l'odorato, cioè quando huomo non sente né puço né odore. Capitolo .xL. Del dolore de' denti. Capitolo .xLj. D'insengnare trare i denti. Capitolo .xLij. De l'adormentamento e allegamento de' denti, e di coloro ai quali dolliono i denti per kagione dell'aire freddo. Capitolo .xLiij. De le gengie sanguinose. Capitolo .xLiiij. Del cadimento de l'uvola. Capitolo .xLv. De le mignatte k'entrano ne la gola. Capitolo .xLvj. Di quelle cose ke entrano ne la gola, o spina e osso ke ssia. Capitolo .xLvij. De la graveza de la lingua. Capitolo .xLviij. De la lingua ke ingrossa sì k'ella non cape ne la boccha, ançi n'esce fuori. Capitolo .xLviiij. De la ghiandola k'è anodata sotto la lingua e delli apostemi ke ssi fanno ne la lingua. Capitolo .L. De la squinantia, cioè de l'apostema de la gola, overo colta. Capitolo .Lj. De la tossa aspra e seccha. Capitolo .Lij. De l'asma del petto. Capitolo .Liij. De pleuresi, cioè quando alcuno si sente sopra le costi dolore pugnente. Capitolo .Liiij. De la pleriponia, cioè apostema del polmone. Capitolo .Lv. di coloro ke gittano il sangue kol vomito e collo sputo o kon rascatione dal palato. Capitolo .Lvj. Del tisico e tisicheza. Capitolo .Lvij. Del triemito del cuore. Capitolo .Lviij. De la collerica infertade. Capitolo .Lviiij. Di quelle cose ke confortano lo stomaco e aiutano bene ismaltire e digerere il cibo. Capitolo .Lx. Del dolore de l'apostema de lo stomacho. Capitolo .Lxj. Del singhioçço. Capitolo .Lxij. De l'apetito chanino. Capitolo .Lxiij. Del dolore del fegato. Capitolo .Lxiiij. De la yteriçia, cioè quando huomo diventa giallo o nero. Capitolo .Lxv. De la ydropisia. Capitolo .Lxvj. De la dollia de la spiena, cioè milza. Capitolo .Lxvij. De la colica, cioè del male del fiancho. Capitolo .Lxviij. Del fluxo del ventre. Capitolo .Lxviiij. De la malagevoleza de l'orina. Capitolo .Lxx. De la malagevoleza del male de la pietra. Capitolo .Lxxj. De l'apostema ke ssi fae ne le reni, overo ne la vescicha. Capitolo .Lxxij. De l'ardore de l'orina. Capitolo .Lxxiij. Quando huomo orina sangue. Capitolo .Lxxxiij. Del fluxo de l'orina. Capitolo .Lxxv. De' vermini ke ssi generano nel ventre e nel fondamento de la natura. Capitolo .Lxxvj. De le morici e de le fistole e de le rogadie ke ssi fanno ne la natura, nel fondamento di sotto. Capitolo .Lxxvij. Del budello del fondamento di sotto o la matrice k'esce fuori. Capitolo .Lxxviij. Di ristrignere i mestrui. Capitolo .Lxxviiij. Di provocare i mestrui. Capitolo .Lxxx. De le ragadie, o crepaccie, o fenditure, e aspreza de la natura de la femina. Capitolo .Lxxxj. De l'apostema ke ssi fa ne la matrice de la femina. Capitolo .Lxxxij. De l'ulceragioni ke ssi fanno ne la matrice e del cancro. Capitolo .Lxxxiij. De la putrefatione de la matrice, cioè quando la matrice enfia e sale in su, e pare ke la femina tramortischa e vada via di questo mondo. Capitolo .Lxxxiiij. De la 'nfertà k'è kiamata mola, la quale è una infertà k'aviene a le femmine alcuna volta ke paiono prengne e sono discolorite e ritengono i mestrui. Capitolo .Lxxxv. De' crepati et erniosi. Capitolo .Lxxxvj. De le gotte e de le dollie. Capitolo .Lxxxvij. De la scrignuteza. Capitolo .Lxxxviij. De le vene grosse ke apaiono per le ghambe piene di sangue. Capitolo .Lxxxviiij. De l'helefantia, cioè quando i piedi e le gambe diventano grosse molto et emfiate kon ischianze. Capitolo .Lxxxx. De la dollia ke ssi fae manifesta ne' membri.
[L. IX, Incipit]Qui comincia la nona parte, overo particula, o il nono libro di Raxis. Del medicamento de le 'nfertadi ke advengnono nel corpo dentro dal capo infino ai piedi. E contiene questo nono libro in somma novanta capitoli.
L. IX, cap. 1 rubr.Capitolo primo. Del male del capo e de la migranea, cioè quando la dollia è pur solamente nell'una metade del capo.
L. IX, cap. 1Quando ko la doglia del capo saranno rossore nel volto e nelli occhi, e tensione e graveça, e 'l toccamento si sente caldo, e 'l polso è grande, sì ssi dee scemare sangue de la vena del capo da quella parte ove è la dollia, o da quella parte ove la dollia è magiore, e poi si prendano acqua rosa, aceto e olio rosato, e tucti insieme si dibatano tanto ke diventino spessi, e poscia si raffredino in su la neve e si spargano in sul capo. E lo 'nfermo s'astenga e sofferi da la carne e dal vino, e manuchi adefian citrina, e rapsel, e i camangiari freddi, e i frutti freddi, e 'l ventre si faccia muovere e uscire coi mirabolani citrini, e ko le susine, e koi tamarindi, e kol çuchero bianchissimo. E se queste kose nom bastano, i semi del malvaviskio si mettano ne l'aceto, e si dibatano tanto ke diventino spesse, de' quali si faccia impiastro al capo. Ancora è utile di fare empiastro di psillio e d'aceto. E se con queste cose il polso corre tosto e nel toccare si sente kaldeza, ma nel volto né nelli occhi no è rossore né distendimento, nel cominciamento si muova il ventre, e poi si facciano quelle cose ke noi dicemo. E nel naso si gitti de l'olio violato, o olio di çuccha dolce, o olio di neufar, o olio di fiori di salci, de' quali ciascuno, rafreddato sopra la neve, si spanda in sul capo. E si nodrischa sì come noi dicemmo e lo 'nfermo odori kamphora, e acqua rosa, e salci, e viuole e simillianti cose. E s'elli adviene cosa ke 'l male molto rinforzi e cresca, sì ssi prenda de l'oppio e de la camphora, di ciascuno quanto pesano due granella d'orço, i quali si disolvano e si disfaciano in olio di salce, e si mettano nel naso e nelli orechi. E s'elli aviene kosa ke ko la dollia del capo non è neuna de le predette cose ke noi dicemo del rossore del volto, e 'l male è antiquo, nel kominciamento si solva e muova il ventre ko le pillole coçie, le quali io feci: recipe: de la polvere de la pigra dr. .x.; coloquintida dr. .iij.; e la terza parte d'una dr.; di scamonea dr. .ij. e 1/2; e de turbit e sticados ana dr. .v.; e di queste cose si faciano pillole, e sono .x. dose, cioè sono .x. prese. Poi ke 'l ventre è soluto e k'elli è uscito, sì ssi ungha il capo koll'olio del sanbucho e koll'olio di been e se ne metta nel naso. E lo 'nfermo si odori algaliam (o algaviam) e li si soffi il moscado nel naso. E se 'l male fosse molto forte e molto gravasse e inforçasse, prendasi de l'euforbio e del castorio ana di ciascuno la sexta parte d'una dr., e disolvano e disfacciano in uno poco d'olio di sambuco, e si metano nel naso e nell'orecchie. E ne la ceffalea calda (cioè nel male del capo) k'è per kalda kagione, questo empiastro si dee porre a le tempie e a la testa. Recipe: del seme de le latughe, e sief, memithe, sandali bianchi, e rossi, fauvel (o faufel) rose e oppio. Di queste cose si faccia impiastro poi ke ffieno bangnati coll'aceto e coll'acqua rosa, e si pongano su la fronte, sopra 'l quale si pongha il panno molle d'aceto e d'acqua rosa, il quale, poi ke fie rasciutto, sì ssi molli l'altra volta e vi si pongha suso. Ugnimento a la cefalea freda, cioè al male del capo ke è per fredda kagione. Recipe: castoro, euforbio, pepe, senape, storace, ruta, marobbio, le quali cose si secchino, e si pestino, e si stacino e mescolino, e s'inaffino con vino vecchio, o kon olio di cost, o di kamomilla, e disolvutevi dentro, e disfacte, sì sse ne unga e inaffii la fronte spesse volte. E questo cotale lenimento e ungnimento e imbiutamento a ogne antiquo male di capo giova non solamente postovi suso, ma ancora gittato e messo nell'orecchie, poi ke queste cose fieno disolute e disfacte in alcuno de' predetti olii. E a questo cotale infermo si dee dare vino forte vecchio finissimo. E quando elli aviene cosa ke 'l male del capo perseverrae per una septimana, lo 'nfermo si dee mettere nel bagno, e sopra il loro capo si dee gittare e spargere acqua, ne la qual sian cotte kamamilla, maiorana, sticados arabico insieme, o ciascuna per sé. E s'elli aviene ke 'l male del capo assalga ogne die dinançi al mangiare e dipo 'l mangiare si diparta, sì ssi dee soccorrere a lo 'nfermo dandoli ongne die, dinançi l'ora k'elli suole venire, fette di pane mollate in sugho di melegrane, o d'uve acerbe, o di somillianti. E se 'l male del capo avengha per kagione di troppo dimoro al sole, sì ssi potrà bene medicare e guerire koll'olio rosato e aceto raffreddati. E s'elli advien cosa ke per queste medicine non vada via e non guerischa, sì ssi dee medicare koll'altre ke ànno a raffreddare. E s'elli aviene cosa che 'l male del capo ancora perseveri, e si faccia magiore, e per niuna maniera non si diparta, e sia temenza ke lo 'nfermo nom perda il vedere, e l'acqua discenda alli ochi, l'arterie de le tempie si debbono talliare e trarlene fuori. Ma tuctavia quel ke noi diciamo aguale non è de la intentione di questo libro.
L. IX, cap. 2 rubr.Capitolo secondo. De la vertigine e de la schotomia, cioè quando pare a l'huomo ke ogne cosa si giri intorno lui et elli àe tenebrositade e vuole chadere.
L. IX, cap. 2Quando alcuno vede quello ke è dinançi da llui muovere intorno intorno, e li occhi ànno tenebrositade, e vuole cadere, e in quella hora il volto e lli occhi diventano rossi, e le vene ke ssono dopo li orecchi sono e paiono grosse, di quelle vene si vuole scemare sangue, e le coppette si debbono porre nel collo e ne le tempie e ne le gambe. E se le predette vene non apaiono e 'l volto fie rosso, sì ssi dee scemare sangue della vena del feghato, e le coppette si volliono porre ne le ghambe. E in questa spetie di scotomia, e in quella ke noi dicemmo dinançi, sì ssi dee bagnare e mollare il capo koll'olio rosato e koll'aceto, e lo 'nfermo dee fugire e schifare ' caldi cibi, e 'l ventre si dee solvere e muovere kolla dicotione de' mirabolani citrini ke noi dicemo nel capitolo del male del capo. E quando kolla scotomia no è rossore di volto né febbre, sì dee huomo atendere s'elli àe subversione di stomacho e avolgimento e vollia di reddere. La quale cosa se elli l'àe, primieramente si dee fare reddere e rigittare, e poscia prenda una presa di pillole coçie e s'astengna da' freddi cibi. E s'elli non v'è avolgimento di stomaco, né vollia di rigittare, né non apaiono segni di chaldeza, sì ssi muova il ventre molte volte kolle pillole coçie, e schifisi in quanto puote del tutto in tucto i cibi freddi; e gorgoglisi gargarismo kol quale si faccia gittare fuori il flegma; e nel naso si metta alcuna cosa di quelle cose ke noi dicemmo ke riscaldi il capo.
L. IX, cap. 3 rubr.Capitolo terço. De la frenesia.
L. IX, cap. 3Quando la febbre continua assalisce alcuno kon forte gravitade del capo e delli occhi, e nel volto e nelli ochi grande rosseza, e dolore di chapo, e 'l polso è spesso e ratto più che non dee, sì ssi manofesta e si mostra certo segno di frenesia. E s'elli aviene cosa ke la lingua aneri o diventi gialla, e lo 'ntelletto si mescoli e si vari e travagli, et è molto alienato e fuori di suo senno, e veghi molto, già frenesia è perfecta e compiuta. Dunque si dee sovenire a lo 'nfermo ançi ke questi rei accidenti si compiano, tolliendoli sangue e faccendolo uscire kol sugo de' fructi. E 'l suo nodrimento sia acqua d'orço pilliare una volta o due il die, secondo la costuma k'elli avea quando era sano; e 'l capo si dee bagnare koll'oxirodino. E s'elli aviene cosa k'elli veghi molto, prendasi viuole secche, e scorça di papavero bianco, orço scorticato (cioè mondo), seme di latughe, radici di mandragora ana uno manipolo (cioè una manata), le quali ne la cucurma piena d'acqua si cuocano sì llungamente ke ll'acqua diventi rossa. E poscia quella cotale acqua, infino k'ella è calda, da alti si getti in sul capo e fia sopra uno bacino, o sopra uno vasello, nel quale si riceva l'acqua ke kade da alto, e si rimetta ne la chucurma, cioè in quello cotale vasello, e poscia si rigitti l'altra volta. E questo si dee fare il die molte volte e 'l capo si dee ugnere koll'olio violato mescolato kon latte de la femina, del quale si dee ancora ungnere la bambagia e mettere suso. E quando nel cominciamento del male huomo truova lo 'nfermo stare ne le sue forze e virtudi, sì lli si dee torre sangue se tu non ài paura de lo 'nfermo. Ma poi che la sua infertà komincia a menomare, no li si dee scemare sangue. E s'elli aviene cosa ke la sua virtude sia già disoluta e andata via, koll'altro regimento si conservi e difenda tanto k'elli scampi.
L. IX, cap. 4 rubr.Capitolo .iiij. De l'apoplexia.
L. IX, cap. 4Quando alcuno giace quasi sì com'elli dormisse e sança sonno romfia, e quando si pugne non sente, allora àe già l'appoplesia. E la quantitade di questa infertade sì è secondo ke fortemente e debolmente romfia, overo russa. E s'elli aviene cosa ke lli escha spuma de la boccha, no 'l dee homo più medicare. E quando elli romfia poco, allotta il male è minore e più lieve. E questo male o tosto uccide o passa im parlasia. E quando huomo vedrà ke queste cose avengnono, sì dee huomo attendere se 'l volto de lo 'nfermo arossa, o anera fortemente, o verd'è, secondo ke alcuna volta aviene quando il sangue stretto si tiene in alcuno membro. E allotta il sangue si de' trare incontanente de le due guidegi (o de le due vene del capo). E s'elli aviene cosa ke così non sia, ançi quando elli atrae l'aria, sì ss'ode nel petto un suono, sì ssi dee cristerizare di questo cristere. Recipe: koloquintida, pane tereno, centaura minore, arcamite, helebor biancho ana m. .j., e si cuocano tutti in libre tre d'acqua tanto ke reghano a una, e poi si colino. E d'una libra di questa dicotione si faccia il cristere. E se elli esce troppo, sì ssi faccia un'altra volta tanto ke la moltitudine delli omori n'esca fuori chol cristero, e ssi soffi nel naso soavemente condisi et heleboro bianco, e conviensi ingengnare ke lli anacardino ko l'ydromele per la boccha a lo stomaco discenda molte volte, ciascun die una volta, del quale il peso d'uno aureo si ne dee bere; la cui descriptione è nel capitolo de la parlasia. E ancora la padella del ferro si dee scaldare e poresi presso al capo ke quasi i capelli s'abruscino, e questo si faccia molte volte. E se in questo modo non guarisce, non ci affatichiamo più i· llui medicare; e 'l capo ungneremo co la senape trita, e ko l'euforbio, e kastorio koll'aceto fortissimo. E ne la prima spetie di questo male, dipo la flebotomia, stringneremo fortemente li aiutorii, cioè le braccia, legando um poco suso sotto la loro congiuntione colle spalle, e somilliantemente strigneremo le gambe, e sopra 'l kapo si dee fondere e gittare olio rosato e aceto di vino, e dêsi torre sangue prima de' piedi e poscia ne l'estremitadi del naso.
L. IX, cap. 5 rubr.Capitolo .v. Del subbet, cioè del grave sonno.
L. IX, cap. 5Quando alcuno giace quasi sì com'elli dormisse, ma tuttavia elli si sente o ssi muove, ma illi occhi secondo più de le volte àe kiusi, i quali elli apre quando huomo il kiama ad alta voce, avengna che elli li richiuda incontanente, questo cotale àe già il subet, il quale si dee medicare choi clisteri acuti, i quali noi nominamo um poco dinançi. E li meteremo im boccha ydromelle e meteremo pena ke elli discenda e vada giuso, imperciò ke elli è suo nodrimento. E ancora il capo infino ne' tre dì sì molleremo e bangneremo koll'oxirodino. E dipo 'l terço die sì 'l faremo starnutire con quelle cose ke noi abbiamo nominate, e raderemgli il capo, e poi lo 'mbiuteremo kolla senape e kol castorio e coll'aceto.
L. IX, cap. 6 rubr.Capitolo sexto. Del congelamento, quando alcuno giace quasi sì come dormisse.
L. IX, cap. 6Quando alcuno giace quasi sì com'elli dormisse e non si muove, e avengna ke lli occhi sieno aperti, elli non muove le palpebre, questo cotale è congelato, overo rigido. E questo cotale si dee medicare ko le medicine del subbet, questo agiunto: ke lli si spargha sul capo de l'olio del sambucho, e la libra del quale in ciascuna sia una on. d'euforbio e di castorio, e si ungha e imbiuti il capo de l'olio del sambuco e de l'euforbio.
L. IX, cap. 7 rubr.Capitolo septimo. De la parlasia.
L. IX, cap. 7Quando alcuno non si puote muovere, o elli nom puote muovere uno o più de' suoi membri, e à perduto il loro sentimento, e noi diciamo e pronunciamo k'elli è paraliticho di quel membro, o di quelli membri. La cui cura e medicamento noi cominciamo dandogli le pillole fetide ke noi facemo, le quali: recipe: polvere di pigra dr. .x.; polpa de la coloquintida dr. .v.; euforbio dr. .ij. e 1/2; castorio, pepe, asa, serapino, oppoponacho, setaragi d'India, senape ana dr. .j.; centaura minore, elatterio ana dr. .v.; e le gomme si disolvano nel sugho de la ruta, e l'altre cose si conficiono con esse e se ne facciano pillole, e se ne facciano .x. prese. De le quali poi che l'huomo n'avrà presa una, sì ssi riposi per tre dì, e si nodrischa e cibi ko l'acqua del cece, e olio, e senape. E poi bea l'altra, la qual cosa poi che ll'avrà facto per alquanti dì, sì ssi riposi e si notrichi co la carne talliata minutamente e fricta ne la padella e col mutagenat, ne' quali sono le spetie kalde sì come è il pepe e somillianti a questo. E bea l'ydromel e i suoi membri coll'olio del costo s'ungano, k'è: recipe: costo dr. .j., e l'altra on. .j., pepe, piretro, euforbio la terza parte d'una on., castorio on. 1/2. E tucte queste cose si disolvano in una 1/2 libra d'olio di kery e di narcisco, e ll'usa. E ne dì che elli si riposa, si debbono dare ciascuno die dr. .ij. d'anakardino, il quale riceve: piretro, gengiovo, neella, costo, pepe nero, lungo, oççi (o aggi) ana dr. .x., mirra, ruta seccha, asa, aristologia, orbache, kastoreo, setaraci, senape, gentiana ana dr. .v.; e del mele anacardi dr. .v., e s'ungano ko l'olio de le noci e si conficiano kol mele cotto. E questo medicamento giova molto a la parlasia, e a triemito, e a l'albaras, e a' morsi delli scorpioni, e a tucte le 'nfermitadi fredde, e allo spasmo humido, imperciò ke incontamente ke ssi pillia, sì ffa sudare e fa venire la febbre. E se, quando huomo l'àe preso, e' non guerisce, lo 'nfermo si tengha da ogne medicamento per .x. dì, fuor ke la dieta, e poscia torni al suo medicamento. E s'elli aviene cosa ke parlasia avengha per kagione di caduta o di percossa, e aviene subitamente, in tal maniera si dimorrae, imperciò ke giamai non guirrae. E s'elli aviene cosa ke non repentemente, ma a poco a pocho, per le predette cagioni sia avenuto nel luogho de la percossa, questo empiastro si dee porre, il qual è: recipe: farina di fieno greco, seme di been, seme di mahaleph, seme di rosin (o risen), bidellio, armoniacho, grasso d'anitra, cera e olio di lillio, e si ne faccia empiastro e vi si pongha suso.
L. IX, cap. 8 rubr.Capitolo .viij. De l'adormentamento de' membri.
L. IX, cap. 8Quando alcuno sente alcuno de' suo' membri sì come è la dispositione del piede quando è adormetato, noi diremo ke in quello membro è stupore e adormentamento. Per la qual cosa il suo medicamento n'è ' aspettare né prolunghare, imperciò ke quando il tempo si prolunga e non si medica incontanente, si dispone e mena lo 'mfermo a parlasia. E questa infertade si medicha kon alcuna parte de le medicine de la parlasia, e con dieta, e ungnimento koll'ollio di costo. E s'elli aviene cosa ke infertade invecchi, sì ssi dee purghare kolle pillole fetide, e si dee la sua complesione adequare e rechare a temperamento koll'anacardino e colla dieta. E 'l triemito si medicha kon quelle medesime medicine ke ssi medicha l'adormentamento de' membri. E s'elli aviene cosa ke questo avengna per cagione di bere troppo vino, sì ssi dee abstenere e guardare dal vino. E s'elli aviene cosa ch'elli sia avenuto per cagione di bere acqua ke ssi disolve de la neve, sì sse ne astengha e no ne bea, et entri in bagno molto caldissimo, nel quale tanto stea ke elli sudi e stea al sole assiduamente.
L. IX, cap. 9 rubr.Capitolo nono. Del travolgimento de la boccha.
L. IX, cap. 9Quando la boccha de l'huomo si travolge e nom puote kiudere uno de' suoi occhi, e s'elli è comandato ke elli soffi, sì pare ke pur dall'una parte escha il fiato, noi diciamo allotta ke elli àe la boccha travolta. Il cui medicamento noi cominciamo faccendolo assellare kolle pillole fedite (e 'l suo nodrimento e 'l suo beveragio noi ponemo e dicemmo nel capitolo de la parlasia). E faremo gargarizare lo 'nfermo ongne die, ançi ch'elli manuchi, senape col sciroppo acetoso, e metterêllo in una casa obscura, e comanderêlli k'elli tenga una noce moscada in quella parte de la boccha k'è torta, e li soffieremo nel naso condisi acciò k'elli starnuti. E conviene ke l'homo ungha li sponduli del collo e 'l volto e la fronte coll'olio del costo. Et è da prendere ogne die de l'anacardino il peso d'uno aureo. E s'elli aviene cosa ke per questo non guerisca, sì dee huomo tornare a ffare muovere il ventre e a perseverarvi nel suo regimento. E noi favelliamo del travolgimento de la boccha che aviene a poco a poco e non subitamente, imperciò ke quella ke avien subitamente no aviene se non ne la frenesia mortale ' la morte è già prociana.
L. IX, cap. 10 rubr.Capitolo .x. De lo spasmo e contrattione.
L. IX, cap. 10Quando il membro d'alcuno si ratrahe e torna verso la parte ond'elli nasce, o più de' membri si dispongono in questa maniera, noi diciamo allora che quelli cotali membri sono spasmati. E lo spasmo assalisci a poco a poco, o subitamente. Ma a lo sspasmo ke aviene subitamente si dee fare quello medesimo medicamento ke noi dicemmo ke era buono a la parlasia, ma noi usiamo più strupiciamento ko le mani e ungnere koll'olio di costo. Ma lo spasmo ke non aviene repentemente ma a poco a ppoco dipo la febbre, o dipo grande solutione di ventre, o dipo molto vomito, o dipo molto fluxo di sangue, è reo e apena da guarire. Ma keké avengha, sì 'l cominciamo a medicare. E aministriamo a lo 'nfermo d'acqua d'orço, e brodetti untuosi e molli, e il metteremo ne l'acqua dolce tiepida, e ugnerello coll'olio violato tiepido e coll'olio de' semi de la çuccha, e magiormente le radici de' nerbi ne' quali è lo spasmo. E lunghamente stea ne la tina de l'acqua, e ungasi coll'olio violato, e del vino bea um poco, il quale sia bene inacquato, e si notrichi de' cibi humidi.
L. IX, cap. 11 rubr.Capitolo .xj. De la epilensia, cioè mal maestro.
L. IX, cap. 11Quando alcuno chade in terra e si torce, e dibatte, e si muove, e perde lo 'ntendimento, noi diciamo k'elli àe l'epilensia, cioè il mal maestro. E s'elli aviene cosa che elli li escha la spuma per la boccha, o elli si scompisci, o elli li escha la sperma o lo stercho, la 'nfertade e 'l male allora è piggiore e più forte. E se lo 'nfermo, dinançi ke elli caggia, sente quasi alcuna cosa levarsi da alcuno de' suoi membri e muoversi e andare e salire al capo, e poscia chade, allotta conviene ke, ançi che elli caggia, ke quello cotale membro, onde quello cotale movimento si muove, si leghi fortemente, imperciò ke questo cotale leghamento non lascerà cadere, e nel tempo del riposo e de la quieta si converà il corpo molte volte votare colle pillole coçie. E il luogho onde nasce il male si vorrae epitimare di senape, e di pepe, e di mele anacardi, e vi si dee lasciare stare quello epithima tanto ke 'l luogo vescichi, e che le vesciche si rompano, e che ll'acqua ch'è i· lloro ne coli e goccioli. E quelle cotali vesciche non si debbono tosto saldare, ançi si debono lasciare, acciò ke quello ke v'è raccolto dentro ne coli et esca fuori, e poscia si saldino, imperciò ke questo di tucto in tucto è certa salute e certa guerigione di questa infertade. E a la perfine è utile cosa di porrevi suso coppette com poca scharificatione. E s'elli aviene cosa ke lo 'nfermo dinançi a l'acessione, e dinançi k'elli caggia, sente abominatione e vollia di rigittare, e tristitia, e triemito al cuore, e poscia seguisca l'acessione e kade, questo cotale dee huomo fare reddere molte volte kon alcuna di quelle cose ke fanno reddere. E poscia dee prendere spesse volte la gerapigra. E poscia de' porre a lo stomaco empiastro fatto de spigo, e di rose, e di mastice, e di scorça d'incenso, in sé con vino bene odorifero e buono. E tucto il suo nodrimento si dee in tale maniera ordinare e stabilire ke elli sia di poche superfluitadi, sì come carne fricta ne la padella e carne cotta in tegame o in istufa, e 'l cibo che ssi fae d'uno uccello ke à ' denti nel palato et è kiamato tanguit, e carne d'ucelli e karne di cavretto. E s'egli aviene cosa ke la epilensia, cioè col mal maestro sia tenebrositade e debilitade di .v. sensi, o d'alcuno di loro, sì come del vedere, e dell'udire, e de l'odorare, e del gustare, e del tocare, e non si truovi alcuna de le predette significationi, sì lli si debbono dare molte pillole cotie. E la sua guardia e 'l suo regimento si dee sottilliare, e debbôllisi dare i cibi che noi abbiamo detti, e dêsi fare gorgolliare e fare starnutire kon quelle cose ke noi dicemmo, e dêlisi soffiare nel naso la polvere de la pionia molto sottile polverizata. E se alcuno kol male maestro avrae rosseza nel volto, e nelli occhi avrae le vene grosse, sì lli si dee scemare sangue de la vena saphena, cioè de la vena del tallone dentro dal piede; e li si dee scemare sangue de le polpe de le gambe kolle coppette, e 'n sul capo li si aspergha aceto e olio rosato, e astengasi dal vino, e da ogne agrume, e da senape, e da oppio, e da fave, e kanavit; e a la perfine di tutte quelle cose ke generano fummo ke ssalgha e monti al capo e 'l riempia. E questo è uno lattovario ke ffa rimedio a tucte le spetie ' maniere del mal maestro. Recipe: piretro, silermontano, sticados, ana dr. .x., agarico dr. .v., cordumeni recente e acuto, asa optima, aristorlogia rotunda ana dr. .j. e 1/2, e poscia si traggha il sugho de la cipolla squilla, e si mescoli con una picola quantitade di mèle e si cuocha. E poscia se ne conficiano le spetie e se ne faccia il lactovario, del quale lo 'nfermo pigli ogne die, e si guardi dai grossi cibi. E questo lattovario giova a tucte le spetie del mal maestro fuora ke a una sola k'è per kagione di sangue, la quale Galieno nominò e disse, e de la quale noi abbiamo già fatta mentione, al quale noi vedemo scemare sangue primieramente de la saphena, e poscia di quella del feghato. E poscia il suo regimento è con quelle cose ke 'l sangue menomano nel corpo e che 'l raffreddano. E ancora s'attengha da la carne e dal vino, e bea il rob de' fructi acetosi, e in sul capo si pongano quelle cose ke ll'abiano a rafredare.
L. IX, cap. 12 rubr.Capitolo .xij. De l'incubo, cioè quando alcuno dormendo si sente kadere adosso cosa grave.
L. IX, cap. 12Quando alcuno dormendo si sente kadere adosso una cosa grave, noi diciamo allotta ke elli àe l'incubo, per la quale cosa nel suo medicamento non si dee tardare, imperciò ke questo cotal male è via al male maestro, imperciò ch'egli va dinanti al mal maestro. E s'elli aviene cosa che llo 'nfermo nel colore sia rosso e abbia le vene piene, sì lli converrà torre sangue de la saphena, e le coppette li si debbono porre ne le polpe de le gambe. E ancora lo 'nfermo si dee guardare da bere vino, e di tucte le cose dolci, e magiormente da ogne cosa ke genera molto sangue. E se a costui adviene il contrario di questo, sì ssi dee fare uscire molte volte kolle pillole coçie, e 'l suo reggimento e la sua vita si dee sotilliare, e dovrae usare exercitio e faticha, e dêsi fare stropicciare i membri da piede e da valle.
L. IX, cap. 13 rubr.Capitolo .xiij. De la malinconia.
L. IX, cap. 13Quando ' alcuno rei pensamenti averranno sanza cagione e segnoregieranno i· llui paura e tristitia, sì ssarae i· llui il cominciamento di meninconia. E quando la cosa verrae a tanto ke elli dicha quella cosa kolla boccha ch'elli penserà, e mescoli le sue parole e i suoi fatti, già la meninconia è perfecta. E quando i pensieri e la tristitia, e 'l tribulamento comincerano a venire, ançi ke comincino a ssegnoregiare, si conviene soccorrere, inperciò ke, sse queste cose segnoregeranno, il medicamento è malagevole e grave a guerire. E s'elli aviene kosa che co la meninconia sia dolore di ventre et enfiamento, e reo colore, e corruptione di digestione e dello smaltire male, e vomito acetoso, e moltitudine di sputo, sì ssi dee cominciare a scemare sangue de la vena bassilica, overo de la salvatella, dal lato manco. E se l'huomo vede ke 'l sangue n'escha nero, sì ssi lasci uscire in grande quantitade. E se huomo vede ke 'l sangue esca sottile e rosso, incontanente si dee ristrignere, e lo 'nfermo si dee nodrire koi cibi lievi, sì come sono alesidabigi ke ssi fanno de la carne del chavretto e di quella del castrone, e si de' mettere nel bagno nel quale non si dee troppo stare. E poscia usi lo 'nfermo la decotione de l'epithimo ke io compuosi. E questa è la dicotione de l'epithimo. Recipe: mirabolani indi dr. .x., polipodio dr. .v., sene dr. .viiij., turbit dr. .viiij., sticados dr. .x., e dell'uve passe nette e monde dall'ossa, overo granella, dr. .x., epithimo d'orto dr. .x., e tucte queste cose, fuor ke l'epithimo, si volliono cuocere in tre libre d'acqua tanto ke regano a una libra e mezo. E quando questo sia facto, sì vi si agiungha l'epithimo, e incotanente si lievino dal fuocho e si lascino stare tanto k'elli comincino a raffreddare. E quando fieno raffreddati, sì ssi stropicino chon mano e si colino, e poi si prenda de l'agarico le due parti d'una dr., alloe dr. .j., e sale d'India dr. 1/2, heleboro nero la quarta parte d'una dr., e si conficiano con mèle o kon juleph, e se ne facciano pillole, le quali si debbono prendere per tre hore ançi ke ssi pigli la dicotione. E poscia si pigli la decoctione, e poscia si riposi tre die, e si notrichi con quelle cose ke noi dicemo e comandamo, e bea vino sottile e bene olliente. E dipo questo si dee fare uscire come dinançi, e dipo questo, sì come noi dicemo dinançi, la terza volta si dee fare e 'l quarto beveragio li si dee dare. E lo 'mfermo si dee abstenere di tutte quelle cose che generano kollera nera, sì come sono le karne salvatiche tutte, e quelle del bue, e del beccho, e de le maggior capre, e fave, e karne salata, e cascio vecchio, e lenti propiamente, e ongne kamangiare, se non quelli ke ànno ad ahumentare e a rammollire. E ancora schifi il vino grosso e la faticha del veghiare, e non soferi né fame né sete, e usi di bere vino soctile. E dêglisi comandare k'elli dorma. E dêsi avere studio di medicare la milza kon quelle cose che noi diremo innançi nel capitolo del medichamento de la milza grossa. E la boccha de lo stomacho si dee confortare, e propiamente kon quelle cose e medicine ke noi diremo inançi, quando noi nomeneremo le enfertadi de lo stomacho. E se elli avien cosa ke co la meninconia non sieno quelle cose ke noi abbiamo nominate, e avengna dipo la frenesia e dipo llungha dimoranza al sole, o per percossa del capo, nel cominciamento si dee torre sangue de la vena del capo e si dee avere studio al capo kon quelle cose ke noi dicemo. E propiamente l'acqua tiepida li si dee gitare sul capo da alti, e poscia si gitti i· sul capo olio rosato kon aceto di vino e vi si mungha suso (o spruççi suso) del lacte de la fenmina, e lli si gitti nel naso dell'olio del seme de le zuche dolci e lacte di femina, e si dee metere nel bagno spesse volte e molta acqua tiepida li si dee gittare sul capo. E ancora odori lo 'nfermo odor freddi di cose frede. E se co la meninconia non è niuna de le cose ke noi abbiamo dette nel cominciamento, la vena ch'è chiamata vena matrix del braccio diritto si dee aprire, e si de' il sangue considerare e fare, sì come noi abiamo detto dinançi, e reggere. E poi ke lo 'nfermo avrae facto questo cotale reggimento, sì ssi dee lasciare riposare per alquanti die, e poi il medicha sì come dinançi tanto k'elli guerischa. E tucto lo studio ke ssi dee observare intorno al menanconicho sì è di lui ingrassare e ke ssi empia di charni, imperciò ke, da ke elli fie grasso e pieno di carne, incontanente fia sano. E i cibi che ssono buoni a questi cotali sì sono carne di castrone, e di chavretto, e di gallina, e pane di farina, e 'l pane ke non è netto ' è azimo, i· neuna maniera è loro buono. E vino subtile e kiaro è loro konvenevole e buono, e vino grosso non è loro buono, né 'l nero; e il lacte recentemente tracto da le poppe ch'è anchora kaldo è loro buono; e ' pesci ricenti e ' sisami facti di zuchero e olio di mandorle, e ancora udire cançoni, e godere, e sollazare, e avere dinançi a ssé cose dilettose, e dormire giova loro. E per contradio pensare e stare solo e veghiare nuoce molto loro. Pillole le quali mandano fuori del corpo la collera nera, de le quali si danno a coloro ke nom possono prendere la dicotione. Recipe: epithimo d'orto dr. .xx., pollipodio, agarico ana dr. .x., heleboro nero, sale indo ana dr. .v., sticados dr. .vij., polvere di gerapigra dr. .xv., e ne prenda dr. .iij. E ne' die ne' quali lo 'nfermo si riposa dee pilliare del lactovario k'è kiamato lectificans, il quale è questo: recipe: mellisa, scorça di cederno, garofani, gallia muscata, mastice, gruocho orientale, cennamo, noce moscada, kardamone, vehernich (o vehermich), ben biancho e rosso, zedoarie, deronici, seme di bassilico magiore, seme di bassilico garofilato ana per igual parte, e di moscado quanto è la .x. parte de l'uno. E poscia si prendano .xx. mirabolani kebuli, et emblici .xxx., e si pestino e si cuocano in tre libre d'acqua, tanto ke regano a una libra, e si colino. E ne la colatura si metta una libra di mèle, e poscia bolla tanto ke ll'acqua sia consumata, e poscia con questo mèle si conficiano le predette spetie, il quale mèle sia a peso tre cotanti ke le spetie, del quale, quando è mestiere, si dee prendere quanto è una avellana. E questo cotale medicamento opera e fa letitia, e bello colore, e bene ismaltire e digerere, e ritarda lo 'nkanutire.
L. IX, cap. 14 rubr.Capitolo .xiiij. Di catarro e rema di chatarro.
L. IX, cap. 14Quando il capo d'alcuno fie discoperto all'uscire del bagno o dipo fatica, o dipo altro, e ll'aria sia fredda e 'l vento de la tramontana, e avengna nel naso e nel palato plurito e piççicore e con movimento e starnutamento, sì ssi dovrà scaldare il panno e porre al capo, il quale tanto vi stea infino ke lo 'nfermo senta il caldo essere passato infino al profondo del capo, e poscia cominci a odorare la neella e si faccia starnutire. E si guardi k'elli non giaccia supino, e manuchi pocho, e del tucto in tucto s'astengha dal vino. E s'elli aviene cosa che 'l male non sia alleviato per lo ponimento del panno, né perciò non menomi, sì ssi scemi sangue de la vena del capo, e si solva il ventre e faccia uscire kon quelle cose ke non fanno aspreza sì come questa dicotione, la quale dee bere quelli che à tossa e aspreza nel pecto, e à mestiere di muoversi il ventre, la qual è: recipe: jugiube .xx., sebestien .xxx., uve passe monde dr. .x., viuole secche dr. .iiij., radice di requilitia dr. .v., fichi gialli, e cuocansi in tre libre d'acqua tanto che regha a una e si coli, e ne la colatura si disolva cassia fistula dr. .vj., tamarindi dr. .x. E se né 'l torre sangue e né 'l muovere il corpo non fie giovato, e la materia sia discesa al petto, e si sia conmossa tossa o febbre, incontanente si scemi sangue, e lo 'mfermo s'astengha da la carne e dal vino, e bea acqua d'orço e miraba violato, tanto quanto il calore starae fermo e perseverrà, e la tossa fia seccha e aspra. Ma poi che 'l chaldo fia andato via, e la tossa fia mollificata, et elli comincerae a sputare questa dicotione, ogne die con miraba violato si dovrà dare tanto ke 'l petto sia mundificato, e la tossa andata via, e la boce sia facta kiara, la qual è: recipe: fichi gialli .xv., jugiube .x., sebestien .xx., uve passe, bianche, monde e snociolate dr. .x., liquiritia scorticata dr. .v., cuocansi tanto ke ssieno tucte disfatte, e si colino, e si ne dea ongne die dr. .iiij. a bere kon miraba violato dr. .x. E se la tossa invechierà e dimorà lunghamente, allotta mostreremo kome si debbia medicare quando noi tracteremo del medichamento de la tossa. E s'elli aviene cosa ke 'l corrimento de la rema al naso lunghamente perseveri e non sia caldo, quello fluxo si dovrà ristrignere suffumigando il naso per lo tragitorio, cioè con quello strumento. E se per lo naso esce sottil cosa e acuta e calda, e sia gialla, sì si faccia suffumichamento kol solfo ke sia stato prima in molle ne l'aceto e posscia secco, o kolle fave, o coll'orço state prima molle ne l'aceto, e poscia secche, o kol çucchero biancho, o kol sandalo biancho. E se nel volto no è caldeza né rosseza, sì ssi facia il fumicamento kol costo o ko lo 'ncenso, imperciò ke questo cotale fumichamento ristrigne il fluxu.
L. IX, cap. 15 rubr.Capitolo .xv. De la obtalmia, cioè de l'apostema de l'occhio.
L. IX, cap. 15Quando quello ke è biancho nell'occhio si muta in rosseza, e gociolino lagrime, e sia racolta lippa e ordura ne le cantora delli occhi, noi diciamo allotta ke llo 'nfermo àe obtalmia. E quanto fie la grandeza o la picoleza de' sinthomi o delli accidenti, tanto sarà la forteza e la picoleza e deboleza dell'obtalamia. E la pigiore optalamia sarae quando il biancho delli occhi paiono emfiati e sì levati in alto k'elli cuoprano il nero delli occhi e le palpebre si scerpellino. E nel cominciamento del medicamento de l'obtalamia sì ssi conviene scemare sangue de la vena del capo ne la mano o nel braccio de la parte contraria, ne la quale è l'occhio infermo, ov'è l'obtalamia. E quanto è più forte l'obtalamia, tanto si dee più torre del sangue, e poscia si dee muovere il corpo kon mirabolani citrini, e col tereneneabin, e kol sugho de' fructi; e lo 'mfermo si dee abstenere da la karne, e dal vino, e da le cose dolci, e menomare il cibo. E se queste kose non bastano, sief biancho kol lacte di femina ke allattasse fanciulla femina si converrae strupicciare e nell'occhio distillare. E se molta lippitudine fie raccolta ne l'occhio, radius (cioè quello cotale strumento) sì ss'avolgha ne la bambagia e si molli nell'acqua, e con esso si netti l'occhio da quella lippitudine e ordura. E poscia vi si polveriçi e getti entro polvere biancha, pongnendo sopra i loro occhi alcuna cosa soavemente, acciò che quella cotale bambagia sia sostentata e sostenuta, e se leghi. E lo 'mfermo si metta in kasa schura, e si dee ingnegnare quanto puote ke elli dorma; e si guardi, quanto puote, k'elli nom dorma sopra l'occhio infermo. E 'l capo no stea kinato e basso, ma stea levato in suso, né i capezali de' suoi vestimenti sieno stretti, e non si getti troppo lungamente sopra la faccia. E se ll'ochio se n'allievi e melliori, e la doglia menomi, e le lagrime menomino, già fatta la flobotomia (cioè scemato il sangue) e mosso il ventre, entri nel bagno molte volte e spesso, imperciò ke per questo vanno via quelle remanenze che ssono soperkiate e dimorate dipo la 'nfertade e dipo 'l male de l'obtalamia. E se nell'occhio sia rimaso humiditade e gravezza, sì vi si dovrà mettere la polvere citrina, e di quelle cose ke molto giovano a colui che à l'obtolamia è ke le palpebre delli occhi s'ungano di questo epithimare k'è: recipe: sief, memithe, rose, alloe, licio, sandali rossi, faufer, gruogo orientale, di tucti per igual parte, e se ne facciano di queste cose pillole. E quando fie mestiere, sì se ne risolva una nel sugho del coriandro, o nel sugho de l'endivia, o ne l'acqua rosa, e si nn'umgha con esso, e guirae co l'aiuto del sommo medico. Sief biancho. Recipe: de cerusa lavata dr. .x., sarcocolla grossa dr. .iij., draganti dr. .j., oppio dr. 1/2, e se ne facciano forme somillianti a lenti. Polvere gialla. Recipe: sarcocolla dr. .x., alloe dr. .ij., mirra dr. .j., litio dr. .ij., e di queste cose molto bene trite vi si ne metta la polvere quando fie mestiere. Polvere biancha. Recipe: sarcocolla biancha e grassa, la quale si metta nel lacte de la femina, il quale fia migliore quando elli fia d'alcuna giovane fenmina e ssi lasci stare a l'ombra tanto ke sia bene seccho e si pesti molto bene, e a .x. dr. di tucte queste cose s'agiungano dr. .ij. di sief, memite, le quali cose ancora optimamente trite si ripongano e, quando mestiere fie, si mettano nell'occhio.
L. IX, cap. 16 rubr.Capitolo .xvj. Delli ulceri dell'occhio e tempellamento.
L. IX, cap. 16Quando nell'occhio si sentono forte dolore e pugnimento nocivo, e battimento e tempellamento, e molte lagrime ne gocciolano, e quando huomo lieva le palpebra e lli occhi s'aprono, le luogora ke ssono ne' bianchi si truovano rossi. E se elli è tucto rosso, e ll'uno ochio è più rosso, e se nel nero alkuno luogho apare biancho, già è pustola, overo bolla, nata in quello luogho. E a medicare questo male sì è mestiere ke cci sia medicho molto savio nel medicamento delli occhi. E noi diremo le some e i ragunamenti del loro medicamento, e diremo ke lli ulceri che nascono ne la congiuntiva, cioè nel biancho delli occhi, non sono così da dottare come quelli ke ssi fanno ne la cornea, cioè nel nero delli occhi. E la pigiore dell'ulceragioni sì è quella k'è nel nero sotto la pupilla, cioè sotto la luce. E 'l medicamento di questi cotali ulceri. Noi dobiamo kominciare al torre sangue e trarene molto del sangue, secondo ke possibile fosse. E poi apresso si dee muovere il ventre e 'l corpo, e lo 'mfermo si de' guardare da vino dolce e da carne, et essere contento dell'herbe fredde, e bere pur acqua, e nell'ochio si dee mettere molte volte sief biancho kol lacte di femina. E sse 'l batimento e 'l tempellamento pare ke menomi e si rallievi, puote avere huomo sperança di guerigione sança racolglimento di putredine. E se 'l tempellamento non va via dipo 'l scemare del sangue e dipo 'l muovere del corpo, e poi ke 'l sief biancho v'è messo, piccola fidança si puote avere in quelle cose ke noi abiamo dette. Dumque, allotta, si dee mettere ne l'occhio sief de lo 'ncenso, e alcuna palla si dee porre sopra ll'occhio, e co la legatura si dee strignere. E ançi ke questo avenga, l'occhio si dee legare soavemente e sanza ponimento di palla, e non cessare di distillare spesse volte del sief nell'occhio infino a tanto ke ne la palla si vedrà putredine. E poi ke l'huomo avrà questo veduto, sì fie mestiere d'usare sief di piombo infino ad tanto ke la profunditade si faccia piana e piena e tucta la carne si generi. Ma, tuttavia, quelle cose ke noi abbiamo dette si debbono fare quando la pustola, overo bolla, no è grande, imperciò ke quando ella fia grande e fie di sotto a la luce, allotta fie mestiere ke ssi medichi con helysir. Accioe ke ll'ochio no strabuççi in fuori, sì ssi conviene tornare a rriporrevi la palla suso e allegarvi. E ancora lo 'nfermo dee sempre giacere supino e dêsi guardare di forte vino. E quando la carne fie perfettamente rigenerata nel luogho dell'ulceragione, sì dimorrà ivi nell'occhio biancheza. E se l'ulceragione fie profonda, sì fie la biancheza grossa. E s'ella fia tanto solamente ne la superficie de la cornea, sì fie sottile. E se l'ulco fie dilungi da la luce, e sarae per sé separato e diviso quello cotale vestigio, e margine ke dimorrà non farae alcuno male. E s'elli è allato a la luce alcuna volta poi ke ffie guerito l'ulco, il vestigio e la margine ke dimorrae no llascerà vedere. Per la quale cosa dobbiamo usare le medicine kolle quali noi dicemo ke 'l vestigio s'asterge, e si netta, e si manda via. Sief d'incenso. Recipe: armoniaco, sarcocolla ana dr. .v., incenso dr. .x., zafferano dr. .ij., e si conficiano colla mucillagine del fieno greco, e se ne faccia sief. Sief di piombo arso. Antimonium, tutie lavata, kalcucemenon, gummi arabico ana dr. .viiij., oppio dr. 1/2, e si pestino molto bene e si stacino com panno molto sottile di seta, e si molli coll'acqua piovana, e se ne facia sief. Sief per lo quale la carne nasce nelli ulceragioni delli occhi, e guarda ke l'uvâ non esca fuori, e la margine si sottillia. Recipe: tutia lavata, e limia lavata, ceusa (cioè biacca), antimomio, incenso ana dr. .iij., mirra dr. .j., sarcocolla grossa dr. .j. e 1/2, sangue di dragone, alloe, oppio ana dr. .j., e facciasi di loro sief. Ellessir il quale si dee usare quando elli s'àe paura ke per cagione de l'ulcere non escha fuori l'uvâ, cioè quello ov'è la luce dell'occhio. Recipe: antimonio, ematithis ana dr. .x., acatie dr. .iij., alloe dr. .j., pestinsi e si ne facia sief, e s'anministrino quando fie mestiere.
L. IX, cap. 17 rubr.Capitolo .xvij. Di quelle cose ke kagiono nelli occhi, o pelo, o pallia, o altra cosa.
L. IX, cap. 17(+i) Le cose kagiono nelli occhi o pelo o pallia altro che ssia. (i-) Prendasi la ragia, cioè la goma del pino, e si tragha per l'occhio, e trane fuori quello k'è caduto nell'occhio. E 'l bianco ke ssi fae nell'occhio sì è vestigio e rimanente, il quale dipo 'l medicamento dell'ulceri dimora e rimane, quando saldano. La quale, quando si fae nelli occhi de' fanciulli, è più lieve a guerire ke quando si fae a coloro ke ànno più anni, imperciò ke forse in quelli cotali è impossibile a guerire, s'ella no è molto subtilissima. E questo male si dee medicare kon questi medicamenti, poi che lo 'nfermo fie uscito fuori del bagno, o elli abbia tenuto il volto sopra 'l vapore de l'aqua calda tanto ke il volto sia arrossato. E se per questo medicamento ne le vene delli occhi verrae rossore e dolore per alquanti die, il dee huomo lasciare stare tanto ke ll'occhio si riposi. E poi dee huomo tornare a quello medesimo medicamento molto utile a mandare via la biancheza delli occhi e mandarla tosto via. E io non vidi ke neuno fosse milliore di lui o eguale a mandare via la biancheza predetta. Recipe: massecumie, spuma di mare, sterco del grande lucertolo, baurach, çuçis yrei, per iguali parti, e poscia si prendano acori, celidonie, seni ana dr. .x., e cuocansi in una libra d'acqua tanto che recgha a una quarta, e si coli, e con questa acqua si mollino le spetie ke noi abbiamo dette, in maniera che ssi conficiano kon essa e si secchino all'ombra, e poscia si pestino un'altra volta e ancora, come dinançi, si cospargano koll'acqua e si disecchino. La qual cosa poi che ffie facto quatro volte, sì si epithimino e si pestino e si mettano nell'ochio. E a questa medicina niuna è pare a mandare via la biancheza, imperciò ke questo medikamento manda via la grossa biancheza, e ancora delli occhi delli animali.
L. IX, cap. 18 rubr.Capitolo .xviij. De la scabbia e del sebel k'apare nell'ochio.
L. IX, cap. 18Quando le palpebra si rovescia e appare dentro rossa e aspra, ivi è scabbia. E quando sopra i bianchi delli occhi e sopra 'l nero appare simillianza d'uno panicolo di vene grosse e rosse tessuto, sì v'èe una infertade la quale è chiamata sebel. E queste due infertadi sono gravi e lunghe e apena si gueriscono. E lo 'mfermo, quando è sano, sì dee usare di scemarsi sangue del braccio e de la fronte, e dee pilliare medicina da muovere il corpo, e dee schifare di mangiare datteri e sisami di mèle, e fugha l'ebreza. E quando no è troppo pieno e satollo, sì è utile d'entrare spesse volte nel bagno, e spesse volte mettere nell'ochio sief rosso similliantemente giova. Sief rosso. Recipe: hematitis, kolcatar arso ana dr. .iij., rame arso dr. .ij., mirre, gruogho ana dr. .j., pepe lungo dr. 1/2, e si scompargano di vino vecchio e se ne faccia sief. E ancora a queste infertadi giova il sief verde, la cui discriptione si contiene nel capitolo de l'ungola. E s'elli aviene cosa ke queste infertadi sieno vecchie, la schabbia sì è mistiere che ssi stropicci e sebel []. Ma la misura di questo libro non richiede ke tratiamo di queste cose.
L. IX, cap. 19 rubr.Capitolo .xviiij. De' lacrimali com piççicore.
L. IX, cap. 19Endivia tenera si prenda e si pesti, e si ne faciano maddaleoni piccoli, e ungansi con l'olio violato, e si ponghano in sulli occhi, e quando vae a dormire sì ssi leghino. Ma l'olio rosato è milliore e più tosto giova. E se queste cose non giovano e nom bastano, sì ssi pilliano lenti sança le scorçe, e sommach, e rose rosse, e la carnositade o la midolla de le melegrane. E queste cose peste sì ssi cospargano kol careno, in modo d'impiastro vi si ponga suso. E se queste cose nom bastano, sì ssi scemi sangue de la vena del capo primieramente, e poi de la vena de la fronte e de le vene ke ssono ne le cantora de' lagrimali delli occhi. E 'l ventre spesse volte si muova e molte volte entri nel bagno.
L. IX, cap. 20 rubr.Capitolo .xx. De l'unghiella de l'occhio.
L. IX, cap. 20Quando alcuna cosa similliante a ppannicolo del canto de l'occhio k'è da la parte del naso pare ke nascha, e cuopre il bianco, e perviene infino a la nereza, sì ssi genera una infertade la quale è kiamata ungola, il cui nocimento allora è pigiore quando perviene infino a la parte del nero dell'occhio k'è presso de la luce. E questa infertade, tanto quanto ella è sottile, si dee medicare col sief verde de calcantho. E s'ella è vecchia e grossa, col ferro se ne dee trare e spolliare e kol sief verde, il quale giova al sebel, e a la scabia, e a l'ungula e a la biancheza. La cui discriptione è questa: recipe: çimar (cioè verderame), dr. .iij., kolcathar arso dr. .vj., arsenicho rosso, baurach, spuma di mare ana dr. .j.; sale armoniacho dr. .ij.; armoniaco nel sugho de la ruta si disolva, e le spetie si cosparghano e mescolino con esso e si faccia con esso sief, imperciò k'è maravillioso. Sief di calkantho il quale giova all'ungula. Recipe: rame arostito, calkanto ana dr. .v., zimar dr. .ij.; sale armoniaco, baurach, arsenico sublimato ana dr. .j.; e si pestino e si lascino stare per una septimana, e poscia se ne faccia sief, e se ne strupicci l'ungola.
L. IX, cap. 21 rubr.Capitolo .xxj. De la macola rossa o d'altra cosa con percossa. Rubrica.
L. IX, cap. 21Quando elli aviene cosa ke nell'occhio si faccia punto rosso per kagione di percossa o per altra cosa, al sangue che v'è si dee disolvere, poi ke 'l bollimento e ll'estuamento fie rimaso. Dumque si pigli d'aurpimento rosso, incenso e mirra, armoniaco per iguali parti, e si ne faccia sief, il quale si freghi nel sugho del choriandro e si distilli nell'occhio, ma tanto quanto il dolore perseverrà l'albume de l'huovo si de' prendere e si dee mescolare koll'olio rosato, e bambagia involtavi dentro si dee porre in sull'occhio.
L. IX, cap. 22 rubr.Capitolo .xxij. Delle lacrime.
L. IX, cap. 22Quando i lacrimali delli occhi paiono sempre humidi, lo 'nfermo cotidianamente digiuno entri nel bagno e ne l'occhio metta questa polvere. Tutie dr. .x., coralli rossi, mirabolani citrini fregati, alloe ana dr. .ij., pepe dr. 1/2, fiat ex eis pulvis, il quale assiduamente si metta ne l'ochio.
L. IX, cap. 23 rubr.Capitolo .xxiij. Del vedere debole.
L. IX, cap. 23Se co la deboleza del viso e del vedere apparranno segni d'umiditade manifesti, le quali humiditadi si disolvano e si distrugano um poco nel tempo de la fame e de la fatica, pillole cotie molte volte e assiduamente si debbono dare. E 'l nudrimento de lo 'nfermo sì dee essere disseccativo, e lo 'nfermo dee rigittare spesse volte, e nelli occhi si debbono mettere le polveri ke abiano a diseccare. E se co la detta infertade sarà seccheza e offuscamento del corpo e torbideza, il nodrimento si converrà crescere, e vorraglisi dare a bere vino, e sopra 'l suo corpo si dee fondere acqua tiepida, e si dee chinare sopr'essa. E ancora entri nel bagno nel quale non sudi molto, e nel naso e nelli orecchi sì dee mettere olio di mandorle dolci; e nelli occhi sì dee mettere ongne die lacte di femina giovane, la qual cosa si conviene fare spesse volte. E questa spetie di deboleza di viso aviene più spesse volte e più forte nel tempo de la fame e quando il ventre è vòto. La confectione de l'alcol, cioè polvere ke ffa buono vedere, il quale vedere è dibilitato per cagione d'omori. Recipe: tuthie lavata e seccata dr. .xx., e poi si tragha il sugho de la maiorana verde, e si lasci così stare e resedare per una nocte, e si coli, col quale la tutia kospersa e bagnata si lasci stare tanto ke ssi secchi, e poi si pesti, e apresso si prendano gengiovo, pepe nero, pepe lungho, celidonya ana dr. .ij., sale armoniaco dr. .j., quando la tutia fia dr. .xx., e poscia tucte queste cose si pestino, e col sugho del tenero finocchio si conspargano e inaffino, e seccati un'altra volta si pestino e si riponghano; e quando fie mestiere si mettano nelli occhi. E ancora a questo vale molto il sief de' fieli.
L. IX, cap. 23 bis rubr.Ancora de l'enfiamento de le palpebra e de' peli ke tornano inn entro.
L. IX, cap. 23 bis(+i) Colui al quale emfiano le palpebra, sì (i-) ssi epithimi co la epithima ke noi nominamo nel capitolo de l'obtalamia. E de' peli e de le palpebre ke tornano in entro più ke non debbono e pungono l'occhio. Se uno pelo o due de le palpebre fieno tornati dentro e pungono, sì ssi debbono pilliare ko la mastice o kol suo olio, accioe ke ssi possano vellere kon tucte le radici; e le luoghora onde si vellono con ferro aguto, sì com'è l'agho, s'ardano e incendano. E s'elli sono molti, mistiere è ke la carne de le palpebre si tallie. Ma parlare di queste cose trapassa la misura del nostro libro.
L. IX, cap. 24 rubr.Capitolo .xxiiij. De l'acqua ke kade nelli occhi.
L. IX, cap. 24Quando a alcuno appare k'elli abbia dinançi da ssé cimici o altri corpi, e cose piccole subtili e risplendienti, la qual cosa aviene alcuna volta per cagione de lo stomacho, alcuna volta per proprio nocimento e male dell'occhio, per la quale cosa la diferentia intra questi due si dee considerare e non si dee questo avere a schifo, allora, questo accidente. Imperciò ke quando per cagione de lo stomaco aviene, non è molto da curarne ke faccia nocimento a lo stomaco, e quando quello aviene per propia cagione e vitio dell'occhio, sì n'è molto da doctare, imperciò che questo è cominciamento d'acqua. E questo male tanto quanto ella è ricente e nel cominciamento sì ssi puote guerire, ma quando ella è già venuta a perfettione non, se no col talliare e con ferro, e forse il talliare varrae pocho. Per la quale cosa la diferentia intra queste due maniere si dee diligentemente investigare e inkiedere. La qual cosa è sì come noi diremo. Quando le ymaginationi ke ssi veggono apaiono a ciascuno occhio, sì dee huomo extimare ke quello avengha allotta per viçio de lo stomacho, e se non, no. E quando quelle cotali emaginationi apaiono più ke non solliono quando huomo àe fastidio e abominatione, et è pieno e satollo, e àe male smaltito il cibo, e quando huomo àe sofferto fame e faticha meno e più pocho apaiono, allora dee huomo extimare ke quello sia da lo stomacho. E da ch'elli sono già passati due mesi ke queste ymaginationi cominciarono ad aparire, o più, e ne la pupilla e luce no ne àe huomo veduto conturbatione, sì dee huomo extimare che quello sia da lo stomaco. Quando queste extimationi fieno ragunate, dae a bere le pillole cotie. E se 'l male va via di tuto in tucto, extima già ke le predette cose sono certificate. E s'elle apaiono tanto solamente all'uno occhio e sono a ogne hora in uno modo, è da extimare il vitio de la predetta acqua essere presso a venire. E quando questo male sia propiamente nell'occhio, sì ssi dee comandare a lo 'nfermo k'elli non si scemi sangue co le ventose, cioè coppette, né del collo né del braccio, e non manuchi pesi né altre cose ke abbiano a umentare e a ramollire. E 'l corpo si dee spesse volte solvere e muovere colle pillole cotie, e lo 'mfermo si dee notricare ko le cose ke abbiano a disecchare e a riscaldare, e lli è a dare bere ydromelle e da meterli nelli occhi sief di fieli. La cui discritione è questa. Sief di fieli che giova all'acqua ke scende all'occhio nel cominciamento e alla dilatione e allargamento de la pupilla, e a coloro ke non vegono dipo 'l sole tramonto, e a la tenebrositade del viso k'è per kagione d'omore. Recipe: fiele di grue, sabot, di beccho, de lo sparviere, de l' agullia, de la pernice, di tutti questi secchi, vino, o più, si piglino e per ogne .x. dr.; di questi secchi: d'euforbio, koloquintida, serapino ana dr. .j., triti si ragunino, e col sugo del finochio tenero si mettano nell'ochio.
L. IX, cap. 25 rubr.Capitolo .xxv. Di quelli che non vegiono dopo il sole tramonto.
L. IX, cap. 25Quelli che non vegono dopo 'l sole tramonto è utile cosa a ssovenire loro in questo modo, cioè fendere il fegato de la capra e porre sopra l'uno talliamento e fendimento pepe lungho, e coprire quello talliamento e fendimento coll'altro fendimento, rimanendo e stando in mezo il pepe lungho, e poscia metterlo nel forno e lasciarlovi stare tanto ke ssia arostito, e non si disecchi. E quando questo è fatto, il pepe lungho che era in mezo si prenda e si pesti molto bene com poko moscado, e poscia di quello liquore e humiditade ke uscirà del feghato arostito e ke sse ne potrà fuori priemere, sì si spargha o ssi secchi, e si metta nell'ochio. O il fiele de la capra mescolato col mèle ne la caza (o nel vasello) sopra 'l fuoco si mescoli, e poscia il radio (cioè quello strumento) si n'ungha e si metta nell'occhio. E quello ke più vale a questo è ke 'l sief de' fieli si metta nell'occhio. E se queste cose nom bastano, sì ssi solva e muova il ventre, e il sangue si scemi de le due vene del capo e de la fronte, e 'l regimento e la vita si sottigli.
L. IX, cap. 26 rubr.Capitolo .xxvj. De l'alargamento de la pupilla.
L. IX, cap. 26Quando la pupilla, cioè il forame k'è nel nero dell'occhio, a tanto appare ke ssi allarghi ke ssia mestiere ke d'ongne parte pervengha infino al bianco, e questo avengha con grande dolore di capo, picciola fidança puote huomo avere nel suo guerimento. Ma sse l'alargamento e 'l dilatamento fia picolo, sì ssi dee muovere il ventre assiduamente e spesse volte colle pillole cotie, e si metta nell'occhio sief di fieli. E s'elli aviene kosa ke la pupilla s'allarghi dipo percossa o ffedita, non è da avere paura, imperciò ke sse ne manderà via. Facciasi, dunque, empiastro co la farina de le fave, e kamomilla, e malvavischio, e vino, e acqua.
L. IX, cap. 27 rubr.Capitolo .xxvij. De le fistole ke ssono ne' kanti de' lacrimali delli occhi. Rubrica.
L. IX, cap. 27Quando il canto del lagrimale dell'ochio resuda e quando si prieme, si n'escie putredine e fracidume, sì ssi intende k'elli v'abbia fistola, la quale si medicha kol kauterio. Ma parlare di queste cose è più che non apertiene a questo nostro libro, e noi v'abiamo già trovato medicina, la quale, se l'huomo la farae, farà tardare in tale maniera per molti mesi ke quasi lo 'mfermo paia sano. E l'altra medicina. Recipe: alloe, incenso, sarcocolla, sangue di dragone, balaustie, antimonio, allume per iguali parti, çimar (cioè verderame) quanto una quarta parte dell'uno, e se ne faccia sief. E quando elli fia mestiere, la fistola si priema tanto che tucto quello che v'è dentro n'escha fuori, e poi giaccia di sotto nell'altro lato, ove no è la fistola. E del predetto sief si disolva alcuna cosa ne l'acqua, de la quale tre gocciole, o quatro, si mettano nel canto lacrimale, mettendo in mezo grande peza tra ll'una gocciola e l'altra. E quando questo fie facto, lo 'nfermo giaccia così per tre hore, e la mattina del sequente die priema molto bene la fistola, e faccia quello medesimo medicamento. La quale cosa si conviene fare per una septimana, e ancora sì llunghamente che de la fistola niuna cosa escha quando si prieme, e per questo cotale medichamento il luogho starà seccho e asciutto per molti mesi, e ciò è cosa provata. De' medicamenti delli occhi quanto noi crediamo ke ssia mestiere in questo luogo, crediamo ke ssia già assai detto. Ma ll'altre cose ke ssono de le cure ke ssi fanno con ferro lasciamo stare, imperciò ke ànno mestiere di molti medichamenti, ma elli sono certe cose di queste ke noi abbiamo tractato ne le luoghora ne le quali noi tractamo de la dicoratione e nel libro di guardare la santitade. E averne ivi diterminato, sì ne passeremo più brievemente.
L. IX, cap. 28 rubr.Capitolo .xxviij. De li medicamenti delli orechi.
L. IX, cap. 28Se co la doglia ke ssi fae ne l'orecchie sia emfiamamento nel volto e tempellamento, sì ssi converrà scemare sangue de la vena del capo, e olio rosato e olio di fiori di salci tiepido com poco aceto si dee mettere nell'orecchie, e 'l lacte così caldo com'elli esce de la poppa vi si dovrae gittare e mugnere dentro molte volte. E 'l ventre molte volte si conviene muovere koi mirabolani citrini, e cum la scamonia, e cum lo aloe fortemente, la quale chosa se facia im questa maniera: de' mirabolani citrini si prendano dr. .xx., e polverizati in due libre d'acqua si cuocano tanto ke reggano a' due terçi d'una libra, e si colino. E apresso si prenda aloe dr. .j., e scamonea la sexta parte d'una dr., e si ragunino kol rob de le mele cotogne, e se ne facciano pillole, le quali si prendano per due hore ançi ke pigli la dicotione; e poscia si bea la dicotione. E s'egli adiviene cosa ke la doglia non si diparta, um poco d'opio in olio rosato risoluto si gitti ne l'orekie. E se 'l battimento torna e persevera per tre die, olio sisamino, nel quale grasso d'anitra o di gallina sia risolvuto, si metta ne l'orecchie spesse volte, imperciò ke allotta v'è entro pustola, la quale à mestiere di maturarsi. E quando la dollia comincia a ccessarsi, et è quasi andata via, la putredine è già racolta. Per la qual cosa la putredine subitamente esce de l'orecchie. E quando 'l duolo si fa ne l'orecchie dipo fastidiosa satietade, cioè dipo 'l fastidio per troppo manichare, o dipo venti freddi, olio nel quale ruta e cipolle sieno cotte si distilli nell'orecchie. E se queste cose nom bastano, olio nel quale turbitti sia cotto vi si distilli, e si prenda olio di lillio, e a ciascuna sua on. vi si mescoli euforbio ricente dr. .j., e castoro dr. .j. E se ancora queste cose nom bastano, il ventre si solva ko le pillole cotie, e lo 'nfermo entri nel bagno, nel quale sudi, e li si dea vino forte a bbere o vecchio, cioè possente e buono. E se col dolore dell'orecchie è suono e tuono e ventositade, panicho (overo millio arostito ne la padella) caldo molte volte si ponga sull'orecchie e 'l tengha sopra 'l vapore de l'acqua, ne la quale siano cotte mentastro, e maiorana (persa), e sticados. E si metta ancora nell'orecchie del castoro e dell'euforbio disollvuti nell'olio del sambuco, de' quali ciascuno pesi .iiij. granella d'orço.
L. IX, cap. 29 rubr.Capitolo .xxviiij. De la doglia e del dolore delli orecchi.
L. IX, cap. 29Al dolore e al tuono dell'orecchie. Recipe: castorio, mirra, sale nitro ana drama .j., heleboro biancho dr. 1/2, zafferano la quarta parte d'una dr., bollano co la metade de' capi de' porri e coll'altra metade d'aceto, e si guardino, e tiepido si metta nell'orecchie.
L. IX, cap. 30 rubr.Capitolo .xxx. Del tonamento delli orecchi.
L. IX, cap. 30Quando elli esce la putredine e 'l fastidio dell'orecchie molte volte in uno die, si dee distillare ydromele tiepido nell'orecchie, e apresso vi si dee mettere la medicina ch'è molto buona a cciò, la cui descriptione è questa. Recipe: sarcocolla, alloe, sangue di dragone, incenso, scama di ferro, verderame e di questo si disolva nell'aceto e nelle orecchie si metta. E il lucignolo uncto nel mèle s'intingha ne le predette cose e si metta nell'orecchie. E in questa maniera si medichi con questa medicina e co l'ydromelle tanto che ssia sano.
L. IX, cap. 31 rubr.Capitolo .xxxj. Di quel medesimo tuono de l'orechie.
L. IX, cap. 31Lo suono e tuono de l'orechie forse avengono alcuna volta per la sottilitade del senno e del sentimento de l'udire e de la sua kiaritade, il cui segno è che elli cresce nel tempo de la fame, e nell'ora de l'ebrietade e de la satolleza menoma. Le quali cose non ànno mestiere di proprio medicamento, se cosa non fosse ke troppo soperkiassero e fossero forti, e allotta vi si dee mettere de l'oppio ke ssia disoluto nell'olio, tanto quanto due granella d'orço pesano. E se queste cose avenissero kon graveza di capo e com deboleza de l'udire, olio di seme di rafano, e olio di mandorle amare, e olio rosato, nel quale castorio sia dissoluto, vi si debbono mettere. E l'orecchie, si dee porre sopra il vapore de l'acqua ne la quale sieno cotte maiorana, e sticados arabico, e absenço, e mentastro, e origano. E 'l ventre si dee solvere molte volte kolle pillole cotie, e menomare i cibi, e lasciare stare il vino.
L. IX, cap. 32 rubr.Capitolo .xxxij. De la gravezza dell'udire, quando l'uhuomo ode male.
L. IX, cap. 32Quando nell'udire aviene gravitade, cioè ke huomo oda male, sì dee uomo considerare k'elli non vi sia ordura, la quale è kiamata cera dell'orecchie. E s'ella v'è, sì sse ne netti o ko le medicine, sì come noi dicemo, o con mano. E se non v'è ordura, e questo avengha dopo satietade kon fastidio, la quale andoe dinançi o dipo enfertade acuta, l'orecchie si dee porre sopra il vapore dell'acqua nella quale sieno cotte quelle cose ke noi dicemmo, postovi in mezo il tragietorio (cioè canna forata, o altra cosa, per la quale passi all'orecchie il vapore), la qual cosa si conviene fare in questa maniera. Queste cose si mettano in uno vasello ke abbia la boccha stretta, e iv'entro si cuocano. E poscia quello cotale tragitatoio, cioè kanna o similliante cosa forata, si metta in quello cotale vasello e, acciò ke 'l vapore no ne possa uscire, sì si volga kon uno panno e l'orecchie si pongha sopra la boccha del tragietoio. E ancora questo sief si metta nell'orecchie. La cui descriptione è questa. Recipe: coloquintida dr. .j., baurach la terça parte d'una dr., castorio, aristologia rotunda, sugo d'assenço ana dr. 1/2, costo la quarta parte d'una dr., euforbio la sexta parte d'una dr., fiele bovino quanto basta a le predette cose fare; e si faccia di queste cose sief. E quando fie mestiere, uno resolvuto ne l'olio de le mandorle amare si metta nell'orecchie, e questo è molto utile al dolore flematicho, cioè k'è per kagione di flemma e di ventositade, e al suono e al tuono ke fosse per kagione di grosso vento, e a la sordeza che fosse per cagione di grossi homori. E s'elli aviene cosa ke la deboleza dell'udire avengha dopo 'l digiuno, o dipo troppo veghiare, e 'l volto sia sottilliato, e gli occhi conchavati, sì entri lo 'nfermo spesse volte nel bagno, e più bea e più manuchi che non suole, e più dorma; sopra 'l capo si getti dell'acqua tiepida tanto che elli guerisca. E s'elli aviene cosa ke questo avengha dipo la frenesia, sì ssi medichi co le medicine primaie.
L. IX, cap. 34 rubr.Capitolo .xxxiiij. De' vermini delli orechi.
L. IX, cap. 34Quando nell'orecchie sarae tintillamento, e plurito, e dolore, e poscia ne caggiano fuori vermini, mettasi nell'orecchie del sugho del mentastro, o di foglie del pesco, o d'olio di noccioli di pescho, o aloe si disolva ne l'acqua e si metta nell'orekie; imperciò che queste cose i vermini dell'orecchie, e i piccoli animali ke v'entrano dentro, e i detti animali, quando saranno nell'orecchie e quando nascono nelli ulceri, uccidono.
L. IX, cap. 35 rubr.Capitolo .&[x&]xxv. Di quelle cose ke di fuori entri nelli orecchi.
L. IX, cap. 35Quando alcuna cosa si ficcha nell'orecchie, sì vi si dee mettere olio tiepido, e dee lo 'mfermo entrare nel bagno ov'elli dimori, tamto ke il suo corpo si ramollischa. E poi si soffii nel naso lo nasturzo e tengasi l'alito acciò k'elli starnuti, e forse in questo modo e maniera n'uscirà fuori; e se non n'escie fie mestiere ke con ferro ke ssi metta nell'orecchie se ne tragha fuori. La quale cosa si dee altressì fare nel naso, se alcuna cosa vi fosse entrata ke no ne potesse uscire fuori. E se ne l'orecchie fosse entrata acqua, inchini il capo da quella parte dell'orecchie e salti lo 'mfermo; e se così non uscisse, si faccia (sì come noi dicemo) starnutire, e poscia vi si metta l'olio tiepido molte volte. E questo non si dee avere per picola cosa, e maximamente se v'è entrata cosa che abbia mala qualitade, imperciò ke perciò se ne seguiterebbe grave dolore e doglia.
L. IX, cap. 36 rubr.Capitolo .xxxvj. Di quelle cose ke ristangnano il sangue del naso.
L. IX, cap. 36Di quelle cose ke ritengono ke 'l sangue non escha fuori del naso sì è il sugho abideregy, quando la camphora vi sarà disolvuta dentro e messo del naso. Imperciò ke giova a colui k'è acostumato d'avere questo male a esservi gittato ançi ke ll'avengha, o in quella ora ke 'l male è; o si prenda gesso, e cenere di carta di panno, e galla, e sangue di dragone, kalcina, çegi, e si ne faccia polvere, e soffisine nel naso; o lucingnolo in loro intinto si metta nel naso; o si polveriçi l'alume, overo alcahol, con anello della sua quantitade si soffino nel naso. E s'elli aviene cosa che ancora esca fortemente, le parti di sopra delle braccia presso a le ditella kon una benda, e le coscie presso a la 'nguinaia si leghino, e i collioni si debbono legare similliantemente. E s'elli avien cosa ke 'l male crescha troppo, tolghasi sangue de la vena del capo di quella medesima parte onde il sangue esce. E s'elli aviene cosa ke perciò non si ristringha, grandi coppette si ponghano sul ventre col fuoco da quella parte onde esce il sangue. Medicamento k'è molto forte a ristrignere il sangue. Prendasi la calcina bianca e lieve, la quale usano li orafi, e spesse volte se ne soffi nel naso sança interponimento di tempo, e lucingnolo unto ne l'albume de l'huovo se ne involgha e si ne metta nel naso.
L. IX, cap. 37 rubr.Capitolo .xxxvi&[j&]. De l'ulceragioni del naso.
L. IX, cap. 37Quando nel naso sarano ascare, cioè cotali schianze, sì vi si dee mettere cera e olio e grasso di gallina dentro, e sughi e atragha acqua calda molte volte la mattina per alquanti die. E quando le bolle comincerano a gittare, sì ssi metta nel naso uno lucignolo bagnato in forte aceto, nel quale aceto ' sale sia messo, e se ne pongha ancora sopra il naso ké, ciò operando e facendo, sì ssi seccheranno e non si prolungherà la loro dimorança. E s'elli aviene cosa ke ivi sieno ulceri, sì ssi medichino coll'unguento di cerusa (cerusa, cioè biaccha).
L. IX, cap. 38 rubr.Capitolo .xxxviij. Del polippo del naso.
L. IX, cap. 38Quando nel naso fia nata karne molle, e ssì come disoluta e disfacta, rossa o biancha, e 'l naso comincerà a ingrossare o a empiersi di questa cotale carne, primieramente si dee scemare sangue de la vena del capo, e poscia si dee uno lucignolo ugnere de l'unguento verde da corrodere, ke noi contamo e facemo mentione nel capitolo di quelle cose ke ànno a corrodere, e si dee mettere nel naso. E se questo nom basta, sì vi si pongha il medicamento acuto ke noi scrivemo quivi, tanto ke del tucto in tucto sia mundificato. E alcuna volta questo kotale male si cura e sana con ferro, talliando del tucto in tucto la radice; ma i medici alcuna volta errano in questo, onde per lo loro medicamento lo 'nfermo incorre in grande nocimento, imperciò ke in questo luogo kancro nasce molte volte. Ma certo quando cancro nasce in questo luogho, né ssofferire puote le medicine acute, né con ferro vi si tagli, ançi àe mestiere ke soavemente vi si adoperi e con medicamenti lievi, e se guerischa collo scemare del sangue e con medicina da ffare uscire. E s'elli conosce se quello accidente è kancro, imperciò k'elli è duro e perviene alcuna volta infino al palato (ma quando il naso è duro e seccho e no è in lui humiditade alcuna), sì ssi conviene molto guardare ke questa cotale infertade, e similliante a llei, non si tocchi con ferro né con medichamento acuto. E se quello ke nel naso è nato è karne molle e ne digocciolano homori, e quando il naso si strigne, si truova molto molle, e quando elli si toccha non si truova sodo al toccho, non conviene avere paura k'elli non si possa medicare con ferro e con medicine.
L. IX, cap. 39 rubr.Capitolo .xxxviiij. Del perdimento de l'odorato, quando huomo non sente puço né odore.
L. IX, cap. 39Quando il senno e 'l sentimento, kol quale le cose ke ssi odorano e fiatano si congnoscono, sarà perduto, e nel naso fia cresciuta superflua carne, e ll'aere se attrae altressì lievemente kome dinançi, e li occhi e li altri sensi stanno naturalmente nel naso, si converrà soffiare polvere sottile come alcol, il quale si faccia di condisi, e d'archanitha, e sale armoniaco; e a lo 'nfermo si comandi ch'elli ponga il naso molte volte al vapore ffatto d'aceto caldo. E se queste cose non bastassero, sì ssi soffi nel naso quelle cose ke noi nomineremo, la cui descriptione è questa. Recipe: neella, fiele di grue, kolloquintida, eleboro bianco ana parti iguali, polveriçinsi e pongansi ne l'urina del canmello arabico, in tanta quantitade ke ssi possa choprire, e ponghasi al sole tanto che ssi secchino e poi apresso se ne faccia sief. E quando fie mestiere uno di loro ke ffia grande come una lenta, posto nell'olio del sambuco, e' si metta nel naso, imperciò k'elli è molto buono a cciò; e se per questo ke si mette nel naso forte doglia se ne seguiti, sì vi si dee mettere dell'olio del seme de le çucche, e si gitti i· sul capo de l'acqua calda, e sughi quelle cose ke ànno a humentare e a ramollire sì come tisana, cioè ad orzo, e quello manicare ke ssi fae de l'acqua de la cruscha e de la farina e somillianti cose. E questo sì è il medicamento a coloro che ànno perduto l'odore, et è molto provato, il quale si confice e fae in questa maniera: neela si polverizi e pesti tanto ke ssia bene sottile, e si mescoli coll'olio vecchio. E poi lo 'nfermo empia la boccha d'acqua e imkini il capo adietro quanto egli puote il più, e allotta del predetto medicamento alquante gocciole si distillino nel naso. E a lo 'nfermo si comandi ke, quanto elli puote, il più si sforzi d'attrare a ssé l'aria, la quale cosa si convien fare in tre dì tre volte.
L. IX, cap. 40 rubr.Capitolo .xL. Del dolore de' denti.
L. IX, cap. 40Se la gengia kol dolore de' denti è sanguinosa, e apostemosa, e rossa, ' è apostematione com batimento e tempellamento, traghasi sangue co le coppette, scemato sangue innançi de la vena del capo, e poscia tengha ne la boccha alquanto aceto e olio rosato. E se per questo non guerisce e sia il tempellamento forte e con emfiamento, sì ssi pesti kanfora e piretro, e si mettano ne le radici de' denti. E quando fieno disolute e disfacte, sì vi si mettano un'altra volta, e di sopra sì vi si metta bambagia molle con olio rosato. E se la dollia alcuna volta cresca e diventi più forte, la sexta parte d'una dr. d'oppio si disolva e disfaccia ne l'olio rosato, del quale bambagia o panno lino se ne molli et embiuti, e si metta ne la radice del dente. E se per questo il duolo non si diparte, il luogho si dee scarpellare colla lancetta o kon altro ferro, e le mignatte vi si debbono porre suso. E se la cingia no è apostemosa, né piena di sangue, né la doglia v'è con tempellamento, né nel volto è enfiamamento, overo ke la dollia avengha dipo fastidio per troppa satolleza e riempimento di cibo e dipo cena, e abbia manicato di cibo freddo molto, il ventre si dee disolvere ko le pillole cotie, e freghare e stropicciare le radici de' denti dolliosi kon questa medicina. Recipe: senape, piretro, sataragi, baurach, gengiovo, pepe e di queste cose polveriççate le radici de' denti si stropicino, e la bambagia uncta e imbiutata con essi si ponga sopra le radici de' denti, poi che lo 'nfermo avrae lavata la boccha coll'aceto, nel quale fieno cotte piretro, mentastro e origamo. E sopra la mascella di fuori si dee porre panico, overo millio arostito ne la padella, o il dente e la sua radice si stropicci ko la polvere del pepe mescolata col mèle. E se queste cose nom bastassero questa triacha si metta ne le radici de' denti, la quale si fa in questa maniera. Recipe: castorio, asa, pepe, gengiovo, storace ana per iguali parti, e si conficiano col mèle, e s'anministrino, e lo 'mfermo ancora per alquanto tempo si sofferi e si tengha ke no manuchi e stea affamato, et entri nel bagno, e usi il movimento e la faticha. E colui ke per queste medicine non guerisce, sì ssi metta il ferro ardente e imbrasciato molte volte ne la radice del dente e si 'radichi e metta fuori de la boccha. E s'elli è corroso, sì ssi riempia co le medicine ke noi abiamo nominate ke ssono corrosive, e si ne tragha fuori.
L. IX, cap. 41 rubr.Capitolo .xLj. D'insegnare trare i denti e di 'radicharli.
L. IX, cap. 41Medicamento di grande efficacia il quale, quando si mette ne la radice del dente, sì 'l costrigne e rompe e mitiga il suo dolore. Prendasi kebikegi et erba, pepe e trita, e ko l'alcatrano (o kon alcaterno) si scompargano e inmollino, e se n'empia. Medicamento il quale i denti deboli e quelli che dogliono ke ssi voliono trare eradicha. Prendasi de le scorçe de le radici del moro, e de le radici del cappare, e piretro, e 'l latte di tottomallio, e lacte d'ana bula, e aurpimento rosso, e radice di coloquintida, e trite con tanto aceto si scompercano e si ramollino ke basti. E l'aceto per una settimana una volta il die, sì come dinançi, vi s'agiungha. E dipo questo i denti intorno si scalçino, e de le predette cose .x. volte il die s'epitimi tanto k'elli sieno agevoli a muovere, e cosie si traghano, o si faccia epithima colla feccia de l'aceto molto acuto per molti die, e poscia se ne traghano fuori, o le rane de' fiumi si cuocano ne l'olio tanto ke ssi disolvano. E quando fie mestiere, le radici de' denti si scalcino, e di questo olio s'ungano molte volte tanto ke ssi possano muovere agevolmente e poscia si tragano kollo strumento d'atrare i denti.
L. IX, cap. 42 rubr.Capitolo .xLij. Da torre via l'allegamento de' denti.
L. IX, cap. 42(+i) Per torre via l'aleghamento de' denti e de la loro kongelatione, e adormentamento de' denti (i-): porcellane e mandorle amare si mastichino o con simillianti a questi; o elli si faccia stropiciamento kol sale e si mastichi la cera, (+i) o faccia altre kose ke noi dicemo quando tractamo de la propietà de la porcellana. (i-)
L. IX, cap. 42 bis rubr.Di coloro ai quali duole i denti per chagione dell'aire freddo e sua cura. Rubrica.
L. IX, cap. 42 bis(+i) Quelli al quale duole i denti per kagione dell'aire freddo, sì vi si dee porre suso (i-): olio caldo nel panno vi si dee porre suso, o tuorla d'uova arostite calde mastichi molte volte, o elli morda il pane caldo molte volte, o elli si faccia stropiciamento coll'olio del gillio salvatico, o di balsamo. E quando cola, cioè bolla, apare ne la lingua, se le bolle sono rosse, prendasi: anthera, cioè quello cotale fiore k'è dentro a la rosa quando le foglie ne sono levate, amido, spodio, lenti scorticate, seme di porcellane, coriandro seccho, seme di fave, o scierie de matho ana parti iguali, e uno poco di camphora, e di queste cose polveriçate si facia stropiciamento, e mescolate con aceto, e con olio rosato, e acqua rosata, si tengano in boccha, e si scemi sangue co le coppette. E se le pustole fossero bianche, sì ssi stropiccino kol sale e col mèle, e sciroppo acetoso si tengha in boccha, o almury (sì è uno savore ke ssi fae). (+i) E queste cose sono di grande efficacia a la detta dollia. (i-)
L. IX, cap. 43 rubr.Capitolo .xLiij. De le gengie sanguinose, come si debbono curare.
L. IX, cap. 43Quando de le gengie sangue sottile esce assiduamente, sì ssi prenda di ciascuno arsenicho, cioè rosso e giallo, e de la kalcina, e de le galle per iguali parti, de le quali, polveriçate e mescolate con aceto, sì ssi formino piccoli trocisci. E quando fosse mestiere, di loro pulverizati si prenda quanto è la sexta parte d'una dr., e si stropicino kon esso le gingie molto bene. E così dimori um poco e poscia tengha l'olio rosato im boccha, imperciò ke questo è maravilliosa cosa a questa infertade guerire, e a la putredine e a l'erpete estinomeno ke à la boccha.
L. IX, cap. 44 rubr.Capitolo .xLiiij. Del cadimento de l'uvola.
L. IX, cap. 44Quando lo 'mfermo sente alcuna cosa essere ne la radice de la lingua, o ne la gola, e quando huomo li comanda ch'elli apra la boccha e traggha fuori la lingua, apare l'uvola sua ke ssia già fluxa e distesa e alumgata, sì ssi prendano raumech, e sale armoniacho e, bene polverizati co lo strumento da insoffiare, sì ssi soffino sopra ll'uvola e di loro si pongha um pocho in sulla somitade di quello stromento, e con esso si diriçi a la radice dell'uvola, et ella si tragga um poco in fuori co lo strumento, o melagrana acetosa sì ssi pesti co la sua polpa e si faccia con esso gargarismo. E s'ella dimora lungamente in questa maniera così dilungata, e la sua parte di sopra sia sottilliata, e 'l suo capo sia ritondo, sì ssi dee talliare infino a la radice. Ma ssì ssi conviene guardare ke ançi che così (chome noi dicemo) disposita si tagli, imperciò ke per questo si seguita alcuna volta fluxo di sangue, il quale non si puote costrignere.
L. IX, cap. 45 rubr.Capitolo .xLv. De le mignatte ch'entrano ne la ghola.
L. IX, cap. 45Quando alcuno sente ne la sua gola titillatione, et elli n'esce fuori sangue sotile, sì dee huomo allora extimare e credere k'elli àe mingnatta ne la sua boccha, e magiormente s'elli àe bevuta acqua i· lluogo ove sono sanguisciughe, cioè mingnatte. Onde la boccha de lo 'nfermo si dee aprire, e la lingua se ne dee fare trare fuori e priemere in giù, e porre mente la gola al sole. E se l'huomo vedrae la mingnatta pendere in luogho prociano, sì sse ne dee trare fuori ko le forpici, ko le quali le saette si traggono fuori de le carni; il quale si fa in questa maniera: il kapo dal quale pende si dee strignere, e in questa maniera se ne tragha. E s'ella no è manofesta o non si veghia, lo 'nfermo molte volte gargariççi senape con aceto, imperciò k'ella si partirà del luogo ov'ella è, o si faccia gorgolliamento d'aceto e di sale e d'asa. E ancora neella o senape trite vi s'insoffino dentro e si faccia ancora gargarismo del sugo de la cipolla. E se po' 'l suo kadimento rimarrae a lo 'mfermo resudamento di sangue, facciasi gargarismo de la dicotione, ne la quale la scorça de la melagrana e balaustie e sumach sien cotte, e s'insoffi ne la gola polvere di balaustie, e d'incenso, e di sangue di dragone, e amido. E se la mignatta è apicchata a lo stomaco, sì si dea medicina per la quale i vermini si mandano fuori. E di quelle cose ke le mignatte fanno uscire fuori, sì è che lo 'mfermo entri nel bagno, e tanto vi stea ke elli abbia grande sete, e allotta tengha im boccha acqua raffreddata ne la neve. E quando ella si comincerà a riscaldare, sì la sputi e pigli dell'altra, imperciò ke la mignatta alcuna volta viene a la boccha cercando del freddo e andandolo chaendo.
L. IX, cap. 46 rubr.Capitolo .xLvj. Di quelle cose k'entrano ne la gola, o spina o osso.
L. IX, cap. 46Quando quello che emtra ne la gola e vi si ficcha dentro, o nel meri, fosse grande boccone (o altra cosa a llui somilliante, di quelle cose che non ànno peççi fenduti contenuti i· llor, o aguti), giova, e molte volte, perkuotere lo 'mfermo nel collo, molte volte di dietro, e spesse volte tramghiotire acqua; forse discenderae giuso e lo 'mfermo entri nel bagno e tranghiotischa molte volte de l'olio. La quale cosa, poi ch'elli l'avrae facto, sì ssi tranghiotisca grandi boconi. E s'elli aviene cosa che non discenda, instrumento, il quale è somilliante a quello ke ssi suole dire qui di sotto, si metta ne la boccha. E quello cotale strumento è di piombo, il quale conciosiacosaké elli sia somilliante a la rete è lungho, il quale à in sé gibositade e kolmeza, overo scrignuteza.
L. IX, cap. 47 rubr.Capitolo .xLvij. De la graveza de la lingua. Rubrica.
L. IX, cap. 47Quando la lingua fia grave sanza li altri membri, e lo 'mfermo non avrae avuta né febre né acuta infertade, sì ssi prendano sale armoniaco, pepe, gengiovo, senape biancha, e piretro, e staphisagria, e baurach (cioè salsume), e origano, sale yndo, neella, maiorana (cioè persa) seccha, e si cuokano in acqua o sse ne faccia gargharismo, o gorgolliamento, ma si guardi molto bene lo 'nfermo k'elli non ne mandi fiore giuso puncto, o lo 'nfermo a ddigiuno per molti die gargarizi, o gorgogli, almuri nabati, o e' si faccia gargarismo d'aceto o di piretro. E poi ch'elli avrae lasciato di gargharizare, sì ssi prenda il sale armoniaco, pepe, piretro e senape per iguali parti; e quando fieno bene pesti, sì ssi strupicci la lingua lunghamente. E se colla graveza della lingua e' vi sia graveza de l'udire e delli altri sensi, sì come male vedere e male udire e similliantemente delli altri, sì ssi medichi lo 'mfermo secondo la dottrina, la quale la parlasia si medicha. E se 'l parlare fia agravato nelle febbri acute, e tu lla vedrai in quella graveza del parlare sottilliata e abreviata, cioè acorciata, spasmata e contracta, sì ssi gitti l'acqua kalda sopra i principi delli sponduli del collo, cioè sul capo di dietro, o delli orecchi, e ungasi coll'olio; e lo 'mfermo dee tenere olio tiepido in boccha. E s'egli è gram tempo ke 'l parlare non finoe di menomare, o ancora sempre si dee huomo considerare se 'l leghamento di sotto, kol quale la lingua si lega, sia magiore ke non dee, e se così è, sì sse ne dee talliare um poco, e dêvisi mettere dentro del zegi polverizato.
L. IX, cap. 48 rubr.Capitolo .xlviij. De la lingua che ingrossa che nom kape ne la boccha.
L. IX, cap. 48Quando elli aviene cosa ke la lingua emfi sì ke per la troppa grandeza ella escha fuor de la boccha, sì ssi dee stropiciare ko le cipolle e co la acetositade del cederno, cioè kol suo sugho, e kol ribes, e col sugo de le mèlegrane acetose, tanto ke molta saliva escha e coli de la boccha, e in questa maniera disemfia e torna a la primaia misura. E se questo nom basta, sì ssi stropicci con sale e con aceto, e se questo non giova, sì ssi scemi sangue d'ambindue le vene del capo primieramente e poscia de la vena k'è sotto la lingua.
L. IX, cap. 49 rubr.Capitolo .xLviiij. De la ghiandola k'è anodata sotto la lingua e de la sua cura.
L. IX, cap. 49Quando sotto la lingua è una ghiandola nociva, cioè ke ffaccia male, nel chominciamento kol sale armoniacho e co le galle si dee stropicciare. E se cosa è k'ella sia vecchia, sì ssi dee stropicciare col medicamento de le gengie sanguinose, il quale è medicamento acuto, e lo 'mfermo tengha im bocca aceto e sale. E lli apostemi che ssi fanno ne la lingua si debbono medicare con quelle cose kolle quali si medicano quelli ke noi abiamo detto di sopra.
L. IX, cap. 50 rubr.Capitolo .L. De la squinantia, cioè de l'apostema de la ghola.
L. IX, cap. 50Quando nel tramghiottire si sente angoscia, sì è presente quello male il quale è kiamato squinançia, la cui gravitade e la cui leveza si puote cognoscere secondo la stretteza de la gola e la sua quantitade. Quando elli è streteza e angoscia di mandare giù il manichare e 'l bere, e nel volto e nelli occhi è rosseza e repretione, nel cominciamento del medicamento sì si scemi sangue de la vena del capo, e si faccia gargarismo kol sugho de le melegrane acetose, ko la sua midolla, o kol rob de le mele matiane acetose, o kol rob de le more, de' seni; e poscia si faccia gargarismo de l'acqua rosa, ne la quale il somacho sia infonduto, cioè stato in molle. E poi ch'elli fia così facto per tre die, e 'l ventre fia solvuto col sugho de' fructi, sì come di susine, e di thamarindi, e di cassia fistola, e di terianabyn, sì ssi faccia gargarismo kolla dicotione de' fichi gialli, e d'uve passe, e co la midolla de la cassia fistola, ko l'ydromelle. E se 'l male invecchia, sì ssi medichi koi gargarismi e colle 'msoffiationi dentro de' medicamenti forti che noi diremo. E se nel volto no è rosseza e molta saliva gocioli de la boccha, e lo 'mfermo sia humido, nel cominciamento si muova il ventre e solva ko le pillole cotie, e facciasi il cristere acuto ke noi nominamo nel capitolo de l'appoplesia. E quando il male comincerà, facciasi gargarismo kollo sciroppo acetoso, o ko l'ydromelle, pepe e oximelle, e poscia co l'almury nabati. E si faccia ancora gargarismo kon ydromelle, e con senape, e di quelle cose ke giovano a la rea squinantia, e che si tolgha sangue de le vene ke ssono sotto la lingua, e che ssi pongano sul collo ventose sança scarificatione (cioè sança scarpellamento) kon ferro, e si faccia epitima sul collo kol mele d'anacardi, tanto ke vi si facciano suso le vesciche; e si faccia gargarismo kolla senape, e di questa medicina li si soffi ne la gola, la quale si fae in questa maniera: senape e sale armoniaco, piretro, nitro, asa, pepe, mentastro si prendano, e di queste cose col mèle si faccia gargarismo.
L. IX, cap. 51 rubr.Capitolo .Lj. De la tossa aspra e seccha.
L. IX, cap. 51Quando alcuno avrae la tossa et ella è aspra e seccha, e con rosseza e con chalore, sì ssi dee dare a lo 'nfermo miraba di viuole, e acqua d'orzo, e farinata d'orzo, e manuchi fava infranta, e spinaci conditi coll'olio e co le mandorle dolci, e ne la boccha tengha bichike ke ssi fanno in questa maniera. Recipe: sugho de la requilitia, zuchero bianco ana dr. .x.; amido draghaganti, mandorle dolci scorticate e monde ana dr. .v.; e kon queste kose, intrise kolla mucillagine de la granella de le mele cotogne, si facciano pillole. E se ko la tossa fia molto sputo, il quale quando non si puote mandare fuori fae nocimento, e con questa cotale tossa no è febri né grande menagione di ventre, sì li si dee dare di questi cotali trocisci. Recipe: seme di finochio, seme d'appio, sugho di requilitia, kapello venero, mandorle ana iguali parti, e di queste cose intrise kolla mucillagine del seme del lino se 'nformino trocisci (cioè cotali panellini picoli fatti ne la forma di dadi grossi o piccoli kome ti piace), de' quali si dea per volta dr. .iij.; e la dicotione ke ssi dee usare in questa infertade sì è quella ke noi abiamo già scripta nel kapitolo del catarro, a la quale si debbono agiungnere dr. .v. di capello venero. E se la tossa è antiqua, e nocevole, e rea, sì ch'ella non lasci dormire di notte kolui che ll'à, le pillole de storace li si debbono dare le quali ricevono mirra e storace e oppio per iguali parti. E di queste cose s'informino pillole a la grandeza de' lupini, de le quali si deano a lo 'nfermo .j. o .ij. a la volta, e bea del sciroppo del papavero, e manuchi il seme del papavero bianco kol zucchero. E quelli che àe questa cotale infertade si guardi k'elli non manuchi kose acetose, né cose salate, né kose laçe, né agre, né amare. Fummicamento a la tossa anticha e al puzolente sputo. Recipe: aristorlogia lungha, mirra, storace, gal. per iguali parti, e orpimento rosso tanto quanto tucte l'altre cose, e tucte queste cose polverizate se 'ntridano kol bituro de la vaccha, de le quali cose si facciano madaleoni a la quantitade di picole pallottole. E quando fosse mestiere, sì sse ne facia fumigio d'uno di loro a digiuno a lo 'nfermo per lo tragetorio, cioè per quello strumento forato come kanna, ke noi dicemmo.
L. IX, cap. 52 rubr.Capitolo .Lij. De la tossa aspra e seccha e sua chura.
L. IX, cap. 52Quando alcuno assiduamente àe la tossa e nom puote trare a ssé l'aria se non con grande ambascia, e quando elli giace supino sì è pegio, e quando elli siede, sì lli è mellio, quella dicotione sì lli si dee dare, la cui discriptione è questa. Recipe: fichi gialli dr. .x.; datteri bene humidi e bene grossi, seme d'appio, seme di finocchio, kapello venero, liquiritia, ysopo, marobbio ana dr. .v.; e si cuocano in tre libre d'acqua dolce tanto ke reghano a una libra e si coli. E di questa dicotione sì ssi dea a lo 'nfermo tre die kol peso di tre aurey di questa confectione, la qual è: recipe: suco di requilitia, ysopo, kapello venero ana dr. .x.; kordumeni, pepe, mandorle amare, aristorlogia lunga e retunda, seme d'orticha ana dr. .v.; mèle dispumato quanto è mistiere, imperciò ke questa confettione le superfluitadi ke ssono nel petto manda fuori maravigliosamente et è molto buona, sì ch'ella è da dare per una septimana continuamente. E poi lo 'nfermo, poscia k'elli avrae manichato senape e mèle, sì ssi dee fare rendere. E 'l ventre si dee solvere e muovere kon quelle pillole, k'è: recipe: agarico, polpa di coloquintida ana granella d'orço, a peso .vj.; elacterio granella .iiij.; sugo di requilitia dr. 1/2; e se ne faciano pillole, le quali sono assai a una presa. E dipo a queste cose si torni ancora a bere la dicotione predetta, e a prendere la confeçione, e a la perfine a muovere il ventre, e al rigittare, e questo si conviene fare spesse volte tanto ke lo 'mfermo guerischa, e in questo mezo s'astengha de' cibi grossi, e stitici, e acetosi.
L. IX, cap. 53 rubr.Capitolo .Liij. Di pleurisi, cioè quando alcuno sente sotto le costi dolore pugnente. Rubrica.
L. IX, cap. 53Quando alcuno sente sotto le costi dolore pugnente, e propiamente quando alcuno à con esso tossa seccha e asciutta e à febbre, sì è buono se la doglia sale sopra le costi in su ke lli si scemi sangue de la vena del capo da quella parte ov'è la dollia, se 'l corpo tucto non fosse tucto ripieno di sangue, imperciò ke sse così fosse, konverrebbesi scemare sangue de la parte kontraria. E s'elli aviene cosa ke 'l male sia già durato per alquanti die, sì ssi dee scemare sangue a lo 'mfermo da quella parte ov'è la dollia. E se la dollia tenda in giù a la parte de le costi di dietro, sì ssi dee solvere il ventre e fare uscire ko la dicotione ke noi abiamo scripta nel capitolo de la rema. Ma ancora è mellio ke lli si faccia la flebotomia, cioè ke ssi scemi il sangue, e poscia li si dea l'acqua dell'orço kontinuamente col çuchero. E se tu vedi ke la tossa sua sia molto seccha e molto asciutta, dàgli ogne mattina per tempo del julep, e poscia li dae a bere de l'acqua de l'orço. E se lo 'mfermo è debole, sì ssi notrichi col pane e col çuchero. E s'elli è forte, sì lli basterà infino al quarto die k'elli si dea pur de l'acqua de l'orço. E quando elli chomincerà a sputare, sì li si dea continuamente la dicotione a bere (ke noi contamo e scrivemo nel capitolo de la rema), e bea acqua d'orço tanto ke ssia guerito. E se la febre, e l'acuitade, e la forteza del male perseveri, e lo 'mfermo sofferi pena nello sputare, sì lli si dea la dicotione ke noi nominamo nel capitolo de l'asma. La qual cosa si conviene fare similliantemente quando elli sputa la putredine. E s'elli aviene cosa ke nel kominciamento del male quello ke sputa è molto nero, o molto giallo, e dimori in quella maniera, e la febbre non si diparte nel calore infino al septimo die, paurosa cosa è e da dottare. E se con questo tucto nom puote melliorare d'atrare l'aire k'è dinançi, e nel petto è rantalo o ne le mascelle, rossore è nelli occhi, presso è de la morte. E se di fuori nel costato aparisse rossore o apostemamento, e quando vi si prieme suso si duole, sì vi si pongha suso la coppetta o empiastro di senape, o di fichi, e tanto vi si lasci stare ke vi si facia ulceragioni. E di quelle cose ke, per lo errore de' matti, i nocimenti ke avengono acrescono a coloro ke ànno questa infertade, e stimano ke, quando il duolo si sente sotto le costi nel cominciamento, extimano ke quella sia grossa ventositade, per la quale cosa elli danno il lactovario diecimino, o altri lactovarii somillianti a llui, e così l'uccidono. E questa infertade è kiamata busen, la cui chagione sì è apostema ke nasce dentro sotto le costi.
L. IX, cap. 54 rubr.Capitolo .Liiij. De l'apostema del polmone e de la sua cura.
L. IX, cap. 54Quando ad alcuno sopraviene febbre e à tanta costrintione ne l'alito k'elli creda affoghare, e ne le mascelle sia tanta rosseza e sì grande ke quasi paiano tinte, e la parte del petto dinançi duole, e à grande tossa, e quello ke si sputa è spiumo, e nel petto si sente graveza sança puntione e sança calore, quelli al quale avengono tutte queste cose sia acuto apostema nel polmone. E questo male è kiamato peripleumania. Nel cominciamento del suo medichamento sì ssi scemi sangue de la vena del feghato, e poscia si medichi con quelle medicine ko le quali si medicha la pleuresi.
L. IX, cap. 55 rubr.Capitolo .Lv. Di coloro che gittano il sangue col vomito e co lo sputo o kon raschatione dal palato.
L. IX, cap. 55Quando il sangue esce con rascatione o kon picolo suono, il quale si fa sança tossa, non ne conviene avere perciò paura a lo 'mfermo, imperciò ke potrà guerire gorgolliando quelle cose ke noi nominamo nel capitolo de la squinantia e sottilliando il regimento e la vita del manicare e del bere. E se 'l sangue esce kol vomito non fa perciò grande nocimento né paura, e imperciò ke questo male si guerisce tolliendo sangue a lo 'mfermo, e s'elli manucha le cose stitice e laçe, sì come il sumach e 'l sugo de l'uve acerbe, e bea ancora del bolo armenicho, gummo arabico, balaustie, sangue di dragone, oncenso per iguali parti, e se ne dea dr. .iij. kol rob sempice, cioè schietto, di mele cotogne. A alcuni suole uscire sangue ko interpollatione, cioè per certe stagioni acostumatamente, de la qual cosa non sente neuno nocimento ançi rimedio, per la quale cosa si dee così lasciare stare. E s'elli esce il sangue colla tossa, sì è da dottare e da averne paura. Sì si conviene, dumque, kominciare nel medicamento scemandoli sangue de la vena del feghato, e poscia li si dee dare a bere di questi trocisci, la cui descriptione è questa. Recipe: incenso, sangue di dragone ana dr. .v.; karabe dr. .v.; hematatis, terra sigillata ana dr. .x.; allume dr. .ij. 1/2; balaustie dr. .iij.; oppio dr. .ij.; ravendeseni dr. []; e di tucte queste cose si faciano trocisci .x.; de' quali tucti si pigli uno ogne die col sugho del bassilico maiore e de la porcellana. E se 'l male è molto forte, sì ssi de' dare un altro la sera. E le parti delle braccia de sopra e lle parti trite delle cosce delle parti di sopra si debbono leghare, e l'estremitadi si debbono strupicciare, e 'l petto magiormente, se i· llui fie il luogo ove è la doglia. E i predetti trocisci koll'aceto e coll'acqua s'epitimi. E i suoi cibi abiano seco mescolati sugho d'uva acerba, e summach, e somillianti a questi, e lo 'mfermo giacendo supino manuchi alcuna cosa de la terra sigillata l'una volta dopo ll'altra a poco a pocho.
L. IX, cap. 56 rubr.Capitolo .Lvj. Del tisicho e de la sua chura e medicamento.
L. IX, cap. 56Quando alcuno pare ke dimagri dipo la tossa per lunga infertade e per sputo di sangue o di putredine, sì li si dea a bere lacte d'asina il qual se trovare non si puote, sì li si dee dare quello de la capra kon um poco di çuchero, kol qual elli manuchi spesse volte pane. E quanto elli il puote più prendere sì 'l prenda e bea i· lluogho dell'acqua. E alcuna volta li è da dare vino sottile e temperato, e 'l nodrimento de lo 'mfermo sì ssia di carne d'ucelli e di cavretto. E ancora lo 'nfermo, dinançi ke manuchi e dipo mangiare, entri nel bagno il quale non sia caldo, ançi sia tiepido, e faccia dimoro ne· bigoncio assai. E si conviene guardare quanto huomo puote k'elli non abbia il corpo troppo solubile, e quando elli fosse troppo solubile, sì lli si dee soccorrere dandogli a bere di questa polvere. Recipe: gummo arabico, spodio, bolo armenico, seme di mortine ana dr. .j., e se ne faccia polvere, del quale si dea .iij. dr. il die col sciroppo del papavero bianco, o kol rob de le mortine. E di questa cotale polvere si dea a bere ad tucti coloro ke ànno mestiere di costringnere il corpo, e fae rimedio a coloro ke ànno tossa, al quale s'agiugne alcuna volta xilocaracte di Siria e bidellio de Maccha. E se il lacte generasse febre a lo 'mfermo, sì lli si dee torre il lacte, e dêllisi dare la tisania, cioè manicare facto d'orço cotto alcuna volta più spesso e alcuna volta meno, e più kiaro li si dee dare a manicare e a bere tanto ke la febre vada via, e poscia li si dee dare il lacte. E se la febre tornasse ancora quando il lacte fosse ancora redduto, sì ssi dee dare ancora la tipgiana. E ancora poi ke la febre fia andata via, sì ssi dee ritornare al lacte, la quale cosa si dee fare sempre quando elli è mestiere, e sì ssi conviene molto guardare ke 'l ventre non sia solubile.
L. IX, cap. 57 rubr.Capitolo .Lvij. Del triemito del cuore e sua cura.
L. IX, cap. 57Se col triemito del cuore è il polso racto o febbre, sì lli si dee scemare sangue de la vena del fegato, e si debbono dare a bere i trocisci di camphora col sugho de le mele acetose, i quali ricevono spodio, seme di cocomero, e di cederni, e di endivia, e di porcellana, e di lattugha, rose, sandali bianchi, di tucti per iguali parti e per ciascuno peso d'uno aureo. Di queste cose sì ssi prenda di camphora il peso di tre granella d'orço, de le quali cose, confette kol sugho de le mele matiane, si faciano trocisci de' quali si dea a bere ogne die a peso d'uno aureo. La quale cosa si conviene fare per due septimane. E se queste cose nom bastano, sì ssi dea a bere lacte di che il bituro sia tracto, et elli si nodrischa koi polli, e coll'aceto, e col sugho de l'uve acerbe e di cose acetose; e ancora bea sciroppo acetoso facto con çukero. E se col triemito del kuore no è febbre, sì ssi deano a bere trocisci moscadati, i quali ricevono mastice, spigho e xillaloe (cioè legno alloe), cennamo, garofani, gallia moscata, noci moscate, kubebe, kardamone maiore, scorza di cederno, di tucti a peso d'uno aureo moscado la sexta parte d'una dr., e di tucte queste cose kosparte e intrise con vino bene olliente si facciano trocisci. E questi cotali trocisci sono buoni a la sincopi (cioè al tramortimento) e al triemito del cuore. Lactovario. Dyamoscado pretioso ke fae rimedio a la sincope, e a la tristitia, e al triemito del cuore. Recipe: mastice, cennamomo, seme di bassilicho, garofani, seme di mellisa, seme di sisembro, seme di maiorana, pepe lungho ana per iguali parti, de le quali tucte cose polverizate si prendano dr. .x., margarite minute, coralli rossi, karabe, seta cruda, bem bianco e rosso, folio ana dr. .x., muscado, kubaciaki puro dr. 1/2, comficiansi kol mèle de' mirabolani kebuli. Questo cotale lactovario è optimo a la fredeza de lo stomacho e a male di crudeza.
L. IX, cap. 58 rubr.Capitolo .Lviij. De la colericha infertade.
L. IX, cap. 58Quando a alcuno averrà punctione e tristitia, e con essi e dop'essi vomito e solutione di ventre, sì ssi dea acqua calda incontanente a bere molte volte. E se 'l vomito e 'l fluxo del ventre perseverrà, diellisi ancora l'aqua calda, imperciò ke 'l male s'atuterà. E quando il male fia andato via, sì entri lo 'nfermo nel bagno nel quale elli stea per ispatio d'una ora. E quando elli fia uscito del bagno, sì ssi cibi di lieve nodrimento e poscia dorma. E avegna ke 'l vomito e 'l fluxo del ventre sieno molto forti e accidenti paurosi sopravengano, no è da doctare, ançi si dee soccorrere ko le medicine ke io narreroe. Nel cominciamento sì si dea una volta i trocisci de lo 'ncenso ko l'acqua, e co la neve, e col rob de le melegrane, i quali si convengono ancora dare se 'l vomito non cessasse, e si leghino le due aiutoria de le braccia e le due coscie ne le parti di sopra; e l'acqua raffreddata ne la neve si gitti sopra le ginocchie e sopra i piedi e vi si metta dentro. E 'l ventre s'epitimi di sandali, e di rose, e di camphora, e di galla inaffiati co l'acqua rosa, e vi si metta suso panno molle in acqua rosa rafreddata ne la neve, il quale, poi ke ffia cominciato a riscaldarsi, se ne dee levare, e l'altro vi si dee mettere suso, sì come il primaio. E a bere li si dea a poco a pocho vino vecchio temperato e inacquato col rob de le melegrane, e si dee fare manicare pane molle col vino, il quale s'elli reddesse, li si dee dare ancora l'altra volta tanto ke ssi riposi. E se la sincopi sopravenisse, sì è konvenevol cosa k'elli si dea il moscado col rob de le melegrane, col vino e 'l sugo de le carni de' polli e de cavretto, kon uno poco di sugo di mele cotogne e vino mescolati insieme li si dea. E ciò ke noi abbiamo detto del medicamento di questa infertade infino a aguale si conviene fare infino a tanto ke 'l vomito si riposi e resti, e ke lo stomaco riceva il cibo. E poi che lo stomaco potrae ricevere il cibo, sì ssi dee lo 'nfermo nodrire e bea um poco di vino vecchio bene olliente, e cominci a dormire. Trocisci d'incenso detti al vomito. Recipe: bolo korasteni (cioè di quello paese), oncenso ana dr. .x.; kubebe, kardamone ana dr. .j. e 1/2; camphora, gallia, garofani ana la sexta parte d'una dr.; e se ne facciano trocisci del peso d'uno aureo, imperciò ke questi sono di grande eficacia al vomito. Rob de le melegrane. Prendasi il sugo de le melegrane acetose e si lasci stare per una nocte o più, tanto ke quello k'è più grosso riseggha e si riposi nel fondo, e poscia si cuocha e si spumi e ischiumi tanto ke abbia somillianza di juleph. Nel quale, levato dal fuocho ma ancora caldo, si mettano gambi di menta verde e vi si lascino stare dentro tanto ke ssi raffreddino. E quando fia raffreddato, sì sse ne tragano fuori, a la cui sembiança e similitudine si conviene fare il sciroppo de le mele cotogne e 'l sciroppo de le mele matiane. E se 'l vomito per alcuna ora paia minore e soprabondi, pongasi su lo stomacho una grande coppetta.
L. IX, cap. 59 rubr.Capitolo .Lviiij. Di quelle cose ke confortano lo stomacho e ke aiutano bene a ismaltire. Rubrica.
L. IX, cap. 59Quando la deboleza de lo stomacho fia con pocha sete e con tardo discendimento di cibo da lo stomaco e con acetoso ructo, e tucti li accidenti sieno piccoli, e non sia anticha né vecchia, lo stomaco si dovrae medicare koi trocisci de le rose, de le quali lo 'nfermo ogne die la mattina prenda il peso d'uno aureo e mezo kon .ij. on. de la dicotione de' sementi. E questa è la dicotione de' sementi. Prendasi: comino, nabathi, ameos, e bollano nell'acqua tanto ke ll'acqua si faccia rossa, de la quale poscia coi trocisci de le rose se ne deano a bere. Trocisci di rose sono questi ke ricevono: polvere di rose vermillie dr. .iij.; legno aloe, spico, cassia lignea, squinanti, cinamomo, absenço ana dr. .j.; inaffinsi con vino vecchio e si ne formano i trocisci, e si nodrischa kon quelli cibi ke tosto si smaltischano e ke ssono di pochi homori e di poche superfluitadi, i quali cibi sono ancora conditi koi sementi e cose ollienti, sì come sono galligie e mutagenat. E ancora dinançi al manichare usi d'affaticarsi assai, e de l'acqua bea meno ke non suole, e molto dorma dopo manicare, e del vino vecchio e puro bea um pocho, e tucto il suo nodrimento menomi. E se questi accidenti e mali sieno vecchi, prenda e bea lactovari, dyacimino, diaolibano d'ambendue ana il peso d'uno aureo, kon .j. on. di vino vecchio puro; e 'l regimento suo e la sua vita sia sì come noi abbiamo detto. Lactovario dyacimino. Recipe: comino, karmeny dr. .C.; gengiovo dr. .xx.; pepe dr. .x.; foglie di ruta e baurach ana dr. .x.; tucte queste cose con mele dispumato si conficiano, e beasi di questo lactovario se 'l ventre è troppo stitico; e se 'l ventre è troppo solubile, sì lli si dee dare lactovario diaolibano, la cui discriptione kontiene nel capitolo de la solutione e del fluxo del ventre. E se questo nom basta, sì lli si dea la schama del ferro kol vino, la cui confectione è questa. Recipe: seme di finochio e d'appio, anisi, komino, ameos, amiden, origano, kessyn, karvy, seme di coriandro, pepe nero, pepe lungho, cennamomo, oncenso, spigo, garofani, noci moscate, ciperi, gengiovo ana il peso d'uno aureo, scoria di ferro dr. .x., a tucti questi s'agiungha .vj. cotanti di vino, e tanto si cuoca k'elli torni a la metade e si coli. E dipo questo lo 'nfermo di questo sciroppo, poi che ffia colato, sì ne bea ogne die a peso di .xxx. dr., e bea meno e manuchi ke non suole, la quale cosa elli faccia per tre septimane. E si guardi da le cose acetose e dai frutti ricenti, e da l'acqua fredda, e 'l vino bea amisuratamente. Empiastro il quale conforta lo stomaco e rischalda. Recipe: storace, spico, squinanto, absenço, kalamo aromaticho, mastice, e di queste cose kon vino vecchio e con sugho di mele cotogne comsparti si faccia empiastro sopra lo stomaco. E a questo giova ancora ke lo stomaco, stropicciando, s'ungha coll'olio ke ssi fa kollo spicanardi, e kol cipero, e ke lana karminata, involta nel predetto olio, si pongha sopra lo stomaco, e vi si leghi col panno. E lo 'nfermo bea vino vecchio, o miva, o ydromelle. E la miva si faccia in questa maniera: il sugho de le mele cotogne muze si prendano e si lasci stare per uno die e per una notte, acciò ke possa resedere a ffondo, e si coli. E poscia di quello k'è kiaro si prendano due parti, e di zuchero parte .j., e di vino vecchio una. E poscia si cuocha e si spiumi soavemente tanto k'elli divengha in similitudine di julep. E poscia per ciascuna libra di questo cotale si prenda gengiovo, e spico, e cennamo, e garofani ana dr. .j., mastice dr. .ij.; e tucte queste cose polverizate si leghino nel panno e vi si mettano entro tanto quanto è caldo. E quando si comincerà a raffreddare, il panno se ne tragha e si spriema, e poscia si ripongha il sciroppo. E se la deboleza de la digestiva sia con molta sete e com poco apetito di cibi e com puzolente ructo, si bea sciroppo acetoso di mele cotongne, il qual è: recipe: del sugo de le mele cotogne parte .j., çuchero bianco parte una, aceto kiaro la quarta parte d'una, e tucte queste cose si cuocano tanto ke spessino, imperciò ke questo sciroppo sì è confortativo de lo stomacho, e giova a ffare le sue operationi, e manda via lo 'nfiamamento e lo 'ncendimento ke ssono in lui. E 'l nudrimento de lo 'nfermo sia cosa ne la quale si ragunino insieme acetositade e sticitade, cioè laçeça, sì come è la carne cotta col sugo de l'uva acerba e ko le mele matiane, similliantemente cotta, e con ribes, e facta da l'ulen, e d'almososi, e somillianti a questi. E ancora si dea di questo polvere ke ne tranghiotischa, il qual è: recipe: rose rosse dr. .x., spodio dr. .iij., seme di coriandro dr. .v., e sia la sua dose (cioè presa) sia dr. .ij., col sugo de le melegrane muze, e col sciroppo acetoso de le mele cotogne. E se con questo che noi abbiamo nel corpo sia risscaldamento e infiammamento, sì li si dee dare lacte e acqua d'orço, e dêsi notricare ko l'erbe ke abbiano a humentare e a ranmollire, sì come sono lattughe, e malve, e zucche, e cederni, e carni di cavretti, e agnelli di lacte, e pesci ricenti. E ogne die dinançi mangiare e dipo mangiare entri nel bagno dell'acqua del bigoncio o de la tina, e bea vino molto temperato e chiaro, e ogne die stea in riposo e in quiete, e fugha la faticha e 'l movimento, e sia tucto il suo regimento kome di colui ke vuole ingrassare. E se con questa dispositione sia forte incendimento et enfiamento, sì ssi converrà lo stomacho ranmollire e lenire ko le cose fredde, e dêllisi dare acqua d'orço, e sia il suo regimento kome di colui che àe l'eticha. (+i) E per sì facto modo e regimento è da medichare e da regere koloro che ànno difetto e deboleza di stomacho. (i-)
L. IX, cap. 60 rubr.Capitolo .Lx. Del dolore e de l'apostema de lo stomacho.
L. IX, cap. 60Se col dolore de lo stomacho sia angoscia, e tribolamento, e voglia di reddere, e abbominatione, sì ssi dee dare a lo 'nfermo a bere acqua tiepida, e dêlisi comandare k'elli rigitti. E se questo no li basta, sì lli si solva il ventre kolla gerapigra, la quale riceve: de la polvere de le rose vermillie, spico, mastice, xilobalsamo, karpobalsamo, cennamomo, kassa lignea, assari ana dr. .v., alloe sucoltrino il doppio di tucti, il quale bene trito koll'altre medicine trite si mescoli e com panno di seta subtilmente stacciati. E poi si ripestino ancora insieme coll'aloe, la cui presa sia da due aurey infino a due dr. E a lo 'nfermo si dea ogne die pane infonduto in vino, e in sugho di melegrane, e in sciroppo acetoso di mele cotogne. E se co la dollia fieno molti rupti, e temsione, e singhiozo, sì ssi converrae dare a lo 'nfermo lactovarii dyatimino, dyacalamento, e l'altre comfetioni ke ssolliono mandare via e disolvere le ventositadi ke noi nominanmo nel capitolo de la collica (cioè del male del fianco). E i suoi cibi sieno kalagine e mutaginat koi semi, e bea um pocho di vino vecchio, e usi il movimento e la faticha, et entri nel bagno. E lo stomaco s'evapori sì come noi dicemo koll'olio de neriden involto nel panno. E se co la dollia de lo stomacho sia febre e apostema manofesto, e quando vi si toccha lo 'nfermo sì vi si sente più caldo, lo 'nfermo primieramente si scemi sangue de la vena del feghato e i· su la dollia sì vi si pongano i due sandali, rose e kamphora kon acqua rosata e col sugho de le mele cotogne. E 'l suo nodrimento non sia se non solamente acqua d'orço, e si guardi de la carne e da vino e da le confettioni ke ssi fanno kol mèle. E bea sugo di melegrane muze e rob di frutti freddi. E quando li accidenti del calore fieno andati via, sì ssi dea a lo 'nfermo cassa fistola dissoluta nel sugho de l'endivia e bollita e dispumata. E quando i dì de la 'nfertade fieno allungati, e 'l caldo fie tucto andato via, se l'apostema dimorrà con dureza, kon questo empiastro s'eptimi il luogo. Recipe: viuole secche dr. .x.; rose vermillie dr. .v.; spico odorifero, mastice ana dr. .iij.; ciperi, squinanti, calami aromatici ana dr. .ij.; farina di fieno greco dr. .xx.; fiori di kamomilla seme di malvavischio bianco, farina d'orço ana dr. .x.; tucte queste cose s'intridano co la mucillagine del seme del lino, e poscia il luogo uncto koll'olio de neriden tiepido s'impiastri de le predette cose per quatro hore anzi k'elli manuchi. E poi che 'l cibo fie exmaltito, e quando lo stomaco fie vòto, sì ssi vapori coll'olio di neriden, sì come noi dicemmo, kolla lana. Confetione de l'olio nardino sempice. Recipe: olio di been libra .j., spico on. .j., mastice, costo, pepe, squinanto, kalamo aromaticho, di tucti ana l'ottava parte d'una on., tucte queste cose polverizate, poste nel predetto olio, al sole per una settimana, il vasello molto bene kiuso, si lascino stare, e poscia si colino e si ne spriema fuori la fecia. E le cose ke rimasero ne le mani si mescolino koll'impiastri, imperciò ke ffieno molto buone. E quando l'apostema fia invecchiata ne lo stomaco, i trocisci de lo spigo fieno da dare, la cui descritione è questa. Recipe: fiori di squinanto, kassia lignea, ravendeseni, calamo aromaticho, spico ana dr. .iij.; zafferano, mirra, anysi, costo, pepe ana dr. .j.; bidellio, narry ana dr. .iij.; mastice dr. .ij.; armoniaco dr. .j.; e s'informino i trocisci, de' quali ciascuno pesi uno aureo, de' quali ciascuno die se ne dea uno col vino cotto, e questo empiastro si faccia ke riceve: recipe: bdellio molle dr. .x.; armoniaco dr. .v.; seme di been, seme d'appio ana dr. .x.; spigo, mace nero ana dr. .v.; cera .iij.; olio di neriden dr. .xx.; le gomme si disolvano nel vino, e poscia ogne cosa si congiungha insieme e se ne faccia empiastro. A guerire la dollia dello stomacho e del feghato medico molto savio v'è mestiere, il quale attenda diligentemente le loro dispositioni. E noi abbiamo già detto l'agregationi e le somme ke a cciò valliono, avengna ke noi in questo abbiamo abreviato il sermone quanto abbiamo potuto.
L. IX, cap. 61 rubr.Capitolo .Lxj. Del singhioçço.
L. IX, cap. 61Quando il singhiozo verrà, quando huomo avrae manicati grossi cibi o quando l'uomo avrà bevuto vino troppo temperato, sì dovrae bere molte volte acqua calda, ne la quale comino e menta, e mentastro, e um poco d'incenso sieno bollite. E dêsi comandare a lo 'nfermo ke dorma, e si dee il corpo suo evaporare, e dee digiunare. E quando elli si fie sofferto di manichare per molti die, sì ssi dee fare entrare nel bagno spesse volte, e poscia si dee cibare di pochi cibi, i quali abiano a diseccare sì come sono calagie e mutagenath coi semi, e sì lli è da dare un poco di vino puro a bere. E se queste cose nom bastano, questi trocisci si debbono dare, i quali sono kiamati trocisci de ture, cioè d'incenso. Recipe: oncenso dr. .v., ella dr. .iij., mentastro, foglia di ruta seccha ana dr. .ij., seme di nemen dr. .iij. e 1/2, e se ne 'nformino e faciano trocisci di peso d'uno aureo, de' quali si dea uno il die co la dicotione del comino. E se 'l singhiozo avenisse dipo febbre e sia con esso tribulatione e abominatione, o sete, o seccheza ne la boccha, sì ssi de' dare a lo 'nfermo acqua kalda molte volte, ma non repentemente e subitamente, ma a poco a poco. E se 'l singhiozo no è riposato e achetato, sì lli si dea acqua d'orço kon olio di mandorle dolci, e li sponduli del collo e del dosso sì ssi ungano con olio tiepido e si strupicino, e sì li dea a bere le mucillagine del psillio kol julep e col sugo de le melegrane. E al singhiozzo e a lo starnutamento giova ancora ritenere l'alito.
L. IX, cap. 62 rubr.Capitolo .Lxij. De l'apetito chanino.
L. IX, cap. 62Quando alcuno soffera fame assiduamente e 'l cibo dipo 'l manicare il grava tanto k'elli le convengha o rredere o mandare di sotto, sì lli si dee dare riso il quale, mentre ke ssi cuoce, si dee ingrassare e condire del grasso ke cola e gocciola de l'agnello quando s'arostisce al forno. E coda, e somillianti cibi unctuosi e grassi, e vino vecchio li si dee dare a poco a pocho, e ne bea quanto potrae, e poi li si dee comandare ke lli rigitti. E con questo regimento e vita si conviene medicare e regere tanto ke ssia guerito. E se 'l cibo no 'l grava, e no 'l redde, né no 'l manda fuori di sotto, sì li si debbono dare charni di vaccha e grano cotto, sì come polta e riso kol lacte, e bea acqua fredda e stea ne l'aria fredda. E quelli che à questo male non manuchi neuna cosa acetosa né llaza, né acuta, ma usi solamente cibi dolci e untuosi.
L. IX, cap. 63 rubr.Capitolo .Lxiij. Del dolore del feghato.
L. IX, cap. 63Quando alcuno è male colorato, e con questo avrae mala forma, e avrae dollia nel lato ritto da le costi di dietro, e il suo colore sia reo giallo, e con questo avrae seccheza e asciuteza ne la boccha e forte sete, sì li si dea a bere acqua d'orço e sughi d'erbe, sì come di endivia, e di cavolo, e di cuscute kollo sciroppo acetoso facto col zucchero biancho. E 'n su· luogho si pongha empiastro facto de le due generationi de' sandali, e di camphora, e di rose, e d'acqua rosa, il quale si faccia in questa maniera: panno involto ne le predette cose vi si pongha suso, e quando elli si comincerà a riscaldare sì sse ne lievi, e l'altro vi si pongha i· lluogo di lui, e bea il sugo de le melegrane, e il rob di quelli ke ssolliono raffreddare. E questo cotale si guardi dal vino, e da le confetioni che ssi fanno di mèle, e da tucti i cibi che ànno a rischaldare. E prenda trocisci di berberi i quali ricevono: del sugo de' berberi dr. .x.; seme d'endivia e di cidrioni, e seme di porcellana dr. .iij.; rose dr. .ij.; rautsemi dr. .j.; spico dr. 1/2; e si ne 'nformino i trocisci di peso d'uno aureo, de' quali si dea uno col sciroppo acetoso e col sugo de le melegrane. E s'è mistiere, e sì ssi solva e muova il ventre kol sugho de' frutti, sì come sono susine, e çucchero biancho, e thamarindi. E se 'l male colore ke è col dolore del fegato è biancho, e con esso abbia solutione di corpo et emfiamento de l'estremitadi e de le palpebre, sì li si dee dare a bere trocisci de' rautstemi col sciroppo acetoso di mèle, il qual è: recipe: spigo, mastice, sugo d'eupatorio, sugho d'assenzo, seme di finocchio e d'aniso ana dr. .ij.; rautsemi dr. .x.; e si ne 'nformino i trocisci di peso d'uno aureo, de' quali si dae a bere ogne die uno. E ancora si prendano spigo, mastice, ciperi, squinanti, kalamo aromatico, gruogo e mirra, e la mastice disoluta nel vino si mescoli coll'altre cose. E di queste cose si faccia empiastro al fegato, e lo 'mfermo s'astengha da' cibi grossi e freddi. E sse queste cose nom bastano, trocisci di laccha ko la dicotione de le radici si debbono dare, la chui descritione è questa. Recipe: laccha, rautsemi, ana dr. .iij., spigo, seme d'appio, ameos, mastice, squinanto, seme di ginepro, mandorle amare, kosto amaro, rubbia, sugu d'eupatorio, assara bachera, aristorlogia rotunda, gentiana ana dr. .j. e 1/2, e se ne informino i trocisci di peso d'uno aureo. Dicotione de le radici. Recipe: de la scorça de la radice e de l'appio ana dr. .x., seme d'appio, seme di finochio, fiore di squinanto, ameos ana dr. .v., rose rosse, spigo odorifero ana dr. .iij., e si cuochano in una libra d'acqua tanto ke reghano a la terça parte d'una libra, e si dea a bere koi predetti trocisci. E se nel feghato si fae apostema, il medicamento sarà sì chome delli apostemi che ssi generano nello stomaco.
L. IX, cap. 64 rubr.Capitolo .Lxiiij. De la iteriçia, cioè colore giallo o nero.
L. IX, cap. 64Se colla yteriçia fia febbre, diesi a lo 'nfermo a bere sugo de endivia e di cavolo e acqua d'orço. Et elli si dee notricare colla zuccha e colla grisolocanna, e con citrini, e co le somillianti erbe frigidissime, e bea sciroppo acetoso facto di fortissimo aceto, e 'n sul feghato si dee porre impiastro di sandali, e 'l corpo si dee solvere e muovere col sugho de le susine e col çucchero. Le quali cose se nom bastano, trocisci di champhora si debbano dare kol sugho de le melegrane. Trocisci di champhora. Recipe: çucchero, rose rosse, spodio ana dr. .iij., seme d'endivia, seme di cederni, e di cucche, e di latughe, e di porcellane, sandali rossi ana dr. .j., e di queste cose s'informino i trocisci di peso di due dr., de' quali ongne die uno kon la sexta parte di dr. di camphora si dea. E se lo 'mfermo avrae le vene piene et è lungho tempo ke no li fu scemato sangue, sì li scemi sangue. E se lla yteritia è sança febbre, sì li solva il ventre con queste pillole. La cui descriptione è questa. Recipe: alloe dr. .j., scamonea la quarta parte d'una dr., agarico due parti d'una dr., del sugho de l'eupatorio la terza parte d'una dr. E di queste cose, confette col sugho dell'endivia, si facciano pillole, e fieno assai a una presa, e poscia li si diano trocisci di laccha kolla dicotione di radici. E se lla ytiritia e 'l giallore rimanesse nelli occhi, lo 'nfermo a poco a pocho odori fortissimo aceto et entri nel bagno. E quelli che àe ytiritia con febbre, metta ne' suoi occhi acqua rosa. E molto giova a l'yteritia ke lo 'mfermo per tre settimane bea il siero.
L. IX, cap. 65 rubr.Capitolo .Lxv. De la ydropisia.
L. IX, cap. 65Quando il ventre comincia a crescere, e dal bellico infino al petingnone è rilevato in fuori, e la cotenna ch'è ivi e la buccia pare ke imbianchi e subtigli, e quando il ventre si muove, sì ss'ode il suono sì come fae il vasello dell'acqua ke no è pieno quando si muove. E ss'è con queste cose l'orina crossa, picola fidança vi si puote avere, e propiamente se la virtude non è forte; ma se lla virtude è forte e 'l ventre è molto seccho e molto stitico, sì ssi debbono dare pillole de rauvendsemy, le quali ricevono mezereon, la cui discriptione è questa. Recipe: rautseny, suco d'eupatorio, seme d'endivia ana dr. .iij.; agarico dr. .v.; meçereon dr. .x.; e si facciano di queste cose pillole, la cui dose (cioè presa) sia dr. .ij., e 1/2, de le quali ogne septimana se ne prenda una presa. E se la virtude fia debole, sì ssi dieno i trocisci di mezeron, i quali sono di seme d'endivia dr. .x., mezeron dr. .j., e due terzi d'una dr., agarico, sugo d'eupatorio, altrettanto rose, seme di cedrini ana dr. .ij. e 1/2; e di tucte queste cose si faciano .x. trocisci, de' quali si dea .j. il die kol sciroppo acetoso di çuchero. E se 'l ventre fosse troppo soluto, cioè ke uscisse troppo fuori, sì ssi dieno trocisci di berberi col siroppo acetoso, e lo 'mfermo si notrichi de zibiegy, e bea sciroppo acetoso di mele cotogne. E s'elli à grande solutione di ventre, solamente dee dare rob di mele cotogne. E se com questa infertade l'orina non è rossa, né no à calore, queste pillole si debbono dare le quali sono queste. Recipe: meçereon (cioè l'oriuola), serapino ana la sexta parte d'una dr., imperciò ke queste pillole fanno l'acqua de la ydropisia discendere fortemente e la vòtano. E ancora i trocisci de laccha si debbono dare ko la dicotione de le radici. Empiastro ch'è buono e convenevole ' alchithy, cioè a quella spetie d'idropisya. Recipe: farina d'orço, ciperi, storace, e de lo stercho vecchio del bue, baurach, bolo armenico per iguali parti. Di tucte queste cose trite si facia epithima sopra 'l ventre, imperciò ke la propietade di costui sì è da secchare grande parte de l'acqua del corpo. E se ne le palpebre e ne l'estremitadi fie apostema molle, e i testicoli sono apostemati, e se 'l volto e tucto il corpo àe alcuna mollitie (overo molleza), sarà allotta la ydropisia la qual è kiamata yposarcha. E a lo 'nfermo ke à questa spetie d'ydropisia sì ssi debbono dare i trocisci di laccha co la dicotione de le radici, e 'l ventre ciascuna septimana si dee solvere e muovere co le pillole del ribarbaro. E lo 'nfermo si dee voltare ne l'arena calda nell'isola, e farvisi sotterrare dentro, e dêllisi comandare k'elli s'affatichi e usi exsercitio e sofferi spesse volte fame e sete. E se 'l ventre è infiato, e quando si percuote suona come tamburo, sì ssi significa k'elli è idropico ne la spetie k'è kiamata tempanite, la quale quelli che ll'àe, sì ssi dee abstenere da manichare d'olio. E di tutte quelle ke generano ventositade, e 'l corpo si dee ogne die evaporare col panicho, e le ventose si debbono porre sopra il ventre, e dêsi dare medicamento ke disolva l'emfiamento, sì come il diecimino e il lactovario de l'orbache, ke noi contamo e scrivemmo nel capitolo del male del fianco. E lo 'nfermo ancora s'acostumi d'affatichare e di patire fame, e si metta di sotto de le sopposte e de le cure ke disolvono la ventositade, de' quali noi faremo mentione; e 'l ventre si stropici col mantile tanto k'elli cominci a arrossare e si faccia cristero koll'olio de la ruta.
L. IX, cap. 66 rubr.Capitolo .Lxvj. De la doglia de la milça.
L. IX, cap. 66Se co la doglia de la milza sia calore e rosseza d'orina e febbre, lo 'nfermo pigli di questi trocisci. Trocisci d'agnocasto la cui descriptione è questa. Recipe: seme d'agnocasto, seme di thamerici ana dr. .x., seme d'endivia, seme di porcellane ana dr. .v., e di questi si faciano trocisci, de' quali ciascuno die se ne dea uno co lo sciroppo acetoso di çucchero, il cui peso sia dr. .iij., e se lo 'mfermo fosse ripieno, sì ssi scemi sangue de la salvatella de la mano mancha, e la milza s'embrochi col feltro intinto e bagnato ne l'aceto caldo; e si guardi da' cibi grossi e de le cose dolci. E se ne la predetta infertade non fosse calore, a lo 'nfermo si debbono dare trocisci de' cappari, i quali sono questi. Recipe: scorça di radice di capari, seme d'agnokasto ana dr. .x.; scoloprendria dr. .vij.; aristologia lungha, foglie di ruta, seme di nasturçio, acoro, neella ana dr. .iij.; armoniacho dr. .iij.; l'armoniaco nell'aceto si disolva, col quale tutte l'altre cose se confaccino e se 'nformino i trocisci, i quali pesino dr. .ij., de' quali uno kol sciroppo acetoso de mèle e co la dicotione de le radici si bea. E se la milza fie tesa, e quando si prieme si sente di sotto rughiamento, sì ssi de' dare de' predetti trocisci co la dicotione di radici, e dee bere vino vecchio, e bea meno acqua ke non suole e meno ne bea ke puote. Empiastro a la dureza e a la ventositade ke è ne la milza. Recipe: de le foglie de la ruta dr. .x., baurach e mentastro secco ana dr. .iij., e l'armoniaco si disolva in vino vecchio, kol quale tutte l'altre cose si conficiano, e se ne faccia empiastro, il quale si pongha suso il luogho.
L. IX, cap. 67 rubr.Capitolo .Lxvij. De la colicha, cioè del male del fiancho.
L. IX, cap. 67Se col dolore del ventre sarà constrintione, cioè stiticheza, e abominatione, e non vi sia febre né calore, quelle cose si debono dare a lo 'nfermo ke ssolvano il ventre e muovano sança vollia di reddere, sì come è il lactovario de la ghallia ke riceve: mastice, garofani, gengiovo, pepe nero, pepe lungho, cennamo, noci moscade, gallia ana dr. .x.; scamonea dr. .x.; e poscia si spriemano le mele cotogne acetose ricenti, e il loro sugho con altrettanto mèle si mescoli, e si cuocha tanto ke diventi spesso a poco a pocho, e si conficia kon esso il medicamento, il quale sia tanto quanto sono le spetie, la cui presa sia da una dr. infino a .ij. dr. e 1/2. E sse l'abominatione e la vollia del reddere nom sia troppo forte e non rigetti le medicine, queste pillole, ke ssi chiamano pillole yliace, si debbono dare. Le quali recipe: coloquintida, serapino ana dr. .x.; scamonea dr. .iij. e una terza dr.; e se 'nformino le pillole de le quali si dea il peso d'uno aureo, imperciò ke tosto mandano via il male del fianco. E s'elli aviene cosa ke 'l male del fianco sia grave a guerire, né no li vaglia medicina ke 'l corpo muova, sì lli si fae una cura di queste cose. Recipe: sale di pane dr. .x.; polpa coloquintida e scamonea dr. .iij. e 1/2; e se ne faciano cure lunghe, e si mettano di sotto nel fondamento. E sse queste cose non giovano, sì si faccia il cristere lenitivo, il qual è questo. Recipe: fichi gialli .v., e cruscha quanto si puote pilliare con una mano, e del malvavischio una manata. E queste cose leghate in uno panno, o .x. foglie di bietole, si cuocano in due libre d'acqua tanto che reghano a una libra, e poscia si colino, e ssi pongha sopr'esso baurach a peso d'uno aureo e d'olio di sisamo on. .j., e se ne faccia cristere. E se alcuno il vuole più forte e più acuto, il peso d'uno aureo del collirio ke noi dicemo vi si mescoli. Cristere ch'è molto forte, il quale si dee fare quando l'altre medicine non giovano, né non muovono il corpo. Recipe: de la coloquintida entro dr. .x.; centaurea dr. .v.; pane terreno, archamita ana dr. .ij.; mentastro, origano, ruta ana una manata; e tutte queste cose si cuochino in tre libre d'acqua tanto ke reghano a due terze d'una libra, e si colino, e poscia vi si disolva dentro alkitran (cioè pece liquida), e mèle ana dr. .iij., castorio, opoponaco, serapyno, e de la cura ke noi abiamo già detto ana dr..iij., e si mescolino tutte queste cose insieme. E quando fieno tiepide, sì sse ne faccia cristere, e se n'escono fuori schibale, cioè cotali noccioli duri, sì ssi faccia un'altra volta, o più volte, tanto ke 'l cristere n'escha puro. E questo cotale cristere si de' aminestrare quando il male è forte e reo, e nel male del fianco reo, nel quale v'abia abominatione e vollia di reddere grande, e di sotto non esce neente. E a questa infertade e male alcuna volta sopraviene ruptamento, e alcuna volta esce lo sterco per la boccha, la qual cosa quando aviene spesse volte significa morte. E s'elli aviene ke ko la dollia del ventre il ventre non sia stiticostrecto, ma infiamento e rughiamento e distensione sieno nel corpo, sì lli si dee dare la confetione de l'orbache, la quale riceve: foglie di ruta secche dr. .x., ameos, comino, neella, kessyn, origano, carvi, seme d'alexandri, overo olixatri, mandorle amare, pepe lungho e pepe nero, mentastro, dauco, acoro, orbache, kastorio ana dr. .ij., serapino dr. .iiij., oppoponaco dr. .iij., e si conficiano kon altretante mele a peso quanto elle sono. La cui presa sia quanto una avellana, o quanto è una orbacha, molte volte kon una on. di vino caldo, o colla dicotione de le radici. A questa confetione a disolvere la ventositade e a mandarla via non si truova pare. E ancora li si metta di sotto il suppositorio, overo cura, konciosiacosak'elli sia disolutivo di ventositade. Recipe: foglie di ruta verdi e comino ana piena mano, pane terreno, arcanithe ana dr. .ij.; baurach dr. .j.; conficiansi col mèle e li si metta di sotto co la spugna, overo ko la lana, imperciò ke questo disolve la ventositade e la manda di sotto fuori, e 'l ventre si dee assiduamente evaporare kom panico caldo. E lo 'mfermo si dee mettere ne la tina de l'acqua a bagnare. E se queste cose nom bastano, sì vi si dee porre la copetta kol fuoco, e si dee stropiciare il luogho tanto ke cominci ad arossare, e poscia vi si dee ugnere coll'olio de la ruta e delli altri olii caldi, o se ne dee fare cristere a lo 'mfermo, poi che con essi fieno mescolati kastoro, euforbio ana dr. 1/2. E quelli ch'è acostumato d'avere questa infertade e male sì si guardi k'elli non bea il vino inacquato quando è sano, e nom bea vino se non puro e forte, e nom bea molta acqua, e ssi abstenga dal latte, e dall'erbe, e da tutte le cose emfiative. Phylono ke è buono ad coloro ke ànno il male del fianco, quando elli ànno grande dolglia, et è dotta ke perciò non tramortiscano, il quale carmina la ventositade e fae venire il sonno e la voglia di dormire. Recipe: pepe, ameos, foglie di ruta, mentastro, kastorio, bacche d'alloro e comino di catuno ana on. .j.; oppio, mandragora, seme di jusquiamo ana on. 1/2; e se conficiano con altretanto mèle, e si ne dea a peso d'uno aureo. E a questo lattovario s'agiungne alcuna volta la terza parte d'una on. e ffassi allotta la medicina ke muove. E se col dolore del ventre sia febbre, sì ssi dee dare a lo 'nfermo cassa fistola dissoluta nel sugo de l'endivia bollito e dispumato, e ssi dee dare a bere il sciroppo violato, e dêsi nodrire colla staphea condita coll'olio de le mandorle dolci, e dêsi clisteriçare ko llieve cristere e agevole. E quando il luogho là ov'è la dollia apparrae nel ventre grosso et emfiato che vi sia apostema, nel chominciamento si scemi sangue a lo 'nfermo, e poscia si dee dare la cassia fistola spesse volte col sugho dell'erbe. E sia il cibo di colui al quale questo cotale dolore suole per costuma advenire: taphea untuosa col çuchero e coll'olio del sisamo, e si abstengha da le cose stitiche e da l'acetose e dai cibi grossi e che stringono il corpo. E quelli che è acostumato con questo dolore avere ventositade, sì ssi cibi con calagie e mutagenat konditi coi semi, e si sofferi e si abstengha dai camangiari e dal latte e da tutte quelle cose ke emfiano, e bea il vino forte e non viçiato, overo ydromelle kolle spetie, le quali si pongono per condimento, sì come pepe. Le quali noi diremo. La confectione de l'ydromelle. Prendi melle necto libra .j., acqua libre .vj., e si mescolino, e si cuocano lungamente, e si spumino bene tanto che diventi a la sembiança del juleph. E quando questo sarà facto in ciascuna sua libra, sì si metta dr. .j., overo due, di pepe polverizato, legato in una pezuola tanto che elli sia presso dicotto. E quando fie raffreddato, sì sse ne tragha fuori il panno e si spriema. E quando fie mestiere, sì ssi dea a usare. E giova ancora a colui a cui questo male suole adivenire per cagione di grossa ventositade prendere olio di kerva ricente colla dicotione de' semi. E questa è la dicotione de' semi. Recipe: ameos, kesim, karvi, origano, neella, ana una pugnata. E ' queste cose s'aministri .iij. libre d'acqua, e tanto si cuocano ke regano a una libra e 1/2. E di questa dicotione si prendano on. .ij., a le quali s'agiungano dr. .iij. d'olio di kerva, e si beano per molti dì. E se ad alcuno questa dollia adviene con caldo, susine .xx., e fichi gialli .v., e uve passe snociolate e nette de' noccioli dr. .v. si prendano, e si cuocano, e si colino, e poscia de la cassia fistola dissolutavi dentro si coli, al quale si mescoli olio di mandorle; e si prenda de la dicotione ke noi dicemo nel capitolo de la rema, si dea a bere. E se 'l corpo è troppo secco e troppo stitico, a la predetta dicotione s'agiungha pollipodio e turbit ana dr. .ij., e si cuocano kon esso, e se ne dea tanto ke 'l corpo si muova et escha fuori. E quando elli fie solvuto e uscito, sì sse ne tragano il turbit e 'l polipodio. Lactovario il quale muove il ventre e manda via la ventositade, e l'emfiagione, e la graveza. Recipe: turbit bianco fregato e stropiciato e pulveriçato dr. .xx.; gengiovo dr. .x.; çucchero dr. .xxx.; e di questa polvere si dieno a bere dr. .iij. Pillole ko le quali quando alcuno vorrae solvere il corpo ne dee prendere una, le quali fanno buono appetito, e l'emfiamento mandano via e la graveça, e aiutano a cuocere il cibo. Recipe: mastice, gengiovo, cennamo, garofani, veheremisk, pepe lungho e pepe nero, scamonea e viuole, çuchero ana on. .j., e se ne faciano pillole a la grandeza del pepe, o di cece, e se ne prenda una e moverae una volta o due.
L. IX, cap. 68 rubr.Capitolo .Lxviij. Del fluxo del ventre. Rubrica.
L. IX, cap. 68Quando il cibo ne lo stomacho non dimora secondo k'è acostumato, ançi n'esce più tosto ke non dee e non si muta nello stomacho se non poco, e con questo è nel ventre mordicatione e dolore e sete, kol quale più volte è fluxo di ventre e menagione, ne la quale uscita dinançi al manichare si truova ordura e quasi putredine ' marcia, diasi a lo 'nfermo rob del sugho de l'uve acerbe, o del sugo de ribes, o del sugo de le melegrane kom spodio e con rose ana dr. .j.; e poscia si deeno trocisci di spodio kostrictivi, e ssi notrischa koll'adeffia gialla (o adesia), e coi polli cotti coll'aceto, e arostiti, e posti nel sugo de l'uve acerbe; e bea sumach con acqua rosa, e poscia si notrichi col cibo al quale si mescoli il sonmaccho, il quale è kiamato sumachia. E tucto il suo regimento si perducha a quello che possa raffreddare e costrignere, e se con esso no è mordicamento nel ventre, né quello ke escie di sotto no à marcia mescolata, ma è viscoso, e àvi piccolo infiamamento, e pocha sete e ructo acetoso, a lo 'mfermo si deano bietole e senape, e pesci salati, e poscia si faccia reddere prendendo sale, e mèle, e aneto cotto. Le quali cose se nom bastano, sì ssi dea il medicamento ke manda fuori il flegma, li omori freddi scemi, e dêlisi dare un poco di vino puro a bere. E se queste cose non bastano, sì li si volliono dare queste pillole. Recipe: alloe dr. .j., de la midolla, de la coloquintida dr. .iiij., sale yndo dr. .iiij., turbit dr. .j., e se ne facciano pillole, e sieno assai a una presa, e usi spesse volte il rigittare. E i cibi i quali userà, sì ssi intingano per sé ne l'almuri, e manuchi le cose facte in solcio, ke ssi condiscono col sale, e ke ànno agreza, ke ssolliono provocare l'apetito. E sse con questo ke noi abiamo detto non esce neente ke ssia di soperchio, e quello ke escie del corpo no à alcuna seco mescolata fracida o marciosa, o flematicha, a lo 'nfermo si dee dare vino forte e puro, e li si dee dare diolibano, il quale riceve: olibano (cioè oncenso grosso) dr. .x.; pepe, ameos, spico, kessin, anesi, neella ana dr. .ij.; balaustie dr. .x.; mélle dispiumato quanto basta a lloro conficere, e di questo si dea a bere. E questa spetie aviene per la deboleza del fegato ke non puote trarre a ssé la succositade da lo stomaco, e per l'opilatione, no essendo apostema nel feghato ne la quale molto si menoma, la quale spesse volte aviene ai vecchi, imperciò ke llo stomaco riscalda e fortemente diseccha. E deasi la dicotione de' semi ke noi nominamo nel capitolo del male del fianco, e acostumi di bere vino puro. E se 'l cibo non esce, ma cosa sottile e bianca e acquosa ko la quale sono quelle cose ke ssignificano deboleza del fegato, a lo 'nfermo si dea quello ke ssi fa da la scoria e diaolibano. E i trocisci ke riscaldano il fegato, i quali noi nominamo, e il lactovario diacalamento, il qual è: recipe: de le foglie di calameno e di mentastro, e foglie di ruta secche, ameos, carvi, keysin, gengiovo, cennamo, pepe lungho per iguali parti, e si conficiano con mèle cotto e si dieno li altri medicamenti ke noi nominamo nel capitolo del fegato, ke è di quelle cose ke 'l riscaldano e 'l confortano. E se co la detta infertà non fie significatione di deboleza di fegato, ançi quello che esce kol fluxo è sottile e biancho, et è ne lo stomaco graveza, sì li dee dare polvere di melegrane a tranghiottire. Il quale riceve: l'ossa (overo i noccioli) de le melegrane acetose, arostiti e triti come polvere dr. .C., carvi, seme di coriandro, ambindue infusi e messi a molle in aceto ben forte e poscia arostiti ana dr. .xx., xillocaratte, sumal, balaustie ana dr. .x., e si polverizano molto bene, e si mescolino insieme e deasine la polvere a tranghiotire. E il lactovario, il quale è detto e kiamato ekauçi si dea, il quale riceve: li arilli (cioè i nocciolini de l'uve passe) molto ben triti libre .j., mortine (cioè il frutto), secchi e polveriçati molto bene, libra meza, xilocharatte nabathi, balaustie, seme di thamarizi, ameos ana dr. .x., e si conficiano col mèle de la cana del mèle, o col mèle de l'api molto bene dispumato, e del lactovario si prenda. E se l'uscita fia gialla, e mordicha il fondamento de la natura e pugne, e lo 'nfermo abbia sete e febre, sì ssi debbono dare i trocisci costrictivi de spodio. I quali ricevono: rose vermillie, spodio ana dr. .x.; seme d'acetosa, e sumach, e balaustie, e gumm'arabico ana dr. .v.; e 'nforminsi i trocisci di peso di .ij. dr.; de' quali uno si prenda con on. .j. di rob di mele cotogne e l'acqua del sanith de l'orço ke noi dicemo si fae in questa maniera. Recipe: l'orço infranto in tanta acqua ke 'l cuopra bolla tanto ke ll'acqua spessi, e poscia si coli, e si ne bea on. .iij. kon .iij. dr. di spodio e con altretanto gummo arabico. E se col fluxo del ventre advengha scorticamento ne le budella, polvere di bolo si dea a tranghiotire, la cui descriptione è questa: recipe: psillio dr. .xx., sene de petaciuola dr. .x., gummo, bolo armenico ana dr. .iiij., il psillio s'arotischa, e 'l gummo e boli si polverizino e si mescolino, e si ne beano dr. .iij. la mattina kol rob di mele cotongne, e la sera altrettanto. E 'l suo cibo sia pulmento facto co le granella de le melegrane, e colle granella de l'uve passe ko l'acqua, e coll'aceto, e cibo fatto col sugho de l'uve acerbe, e sumachia, e taphea, al quale si mescola il sugo del sumach e i somillianti cibi. Trocisci di balaustie i quali si debbono dare nel fluxo del ventre, quando ne vengono pur homori, quando la menagione è troppo grande o ke ssia con sangue o sança sangue. Recipe: galle, liquiritia, nabati, seme di tamarindi (overo tamerigi), oncenso, balaustie per iguali parti, oppio, gummi arabico ana parte meza. Informinsi i trocisci di peso di dr. .ij., de' quali si prenda uno col vino da colui che non à né caldo né febbre; ma se elli àe febbre, sì ssi prenda kol rob de le mele cotogne acetose, i quali allotta si debon dare quando il fluxo del ventre soprabonda. Trocisci che sono buoni al tenasmon (cioè ai pondi), i quali allotta si debbono dare quando homo no à caldo, e la ventositade sì è nocevole e rea, e 'l rughiamento e 'l suono del corpo. Al quale si prenda: seme di jusquiano biancho, seme di finocchio ana dr. .v.; ameos dr. .ij. e 1/2; oppio dr. .iij.; seme d'appio dr. .x.; e si ne faccino trocisci, de' quali a peso d'uno aureo se ne pigli a la volta. Confetione di storace k'è molto buona a l'antica menagione e a' pondi, quando e' non è né troppo kaldo, né febre, ma quando v'è ventositade nociva si dee dare. Recipe: castorio, oppio, asara bacchera, storace liquida, mirra, seme di jusquiamo nero, e incenso per iguali parti, e mèle tanto che basti a conficere la spetie. La cui presa sia .ij. dr. o .iij., e se poi che ffieno passati .x. dì ke i pondi fieno essuti, e nom parà che le medicine giovino neente, e lo 'mfermo sente dollia sopra al pettignone, tornare si conviene al cristere. Clistere da costringnere. Recipe: panico scortichato, lenti scorticate, rose secche, balaustie, capelli di ghiandi ana m. .j. (cioè ana una manata), e tucte queste cose si cuocano in tre libre d'acqua tanto ke reghano a meza libra e ssi colino. Poscia si prendano cerusia (cioè biaccha), cennere di papiro di Babillonia ana dr. .j.; bolo armenico dr. 1/2; tuorlo d'uovo arostito duro, olio rosato on. 1/2; e di tucte queste cose disolute, strupiciando ne la detta dicotione, se ne faccia cristere a lo 'nfermo una volta o due. E se i pondi fieno lungho tempo col quale non esce sangue ma russura bianca somilliante a mucillagine, sì ssi dee dare il medicamento contra la putredine e del fracidume che noi dicemo nel capitolo del medicamento de le gengie puçolenti e corrotte, del quale, ne la dicotione di quelle cose che noi nominammo, strupiciato e dissolvuto, se ne faccia cristere una volta o due. E se per lo fluxo e menagione del ventre forte mordicamento nel ventre se ne seguiti, sì ssi faccia cristere koll'olio rosato tiepido; e se i· neuna maniera mordica, sì si agiungha cristere di quella medicina tanto ke guerisca. Epithima col quale si dee ungnere quando la menagione e 'l fluxo del ventre soprabonda e la virtude è indebolita. Recipe: galla, acacia, ciperi, mirra, galle di cipresso, incenso per iguali parti, di tucte queste kose con vino vecchio o con sugho di mele cotogne inaffiati se n'ungha il ventre, e alcuna volta s'agiugne a questo pane bisscotto di Syria. E se con questo male fia calore, sì sse ne conviene fare epithima di due sandali e rose, e boly armenichy, e fausel, e galle, e pane biscotto kol sugho de le mele matiane, e kotogne, e di mortine. E se lo 'mfermo fortemente abbia pondi, e spesse volte vada a ssella e non faccia neente, questo suppositorio e cura li si metta di sotto, imperciò k'è molto maravillioso a guerire i pondi, k'è: recipe: incenso, litio, gruogho, gummo arabicho ana dr..j., oppio dr. .ij., e se 'nformino le cure e si mettano di sotto per lo fondamento de la natura.
L. IX, cap. 69 rubr.Capitolo .Lxviiij. De la malagevoleza de l'orina.
L. IX, cap. 69Quando l'orina menoma o del tucto si niega (cioè ke non esce neente e si ritiene del tucto) e nel petignone non apare enfiamento, né non si sente ne le reni né gravità, né dolore, sì è da ssocorrere co le medicine ke provochino l'orina, le quali noi nomineremo, una de le quali è: recipe: seme d'appio, nitro, robbia da tignere, seme d'allexandri, seme di junipero, assara bachera, seme di finocchio, ameos, spigo, mandorle amare ana dr. .xx.; seme di mellone, ollixatri ana dr. .x.; cantarelle (i capi de le quali e ll'ale sieno talliate) dr. .j.; armoniaco dr. .iij.; l'armoniaco si disolva nel vino, e l'altre spetie nel vino si conficiano, de' quali si facciano forme somillianti ad avellane, de' quali se ne pillii da .j. dr. infino a tre, imperciò ke questo medicamento molto giova al corpo quando elli àe disolutione, e laxeza, e a mandare via ogne accidente, e quando huomo vuole disecchare il corpo. E se la malagevoleza e la dificultade del pisciare aviene per caduta o per percossa nel petignone, o nel fondamento, o intorno loro, si scemi sangue de la vena del feghato, e poscia si gitti e infonda molta acqua kalda sul luogho spesse volte, e infino a spatio d'uno mezo die si stropicci coll'olio o colgli ogli. E a lo 'mfermo si comandi ke ssi sforçi d'orinare. E sse la malagevoleza de l'orinare aviene, essendo la vescica piena e distesa, e questo sia dopo l'orinare del sangue o de la putredine, medicamenti si sogliono dare i quali solgliono disfare e disolvere i trombi ne la vescicha. Medicamento ke disolve i trombi e le pallotte del sangue, de la putredine ke ssi fae ne la vescicha. Recipe: cordumeni, mirra, robbia de la quale si tingne, seme di junepero, armoniacho, asa per iguali parti. E l'armoniaco si disolva (o si risolva) e se 'nformino con esso le pillole dell'altre spetie con esso konfecte, de le quali se ne piglino quatro volte il die colla dicotione de' semi ke noi abbiamo nominata, e si dea sciroppo acetoso facto di fortissimo aceto molte volte. E ancora si metta per la sciringha (cioè con quello strumento facto come uno bucciuolo d'ariento o di metallo) ne la vescicha acqua ne la quale sia disolvuto sale o acqua di cennere. E questa è la confettione dell'acqua ke ssi fae de la cenere. Recipe: cennere de ylice, e de le viti, e a tucte queste cose si mescoli tanto d'acqua ke ssi possano coprire, e si lasci stare così per tre die, e poscia si colino, e per la sciringha sì ssi metta ne la vescicha. E ll'erba del gruogho ortolano e la sulla cotta vi si pongano suso. E assiduamente entri ne la tina del bagno, ne la quale sia acqua ne la quale sia cotta camomilla, e sticados arabico, e maiorana (cioè persa), e ssinsembro, o ne la quale l'estremitadi de' cavoli, esulla e sterco colombino sieno cotte, e lo 'mfermo seggha ne la dicotione loro. E di queste cotali erbe kosì cotte faccia empiastro sopra 'l petingnone e le parti ivi intorno. E quando elli dimora ne la tina, bea quelle cose che ànno a provocare l'orina, e se queste cose non giovassero, sì dee huomo correre a lo strumento ke à ' provocare l'urina. E se la malagevoleza sia dipo i sengnii de la pietra, lo 'nfermo giaccia supino e i suoi piedi lunghamente muova, e in diversi modi e fortemente distorni e dibatta in quà e in là. E se l'orina no escha, konviene ke co lo strumento si medichi, ma guarda tuttavia ke non si metta ne la vergha quando v'è apostema. E al nom potere orinare giova molto intrare nel bagno, e ugnere i luoghi colli oli, e pilliare del beveragio, cioè bere i medicamenti ke ànno a provocare orina, e astenersi dai nodrimenti acetosi e pontici e grossi.
L. IX, cap. 70 rubr.Capitolo .Lxx. De la malagevoleça del male de la pietra.
L. IX, cap. 70Quando lo 'nfermo stropicia spesse volte la vergha e la si mena tra mano, e alcuna volta si diriça e 'nasprisce, e l'urina con dolore e con malagevoleza esce, ne la quale infertade il logaone (cioè il budello di sotto) esce alcuna volta, allotta sì significa ke la pietra è ne la vescicha. E se ko la malagevoleza de l'orinare lo 'nfermo sente grande dollia ne le reni e ne le vie de l'urina, e nauscha e abominatione, e 'l ventre stretto (cioè stitico), sì ssi dimostra essere pietra ne le reni. E a la pietra k'è ne la vescicha questa dicotione è utile, et è optima a rompere la pietra quando ella è vecchia. E io ruppi giae grande pietra im più piccolo spatio di .xL. dì, la cui confectione è questa. Recipe: carpobalsamo, seme di rafano, dauco, oxilatro, seme, scorça di radice, oppoponacho, scorça di radice di cappari, mandorle amare, dampnocotidi, squinanti, ciperi, spigo, cassia lignea, sacculo, fundorion, harmel, gentiana, aristorlogia rotunda, asari, kordumeny, armoniacho, serapino, bdellio, pepe, acoro per iguali parti. E le gomme disolute im balsamo tanto ke basti, se mallaxino (cioè menino) tra mano (o per mano), e con essi si conficiano l'altre spetie, de le quali si faciano pillole, e se ne pigli il die dr. .j. co la dicotione de' semi, quando si dae con esse la sexta parte di una dr. de la cennere de li scorpioni. E la cenere de li scorpioni si fae in questa maniera. Prendasi li scorpioni e, posti in una pentola nuova ke abbia la bocha chiusa, sì ssi metta nel forno nel quale non sia troppo grande calore; e sieno ivi per ispatio di sei ore, e poscia se ne traggano e polveriçinsi e si riponghano. E lo 'nfermo si notrichi co l'acqua del cece, e calagie, e mutagenath, e si abstengha dal lacte e dal cascio, e dalli altri cibi grossi, et entri ne la tina ne la quale sia acqua, ne la quale sieno le foglie de' cavoli cotte, essulla, e berengesit (o bereguasif), e mentastro, e sterco di colombo, e midolla di seme di gruogo ortolano. E 'l petignone s'ungha altressì coll'olio delli scorpioni, e si distilli ne la verga de l'olio delli scorpioni, il qual è: recipe: aristologia rotunda, gentiana, ciperi, cortice di radice di cappari ana on. .j.; tucte queste cose in una libra d'olio di mandorle amare, posta al sole, si lasci stare per una septimana, e si coli, e si spriema, e per ciascuna sua libra vi si agiunga scorpioni .x.; e tucto questo messo in vasello, la cui boccha sia chiusa, al sole per due septimane stea; e poscia si coli e si riponga, impercioe k'è optimo e maravigloso, del quale ogne die a gociola a gociola vi si ne dee infondere. E poscia ke lo 'nfermo esce de la tina, e se la pietra sia magiore, non si truova altro remedio se non che se ne talgli e gitti fuori. Ma parlare di questo passa il modo di questo nostro libro. E quando la pietra è ne le reni, lo 'nfermo entri ne la tina. E le reni, e 'l corpo, e tucte quelle parti, s'ungano coll'olio. E quelle cose ke ànno a riscaldare il luogho vi si pongano suso col panno, sì come sono quelle cose ke noi abbiamo nominate. E a bere pigli quelle cose ke rompono la pietra. E se la pietra sia caduta e ne la vergha abbia fatta kiusa, l'acqua calda distillando da alti vi si gitti suso tanto ke paia ke arossi, e poscia olio tiepido ad gociola a gociola vi si metta suso e si strupicci. E s'elli è mestiere, sì ssi sughi da la parte di fuori, imperciò ke per questo si muoverà la pietra e n'uscirà. Ma s'elli è grande e malagevole, mistiere è ke la vergha si talgli di sotto schalteritamente e se ne traggha fuori.
L. IX, cap. 71 rubr.Capitolo .Lxxj. De l'apostema che ssi fae ne le reni.
L. IX, cap. 71L'apostema ke ssi fae ne le reni o ne la vescicha acompagna febbre mescolata ke no è di molto grande calore, kolla qual è aricciamento di peli, e repriçi, e rigore, e spesse volte urinare, e dollia ne le parti del dosso di sotto, e gravitade; e quando si sospigne pare a lo 'mfermo ke vi sia alcuna cosa impicata. Dumque quando huomo avrae veduti questi cotali segni, lo 'nfermo si scemi sangue de la vena del fegato da quella parte ove il dolore si sente e la graveza, e in sul luogo si ponghano l'impiastri ke abiano a raffreddare. E se la 'mfertade sia andata via bene è. E se la doglia e la febbre, e la graveza, perseverranno e l'orina esce troppo spesso, sì ssignifica ke vi si racolgha putredine, dêsi dumque mettere in sul dosso impiastro di camomilla, e di seme di lino, e di crusca, intrisi coll'olio del sisamo. E se lo 'nfermo piscerà putredine, sì si debono dare i sementi ke noi nominamo nel capitolo de l'ardore e arsura de l'urina, tanto ke la putredine menomi. E poscia si dieno i trocisci, i quali noi nominamo nel capitolo de l'orinare del sangue e de l'orina noi nominammo. E l'apostema ke ssi fa ne la vescicha dee acompagnare febre continua, e malagevoleza di pisciare, e doglia ne la verga e nel pettingnone, e allotta lo 'mfermo sì dee scemare sangue de la vena del feghato, e facciasi il medicamento di questa infertade secondo ke noi dicemo dinançi. E aviene alcuna volta ke l'apostema de le reni non fa putredine, ançi passa in durezza quando graveza ne le reni persevera sança febbre. Dumque si dee fare clistere a lo 'mfermo kolla mucillagine del fieno greco, e seme di lino, e dicotione di camomilla, e di cavoli, e di meliloto, e di malvavischio, e di cruscha, e rigetti spesse volte, e sopra le reni si metta empiastro di quelle cose ke noi nominamo. E s'elli pare ke ll'orina menomi, sì ssi dieno con quello quelle cose ke ànno a provocare l'orina, e questo non si dee avere per pocho, imperciò ke per questo si perviene all'idropisia.
L. IX, cap. 72 rubr.Capitolo .Lxxij. De l'ardore e puntione de l'orinare e sua cura.
L. IX, cap. 72Quando lo 'nfermo orina e ne l'orinare sente ardore e punctione ne la vergha, sì ssi dee abstenere da le cose salate e dall'acetose e dalle acute, e si dee nodrire coi taffeis leni, e cibrebegi, e co le somillianti cose, e questo medicamento li è da dare, il qual è: recipe: seme di melloni scorticati e mondi dr. .xxx.; seme di cederni, seme di çuccha, seme di porcellana, seme di papavero biancho ana dr. .iij.; seme di jusquiamo bianco dr. .ij.; çuchero bianchissimo al peso di tucti. E de la polvere di queste cose prenda ogne die im beveragio la mattina dr. .iij. e l'altre .iij. dr. la sera con una on. di sciroppo violato, e di juleph. E questa infertade non si dee avere a schifo ke, conciosiacosak'ella sia mansiva e perseverante, di lei si provengono ne la vescicha e nelli strumenti dell'urina ulceri.
L. IX, cap. 73 rubr.Capitolo .Lxiij. Quando huomo orina sangue.
L. IX, cap. 73Quando alcuno per cagione di caduta o di percossa piscerà il sangue, sì lli si scemi sangue de la vena del feghato, e li si dieno a bere i trocisci ke ssono kiamati trocisci di carabe. Trocisci di carabe. Recipe: carabe, e de la gumma de l'arbore tremula ana dr. .v.; balaustie, ypoquistides ana .ij. e 1/2; incenso, seme d'appio ana dr. .j.; e se 'nformino i trocisci a peso d'uno aureo, de' quali si dea ogne die una co la dicotione del somach. E a mangiare li si dea carne cotta col sumacch e carne cotta col sugho de l'uve acerbe, e s'astengha da' cibi acuti e salsi, e sopra il luogho de la percossa sì ssi pongha impiastro di bolo armenico, acacia, alloe e litio konfetti coll'aceto e coll'acqua. E se l'orinare del sangue averrae dipo 'l manicare de' cibi acuti, o dipo 'l bere del vino acuto, sì ssi scemi sangue a lo 'nfermo e bea i trocisci di carabe, e ssi governi kon quello medesimo regimento ke noi dicemmo. E s'elli orina putredine, a lo 'mfermo si debono dare questi trocisci, i quali: recipe: seme di melloni, di cederni, di çucche, tucti sança le scorçe ana dr. .xx.; bolo armenich, oncenso, grasso, sangue di dragone ana dr. .x.; oppio dr. .iij.; seme d'appio dr. .ij.; e se 'nformino i trocisci di peso di due dr., de' quali ogne die uno kon .j. on. di sciroppo di papavero si dea a bere, e ne la vergha si metta di questo collirio di cerusa. Collirio di cerusa. Recipe: cerusa, sarcocolla, oncenso, gummo arabico, oppio sangue di dragone per iguali parti. E di queste cose si facciano colliri e primieramente si gitti per la sciringha de l'ydromelle, e orini lo 'mfermo; e poi che ne fie uscito, sì vi si gitti entro questo kollirio disoluto nel late de l'asina.
L. IX, cap. 74 rubr.Capitolo .Lxxiiij. Del fluxo de l'orina.
L. IX, cap. 74Quando lo 'nfermo à molta orina, e quando elli la fae non sente arsura, o elli orina quando dorme e no à sete, né per ciò non dimagra, sì ssi debbono dare quelle cose ke costringhono l'orina. Medicamento il quale ritiene l'orina. Recipe: ghiandi dr. .j.; oncenso dr. .xxx.; seme di coriandro secco, bolo armenico, gummo arabico ana dr. .x.; e se ne faccia polvere de la quale si dea la matina a tranghiotire dr. .iij. e la sera altretante. E se con questa infertade la sete fosse forte e grande, e l'acqua ke ssi bee tosto s'orina, l'acqua de l'orço si dea kol pisilio e si notrichi col sugo de l'uva acerba e col sumach, e koi somillianti nodrimenti, e kol cibo ke ssi fa co la similla de l'orço, e masal, e rob acetoso li dea bere, e non si affatichi, e non usi con femina, e bea questi trocisci, li quali: recipe: spodio dr. .x.; seme di lactughe e di porcellane ana dr. .xv.; coriandro seccho, rose vermillie, bolo armenico ana dr. .v.; balaustie dr. .ij.; kamphora dr. 1/2; e si beano col sugho de le melegrane acetose. E ancora si pestino l'erbe fredde e si pongano in su le reni; e guardisi dai cibi caldi e dal vino, e da tucte quelle cose ke ànno a ffare orinare. E questo ke aviene del grande errore delli stolti e de' matti è ke elli danno in questo male a lo 'mfermo le medicine calde onde, incontanente, li mena a tisicheza.
L. IX, cap. 75 rubr.Capitolo .Lxxv. De' vermini che ss'ingenerano nel ventre.
L. IX, cap. 75Quelli ke àe acostumato d'avere questo nocimento ke lli s'ingeneri vermi nel ventre e nel fondamento, sì ssi dee guardare da' cibi grossi unctuosi, e ogne die, ançi k'elli manuchi, si prenda alquante fette di pane colla senape e con almury, imperciò ke questo nolli lascia generare. E s'elli aviene cosa ke elli si generino, non si conviene fare altro se non mandarli fuori. Medicamento il quale manda fuori li ascaridi (cioè quella generatione di vermini): burangy escortichato, cioè quando lo 'mfermo è molto affamato, si ne prenda dr. .vij. Medicamento ke manda fuori i grandi lombrici. Recipe: burengi scorticato, turbit, seme di nil parti iguali; lupini, nasturço, kanape ana parte meza, e se ne bea dr. .vj.; ma primieramente bea lo 'mfermo incontanente sì com'elli è munto per .iij. die, e apresso in ciascuna quarta die sì ssi dieti, e del predetto medicamento ancora kaldo, sì com'elli è munto e disolvuto, è preso; e quando elli è ancora affamato, molto bea. E i vermini minuti ke si fanno ne la natura di sotto, i quali sonno minuti, per li quali v'aviene entro piçicore, per la quale cosa si stropicia di sotto il fondamento, si mandano via quando bambagia involta ne l'olio lavato vi si mette dentro, o involto nell'olio di grisomule e col sugho del mentastro, e s'involga con uno poco d'alloe e di fiele di vaccha e vi si metta dentro.
L. IX, cap. 76 rubr.Capitolo .Lxxvj. De le morici e de le fistole.
L. IX, cap. 76Moreci avengono quando sangue ricente sança doglia esce di sotto per la natura interpolatamente (cioè in certi tempi acostumatamente), non è da ristringnere se lo 'nfermo perciò non indebolisse, imperciò ke per quello è l'uhuomo libero e sicuro di molte infertadi e di molte guerisce. E perciò s'elli indeboliscie, è mistiere ke ssi costringha, trocisci di karabe kol sumach si dieno, e manuchi sumachia e 'l cibo il quale si fa col sugho de l'uve acerbe e simillianti, o di quelli ke ànno a nodrire. E s'elli indobolisse molto, sì ssi notrichi col sugho de la carne a la quale si mescola alcuna volta sugo di mele cotongne e vino, e bea vino laço e stitico, e ssopra il feghato pongha impiastro di spigho ke noi nominamo nel capitolo del feghato. E se queste cose nom bastassero, sì li si dea la confetione de la scoria del ferro, la qual è: recipe: mirabolani neri, bellirici, emblici ana dr. .v.; spigo, squinanti, ciperi, gengiovo, pepe, ameos, incenso ana dr. .ij.; scoria stata a molle nell'aceto per una septimana e poscia arostita dr. .xv.; e tucte queste cose si conficiano col mèle dispumato, il quale fu cotto ko la dicotione delli emblici, sì come noi nominamo nel capitolo de la malinconia, del quale si prenda ogne die a la grandeçça d'una noce. Imperciò ke questo costringne il sangue de le morici e de' mestrui e fa rimedio al fluxo e a la menagione del ventre di lungho tempo. E se nel fondamento di sotto nasce alcuna cosa ke apaia in fuori, per lo quale avenga grande dollia e non esce alcuna cosa, il sugho de la cipolla con um poco di lana, o il fiele de la vaccha, vi si pongha suso, e vi si metta dentro una lungha kura (o ssuppositorio) di pane terreno, il quale lo 'nfermo tengha tucta notte. E se elli n'esce, sì vi si rimetta dentro tanto ke ssi rompa e n'escha sangue. E quando il dolore fosse molto grande e forte, e l'apostema grande di sotto, sì ssi tolgha sangue a lo 'mfermo, e questo empiastro vi si pongha suso, imperciò k'elli manda via il duolo de le morici quando con esse è appostema. Recipe: meliloto e kamomilla, le quali tanto si cuocano ne l'acqua tanto ke ssi disolvano; poscia si prenda de l'acqua de la loro dicotione quanto a una mano si puote tenere, e uno tuorlo d'uovo arostito, e una dr. di gruogho, oppio dr. .ij., seme di lino trito, fieno greco, e malvavischio ana piem pugno. E tutte queste cose si conficiano col rob nel quale .iij. dr. di bdellio sieno disolvute e poste in su la foglia, poiché la loro superficie sarà unta koll'olio sissamino, nel quale grasso di gallina fie risoluta o d'anitra, in modo d'empiastro vi si pongha suso quando elle sono ancora tiepide. L'altra confettione ke mitigha il duolo e l'apostema. La cipolla biancha bene cotta si pesti molto bene, kol bituro de la vaccha si mescoli ke ssi faccia sì chome mèle e um poco tiepido, se ponga sul fondamento ov'è l'apostema, imperciò ke questo mitigha molto il duolo. E quando lo 'nfermo avrae nel fondamento le raghadde, cioè fenditure ' crepature kon aspreza, le quali li fanno male quando elli è stitico, sì usi le pillole del bidellio, le quali: recipe: mirabolani, neri, kebuli ana dr. .x., serapino dr. .iij. nasturtio bianco dr. .iiij., bidellio molle e grasso dr. .xv., e si disolva il bidellio nel sugho de' porri, e di lui si conficino l'altre cose, o se ne 'nformino le pillole, e se ne prendano spesse volte da una dr. infino a .iij. E se nel luogho sia adustione, sì ssi ungha co l'unguento de la cerusa; se non vi si senta adustione, sì ssi ungha koll'unguento ke si fa di grasso ke ssi truova ne lo scrigno del canmello e bidellio, il quale si fa in questa maniera, cioè a ssapere unguento di sene. Recipe: cera gialla, olio di sisamo, grasso d'anitra, midolla di gamba di vaccha, e del grasso k'è ne lo scrigno del kanmello, e dellio per iguali parti; e bidellio si disolva primieramente ne la mucillagine del seme del lino, e poscia si mescolino tucte queste cose insieme, imperciò ke questo è optima cosa. E se lo 'mfermo àe ragadie profonde nel fondamento, da le quali puçolente putredine o ordura escha, sì vi si sottopongha medicamento acuto ke noi scrivemmo nel capitolo dell'ulceragioni, il quale lo 'mfermo sofferi per due dì. E se vi rimane neente ke risudi, pongavi ancora il medicamento, la quale cosa tanto si faccia ke il luogho si disecchi e asciughi, e non risudi s'elli è profondo. E se quelle eminentie e alteze, ke ivi sono, pendano in fuori in tanto ch'elle s'arustiscano e diventino nere, sì vi si metta e pongha spesse volte il biturio tiepido tanto ke la nereza se ne lievi. E se il resudamento ritorna, sì vi si ponga ancora il medicamento acuto, e se non risudi koll'unguento de la cerusa si medichi. E quando le moroide sono molto pinte e protesi in fuori, sì ssi medichino kauteriçando kol ferro. Ma parlare di questo è più ke questo nostro libro non richiede. E le fistole si generano di sotto nel fondamento agevolmente, imperciò ke la sua figura fa quel luogho essere necessario. Le quali alcuna volta sono penetranti e passanti, e alcuna volta no, imperciò ke quando elle sono forate l'orina e lo sterco n'esce fuori; e se non n'esce lo sterco e la ventositade non è trapassante. Ma parlare di questa cura perfettamente è più ke non richiede questo nostro libro. Ma imperciò ke quasi tutti li homini incorrono grande errore ne la cura e nel medicamento di questo male, onde si seguita grande nocimento, noi l'inciteremo a quello ke è congruo e utile a questa infertade, e mostreremo in kente maniera huomo si debbia guardare di questo errore. E diremo ke quando la fistola da ongne lato forata, quando ella è di lungi da la natura, in niuna maniera si dee tochare kon ferro, imperciò ke per lo talliamento del ferro aviene ke lo stercho n'esce fuori sança volontade. E ancora è altro, perké la fistola perforata da ogne parte non si dee tocchare kon ferro, imperciò ke per tucto il tempo de la vita de lo 'nfermo potrà dimorare e stare in quella maniera non faciendo grande nocimento, e non ne verrae altro male se non resudamento e fluxo. E se quello ke n'esce fuori è acuto e mordicativo e à puçolente odore, la cui quantitade ongnendie cresce, sarà fistola putrida e kon erpete estinomeno, al quale si dee socorrere kol medicamento acuto, e di quello ke compie ogne kosa si dee soccorrere, ançi che ssi dilati e si faccia molto grande. E quando non resuda se nom poco, se la sua quantitade non cresce ogne die e reo odore non vi sia cresciuto, non v'è in lei alcuna cosa ke ssia da dottare, se non resudamento e fluxo ke ssi puote medicare, tanto ke ssi disecchi e disenfi, e ke non resudi per lungo tempo. E se il resudamento ritornasse, sì vi si faccia il predetto medicamento e in questa maniera si potrà lusingare per tucto il tempo de la sua vita e non nocerà. E 'l modo di medicare questa infertade: si prenda del collirio ke noi nominammo nel capitolo de la fistola de l'occhio, e bene si priema la fistola tanto ke n'escha fuori ciò ke vi si contiene dentro. E se il radio, cioè quello strumento, vi puote entrare entro, sì ssi involgha co la bambagia e poi con quella medicina, e poi k'elli fia doventato per la bambagia e uncto, sì ssi metta ne la fistola. E se quello radio non vi puote entrare, la medicina si disolva ne l'acqua e si sollieva la coscia de lo 'mfermo postovi di sotto uno cuscino, e lui giacente supino, il predetto medicamento, distillando, si gitti sopra la fistola. E si faccia questo la mattina e la sera per tre die, e seggha ne l'acqua de la cucurma, e se ne lavi.
L. IX, cap. 77 rubr.Capitolo .Lxxvij. Del budello del fondamento k'esce fuori de la matrice.
L. IX, cap. 77Quando il budello del fondamento di sotto esce fuori de la natura e non vi è apostema, in tale maniera si dispongha ke elli si ripingha dentro. E si pigli: cerusa, balaustie, galle, allume, antimonio per iguali parti, e se ne faciano polvere e, unto il fondamento primieramente koll'olio rosato e kaldo, e quella polvere vi si gitti suso, e poscia si rimetta quello budello dentro e si ristringha, la quale cosa si conviene fare poi che lo 'nfermo fie tornato da ssella, accioe ke no li sia mestiere d'andare tosto a ssella. E piglinsi ancora: galle, e balaustie, e coperchi di ghiandi, e foglie di mortine, e si kuocano ne l'acqua tanto ke ll'acqua diventi rossa, e vi segha dentro e se ne lavi. E se quello budello non vi puote entrare dentro, perciò k'è apostemato, entri spesse volte ne l'acqua calda, e vi segha dentro e unga il fondamento co la cera e coll'olio de la camomilla, o d'aneto, tanto ke vi rientri dentro. E quando elli vi fie rimesso dentro, sì ssi medichi con quelle cose ke noi abbiamo dette. E se la natura de la femina similliantemente fie uscita fuora, similliantemente si dee medicare, ma è mestiere ke fortemente si leghi e ke la 'nferma sempre giaccia supina e tengha le coscie levate.
L. IX, cap. 78 rubr.Capitolo .Lxxviij. Per costringnere i mestrui.
L. IX, cap. 78Per costrignere i mestrui de le femine quando vengono troppo, i trocisci di carabe si debbono dare per una septimana, i quali se non giovano, la confectione de la scoria del ferro si dea, e si scemi sangue de la vena del fegato, e si pongano ventose a le poppe, e quando manucha si usi cose stitiche e laççi cibi. E questo medichamento si metta di sotto, il qual è: recipe: incenso, balaustie, galle, antimonio, acacia, e allume ana parti iguali, e la polvere di queste cose molto ben trite si metta di sotto kon uno poco di lana molto bene. E 'l pettingnone e 'l dosso s'epitimi con quelle cose ke noi nominamo nel capitolo del fluxo del ventre e segga ne l'acqua de la cucurma. E se queste cose non giovano, sì vi si metta l'altro passario acuto e stea ne la natura.
L. IX, cap. 79 rubr.Capitolo .Lxxviiij. Di provocare i mestrui.
L. IX, cap. 79Conciosiacosaché per lo ritenere de' mestrui grande male se ne seguiti, i trocisci de la mirra si deano. Trocisci di mirra. Recipe: mirra dr. .iij., lupini bene triti dr. .v.; foglie di ruta, mentastro, pulegio cervino, robbia de ke se tingne, asa, serapino, oppoponaco dr. .ij.; de' quali si dea uno il die, coll'acqua ne la quale il seme di junepri sieno cotti, imperciò ke questo medicamento è sì forte in provocare i mestrui ke ancora la creatura mandi fuori. Se alcuna spesse volte l'userà, e le ventose si debbono porre giù ne le polpe de le gambe e la flobotomia si dee fare de la safena (cioè de la vena del tallone dentro del piede), e poscia le ventose si debbono porre nel petignone.
L. IX, cap. 80 rubr.Capitolo .Lxxx. De le ragadie, o crepacie, e aspreza de la natura.
L. IX, cap. 80Queste si debono medicare kol medicamento de le ragadie del fondamento di sotto. E si metta di sotto passario fatto di grasso d'anitra e dell'isopo ceroto kolla midolla de la gamba del cervio, mescolati colla cera e disolvuti coll'olio del lillio o di narcisco, se cosa è che non vi sia né febbre né altra acuitade. E se quello e kom febbre e acuitade fosse, sì vi si pongha olio rosato e ssi facia somilliantemente pessario ko l'unguento de la cerusa. E se 'l caldo fia molto più forte, sì ssi pigli il sugho de le porcellane, o de le latughe, o mucillagine di psillio, e si faccia tavola di piombo somilliante al marmo, nel quale si pestano i colori, la quale abbia intorno uno labbro piccolo; e pongasi iv'entro alcuna cosa de' predetti sughi, e col pestello del piombo si muova in tale maniera ke del predetto piombo, nel detto liquore, si mescoli assai; e si spessi il sugho del quale si faccia il pessario, poi che ll'olio rosato fie mescolato con esso e si metta di sotto, imperciò ke questo medicamento è molto buono al kancro vulnerato k'è ne la matrice e a l'altre cose a llui somillianti.
L. IX, cap. 81 rubr.Capitolo .Lxxxj. De l'apostema ke ssi fae ne la matrice de la femina.
L. IX, cap. 81Se con questi apostemi è kalore e febre, sì ssi faccia flebotomia de la vena del fegato, e la 'nferma sì ssi notrichi koll'acqua de l'orço, cioè ove ll'orço è kotto, e si ungano le reni e 'l pettingnone e quelle parti colla dicotione delgli apostemi caldi, e ssi rafreddi il luogho quanto è possibile. E si dipo la febbre e dipo la forteza del male rimarrà alcuna cosa de l'apostema, sì ssi medichi coll'untioni liquide e mollificative, e la femina segha in queste cose liquide infino a tanto ke ssi ranmollischa e si maturi. Il passario ke mollificha e ramollisce i duri apostemi e la matrice, e ke giova ai dolori ke vi si fanno dentro, e a pocho a pocho li fae andare via. Recipe: del grasso de l'anitra e de la midolla de la gamba del cerbio, e de la midolla de la gamba de la vaccha, e del bdelio molle, gruogo, e tuorlo d'uovo arostito, e feccia de l'olio de' semi, di tucti per iguali parti; e ssi disolvano in vino e in rob, e se ne facia pessario, imperciò k'è molto buono a disolvere il dolore e a mollificare la dureza de la matrice. E la 'mferma seggha ne l'acqua ne la quale sia cotto il fieno greco, e 'l seme del lino, e la kamomilla, e 'l meliloto, e l'estremitadi de' kavoli, ciascuno per sé o tutti insieme.
L. IX, cap. 82 rubr.Capitolo .Lxxxij. Dell'ulceragioni ke ssi fanno nella matricie.
L. IX, cap. 82Quando de la natura de la femina kola e discende putredine spessa o altro fracidume suttile, e ssi discendano dal luogo prociano, e non vi sia profunditade puçolente o fracida, sì ssi debbono prendere alloe, e mirra, e sangue di dragone, e sarcocolla, e oncenso, e vi si debbono porre suso tanto ke ssaldi. E s'elli aviene che discendano dal luogho rimoto e dilungi del pessario ke noi nominamo nel capitolo del sangue e de la putredine, si faccia sopra untione e vi si ponga suso. E se quello ke nn'esce fuori è puçolente e àe reo odore, sì vi si gitti entro del pessario secondo acuto, poi ke 'l luogho fie mondificato koll'acqua e col mèle gittativi entro dinançi. E se con quello ke n'esce fuori v'è puntione e dolore, o apostema duro, il quale si discerne e si sente al tocchare, sì ssi conviene molto guardare ke non si tocchi kon alcuno acuto medicamento, ma vi si faccia gitamento entro con quella confricatione del piombo, ke noi dicemo ko l'unguento de la cerusa, e si scemi sangue de la vena del fegato, e si guardi di tucte quelle cose ke generano la collera nera e de' semi, i quali per condimento si mescolino coi cibi.
L. IX, cap. 83 rubr.Capitolo .Lxxxiij. De la putrefatione de la matrice, e quando la matrice emfia e sale in su e pare ke tramortischa.
L. IX, cap. 83Quando i mestrui sono ritenuti per lungho tempo, overo ch'elli è lungho tempo ke la femina non ebbe a ffare kon uomo, avengna ch'ella n'abbia avuto grande volontade, e le sia venuto gravitade e dolore ne la parte del pettingnone di sotto, e senta quasi alcuna cosa ke ssi tragha suso da la parte del pettingnone, forse dipo questo ella tramortirà o cadrà quasi morta, e apena potrà huomo congnoscere k'ella tragha l'aria ad sé e l'alito, o k'ella abbia polso, e forse cadrà e morrà, e forse guerirà, ma con grande pena, e perciò incontanente quando questo male viene, sì ssi conviene medicare, il cui medicamento è ke i suoi piedi fortemente si strupicino e si leghino, e una grande ventosa si pongha in sul pettingnone. E a una fenmina di quelle ke guardano le donne si comandi ke l'ungha molto bene il dito suo koll'olio di buono odore e bene ogliente, e metta il dito dinançi ne la natura de la femina e 'l meni intorno molto bene in qua e i· llà intorno a la boccha de la natura. E ancora nel naso si sofi de lo nasturzo, e intorno ai suoi orecchi si gridi ad alta voce, e non odori neuna cosa di buono odore; ançi le cose di buono odore si ponghano e si mettano di sotto, e s'epitimino al pettingnone e a quelle parti, e le cose di reo odore si pongha al naso, sì come lo sterco, e 'l castorio, e 'l solfo. E quando ella fia rivenuta e guerita, con questa medicina si medichi e guerischa acciò ke 'l male non ritorni più. E se questo male venisse dipo 'l ritenimento de' mestrui, sì ssi dieno quelle cose che fanno venire i mestrui o ke lli provocano, e si tolgha sangue de' piedi e vi si pongha ventose. E se questo aviene per grande e lungha costumanza d'uhuomo ke ssolea avere e noll'àe, perké questa cosa suole avenire più spesse volte, sì ssi ricominci a usare co l'huomo; o la femina ke guarda e custode le femine im parte le faccia col dito quello ke noi dicemmo spesse volte, o ssi dieno quelle medicine ke menomano la sperma ke noi abbiamo già dette, e si dieno i trocisci de la mirra, i quali noi nominammo nel capitolo d'insengnare provocare i mestrui.
L. IX, cap. 84 rubr.Capitolo .Lxxxiiij. De la infertà ke è kiamata mola, la quale aviene a le femine ke paiono pregne e sono discolorite e ritengono i mestrui.
L. IX, cap. 84A le femine aviene alcuna volta uno male per lo quale elle ànno dispositione e sembiança kom'elle fossero pregne, imperciò ke il loro corpo cresce e sono discolorate, e si ritengono in loro i mestrui (cioè il loro tempo e purghamento ke no ll'ànno). Ma il movimento k'è in questa infertade no è sì come il movimento del fanciullo, ançi alcuna volta si muove del suo luogho, quando huomo il toccha duramente o ponta, e a la perfine kon angoscia e con dolore fae um pezo di carne sança forma, quasi com'ella partorisse, e alcuna volta fae solamente moltitudine d'omori e ventositade, e poscia menoma il ventre e vanno via gli acidenti. E poi che 'l tempo è passato nel quale si sente ke 'l fanciullo si dee muovere se vi fosse, sì ssi debbono dare i trocisci di mira, e la dicotione de' semi, e l'olio di resin, e 'l pessario de la ruta e di mentastro. E lli altri pessarii predetti vi si debbono mettere ke ssi debbono mettere nel capitolo dell'aleviamento del parto, e spesse volte si debbono dare le prese de le pillole fetide, e com questo scamperae tosto.
L. IX, cap. 85 rubr.Capitolo .Lxxxv. De' crepati et erniosi.
L. IX, cap. 85Quando alcuno huomo avrae nel ventre ateza in alcuna parte, la quale, quando elli giace supino e huomo vi ponta suso le dita, si diparte e va via e dispare, e quando siede ritorna quel cotale, àe allotta il male il qual è kiamato crepatura, overo roptura. E colui che à questo male, sì ssi dee guardare ke dipo manichare elli non si muovaaffatiki, e k'elli non manuchi fave magiormente, né fagiuoli, né lenti, né kamangiari, né alcuno cibo emfiativo, e dee studiare ke 'l suo ventre sia sempre molle. E per questo cotale regimento è possibile cosa k'elli scampi del dolore. E sopra il luogho si dee porre alcuna cosa contraposta, e vi si dee stringnere, e propiamente quando si de' muovere. E s'elli è grosso e àe il ventre grave, non si dee muovere se primieramente il ventre non si cinge e fascia con una fascia bene lata sotto il bellico. Empiastro ai crepati. Recipe: galle di cipresso parti .ij., mirra, ciperi, sansuco, galle, acacie, oncenso, gummo arabico ana parte .j.; e le gumme primieramente si risolvano nel vino e si ragunino con essi l'altre cose, e sopra la roptura vi si pongha lo 'nfermo giacente supino, e 'l luogho si stringha e non si sciolga infino a tre o .vij. die, e poscia lo 'nfermo, giacente supino, si sciolgha, e quello empiastro gittato via, di quello empiastro vi si pongha. E con questo cotale medichamento sì non si lasci ampiare né dilatare la roptura, e ne la roputura de la borsa de le granella la pelle cresce, la qual cosa viene o per la ventositade, o per l'acqua ke vi si raguna, o ke le budella discendono a quel luogho. E se quello aviene per lo discendimento de le budella, sarà grave e doloroso e sentirà dolore quando vi si tocchasse. E lo 'nfermo si dee reggere sì come noi dicemmo, e 'l predetto empiastro vi si dee porre suso, e il luogho si dee ongne die strignere ko la legatura, imperciò quando la roptura non si strigne, sì ssi dilata e cresce sempre. E se quello è per kagione d'acqua ke vi sia dentro, il luogo apare lucente, e pulito, e teso, e a costui giova de epitimarsi de l'epithima ke noi nominamo nel capitolo de l'ydropisi, imperciò ke l'acqua in questa infertade discende molto giù di sotto e corre, onde lo 'nfermo per alquanto tempo diventa sano, ma poscia ritorna la 'mfertade. E poi che l'acqua ne uscirà fuori, sì ssi dee lo 'mfermo medicare kol cauterio e col medicamento acuto, e per questo guerirà sança dotta incontanente, né la 'nfertade non ritornerà. Ma di questo è mistiere di parlare più ke questo nostro libro non richiede. E quando questa infertà aviene per kagione di ventositade, il luogho si dee strupiciare e koll'olio del sanbuco, nel quale sia disolvuto castorio et euforbio, si dee ungnere e si dee distillare dentro ne la vergha.
L. IX, cap. 86 rubr.Capitolo .Lxxxvj. De le gotte e de le doglie. Rubrica.
L. IX, cap. 86Quando ne le giunture è dolore e apostema, e quando il luogho si toccha si truova caldo a tocchare e 'l colore rosso, e se lo 'nfermo si duole nel piede diritto e ne la mano diritta e la manca, nel mancho si dee scemare sangue e il luogo si dee ungnere di questo medicamento. Epithima. Recipe: rose vermiglie, sandali, fausel, sief, memitte, boli armenicho ana per iguali parti. E di queste cose, disolvute in acqua e in aceto, se ne faccia epithima, e 'l psillio infonduto e messo nell'aceto, e messo nella carta vi si ponga suso, e quando si comincia a rafredare sì ssi muti, e in luogho di quello vi si ponga su l'altro, e 'l ventre si solva de la dicotione de' mirabolani e delli ermodattili. La dicotione delli ermodattili e de' mirabolani. Recipe: mirabolani citrini dr. .xx.; polvere di turbith strupicciato, pollipodio, ana dr. .iij.; sene, seme di fummosterno ana dr. .iiij.; hermodatili bianchi, seme d'endivia, seme d'appio, rose ana dr. .ij.; e si cuocano in tre libre d'acqua tanto ke reggha a una, e poscia si strupicino colle mani e si colino e si beano kol çuchero tabarçet dr. .x.; e se alcuno non puote bere la dicotione, si pigli queste pillole ke fanno levare colui che non si potea levar e fanno andare, e andare coi piedi. Pillole che fanno levare colui che nom puote andare. Recipe: alloe dr. .j.; scamonea, la quarta parte d'una dr.; rose rosse trite la sexta parte d'una dr.; hermodatili bianchi dr.1/2; e se 'nformimo le pillole, le quali fieno .j. presa, e lo 'mfermo si nodrischa coi cibi freddi ' stitichi, e s'astengha dal vino e da le confectioni che ssi fanno del mèle e de le carni. E quando il calore de l'apostema e 'l suo infianmamento fie andato via, sì ssi medichi con quelle cose ke risolvono quello ke rimane dipo i caldi apostemi, de' quali questo è uno: recipe: cera resoluta in olio di liglio a la quale si mescoli la mucillagine del fieno greco e del seme del lino, e poscia si pestino insieme tanto che ssi unghano e se ne faccia epithima. E nel tempo de la sua sanitade, e propiamente intorno quello tempo ke 'l male il suole assalire, e magiormente nel vere (cioè nell'aprile o quindi intorno), sì ssi acostumi di scemare sangue e di solvere il ventre con quelle cose ke ssolliono purghare la collera rossa, e si abstenghano di bere vino e di quelle cose manicare ke ssi fanno di mèle e da la carne, e sieno i suoi cibi acetosi e stiptici e simillianti a questi di quelli che raffredano. E i membri che solliono avere questa infertade sì ss'accostumino di sofferire meno fatica ke non solliono, e magiormente quando elli ànno paura ke in quel tempo li assalga. E quando il corpo è pieno e le vene piene, e sia lungho tempo ke nolli fue scemato sangue e che non fue purgato, e quando nel dolore de le giuncture non fie né calore, né rosseza, e lo 'nfermo fie di fredda complexione, e il luogo si sente al toccare freddo, nel cominciamento del medicamento li si dieno le pillole magiori delli ermodatili. Pillole maiori d'ermodactali. Recipe: hermodatili, sathirion, meytakara ana dr. .v.; yerapigra dr. .x.; kolloquintida, centaura minore ana dr. .v.; euforbio dr. .ij.; turbit dr. .x.; seytheragy indo, gengiovo, senape, pepe, kastorio ana dr. .j.; e di loro s'informino pillole de le quali si prenda da due dr. in mezo infino a .iij.; e queste pillole molto giovano, imperciò ke colui ke non si puote levare fanno andare. Epithima a la podagra e gotte fredde. Recipe: storace liquida, kastorio, euforbio, mirra, aloe, acacia per iguali parti, de le quali cose, mescolate kon vino vecchio e intrise, si facia epithima. E quando questa dollia fia andata via, sì ssi socorra a lo 'nfermo gittandolivi suso molta acqua calda, da alti distillando, e si faccia unctione koll'olio del lillio et empiastro col bdellio molle, e colla storace, e fieno greco, e seme di lino, e armoniacho, e vi si pongha suso, il quale si confice in questa maniera: l'armoniacho e 'l bidellio si risolvano in vino vecchio e tucte l'altre cose kon essi si mescolino, de' quali si faccia empiastro e vi si pongha suso. E questa spetie di 'mfertade è quella ke passa in dureza di pietra, e redde i membri e le giunture simillianti a ffunghi, per la quale cosa quelli che à questa infertade, sì ssi guardi dal fastidio e da l'acqua fredda e da' grossi cibi, e da spessa ebbrietade, e dêllisi comandare ke, quando elli è sano, ke elli usi movimento e faticha, e si guardi d'usare kon fenmina, e magiormente quando elli è satollo. E dipo manicare non entri nel bagno, e non si affatichi, e bea vino vecchio e puro. E quando elli è sano usi quelle cose ke ssolliono provocare l'orina. E 'l dolore ke è kiamato sciaticho è quello che dall'ancha per tucta la coscia infino al ginochio si discende per lungheza. E alcuna volta per lungheza, ad similitudine d'una vergha disceso, discende per la gamba infino al piede. E allotta se ne la complexione fie segnoria di calore e l'orina sia tinta, sì ssi dee scemare sangue de la bassilica del braccio di quella parte primieramente, e poscia della sciaticha. E se la complexione de lo 'nfermo fie fredda, e 'l cholore sia fosco, spesse volte si dee fare rigittare ko la dicotione del rafano kol sciroppo acetoso, e la coscia, e 'l piede, e la gamba, e 'l ginocchio sì ss'ungano assiduamente koll'olio nel quale sieno resoluti costorio, et euforbio, e storace. E se la dollia si fae ne la coscia mansiva, cioè ke non si diparta, sì ssi faccia clistere a lo 'mfermo de l'almuri nabathi, e baurach, e kol cristere acuto ke noi nominamo nel capitolo de l'apoplesia; e si faccia e metta sopposta o cura di pane terreno e di coloquintida, la quale cosa tanto si conviene fare ke lo 'nfermo si scortichi di sotto, imperciò k'ella aviene spesse volte, se ne seguita santade. E se la 'mfertade invecchia, sì ssi prenda senape e si pesti con altrettanto sterco colombino, e si conficiano kolla dicotione de' fichi, de' quali si faccia impiastro a le coscie, il quale tanto vi si lasci stare ke vi si facciano vesciche e s'empiano d'acqua o ssi rompano, e l'acqua ne gocioli ke v'è dentro, e ssi vapori il luogho koll'acqua calda, e poscia si lasci lo 'mfermo riposare per alquanti die. E sse per questo elli non guerisce, ancora si torni a questa medesima cura e medicamento. E se la 'nfertade è molto durata e di lungho tempo, e si dotta ke ll'osso ritondo de l'ancha non vada fuori di quella concavitade o v'esca, o ke ne sia già fuori, il luogho si dee cauterizare kollo strumento ke assomillia a la ruota, e s'incenda kolla cottura il capo dell'anca ov'è il capo de la coscia. E 'l parlamento di queste cose si trapassa il termino di questo nostro libro. E quelli ke ànno questo male sono acostumati di rigittare quando elli sono sani, e disolvere il ventre, e di sottilliare il loro reggimento e vita, e d'astenersi da' cibi grossi e da spessa ebbreza.
L. IX, cap. 87 rubr.Capitolo .Lxxxvij. De la scrignuteza.
L. IX, cap. 87Quando lo scrigno si comincia a ffare, sì ssi debbono dare le magiori pillole de l'hermodatili, e dêsi spesse volte prendere olio di resin colla dicotione de' semi, e il luogho si dee spesse volte ugnere coll'olio del sambucho ove castorio et euforbio e storace liquida sono disolvute; e si dee astenere dai cibi grossi e freddi, e l'acqua calda si dee distillare sopra 'l luogho da alto, ne la quale sieno cotte maiorana, e sticados, e mentastro, e poscia si dee fare spesso untione e strupiciamento kogli oli caldi. E se quelli che à questo male è fanciullo, il predetto bagno e l'untioni con quelle cose ke noi dicemo si debbono fare. E se con quella cotale scrignuteza fie febbre, sì ssi dee abstenere di tucto in tucto da quello regimento, ançi si dee dare a bere la dicotione fatta co l'erbe colla cassia fistola, e dêsi scemare sangue de la vena del feghato, e vi si debbono porre suso forti empiastri.
L. IX, cap. 88 rubr.Capitolo .Lxxxviij. De le vene grosse ke appaiono per le gambe in diversi modi.
L. IX, cap. 88Quando vene grosse, piene e pieghate in diverse maniere, e verdi, appaiono ne la ghamba, sì ssignifica ke v'è quella infertade la quale è kiamata varici, o vite, e questa infertade aviene più spesse volte a coloro ke ànno acostumato d'affaticharsi molto coi piedi e a coloro ke pilliano spesse volte cibi ke generano collera nera. Nel cominciamento del medicamento di questa infertade sì ssi conviene scemare sangue de la vena del fegato e dare medicina che abbia a purghare la collera nera, de' quali noi facemo mentione nel capitolo de la menincomia. E queste cose si debbono fare ispesse volte, e si conviene guardare da tutte quelle cose da le quali si conviene ke ssi abstengano e si guardino quelli che ànno il male de la maninconia. E poi che l'huomo avrae facto questo regimento lungamente, sì ssi tolgha sangue di quelle vene ke noi dicemmo ke erano aparite ne le gambe, de le quali si lascia uscire il sangue sì lunghamente ke n'escha ciò ke i· lloro è. E poi lo 'nfermo usi quelle cose ke ànno ad mandare fuori la collera nera, e si scemi sangue de la vena del feghato, e si guardi da tucte quelle cose ke generano la collera nera.
L. IX, cap. 89 rubr.Capitolo .Lxxxviiij. De la helefantia, cioè quando i piedi e le gambe enfiano kon ischiançe.
L. IX, cap. 89(+i) Helefantia sì è una malatia ke ffae diventare i piedi e le gambe grosse e molto enfiate kon ischiançe. (i-) Questa infertade, poi ke ella è facta mansiva e perdurabile, sì è da non guerire, ma quando ella comincia et ella è medicata sì come si conviene, o ella guerisce del tucto o ella dimora così kome è e non cresce. E quando huomo vedrae ke 'l piede ingrosserà e 'l colore diventerà fosco, e le vene ke ssono kiamate viti kominceranno ad aparire, sì ssi dee fare lo 'nfermo rigittare assiduamente e spesso, e dêsi guardare k'elli non vada troppo e k'elli no stea troppo diritto. E 'l ventre si dee muovere ko le pillole magiori delli ermodatili, abbiendo rigittato dinançi, e poscia dee reddire al rigitare. E quello si conviene fare molte volte dipo questo, e lo 'nfermo si dee abstenere da' cibi grossi. E la gamba, cominciando al calcagno infino suso al ginochio, si dee stringnere, ma dinançi k'ella si stringha, sì ssi dee epithimare koll'aloe, e kolla mirra, e kolla acacia, e koll'ipoastidos, e ko l'allume, disolvuti coll'aceto forte. E si dee scemare sangue de la vena del feghato de la contradia parte, e no stea diritto se 'l piede no è primieramente leghato bene strecto, e non lasci l'epithima in neuna maniera, e usi spesse volte a rigittare. E s'elli è picolo tempo o spatio k'elli àe rigittato e disidera di riposarsi, vaporalo kol seme de' kavoli, e ko lo sticados arabico, e ko la cennere de le viti, e lupini, e nitro, e sterco d'epa, e farina di fieno greco; e si lenischa e ungha koll'acqua de la cenere de le viti per spatio d'uno die o di due, imperciò k'ella risolve grande parte di questa infertade e la fae più lieve.
L. IX, cap. 89 bis rubr.De' mali ulceri ke ssi fanno ne le reni per troppo giacere supino.
L. IX, cap. 89 bisQuando alcuno giace supino lungho tempo sopra 'l dosso, i luoghi de le reni si arrossano molto e fannovisi mali ulceri. Dumque quando huomo vede ke questi luoghi arossano, sì ssi dee spargere suso loro millio, o panicho, o foglie di salci. Et elli si dee molte volte solvere il die, e i luoghi che ssono rossi si debbono inaffiare e mollare molte volte il die coll'acqua rosata, raffreddata sopra la neve, e le dee homo altressì ventolare. E se il caldo pur perseverà, sì vi si pongha l'epithima de l'alhurabuti ke noi nominamo nel capitolo de l'apostema; e se vi sono nate vesciche e ulceri, sì ssi medichi koll'unguento della cerusa, cioè la biacha.
L. IX, cap. 90 rubr.Capitolo .Lxxxx. De la dollia ke ssi fae manofesta ne' membri.
L. IX, cap. 90Quando la doglia si fae ne la mano o nel piede, sì 'l dee il fisico dimandare lo 'nfermo se quello li è advenuto per percossa, o ss'elli cadde sopra quello membro alcuna cosa, o ss'elli giacque sopr'esso lunghamente, o s'elli li avenne per altra cagione di fuori. E s'elli adviene cosa ke non sia avenuto per cagione de fuori del corpo, si dee huomo considerare se 'l luogho dollioso è più rosso ke ll'altre parti del corpo o no. E s'egli è più rosso di tucto l'altro corpo, sì si dee medicare kol medicamento del caldo apostema; e se 'l membro non è né caldo né rosso, ma ogne die adviene fosco o diseccha, sì lli si dee distillare e gitare da alto acqua kalda sopr'esso, e si dee ungnere con olio e con cera disolvuti insieme, e lasciarsi stare tanto ke la dollia sia mitighata. E se il luogho pare quasi più grosso e a tocchare pare freddo, spesse volte si dee stropiciare e acqua kalda si dee sopr'esso distillare da alto; ne l'acqua calda ne la quale sieno cotte maiorana e kamomilla, e sticados arabico, e de l'olio giallo di kery si dee ungnere, e 'l suo regimento si dee sottilliare, et elli usi molto exercitio e faticha, e sudi nel bagno. E se queste cose nom bastano, sì ssi muova il ventre kon quelle cose ke menano fuori l'uhumiditadi. E se 'l membro quando si toccha si sente freddo, primieramente si strupici e poscia s'ungha coll'olio del costo e di sambucho, e d'olio di been tiepidi, e de' somillianti a questi. E se queste cose nom bastano, sì ssi dee ungnere co l'unguento ke noi dicemmo nel kapitolo de la parlasia tanto ch'elli sia guerito. Qui finisce lo libro nono di Rasys, de la curatione e guerimento de l'enfertadi e mali, i quali avengono dal capo infino ai piedi. A Dio, per lo benificio del quale e per lo cui aiuto noi l'avemo tracto a questo fine, sieno sempre sança fine gratie infinite. Amen. (+i) Acqua la quale fae molto pretiosa e bella la faccia de la femina sança alcuna altra umtura, la quale compuose la reina Sobilia. Tolli litargiro una parte, e pestalo bene sottilmente, e mettilo in aceto bianco forte, e fae bollire in pentola nuova tamto ke scemi la terça parte. Poi tolli salgemo sexta parte, canfora sexta parte, borace una parte, incenso due parti, olio una parte, acqua rosa due cotanti ke ll'olio. Queste cose pesta e polveriça e mescola in acqua rosata, e col predetto olio e in vasello netto fa' bollire poco. Poi cola quella acqua, e quando l'ài colata distillala con feltro, e poi la serba in ampolla di vetro, e poi cola l'acqua de la pentola dov'è il litargiro con felltro e ripolla per sé in una altra ampolla, e serbala. E quando tue vorai usare le dette acque, tolli una gocciola dell'una acqua e una de l'altra acqua, e pòlla ne la palma de la mano manca, e incontanente diventerà come lacte e molto olorosa, de la quale rifregha a la faccia, e a la gola, e al collo, e al petto, e a le mani, e faràlle molto bianche e olorose. Queste acque tieni in ampolle di vetro e sono molto di grande virtude a imbianchare la facia, e kiamasi acqua vergine. (i-)
L. X, Index rubr.Qui cominciano i kapitoli del decimo libro di Raxis, i quali sono in somma capitoli trentatré per conto, sì come di sotto sono infrascripti.
L. X, IndexCapitolo primo. De la febbre la quale dai medici è kiamata effimera. Capitolo secondo. De la febre eticha. Capitolo terço. De la febre terçana. Capitolo quarto. De la febre causon. Capitolo quinto De la febre k'è dentro a le vene, la quale continua per cagione di molto sangue et è kiamata febbre almathicha. Capitolo .vj. De la febre ke pillia ogne die, k'è kiamata flenmaticha. Capitolo .vij. De la febbre quartana. Capitolo .vij. De la febre ne la quale la caldeza e la fredeza si truovano in una dispositione. Capitolo .viij. De le febri continue. Capitolo .ix. De le febri mescolate o eratice ke nel quinto die, o nel sexto, o per più tempo, fanno parosismo, cioè vengono. Capitolo .xj. Del triemito ke non si riscalda. Capitolo .xij. De la febre ne la quale no è tramortiscimento, la quale si genera d'omori rei e acuti. Capitolo .xiij. De la febre co la quale huomo tramortisce e àe deboleza, la quale viene per moltitudine di crudi homori. Capitolo .xiiij. Delle febri ke avengono per kagione d'appostemi. Capitolo .xiiij. De le febri ke avengono per pistolentia o per coruptione de l'aria. Capitolo .xvj. De le febbri chomposte. Capitolo .xvij. De' vaiuoli e morbilli, overo rosolia, e de la loro cura. Capitolo .xviij. Di quelle cose ke ssono necessarie a ssapere reggere le 'nfertadi agute. Capitolo .xviiij. De' sengni che significano bene ne lo 'mfermo. Capitolo .xix. De' segni rei ne lo 'nfermo. Capitolo .xx. Di conoscere il tempo de la febbre e de la 'mfertade. Capitolo .xxj. De' sengni de la digestione de la febre. Capitolo .xxij. De la congnitione, overo konoscimento, de la digestione de la febre. Capitolo .xxiij. Del termine e in quanti modi huomo puote terminare. Capitolo .xxiiij. De' segni i quali dimostrano e giudicano il termine. Capitolo .xxv. Del mutamento de la materia ançi 'l termine. Capitolo .xxvj. Del buono termine. Capitolo .xxvij. De' die e de usamenti ne' die ke ssono die ne' quali si fann'i termini. Capitolo .xxviij. Chome si puote congnoscere l'orina. Capitolo .xxx. Dell'uscita di sotto. Capitolo .xxxj. De' polsi. Capitolo .xxxij. Del regimento di coloro ke ànno agute infertadi. Capitolo .xxxiij. Del regimento de' convalescenti, cioè delli scampaticii.
[L. X, Incipit](+i) Qui comincia lo decimo tractato, overo decimo libro di Raxis, de le febbri e di quelle cose ke le febbri seguitano e di quelle cose ke ssono necessarie di loro. E ponsi il prolago prima.
[L. X, Prologo]Non solamente è mestiere ke 'l medico vegha spesse volte koloro ke ànno febbre, e magiormente febbre acuta, ançi è mestiere ke ssempre sia co lloro presentialmente, ma noi porremo in questa ultima parte le somme e l'agreghationi ke terrano il luogho de' punti e de l'estremitadi, le quali saranno utili al savio e al veghiante, avengna ke in questa dottrina non abia studiato né operato secondo lei, imperciò ke in più kose non avrà mestiere di consiglio di medico, e congnoscerà per loro koloro ke erreranno o non faranno bene in quello ke dovranno in questa arte el loro errore, e congnoscerae la perfectione del perfecto e 'l difetto e la menomança del menomo. E questo pillieremo in poche parole distinctamente e brievemente secondo ke facemo nell'altre parti di questo nostro libro, e lasceremo di cercare le cose molto sottili e profonde di questa dottrina, imperciò ke di questo à mestiere colui ke vuole molte cose investighare e inkiedere e pervenire a la perfine e perfectione di questa dottrina. E a compiere queste cose noi saremo aitati dall'aiuto de l'altissimo e sommo medicho vero, Idio. E faciamo kominciamento imprima de la febre la quale è kiamata e apellata dai fisici febbre effimera. (i-)
L. X, cap. 1 rubr.Capitolo primo. De la febbre efimera e sua cura e medicina.
L. X, cap. 1(+i) Voi dovete sapere k'elli sono tre maniere di febri. L'una maniera aviene quando li omori sono corrotti, e questa maniera apellano i fisichi febris putrida. L'altra sì aviene ai membri, la quale apellano ethicha. E la terza sì viene da li spiriti, la quale s'apella effimera, de la quale parleremo e faremo cominciamento primieramente, poi apresso di quelle cose ke lle febbri seguitano e di quelle cose ke ssono necessarie a ssapere a perfecto chonoscimento de le febri e la loro cura. Sappiate ke (i-) la febbre effimera no à periodi e revolutioni, cioè ke vada e vengha sì come la terzana e la cotidiana, ma tanto solamente à uno periodo, la cui propia significatione è k'ella comincia né con ripriçi e kon cotali pugnimenti per le carni, né con oripilationi (cioè quando si diriçano i peli altrui adosso nel cominciamento de le febri), e che, ançi ch'ella vengha, sì v'à dinançi cagione diversa sì come corre la costuma, sì come troppa faticha e troppa ira, o angoscia, o ssolicitudine, o bere troppo vino puro, o k'elli stette troppo lunghamente al sole, o sotto aria fredda, o in acqua fredda, o ke kaldo apostema andoe dinançi (il quale advenne per caduta o per percossa), o per dollia che adviene in alcuni membri, o per essere troppo pieno di cibo di molto nodrimento, o per cibi grossi ke abbiano a opilare (cioè chiudere le vie del corpo e i pori), o cibi di grande caldeza, o per forte fastidio o per grande e forte menagione, per troppo dimoro nel bagno, o perk'egli si bagnò in acqua no convenevole (sì come sono acque naturalmente calde), o k'elli non si bagnò sì com'elli era acostumato, o ké elli prese medicine molto calde, o ké elli molto manicoe, o per kagione di rema, o perk'elli àe molto digiunato. L'orina in questa infertade né in colore, né secondo la sua substantia, cioè in spesseçça o in chiareza, o secondo odore, non si muta molto da quello ch'ella è adcostumata d'essere. Quando huomo tocha, il caldo del corpo non si truova troppo forte né mordente. E quando il male comincia a menomare, sì viene molto sudore, o almeno cotale humidore kome di rugiada, o resudamento, e poscia va via perfettamente. E ancora in questa febre né grande v'è paura, né rea no è. Ma alcuna volta passa e si muta in altre rei febri, quando elli aviene errore nel suo reggimento o nel suo medicamento. Quando alcuno cade in questa febbre per cagione di fatica conviene ke, quando la sua febbre comincerà a menomare, ke lo 'nfermo entri nel bagno e seggha ne la casa mezana (ciò ke ssieno tre luogora del bagno, overo de la stufa: il primaio meno kaldo si chiama la prima casa, e 'l secondo um poco più caldo la seconda casa, e 'l terzo più caldo la terza casa), onde, dice, segga ne la mezana casa al lato a la porta per la quale si torna a la prima casa, la quale si dee aprire dinançi a la sua faccia. E a la perfine il luogo sia tale nel quale elli si diletti e i· neuna maniera non sudi, né non imfianmi, né non abia ambascia e che no 'l convengha spesse volte atrare l'alito fortemente; e sia il luogho tale nel quale elli possa stare lunghamente, ove sia il tinello (overo bigoncia) pien d'acqua tiepida, nel quale entrandovi elli vi si diletti. E ssopra la sua persona si gitti molta acqua tiepida (e magiormente nel luogho de le mani e de' piedi e de le giunture), e si stropici e freghi soavemente e si priema mollemente, e poscia si prieme molto bene, e poscia s'unga d'olio violato tiepido, e s'abia grande sollicitudine e magiormente intorno a le giunture, e lli sponduli del collo e del dosso. E poi ke questo fia facto per alquante ore, ancora da capo si dee mettere ne l'acqua tiepida, e se ne dee gittare alcuna volta sopra llui, e poscia si dee ritornare a lui ugnere. E la lungheza di gittarli l'acqua adosso e d'ugnerlo coll'olio e la loro brevitade sono secondo la forteza del male e la sua deboleza. E poscia esca fuori del bangno e si notrichi coi camangiari, e coi frutti ricenti, e co la carne de' polli e del chavretto, e coi pesci i quali sono chiamati ezye, et elgli sono boke, e s'astengha da' cibi ke riscaldano. E s'elli non solea bere vino, sì bea juleph facto di cuchero tabarçeth e d'acqua rosa; e s'elli l'àe acostumato, sì bea vino ma meno ke non suole, il quale sia più innacquato che non suole e 'l letto sia più morbido che dinanti e più dorma che non suole. E se dipo queste cose rimane alcuna cosa de la fatica o de la lasseza, sì ssi dee ritornare al bagno e a tucto il regimento ke noi dicemmo dinançi, tanto k'elli sia come solea essere. E se questa febbre aviene per molto veghiare o per molta solicitudine, da che 'l male comincerà a menomare, si entri nel bagno. E sia il luogo del bangno kente noi dicemo di sopra e nolli si dea ad manichare, ma acqua tiepida propiamente sopra 'l suo capo si gitti e si notrichi coi cibi somillianti a quelli ke noi abbiamo detti. E s'elli è acostumato di bere vino, sì ssi prenda kon misura e si diparta di questa solicitudine mettendo in altre parole d'alcuna letitia o d'alcuno giuocho, odori olio violato e dorma in luoghi ove sieno buoni odori e in letto morbido. E se questa febbre si fae per cagione di molta ira e di molta tristitia, quando ella comincerà a menomare, sì entri nel bagno et entri ne la tina piena d'acqua calda, ne la quale si diletti, e a llui, stando ne la casa del bagnio, se ne gitti con grande abondanza. Et elli stea nel luogho del bagno, ove freddo né vento no 'l tocchi, o elli stea ne la prima casa del bagno ne la quale elli sia lunghamente ke la cotenna e la buccia ramolischa e arossi um pocho, e poscia entri subitamente ne l'acqua fredda e n'esca fuori incontanente. E quando elli ne fie uscito, sì lli si gitti in sul capo de l'acqua rosa e 'l pecto si lenisca e ungha coi sandali, ko la camphora e co l'acqua rosa. E bea il sugo de le melegrane muze, cioè acetose e dolci, e simillianti beveragi, sì come il beveragio (overo rob) ke ssi fa de ribes e di mele matiane e de l'acetosità del cederno, e si notrichi coi kamangiari freddi e coll'aceto, e olio confetto con çuchero, e olio di mandorle. E dal vino s'astengha di tucto in tucto se non avesse troppo grande nocimento, e se 'l n'avesse, sì ssi mescoli col sugho de le melegrane e si rafreddi sopra la neve, o de l'acqua fredda bea spesse volte. E quando elli avrà bevuto il vino, si manuchi le melegrane dolci lavate ne l'acqua fredda, e poscia li s'inaffi adosso l'acqua rosa, e si ingengni, quanto huomo puote, il più ke la sua ira s'apacifichi e si mitighi. E quando questa febbre sopravenisse per molto vino o perk'elli fosse potente e puro, sì ssi debbono dare a lo 'nfermo alcuna cosa de' beveragi sempici ke noi nominamo, cioè sanç'altro mescolamento o sança mescolamento d'altra cosa, mescolati con acqua freddissima, de' quali nom bea impetuosamente ma a poco a pocho. E quando questa febre fie alentata, entri nel bagno nel qual faccia dimoranza stando in casa temperata, sì come noi mostrammo, e molta acqua si gitti sopra 'l suo capo; e si notrichi col capsil, e adesya gialla rafreddati, e ko le somillianti cose fredde, mescolati col sugo de le melegrane e de ribes e sugho d'uve acerbe e coi pesci, i quali sono kiamati ezie, cotti coll'aceto; e odori l'olio violato e dorma lungamente. E quando elli fie isvelliato, sì rientri nel bagno e regha al predetto regimento e dal vino s'astengha del tucto e bea rob di frutti. E se nel capo è graveza e nelli occhi rossore e stendimento, sangue si scemi de vena e con ventose, e 'l suo reggimento sia tucto kente noi abiamo detto, e 'l ventre si solva coi sughi de' frutti. E quando alcuno àe questa febbre per cagione di fare (o andare) troppo lungo dimoro al sole e al caldo, sì ssi prenda d'acqua rosa una parte, e olio rosato parte meza, e aceto la quarta d'una parte, e mettano in una ampolla di vetro, e tanto si dibatano insieme ke diventino spessi. E di queste cose raffredate ne la neve se ne gitti sul capo a poco a poco, e panno molle in queste cose si rafreddi poscia ne la neve, e dal cominciamento de l'acessione infino a la quiete e riposo si pongha in sul capo. E poi ke la febbre fia andata via, lo 'nfermo entri nel bagno e sia i· lluogho temperato, sì come noi abbiamo detto, ove l'acqua tiepida sopra tucta la sua persona e magiormente sopra 'l capo si gitti, e bea il grano infranto kotto ne l'acqua, il quale sia molte volte lavato coll'aqua calda, il quale poi che ffie molto cotto, sì ssi mescoli con molta acqua raffredata ne la neve, de la quale lo 'mfermo prenda tanto ke ssi satolli. E quando la febre fie andata via, sì ssi notrichi coi cibi che noi abbiamo detti. E quando alcuno àe questa febbre per kagione k'elli è molto stato all'aria fredda, tutto il suo corpo si dee stropicciare dal cominciamento de la febbre infino k'ella fia andata via, ma non troppo aspramente. E quando la febre fia andata via, sì ssi notrichi koi cibi ke noi abiamo detti et entri ne la casa del bagno kalda, ne la quale dimori lunghamente tanto ke 'l sudore escha fuori; e poi ke 'l sudore fie uscito fuori, sì ssi ungha coll'olio tiepido sança strupiciare, tanto ke molto sudore escha fuori; e poscia si lavi coll'acqua calda, e si vesta, e si n'esca fuori, e tanto dorma k'elli sudi un'altra volta; e poi manuchi e prenda cibi subtili, de' quali elli prenda kon misura di quelli che ssono lievi e agevoli a smaltire, e bea vino possente e forte. E s'elli rimarrà o ritornerà alcuna cosa de la febbre e del rompimento, sì dee ritornare al bagno e in tucto il regimento ke noi abbiamo detto. E se alcuno avrae questa febbre per kagione d'acque naturalmente kalde, se quelle acque sono cotali per mescolamento d'açeçi, o di sale, o di ferro, o d'altre cose, le quali solliono inasprire la superficie del corpo e, kontrahendo, rughare e increspare, con similliante regimento si dee reggere kol quale si regono koloro ke ll'ànno per freddo. Ma conviene ke il luogo del bagno ne la casa calda, ne la quale questi sta, sia temperata a la sua porta, e sia la porta de la casa seconda dinançi a la sua faccia aperta, e sopra llui si gitti acqua calda, et entrivi entro, e ungasi koll'olio, e si gitti dell'acqua calda ancora sopra lui, et entrivi ancora dentro, e stropicisi molto per partire, tanto ke i pori s'aprano e 'l corpo e la carne kominci a enfiare e a ingrossare, e la febbre vada via, e la carne diventi rossa. E poi che questo fie facto, sì n'escha fuori, dorma vestito coi panni suoi, e poscia si notrichi con quelle cose ke noi dicemo. E quando a alcuno aviene questa febbre per kagione di mangiare cibi troppo kaldi, konviene, poi che la febbre sia andata via, k'elli bea molto de l'acqua de l'orço, il cui nodrimento sia cibo kondito kon aceto da ke la febbre fia andata via, nel quale non sia carne. E conviensi ingengnare kome 'l suo ventre si possa solvere colle susine, e coi tamarindi, e kon zuchero tabarçet, e bea sciroppo acetoso semplice di zuchero, e manuchi le melegrane muçe e acetose, e tucte l'altre mele somillianti a queste, e si abstenga da tutti li altri cibi ke riscaldano il corpo. E propiamente questa febbre è quella ke aviene per bere forte vino. Ambendue queste si mutano tosto in febbre putrida. E quando alcuno à questa febbre, impercioe k'elli mangioe più che non solea e perciò ch'elli prese cibo di grande nodrimento e di grosso notrimento, imperciò ke questa spetie d'effimera e· più di volte è di sì grande durata k'ella paia ke ssia sinocchus (cioè quella spetie putrida di sangue), non si dee aspettare tanto ke la febbre si diparta, ançi il corpo de lo 'nfermo incontanente, sì come noi dicemmo, si dee solvere kol sugho de' fructi, e si dea a bere il sciroppo acetoso, e si dee nodrire lo 'mfermo tanto solamente de la tipsana de l'acqua de l'orço. Ma poi che la febbre si comincia ad alleviare, sì ssi dee lo 'nfermo mettere um poco nel bagno, nel quale non dimori molto lungamente, e sia ne l'acqua tiepida e li si ne gitti adosso, il cui corpo si conviene strupiciare lunghamente kolla cruscha; e poscia si dee lavare ko l'acqua, e così torni al suo regimento, e poscia entri lo 'nfermo nel bagno nel quale stea lunghamente più che non fece dinançi, e più si bagni secondo ke l'huomo vedrà ke la febbre sia menomata. Ma nel cominciamento di questa febbre non si dee entrare nel bagno sança grande senno e grande riguardo e dee guardare ke quando elli v'è dentro, elli non vi duri faticha e ke non vi si riscaldi dentro. E s'elli aviene cosa k'elli v'abbia dentro oripilatione o riprezi, incontanente se ne conviene trare fuori, la quale cosa si dee observare in tucti coloro ne' quali, dipo la febbre effimera, nel bagno aviene questa cotale oripilatione o ripreçi, imperciò ke questo cotale accidente mostra che no à effimera, ançi putrida. E di quelle cose, per le quali, sança neuna dottança, singularmente si puote cognoscere le febbre effimera ko ll'altre significationi ke noi dicemo dinançi, sì è che quando lo 'nfermo si bagna nolli sopravengha oripilaitone o ripreçi. E quando la spetie di questa cotale effimera fie congnosciuta, e 'l ventre fie solvuto, e l'orina fia provocata, e 'l notricamento fia subtilliato, e l'ordine d'entrare nel bagno secondo il menomamento de la febbre fie observato in tal maniera, e sì bene si sederà e andrà via ke in neuna maniera non si muterae in febbre putrida. E se nel regimento si farà errore, si passerà e si muterà in febbre putrida, la quale fie aguta, cioè in febre di sangue continua. E se alcuno àe questa febre per kagione di mangiare o d'avere mangiato in uno manichare alcuna cosa per la quale elli si cominci ad agravare, se quella cotale graveza si senta ne le parti de lo stomacho di sopra, si renda per boccha, e se ssi sente quella graveza ne le parti dello stomacho di sotto, sì lli si metta una cura di sotto (overo sopposta). E quando 'l male komincerae a menomare, sì ssi bagni e faciasi dormire più ke non suole, e 'l notricamento si sotigli, e s'astengha per alquanti die da la faticha, e si faccia muovere kon alcuni cibi ke fanno um poco uscire, cioè di quelli cotali ke noi nominammo in questo libro quando noi tractammo del regimento e de la guardia de la santade. E colui al quale aviene questa febbre per cagione d'apostema che ssi fa inn alcuno de' membri, sì gli si dee iscemare sangue della parte contradia e quello apostema sì ssi dee raffreddare secondo ke noi dicemmo nel capitolo del caldo apostema. E i· neuna maniera non entri in bagno, e nom bea vino infino a tanto ke quello apostema fia sedato e 'l suo fuoco e ardore sia spento, e 'l ventre si solva e 'l calore si spengha sì come noi insegnammo, e si notrichi coi cibi che raffreddino. E quando alcuno àe questa febbre per kagione di dollia ke avengha in alcuno de' membri, sì ssi conviene considerare ke ssia la cagione della dollia. S'elli è apostema caldo o grossa ventositade o homore mordichativo, overo perk'elli abbia molto manicato, o seckeza che segnoregia a quello cotale membro o in quello cotale luogho, o mala complexione kalda o fredda semplice, o ko materia, a quella cotale cagione a levarla e mandarla via si dee di tucto in tucto intendere secondo ke noi insegnamo nel capitolo de le cagioni de' dolori e de le dollie e de' loro medicamenti, imperciò ke la febbre immantanente andrae via quando la cagione fie levata. E quando la febbre si fia dipartita, lo 'nfermo si bagni legiermente e agevolmente e si nodrisca koi cibi de' quali noi facemmo mentione. E colui a cui aviene questa febbre imperciò k'elli àe lasciato l'uso di bagnarsi secondo k'era acostumato, sì ssi dee mettere nel bagno tanto ke la febbre allenti o vada via, ove molta acqua dolce tiepida li si dee gittare adosso e si de' fregare e stropiciare lungamente kolla cruscha e col seme de' melloni e con um pocho di nitro, e poscia n'escha fuori, e si notrichi koi cibi che ànno a spegnere il calore, e bea vino kiaro biancho molto inacquato, e poscia la mattina vada al bagno, e poi n'esca fuori, e poi ritorni a la sua costuma e a le cose usate e acostumate. E quelli che à questa febbre imperciò k'elli àe sofferto grande fame o sete, e s'elli l'àe assalito solamente dollia e lasseza e rompimento, ançi ke la febbre sia comfirmata in lui sì lli è da dare grano infranto lavato in molta acqua e cotto e raffreddato ne la neve e çuchero tabarzet. E s'elli non si truova se nom poi ch'ella febbre è in lui confermata, si lli dee comandare di bere spesse volte de l'acqua fredda a poco a pocho, tanto ke la febbre allenti. E poscia per alquanto tempo si dee mettere ne l'acqua tiepida e acqua li si dee gittare adosso tale ke per la sua fredeza non n'abia neuno male. E poscia abbia la tipsana e se notrichi coi cibi ke abbiano a humentare e ramollire, e bea vino bianco kiaro, e si guardi da la faticha tanto k'elli sia bene guerito. E quando alcuno àe questa febbre per kagione di rema ke lli adviene, sì lli si dee scemare sangue, advenga ke ssia picolo tempo ke lli si sia scemato sangue; e ancora se elgli nom puote sofferire ke lli si scemi sangue di vena, sì gli si scemi sangue ko le ventose, e sì s'astengha da la carne e dal vino, e bea l'acqua de l'orço, e 'l ventre si solva kon quelle cose ke noi nominanmo nel capitolo de la coriza, cioè de la rema ke esce per lo naso, e 'l suo petto si mollifichi e la tossa sedi o si quieti, secondo ke noi insengnamo ivi. E quando elli fie guerito e la rema fie digesta e matura, e la tossa fie sedata e riposata, e la febbre fie andata via, sì ssi dee mettere nel bagno e ordinatamente a le cose adcostumate a pocho a pocho si dee seminare. E 'l medicamento di questa febre non si dee mettere al non chalere, imperciò ke per lei spesse volte diviene huomo pleuretico, cioè li aviene apostema nel costado o nel diafragma. Ma colui che à questa febbre per kagione di fastidio, e queste febbri solliono assalire quando i ructi fieno fumosi e puçolenti, e apena avengono quando i ructi sono acetosi, e se 'l ventre poscia si muove per sé, non àe mistiere d'altro medicamento se non k'elli, sugando, mandi giuso um pocho d'acqua kalda, e si bagni, e si notrichi koi cibi che rafredano, i quali né troppo tosto non si corrompono, né non si convertiscono, sì come sono quelle cose ke ssi fanno e si aparechiano kol sugo de l'uve acerbe, e kol sumach, e co le granella de le melegrane, e co le somillianti cose, e bea quelle cose ke ssi truovano somillianti, e s'astengha da la faticha e da stare troppo al sole e da avere uso con femina. E se il ventre per sé non si movesse, sì ssi dee solvere e muovere kolle medicine ke noi nominamo nel capitolo de la guardia de la sentade. E se questa febbre sopraviene ad alcuno nel cui stomacho si contiene alcuna cosa ke ssi possa regittare, sì bea de l'acqua calda e 'l rigipti con essa. E se ssi sente graveza ne le parti del ventre di sotto, sì lli si metta di sotto alcuna cura o ssoposta. E quando il ventre fia mundificato secondo ke ssi conviene, e con questo non sente nel ventre né fumosi rutti, né gravitade, né mordicatione e rodimento, né nausca e abominatione, sì ssi dee lo 'mfermo bagnare e nodrire e reggere con quello medesimo regimento ke noi abbiamo detto. E a colui a cui adviene febbre per cagione ke ssia troppo andato ad sella, sì ssi dee medicare kon quelle cose ke noi nominamo nel suo capitolo. E quando questa febbre fia andata via o menomata, sì ssi dee mettere nel bagno e si dee nodrire kon quelle cose ke noi abbiamo nominate in questo luogho. E sono ancora delli homini ke spesse volte manucano cibi di molto nodrimento, sì come sono carni grosse e gravi, e polte molto spesse, e frumento molto cotto, e vino grosso, perké elli cagiono in questa febbre. Per la quale cosa questi cotali si debbon guardare dai grossi cibi e da lloro troppo uso, e si debbono nodrire ko la carne de' polli e de' cavretti, e debbono bere sciroppo acetoso e del vino k'è bianco, e subtile, e kiaro, e ke puote passare im profondo. E colui che à male de le predette cose, sì dee usare exercitio e faticha ançi k'elli manuchi e dee assiduare la solutione del ventre e la flebotomia. E s'elli queste cose metterà in neghienza, sì cadrà in febri acute e pessime. E sono ancora di quelli huomini i quali quando sofferano faticha o veghiano troppo, o ke 'l manicare tarda più ke non suole, o si nodrisce di nodrimenti sottili e secchi, sì divengono a questa febbre. Per la quale cosa l'uhuomo di questa cotale generatione di queste cose si dee abstenere. E quando la febre l'avesse assalito, sì lli si dee soccorrere incontanente kon quelle cose ke ànno il corpo a humentare, imperciò ke sse queste cose fieno messe i· negligentia quello cotale o quelli cotali cadranno in eticha.
L. X, cap. 2 rubr.Capitolo secondo. De la febbre eticha.
L. X, cap. 2Quando la febre dimora altrui adosso tre die o più, e non si moverà, né 'l suo calore né 'l suo ardore fie forte, né lli acidenti ke ssolliono acompagnare le febri acute fieno co llei (sì com'è grandeza di polso o caldeza, e grande afa e angoscia, e seccheza e asciuteza di lingua e nerezza); e s'ella persevera in questa maniera e non si puote cognoscere i· llei k'ella lasci neuna volta né interpolamento o rriposo, e ancora sanza questo ella si truova lenta e quasi tiepida, sì ssi giudicha d'essere febbre ethica. E questo si puote sapere in questa maniera: komandisi a lo 'nfermo k'elli manuchi in diverse hore, e se elli si truova ke sempre dipo manichare la febbre sia più forte, sança dotta ella è febbre ethica. E se con questo la facia sua pare già crespa e viçça, e li occhi concavati in capo, e dimagrato molto, e la buccia e la pelle sua disecchata, l'etica già non è solamente nel cominciamento, ançi è gia in lui confermata, e àe giae operato in lui, et è già grande peza k'elli l'à avuta. E questa cotale febre nel suo cominciamento, e ançi k'ella sia pervenuta a quella seccheza o a tisicheza, è da guerire. E huomo dee cognoscere i segnali de la tisicheza, e se l'huomo àe fidança di potere guerire lo 'nfermo sì se ne trametta. E noi diciamo che colui che passa de l'eticha ne la tisicheçça le tempie sue diventano molto piane, e li occhi diventano kavi, e li orecchi si sotilliano, e la faccia isfigurata, e li orecchi menomano e si sottilliano, e la buccia e la chotenna del volto e de la fronte si fa tesa, sì kome fosse kuoio seccato sopra l'ossa de la faccia, e tucto il corpo è somilliantemente ignudo di carne, e ancora il collo diventa sottile, e 'l nodo de la gola tende in fuori; e quando huomo puote vedere o tocchare l'ossa del pecto, e ciascuno di quelle cotali ossa si puote discernere e notare ko le sue stremitadi, e a la perfine né 'l suo corpo non pare se non un cuoio e le sue ossa; e àe la boce sottile e debole; e la virtude pare tucta distructa; e 'l polso subtile e debole e con questo ancora duro; e le corde apaiono manofestamente, imperciò ke la carne è tucta distructa e 'l ventre somilliantemente, e con questo le vene vòte di sangue, e la loro voteza non potrebbe tenere molto; e la belleza e la kiarezza del tucto in tucto è andata via, overo ke la carne è disecchata e la sua buccia è somiliante a quella di coloro ke ssono molto vechi, e 'l suo corpo è sotilliato e dilatato, tanto ke pare k'elli sia apiccato kolle costi e co le reni, e che non vi sia entro neente; e 'l mirach del ventre diviene sì subtile ke nom paia ke ssia se non un cuoio, e sança questo si spasma e contrae, e l'ossa de le giunture de le mani appaiono molto; e quando ' alcuno di questi cotali i capelli cagiono e solutione di corpo li viene, allotta la morte li è presso. E quando il corpo fie venuto al termine di questa seccheça e deboleza, giamai non potrae né guerire né milliorare. Ma quando le relique e rimanenti di carne e di sangue e di belleça e di virtude in lui si truovano ancora, e quello ke in lui aparrà de le predette rei significationi no è molto forte né confermato, sì ssi puote guerire, e a la sua dispositione tornare se elli è sovenuto sì come si conviene quando troppa magreza, né troppa deboleza non vi fie, né non sia troppo grande spazio k'elli ebbe male, e ke de' segni de l'etica non apare altra cosa se non k'elli àe febbre lenta ke à già perseverato per alquanti dì, e ke con essa è um pocho di secheza e di magreza, imperciò ke questo cotale infermo tosto guerisce, se piace a Dio. E ' colui che à questa cotale febbre nel chominciamento li si dee dare l'acqua de l'orço, e poi k'ella fie discesa de lo stomacho, sì ssi dee notricare coi pesci ke ssono kiamati ezie, arostiti sopra la brascia e ne lo schedone e coi kamangiari freddi, sì come di porcellana, e di latugha, e di çuccha, e di cocomeri, e di cederni. E questo cotale infermo ogne die, ançi k'elli manuchi, dee entrare nel bagno ov'elli stea in luogho ke kaldo nolli possa nuocere. E per alquanto spatio si dee mettere ne l'acqua tiepida, e poscia si dee ugnere coll'olio violato, e la casa ne la quale elli starà sia tale ne la quale l'aria sia fredda e humida, e 'l suo spaço sia coperto d'erbe fredde e humide, e 'n sul petto suo sì ssi pongano panni mollati nell'acqua rosa raffreddata ne la neve, ne la quale sandali e champhora sieno disolvuti. La quale cosa tanto si conviene fare ke llo 'nfermo senta ke la fredeza sia passata a la profunditade de la magior parte del suo corpo. E se per questa cagione li vengha oripilatione e riprezi, e poscia si riscaldi, sì ssi faciano um poco tiepidi, e poscia li si pongano sul petto. La quale cosa allotta si conviene fare quando lo stomacho fie alleviato e 'l cibo fie disceso giuso. E ancora ançi k'elli manuchi, e quando quelli panni fieno um poco fatti tiepidi, sì ssi volliono mutare, la quale cosa si vuole tanto fare e non si ne lievino infino ke elli fieno molto disecchati o riscaldati. E li si debbono dare a bere l'olio violato e l'olio del seme delle zucche, e 'l lecto sia più morbido ke non suole, e dorma il più lunghamente ke puote; e dal veghiare e da la sollicitudine e pensieri, e dal movimento e faticha, e dall'uso de la femina, e da stare ne' luoghi caldi e secchi, e da la fame s'astengha. E se con questa febre fie nocimento e acuitade e ardore, sì lli dèno a bere ongne die, all'ora di matutino, i trocisci de la camphora, e quando il sole fie levato, sì bea de l'acqua de l'orço. E ne l'acqua ke dovrae bere la notte sì ssi mescoli juleph co la mucillagine del psillio, e non si conviene cessare ançi importunamente si dee rafreddare, e 'l pecto si dee raffreddare kolli epithimi freddi e coi camangiari freddi eppithimandolne. E 'l suo cibo nolli si dee dare a una volta tanto quanto àe mestiere, ançi si conviene partire o trapermolte volte e maggiormente s'egli è state, del quale cibo lo 'nfermo non dee prendere a una volta tanto quanto à mistiere, e si guardi ke non manuchi tanto a una volta quanto elli à mistiere. E de l'acqua fredda prenda e bea a poco a pocho, e i· neuna maniera non sofferi né fame né sete, e si sceveri di tucto in tucto da tucte quelle cose ke riscaldano e disecano. E quando l'eticha fia già giudicata, e la seccheza e 'l menomamento de la carne già aparrà manofestamente, ma non ancora al termine (secondo il quale noi dicemo k'ella no era da guerire) pervenuto, lo 'mfermo si dee regere con quello medesimo regimento kol quale il predetto fue recto; e conviene ke ssopr'essa huomo v'intenda assiduamente ' spesse volte, e si metta nel bagno e ne la tina il die due volte o tre, ov'elli disponga d'essere in tale luogo ove kaldo in neuna maniera no 'l possa tocchare e nolli possa nuocere, né oripilatione assalire o riprezo di freddo, e non volliamo i· neuna maniera k'elli entri ne la stufa, o nel bangno, se non quando noi nom possiamo trovare tina (o bigoncia) da bagnare o acqua gittare sopra llui, sì che oripilatione o reprezi non l'asaliscano. E sudare e atrare l'aria calda li è pigiore ke neuna cosa. E quelli ke à questa febbre sì ssi metta nel bagno e ne la tina. E poi che ffie passato lo spatio di due hore k'elli avrae bevuto l'acqua e la dicotione de l'orço, e quando elli esce fuori de la tina, overo de la biconcia, sì ssi ungha coll'olio violato. E quando il ventre fie alleviato dall'acqua de l'orço e nel rupto non fie rimaso neuno sapore, sì ssi meni ancora al bagno in tale maniera ke, in andando, elli non si affatichi. E poscia si metta ne la tina e si gitti sopra llui dell'aqua tiepida, tanto ke la carne sua cominci uno poco a ingrossare e ad arossare. E poscia entri a una volta ne l'acqua fredda, da la cui freddeza tuctavia non ricevi male né nocimento. E poscia il suo corpo koll'olio violato e simillianti olii s'ungha, e tuctavia si bagni più l'un die ke ll'altro. E quando elli n'è fuori uscito kon quelle cose e cibi ke noi dicemo, e secondo quella mesura che noi dicemmo, si cibi e giacia ne le cose bene oglienti, ne le quali sia l'aria fredda. E dinançi da llui sì ssi pongano panni mollati ne l'acqua fredda e grandi scodella o vasella ne sieno piene, e dinançi da llui si spandano le foglie de le viti, e de' salci, e de le rose, e de le viuole, e del sisembro, e di somillianti erbe. E nel tempo del verno non sia ne la sua casa fuochofummo, ançi atragha l'aria fredda, imperciò ke questo è il suo magiore medicamento, imperciò ke per questo e' si conserva, sì che non si conviene empiastri né epitimi, i quali noi dicemmo porre di fuori a conservare o ab substentare il cuore. E koi panni kaldi e lievi si cuopra e magiormente il capo, acciò ke rema non li sopravengna, e l'estremitadi si stendano o si priemano lievemente, e lo 'nfermo odori olio di çucche mescolato coll'olio di neufar, e dorma lungamente. E se lo spatio del die fie grande et elli si vollia anche bagnare, ançi ch'elli manuchi e ceni, sì 'l faccia imperciò che lli giova. E se non si manuchi, e non entri nel bagno e dorma lungamente, e s'egli è molto magro e molto seccho, sì lli si mungha adosso il lacte de la capra, e si ungha coll'olio, e um poco de l'acqua ke è ne la tina (overo ne la bigoncia) si mescoli con esso. E quando elli fia uscito de la tina (o de la bigoncia) koll'olio de le viuole de le çuche o del neufar s'ungha. E se l'acuitade ne la caldeza no è forte, sì bea vino bianco e sottile molto inacquato ko l'acqua fredda, ma sse l'acuitade è manofesta, sì li si dea juleph di çuchero koll'acqua fredda. E si conviene molto guardare ke 'l suo ventre non si muova troppo, e se ssi movesse troppo, sì ssi conviene incontanente ristrignere. E a questo cotale giova molto il lacte de le vacche giovani (del quale il bituro è tracto novellamente) s'elli fie acetoso. E se 'l caldo fie forte, sì li si dee dare a bere l'acqua de l'orço. E s'elli uscisse troppo, sì la prenda co le tortelle e con quello ke noi abbiamo detto, sì è ancora mestiere ke ss'abbia grande studio in raffredare il calore e in ispegnerlo. E quando l'orina di questo cotale fie di colore d'olio, o ne le parti di sopra dell'orina aparranno kotali granelle macinate unctuose o pezuoli di carne simillianti a' peli, quasi fosser sì come cruscha, allora dee l'uhuomo intendere il più che l'huomo puote nel suo reggimento. E se alcuno ke avesse questa infertade fosse molto magro, né in lui non fosse molto kalore, sì lli dea a bere il lacte caldo, sì com'elli si trae de le poppe incontanente, e s'elli manucha kon esso minuçoli o brisce di pane, sì lli giova. E a questo il lacte dell'asina è milliore di tucti li altri lacti, e dipo questo quello de la vaccha e de la capra. E nel lacte ricente si debbono observare due cose, cioè a ssapere k'elli ne lo stomacho non diventi kascio e non si convertischa. E il lacte ke noi abiamo detto, quando fie ne lo stomacho, non si farà cascio se non molto rade volte, il quale giamai non si farà cascio nello stomacho, se ssi mescola con esso um poco di çuchero. E quando huomo vuole guardare lo 'nfermo ke 'l lacte non si konvertischa, konsideri la sua dispositione in caldeza tocchandolo ogne die, e com'elli atrae l'aria attenda, e riguardi il suo polso, e l'orina, e la quantitade de la sua sete. E s'elli truova tucte queste cose magiori ke non erano dinançi, ançi k'elli bevesse il lacte, e sia molto cresciuta, sì ssi conviene abstenere dal predetto lacte, e li si dovrà dare il lacte acetoso sanza biturio, e l'acqua de l'orzo a bere, e i trocisci de spodio, o somillianti cose. E se 'l ventre è troppo stretto, sì ssi dovrà solvere ko la dicotione de le susine e co la manna, la qual cosa si conviene tanto fare ke i predetti accidenti si dipartano; e quando elli fieno andati via, sì lli si dee komandare k'elli torni a prendere il lacte. E questa è la cura e 'l medicamento ke ssi conviene fare a coloro ke ànno ethica. E dapoi che quelli che ffieno ethichi fieno a questo venuti ke ll'ossa de le mani manofestamente apaiono, e 'l polso difalli, e 'l mirach del ventre sia quasi apicato co le costi, e tucti i suoi ossi manofestamente si veghano e subtili, non si conviene affaticare il loro guerire, ma che elli si substentino in qualeke maniera, cioè koi nodrimenti ke tosto passano, e di buoni odori. E la carne de' polli si vuole prendere e dêsi talliare in picoli morselli e se ne dee trare fuori il sugo kon poco sale, secondo ke ss'è usato di trare il sugho dall'altra carne, o elli si faccia de la carne del cavretto, cioè de la carne rossa ke ssi truova nel collo del cavretto. E poscia a questo cotale sugho sì ssi mescoli um poco del sugho de le mele cotogne, e um poco di vino, o li si mescoli la tortella bene trita, e così si bea e sughi. E le kamisce, vesta ancora tinte di sandali o col moscado s'elli non li fanno dollia di capo. E dinançi da lloro sì ssi facia suffomigio kol legno alloe, e dinançi da lloro e intorno loro si ponghano le cose ollienti e le confetioni odorifere, e s'inaffi sopra lloro dell'acqua rosa, e odorino i cibi ke abbiano li odori dilettevoli e disiderevoli, sì com'è il cibo facto de la carne del feghato e del polmone minutamente talgliata e poscia cotta ne la padella koll'olio, e coll'aceto, e col gruogo, e coll'uova, e budella piene di carne talliata minutamente e rusaboc. E i polli si debbono arostire, e dinançi a la loro faccia si debbono talliare de le pettora, de' quali la carne, masticando solamente il sugho, mandino giuso, e la carne sputino fuori, e somilliantemente se fieno deboli. E se alcuno di loro fie um poco più forte, i polli si cuocano koll'acqua e col sale, i petti de' quali primieramente pesti e spremuti insieme col brodetto, e quello sugho condito kol coriandro, e con um poco di cennamo, e col vino, e co le tortelle mescolato li si dea. E uno de' vecchi medici rakontoe k'elli avea veduto un giovane e molti fanciulli i quali, poi ch'elli in ethica febbre ierano venuti a questa dispositione, guerirono; ma io questo no vidi anke e non credo ke ssia, e magiormente poi k'elli avesse passato l'etade puerile. Confectione di trocisci di champhora, i quali conciosiacosak'elli abbiano a rafreddare il cuore, e 'l fegato, e 'l petto, sì giova molto a l'eticha ke è con ardore. Recipe: rose vermillie dr. .x., spodio biancho ke ssia gran pezo e seme di cokomero ana dr. .v., seme di lattugha dr. .viiij., seme di porcellana dr. .vj., seme di scariuola dr. .ij., seme di zuccha dolce dr. .vj., manna dr. .x., camphora dr. 1/2; e di tucte queste cose kosparte kolla mucillagine del psillio s'informino trocisci de' quali ciascuno pesi dr. .ij. E se 'l ventre è troppo solubile, sì lli si dea di questi altri trocisci di spodio ke ssono kostrettivi, de' quali questa è la confectione. Recipe: la polvere de le rose rosse e spodio bianco ana dr. .v.; bolo armenicho, gumo arabico ana dr. .ij.; sugho di berberi e sunmach ana dr. .iij.; seme d'acetosa scortichata dr. .iij.; balaustie dr. .j. e 1/2; seme di coriandro infuso in aceto e poscia arostito dr. .ij.; e se ne faciano trocisci de' quali ciascuno pesi dr. .ij., de' quali si pigli la mattina uno e l'altro quando il sole fie tramonto kon rob semplice di mele cotongne, o di granate, o de ribes.
L. X, cap. 3 rubr.Capitolo .iij. De la febbre terçana.
L. X, cap. 3Il cominciamento di questa febbre aviene con forte rigore e quasi pugnimento per le carni, e com poco freddo, e non dura quello cotale freddo sì come nell'altre febbri; e questo aviene imperciò ke llo 'nfermo si rischalda molto tosto, e si riscalda sì fortemente ke sse 'l corpo de lo 'nfermo si toccha, la mano sente la puntura del calore. E aviene molte volte ke lo 'mfermo, nello stato di questa febbre e ne la sua fine, parli vanamente, e magiormente se elli fia di calda complexione. E più di volte in questa febbre sopraviene a lo 'mfermo nauscha e vollia di reddere, e ambascia, e vomito collerico. E 'l polso ne lo stato di questa febbre si truova grande e racto e spesso, ma igualmente. E l'urina in colore à colore di fuocho, ma secondo substantia no è spessa, ma ella àe reo odore per cagione de la putrefatione. E questa febre sopraviene a coloro ke ànno la complexione kalda e seccha, ke abbiano sofferto molta faticha, e molto veghiato, e digiunato, overo k'elli abbiano preso di quelle cose ke nodriscono ke ànno a risscaldare, e ke abbiano bevuto vino forte e vechio, e se le regioni o i tempi sieno distemperati in caldeza. E ancora questa febbre non tiene lo 'mfermo oltra .xij. ore, ançi va via e si parte im più revolutioni (paroxismi) dipo lle .viij. ore. E quando viene l'ora ch'ella si dee dipartire, sì ssi parte con sudore e 'l polso dimora tucto netto de la febbre. Dunque, quando questi cotali accidenti si truovano colla febbre, o più di questi, sì è da ssapere ke quella cotale febbre è febbre terzana, quasi sì come tue l'avessi un die venire e ll'altra noe. E quando lo 'mfermo cosie disposto si truova forte e sia lungho tempo k'elli non fue purghato, dr. .x. di mirabolani citrini steano in molle nell'acqua bolliente uno die e una notte, e poscia si stropiccino kolle mani e si colino, ai quali si mescolino dr. .xx. di manna, e si dieno a bere la mattina, e di scamonea ricente d'Antioccia buona la quarta parte d'una dr. si disolva in tanto julepp e acqua ke ssi possano bere a una volta, e sì gli si dia a bere tanto ke ssi muova fortemente. E quando questo fia facto o lla febbre non tornerà più, o ella fia più lieve e più debole, e poscia si dee reggere di tucto quello regimento che noi dicemmo. E se lo 'mfermo fie dilicato o debole, e 'l tempo sia state, sì ssi pillino ongne sera dr. .x. di tamerindi e .xx. susine grosse e secche, e si cuocano in tre libre d'acqua tanto k'elle si disfaciano, e poscia strupiciate con mano si colino, e com questa colatura si mescoli dr. .x. di çuchero tabarzet, e 'l pigli e bea ançi che dorma; e quando elli fie facto die e 'l sole si comincerà a llevare, sì bea de l'acqua de l'orço in grande quantitade, e stea in luogo bene quieto, tanto ke 'l cibo si cuocha, e poi si nodrischa koi camangiari freddi e musagarach, ne' quali è amaro sapore, e s'astengha da' cibi ne' quali è carne, e manucha la midolla del cocomero e del cederno; e del sugho de la çuccha nel suo tempo bea, e del sugho del mellone saracinesco, cioè popone, e bea l'acqua col julep, e 'l siroppo acetoso bene temperato kon acqua. E 'l modo di raffreddare e di spegnere s'oservi, secondo ke 'l caldo de la febbre fie grande. E se 'l corpo si muove il die una volta o due o tre per sé medesimo, la dicotione de le susine non si dee dare, ma coll'altre cose si dee reggere. E i· lluogo de la dicotione de le susine il sugho de le melegrane muze si dee dare colla mucillagine del psillio; e in sul fegato la notte, quando il ventre è vòto dai cibi, si dee porre panno bagnato con sandali e acqua rosa. E sia lungho tempo entra il tempo ke lla febbre pillia e 'l manicare, cioè a ssapere ke manuchi per due o per tre ore ançi ke lla febbre pigli, o poi ch'ella fie partita. E questo cotale infermo da tucte le cose calde si dee abstenere e la sua dimorança sia sempre in luogho freddo. E s'elli pare ke lla febbre sia con grande calore e con grande ardore, sì lli si dovrae dare del sugho del popone, de la çuccha e de' cederni colla mucillagine del psillio e colle melegrane e kol julep, e de l'acqua de l'orço si dovrae più bere. E se 'l die è lungho non nocerae se ttue li dai ancora de l'acqua de l'orço quando il sole fie tramontato. E lli si debbono dare a bbere ogne die de' trocisci di camphora col sciroppo acetoso la mattina ançi che elli prenda l'acqua de l'orço per due hore, o almeno per una hora. E quando la febbre l'avrà lasciato, né non ne fie fior rimaso, ancora per tre dì si conviene regere kon quello medesimo regimento ke facea dinançi ko la febbre, e quando quelli tre die fieno passati, sì li si dee dare karne di polli o di chavretto, e ancora si dee guardare da bagno, e da sole e vino, e poscia si dee recare a le cose acostumate ne la sua santade.
L. X, cap. 4 rubr.Capitolo .iiij. De la febbre causon.
L. X, cap. 4Questa cotale febbre è de la generatione de la terzana, ma ella è più forte ke la terçana e di magiore kalore, la quale è più forte l'uno die che ll'altro. Ma tuttavia non si diparte fiore, né in questa febre non aviene oripilaitone, né riprezi, né sudore se non quando ella si departe del tucto. Ma li altri accidenti de la terzana sono con essa, ma più forti e più vehementi, e la lingua e le labre diventano gialle o nere e aspre, e se la febre no è molto forte. E nel medicamento di questa febbre similliante regimento si conviene avere kente ne la terzana dicemmo ke ssi facesse, ma in questa febbre si conviene più studiare e magior cura avere, secondo k'ella è più forte e di magiore incendio. E a lo 'nfermo si dee dare ogne notte della dicotione de le susine e de' tamarindi ke noi dicemmo, tanto ke il ventre si muova ogne die una volta o due. E sempre li si dea la mattina trocisci di champhora, e sugho di cederni, o di cocomero saracinescho, o d'India, o tipsana, e il die absiduamente li si dea il sugho de la çuccha o de' cederni, e de la midolla del pane lavata e mescolata kol lacte dal quale il siero sia tracto kol çukero. E s'elli aviene cosa ke elli abbia poco manicato, si pilgli ancora de l'acqua de l'orço, sì come noi amaestrammo; e koll'acqua ke lli si dà, sì ssi mescoli um poco di psillio, e di quella muscillagine kol julep o col sugo de le melegrane bea. E l'aspreza della lingua si strupicci col panno lino, e poi sughi del julep kolla mucillagine del psilio, e li si dea a tenere in bocca il nocciolo de le susine, nel quale sia ancora alcuna cosa de la carnositade de la susina. E sopra 'l cuore e sopra 'l feghato si pongano panni mollati in acqua rosa in più volte. E se lo 'nfermo non avrae apostema nel corpo o ne le parti dentro, né lo stomacho, né 'l fegato non erano deboli quando elli era sano, sì bea molta acqua fredda raffredata sopra la neve. Quando il caldo è molto aceso tanto bea de l'acqua infino ke la sua faccia si faccia e diventi verde e k'elli triemi, imperciò ke 'l kalore febrile per questo si spegnerà incontanente, e poi suderae e scamperà, o elli fie pressoké guerito. E se 'l ventre si muove fortemente et escha troppo, sì li si dea l'orço infranto e lavato koll'acqua, kotto koi trocis costrettivi di spodio. E fugha il sciroppo acetoso e 'l julep di çuchero e li si dea rob sempice de le melegrane o de le mele cotongne acetose. E si dee reggere con tucte quelle cose ke noi dicemmo nel capitolo de la costrintione del ventre. E s'elli riceve lesione o male dal veghiare, o dal dolore del capo (sì com'elli si contiene ne' capitoli di questa infertade), si dee medicare. E noi in questo libro non pongnamo se no i medicamenti de le 'nfertadi sempici, per la quale cosa quando l'enfertadi fieno composte, sì ssi debbono i loro medicamenti prendere de' propii capitoli. E ancora in questa infertade e in tucte l'altre si debbono nodrire e cibare allocta quando lo 'nfermo sente alcuna alleviatione, e s'elli non sente alcuna alleviatione, si manuchi allotta quando elli solea mangiare quando egli era sano, o nell'ora quando il die è più freddo o più temperato. E ne le febbri interpolate, ke prendono e lasciano, sì è buono ch'elli manuchino più lungi da l'acessione ch'elli possono, cioè dinançi o quando la febbre fie andata via. E noi mosterremo kome il reggimento del suo nodrimento si dee observare quando noi parleremo de le 'mfertadi acute.
L. X, cap. 5 rubr.Capitolo .v. De la febre k'è dentro a le vene la quale continua per kagione di molto sangue et è detta febre almaticha.
L. X, cap. 5Quando questa febbre almaticha chomincia, sì aviene sança triemito e sança oripilatione, ma ella comincia con caldo. E con essa sono il naso e li occhi e la faccia rossi, e ambascia, e tristitia, e inquietudine, e incendio forte, e grande alito e spesso. E questi segni vanno dinançi a questa febbre ançi k'ella vengha nel corpo de lo 'nfermo: e graveça, e distensione, e pigreza, e dispositione ke risembra a llaxeza, e troppo dormire o superfluo sompno, e paçia, e stupore, e graveça di capo, e magiormente ne la fronte e ne le tempie. E le vene de la gola appaiono humide e piene, e si sente piççicore nel naso e ne le luogora ov'elli si suole porre ventose. E questa febbre aviene alli adoloscenti e giovani corpi ke ssono di buona habitudine, cioè né troppo grassi né troppo magri, e a coloro ke achostumarono di manicare molta carne o konfettioni fatte di mele, o di bere molto vino, e aviene più spesse volte di verno e ne la primavera. E quando elli si toccha il corpo di coloro ke ànno questa infertade, sì pare ke ssia somilliante a colui ke esce del bagno, o ssì come s'elli fosse molta acqua calda gittata adosso. E in questa febbre si sente il polso grande e spesso, e l'urina rossa e spessa. E quando a lo 'nfermo ne la febre questi segni aparranno, o più di loro, sì ssi conviene studiare di torre loro sangue, e dêllisene trare assai, e per questo si spegnerà questa febbre. E se nolli si soccorre ançi ke lla lingua diventi nera e sopravenghano gli accidenti, sì ssi reggha secondo ke noi dicemo ne la febbre causon. Ma in questa febre si debbono più dare quelle cose che ripriemono e atutino il sangue, cioè a ssapere il rob del sugho de l'uva acerba e de la acetositade del cederno, e ribes, e dell'aceto co le melegrane, e ancora il regimento de lo 'nfermo si de' sottilliare, e a questo si conviene intendere, e 'l molto manichare si dee lasciare stare. E se ancora alcuno infermo nel cominciamento de la 'nfertade si truova e si abbia facto torre sangue, queste cose ke noi abbiamo detto mescoli coi suoi cibi e bea acqua fredda e i trocisci di camphora. E s'elli è mestiere, sì ssi solva il ventre co la dicotione de le susine, e de' tamarindi, e çuchero, o kol sugho de le grane acetose, e ko la sua polpa, e kol çuchero trite. E poi ke la febbre fia andata via, sì ssi abstengha da la carne e da le confectioni ke ssi fanno del mèle e del vino, tanto ke lla sua santade sia confermata. E questa febbre è kontinua e non interpulata, e no è kiamata terzana, né con essa non è neuna cosa del fuoco e de l'arsura, e incendio, e acuitade, ke ssi sente ne la febbre causon, e spesse volte si muta nel causonide s'ella non si spegne nel cominciamento. E questa febbre sì àe tre spetie: l'una la quale dal suo cominciamento la sua malitia non cessa di crescere tanto ke vengha il termine, o ke lo 'nfermo muoia; e l'altra sì è ke sempre sta in una dispositione; e la terza sì è che dal suo cominciamento ogne die menoma. E quella ke cresce ogne die àe più mestiere di scemare sangue ke ll'altre. E poscia quella ke è d'uno tenore e ke sta sempre in uno modo secundariamente à mestiere di scemare sangue, advegna ke ancora ne la terza spetie se ne vollia torre, ma tuctavia quelle n'ànno magiore mestiere e magiormente quella che ssempre cresce.
L. X, cap. 6 rubr.Capitolo sexto. De la febbre ke pillia ogne die k'è kiamata flematicha.
L. X, cap. 6Questa febbre flematicha aviene con oripilatione e com puro freddo e ne le costi, e nel dosso, e ne l'estremitadi, e 'l tempo del freddo dura molto, e apena si riscalda, e apena viene a ardore e a caldo, sì com'è la terzana; ançi 'l caldo del corpo in questa febbre, secondo rateza o spesseza, viene kom prolixitade o prolungamento e faticha, imperciò ke alcuna volta si riscalda e poscia si raffredda e poscia si riscalda un'altra volta. La quale cosa, poi ke ffie facto molte volte, sì ssi manofesta il caldo, o ssi fae in tucto il corpo iguale, tuctavia, dipo grande faticha. E quando il caldo si comincia a spargere per tucto il corpo, no è né forte, né puro, né nel corpo de lo 'nfermo si sente incendio, né pugnimento sì come ne la terçana e nel causonide, né sete è kon essa, né molto forte inspiramento e atraimento d'aria. E se con essa fie vomito o ssolutione di ventre, sì ssi metono fuori li homori bianchi, e puri flematici, o con poca collera rossa. E in questa febbre pare ke la faccia sia um pocho emfiata, e 'l corpo dimagra, e la virtude apetitiva (o ke disidera) menoma. E 'l polso in questa febre, secondo ratteza e spesseza, si truova molto minore ke non fae ne la terzana; e ancora sança questo sì è diverso. E questa febbre aviene più spesse volte ai fanciulli, e a le femine, e alli enuchi, e a coloro ke ànno i corpi humidi, cioè ke ssono d'humida e di molle natura, e a coloro ke molto manuchano e pocho si vòtano e ke pocho s'affatichano e ne le regioni fredde e humide e ne' tempi humidi. E l'orina in questa febre è biancha e sottile, o rossa o spessa o torbida, e secondo più de le volte nel cominciamento e ne la prima dispositione; ma poscia tempo precedente si muta nell'altra dispositione, e il suo interpolamento né più aviene ne la fine del die presso a la nocte, e non si parte con sudore, e magiormente ne' primi die del suo cominciamento; e s'elli adviene ke ve ne sia, sì ssarà poco e viscoso. E quando la febbre si diparte le vene non si purificano del tucto in tucto dalla diversitade, né 'l corpo dall'ordura e neutralitade, ançi dimora alcuno rimasullio de la febre infino a tanto ke ll'altra adcessione sia venuta. E ancor questa febre viene ongne die, ne la quale il tempo de la molestatione è più lungho ke quello de la 'nterpolatione e quiete e fassi lungha e mansiva. La quale più di volte dimora e dura per più mesi, e sança questo ella è rea e à in sé sospetione e dottanza di morte. Dumque quando ne la febre questi segni si truovano, o i più di loro, si sappie k'ella è flematicha, e se in quello tempo e' si truova ke molti ànno questa febbre, già si puote mellio credere k'ella è flemmatica. Dunque si conviene studiare, e da la prima acessione di questa febbre si dee dare sciroppo acetoso di mèle coll'acqua tiepida a bere, e si dee confortare ke ss'elli il puote rigittare k'elli il rigitti, ma non se ne dee molto isforçare; per la quale cosa elli ne dee bere molto. E del vomito, sì come la cosa s'à, non si dee lo 'nfermo affatichare k'elli si mundifichi del tucto. E questo ke noi abbiamo detto sì ssi investighi kolla medicina ke se fae kol turbit ke ciascuna notte li si dea, la cui confeççione è questa. Recipe: turbit polverizato e staciato kol panno de la seta ke ssi kiama orale dr. .x.; mastice, gengiovo ana dr. .j.; çuchero quanto di tucte l'altre cose. E di questo li si dea a bere ciascuna notte a peso d'uno aureo, se 'l ventre intra die e notte non si muove una volta o due o più, e quando e' fia fatto die, sì lli si debbono dare dr. .v. di mirabolani, di zuchero, e incontanente dipo questo sì lli si dee dare del sciroppo acetoso di mèle colato on. .j. E ll'ora del manikare dall'ora de l'acessione si dee allungare quanto più si puote fare. E lo 'nfermo si dee nodrire koll'aceto, e coll'olio lavato, e col zuchero, e kon um pocho di menta, e koi chamangiari somillianti a questi; e si dee abstenere; e usi di manicare cose salate, le quali si fanno d'aceto e d'almuri; e usi le radici de la sicla e le sue extremitadi condite koll'aceto, e koll'olio, e koll'almuri, e senape, e coll'altre cose somillianti a queste. E così si regha lo 'mfermo per una septimana, e se la lungheza de la febbre e i suoi accidenti paiano ke menimino, e ll'ora ch'ella suole venire si ritardi, così si dee reggere. E s'ella si truova crescere e stare ferma, lo 'mfermo si muova con questo lactovario, del quale questa è la sua confectione. Recipe: turbit sano dr. .j.; sugho d'assenzo la quarta parte d'una dr.; e lla sexta parte d'una dr. de la coloquintida, agarico dr. 1/2; gerapigra dr. 1/2; e lla sexta parte d'una dr. di mastice, e si conficia kol sciroppo acetoso di mèle e si dea a lo 'mfermo, e poscia si dee tornare al regimento dello 'nfermo. E se la virtude de lo 'mfermo fie indebolita, sì lli si dèno polli arostiti e aconci, e aparecchiati ne la padella, e si dipartano e sceverino da la broda, e dal pane molle im brodetto. E se a lo stomaco sopravengono alcuni accidenti o forte nauscha e voglia di rendere, sì ssi medichino kon quelle co se ke noi dicemo e abiamo nominate ne' suoi capitoli. E s'elli advenisse mala complexione, somilliantemente sì lli sovengha e soccorra kome noi dicemo. E se lla febbre avrae passato quatro septimane, sì lli si dea de' trocisci perfetti de le rose a bere. E questa è la confettione de' trocisci perfetti de le rose. Recipe: de la polvere de le rose rosse dr. .x.; e del sugho de l'eupatorio dr. .vj.; e del sugho de l'absenzo dr. .iij.; mastice dr. .j. 1/2; spico e assara bacchera e fiore di squinanto ana dr. .j.; e se 'nformino i trocisci, de' quali ciascuno sia dr. .iij., de' quali uno con una oncia con questa cotale dicotione si dea de la quale questa è la confectione. Recipe: la scorza de la radice del finocchio dr. .x.; e de la radice de l'appio ana dr. .x.; e del seme di ciascuno, ameos, cuscute, aniso, bedagar, suhach ana dr. .v.; e si cuocano kon una libra d'acqua, tanto ke reggha a la metade, e si mescoli con una on. di sciroppo acetoso, e si dea kol predetto trocisco, e a lo 'mfermo si dea d'ongne due notti l'una de la medicina de turbit, acciò ke 'l ventre si muova. E se la febbre fie forte con altro lattovario, si solva e muova, e carni, calagie e mutagenat si deano acciò ke la virtude non vada via, e ssi guardi da le noci e da le cose untuose e confectioni facte di mèle. E quando huomo avrae veduto il menomamento di questa febbre, manifestamente lo 'mfermo si metta spesse volte nel bagno la mattina, e sudivi entro, e si dee guardare e observare ke lo 'nfermo in questa febbre non bea acqua fredda raffreddata sopra la neve, né neuna cosa somilliante de le cose fredde, imperciò ke s'elli queste cose avrae a disdengno e non abbia cura, la febbre si farà lunghissima.
L. X, cap. 7 rubr.Capitolo .vij. De la febbre quartana e sua cura.
L. X, cap. 7Questa febbre komincia con sì forte triemito k'ella fa i denti strignere e percuotere insieme, e le giunture e l'ossa dolliono quasi sì come alcuna cosa sopr'esse fosse apicchato ke le gravasse e le percotesse; e la dispositione di questo triemito basta a 'nsegnarla ' conoscere, imperciò ke nell'altre febbri no è questo cotale triemito. E 'l polso in questa cotale febbre nel cominciamento in picoleza, e in deboleza, e in raditade, e in tarditade, perviene a maravilliosa dispositione. E se tu tti ricorderai del polso de lo 'mfermo kente elli era quando era sano, non avrai mestiere d'altro segno a conoscere ke lla febre k'è cominciata sia quartana, se non quello ke lli si manofesterà del tochamento de la vena di molta picoleza, e tardeza, e raditade, e menomamento, e ke molto sia contradio al polso de la febbre flegmaticha. E questa, quando ella s'accende o ssi riscalda, è molto più calda ke lla febbre flematica, ma nom perviene a· caldo de la terzana; e né la sete, né tanta accessione né tanto caldo e ambascia, né tanta pigritia, né tanto dolore di capo, né tanta alienatione si truova in questa febbre quanto ne la terzana. E questa aviene spesse volte dipo lunga febbre disordinata, e ne l'autumpno, e ne la fine de la state, e in coloro ke ànno le complexione secche. E l'orina in questa febbre appare biancha o subtile, e apartiene um pocho a rosseza, e più de le volte è molto kiara, e cruda, e grossa, e nera, o rossa. E sança questo ancora, se molte febbri quartane avengono a molte genti, si sappie k'ela è febbre quartana. E quando in questa febbre l'orina è grossa e spessa, e 'l corpo rosso, e le vene piene, sì ssi scemi sangue a lo 'nfermo de la vena del feghato, e apresso li si faccia tucto il regimento ke lli si conviene; e sse questo in lui non si vede, si dieno alcune medicine di quelle che mandano fuori e purgano la collera nera di quelle che noi nominamo nel capitolo de la maninconia. E la medicina da muovere si dee dare il seguente die dipo lla febbre ke avrà avuta. E quando l'acessione comincerà, sciroppo acetoso kon molta acqua li si de dare, e ssi dee comandare a lo 'mfermo k'elli rigitti. E s'elli no 'l puote rigitare, bietola, e senape, e cose salate, e somillianti cose li si debbono dare, e quando l'avrae prese sì bea vino bene inacquato sopra loro e poi bea sciroppo acetoso nel quale rafano sia stato in molle. E lli altri dì rigitti, e 'l regimento li si dea più largamente, e de le carni de' polli e delli eghietti manuchi temperatamente, ma dinançi manuchi kamangiari konditi kon almuri e olio, e getti sopra ssé de l'acqua calda, e vi si seggha entro inançi k'elli manuchi. E si dee mettere nel bagno, nel quale elli non sudi, e faticha e vigilie sofferi meno ke non suole, e usi di più dormire, e di più riposarsi, e di più stare im quiete. E vino sottile e molto temperato bea, e dee solvere e muovere il ventre assiduamente per uno die, ançi k'elli debbia venire la febre, ma il vomito il die de l'acessione si de' dare e fare reddere. E nelli altri dì com'elli si regha e 'l suo corpo s'uhumenti e si inhumidischa, si dee pensare e considerare se lla febbre e lli accedenti e la lungheza de la sua accessione menoma e quelle cose ke corrono in lei, perciò ke quello fie buono. E se elli pare k'ella non menomi molto, lo 'nfermo si dee fortemente votare, la quale cosa, quando fie facta spesse volte, non dimorrà la febbre. E s'egli aviene cosa k'ella sia prolunghata oltra .xL. die, sança tucto quello ke noi abbiamo detto, sì ssi dea a lo 'mfermo kotidianamente, ongne matina, del diatrithon piperon a la quantitade d'una noce; e de la medicina de l'asa fetida si dee dare a la grandeza d'una avellana. E questa è la confettione. Recipe: asa fetida, foglie di ruta seccha, pepe, di tucti igualmente, e del mèle quanto basta a conficere, e di questa medicina si prenda quanto è una avellana quando si vae a dormire, e lo 'mfermo dorma poscia, e ancora entri nel bagno, e sudivi entro, ma non nel die dell'acessione, e bea vino vecchio e puro. E s'elli è tempo di state, e 'l corpo è magro e kaldo, sì fie mellio ke nolli si dea alcuna de le medicine kalde, ma il siero li si dea spesse volte col çuckero tabarzet, e alcuna volta li si dea la dicotione de l'epithimo e de' mirabolani yndi. E si nodrisca koi nudrimenti ke abbiano a humentare e a innumidire, e 'l vomito si facia venire nel cominciamento de l'acessione, nel die de l'acessione, col sciroppo acetoso e co l'acqua tiepida.
L. X, cap. 8 rubr.Capitolo .viij. De le febbri continue e loro chure.
L. X, cap. 8Se co la febbre kauson ne la lingua fie nereza, e grande espiratione e alito, e grande sete, e grande afa, e la superficie e le parti del corpo di fuori fredde, sarae la significatione rea; e ssimilliantemente se ll'estremitadi e la superficie del corpo fieno molto fredde, e la febbre sia per cagione d'apostema ke ssia ne le parti dentro. E io in questo sermone non vollio tanto solamente parlare di questa spetie ançi d'ongne febbre, ko la quale la superficie del corpo è fredda, ko la quale lo 'mfermo sente fatigatione e graveçça, e prostendimenti, e febri, e sbadilliamenti, e 'l polso è ratto e ll'alito somilliantemente, e 'l calore si sente kontinuamente ne le parti dentro, e non interpolato (ke vada e ke vengha). Questo cotale infermo si dovrae regere col regimento de la febbre flematicha. E se ne la superficie del corpo fie caldo, sì chome caldo di colui che à febbre, e nel polso nom sia velocitade, e ratteza ne la spiratione, e l'alitare non sia spesso né grande, né lo 'nfermo dal calore febrile non sentirae alcuna cosa di male dentro, ma sentirae tutto il calore e lo 'ncendio e la graveza ne la superficie del corpo, e questa sia con interpolatione (cioè ke vada e che vengha e ke pigli e lasci), sì ssi dea a lo 'mfermo sciroppo acetoso e mirabach di çucchero, e si nodrischa koll'aceto, e coll'olio de le mandorle, e ciascuno die entri nel bagno nel quale elli sudi um pocho, e li si gitti adosso molta acqua calda. Le quali cose se bastano bene è, e se non, sì ssi dee muovere e fare uscire co la dicotione de' mirabolani, e dee tornare al regimento. E se lo 'mfermo sentirà oripilatione (o ripriçi) mescolata con ardore, e sança questo avrà passato aria calda, e avrae avuto prostendimenti di braccia, e avrae primieramente sentito il caldo e poscia il freddo incontanente e poi incontanente il caldo, sì ssi dee solvere e muovere kolla dicotione de' mirabolani citrini e yndi, e turbit, e zuchero. E ciascuno die li si debbono dare i trocisci dyaradon piccoli, e i trocisci di spodio a peso di due aurey col sciroppo acetoso, e çucchero, e sugho di melegrane acetose. La confetione de' trocisci de le rose, i quali sono kiamati picoli, è questa. Recipe: polvere di rose dr. .x.; spiconardi, sugo di requilitia ana dr. .j.; seme di cederni, seme di scariuole ana dr. .ij.; e di queste cose confette col julep s'informino i trocisci e si beano. Confetione di trocisci de spodio. Recipe: spodio dr. .x.; rose rosse dr. .iij.; seme di cederno, seme di lattughe, seme di çucche ana dr. 1/2; sugo di riquilitia ana dr. .v.; e s'innaffino e conspargano kolla muscillagine del psilio e se ne facciano trocisci e si beano.
L. X, cap. 9 rubr.Capitolo nono. De le febri mescolate ke 'l quinto die o 'l sexto vegnono. Rubrica.
L. X, cap. 9La terzana e la cotidiana e la quartana più de le volte non si partono ma dimorano sempre, ma nell'ora dell'acessione rinforçano e sono più forti, e poscia menomano, ma non vanno via in tale maniera ke la persona sia tucta libera di loro, e poi appresso nell'ora dell'acessione rimforçano. E lli accidenti di queste febbri sono quelli medesimi ke de le predette, salvo k'elle non cominciano kon triemito e sudore, non èe in tucto il corpo kon queste se non quando elle si dipartono del tucto. Ma tuctavia è una medesima materia di queste, ma è magiore in quantitade e in qualitade pigiore e più temorosa, onde con uno medesimo medicamento a queste e a quelle si dee sovenire e socorrere. Ma il medicho a medichare queste dee essere più studioso e più spesso essere solicitato e attento ke ne le predette febri.
L. X, cap. 9 bis rubr.Cura a quelli ch'ànno le dette febbri e come si deono solvere e fare muovere a ssella in ogne acessione.
L. X, cap. 9 bisColoro ke ànno queste febbri si debbono solvere e fare muovere a ssella in ogne acessione per uno die dinançi l'acessione (cioè il die dinançi l'acessione), e dêsi fare k'elli reddano il die de l'acessione, e ancora sanza questo si dee intorno loro observare il regimento k'è nominato nel capitolo de la febbre flematicha. E se lo 'mfermo è grosso e volontaroso di manicare e goloso, e s'elli è seccho e magro, sì ssi dee solvere kon quelle medicine ke purgano la collera nera. E sança questo il regimento si vuole in lui observare ke è decto nel capitolo de la febbre quartana. Ma le febbri mescolate ke non observano né non tenghono certe revolutioni e certi parossismi, e si fanno per kagione d'apostemi ke ssi fanno in alcune parti de la persona e de' membri e magiormente ne le reni, o perciò ke elle passano e tornano in quartana, e diferentia sì è intra lloro, imperciò ke kolla prima sì è dollia in alcuna parte del corpo e in alcuno de' membri e ne le costi di sotto, o ne le sue operationi à lexione e magagna; ma coll'altra non si truova alcuna di queste cose. E propio medicamento sì è di sanare e guerire il membro infermo, la quale cosa si farà observando quelle cose ke noi dicemmo e dikiarammo ne' luoghi ove noi trattamo di queste cose; e l'altra si medikerà e guerirà l'una volta votandolo e l'altra volta reprimendo il calore e spengnandolo, la qual cosa perciò si conviene acciò ke lli omori non si arostischano del tucto in tucto.
L. X, cap. 10 rubr.Capitolo .x. Del triemito ke non risscalda.
L. X, cap. 10Quando a alcuno acostumatamente sopraviene triemito kon interpolatione, cioè pillia e lascia, e non si riscalda, ançi il corpo ritorna poscia a la prima sua dispositione dipo alcuno tempo dal suo cominciamento, e dipo quello cotale triemito non seguita febbre, lo 'nfermo si dee votare kon quelle medicine e cose ke noi dicemmo nel capitolo de la febbre flematicha. E 'l suo regimento si dee sotilliare, cioè nel manicare e nel bere, e non li si dee lasciare usare niuna di quelle cose ke ànno a generare flemgma. E ancora lo 'nfermo dorma poco, e nell'ora del triemito si usi ad andare. E se questa infertade perseverrae lunghamente, sì lli si dee dare de la medicina de l'asa fetida a la quantitade d'una avellana dinançi l'ora ke elli suole avere il triemito, e poi si dee molto bene coprire di panni, e dêlisi comandare ke elli stea molto coperto e k'elli non si volgha spese volte di lato in lato. La quale cosa perciò si conviene fare ke 'l triemito vada via, e dêsi ancora ungnere koll'olio del costo, e dee bere de l'acqua calda molte volte. E lo 'mfermo, coperto il dosso e 'l capo d'alcuna cosa sì come di grosso panno, ponga il volto sopra l'acqua calda, e 'l suo vapore riceva nel volto acciò ke 'l sudore si provochi e 'l triemito vada via, e li si dea altressì vino puro e forte a bere col pepe.
L. X, cap. 11 rubr.Capitolo .xj. De la febre ne la quale non è tramortimento, la quale si genera d'omori rei e aguti.
L. X, cap. 11Quando la febbre sopraviene a alcuno, la quale secondo magior parte fae parossismo e affrictione nel terzo die, co la quale il volto dello 'mfermo tosto si sfa e diventa isfigurato, e 'l corpo dimagra, e la virtude ke ss'atende nel polso cade dopo una o due acessioni, e sse l'acessione dura più, si tramortirà dipo essa o forse ne morrà, e questa febre si genera più spesse volte ne' corpi ke ssono molto kaldi e secchi e di kalda e seccha complexione; e quando questo fie veduto, sì ssi dee socorrere a lo 'mfermo dandoli de l'acqua de l'orço, kolla quale um pocho di melagrana muça si dee temperare. E lo 'mfermo giaccia in luogho ventoso e si vesta kamiscia ke ssia inaffiata di sandali e d'acqua rosa. E 'l ventre e ' lati se epithimino di sandali e d'acqua rosa, e assiduamente pillii um pocho di nodrimento di midolla di pane di grano e di sugho di melegrane muççe e di simillianti fructi, e si notrichi coi polli conditi col sugho de l'uve acerbe e de' kokomeri, e de' cederni, e di zucche e fructi raffreddati ne la neve, e ancora bea acqua fredda; e dinançi al cominciamento de l'acessione sì bea il sugho de le melegrane, nel quale pane biancho sia stato a molle o kol quale acqua d'orço sia mescolata. E se l'acessione comincerà e, ançi ke lli si dea alcuna cosa, elli tramortisce, allotta si vorrà aprire la boccha de lo 'mfermo, e converassi fare k'elli mandi giuso dell'acqua ove la polvere de le tortelle sia stata a molle, o acqua d'orzo. E se 'l tramortimento sia molto forte, sì ssi dee fare k'elli mandi giuso un poco di tortelle polverizate con vino subtile ke abbia altrettanta acqua fredda seco mescolata; e si dee guardare dall'aria caldo e da bagno, e da ffaticha, e dal veghiare, e da tutte quelle cose ke ànno a votare; e si dee bagnare ko l'acqua fredda, e d'ongne tempo si dee nodrire. E s'elli fosse ancora ne l'acessione, e se quando la febbre comincia la caldeçça sia molto forte kon seccheza, il lacte, onde il biturio fosse tracto, bea coi trocisci di kanfora.
L. X, cap. 12 rubr.Capitolo .xij. De la febre co la quale l'uomo tramortisce e àe deboleza, la quale viene per moltitudine d'omori.
L. X, cap. 12Spesse volte febbre assalisce alcuno, la quale secondo il più fa paroxismo sì come la flematica, ne la quale il corpo si mollificha e 'l volto komincia a emfiare. E sse questo cotale infermo nom pillia del nodrimento, ma si vòta, si tramortirà lo 'mfermo. E s'elli piglia del nodrimento, sì lli averrà mollitie e la febre diventerà più forte e diverrà molto lungha. E di questa cotale il cominciamento de la sua cura è ke lle gambe dello 'mfermo, dalle ginocchia infino ai piedi, si strupicino koi panni ke ssieno mezani intra aspreza e morbidezza e tanto ke paia ch'elli arossino um pocho. E poscia vada huomo a le coscie ne le quali si dee fare similliantemente stropiciamento kominciando di sopra e discendendo infino a le ginokia, tanto k'elle comincino a arossare e sia lo stropiciamento in forteza iguali; e dipo questo le braccia dalle ditella infino a le mani si debbono stropiciare a la similitudine de' predetti, e poscia il petto e le costi. E poscia si conviene tornare, sì come noi dicemo, al medicamento de' piedi e delli altri membri. E quando questo cotale infermo avrae sete, sì bea de l'oximelle. E quando elli avrae fame, acqua d'orzo, e pane, e ydromel mescolato con çuchero prenda, e si conviene guardare ch'elli nom bea acqua fredda. E 'l tempo del dormire e de lo stropiciare si dee partire, sì che 'l mezo sia diputato a lo strupiciare e 'l mezo al sonno e riposo. E questo infermo, s'elli pillia sola tipsana o aqua d'orzo, non indebolirà, e altra chosa nolli è da dare se non tipsana e pane kon ydromelle. E s'elli aviene cosa k'elli sia indebolito, sì ssi dee notricare koi nodrimenti ke noi dicemmo ne la febbre flematica ke ssi dovea nodrire. E s'elli è stitico, sì lli si faccia cura kol sugo de la bietola e kol nitro. E sança le cose ke ssono dette, a lo 'mfermo si dee dare il peso di due aurey del seme de l'appio col sciroppo acetoso, il quale si dee reggere in questo modo tanto ke ssia guerito.
L. X, cap. 13 rubr.Capitolo .xiij. De le febri ch'avegnono per kagione d'apostemi.
L. X, cap. 13La febbre ke sseguita apostema ke aviene per perchossa, o per kaduta, o per somillianti cose, è delle generationi dell'effimera, imperciò k'ella no è putrida e no à in sé nocimento né malitia. E quella ke acompangna alcuno appostema ke cominciando nasce in alcuno membro è rea. E la grandeçça de la paura e la sua picoleza ke l'huomo àe poscia è secondo quello membro, e la febbre ke 'l seguita è ssecondo la grandeza de l'apostema e la sua qualitade. E la febre ke acompagna l'apostema ke è nel pannicolo del cerebro è rea, imperciò k'ella si fae per la frenesia, la cui significatione e 'l cui medicamento noi abbiamo già detto. E quella che aviene per l'apostema ke nasce ne la gola e ne le sue parti noi abbiamo già detta e nominata, il quale apostema è kiamato squinantia. E la febbre ke ssi fae per l'apostema ke nasce ne le vie dell'alito, o ke ssi fa ne la karne k'è intra le costi e i pannicoli (ke ivi sono), e 'l diafragma, e per l'apostema del lato e ke nasce nel panicolo che divide il petto in lungitudine, e per la periplemonia (cioè apostema del pulmone) già abbiamo dimostrato ne' predetti. E de l'apostema ke principalmente si genera nel pulmone deviene anelito e ll'alito magiore, e più spesso è rosseza delle gote. E con essa aviene tossa kolla quale si fa sputo spiumoso, la quale noi abiamo già nominata. Colla febbre ke ssi fa per l'apostema ke ssi fae nel meri (cioè ne la via onde scende il cibo a lo stomacho per la boccha) è dolore con graveza delle spalle, la quale dollia si sente più grave quando huomo tranghiottisce. E la febbre ke adiviene per kagione de l'apostema dello stomacho è dolore e incendio ne le parti del ventre dinançi sotto l'ampieçça del pecto, ov'è grande dolore. E apostema quando è grande si sente, e se no è grande, sì si sente dolore in quel luogho quando elli vi si prieme. E ancora sono con questa apostema sete e malavollia di manichare, cioè perdimento d'apetito. Similliantemente se apostema è in alcuno de le budella, il luogho nel quale è sì ssi sente e si truova molto caldo. E quando elli aviene ke apostema si generi nel feghato, sì ssi seguita febbre fortissima e si sente turbamento e chostringnimento d'orina. E se ne la matrice fie caldo apostema, sì ll'acompagna febbre acutissima, cioè causon, e perturbamento di senni. E ogne febbri ke ssi generano per kagione d'apostemi si debbono medikare e guerire guerendo l'apostema, la quale cosa si fae per scemare sangue o per porrevi suso impiastro e, sança questo, kol medicamento che noi scrivemo ne' propii capitoli. E la febbre seguita quello apostema tanto quanto è caldo e ardente, e si diparte quando il suo calore è sedato e apaciato o quando la putredine si raguna.
L. X, cap. 14 rubr.Capitolo quartodecimo. De le febbri ke adivenghono per pistolença o per corruptione di malvagitade de l'aiere.
L. X, cap. 14Le febbri ke ssi generano per corruptione de l'aria, nom pare ke nel cominciamento vi sia molta acuitade, né molta caldezza quando lo 'mfermo si toccha, ma ssono di magior nocimento nel fondo del corpo ne le parti dentro e sono false e inganatrici e di tosta operatione. E sono febbri lenti ma ssono continue, e dentro a le vene è la loro materia, kolle quali l'alito e ciò ke esce del corpo si sentono molto puçolenti. E coloro ke ànno questa febbre, sì ànno grande afa e ambascia e chaldo e sete molto forte, e 'l loro alito cresce e diventa spesso; de' corpi de quali kon vomito e con uscita di sotto vien cosa molto puçolente e non acostumata, e poscia kominciano a tramortire e muoiono. E in questa febbre si conviene procedere diritamente dandoli a bere acqua fredda e rob di fructi acetosi e stitici, e 'l rob ke ssi fae de le melegrane e del sugho de l'uve acerbe, e de le pere e de le mele e de l'acetositade del cederno; e se niuna di queste cose non si puote avere, sì ssi dee dare a lo 'nfermo aceto koll'acqua e lacte acetoso colla farina acetosa dell'orço e 'l late molto acetoso di ke ssi notrichi. E coloro ke ànno questa febre e questo male, sì lli dee huomo isforzare k'elli manuchino alcuna cosa, imperciò ke più di questi cotali non volliono pilliare neuna cosa. E mettilgli in casa fredda e si debbono regere kon tucte quelle cose ke noi dicemmo nel capitolo de l'eticha, salvo ke elli non entrino nel bagno né non beano acqua kalda né llacte ricente. E le case, ne le quali elli debbono stare, sieno fredde e ventose, le quali s'innaffino ancora coll'aceto e co l'acqua; e lli 'mfermi odorino l'erbe fredde e bene oglienti, e ' ciascuno si deano loro trocisci di kamfora kon rob di frutti, e si pongha loro sul petto empiastro di sandali e di kamphora e d'aqua rosata, e sieno le case loro piene di foglie di salci, e di viti, e ddi meli matiani, e di tucte l'altre cose ne le quali è freddeza e stipticitade, e ssi soffumichino koi sandali e colla camphora, e molte volte il die s'innaffino koll'acqua rosa.
L. X, cap. 15 rubr.Capitolo .xv. De le febri composte.
L. X, cap. 15Alcuna volta sopravengono a lo 'mfermo due o tre febbri, le quali alcuna volta sono d'una generatione, sì come terzana, e alcuna volta sono di diversi generationi sì come a lo 'mfermo sopraviene quartana, o flegmaticha, kollerica, spetie è ancora quando l'una di loro è kontinua e l'altra interpolata. E spesse volte i cominciamenti dell'acessioni sono vicini e prociani, sì che sieno in una hora, e spesse volte s'allungano, per la quale cosa l'ordine de le loro revolutioni e de' loro periodi si confondono insieme, e questi accidenti si mescolano insieme, sì che non si possano congnoscere se non da colui ke àe la dottrina e ll'uso di cognoscere le spetie delle semplici. Per la quale cosa la generatione de le febbri non dee congnoscere e sapere solamente per la sua interpolatione, e per lo suo prendere e llasciare che fae, ma per li accidenti che ll'acompagnano ke ssono suoi proprii, imperciò k'elli aviene ke colui ke à due terzane àe ogne die interpolatione. Onde se la febbre di questo cotale non si cognosce se nom per la 'nterpolatione, sì ssi giudikerae d'essere febbre flematicha, il reggimento del quale, se ssi farà secondo questo, sì ssi ucciderà lo 'mfermo. Per la quale cosa la spetie della febbre si dee congnoscere per li acidenti che lli sono propii e nom per la 'mterpolatione. E ssia la cura e 'l medicamento ke ssi fa a queste febbri secondo la forteza delli accidenti e deboleza, e la loro deboleza, e 'l loro mescolamento e permistione, e non s'atenda l'ordine de la interpolatione quando il testimonio delli acidenti fie diverso dalla interpolatione. E avengna ke quando alcuno àe due terzane ongne die abbia febbre, non si dee perciò medicare al modo de la cotidiana, ma al modo de la terzana. E ancora sança questo ch'è detto si dee huomo del tucto guardare e vi dee huomo studiosamente lavorare. E se la febbre viene e pillia un die e l'altro noe, e lli acidenti de la terzana non sono più forti, ançi sono deboli, non si dee medicare kolla sola cura de la terzana, ançi il medicamento e la cura si dee temperare secondo la deboleza delli acidenti. E noi diciamo universalmente ke lla cura delle febbri composte dee essere composta delle cure de le semplici e ke 'l mescolamento de le due dee essere e si dee fare secondo il mescolamento de le due febbri. Ma elli aviene molte volte ke konviene ke noi intendiamo pur a la cura dell'una febre tanto solamente quando ella è più da dottare. Il cui assempro è ke sse alcuno àe febbre quartana e li sopraviene un'altra febbre per kagione d'apostema nel feghato o nello stomacho o in alcuno de' membri delli strumenti de l'alito, dico k'è, quando questo aviene, a medicare quella febbre ke aviene in questa maniera per la sua grande paura, advengha ke ne le medicine si contengha alcuna cosa ke ll'altra febre faccia più forte. E s'elli avenisse ke la febbre pilliasse l'uno die e l'altro no e lli acidenti di questa terzana non apaiono né puri né forti, né 'l suo kalore no è pugnente né caldo, non ss'accende tosto n'è molta sete, né molta afa e angoscia, né dollia di capo, né vano parlare, né sudore, ma forse tucte queste cose deboli, quando queste cose si comparano a quelle cose che ssi solliono vedere ne la pura terzana. E poniamo ancora, sança questo, ke ll'acessione si prolungasse tanto k'ella pervenisse a le .xiiij. hore, diceremo ke questa febbre non si dovrebbe kurare per la cura de la terzana, ma questa cura si dovrebbe temperare kolla cura della febbre flemgmaticha, e dovremo iscelliere la nostra intentione da quello ke potesse trare dal corpo dello 'nfermo kollera e flemgma, e 'l suo nodrimento sarebbe da ordinare ad tucto il regimento secondo questo. E noi nom possiamo nominare tucte le febbri composte, né mettere propie cagioni di ciascuna di quelle, ma lo 'mtepretatore di questa disciplina conviene ch'elli conoscha molto bene le forme de le semplici febbri, e le loro cure, e medicamenti, e poi misurare bene la congnitione delle composte, e ch'elli sappia temperare le loro cure e medicamenti per le cure delle semplici.
L. X, cap. 16 rubr.Capitolo .xvj. De' vaiuoli, e de la rosolia, e de la loro cura quando è con febbre aguta ne' giovani e fanciulli.
L. X, cap. 16Quando febbre aguta dentro alle vene ' kontinua komincerà a venire, magiormente a' fanciulli e a' giovani, e con essa fie dollia del costado, e piççicore di naso, e nel sonno paura, e graveza di capo, e rosseza delli occhi, e nel corpo si sente pugnimento, sì puote l'uhuomo bene sapere ke a questo infermo molto tosto verranno vaiuoli, o morbilli, o rosolie. Per la quale cosa, se ançi k'elle komincino a aparere il medico li faccia scemare sangue, o kolle ventose si scemi sangue e si menomi la moltitudine del sangue, e poscia li si dieno i trocisci di spodio a bere col sugho delle melegrane acetose, e lo 'mfermo non si notrichi se non colla tipsana de l'orço, e questo si faccia la mattina e la sera. E ss'elli disidera magior nodrimento e la sua virtude sia debole, non lli si dieno se nom lenti scorticate kondite kon um poco d'aceto, o brodetti; o sorbitioni ke ssi fanno di poltilglie, ut pulli, cum çuchero e olio di mandorle o di camangiari freddi ke si possono avere s'aparechi, e rob che ssi fa di fructi acetosi o stiptici si dea a bere. E se 'l ventre fie stretto, ogne die li si dea dicotione a bere da muovere; e per questo o di tucto in tucto le bolle non usciranno fuori, o sse alcuna cosa n'esce fuori, quello fia piccola cosa. E se lo 'nfermo non fie veduto dal medicho ançi ke 'l vaiuolo kominci a uscire fuori, nolli si dovrà allora scemare sangue, né trocisci di spodio nolli si dovranno dare, ma dêsi molto bene coprire acciò k'elli sudi, e per questo fie la matera agevole a uscire fuori. E s'elli parae ke 'l male sia duro a uscire fuori, e paia ke lo 'mfermo sia molto affastidiato per molta ambascia e per molto kaldo, e dimori così per alquanti die, sì bea la dicotione de' fichi e d'uve passe, e di lenti sança scorça, e di seme di finochio, e di fusti di lacca, ke ssi fae in questa maniera: prendasi di ciascuno di questi piena mano e poi si cuokano tucti in acqua e si coli, la quale dicotione si prenda molte volte il die e lli occhi si lavino koll'acqua rosa, ne la quale il sumacch sia stato in molle, o col sugho de le melegrane; e a bere si dea acqua fredda kon um poko d'aceto, e ancor si faccia kon essa gargarismo. La quale cosa si conviene del tucto in tucto fare e al postutto acciò ke nelli occhi, né nel naso, né ne la gola non n'escha fiore, e ll'antimonio si freghi col sugho del coriandro e si metta nelli occhi il die molte volte. E quando il male fie tucto uscito fuori o maturo, sì ssi dee lo 'mfermo porre a dormire sopra le fogle de' salci e vi si dee gittare suso il letto de la polvere de le rose. E s'elli è di verno, sì ssi debbono ardere dinançi a lo 'mfermo lengne di tamarigi. E s'elli è tempo di state, sì ssi dee affumicare ko le rose e koi sandali e mortine. E tucte queste cose si debbono cuocere ne l'acqua, e questo si dee fare se quelle bolle sì penano a ssecchare; e quando elle fieno disecchate e vi fie rimaso suso la scorza rusticha, sì ssi ungha molte volte il die koll'olio tiepido, ungnendo ko la bambagia. E quando tucte le scorçe fieno kadute e llo 'mfermo fie del tucto guerito e ssi debbono guerire i segni che ssono rimasi, sì ssi epithimi com quelle cose ke noi dicemo nel capitolo del levare quelli cotali segni e usi il bagno e quelle cose ke valliono al suo medichamento. E se il vaiuolo e la rosolia escano fuori e non sia scemato sangue, sì ssi dea il sugho di due melegrane coi trocis di spodio, e si regga kon convenevole regimento ke possa raffreddare, e polli non manuchi se non quando tucte le scorze del vaiuolo fieno cadute e la febbre e ongne kaldo fie andato via. E conviensi guardare ke non si dea neuna cosa a lo 'mfermo ke ffacia uscire da ke 'l vaiuolo o la rosolia komincerà a uscire. E se il corpo è molto solubile e largo, sì lli si dea a bbere tipsana d'orço kon ispodio, e con gummo arabico, e bolo armenico, e rose, sì come noi dicemmo nel capitolo del fluxo del ventre. E di tucte le maniere de' viaiuoli quella è pigiore ke è di colore di viuola, e sono piccole e dure, e non fanno putredine. E somilliantemente la rosolia di colore di viuole è rea. E s'elli pare ke 'l vaiuolo esca com pena e non si maturino, e né la febre e né l'ambascia non menoma né ssi diparte. E s'elli aviene triemito di cuore e tramortiscimento al postutto, lo 'mfermo ne morrà. E se 'l vaiuolo esce tosto fuori e tosto si matura, e la febbre e 'l caldo tosto vanno via e si dipartono, nom fia dotta dello 'mfermo, imperciò ke non n'avrae neuno male.
L. X, cap. 17 rubr.Capitolo .xvij. Di quelle cose che ssono necessarie a reggere le 'mfertadi agute a considerare se sono da curare o noe.
L. X, cap. 17Chiumque vorrae kongruamente e bene reggere le 'mfertadi agute, primieramente dee congnoscere s'elle sono da guerire o mortali, e ss'elle sono brievi o lunghe, e se lla loro fine fie con termine o no, e qual die fie il termine, o ke termine e di che spetie fie (cioè per sudore o per sangue di naso o altrimenti). E come lo 'mfermo si dee reggere dinançi al termine, e nel termine, e dipo 'l termine, dee sapere dinançi. E noi in questo nostro libro tractaremo siccome abiamo achostumato, pongnendo solamente le somme e l'agregationi brievemente.
L. X, cap. 18 rubr.Capitolo .xviij. De' segni buoni ne lo 'mfermo.
L. X, cap. 18Bello colore de lo 'mfermo e legereza ad muoversi, e ke elli sofferi legiermente il suo male, e forte polso, e buono alito, e buono intelletto, e buono apetito, e che dorma sì come sano, e faccia buono dormire e stare akonciamente nel letto, tucti questi sono buoni segni e segni manofesti di matureza e perfetti segni e significano bene.
L. X, cap. 19 rubr.Capitolo .xviiij. De' sengni rei ne lo 'mfermo. Rubrica.
L. X, cap. 19Questi segni sono molti, li ordini de' quali, secondo ke diverse cose significhano, si diversificano. Per la qual cosa, col segno di ciascuno di quelli porremo parola o nome ke dimostri la quantitade de la forteza de' segni. E noi kiameremo il segno k'è debole segno nom buono, e quello k'è più forte segno reo, e quello k'è pessimo segno mortale o molto mortale. Diversitade di colore trovata nel corpo de lo 'mfermo, o ke uno de' membri sia caldo, e magiormente s'elli è ne la parte del ventre, e lli altri membri fieno freddi, no è buono segno. La faccia ke molto s'allungha e si divisa da la dispositione la quale avea quando era sano, e diventa rea, e magra, e sfigurata, e seccha, è reo sengno. Ma se lo 'nfermo avesse molto veghiato e lunghamente fosse andato, o elli avesse sofferto e avuto grande constrintione di corpo, o grande menagione, o altro modo di votamento, il male è minore. E sse la faccia dello 'mfermo pare ke sia piena, né no è passato grande spatio ke quello infermo fue molto ripieno di cibo e di beveragio, o molto ripieno di cibo, di molti nodrimenti, il male somilliantemente è minore ke sse la faccia fosse mutata in colore straneo e questo fosse per kagione de l'aria ke è cotale, al quale a poko a poco è mutata, o imperciò ke prima elli avea usato di mangiare cibi generativi d'omori. Colui che è di questo cotale colore il suo segno è meno reo, s'elli è cotale per alcuna de le predette cagioni. E ancora l'orina nera e llo sputo nero, e lo sterco nero, questi kotali sono de' segni mortali. E se co le predette febbri l'orina fie nera, i segni dello 'ncendio e del grande ardore sono molto mortali. Il puço dell'alito e distorcimento di bocha ne le febbri acute è sengno mortale. Spesso tornamento e rivolgimento per lo lecto e diverso mutamento d'una figura in altra e d'un modo in un altro, e lli altri accidenti de' quali li homini solliono avere vergongna, sì come quando alcuno mostra le cose da verghognarsi, o quando elli fae le peta, la significatione è nom buona, imperciò ke ssignifica grande ambascia e perturbamento di mente e d'intellecto. E quando la faccia dello 'nfermo diviene molto magra e seccha, e lli ochi sono kavi in emtro, e le tempie si dilatano, e lli orecchi sono freddi e mutati in giallezza, e lle loro stremitadi ke pendono in giù sono contratte, e la buccia del volto parrà tesa, e sanza questo il colore parrae giallo o verde o nero, e lo 'mfermo no avrà prima soferto molto votamento o vacuatione, tucte queste cose sono mortali. E sse ko le predette cose lo 'mfermo non veggha e non oda, o ke alkuno de' ssegni appaia che ssono più forti ne le significatione della morte, già significha la morte essere presso. Piccholeza dell'uno delli occhi, o torcimento di boccha, o manifestamento de' bianchi ke ssi veghono nelli occhi quando si chiudono oltre quello k'è acostumato, e dormire in tale maniera ke lla boccha non si chiuda, tucte queste cose sono segni molto mortali. Ancora stridire coi denti sança acostumanza è reo sengno, se con acuta infertade aviene. E quando lo 'nfermo àe acute infertadi, et elli fuge di vedere il lume, e fugge a le tenebre, e lli occhi lagrimano sança volontade, né queste cose non seguiterà fluxo di sangue, questi segni sono nom buoni. Rosseza ne' bianchi delli occhi, o vene rosse, o nere, ke entro v'apaiano, sono due mali segni. Li occhi stupidi che non si muovono e lli occhi tremanti che non si riposano, ma poco meno per lo molto triemito pare che ssi girino in qua e in lae, sono de' segni mortali. Strabuçare li occhi in fuori o la loro concavitade in entro nell'acute infertadi e lappitudine ke vi sia dentro sono segni nom buoni. Quando lo 'nfermo nom si puote riposare sopr'alcuno de' lati, ma giace supino e, ssança queste, discende e kola e si gitta verso la parte de' piedi, questo sengno è mortale. Caldo appostema nel ventre e grande, kom forte febre e acuta, sengno è reo. E sse la debboleza de la virtude e 'l calore de la febbre ancora è perseverante de l'apostema e della febre, segno è molto reo. E quando nell'agute infertadi l'estremitadi sono fredde sì è segno nom buono. E se la fredeza cresce e diventa più forte, è segno reo; e sse con questo è grande caldo nel ventre e sete è mortale, e sse com questo l'alito è spesso e lo polso spesso e picolo e debole, la morte è presso. Quando l'extremitadi e ll'unghie si mutano in fusco colore, o le mani o i piedi del tucto sieno di quello colore medesimo, e la virtude non sia debole ançi cresce, e questo sia in die di termine, questo no è reo segno, ançi è buono, imperciò ke significa lo 'mfermo scampare, impercioe ke sse questi luoghi si corrompono e s'infracidano, non vi si debbono porre suso medicamenti ke le faccia forte e che le difenda, imperciò ke sse questo si facesse, la 'mfertade tornerebbe a lo 'mfermo dentro e lo 'nfermo morrà. Somilliantemente se a lo 'nfermo nasce apostema al lato all'orecchie, o rosseza n'apaia, e questo sia ne la passione ke è kiamata frenesi, o sse lli occhi ne la squinantia pare ke arossino, o alcuno luogho ne la peripleumonia, ove l'apostema sia sotto le ditella o ne le poppe, non si dovrae il luogho raffredare, né no vi si debbono porre kose ke lo confortino, ma vi si dee porre suso empiastro, e acqua calda vi si dee gittare distillando da alti, e le ventose vi si debbono porre suso. E se l'huomo vede venire la materia a digestione a modo d'adormentato, allotta guirrà lo 'mfermo. Contratione de' coglioni e de la verga nell'aguta infertade è male. I sengni ke col termine solliono venire se appaiono dinançi a la digestione e nel die non creticho e in die di non termine, e 'l termine non seguiti, sono segni di mala significatione. E quando lo 'mfermo la notte veghia, e 'l die dorme laboriosamente e kon faticha e non continuatamente, sengno è nom buono. E sse quando elli si svellia la sua deboleza e la malitia della sua dispositione cresce è mortale. E le 'nfertadi acutissime ne' vecchi e in coloro ke ànno le complexioni fredde e ne le regioni e ne' tempi freddi sono pigiori ke ne' contradi di questi. La squinantia con febre è mortale. Quando a lo 'nfermo ke à la febbre causon sopraviene triemito una volta e più non suderà, né la 'nfertade non fie alleviata, ma la debolezza e la mala dispositione cresciuta, segno è mortale. Quando le labbra si torcono o 'l naso, o lle cillia ne l'agute infertadi, dipo molta deboleza e poi ke llo 'nfermo à perduto il senno, già significha ke la morte è presso. Triemito di cuore ke persevera nell'agute infertadi è reo sengno. E del singhiozo diremo somilliantemente, e se con questo l'alito è troppo stretto e 'l calore febrile cresciuto, somilliantemente è reo. Calore forte com febbre acutissima è reo sengno e mortale, e magiormente s'elli è nell'orecchie o nel ventre o nel capo. Quando nel corpo dello 'mfermo fia fedita, o ulco, e fie verde, o giallo, o nero, è sengno mortale. Stupore e adormentamento d'occhi, le palpebri de' quali non si congiungono, è sengno reo e mortale. Enfertade in huomo k'è stato sempre sano, e che non ebbe anche quasi male, è paurosa. Quando i testicoli e la vergha ne l'agute infertadi si distendono e 'l budello è disteso e disceso è reo segno. E no è bene ke 'l sangue esca del naso a gocciola a gocciola e a poco a poco; e se sança questo è nero, sì è pegio; e se questo aviene in die di termine, sì è mortale. E quando in alcuno membro nasce apostema o dolore, e poscia seguita ambascia e incendio e sete, sì è reo. E se con questo aviene triemito del cuore, sì è mortale. Vomito livido e fluxo di ventre somilliante è reo. Quando il volto è palido, e pare ke vi sia quasi polvere nell'enfertadi agute, sì è reo segno. Profferere e kontare i nomi delli huomini morti è reo sengno. Quando nell'aguta infertade è grande fluxo di ventre, o grande vomito, è male sengno. E se ssinghiozo li seguita apresso, sì è mortale. E se ll'ochio diventa subitamente giallo, o nero, o elli vengha subitamente ambascia che quasi non possa tranghiottire la ssaliva, sì è sengno mortale. Fiato freddo kon deboleza di vertude singnificha che llo 'nfermo è presso a la morte. E quando nella lingua apparrano granella somillianti in grandeza a granella di ceci e la febbre fia acutissima, lo 'mfermo morrà nel cominciamento del sequente die. E quando il sudore fie nel capo solamente è mortale. Quando spasmo ne la febbre aguta verrà, dopo alquanti die ke la febre è 'ssuta, è sengno mortale. E quando lo 'nfermo rigiterà cosa somilliante a rugine di rame è sengno reo. E le febbri agute, le quali questi accidenti le quali queste febri acompagnano, sono dottose. Triemito nel cominciamento sança sudore, o ke 'l seguita piccolo sudore, e magiormente nel capo e ne la fronte, o molte vigilie e ambascia, o nasca e abominatione, e perturbamento di senni, o fredezza de l'estremitadi, e maggiormente s'elle sono stropiciate e riscaldate, o ffredeza di fuori con grande incendio dentro, o alito spesso, o rosseza dell'estremitadi, o orina nera o poca verde e spessa sì come mèle, o ke la sete vada via sança quiete e riposo della febbre, o ke apostema sia nato nello stomaco, o nel feghato, o costrignimento d'orina, o fluxo di ventre nero, o verde, o ke gociole di sangue nere escano del naso, o rivolgimento de lo 'nfermo d'uno lato all'altro, o se 'l suo sito sia in diverse dispositioni (cioè ke ora stea supino, ora bocchone ora in uno lato ora in un altro), o emfiamento di ventre, o apostema nello stomacho, o sse lo 'mfermo a ongne cosa k'elli truova s'apiccha e vi si penda e aergha, tucte queste cose significano male. E quando elli li esce del corpo cosa nera e acetosa, per la quale la terra ov'ella cade bolle, è mortale, e se questo aviene con debole virtude, già la morte è pressimana. E quando del naso dello 'mfermo gocciola collera gialla o verde è reo sengno. E quando lo 'mfermo suderà um poco e 'l suo corpo sia quasi um pocho humido e propiamente il capo e 'l collo dipo l'alito freddo, sì ssignificha ke la morte è presso. E se lla deboleça del polso è molta, la morte è già presso. E quando lo 'nfermo lieva i piedi suso infino al pecto e poscia li gitta adietro è segno mortale. E quando la febre è acutissima, la quale subitamente s'alleggia, e 'l calore si riposa, e non abbia ancora terminato e non sieno andate dinançi quelle cose ke spengono il calore, e lo 'nfermo non sia stato sotto aria fredda, e 'l polso subitamente si sia riposato, e i movimenti sieno indeboliti, e sia venuta dispositione somilliante a quiete e a riposo, sengno è ke tosto morrà. Quando la boccha si travolge ne la frenesia, ne lo 'mfermo no è percioe più lieve, né 'l suo senno e sentimento nolli è ritornato, sì è segno mortale; e se con questo ella si faccia più lieve e ritorni al suo senno e sentimento, sì è buono sengno. Quando a lo 'mfermo sopraviene yteritia, cioè giallore, per la quale la sua virtude non sia alleviata, ançi magiormente cresce la malitia, sì è sengno mortale. E ongne sudore ke non tiene e pillia il corpo è non buono. E somilliantemente quello ke viene il die ke no è da terminare, né ke no è tale del quale lo 'nfermo prenda alleviamento, no è buono. E ss'elli è freddo, no è buono. E ss'elli è freddo e pocho solamente nel capo sì è mortale. E 'l sudore freddo kon febre aguta è mortale. E quando triemito viene dipo 'l sudore, sì è reo sengno e le virtudi de' sengni si debbono intra lloro comparare e fare comparationi, cioè a ssapere uno kolli altri, imperciò quando elli fie uno sengno buono fermo si contrapesa ad molti rei sengni. E molte volte ai buoni segni molti sengni non buoni si congiungono, ma i pessimi sengni quasi non giamai si congiungono ai sengni molto buoni. E quando la virtude ke ffae il polso fie sana e 'l movimento del corpo sia agevole, e la volontade del mangiare e del bere forte e buona, e non si distrugono e non si perdono, non è d'avere paura per cagione delli accidenti molto paurosi. E se con questo la digestione de la materia sia già andata dinançi, in neuna maniera v'è da ffare força, ma confidança dee huomo tenere ch'elle saranno kagione di termine, e magiormente se quelli accidenti aparrano in die ke vae dinançi al die del termine.
L. X, cap. 20 rubr.Capitolo .xx. Di conoscere il tempo de la febbre e de la infertade.
L. X, cap. 20La brevitade de la 'nfertade si puote kongnoscere per la forteza del suo nocimento e de l'ambascia ke ffa, imperciò ke impossibile cosa è alcune infertadi ke molto nocciono e fanno molto trambasciare, dimorare lungamente, ma o tosto uccidono o ttosto si mandano via con termine. E questa è la 'ntentione a la quale l'uomo si dee acostare, cioè ke la 'nfertade di grande nocimento non puote molto durare. E ancora è infertade la quale, avengna che ssia di piccolo nocimento e piccola angoscia faccia, no è perciò di grande durata sì come l'effimera. E acciò ke lla 'nfertade sia brieve, sì giova il tempo e lla regione kalda, e 'l poco nodrimento, e che 'l corpo abbia pocha carne e molle, e la cotenna e la buccia sia lenta e non piena, e a la perfine tucte quelle cose ke riscaldano. E a prolungare il tempo giovano le contradie cose a queste. Grande incendio di febbre e forteza delli acidenti e loro continuitade significano brieve tempo; ma picolo ardore e deboleça d'accidenti significano suo prolunghamento, quando verrà sança manofesta digestione e non fie effimera. E quando elli aviene ke co la digestione l'acessione, correndo, crescono molto, significa che la febbre e la 'mfertade fia brieve. E se l'acessioni soprabondano molto, la primaia in forteza e grandeza di chalore e in fortitudine d'accidenti sì ssi singnificha brevitade. E se 'l sormontamento fie piccolo, o ssia l'acessione eguale, la 'nfertà si dimostra d'essere lungha. E le spetie de la febre significano la quantitade de la sua dimorança, emperciò ke ll'effimera dura da uno die infino a .iiij.; e la vera terzana non passa i .xiiij. dì, e ssecondo più si diparte in .vij. dì, o poco più o poco meno, et è sicura. E la febbre nota, cioè terçana bastarda, ai cui accidenti si mescola li accidenti del flemgma, è sì mansiva e di sì grande durata ke più di volte duri per .iiij. tempi dell'anno, cioè per lo verno e primavera, estate e autupno, e più perduri, et è rea e non si cura, imperciò ke co llei è l'acuitade e la tarditade de la digestione e lesione e male del corpo dentro. E tucte le febbri ke ssono continue sono più brievi ke le 'nterpulate, cioè ke quelle che pilliano e lasciano, salvo ke la febbre ethica, ke quanto ella è di magiore kalore tanto è più lungha et èe converso, cioè il contradio. E le febbri continue sono di più forte calore e di più forte incendio, sì come la terzana continua e la sanguinea, le quali i medici kiamano infertadi e febbri continue. E ffebri agute non passano .xiiij. dì, la quale cosa aviene quando elle non sono nel più forte incendio e, chaldeza ch'essere possa, si dipartono, imperciò che quando elle divengono all'ultimo a più forte incendio che essere possa, si dipartano nel terzo die o nel quarto, ma ss'elli è nel mezo di loro nel septimo. E in queste febbri il minore è magiore, cioè il minore termine è magiore incendio. E la febbre flematicha e la quartana sono lunghe, ma la quartana è molto secura, ma la flegmaticha no è sicura. E le febbri ke avengono nelli anni di mortalitade sono brievi, e le febbri composte sono lunghe.
L. X, cap. 21 rubr.Capitolo .xxj. De' segni de la digestione de la febbre.
L. X, cap. 21Il cominciamento de la 'mfertade sì è dell'ora ne la quale lo 'mfermo sente ne la sua persona convertimento e mutamento, e kaldo e ambascia, e quando elli si conosce manifestamente mutato e diverso da sanitade. E da questo tempo infino a tanto che alcuno segno di digestione appaia, avengha k'elli sia molto oculto e piatto, sì è il tempo del cominciamento. E da che il sengno de la digestione comincia a aparere infino ke la digestione si compia, sì è il tempo de l'augmento e de l'acrescimento; e la fine del tempo dell'augmento e de l'acrescimento è llo stato della 'nfertade. E poi che tutti questi fieno apariti se sseguita il tempo de la diclinatione (o dikinamento). E quello k'è magiore mestiere di congnoscere a ssapere medicare le 'nfertadi agute, e a ssapere ke debbia divenire la dispositione de lo 'mfermo, sì è di conoscere lo stato della 'nfertade, imperciò ke lla paura no è se non infino a questo tempo, né 'l nudricamento non si misura se non secondo questo tempo. E lo 'mfermo in neuna maniera non muore dipo llo stato se nolli sopraviene alcuno male depo llo stato che 'l faccia morire. Per la quale cosa la scientia de' sapere a che la dispositione de lo 'nfermo debbia divenire, sança dotta sae certamente ki ssa lo stato de la 'nfertade. E lo stato de la 'mfertade si vede e conosce quando apaiono i segni de la digestione compiutamente. E i sengni de' tempi delle 'nfertadi interpolate, ke vanno e che vengono, il più sanno e congnoscono per le sue açioni e accessioni, imperciò ke quando la seconda acessione viene innançi o più dura che non fae la prima, e ' suoi accidenti sono più forti, sì mostra ke la febbre è in acrescimento, e 'l suo contrario significha allentamento e dichinamento e abbassamento. Ma a questo non basta l'acrescimento de le loro acessioni o la loro pospositione e ritardamento solamente, imperciò ke ssono alcune febri l'accesioni de le quali la loro natura sempre anticipano, e pillia più tosto la seconda ke la primaia, o ke quella ke va dinançi. E sono altre le quali di loro natura le loro acessioni si pospongono, cioè ke lla seconda pillia più tardi ke quelle ke va dinançi, ne le quali quando homo farà comparatione intra lloro e troverae ke lla terça pillierà più tosto ke non fece la seconda, e più l'andrà innanti che non fece la seconda la prima, questo è sengno ke la 'nfertade è in augmento e in acrescimento, e 'l contrario significa il contrario. E ne la febbre che à l'actioni e acessioni e 'l prendimento kon tarditade è somilliante dispositione; e la prolixitade e 'l prolungamento de l'acessione e de' suoi accidenti, dispositione sono due sengnificationi ke molto valliono a conoscere i tempi de la febre, e magiormente la dispositione delli accidenti, imperciò ke poi che ll'ora dell'acessione ritardata sarà brieve e lli acidenti sono più forti, ferma significatione sarà e vera ke la 'nfertade tende ancora a augmento e a acrescimento. Ma poi ke tucte queste cose fieno congiunte, la dotta è già levata via. E quando l'acessioni della 'nfertade fieno iguali, la 'nfertade fie in istato. E de la lungha infertade i tempi sono lunghi, e i tempi sono brievi de la brieve infertade. E ne la quartana febbre e ne la flematicha si truovano più de le volte più acessioni eguali e molte. E ne la vera terzana più de le volte apaiono i segni dell'acrescimento e dell'augmento in una accessione. E segni del menomamento apaiono manifestamente nell'acessione ke lla seguita e vae apresso. E de le febri, la cui materia è dentro a le vene e sono continue, si cognoscono i loro tempi per l'acrescimento delli acidenti, e per lo loro menomamento. Ma più si dee credere a' segni della digestione. Ma nel cognoscimento de' tempi delle febri più si dee huomo affatichare quando elle sono più 'gute e più brievi, e i tempi de la febbre sono più brievi e minori secondo la sua acuitade. E le febbri secure in ongne tempo sono iguali, ma le mortali alcuna volta uccidono nell'acrescimento o nell'augmento, alcuna volta nello stato.
L. X, cap. 22 rubr.Ancora de' sengni de la cognitione de la digestione de la febbre.
L. X, cap. 22Quando la febbre fie sança apostema, la digestione non si dee atendere se non in sola l'orina. E noi diremo prima questo nel primo kapitolo. Ma quando la febbre fie per kagione d'apostema sì è mestiere di riguardare l'orina, e ancora di riguardare le superfluitadi ke escono del membro ov'è il male. E consideriamo ne la 'nfertade del petto e del pulmone la matera ke lo 'mfermo sputa, e tanto quanto lo 'nfermo no sputa neente e lla febre no è fiore alleviata, non v'è ancora niuna digestione. E quando lo 'mfermo àe cominciato a sputare alcuna poca cosa e sottile, la quale con faticha esce, advenga ke poco la digestione comincia già; e quando alcuna cosa grossa e molto e legieramente komincia a sputare, la digestione à giae compiuta. E delle ree spetie dello sputo e che non vanno secondo la via de la digetione è di sputare sputo puramente rosso; e pigiore di lui sì è puro citrino e 'l nero è più malingno di tucti li altri, imperciò ke, avengha ke questi tosto apaiano, neuna cosa significano se non male, imperciò ke ssignificano superfluitadi le quali nom pervengono a matureza, ma di quelle cose ke fracidando e putrescendo fanno male e nocimento, le quali cose sono somillianti all'urina nera e a l'urina ke somillia al fiele. E lo sputo del quale huomo à sperança ke vengha a maturitade sì è il bianco sputo, o quello nel quale è tanto di rosseza o di gialleza del quale elli non si possa coprire intorno intorno. E quello sputo k'è perfettamente maturo sì è il bianco e quello nel quale si vede parte biancha quando elli si muta di sottillieza in ispesseza, e quando si muta et è fatichevole e angoscioso uscimento in leggière.
L. X, cap. 23 rubr.Capitolo .xxiij. Del termine e in quante maniere si può terminare.
L. X, cap. 23In molte maniere puote huomo guerire o melliorare, imperciò k'elli è alcuna volta ke lla dispositione a poco a poco va a meglio infino che guarisca; e ancora quando alla disposizione dello 'nfermo subitamente aviene alcuna cosa ke 'l mena a la morte, è quando subitamente li aviene evacuatione ke in lui compie santade e perfectione di bontade, e ancora quando kol votamento et evacuatione subitamente li aviene l'altra disspositione, la quale subitamente il mena a la morte. E le dispositioni, per le quali subitamente e grande aviene conversione e mutamento, noi kiamamo buono termine; e perfetta è quella ke mena a mellioramento (kiamamo buon termine e giovativo). E questa conversione ke aviene subitamente suole avenire nell'agute infertadi. E quando la 'mfertade è più aguta, tanto si faranno i· llei queste cotali conversioni magiori e più forti. E le dispositioni che ssi atendino ne le prolixe e lunghe infertadi a pocho a pocho tendono e vanno a sentade, overo a la morte.
L. X, cap. 24 rubr.Capitolo .xxiiij. De' segni che dimostrano il termine.
L. X, cap. 24Ançi ke 'l termine venga, sì vae dinançi grande estuamento, e angoscia, e ambascia, e spesso rivolgimento, e l'altre dispositioni ke ffanno paura, e 'l vulgo e ' medici nom perfetti ànno allotta paura e diffidano dello 'mfermo. E l'acessione de la febbre sì viene più tosto ke nell'ora k'ella solea venire e infestare, e quando solea più gravare, sì crescono le forteze e le pene delli accidenti. E se lla febbre è continua, li accidenti dinançi al termine fieno più forti e pigiori. E de' sengni ke vanno dinançi al termine e 'l significano sì è distrutione d'intellecto, e scotomia, e vertigine (cioè ke pare ke 'l mondo si giri intorno intorno), e ambascia e caldo a lo 'nfermo, e ll'alito si costrigne, e dolore di kapo e del collo, e forte nausca e vollia di reddere e abominatione, e rossore del volto, e ymaginatoni apaiono dinançi alli occhi, e lagrime kolano sança volontade, e triemito delle labbra, e dollia ne lo stomaco o in abasso nel ventre o sotto le costi, e triemito, e malagevoleza d'urina e d'uscita, e sete fortissima, e salto, cioè quando si muovono i lacerti e la carne discendendo, e ritraendo secondo ke vedi alcuna volta fare nel costado del cavallo, cioè piçicore e triemito e contratione e contraimento de la pelle k'è sopra le costi in suso. Tutte queste cose vanno dinançi al termine. E se con questi accidenti strani e paurosi la 'mfertade fie aguta e alcuno de' predetti segni appaia, e con questo il polso in forteza sia cresciuto, e la digestione sia già andata dinançi sança neuna dottança, puote huomo già dire che ll'evacuatione con termine verrà o con fluxo di sangue kon vomito o kon somillianti termini, e ke la dispositione de lo 'mfermo si muterà a bene o a mellioramento, e magiormente se questo bollimento si fa nel die o nella notte ke ssi continua al die da termine e nel quale si suole terminare. E se questi sengni appaiono dinançi a la digestione, e 'l polso sia con essi debilitato, sì ssi puote bene sapere ke lla dispositione si muterà im pigiore.
L. X, cap. 25 rubr.Capitolo .xxv. Del mutamento de la materia inançi il termine.
L. X, cap. 25Crisis, cioè termine, sì è mutamento per lo quale la materia si muta d'uno membro a un altro, sì come l'apostema ke ssi genera al lato all'orecchie di sotto, quando il cerebro manda e sospigne alcuna superfluità o materia k'è in lui a quella parte. E l'apostema ke ssi fa nel collo, ke ssi solve e disfa ko squinantia, è ssì come l'apostema ke ssi genera ne la mano o nel piede, o nereza che ssia ivi nata in alcuna de l'acute infertadi quando la materia si manda ' quelli cotali luoghi e sospigne, e ssì come con evacuatione manifesta, sì come fluxo di sangue per lo naso o con fluxo e menagione di ventre, o sudore, o con orina. E per apostemi si fanno termini de le febbri che non sono agute. E molte volte aviene termine delle 'mfertadi del cerebro e k'entro vi si generano per apostemi di sotto la radice dell'orecchie, quando quella cotale infertade no è di molto kalore, né di molta acuitade. E de le febri ke acompagnano li apostemi rei ke ssono dentro al corpo, sì ssi fa termine per apostemi rei e paurosi e dottosi, koi quali la lingua anerisce e 'l membro quando la virtude de la natura non fie in quelli membri e korpi perfetta, ançi debole, e quando il dolore dell'orecchie solea andare dinançi. E kon voitamento et evacuatione manofesta e aperta viene e ssi fae il termine delle febbri molto agute e traagute e che ssono di molta caldeza, e magiormente quando la natura in quelli cotali infermi è forte e vigorosa. E lle spetie dell'evacuationi si fanno più de le volte secondo la materia della febbre ke è fine de le febri incensive e ardenti. Dumque sarà consumamento de le febbri molto accese per sudore il loro termine e molte volte si fa per fluxo di sangue per lo naso. L'evacuatione e 'l termine de la frenesia sì fa fluxo di sangue per lo naso e alcuna volta si fa con sudore nel capo molto. E de le febbri ke ssono per kagione di sangue sì ssi fa il termine per fluxo di sangue. E 'l termine della febbre ke acompagna l'apostema del fegato si fae alcuna volta per fluxo di sangue da la narillia del naso dritta, alcuna volta per fluxo d'urina, alcuna volta per fluxo di ventre, o kon molto sudore. E 'l termine delle febri terzane si fae più de le volte con sudore, alcuna volta viene con vomito kollerico e alcuna volta con fluxo di ventre. E le quartane più de le volte sì fanno loro termine con fluxo di ventre nero o per fluxo d'orina nera. E delle febri note, cioè ke non sono pure di neuna materia ma di più materie diverse sì come di collera e di flemma, il termine si fae o con fluxo di ventre collerico e flematicho o con sudore. E di quelle cose che con grande fidanza ke fanno credere ke 'l termine debbia venire per appostema in alcuno de' membri sì è che lla febbre non sia molto aguta, e che llo 'nfermo abbia doglia in alcuno de' membri primieramente, e l'urina sia subtile, e fermeza ke 'l termine sia per fluxo di sangue di naso, e rosseza del volto e delli occhi, e grosseza de le vene ke ssono nel collo e sono kiamate guidegi, e razi e splendore ke apaiono dinançi alli occhi e ke le lagrime gociolano, e tenebrositade delli occhi, e piççicore del naso e lloro rosseza, et elevamento e contraimento in su de la buccia k'è sotto il costado, e constrinctione dell'alito. Certitudine ke 'l termine è kon reddere e vomito sì è abominatione, e subversione di stomacho, e movimento del labro di sotto, e fluxo di saliva della boccha. E confermamento ke 'l termine debbia essere kon sudore è ke ll'orina si ritengha poi ke i sengni del termine fieno apariti e 'l ventre si costringha, e 'l polso sia morbido e pieno, e 'l corpo al toccho si senta caldo e humoroso, essendo i· llui puntione e acuitade. E fermeza ke il termine è con fluxo di ventre sì è ke, dipo queste cose, significatione sì ssia ne le parti di sotto del ventre gravitade sotto il bellicho.
L. X, cap. 26 rubr.Capitolo .xxvj. Del buon termine.
L. X, cap. 26Lo buono termine sì è quello ke ssi fae dipo 'l compimento de la digestione. E quello termine ke ssi fa ançi che i sengni de la digestione sieno compiuti à meno di bontade secondo questo; ma quello termine ke viene ançi ke alcuno sengno di digestione apaia è reo termine. E quello termine è milliore ke ssi fae dopo la manifesta e perfetta aparitione de' segni di digestione e in alcuno de' die ne' quali si fanno ' buoni termini; nel quale termine si vòta lo homore ke ffece la 'nfertade; e ancora il cui votamento si fae per la parte ke à male e ke quello kotale termine no è diminuto in sua quantitade ma perfetto; e dipo 'l quale termine lo 'mfermo sente molta levitade e molta quiete e riposo, e tucte quelle cose ke dinançi sentia sono in quiete e in riposo in tale maniera ke quasi neuna cosa rimangha, se non sola deboleza. E 'l pegiore termine di tucti sì è quello ke ssi truova contradio a questo, imperciò o buono termine o reo ke ssia e non fie compiuto, ma ffie diminuto.
L. X, cap. 27 rubr.Capitolo .xxvij. De' die e de' votamenti ne' quali si fanno i termini. Rubrica.
L. X, cap. 27Questi votamenti ke noi dicemmo, ke ssi fanno ne le 'mfertadi agute per le quali grande mutamento aviene nelle 'nfermitadi, aviene più spesse volte in certi die, per la quale cosa quelli cotali die sono kiamati die cretici, cioè die terminabili, ne' quali si fanno termini. E quello die k'è primaio entra i dì de la 'mfertade no è creticho, cioè no è dì da terminare, né ancora il secondo, ma il terço die è creticho, imperciò ke in lui molte volte si solvono e si dipartono le febbri ke ssono peracute, cioè traacute. E 'l quarto die è creticho, imperciò k'elli pronosticha (cioè dimostra) ke debbia avenire nel die septimo, o nel .vj., imperciò ke sse in lui aparae buono segno, sì come è digestione e decotione d'orina, o votamento, avengha ke diminuto e nom perfetto si verrae co llui levitade, e si compierà nel die .vij. E se l'huomo vedrà in lui mal segno, la dispositione dello 'mfermo in alcuna maniera pegiora, il quale pegioramento si compierà nel septimo die. E 'l quinto die è die creticho, cioè di termine, imperciò ke i· llui spesse volte si fae buono termine. E 'l sexto die no è minore del quarto né del quinto, ma spesse volte i· llui si fa termine, ma in lui non si fa quasi giamai buono termine, imperciò ke impossibile cosa è ke a lo 'nfermo giovi, imperciò ke poscia seguita forte labore e ffatica e grande paura, né lo 'mfermo no è sicuro ke alcuna cosa de la materia de la infertade non sia rimaso, per la quale cosa lo 'mfermo ricadrà. E 'l septimo die è milliore di tucti li altri dì cretici, cioè dì ne' quali si fa termine, e dipo questo la crisi e 'l termine k'è optimo si fa ispesse volte in lui, cioè nel .vij.; il quale è quasi contradio al die .vij., imperciò che lla crisi in lui si fa, cioè nel septimo die, e legiere e lieve e di picola paura, colla quale crisi tutta la materia in tale maniera si vòta ké di lei neuna cosa rimangha perké e' possa essere ricadimento ne la 'nfertade. E nel die ottavo quasi non si fae giamai, nel quale se cosa è ke avengha questo, e molto rade volte e quando aviene sì è mal crisi e mal termine. E 'l nono die è creticho, nel quale spesse volte si fae crisi e termine sì come nel terzo; onde nel quinto la crisi è termine ke i· llui si fae è buono et elli, cioè il quinto die, mostra e dinuncia quello che dee avenire nel .xj. Nel decimo dì nom puote venire crisi, la quale ancora se aviene è rea. Ma il die .xj. è cretico et è die di termine et è sì come il terzo, e 'l .v., e 'l nono, significha ke debbia avenire nel die .xiiij. Nel .xij. non aviene crisi, il quale è altretale kent'è .viij. E 'l .xiij. sì è mezano intra ' dì ke ssono cretici e quelli che non sono cretici, imperciò ke in lui si fa crisi, ma non spesso. E 'l .xiiij. die sì è creticho et è secondo al septimo, secondo ke in lui si fae crisi spesse volte, la qual è buona crisi, cioè termine. E 'l .xv. sì è sì come il .xiij., ma nel .xvj. non aviene crisi, il quale è di quella medesima generatione kente il .xij. E 'l .xvij. die, il qual è intra i cretici dì, il quale è d'una medesima generatione kol .viiij. e mostra quello ke debbia avenire nel .xx. Nel .xviij. die si fa meno ke nel .xvij., la quale, se ssi fa, è pigiore. E nel .xviiij. quasi non si fa giamai crisi, la quale, se verrà, non fie rea. E ancora il .xx. die è cretico, il quale si truova secondo dal .xiiij., per la buona crisi ke in lui aviene e participa in bontà kol .xiiij. E nel .xxj. alcuna volta si fa crisi, avengna ke molto meno ke nel .xx. E 'l .xxiiij. die è cretico e fassi i· llui spesse volte crisi, il quale è secondo in bontade del vigesimo. E dipo questi dì, .xxvij., e .xxxj., e .xxxiiij., e .xxxvij., e 'l .xL. sono cretici. E nelli altri die ke noi nominiamo quasi non giamai aviene crisi e kon vehemente e forte expulsione e manofesta ne la 'mfertade non si disolve e non si disfa e manda via, se non con oculta e piatta dissolutione. E la crisi più spesse volte e più frequente aviene nel .xL. die e in quelli che ssono dinançi da llui o molto e più spesso in quelli dì ke ssono infino ai .xx. dì, imperciò ke i die septimi sì come il .vij., e 'l .xiiij., e 'l .xx., e quelli che ssi truovano contando intra questi, sì come il terço, e 'l quinto, e 'l nono, e l'undecimo, e 'l .xvij. sono fortissimi dì; e ' dì septimi propiamente sono più forti ke i quarti. E se lla 'mfertade passa il .xx. die, ' segni e i significati de' dì ke kagiono in mezo indeboliranno, onde quasi in loro non fia giamai crisi. E le virtudi de' quarti dì menomano e non dimora forteza se non ne' septimi, i quali sono .xxvij., e .xxiiij., e 'l .xL.; ma i quarti, sì come .xxiiij., e .xxviiij., e .xxxj., e .xxxv. sono deboli. E poi che la 'mfertade avrae passati i .xL. die, la virtude expulsiva ke manda fuori del tutto indebolisce e non si fa crisi se non per apostema o con disolutione, cioè ke va via a poco a poco. E quando i segni de la crisi, cioè del termine, apaiono la notte o 'l die ke ssi continuano al die cretico, confidentemente puote huomo credere e fermamente tenere ke quelli cotali sengni non avengono per la malitia de la 'mfertade, ma per la crisi (cioè per lo termine), e puote homo avere fidança ke quel die fia la crisi (cioè il termine), e magiormente se 'l die indicativo e giudicativo già abbia questo significato, sì come il quarto è indicativo del .vij. e l'undecimo del .xiiij. E se i predetti sengni apparanno in die o notte ke non si continuano al die creticho, meno puote huomo avere fidanza ke la crisi vengha, e più è da tenere e credere ke quelli sengni sieno pur apariti per la malitia della 'nfertade, e magiormente se i sengni de la digestione non sieno apariti. E quando e' pare ke lla febbre sì è pervenuta a ultimitade di malignitade e di forteza, cioè a pegio ke puote, e i sengni de la morte kon questo apaiono, lo 'nfermo morrà dinançi il quarto die o nel quarto medesimo; e se l'acuitade appaia minore ke quella ch'è detta, sarà kagione ke ssignificherà salute e verrae il termine dinançi al quarto die o nel quarto; e se ancora fie minore sarà nel septimo il termine, e magiormente se nel quarto die segno di buona digestione o d'alcuna alleviatione fie veduto. Ma ne' dì .vj. o ne la notte del septimo se verrà questa cotale acuitade, e ' sengni del termine già manofestamente sieno appariti, sì ssi puote avere fidança ke in lei fia crisi. Et è da ssapere ke la 'nfertade del buono termine è di salute piue ferma e piue certa ke de la mala crisi. E similliantemente quando la 'mfertade è di minore acuitade, sì è da avere sperança d'avere crisi, e ancora dee huomo attendere che avenga ne' dì indicativi, e deesi avere isperança ke ssi compia nel die creticho, il quale si truova più presso se lla febbre fie aguta; e se è meno aguta, sì ss'abbia sperança ke ssi compia ne' die septimi.
L. X, cap. 28 rubr.Capitolo .xxviij. Come si puote conoscere l'orina de l'huomo e de' colori de l'orina.
L. X, cap. 28Ne l'urina s'attendono e si considerano la substantia e 'l colore e l'olore, e apellasi qui substantia grossa, o spessa, o torbida, o kiara, o subtile, o ssomillianti cose, e ssi considera ancora quello ke riposa e risiede nel fondo, o ke pende nel mezo, o quello ke apare di sopra. Imperciò ke 'l colore bianco kolla substantia subtile, il quale assomillia al colore dell'acqua, spesse volte appare in una infertade ke ssi kiama diabete, ke aviene quando le reni sono riscaldate, e sì tosto kome huomo àe bevuto le reni atragono quella humiditade e huomo sì piscia; e questa è una infertade per la quale lo 'mfermo bee molta acqua, né perciò la sete non va via. E ssimilliantemente questa orina così kiara appare dipo molto mangiare e dipo molto bere ançi ke ssi smaltiscano, onde quando questo cotale kolore apare nelle 'mfemitadi, e non vi sia quella infertade ke è kiamata diabete, né molto bere né molto mangiare sieno andati dinançi, sì mostra questa cotale orina tragrande crudeza d'omori e niuno segno di digestione e freddeza di fegato. E quello colore nel quale si contiene um poko di gialleza, sì come appare nell'acqua ne la quale è kotta la palglia, significha pocha digestione e debolezza. E 'l terzo colore sì è il colore del cederno, il quale dimostra temperamento di calore nel feghato, il quale non è né magiore né minore ke debbia essere. E 'l quarto colore sì è igneo, cioè di colore di fuocho, e significha superfluo kalore ' infiammato. E 'l quinto colore sì è colore di gruogho, il quale non mostra più di colore ke l'ingneo, ma ssignifica molto sangue habondare nel corpo e di lui essere alcuna cosa mescolato koll'orina. E 'l sexto colore sì è rubicondo, non tratroppo kiaro, il quale singnifica kollera rossa e sangue. E ss'elli aviene cosa ke ne la parte di sopra de l'urinale di colui ke à questa cotale orina kon kotale colore e' sia spiuma gialla, sì ssignifica yteriçia, cioè quella infertade ne la quale homo diventa giallo. E 'l septimo kolore sì è il nero, e se questo cotale kolore apparae nell'orina dipo 'l citrino o dipo 'l rosso, sì ssignificha tragrande infiammamento e arsura, la quale è ancora pigiore di tucte l'altre urine nelle febbri agute, e magiormente s'ella fie molto spessa, e poki se ne truovano di quelli ke ffaciano kotale orina k'elli scampino. E ancora l'orina nera appare dipo 'l purghamento de le femine, o dipo 'l ritenimento de lor tempo, cioè quando non ànno loro purgatione, o ne la fine delle 'mfertadi ke ssi generano di kollera nera, sì com'è la febbre quartana, o grosseza di milza, o meninconia, o ssomillianti di queste; né allora non mostra male neuno, ançi significa bene, imperciò k'ella aviene ne la fine delle 'mfertadi ke ssi generano de la collera nera. E ancora l'urina nera apare dipo l'orina biancha o verde, e allotta significa tragrande freddeza di fegato e ke 'l suo caldo è molto spento; né la 'mfertade ke questa kotale orina mostra è minore ke quella ke mostra la primaia che va dinançi a questa, ma maggiore. E ll'urina si tingne per l'alcanna e diviene molto rossa, e alcuna volta per bere la cassia fistola, o alloe, o gruogho, o per alcuna cosa che abbia a tignere. E la verdeza alcuna volta v'apare per manicare kamangiari. E la nereza alcuna volta v'appare per cagione di manicare almuri, o per kagione di bere vino nero, sì come noi dicemmo. E ancora l'urina è poco tinta, alcuna volta quando homo bevesse molta acqua, e k'elli abia molto mangiato o bevuto um poco dinançi k'elli orinasse. E tucte queste cose dee huomo atendere e konsiderare nello 'mfermo e poscia giudicare e sententiare. E alcuna volta si tingne l'orina per forteza di dollie e, avengna che lla materia e la cagione sia homore freddo, secondo ke noi dicemmo nel capitolo del male del fianco o nel dolore de' denti o delli orecchi, per la qual cosa tucti questi sengni si convengono atendere e konsiderare. E alcuna volta l'orina appare puçolente e permutata per kagione delli apostemi che n'escono ne le vie dell'urina, la quale esce perturbata, imperciò ke quella cotale putredine si mescola co l'orina, né allotta lo 'mfermo no à com questo febbre aguta e incensiva e nell'uscire dell'orina si sente ardore e arsura; per la quale cosa il suo puçço non s'asomillia al puço de l'orina, quando la putrefatione è ne le vene. E la substantia dell'orina subtile, ke assomillia alla sobtillieza de l'acqua, sì ssignificha deboleza de la digestiva e de lo smaltire. E ll'urina spessa, la cui spesseza somillia alla spesseza del rob o a la grosseza o spesseza del liquore ke ssi contiene nel fiele, significa superfluitade de la digestiva e non humore habundare nel corpo, ançi significa sua diminutione, e maggiormente se con questo ella è pocha. E quella k'è meççana intra queste significha buona digestione e ke lla dispositione del feghato o delli omori ke ssi contengono ne le vene è temperata. E quella ke è turbata sì ssignifica cruditade delli omori ke ssono ne le vene e indigestione kon perturbatione, la quale fae il caldo k'è ne le vene. E ll'urina torbida ke tosto si divide, e la grosseza ke v'è dentro tosto discende al fondo, significa k'ella è presso a matureza, e quello è secondo k'ella si divide più tosto o più tardi. E l'olore ke esce da l'orina k'è ssomilliante a l'odore ke viene de la cosa secchissima e aguta singnifica superfluitade di matureza, la quale si sente alcuna volta ne le febri agute e ne l'apostema del fegato. E alcuna volta adiviene kolli apostemi nelle vie dell'urina, sì come noi abbiamo detto dinançi, ma noi abiamo già fatta divisione intra quella e questa. E l'orina ke no à neuno odore è molto cruda et è di tarda digestione, e quella ke ssi truova in mezo di queste significha equalitade di digestione. E ancora si prendono significacioni da quello ke discende giù di sotto nel fondo de l'orinale, o da quelli ke ssi lieva in suso e che appare ne la parte di sopra dell'urinale, e da quello ke pende nel miluogho, imperciò ke da questi sì ssignifica la digestione che ssi fae ne le vene, la qual cosa noi insegnammo trattando ne la congnitione de la matureza delle febbri. E questo è quello a ke noi ci acostiamo, ke noi seguitiamo. E la substantia di questa cotale cosa ke apare nell'urinale somillia alla distillatione ke ssi fa nell'aqua rosa. E di quello ke discende nel fondo quello è milliore ke è bianco, e morbido, e polito, e ke risiede nel fondo del vasello, la cui disposicione rimane e dura per più die de la 'mfertade continuamente. E quella cotale buona residenza, ke noi abbiamo aguale detta, sì è kol milliore kolore ke ssia (cioè citrino), e cco la milliore substantia (cioè mezana entra subtile e grossa), e kol milliore odore ke ssia, il quale né molto non pute né del tucto è sanza odore. Dunque quella urina ke apare con questa cosa è milliore di tucte l'altre, la cui significatione è perfecta, imperciò k'ella signifika perfettione della digestiva e redde securi da la malitia della 'mfertade e dalla sua niquitade. E questo cotale sedime e residentia seguita in bontade quello sedime e residentia ke pende nel mezo de l'orinale, quando elli si truova secondo questo modo e deposta; e quello ke nuota ne la parte di sopra de l'orinale e questi due non sono accidenti, ançi in loro, quando apaiono ne le 'nfertadi agute, si mostra significatione di perfetta maturitade e ssicurtade dalla malitia della imfertade, la qual è proximana a la perfetta significatione. E quando quello cotale sedime (o residença) si troverà ke ssia nel miluogho e ke penda, e a lo 'mfermo non sopraverae neuno reo accidente, dipo piccolo tempo si muterà a le parti di sotto al fondo. E quello ke nuota quand'elli s'avrà in questa maniera, consequentemente discenderà al luogo di quello ke pende. E 'l colore ke ne la residencia, overo sedime, è millliore sì è il bianco kon longitudine di forma, cioè ke sia lungho molto kome una fiama e che duri lunghamente. Dipo 'l quale è il rosso, impercioe che il rosso significa salute ko lungha infermitade. E 'l glauco, cioè ke um pocho è tinto di gialleza, quanto à meno di gialleza tanto è pigiore; e quello k'è puramente glauco è pigiore. E 'l verde è pigiore di questo. E 'l nero è pigiore di questo, imperciò ke questo cotale sedime significha che elli passi il termine della matureza, né collui non si puote pervenire se non al termine di coruptione e di putrefactione. E la dispositione del sedime e residença nera secondo il luogho del sedime bianco è contraria; e quello ke nuota di sopra nel vasello è minore in malitia ke quello ke è nel mezo e pigiore di questo, e quando stae nel fondo sì è nero. E 'l biancho è il milliore. E cosie il livido è mezano entra bontade e malitia, la cui disposicione si muta secondo k'elli aproccia all'uno di loro. E la residentia ke è kome grano infranto è reo, il quale s'è con febbre aguta significa morte. La significacione per la quale sì ssignifica matureza alcuna volta s'à per l'urina sottile e bianca, e alcuna volta per quella che à colore di fuoco, alcuna volta per la gialla, e alcuna volta per la rubiconda, e alcuna volta per la torbida è mutata. E alcuna volta s'àe la significatione della matureza per la biancha o per la sobtile, e la seguita primieramente gialleza, e poscia grosseza, e poscia a poco a pocho komincia così a ccrescere tanto ke 'l colore sia citrino e la substantia sia eguale. E in questa cotale urina appare buono sedime (o buona residentia), se nelle vene è molta superfluitade, o la 'mfertade sia di repletione, o 'l corpo e lla persona dello 'mfermo sia grosso e grassa. E se questo no è quello medesimo, basta a la singnificatione della perfetta matureza. E quando l'orina nella febbre, secondo la matureza, sarae diminuta o superflua, ma poscia cotidianamente ritorna a ragione, la febbre è ssalutifera e sança pericolo e l'humore no è di mala digestione né inganatrice putrefactione. E se lla sua dispositione non dura, quella medesima significherà il contradio di quello che noi abbiamo detto e sarà infermitade da paura. E se con questo la virtude cede sì ssignificherà morte. Ma se lla virtude fie forte, sì mosterrà che lle 'nfermitade fie lunga. E 'l primaio di questi appare ne le febri flegmatice e in quelle febbri ke ssi fanno di collera nera, e 'l secondo si truova ne le febri agute che ssono di molta malitia e iniquitade. E sse la significatione di pervenire a maturitade si prende dall'urina turbata e permutata, e ogne die cresce la sua caldeza e la sua ypostassi e residenza, e ssimilliantemente cresce in bontade tanto k'ella sia buona, sì come noi dicemmo, se Dio vorrà, allotta si dee considerare la quantitade de la virtude, imperciò ke quando e' v'è ancora la virtude non conviene avere paura de la morte de lo 'mfermo. E sse con questo l'orina si fa tosto chiara, la sanitade verrà tosto; e sse la virtude fie debole è da avere paura ke llo 'mfermo non muoia. E sse con questo l'orina perviene tardi a kiareza e dimora lunghamente, sì che i· llei non si vede fiore di chiareza o appare i· llei di chiareza ma poco, sì ssignificha morte. E sse in questa cotale orina una volta apaia matureza e poscia mostri ancora segni di crudeza, e questo aviene molte volte, e pare ke lla febbre si mescoli, sì è da ssapere ke lla materia della febre è de' molti humori, e allotta dee huomo considerare ke llo 'mfermo debbia guerire tuttavia secondo la forteza. E queste sono le somme e l'agregationi di quello ke di necessità si conviene sapere e delle cose pertengnenti all'orina secondo le febbri. Ancora de le sue significationi scriveremo altre cose, ma non secondo ordine, né secondo kontinuamento. E l'orina orda, ke è poco bella e 'l cui colore è sì come colore di mosto o d'acqua di ceci quando molto si cuocano, è in coloro ke ànno li apostemi antichi e non aguti nel corpo dentro. L'urina somilliante al siero, o a la biaccha, significa k'è in lei marcia e ke lo 'mfermo àe fedita in alcuno de' forami dell'orina. E l'orina ke ssi truova similliante all'acqua ke gociola da la carne ricente quando si lava significa ke um poco di sangue è mescolato coll'urina e alcuna mostra deboleça di fegato. E quando lo 'nfermo piscia un poco di sangue sì ssignificha che alkuna de le vene delle reni sia fessa. E quando nell'orina sarae arena e com questo paia torbida, e sse a quello cotale ke ffarae questa cotale orina avrae avuto prima dollia nelle reni, sì ssignifica pietra nelle reni. E sse nell'orina prima aparrae arena e poscia, rimossa l'arena, l'orina parrà molto kiara, sì ssi comincia a generare pietra nella vescicha. L'orina torbida ke assomillia ' l'orina dell'asina significa dolore di capo e perturbamento d'intellecto. E quando poi che lla febbre fie andata via, l'orina rimarrà tincta, nel feghato sarà riscaldamento o apostema. L'orina, secondo olore e secondo colore o secondo substantia rusticha, alcuna volta si sseguita dopo i chaldi apostemi del corpo e de le parti dentro, onde lo 'mfermo per lei diviene più legiere, e la sua disposicione ne melliora, et è kagione de la sua salute. E l'orina k'è somilliante all'olio, secondo la sua substantia, o ne la cui superficie è sumitade e grasso, sì come olio, aviene kolla febbre ethicha. E l'orina, ne la quale ne la sua superficie molto grasso somilliante a olio apare, significa che 'l grasso delle reni si comincia a distrugere e a disfare. E se nella febbre aguta l'urina parrae biancha e subtile, e in questa dispositione dimorrà per molti die, signifikerà ke mateza o paçia sopraverae a lo 'mfermo. E ancora questa cotale orina alcuna volta apare ne la febbre aguta, quando in alcuno membro fie caldo apostema. E quando l'orina di colui ke ssi lieva d'imfermitade non tornerà tosto alla dispositione, la quale avea quando iera sano, da dottare è ke 'l male non ritorni. L'urina somilliante al lacte o al seme de l'homo, se fie pocha, manofestamente significha che ll'apoplesia debbia venire, e se in queste infertadi quella cotale orina appaia molta, significha solutione e guerimento di quelle cotali infertadi. L'orina ne la quale apaiono peçuoli di sangue preso e appare nella febbre aguta o mostra prociana morte o per lei il calore della febbre tosto andrà via e la febbre fie più lieve. E sse lo 'mfermo fie facto perciò più lieve significherà ke lo 'mfermo scamperà. L'orina il cui calore sempre appare uno e non si muta nelle febbri significha malitia de le reni, de l'epostassi e ssedimi e residenzie. La primaia sì è l'epostassi, overo residentia, ne la quale kiaritade e risplendimento e belleza apare, la cui simillianza è sì kome quello ke apare nell'ampolle de l'acqua rosata, ma alcuna volta il suo risplendimento è magiore ke quello ke detto è in tale maniera, sì come de' pezuoli de la neve quando l'uno si congiungne all'altro. E nel kolore di questa cotale ypostassi, in kentumque maniera sia, appare risplendimento e kiareza e radeza ke non si truovano nell'altre cose, e quando si dibatte sì ssi mescola tutta coll'orina, da la quale l'orina non si turba e non discende tosto giù, e molte volte non discende, e questa kotale superfluitade (di che è questa cotale superfluitade) è ne le vene, la quale noi nominammo dinançi. E la seconda superfluitade è turbata, il cui colore è biancho, nel quale né radeza né risplendimento si truova. E la terza sì è marcia, la quale alcuna volta è divulsa (cioè dispezata) de la quale, quando si muove, l'urina si turba, imperciò ke ssi lievano suso, e poscia discende giù, colla quale nell'uscire de l'urina si sente arsura e kon essa è reo odore e puçolente. E la quarta è arenosa, de la quale sono due spetie, delle quali l'una risomillia a llimatura d'oro, avengha che sia più minuta, la quale viene et escie dalle reni, e ll'altra è quella ne la quale non si truova alcuna glaucedine (o tintura a gialleza), ma il suo colore è sì come il colore de la terra e alcuna volta è siccome colore di fango, la quale esce dalla vescica. E la quinta assomillia a' peli et ella è de la generatione di quelle ke ssono somillianti a' peli non molto bianchi, la cui lungheza è minore quando, secondo quantitade, ai pelluti e peli (che da la stremitade de l'unghia infino al nodo si truova) infino a la misura d'uno palmo si truova crescere; la quale, conciosiacosaké da le reni vengha, niuno male mostra essere nel corpo, se non ke mostra ke v'abondino homori crudi, a la quale (o al quale) giova medicina diuretica e apertiva. E la sexta sì è ne la quale apaiono similitudine di peçuoli di carne, i quali escono e vengono dalle reni. Se con questo dollia fu nelle reni e se con febbre aguta fieno, significano febbre ke faccia grande nocimento al corpo; e se fie con febbre ethica, sì significa liquefatione e distrugimento di membri solidi e fermi e dolore, ke ssono già pervenuti a la carne de' membri. E la septima sì assomillia a' pezuoli de le lenti scortichate, la quale significha superfluitade di calore nel feghato. E l'ottava sì assomilglia a la cruscha, la quale aviene spesse volte per la infertade de la vescicha. E con questa, s'ella fie così, sì ssi sentirae ardore lunghamente perseverante, e in lei non aparrà calore strano e febrile, e no è molto rimota e dilunghata a matureza, e alcuna volta aviene per le vene. La quale se così è co la febbre molto aguta, il cui ancora colore è ancora molto dilungi da matureza, dimostra morte, sì come noi mostrammo.
L. X, cap. 29 rubr.Capitolo .xxviiij. Dell'uscita di sotto e de le sue significationi.
L. X, cap. 29Quella uscita è milliore dell'altre ke è più molle, la cui tintura pende a gialleçça ma nom troppo e ke esce in hora acostumata. E ll'uscita molto tinta ke pugne e arde il fondamento di sotto significha superfluità di collera rossa, e la seccha significha poco homore e molto calore, e quella ke non si truova eguale sì ssignifica ke la digestiva, ke smaltisce il cibo, no signoregia igualmente al nodrimento. E lo sterco ke molto pute significa che la digestiva è debole. E lo stercho verde significha putrefatione nel corpo. E lo stercho col quale è molta ventositade dimostra troppo calore e troppo homore. E lo stercho ch'è sì come feccia, o ssì come fangho puççolente, ke ssi fae per mescolamento d'orina, è reo e mortale. E lo stercho che no è fiore tinto, significha ke dal fiele a le budella non à fiore di collera che 'l tingha. E lo stercho unto significha liquefatione e distrugimento di membri e ssignificha febbre ethica. E quello k'è più in quantitade ke quello ke l'huomo piglia significha ke 'l corpo indebolisce e dimagra. E lo stercho che in sé contiene molti e diversi homori significha rei homori nel corpo. E quello k'è spiumoso o viscoso ciascuno è reo, imperciò ke l'uno è per la superfluitade del calore e l'altro è per la liquefactione e distrugimento del corpo. E molta ventositade ke escha di sotto, quando il cibo non fie essuto emfiativo, dimostra deboleza della digestiva; e se la ventosità non esce in neuna maniera, significa poco kalore e superfluitade di freddo, e se con questo fie sete o seccheza, sì mostra ke ll'omore passa a le parti del corpo dentro. E quando quelle cose ke l'huomo manucha se n'escono fuori kosì come huomo le pillia, non mutate, sì ssi dimostra superfluitade di fredeza. La ventositade non legiermente uscire, o nom potere uscire sança nocimento, sì dimostra deboleza delli strumenti della nutricatione.
L. X, cap. 30 rubr.Capitolo .xxx. Di conoscere i polsi.
L. X, cap. 30Quelli ke vuole essere savio e istruito nella sciença de' polsi, e ke vuole congnoscere le sue significationi, conviene ke elli tocchi spesse volte il polso di quello cotale di cui vuole congnoscere quando è sano, e riguardi fermamente kon grande studio, acciò ke la sua forma s'empriema e si ficchi nel suo cuore le quali, quando fie mestiere, sappia trovare comparationi intra lloro. E ' fisici e i medici ciascuno modo di polso apellano per proprio nome e mostrano le sue cure e le sue significationi. E io di queste cose pruova somilliante a questa intentione e convenevole mostreroe, se piace a colui ch'è sommo medicho. Quando il polso, secondo la lungheza del braccio, al tocchamento apare più manofesto, è kiamato da' physici lungo. E quando, secondo la largheza, il polso comprende la magiore largheza de le dita di colui che 'l toccha, sì è kiamato da lloro lato polso. E 'l polso ke ss'è fitto e impresso ne la carne del dito di colui ke tocha il polso, e secondo grande quantitade v'entrò dentro, sì è detto e chiamato da lloro lato polso, ma quando secondo questo appare minore che no è acostumato è kiamato represso. E quando elli crescellungheza, alteza e largheza, sì è chiamato grande; ma quando elli è menomato in tucte queste cose sì è kiamato piccolo. E quando lo spatio ke ssi truova entra due motioni si truova più piccolo che non suole, è kiamato veloce e tosto, overo racto. E quando elli percuote il dito fortemente e con forte e virtuosa impulsione e, quando si strigne, il suo movimento non si distrugge, è kiamato forte. E quando elli è contrario a questo sì è kiamato debole. E quando quello che del corpo de l'arteria tocchando ocorre, overo si rimtoppa al dito, sarae somilliante a colui che di questa generatione è impresso e ssugellato nell'anima, né non sia pieno, ançi sia il contrario e non disteso, non si chiama pieno, ançi si chiama vòto, secondo ke lla forma fia in lui veduta. E quando quello che, al dito percotendo, di lui si rimtoppa sarà somilliante a una ligna o filo o corda tesa quando il percuote, è kiamato duro. Ma quando quello ke di lui è, sì come quello ke ssi rintoppa di questo ma no è molto teso, è kiamato da lloro lento (overo laxo). E quando ciascuna di queste percussioni (overo colpi) a la sua parecchia in grandeza, e in largheza, e in forteza, e in tosteza, o spilliateza, e nell'altre cose ke ssono sança queste si truova similliante, è kiamato eguale. E quando elli non fie così, è kiamato diverso. E questa diversitade alcuna volta si truova in una percossa e questo è entra 'l cominciamento dell'una percossa e lla sua fine. E la dissimilitudine si comprende per lo tocchamento d'uno dito e di due o di più dita. E i medici per più nomi kiamano la spetie di queste diversitadi, le quali noi diremo ne' suoi luoghi, imperciò ke quando elli verrae secondo noto e congnosciuto cerchio, e da llui non si dipartirà, cioè a ssapere sì come dipo tre iguali percosse una si truova diversa, o intra tutte le quatro, o intra tucte .v., o kome entra ciascuna iguali due diverse percosse si notano (le quali apresso, cioè circularmente, secondo questo exempro si truovano) si chama polso ordinato; e se lla diversitade no si truova sicondo il noto e cognosciuto cerchio, è chiamato inordinato. E 'l movimento de l'arteria che ssi fae dalle parti del corpo dentro a le parti di fuori è kiamato dyastile, cioè elevamento. È questo cotale movimento, il quale tutti al toccho sentono, movimento d'arteria e la sua percossa ke percuote e mano. Ma tuctavia i medici in questo acostumati percevono alcuna cosa più di questo (o ke questo). E 'l movimento de l'arteria ke ssi fa da le parti di fuori a le parti dentro è kiamato sistoles (cioè di ponimento o riposamento giù), e di questo movimento e motione si truova diversitade intra ' medici, imperciò ke ssono alcuni ke lla sentono e altri che no. Ma ad noi non apartiene di lei parlare in questo luogho. E se alcuno discepolo in questa arte all'ultimo fine di questa intentione non disidera divenire, sì dee elli sapere ke lla sistole non si sente, e ke il polso àe tempo di movimento, e questo sì è da ke 'l movimento de l'arteria appare al sentimento tanto ke ssi riposi e appiatti, e che il polso à tempo di quiete e di riposo, e questo è da ke il movimento s'appiatta infino ke ssi ricominci ancora a manifestare. Et entra l'uno di questi due tempi e ll'altro si truova propria comparatione in ciascuna etade, e lla comparagione ke ssi truova intra lloro nell'etade puerile non si assomillia a la comparatione ke ssi truova ne l'etade de l'adoloscentia, né de la gioventudine, né de la vecchieza; e questa comparatione s'apella peso. Per la quale cosa conviene quando il polso in alcuna etade la propria comparatione di quella etade guarderà, sì fie kiamato polso ke abbia peso, e ffie kiamato polso buono e di giusto peso, e in tucti somillianti di questi fie apellato e kiamato. Ma quando questo non guarderae e al peso dell'altra etade andrà, se infino a tanto ke è nell'etade puerile al peso k'è proprio di giovaneza si muti, il polso fie kiamato di diverso peso. E s'elli aviene cosa k'elli sia mutato al peso della senectudine e del senio, cioè di vechieça, fie detto polso de reo peso, o elli fia kiamato non pesato, o elli fia kiamato per nomi somillianti a questi, e imperciò ke il luogo del corpo ov'è l'arteria alcuna volta si sente a tocchare più caldo delli altri luoghi, imperciò ke alcuni medici tennero per sententia ke questa sia una de le specie de' polsi. E lli antichi le generationi de' polsi composti apellarono e kiamarono per diversi nomi, de' quali è il polso capriçante: et elli è polso il quale si sente quando l'arteria fiede il dito una volta, e anche tuttavia in tale maniera ke non si sente ke ssia tornato dentro, né k'elli abbia fatto sistole e riposata, nel quale la seconda percossa si truova magiore della primaia. E bispulsans, cioè il polso ch'è kiamato due volte pulsante o due volte fegente, sì è quando l'arteria fegendo si rintoppa al dito e non si sente riposo, il quale debbia essere kiamato sistole, ma per lo sentimento si sente l'altra percossa ke è più debole de la primaia. E 'l polso di diversa percossa si giudicha quando il cominciamento di diastole si truova debole e la sua fine forte, o 'l contradio di questo, e questo è ke 'l suo cominciamento sia più forte e più racto de la sua fine. E 'l polso k'è cotale si dice diverso in una percossa. E 'l polso k'è kiamato koda soricina è di due speçie delle quali sì è che ll'una percossa sia um pocho magiore, e ll'altra ke lla seguita minore, e ancora l'altra minore. E in questa maniera si proceda tanto ke ssi pervengha a una delle tre cose, cioè a ssapere: o k'elli dimori in una percossa e non vada a minore di lei, o elli non si riposi di menomare infino a tanto ke ssi appiatti e in neuna maniera appaia, o k'elli pervengha a alcuna misura piccola e poscia cominci di reddire e di crescere. E quando elli avrae cominciato di reddire e di crescere, o elli reddirà a la sua prima misura o alla minore di lei. E 'l primaio modo si kiama coda permanente, e 'l secondo coda menomante, e 'l terço coda ke riede. E quello ke riede a la sua prima misura sì ssi chiama coda di compiuto ritornamento. E 'l secondo coda di ritornamento diminuto. E ancora l'altra spetie kon menomamento di similitudine nella longhitudine dell'arteria primieramente si truova, per la quale subitamente in uno luogo alcuna grandeza si truova, de la quale l'altra ke lla seguita si truova minore, la quale non si occulterà e appiaterà subitamente. Ma non si riposerà ke secondo l'ordine non si menomi a poco a poco, tanto ke ssi oculti e apiatti, e questo aviene alcuna volta da due lati, et è kiamato allotta polso curvo. E alcuna volta s'inchina dall'una parte et è kiamato dall'una parte inchinato, il quale polso nell'una percossa è detto diverso. E 'l polso formicante sì è quando, nel tempo ke è intra due percosse, si truova tale diversitade ke alcuno pensi intra quelle percosse essere intervenuto in mezo, conciosiacosaké non vi sia intervenuto, e a questo quello che cresce si truova contradio. E 'l polso permanente subtile e duro, e 'l quale dimorando in una percossa appena non si parte giamai da llei. E 'l floctuante, o ondegiante, sì è il quale secondo la latitudine occupa e prende il luogho del grande dito kon morbideza o reempimento. Ma co· lui tuctavia no è grande elevamento né subita, ma pare ke lla levatione e 'l levamento non è l'una dipo ll'altra, per la qual cosa adviene k'elli assomilli all'ondi, de le quali l'una seguita l'altra. E di loro ancora è 'l vermicoloso, la cui forma è sì come la forma del floctuante, la quale secondo il levamento si truova quella medesima, ma no è lato né pieno, le cui onde e inondamento è debole, il quale assomillia a' vermini che discorrano per lo forame per l'arteria. E 'l polso formicante si truova sì picolo e sì spesso, ke pare che assomilgli al polso del fanciullo aguale nato. E 'l polso che assomiglia alla serra è kiamato serrale e duro, ne la cui percossa si truova diversitade, per la quale quando l'uno delle dita si percuote nelli altri sente quiete e quando nell'uno è riposo nell'altro si sente percossa. E polso triemolo è detto quando nell'arteria si sente somilliança di triemito. E 'l torto è kiamato quando l'arteria si sente similliança kome una lingna (o linea) ke ssi comincia a torcere e avolgere. E ancora diciamo ke 'l polso delli homini più de le volte si truova magiore e più forte e più tardo del polso de le femine; ma la superfluitade della grandeza e de la sua forteza è magiormente manifesta, ma la superfluitade de la tardeza è piccola, ma grande superfluitade de raritade si truova. E 'l polso de' fanciulli ke poppano si truova più spesso e più racto e più piccolo delli altri. E 'l polso de' fanciulli più grandicelli e delli adoloscenti è magiore del polso de' fanciulli picolini. E 'l polso de' giovani, cioè da .xx. a .xxxv. anni, si truova più forte del polso di tutte l'altre etadi, e magiormente il loro polso ke ssi truova ne la fine de la gioventudine. E 'l polso de' vecchi è più tardo del polso de' giovani e più debole e um pocho minore. E 'l polso di coloro ke ssono costituti in senio, cioè i travecchi, sono nell'ultimitade de la deboleza, e di radeza, e di picoleza, e di tardeza. E 'l polso di coloro ke ànno la complexione calda è magiore e più racto e più duro e del polso di coloro ke ànno la complesione fredda, ma ne la forteza fie forte iguale o più menomato. E 'l polso de' grassi è minore polso ke no è quello de' magri, ma sse quella cotale grasseza è di carne e non di grascia, il polso fie più forte e più ratto; e s'elli è di grascia, fie minore di questo. E ancora il polso di coloro ke ànno la complexione humida è più morbido e più humido. E 'l polso ch'è nel mezo della primavera è più forte che 'l polso di tucti gli altri tempi, e nel miluogho della state è più ratto e più spesso ke in tucti li altri tempi, e ne l'autumpno è piccolo e debole e menoma la sua spesseza e rateza di quello ke era nella state e non cresce la sua forteza, e nel verno è il polso nell'ultimitade di radeza e di picoleza e di tardeza. Ma ne l'extremitadi de' tempi si truova composto di quelli che ssono intra due tempi. E de la femina prengna sarà maggiore e più spesso ke di quella ke non è prengna. E 'l polso di coloro ke ssi lievano da dormire è grande e forte e spesso e triemolo, il quale tosto apresso riede a la sua dispositione. E 'l movimento e la faticha della quale huomo non si alaxa cresce la grandeza e la spesseza e la ratteza del polso secondo la sua rateza e forteza, il quale se è di picolo tempo, quello ke aviene di lei a l'arteria tosto si riposa; e se lla faticha o 'l movimento fie essuto lungho e di grande tempo, tardi si riposa e aketa il polso. E per lo movimento per lo quale alcuno perviene all'ultimitade di laseza e di faticha, il polso si fa picolo e debole e spesso secondo la sua quantitade. E 'l bagno a la grandeza del polso e a la sua lenitade è morbideza e spesseza d'acrescimento, nel quale, se alcuno fa grande dimorança, sarà piccolo e debole, ma la sua racteza rimane. E 'l cibo incontanente ke ssi pillia, il quale non fae alcuno nocimento né arsura o angoscia, à ' crescere fortemente la forteza del polso e la sua spesseza e lla sua grandeza, la quale cosa aviene dipo lungo tempo, imperciò k'elli nom fa questo incontanente ke l'huomo l'à preso. E quello per lo quale l'uhuomo perviene a nocimento e angoscia e pena fa il polso diverso, onde somilliantemente acresce il polso in spesseza e ratteza, e questo acrescimento più tosto verrà secondo il tempo ke quello acrescimento ke aviene secondo il cibo e più tosto si lieva da llui. E da' nutrimenti e dalle medicine ke riscaldano o raffredano si muta il polso, imperciò ke quelli ke sono caldi, secondo la quantitade de la sua caldeza, il polso in sua spesseza e ratteza e grandeza cresce; e 'l contrario fae il contrario. E ll'ira fae il polso elevato, e ratto, e forte, e spesso. E molta paura fae il polso diverso, e ratto, e tremulo. E ancora la tristitia fa il polso tardo, e rado, e debole. E la letitia fae il polso tardo, e rado, kon grandeza, e morbideza, e pieneza. E diremo ancora ke il polso lungho seguita o acrescimento di calore o menomamento di carne. E il polso lato significa acrescimento d'umiditade, e 'l polso grande e racto e spesso, acrescimento di chalore, e ssi di questo calore fie alcuna cosa accidentale, sì come movimento, o bagno, o ira o ssimiliante di questi, il polso tornerae tosto a la sua dispositione, ma sse la sua cagione è fixa e stabile, starà fermo tanto quanto la cagione starà ferma. E la piccoleza e la radeza e tardeza seguitano la fredeza. E 'l polso forte seguita la buona virtude e la cosa nociva riposo e quiete. E 'l polso si truova debole quando la virtude si disolve e distruge, o quando nel corpo è grande nocimento. E 'l polso si truova diverso quando la natura manda fuori la cosa nociva; e ssarae la diversitade molta o pocha secondo la quantitade del nocimento, e quando la natura fie più forte ke lla cosa nociva, e 'l numero de le percosse forti e grandi fie magiore, secondo questo; e 'l contradio sì è il contrario. Entra i polsi diversi l'ordinato è milliore ke 'l non ordinato, e magioremente se il numero de le percosse grandi secondo questo fie magiore. E 'l polso pieno sì ssignificha nel corpo habondança di sangue e di vapore humido, e 'l vòto singnifica il contrario di questo. E 'l duro significa alideza e seccheza, e 'l morbido polso significha il contradio di questo. E ancora il polso ke ssi truova fuori di peso la mutatione ke aviene secondo la natura dell'etadi, nelle quali quello peso propiamente si truova (al quale fu fatto il mutamento), significa. Per la quale cosa se il polso fie mutato al peso ke è vicino e prociano sì significha piccolo mutamento. E se ne l'arterie, quando si toccha, se superfluo chalore è manifesto magior ke nell'altre luoghora, si sente che elli sono vicini e prociani, significha che lla complexione del cuore è già rischaldata, la quale cosa aviene in coloro ke ànno ethica o tisicheza e forse significha sincope e tramortiscimento. E 'l polso k'è kiamato bispulsans, cioè due volte batente o pulsante, si truova quando il calore della febbre soprabonda, e quando elli è grande necessitade al polso in atrare l'aria. E questo è quando il caldo naturale è fortemente infiamato e lla virtude con questo è sana, e magiormente se la seconda percossa è magiore. E 'l polso nel quale la diastole si truova diversa da la sistole, si fa per la batallia della natura, e sse la fine della dyastole sarà più forte e maiore che 'l cominciamento, sarà migliore; e 'l contradio fie il contradio. E se lla fine della dyastole fie più racta e spilliata, significherà superfluo calore di putrefatione. E 'l polso che cotidianamente si menoma e indebolisce, il quale noi kiamamo coda saracina addiviene quando la virtude indebolisce e kade, per la quale cosa la sua malitia sarà secondo la sua deboleza e piccoleza, il quale se elli tornerà a forteza e grandeza, sì ssignificherà ke lla virtude sia già ritornata. E ss'elli dimorrà secondo una misura e non ritorni a la sua grandeza da quello in k'elli era non sia alcuno modo menomato, sarà in alcuna maniera milliore. E quello ke viene menomando tanto k'elli s'apiatti e oculti e non si senta, questo dimostra la natura essere vinta. E 'l polso curvo e torto in una parte e inchinato, sì si truova in coloro ke ànno l'eticha e la tisicheza. Ma il polso formichante significha il kadimento de la virtude, il quale à grande mistiere da atrare l'aria. E 'l polso che à crescimento significha forteza e grande necessitade d'atrare l'aria e ssi truova dentro poi ke ll'eticha e la tisichezza è konfermata. E 'l polso ondoso si truova quando alcuno si bagna o bee vino, o aviene per tutte quelle cose ke fanno il corpo molle e humido, e poke volte si truova in ydropisi, e llytargia, e pleureusi, o peryplemonya, e asma, e paralisi, e aplopesia, e nelle febbri significha sudore. E 'l polso vermicoloso aviene quando la virtude perde ma non del tucto, ma il formichante si truova quando la virtude cade del tucto e la morte è presso. E 'l polso ke assomillia alla serra è kiamato serratelle, il quale si fae quando grande apostema è nel corpo, e magiormente se fie in membro mobile e nervoso, sì com'è la dispositione della pleureusi ke ssi fae nel lato o ne la dyafragma. E 'l triemolo significha ancora ultima chaldeza e ke la virtude sia charicata d'omori, o ke appostema sia ivi, o opilatione ke impedimentisca fare la dyastole, cioè la elevatione del polso. E 'l polso torto si truova quando la virtude è sana e si combatte quanto puote kolla infermitade, la quale è presso al cuore e a le sue partite.
L. X, cap. 31 rubr.Capitolo .xxxj. Del regimento di coloro che ànno agute infertadi.
L. X, cap. 31Quando nel cominciamento di queste infertadi e' si vedrae manofesta e forte repletione, e lli omori sieno molto rei, la quale cosa si congnoscerà per la fortitudine delli accidenti, sì lli si conviene socorrere ançi che la virtude kada, votando lo 'mfermo kollo scemare sangue o kon medicina che meni e faccia uscire. E poscia il suo nodrimento si conviene misurare secondo la vicinitade o lungheza dello stato, e ssecondo la forteza dello 'nfermo, o secondo k'è nel tempo k'elli era sano, elli patia o sofferia fame o no. Imperciò ke sse lo stato fie prociano e lo 'mfermo fie forte, sì gli si dovrae dare pur acqua d'orço, ma sse lo stato fie remoto e lungi e lo 'mfermo più debole, alcuna cosa si dee più agiungnere al suo nodrimento. Ma ancora l'ora da dare il nodrimento si dee scielliere secondo il tempo quando lo 'nfermo fie in melliore stato e meno grave e 'l tempo quando solea manicare quando era sano; e ssecondo l'acessione della febbre, s'ella è interpolata (cioè ke pigli e lasci) e s'ella no è interpolata, sì ssi dee scelliere l'ora del die più fredda e più temperata. Quando vedrà i sengni del termine e llo stato aprocerà, lo 'mfermo si dee abstenere dal nodrimento e poco dee prendere e pocho riempiersi, ma dee fare più stretta dieta ke ffare si puote, tanto che il termine si faccia. E poi k'è fatto, sì ssi dee governare e reggere kol regimento ke ssi reghono koloro ke ssi lievano d'infertadi e, sse non, sì si dee tenere e sservare quello medesimo regimento ke ffacea dinançi tanto che lla sanitade si compia, se Dio vorrà.
L. X, cap. 32 rubr.Capitolo .xxxij. Del regimento de' convalescenti (scapaticci).
L. X, cap. 32Cholui che ssi lieva delle 'nfertadi agute, sì ssi conviene guardare ch'elli non ritorni ai nodrimenti coi quali i sani si reghono, ançi si temperi e usi quelli medesimi e ssimillianti cibi k'elli usava nella 'mfertade o um pocho più forti. E poi ordinatamente, e a poco a pocho, si meni a' cibi de' sani, ma in questo mezo s'osservi e si guardi da bagno, e faticha, e vigilie, e uso di femina, e dal vino, e si guardi ch'elli non sofferi né fame né sete né stea troppo sollicito ne le cure dell'animo, sì come pensamento e tristitia e ssimillianti cose, e k'elli non vada al sole (o sotto 'l sole), e non giaccia in luoghi caldi, e magiormente quelli che ssi leverà d'imfertade aguta e che è scampato sança termine; e ancora si diparta da tucte quelle cose ke 'l corpo riscaldano. E colui nel quale sono dimorati e rimasi segnali delle relique e rimanenti della 'mfertade sì come troppo caldo che ssente quando huomo il toccha, o spesseza nell'alito, o ssete, o dollia di capo, o tintura nell'urina, o ssolutione ke aviene ai corpi, o nella bocha sapore strano, o alienatione, o smemoramento nel sonno, o nel dormire, o veghiamento e somillianti cose, magiormente si dee rimanere al regimento dello 'mfermo, tanto ke tucti questi sengnali vadano via e k'elli sia bene guerito. E lo scappaticcio si dee guardare k'elli non sofferi né fame né ssete e ch'elli non si riempia di cibo troppo a una volta, imperciò ke ll'uno di loro il distempera e rischalda e ll'altro corrompe la sua complexsione, ma manuchi molte volte ma pocho a pocho, e de l'acqua fredda bea a pocho a pocho e non ne bea troppo a una volta, e magiormente nel tempo de l'autumpno. E di quella k'è non fredda non bea i· neuna maniera. E sse lla sua apetitiva virtude e vollia di mangiare è forte, e la digestiva ke ismaltisce è debole e affatichata, non atenda al manicare secondo l'appetito, ma secondo la digestiva, la quale cosa observi tanto ke lla digestiva melliora, e allotta manuchi quanto vorrae. E dipo questo a' movimenti e alle fatiche e all'altre cose, ne le quali elli solea usare quando era sano, ordinatamente si rameni. E se alcuno de' mali accidenti o alcuna cosa di loro sia rimaso, sì ssi solva e muova il suo ventre e lli si scemi sangue o lli si dieno kose ke spengano quelli cotali accidenti, de' quali tucti si converae scielliere ke al medicho parrà milliore, o ke a la dispositione de lo 'nfermo parrae più convenevole. E questo cotale non si dee lasciare tornare a quelle cose ch'elli usava quando era sano, tanto quanto quelli accidenti i· llui perseveranno. E quando l'apetito d'alcuno convalescente e scampaticio fie debole, sì è da ssapere ke alcune relique de la 'mfertade sono rimase nel corpo, le quali è mestieri di mettere fuori del corpo, e magiormente se 'l sapore della boccha fie corrotto o lla sete fie molta. E ss'elli è volontaroso di manichare, e per quello cotale manichare elli non ripigli força, ma il corpo sia solubile e mosso della quantitade del nodrimento e dell'acqua ke ssi dava dop'essa, si dee menomare alcuna cosa, e 'l sciroppo acetoso ke ssi fae del sugo de le mele cotongne si dee dare e sopra 'l feghato si dee porre empiastro, per lo quale si conforti o ssi faccia più forte lo 'nfermo. E ancora si dee sceverare dal manicare de' nodrimenti di grossa natura e duri a cuocere e a smaltire, tanto ke la sua virtude si compia. E ancora si notrichi con quelle cose ke tosto si smaltiscono, e sse il suo nodrimento non si puote smaltire sança vino, sì li si dea vino bianco bene kiaro e dal forte si guardi. Confectione del sciroppo acetoso del sugo delle mele cotongne. Recipe: sugo de le mele cotogne acetose una parte, çucchero tabarçeth parte .j., e aceto la quarta parte dell'uno di loro, e poscia tucte queste cose si cuochano e diligentemente si spumino (o skiumino), e di questa confectione beano i convalescenti, overo scappaticci, ai quali molta caldeza segnoregia e che ànno mestiere di quelle cose che confortano lo stomacho. Ma colui nel quale si truova piccola caldeza, sì lli àe mistiere di questo sciroppo. Per ciascuna libra di lui sì ssi prenda mastice, garofani, spico ana dr. .j., le quali, trite e lleghate nel panno, si ponghano nello sciroppo mentre che ssi cuoce. E poi che noi abbiamo exposte tucte le partite e i capitoli convenevolmente ke noi nominamo nel cominciamento di questo libro, abbiamo dumque tucto kompiuto, per la quale cosa a Dio, per lo benificio del quale e per lo cui aiuto noi menamo questo a ffine, gratie sempre sono infinite. Finito isto libro, referamus gratias Christo. Amen.
[Explicit](+i) Qui finisce il libro di Raxis de le somme e de l'agregaçioni di medicina, e del conservamento de la sanitade e del medicamento dell'enfertadi, traslatato di francescho in volghare, nelli anni domini .MCCC. del mese di maggio. E 'l nome di colui che 'l traslatoe si contiene ne l'infrascripti .xvj. versi qui rimati: Certamente vi dicho vollio essere vostro amicho keché di me volliate E nom può l'amistade Rimanere tra noi due Or non vi dicho piue Ben vollio in veritade Entra noi l'amistade Non vollio ke falli puncto Con fino amore congiunto Intra noi due dimori Villania ne sia fuori E ogne malusança Non vollio ci abbia mancança Non fa mistieri più dire Io sono vostro al ver dire (i-).
NOTE SU INTERPOLAZIONI Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 NOTE SU INTERPOLAZIONI E INTERVENTI SUL TESTO Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 sì à natura contraria ] Ed.: sia natura contraria p. 142 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 in freddura ] Ed.: infreddura p. 205 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 tolliendo, il nocimento ] Ed.: tolliendo il nocimento p. 230 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 maniere: dolci ] Ed.: maniere dolcip. 262 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 distenderela ] Ed.: distendere la p. 421 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 mani che ] Ed.: maniche p. 269 [ELENA] Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 (è certo spermento) sia ] Ed.: e certo spermento sia p. 324 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 abbia facto, il riposo è la medicina ] Ed.: abbia facto il riposo e la medicina p. 335 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 prenda poi apresso questa medicina: elli farà cuocere ] Ed.: prenda, poi, apresso questa medicina, e lli farà cuocere p. 369 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 apresso poi ke le medicine sono donate, o per ] Ed.: apresso, poi ke le medicine sono donate o per p. 370 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 vesciche d'arain ] Ed.: vesciche darain p. 371. Si è preferito rendere esplicito il fatto che la scrizione "darain" riproduce il sintagma francese "d'arain" 'di rame': cfr. Régime du corps, I, 24, 23: «vesie d’arain» (e vedi infra n. 329) Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 vesciche d'arain ] Ed.: vesciche darain p. 372. Si è preferito rendere esplicito il fatto che la scrizione "darain" riproduce il sintagma francese "d'arain" 'di rame': cfr. Régime du corps, I, 24, 23: «vesie d’arain» (e vedi supra n. 327) Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 E di state, quando dee esse[re] ] Ed.: E di state quando de ll'esserep. 397 (per controllo sul ms.) Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 la biltà ] Ed.: l'abiltà p. 388. Cfr. Régime du corps, II, 2, 1: «biauté du cors». Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 diatheion piperon ] Ed.: diatheion, piperon p. 248. Pur rispettando la grafia separata scelta dall'ed., si ripristina la locuzione (cfr. TLIO s.v. diatrionpiperon) Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 così detta ] Ed.: cosidetta p. 328 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 'spulsione ] Ed.: spulsione p. 262 Necessaria? Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 contrario ] Ed.: contraio p. 291 {per controllo sul ms.} Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 turtanni ] Ed.: tartanni p. 327 {per controllo sul ms.} Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 gala muscata ] Ed.: galamuscata p. 179 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 bornana ] Ed.: borriana p. 369.5 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 d'isapo ] Ed.: di sapo p. 277.2 Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 si potrebbero levare ] Ed.: sì potrebbero levare p. 389.14 NOTE DI INTERVENTI CERTI E poi apresso ] Ed.: E poi, apressop. 588 E apresso poi ] Ed.: E apresso, poip. 593 pur a la nucha, ai membri ] Ed.: pur a la nucha ai membri sono) movimento ] Ed.: sono), movimento si tollie ] Ed.: sì tollie p. 28 vanno, e ] Ed.: vanno e p. 29 è origine ] Ed.: è, origine p. 29 perduri, ma ] Ed.: perduri. Ma si conservi; e imperciò ] Ed.: si conservi, è imperciò durabili né stabili (onde... sempre), fece ] Ed.: durabili né stabili; onde... sempre, fece p. 35 molari dal lato diricto, e ] Ed.: molari, dal lato diricto e p. 37 ke sson ] Ed.: kesson p. 42 giunture si riempiono, e ] Ed.: giunture, si riempiono e p. 44 .vij., e di ] Ed.: .vij. e di p. 65 ke ssi ] Ed.: kessi p. 78 deboleza, imbecillitade ] Ed.: deboleza imbecillitade p. 119 homori, è ] Ed.: homori è p. 121 s'elli è iguale, e comprimasi e vegasi ] Ed.: s'elli è iguale e comprimasi, e vegasi p. 131 occhi ] Ed.: occhi occhi p. 132 primo del terço libro, il quale ] Ed.: primo. Del terço libro il quale p. 157 e raffreddata ] Ed.: è raffreddata p. 211 puliscano, lo stomacho rettifichano ] Ed.: puliscano lo stomacho, rettifichano p. 258 buono, e ] Ed.: buono e p. 280 a lloro ] Ed.: allora p. 286 {per ctrllo sul ms. Plut.73.43, c. 43rb} septemtrione, sono ] Ed.: septemtrione sono p. 293 vicina ] Ed.: vicna p. 304 discendere, k'elli ] Ed.: discendere k'elli p. 335 satolli sì ] Ed.: satollisi p. 341. Cfr. anche la lezione registrata dall'ed. per il ms. Lp: satolli sie. observare: ke ] Ed.: observare ke p. 342 observare: ke ] Ed.: observare ke p. 566 com periodo (cioè con revolutione e cercuito), sì come terçana e quartana e cotidiana, congnosciuta suole ] Ed: com periodo (cioè con revolutione e cercuito sì come terçana e quartana e cotidiana congnosciuta) suole p. 354 a questi, del mangiare de' quali ] Ed.: a questi del mangiare, de' quali p. 357 (o steafeda ke abbia nome), de ] Ed.: (o strafeda) ke abbia nome, de p. 375 {steafeda per ctrllo sul ms} exercito, cioè oste, nel ] Ed.: exercito, cioè oste nel p. 396 milliore ] Ed.: millliorep. 916 d'operare (in tal maniera... de l'operare), k'elli ] Ed.: d'operare in tal maniera... de l'operare; k'elli antichi; imperciò ] Ed.: antichi, imperciò p. 431 kapopurgio d'olio di seme di çucche ] Ed.: kapopurgio, d'olio, di seme di çucche p. 454 melegrane dolci; e manicare ] Ed.: melegrane dolci, e manicare d'uova, è proprietade ] Ed.: d'uova, e proprietade mal colore; la qual cosa ] Ed.: mal colore, la qual cosap. 457 non fia fitta ne la carne, sì ssi puote guerire kol ] Ed.: non fia fitta, né la carne sì ssi puote guerire, kol bituro, cioè burro, cotto o ] Ed.: bituro, cioè burro cotto, o p. 469 mestiere, a questo medesimo si ] Ed.: mestiere a questo medesimo, si p. 493 bere) e ] Ed.: bere e p. 496 cioè ] Ed.: cioe p. 497 granella kalkyl ] Ed.: granella, kalkyl p. 500 tosto ] Ed.: costo p. 501 se ne ] Ed.: sene p. 524 dolliano ] Ed.: dollliano p. 529 puote fare, per lo colatoio ] Ed.: puote fare per lo colatoio coperto si coli ] Ed.: coperto, si coli p. 538 mucillagine di pisillio e de seme ] Ed.: mucillagine, di pisillio, e de seme p. 543 intentioni e somme le quali noi dicemo, quando ] Ed.: intentioni e somme, le quali noi dicemo quando p. 561 ventre, cioè del casso dentro, ke ] Ed.: ventre, cioè del casso, dentro ke p. 571 escitture, cioè aposteme, sança ferro ] Ed.: escitture, cioè aposteme sança ferro p. 578 tuctavia menando ] Ed.: tuctavia, menando p. 579 àssi ] Ed.: à ssì p. 582 [intendo 'si ha (paura)' impers.] tracto, koll'altro ] Ed.: tracto koll'altro p. 590 scende la dollia ] Ed.: scende, la dollia p. 593 observare ] Ed.: obersvare p. 609 farà ] Ed.: fare p. 633 [Il ms ha fara] ne lo stomaco e ne la gola ] Ed.: ne lo stomaco: e ne la gola male. Quel kotale ] Ed.: male, quel kotale p. 676 generarsi ] Ed.: generarsì p. 86 ke lli ] Ed.: k'elli volte, ciascun ] Ed.: volte ciascun p. 705 'nasprisce ] Ed.: n'asprisce p. 801 riposare nel cammino ] Ed.: riposare nel cammimo p. 536 cambiamento ] Ed.: cambiamentto Il passo da (+i) a (i-) è un'interpolazione del ms. Laur. Plut.73.43 p. 398 dormire ] Ed.: dormine p. 11 e gypseo ] Ed.: ' egypseo p. 99 distruggono e vengano ] Ed.: distruggono e vangano p. 383 uscirà ] Ed.: uscira p. 594 uscirà ] Ed.: uscira p. 803 carni, calagie ] Ed.: carnicalagie p. 868 terminare ] Ed.: teminare p. 901 termine ] Ed.: temine p. 904 constrinctione ] Ed.: constinctione p. 905 diatriton pyperon ] Ed.: diatriton, pyperon p. 392 Pur rispettando la grafia separata scelta dall'ed., si ripristina la locuzione (cfr. TLIO s.v. diatrionpiperon). diatrithon piperon] Ed.: diatrithon, piperon p. 358 Pur rispettando la grafia separata scelta dall'ed., si ripristina la locuzione (cfr. TLIO s.v. diatrionpiperon) l'ingneo ] Ed.: lingneo p. 912 ke ll' ] Ed.: kell' p. 594 k'elli ] Ed.: kelli p. 700 ke ll' ]Ed.: kell' p. 718 ke ll' ] Ed.: kell' p. 827 ke ll' ] Ed.: kell' p. 865 l'aranea tela ] Ed.: la raneatela p. 67 [Cfr. supra il sintagma "tela aranea" (p. 66)]. E i medici ] Ed.: E ' i medici saprà ] Ed.: sapra p. 660 robusto ] Ed.: robuto p. 279 luogho ove ] Ed.: luogho ov'è p. 602 sompno ] Ed.: sopmno p. 108 galle di cipresso ] Ed.: galle, di cipresso p. 822 garricité ] Ed.: garricite p. 611 l'agullia, de ] Ed.: la gullia de p. 734 ismaltito ] Ed.: ismaltino p. 608 pilensia ] Ed.: 'pilensia p. 321 [Cfr. «la pilensia» supra, p. 298] rema ] Ed.: tema p. 719 estinomeno ] Ed.: e stinomeno p. 309 niuna cosa ] Ed.: in una cosa p. 737 a ssella ] Ed.: assella p. 11 soffera ] Ed.: sofferà p. 778 herpes hestinomeno e ] Ed. e ms.: herpes, hestinomeno, e p. 558 cominciamento ] Ed.: comiciameto p.658.19 {per controllo sul ms.} contrario ] Ed.: contraio p. 431.11 {per controllo sul ms.} molli ] Ed. moli p. 347.9 {per controllo sul ms.} ramollischano ] Ed. ramolischano p. 635.5 {per controllo sul ms.} bellve ] Ed. bellue p. 625.12 {ctrllato ms. Lettura possibile; cfr. disollvuti} più ] Ed.: piu p. 562.11 die più volte o più volte ] Ed.: die o più volte piu volte p. 601.24 {per controllo sul ms.} più forte ] Ed.: piu forte p. 860.4 alloe sucoltrino ] Ed.: alloe, sucoltrino p. 440.15 alloe sucoltrino ] Ed.: alloe, sucoltrino p. 775.5 blaccha bisanza ] Ed.: blacchabisanza p. 635.13 {per controllo sul ms., che separa le parole} d'endivia e di cidrioni ] Ed.: d'endivia, e di cidrioni p. 780.1 um poco di bituro ] Ed.: um poco di biruto p. 565.21 {per controllo sul ms.} e sebel [...]. ] Ed.: e sebel. p. 728.15 cartamo ] Ed.: carcamo p. 326.9 {per controllo sul ms.} vene molte ] Ed.: vene, molte p. 129.19 cappare ] Ed.: capparo p. 751.2 {per controllo sul ms.} comficiansi ] Ed.: conificiansi p. 769.2 Ipoquistidos ] Ed.: Ipoquistides p. 307.13 {per controllo sul ms.} cioe k'è ] Ed.: ciòe k'è p. 113.13 cioe sono ] Ed.: ciòe sono p. 115.1 cioè de' Parti ] Ed.: cioe de' Parti p. 117.22 cioè l'altro almeno poco e nascosamente ] Ed.: cioe l'altro, almeno poco e nascosamente p. 159.1 zimar, cioè verderame ] Ed.: zimar, cioe verderame p. 684.11 erpete estinomeno ] Ed.: erpete estiuomeno p. 753.13 {per controllo sul ms.} erpete estinomeno ] Ed.: erpete estiuomeno p. 813.10 {per controllo sul ms.} scellone ] Ed.: stellone p. 14.23 {per controllo sul ms.} scellone ] Ed.: stellone p. 625.10 {per controllo sul ms.} scellone ] Ed.: stellone p. 651.8 {per controllo sul ms.} ysopo cerotes ] Ed.: ysopo, cerotes p. 493.20 schalteritamente ] Ed.: schaltericamente p. 627.14 {per controllo sul ms.} schalteritamente ] Ed.: schaltericamente p. 803.14 {per controllo sul ms.} naturale è retondo ] Ed.: naturale è ' retondo p. 36.5 e li si dea bere ] Ed.: e li si dea ' bere p. 665.17 fu dato bere ] Ed.: fu dato ' bere p. 669.3 si dee dare bere ] Ed.: si dee dare ' bere p. 679.2 fue dato bere ] Ed.: fue dato ' bere p. 679.5 fue dato bere ] Ed.: fue dato ' bere p. 679.34 fue dato bere ] Ed.: fue dato ' bere p. 681.3 dae a bere ] Ed.: dae ' bere p. 734.7 {per controllo sul ms.} dare bere ] Ed.: dare ' bere p. 734.16 li dea bere ] Ed.: li dea ' bere p. 807.13 alcolla ] Ed.: al collo p. 601.11 {per controllo sul ms.} korodes ] Ed.: korotes p. 308.10 {per controllo sul ms.} alathis ] Ed.: alachis alathys ] Ed.: alachys p. 38.11-12 {per controllo sul ms.} sì diventa ] Ed.: si diventa p. 666.12 convalescenti (scapaticci) ] Ed.: convalescenti scapaticci p. 936.2 mentastro ] Ed.: menastro p. 777.20 le quali son chiamate seve ventricoli, e ] Ed.: le quali son chiamate sene (ventricoli) e p. 63.15 {per controllo sul ms. e cfr. ed. Salem} la sulla ] Ed.: l'asulla p. 800.7 E 'l meu è caldo ] Ed.: E 'l meri è caldo p. 316.11 {per controllo sul ms. e cfr. ed. Salem} e ramich ] Ed.: e ranuch p. 490.16 {lettura migliore} rada e netta i panni, e ] Ed: rada e netta, i panni e p. 322.19 NOTE DI INTERVENTI FORSE NON NECESSARI giungnimenti ] Ed.: 'giungnimenti p. 79 {ma altrove sempre "agiungnimenti"} giunga ] Ed.: 'giunga p. 361 giungha ] Ed.: 'giungha p. 641 parecchia ] Ed.: 'parecchia p. 925 {ma altrove sempre "ap..."} NOTE A FUTURA MEMORIA Razionalizzare l’uso dei due punti o della virgola e ke o ké nei seguenti casi (precede sempre un perciò in prolessi): {Possibile soluzione:} usare ké p. 188 > usare: ké guardare ke p. 189 (adde due punti e accento) usare ke > usare: ké mangiare ke? p. 190 > mangiare: ké usare ke? p. 202 > usare: ké guardare, ke / guardare k'ella p. 424 [QUESTO REMA CONTRO] nature ké p. 205 > nature: ké